INDICE GENERALE Al Lettore
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Introduzione “ Una visione non completamente spiegata ha preoccupato molto il profeta Daniele “ Spiegazione della visione che annuncia il cardine della storia “ Testo delle 70 settimane e sua importanza “ «Settimane settanta sono state tolte per il tuo popolo e la tua santa città» “ «Dall’uscita di una parola per rialzare e per ricostruire Gerusalemme» “ Primo decreto, 536 a.C. “ Secondo decreto, 520 a.C., e causa della sua promulgazione “ Preparazione al terzo decreto “ Terzo decreto, 457 a.C. “ «Piazza - giudici - e mura saranno rialzate e ricostruite nell’angoscia dei tempi» “ Autorizzazione a Nehemia “ Fine delle 7 settimane, 408 a.C. “
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INTRODUZIONE Capitolo I VISIONE GENERALE DELLA STORIA (Daniele 2) Introduzione Visione generale della storia rappresentata in una statua tetrametallica Primo impero universale: testa d’oro - Babilonia Lo scettro della casa di Davide passa ai gentili fino alla venuta gloriosa del Messia Secondo impero universale: petto e braccia d’argento - Medo-Persia Terso impero universale: bacino di rame - Grecia Oltre mille anni prima era stato annunciato che l’Occidente avrebbe prevalso sull’Oriente Quarto impero universale: gambe di ferro - Roma Perché Daniele non dice nulla della prima venuta di Gesù Il quarto impero universale continua trasformato fino al tempo della fine nei piedi e nelle dita di ferro e di argilla Perché i barbari non vengono rappresentati con un altro metallo Significato del ferro e dell’argilla: potere politico e potere ecclesiastico Quinto impero universale: la pietra - regno eterno Conclusione
Capitolo II IL CARDINE DELLA STORIA (Daniele 9:24-27)
INDICE GENERALE
Riepilogo «Fino a Unto-Capo, sette settimane e settantadue settimane» 87 Come i profeti dell’Antico Testamento avevano descritto la venuta del Messia L’insegnamento dei rabbini sulla persona e l’opera del Messia L’attesa messianica nel I secolo d.C. Realizzazione storica dell’«Unto-Capo» Grafico n. 1 Grafico n. 2 Egli «in una settimana confermerà un’alleanza con molti» «Dopo le settantadue settimane l’Unto sarà sterminato» «E non a lui» «E in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e oblazione» «Per consumere il crimine» «Per sigillare i peccati» «Per espiare l’iniquità» «Per portare giustizia dei secoli» «Per sigillare visione e profezie» «Per ungere santo dei santi» «Settimane settanta sono state tolte per il tuo popolo…» «E popolo di Capo il veniente distruggerà la città e il santuario - il popolo di Capo il veniente causerà la distruzione della città e del santuario; e la loro fine sarà nell’inondazione; e fino alla fine guerra e devastazione» Antioco Epifane IV Anticristo finale Tito a capo dell’esercito romano Gesù, capo del popolo, verrà a distruggere la città e il santuario Il popolo è la causa della distruzione della città e del santuario «La loro fine sarà nell’inondazione» «Al di sopra d’ala di abominazione, devastatore» «E fino alla distruzione, la decretata piomberà sul devastato» Conclusione Schema riassuntivo
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Capitolo III INSEGNAMENTI DIMENTICATI Introduzione L’apostasia annunciata Sintomi di apostasia nella Chiesa apostolica L’apostasia dà origine ad una nuova religione Cause dell’apostasia I. Sostituzione del giorno di riposo Importanza della Legge di Dio La legge di Dio esaltata dai cattolici La legge di Dio esaltata dai riformatori 1420
Quando la profezia diventa storia
INDICE GENERALE
Il Decalogo preesistente al Sinai Importanza del IV comandamento L’osservanza del Sabato nei primi cinque secoli dopo Cristo
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Dall’osservanza del sabato all’osservanza della domenica “ Il ruolo di Roma nel cambiamento del sabato alla domenica “ La Chiesa cattolica attribuisce a sé l’autorità di aver cambiato il giorno di riposo “ La fiaccola della verità non si è mai spenta su questo comandamento “ Conclusione “. II. La dottrina dell’immortalità dell’anima “ Schizzo dell’insegnamento biblico sulla natura dell’uomo “ Errore universale “ India “ Egitto “ Grecia “ Mesopotamia “ Riepilogo “ L’uomo secondo la Bibbia “ L’apostolo Paolo annuncia che nella Chiesa si sarebbero invocati i demoni, cioè i morti “ Gli eroi pagani vengono sostituiti dai martiri e dai santi cristiani “ Ruolo di Roma nella soppressione del II comandamento “ La formazione del dogma dell’immortalità dell’anima “ La dottrina dell’immortalità dell’anima: porta aperta allo spiritismo L’inferno e le pene eterne “ Conclusione e augurio “ III. Battesimo e suo significato biblico “ L’impiego dell’acqua nelle religioni extrabibliche e in Israele “ La Chiesa cristiana introduce nel battesimo altri elementi “ Modifiche del rito “ Triplice immersione “ Battesimo ai bambini “ Battesimo per aspersione “ Conclusione “ Conclusione generale “
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Capitolo IV COME DIO VEDE LA STORIA (Daniele 7:1-7,17,18) Introduzione “ Primo impero. Rappresentato da un animale simile ad un leone con ali d’aquila: Babilonia “ Secondo impero. Rappresentato da una animale simile a un orso ritto su un lato con tre costole in bocca: Medo-Persia “ Quando la profezia diventa storia
199 203 204 1421
INDICE GENERALE
Terzo impero. Rappresentato da un animale simile ad un leopardo con quattro teste e quattro ali d’uccello: Grecia “ 207 Quarto impero. Rappresentato da un animale che non ha riscontro nel creato: Roma p. 208 Critica all’identificazione con il regno seleucida e altre speculazioni “ 208 Critica all’identificazione della quarta bestia con il regno seleucida “ 208 Altre speculazioni “ 212 Roma “ 213 Le dieci corna o i regni della divisione dell’Impero Romano “. 218 Conclusione “ 221
Capitolo V DA POTERE RELIGIOSO A POTERE TEMPORALE (Daniele 7) Introduzione Il piccolo corno non può essere Antioco Epifane IV Il piccolo corno e altri errori di identificazione Il piccolo corno e l’interpretazione storica Le 15 caratteristiche del potere religioso che divenne potere temporale 1. Una monarchia 2. Sua natura 3. Sua posizione geografica 4. Epoca della sua apparizione 5. Sue dimensioni territoriali 6. Sua crescita graduale 7 Tre regni cadono, vengono sradicati davanti al suo sorgere Primo corno sradicato: gli Eruli Secondo corno sradicato: i Vandali Terzo corno sradicato: gli Ostrogoti o Goti 8. Sua apparenza straordinaria 9. Sua chiaroveggenza eccezionale 10. Suo linguaggio 11. Sua intolleranza 12. Suo attentato contro la Legge divina 13. Durata della sua supremazia 14. Inizio e fine della sua supremazia 607 – 1867 610 – 1870 533 – 1793 538 – 1798 15. Quando la sua fine Conclusione
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Quando la profezia diventa storia
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INDICE GENERALE
Capitolo VI L’UOMO DEL PECCATO (II Tessalonicesi 2) Introduzione Qualcuno e qualcosa impedivano la manifestazione 266 Come i Padri della Chiesa spiegavano le parole dell’apostolo Paolo Definizione di: uomo del peccato - figlio della perdizione - avversario - empio Si sederà nel tempio di Dio Persona o personificazione Il papato ne è la sola realizzazione Conclusione
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Capitolo VII PERCHÉ LA RIFORMA PROTESTANTE NON È SORTA E NON SI È AFFERMATA NEI PAESI LATINI (Daniele 2; 7; Apocalisse 11; 13; 17) Introduzione I quattro principi che delimitano il territorio geografico di un impero Primo principio: dalla conquista di Gerusalemme Secondo principio: i confini sono determinati dalla lingua che in prevalenza viene parlata Terzo principio: un territorio non può essere attribuito a più monarchie Quarto principio: autorità religiosa Le gambe di ferro della statua tetrametallica di Daniele non rappresentano l’Impero Romano d’Oriente e l’Impero Romano d’Occidente Gli Stati latini, pur essendo invasi dai movimenti ereticali e protestanti, rimasero cattolici La Riforma protestante Nella penisola Iberica In Italia In Francia I confini dell’Impero Romano delimitarono i territori conquistati alla Riforma Paesi Bassi Paesi Ungheresi Ginevra Conclusione
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Capitolo VIII LA CHIESA DI DIO ATTRAVERSO I SECOLI (Apocalisse 12) Introduzione Quando la profezia diventa storia
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INDICE GENERALE
Primo quadro: la Donna Chi non rappresenta La vergine Maria Miti e divinità femminili pagane Rappresenta il Popolo di Dio Secondo quadro: il Dragone Sua incarnazione religiosa Sua incarnazione politica 314 Il Figlio maschio Terzo quadro: battaglia in cielo Michele Battaglia in cielo Quarto quadro: la Chiesa di Dio attraverso i secoli e sua caratteristica nei tempi della fine La donna nel deserto Difficoltà a riconoscere l’evidenza Il Dragone getta dell’acqua dalla sua bocca La terra soccorre la donna Il rimanente della donna, sue caratteristiche, sua identificazione Conclusione
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Capitolo IX IL PAPA DEPORTATO (Apocalisse 13 p.p.) Introduzione Il potere che ha dominato attraverso i secoli secondo l’Apocalisse Identificazione storica del potere che sorse dopo che la Roma dei Cesari cambia sede e l’Impero Romano si trasforma nel mare delle invasioni barbariche Linguaggio, persecuzione e durata della supremazia del papato La ferita mortale Annuncio della sua guarigione Conclusione
Capitolo X LA PROFEZIA E LA RIVOLUZIONE FRANCESE (Apocalisse 11) Introduzione Si misura la fedeltà della Chiesa Il popolo di Dio calpestato La testimonianza millenaria dei due testimoni I due testimoni. Antico e Nuovo Testamento La Parola di Dio dall’aurora al crepuscolo 1424
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361 362 366 366 367 368
INDICE GENERALE
La conseguenza del rigetto della Parola di Dio Una nuova era per l’Europa: la bestia sale dall’abisso Dalla prima metà del 1600 studiosi protestanti annunciano che alla fine del XVIII secolo ci sarebbe stato in Francia uno sconvolgimento sociale politico - la Rivoluzione francese - che si sarebbe ripercosso sul papato Studiosi contemporanei alla Rivoluzione francese e degli anni successivi sono consapevoli di vivere la realizzazione della profezia Nel terremoto della Rivoluzione settemila nomi furono soppressi Uccisione e resurrezione dei due testimoni Uccisione dei due testimoni 389 Rallegramenti per la loro morte Resurrezione dei due testimoni dopo tre anni e mezzo Rallegramenti per la loro resurrezione Conseguenze della Rivoluzione francese Conclusione
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Capitolo XI ORIGINI E SVILUPPI DEL PONTEFICE MASSIMO (Daniele 8) Introduzione Quadro profetico Medo Persia Grecia Quinto corno Diverse spiegazioni per identificare il quinto corno 1. Antioco Epifane IV, re seleucida 2. Antioco Epifane tipo dell’anticristo futuro e dell’Islam 3. Anticristo finale 4. L’Islam 5. Il Papato 6. Roma 7. Roma pagana e cristiana nella continuità del Pontifex Maximus Rapporto del piccolo grande corno con il capro Greco Macedone 1. Rapporto tra il quinto corno e l’Impero Greco-Macedone 2. Momento storico dell’apparizione del V corno 3. Origini e sviluppo del culto all’imperatore romano pagano prima e al vescovo di Roma poi L’opera svolta dal Pontifex Maximus 1. Contro l’esercito del cielo 2. Contro il Capo dell’esercito 3. Al Capo dell’esercito toglie il “Continuo” 4. Abbatte il Santuario 5. L’esercito gli è stato dato con il perpetuo a causa della ribellione Quando la profezia diventa storia
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INDICE GENERALE
6. Getta a terra la “verità” «Fino a quando?» «Fino a 2300 sere e mattine, poi il santuario sarà purificato» Quando inizia il giudizio preliminare che si conclude con la purificazione del santuario celeste Il Giudizio preliminare e la Purificazione del santuario celeste Conclusione
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436 438 440
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Capitolo XII IL SANTUARIO ISRAELITICO Introduzione Rivelazione del piano della salvezza La schiavitù di Israele in Egitto Israele liberato La tenda di convegno nel deserto e suo significato tipologico Il cortile La porta L’altare degli olocausti La conca di rame La tenda di convegno o il santuario: luogo santo e luogo santissimo Realizzato nell’Emanuele 475 Ideale per il credente e per la Chiesa Luogo santo La tavola dei pani Realizzata nell’Emanuele Ideale per il credente e per la Chiesa Candelabro a sette lampade Realizzato nell’Emanuele Ideale per il credente e per la Chiesa Altare profumi Realizzato nell’Emanuele Ideale per il credente e per la Chiesa La cortina che divide il luogo santo dal luogo santissimo Realizzata nell’Emanuele Ideale per il credente e per la Chiesa Luogo santissimo L’arca Realizzata nell’Emanuele Ideale per il credente e per la Chiesa Inaugurazione della tenda di convegno Riepilogo Conclusione 1426
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477 478 479 480 480 481 481 482 482 483 483 484 485 487 490 491 493 494 495 496 497
Quando la profezia diventa storia
INDICE GENERALE
Capitolo XIII IL GIUDIZIO CHE PRECEDE LA VENUTA DEL SIGNORE (Levitico 16; Daniele 8:14; 7:9-14) Introduzione Importanza del giudizio preliminare e della festa della Purificazione Giorno di giudizio Lo Yom Kippur segue la festa del giudizio compiendo la purificazione del santuario Cerimoniale del giorno dello Yom-Kippur: i due capri Il santuario celeste nell’Antico Testamento Il Santuario celeste nel Nuovo Testamento 508 Il ministero redentore di Cristo sulla terra Il ministero redentore di Cristo nel santuario celeste Gesù, Sommo Sacerdote nel Santuario celeste: rappresenta i credenti e li soccorre Gesù Sommo Sacerdote nel Santuario celeste durante il giudizio e sua opera di purificazione Giudizio preliminare, suo inizio nella storia e purificazione del santuario celeste Giudizio preliminare Inizio del giudizio preliminare che comporta la purificazione del santuario celeste - 1847 - 1843 - 1843/44, partendo dal 458/457 - 1844/45 - 1844 Purificazione del santuario celeste La Chiesa sulla terra tipo del santuario celeste: sua purificazione Conclusione: l’investitura del Figlio dell’uomo - Gesù Re
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499 500 500
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502 503 507
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Capitolo XIV IL SORGERE DI UN MOVIMENTO MONDIALE (Apocalisse 10) Introduzione Un personaggio potente scende dal cielo Il libretto in mano all’angelo La voce dell’angelo è potente come quella di un leone e i sette tuoni fanno sentire la loro voce «Non c’è più tempo» - 1844 l’importante data profetica Realizzazione storica di Apocalisse X Un grande risveglio religioso La delusione predetta Quando la profezia diventa storia
1427
INDICE GENERALE
Il sorgere di un movimento mondiale La settima tromba ed il mistero di Dio Conclusione
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Capitolo XV LA PROFEZIA E GLI STATI UNITI D’AMERICA (Apocalisse 13 s.p.) Introduzione Caratteristiche e identificazione della seconda bestia di Apocalisse XIII I: significato simbolico della bestia II: suo carattere III: luogo geografico del suo apparire IV: epoca di apparizione 574 V: il suo sorgere VI: corna simili a quelle di agnello VII: parla come un dragone Guarigione della ferita mortale del papato Periodo della ferita mortale: 1798-1870 Periodo della lotta contro la morte: 1870-1914 Periodo della convalescenza: 1914-1945 Periodo della guarigione: dal 1945 Il papato acquista potere negli Stati Uniti In campo religioso In campo educativo In campo politico Perché il Papato acquista potere negli U.S.A.? I grandi prodigi del falso profeta La creazione dell’immagine della bestia Il potere religioso in America Il marchio della Bestia Il segno del sigillo di Dio Roma rivendica la sua autorità sull’osservanza della domenica Leggi per fare osservare la domenica negli USA XIX secolo XX secolo 616 Conseguenze Il numero del nome della Bestia: «666» Esattezza del numero Forma letteraria Spiegazione del numero 666 Identificazione Conclusione Uno sguardo retrospettivo 1428
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Quando la profezia diventa storia
624 626 627 627 627 629 633 634
INDICE GENERALE
Capitolo XVI L’ULTIMATUM (Apocalisse 14:6-13) Introduzione “ Primo appello “ Annuncio dell’evangelo eterno in tutto il mondo “ Invito a temete Iddio e dategli gloria “ «L’ora del giudizio è venuta» - tempo nel quale si colloca il primo appello “ Adorate il Creatore è riconoscere che ha fatto ogni cosa “ L’invito di Dio “ Secondo appello “ Babilonia è la cristianità apostata “ Babilonia e il mondo protestante ed evangelico “ Il protestantesimo tende sempre più ad assomigliare al cattolicesimo “ Dimissione del protestantesimo p. I protestanti porgono la mano al papato “ Verso una nuova forma di unione “ Terzo appello “ Rapporto con gli appelli precedenti “ La bestia e la sua immagine “ Il marchio della bestia “ La conseguenza di chi ha il marchio della bestia “ I tre messaggi sono un annuncio di salvezza “ Riepilogo “ Conclusione “
645 647 648 651 652 657 660 664 666 667 668 669 670 673 675 676 682 683 685 686 686 687
Capitolo XVII LE ULTIME PIAGHE PRIMA DELLA LIBERAZIONE (Apocalisse 15-16) Introduzione La fine del tempo di grazia Le sette ultime piaghe Durata Estensione Natura Prima piaga Seconda piaga Terza piaga Quarta piaga Quinta piaga Sesta piaga Eufrate: proposta letterale Eufrate: proposta simbolica Quando la profezia diventa storia
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689 695 699 700 700 701 702 702 703 704 705 706 707 708 1429
INDICE GENERALE
I protagonisti della battaglia La battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente Luogo della battaglia di Harmaghedon Settima piaga Conclusione
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709 711 713 715 717
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719 721 723 725 726 728
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Capitolo XVIII I 144.000 DELL’APOCALISSE (Apocalisse 7; 14:1-5) Introduzione Primo quadro: la Chiesa militante sigillata prima della fine del tempo di grazia Chi sono i 144.000 Cosa indica la cifra 144.000 Secondo quadro: la grande folla o la Chiesa trionfante La folla incalcolabile dei 144.000 viene dalla grande tribolazione La tribolazione conseguenza della fedeltà all’Evangelo 728 La tribolazione del Medio Evo La tribolazione finale I 144.000 sono un gruppo particolare di salvati Il sigillo Il canto dei 144.000 Conclusione
Capitolo XIX LA CHIAVE DELL’APOCALISSE (Apocalisse 17-19:10) Introduzione Prima parte: la Prostituta e sua identificazione Identificazione della prostituta 1. Babilonia ricostruita 2. L’antica Roma 3. Totalità degli empi 4. Roma futura 5. Una parte della Chiesa di Roma 6. Roma papale 7. La cristianità infedele degli ultimi tempi o la nuova cattolicità del cattolicesimo Differenze tra i capitoli XIII e XVII dell’Apocalisse Vestito e ricchezze della prostituta Suo crimine Suo nome: «Mistero, Babilonia,… la madre delle meretrici» Sua ubriachezza 1430
Quando la profezia diventa storia
INDICE GENERALE
Stupore di Giovanni Seconda parte: la Bestia a 7 teste e 10 corna, sua identificazione Significato delle sette teste 1. Sette successive forme di governo dell’antica Roma 2. Sette imperatori 3. Sette colli di Roma 4. La somma delle teste delle quattro bestie di Daniele 5. Sette teste = sette monti = sette re, regni, potenze universali La settima testa: sorge dall’abisso La futura confederazione degli Stati europei Il papato estende nuovamente il suo potere politico e religioso sugli Stati Europei che glielo riconferiscono Una nuova fase della storia europea La guerra ai santi Il giudizio sulla donna Terza parte: il giudizio di Babilonia «Caduta, caduta è Babilonia la grande…» «Uscite da essa o popolo mio…» Le piaghe su Babilonia Il lamento dei re su Babilonia 804 Il lamento dei mercanti su Babilonia Il lamento dei naviganti su Babilonia Rallegramenti per la distruzione di Babilonia In Babilonia si trova il sangue dei martiri e degli uccisi della terra Quarta parte: gioia in cielo per la caduta di Babilonia e l’annuncio delle nozze dell’Agnello Primo canto degli esseri celesti Secondo canto dei rappresentanti del Popolo di Dio Terzo canto di tutti i servitori Conclusione
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Capitolo XX L’VIII RE (Daniele 11, Apocalisse 17; 14:14-20) Introduzione Dall’Impero Medo-Persiano a quello Greco La divisione dell’Impero di Alessandro Guerre tra i Seleucidi del Nord e i Lagidi o Tolomei del Sud Guerre di Antioco Epifane III il grande contro l’Egitto Antioco IV Epifane I campagna militare in Egitto 173 a.C. II campagna militare in Egitto 171 a.C. Persecuzione di Antioco nei confronti di Israele III campagna militare in Egitto 170 a.C. Roma entra nella visione profetica Quando la profezia diventa storia
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INDICE GENERALE
Profanazione del santuario . Seduzioni e persecuzioni subite dai cristiani Il re orgoglioso o l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario Nel tempo della fine l’VIII re o l’Anticristo e la sua ultima impresa militare Harmaghedon 860 Conclusione della storia In Daniele Nell’Apocalisse
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840 845 846 852 “
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869 870 872 873 873 876
Capitolo XXI IL GIORNO DEL SIGNORE (Apocalisse 1:10; 19:11-21) Introduzione Descrizione del ritorno di Cristo Il gran conflitto Il giorno dell’Eterno Giorno di giudizio Giorno di culto Conclusione 878
Capitolo XXII I MILLE ANNI DELL’APOCALISSE E IL GIUDIZIO UNIVERSALE (Apocalisse 20) Introduzione Avvenimenti che precedono il millennio Il millennio Sulla terra Nel cielo Fine del millennio Giudizio universale Distruzione del male Inferno Riepilogo e insegnamento dell’apostolo Paolo sul millennio
“ “ “ “ “ “ “ “ “ “
879 888 891 891 901 908 912 915 915 918
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923
Capitolo XXIII NUOVI CIELI E NUOVA TERRA (Apocalisse 21-22:1-5) Introduzione 1432
Quando la profezia diventa storia
INDICE GENERALE
Nuovi cieli e nuova terra La nuova Gerusalemme Eden ritrovato Conclusione
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CONCLUSIONE
“
924 930 940 945
949
APPENDICI Appendice n. 1 SINOSSI DI DANIELE II, VII, VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X-XIII pp.
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958
Appendice n. 2 LA PERSONA DI DANIELE - AUTENTICITÀ E CANONICITÀ DEL SUO LIBRO - RISPOSTA ALLE OBIEZIONI
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Appendice n. 3 PERCHÉ LA PIETRA DI DANIELE II NON RAPPRESENTA LA PRIMA VENUTA DI GESÙ
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Appendice n. 4 GLI ABBAGLI DELL’ESEGESI RAZIONALE O COME VENGONO SPIEGATE LE 70 SETTIMANE DI DANIELE IX E L’INTERPRETAZIONE EVANGELICA CHE PONE NEL FUTURO LA REALIZZAZIONE DELLA SETTANTESIMA SETTIMANA 1007
p.
Appendice n. 5 COME PUÒ ESSERE CONSIDERATA LA POSIZIONE DEI TEOLOGI E DEGLI ESEGETI CHE VEDONO ANTIOCO EPIFANE IN DANIELE VII, VIII E IX?
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1015
Appendice n. 6 I PERIODI PROFETICI DI DANIELE XII: 1290 E 1335 GIORNI
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1023
Appendice n. 7 APOCALISSE: AUTORE - CANONICITÀ - DATA DI COMPOSIZIONE SCOPO - RAPPORTO CON ANTICO E NUOVO TESTAMENTO
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1035
Appendice n. 8 APOCALISSE: GENERE LETTERARIO
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Appendice n. 9 APOCALISSE: SISTEMI DI INTERPRETAZIONE
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Quando la profezia diventa storia
1433
INDICE GENERALE
Appendice n. 10 PIANO DELL’APOCALISSE GESÙ SOMMO SACERDOTE NEL SANTUARIO CELESTE E IL CALENDARIO DELLE FESTE EBRAICHE
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Appendice n. 12 IL PRINCIPIO GIORNO-ANNO
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Appendice n. 13 HARMAGHEDON
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Appendice n. 11 LE LETTERE ALLE SETTE CHIESE (Apocalisse 1:9-3: 22) L’ADORAZIONE A DIO SUL TRONO E IL LIBRO DELL’AVVENIRE SIGILLATO (Apocalisse 4 e 5) I SETTE SIGILLI (Apocalisse 6; 8:1) LE SETTE TROMBE (Apocalisse 8:2-9: 21)
Appendice n. 14 Tavole di riepilogo delle spiegazioni date dai principali autori che nella storia hanno commentato i libri di Daniele e Apocalisse TAVOLA n. 1 Daniele: principali scrittori ebrei dell’antichità e cristiani dei primi secoli della Chiesa “ n. 2 Apocalisse: principali scrittori dei primi secoli della Chiesa “ n. 3 Tavola cronologica della interpretazione ebraica dei quattro Imperi e del principio giorno/anno p. 1141 n. 4 Daniele: Principali scrittori nel primo Medio Evo “ n. 5 Apocalisse: Principali scrittori nel primo Medio Evo “ n. 6 Daniele: Principali scrittori prima della Riforma “ n. 7 Apocalisse: Principali scrittori prima della Riforma “ n. 8 Daniele: Principali scrittori del tempo della Riforma “ n. 9 70 settimane: Principali interpretazioni protestanti “ n. 10 Apocalisse: Principali scrittori del tempo della Riforma “ n. 11 Daniele: Principali scrittori del tempo della post-Riforma “ n. 12 Apocalisse: Principali scrittori del tempo della post-Riforma “ n. 13 Daniele: principali scrittori non Milleriti 1798-1844 “ n. 14 Apocalisse: principali scrittori non Milleriti 1798-1844 “ n. 15 XIX secolo: sostenitori dei 2300 anni profetici con scadenza tra il 1843-1847 “ 1177 n. 16 Daniele: interpretazione dei principali Milleriti tra il 1831-1844 n. 17 Apocalisse: Interpretazione dei principali Melleriti tra il 1830-1844 “ n. 18 Apocalisse 13 e 14: esposizione storica “ n. 19 Apocalisse: le 7 trombe e i 3 periodi profetici “ Appendice n. 15 1434
Quando la profezia diventa storia
1136 1139
1142 1145 1148 1149 1150 1153 1154 1157 1160 1163 1169
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INDICE GENERALE
DISCORSO ESCATOLOGICO DI GESÙ: MATTEO XXIV, MARCO XIII, LUCA XXI
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1197
Appendice n. 16 IL CULTO SOLARE BREVE STUDIO SULL’EVOLUZIONE DEL CULTO SOLARE
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1211
Appendice n. 17 MARIA, LA MADRE DI GESÙ, NUOVA PROPOSTA DI DIVINITÀ FEMMINILI PAGANE DELL’ANTICHITÀ E I FENOMENI PARANORMALI 1219 Appendice n. 18 L’ASCESA DEL PAPATO
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1265 1265 1266 1267 1267 1268 1268 1268
FONTI E BIBLIOGRAFIA Testo sacro e sue traduzioni - Versioni antiche e con caratteri non italici - Versioni in lingue moderne Opere dell’antichità - ebraica - caldeo-egiziana - greca-latina - Padri della Chiesa Opere, articoli e commentari, anche parziali, dei libri di: Daniele, Apocalisse e 2Tessalonicesi 1271 - autori ebraici - autori cattolici, protestanti e altri Daniele e Apocalisse nell’arte e nella musica Daniele nelle culture non cristiane Opere esegetiche e teologiche Opere di storia: storia d’Israele e della Chiesa - del pensiero religioso - di storia - Opere di storia d’Israele e della Chiesa - Opere di storia e di religione - Opere di storia - Opere varie - Grammatiche e lessici
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INDICI INDICE dei testi biblici INDICE dei nomi INDICE GENERALE Quando la profezia diventa storia
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INDICE GENERALE
TAVOLE FUORI TESTO I. II.
Parallelismo tra il colosso di Daniele 2 e le bestie di Daniele 7 “ Lo stabilirsi dei dieci regni barbarici sul territorio geografico dell’Impero Romano latino “ III. La terra profetica delle quattro monarchie di Daniele “ IV. Il piccolo grande corno di Daniele 8 “ V. Il santuario israelitico “ VI. Le LXX settimane (Daniele 9:24-27), parte delle 2300 sere e mattine giorni/anni - (Daniele 8:14), con il giudizio investigativo, preliminare o del preavvento (Daniele 7:9-13) “ VII. Due grandi segni nel cielo: la donna e il dragone (Apocalisse 12) “ VIII. La donna fugge nel deserto per 1260 giorni/anni e il dragone, dalla sua bocca, le getta dell’acqua come un fiume per sommergerla (Apocalisse 12)“ IX. La bestia che sale dal mare (Apocalisse 13 pp) “ X. La bestia che sale dalla terra (Apocalisse 13 sp) “ XI. I tre messaggeri celesti (Apocalisse 14:6-13) “ XII. La donna di Apocalisse 17 “ XIII. Concordanza delle visioni di Daniele e dell’Apocalisse “
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Quando la profezia diventa storia
1439 1440 1441 1442 1443
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INTRODUZIONE «Quando i libri di Daniele e dell’Apocalisse saranno meglio compresi, i cristiani faranno una esperienza religiosa totalmente diversa» Ellen White.1
In un tempo come il nostro carico di tensioni sociali, di squilibri politici, di lotte di classe, di problemi economici e finanziari, crediamo sia positivo considerare ciò che Dio ha rivelato alla nostra umanità. Numerose sono le opere scritte per comprendere l’evoluzione della storia. Non sempre gli storici hanno condiviso la valutazione di quanto avvenuto nel passato e i momenti cardine dell’evolversi da un periodo all’altro. Le opere di storia arricchiscono il nostro sapere e la conoscenza del passato potrebbe essere maestra di vita per il presente e quindi aiutarci a orientare le nostre scelte per il futuro. Ma non sembra che l’uomo abbia imparato molto dal passato. Nel secolo scorso si prevedeva tutto per il nostro secolo tranne le due guerre mondiali, la loro conseguenza e la realtà che stiamo vivendo. All’Ovest e all’Est si è sperato che la guerra fredda cessasse e quando il muro di Berlino è crollato, in un modo imprevedibile e quindi non annunciato, si è sognata una pace reale, ma il sogno non è durato neppure una stagione. La situazione nell’Europa Occidentale, dell’ex Patto di Varsavia, dell’Africa, dell’Asia e dell’America è tale che la pace nel mondo è più instabile oggi che nel passato. Il domani come sarà? Le speculazioni di fantascienza, di fantapolitica, di fantaeconomia suscitano sempre più interesse. L’uomo, per conoscere se stesso, per capirsi, per sapere le sue origini e il fine ultimo della sua esistenza, ha bisogno di uscire dal “silenzio di Dio” per, finalmente, porsi all’ascolto di Colui che, rivolgendogli la parola, lo interroga, lo istruisce, lo realizza. Il Dio della Bibbia, il Dio di Abrahamo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio d’Israele e della Chiesa, a differenza del dio dei filosofi e delle religioni tradizionali, è un Dio che parla e si rivela. La superiorità di questo Dio rispetto a tutti gli altri sta proprio in questa caratteristica: «Io, io sono l’Eterno, e fuori di me non v’è salvatore. Io ho annunziato, salvato, predetto, e non è stato un dio straniero... (Io) annunzio la fine fin dal principio, e molto tempo prima predìco le cose non ancora avvenute; che dico: “Il mio piano sussisterà, e metterò ad effetto tutta la mia volontà”». E fa sapere: «Il Signore l’Eterno, non fa nulla, senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti».2
1
WHITE Ellen, Testimonies to Minister’s, p. 114. Isaia 43:11; 46:10; Amos 3:7. Salvo precisazioni diverse, la traduzione italiana dei passi biblici riportati sono della Versione Riveduta del dr. G. Luzzi, ed. Librerie Sacre Scritture. 2
INTRODUZIONE
Sono molte le profezie contenute nel messaggio biblico. Affinché fossero coordinate e ben comprese, Dio ha rivelato il filo conduttore a due uomini: il primo, Daniele3 (autore del suo scritto omonimo, israelita di stirpe reale portato a Babilonia da Nebucadnetsar in occasione della sua prima conquista di Gerusalemme nel 605 a.C.), e il secondo, l’apostolo Giovanni (autore dell’Apocalisse4 da lui composta durante il suo esilio sull’isola di Patmo nel 97 d.C.). Infatti «questi due libri... quello di Daniele e quello di san Giovanni, essendo i soli che siano interamente scritti secondo l’ordine storico o cronologico, sono destinati a darci la chiave di tutti gli altri».5 «Tutti i libri della Bibbia si riassumono e si completano nell’Apocalisse, la quale a sua volta completa il libro di Daniele».6 Questi due libri sono stati scritti usando un genere letterario particolare, quello apocalittico.7 I profeti dell’Antico Testamento presentavano il loro messaggio sacro ai contemporanei in un linguaggio semplice e accessibile a tutti, in forma poetica e/o con delle immagini. Questi messaggi erano però indipendenti gli uni dagli altri sebbene a volte completassero quanto detto precedentemente. Quando annunziavano il futuro erano privi di prospettiva storica o del senso cronologico. Per contro, come vedremo più avanti, nei libri apocalittici di Daniele e di Giovanni, la cronologia occupa una larga parte e il loro messaggio è di carattere universale. Le profezie di questi libri non sono mai a duplice prospettiva e hanno sempre una sola realizzazione.8 «Le apocalissi, essendo destinate a illuminare dei lunghi periodi sprovvisti di rivelazione diretta, dovevano essere contemporaneamente più universali e più dettagliate. E per questo... Dio che dirige la storia accorda ai veggenti, per quanto riguarda le cose del futuro, delle luci speciali che superano anche di molto la misura ordinaria della profezia».9 «Come Daniele lascia gli ebrei, al momento in cui essi stanno per essere privati dello spirito di profezia, la guida che doveva condurli attraverso le complicazioni della storia fino alla venuta del Messia, così Giovanni ha lasciato al nuovo popolo di Dio, che doveva essere privato del governo apostolico, le direttive che gli erano necessarie fino al ritorno del suo Maestro».10 3
Per la biografia di Daniele e l’autenticità del suo libro, vedere Appendice n. 1. Per la paternità dell’Apocalisse a Giovanni l’evangelista e data di composizione, vedere Appendice n. 7. 5 GAUSSEN Louis, Daniel le Prophète, t. III, Paris 1849, p. 181. 6 WHITE Ellen, Conquérants pacifiques, ed. S.d.T., Dammarie-les-lys, 1959, p. 520; ed. italiana, Gli uomini che vinsero un impero, ed. AdV, Falciani 1989, p. 367; edizione originale, The Acts of the Apostles, p. 585. 7 Per una visione più ampia di questo genere letterario, vedere Appendice n. 8. 8 Tranne quelle riguardanti le sette Chiese dell’Apocalisse che possono aver avuto un messaggio diretto per le chiese locali, vedere Appendice n. 11. 9 AUBERLEN Karl August, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 97. Riteniamo che l’autore (1824-1864), docente all’Università di Basilea, sia stato il migliore a spiegare la differenza che c’è tra le profezie apocalittiche e quelle degli altri profeti. 10 GODET Frédéric, Études Bibliques, t. II, 5 ed., Paris 1899, p. 415. Questo autore nel secolo scorso era considerato il principe dell’esegesi. I suoi commentari sono stati ristampati negli anni Settanta. Un pensiero analogo alla citazione riportata era stato espresso da FLEMING Robert, pastore presbiteriano scozzese, in L’origine de la chute de Rome 4
14
Quando la profezia diventa storia
INTRODUZIONE
Di questi due uomini nella Bibbia viene detto: «Tu (Daniele) sei (un uomo) grandemente amato»; Giovanni era il discepolo «che Gesù amava»11. Entrambi vedono il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo.12 Entrambi parlano dell’anticristo, della sua durata attraverso i secoli, della sua supremazia, della sua azione, della sua fine.13 A entrambi è dato il piacere di contemplare il trionfo della Chiesa e la sua glorificazione.14 In entrambi si concentra e si riassume tutto il messaggio messianico dei profeti.15 Il libro di Daniele e in particolare quello dell’Apocalisse hanno ispirato opere artistiche di pittura, di mosaici, di arazzi, di vetrate, di altorilievi e musica non solo nel passato ma anche nel nostro secolo.16 papale, Liegi 1849, p. 88, 1a ed. inglese, London 1701: «Come Daniele colma la lacuna o il vuoto della storia dell’Antico Testamento, così l’apostolo S. Giovanni fa lo stesso per il Nuovo Testamento conducendoci dalla prima alla seconda venuta di Cristo». 11 Daniele 9:23. Siamo noi che abbiamo messo quanto scritto tra parentesi. Giovanni 13:23. 12 Daniele 7:13; Apocalisse 1:7; 14:14 e seg.; 19:11 e seg., ecc.. 13
Daniele 7: 26; Apocalisse 13: 1-10; 19:20, ecc. Daniele 12:1, 2; Apocalisse 12; 14:1-6; 7:21, ecc. 15 Daniele 9:24-27; Apocalisse 12:5. 16 Tra il 1508-1512 Daniele compare tra gli affreschi della Cappella Sistina in Vaticano ad opera di Michelangelo Buonarroti. Il Museo Nazionale di Berlino conserva un dipinto di Rembrandt del 1652 che ritrae il profeta in visione. La National Gallery of Art del Museo di Washington conserva una tela di Rubens del 1618 che ritrae Daniele nella fossa dei leoni, episodio ripreso nel 1849 da Delacroix e conservato al Palais Bourbon di Parigi. Nel 1607 Léonard Kern orna le due porte monumentali del Municipio di Norimberga con le quattro bestie che Daniele presenta nel suo capitolo VII, con accanto rispettivamente Nebucadnetsar, Ciro, Alessandro il Grande e Giulio Cesare per indicare i relativi imperi. Scrive J. Doukhan, che dal dramma liturgico del Medio Evo, Drame de Daniel, composto nel XII secolo da Hilarius, discepolo di Abelardo (Biblioteca Nazionale di Parigi, 11331, fol. 12-16) e nel XIII secolo per la scuola della cattedrale di Beauvais (Museo Britannico di Londra, Egreton 2615, fol. 95-108), fino alla composizione elaborata da Darius MILHAUD, Les Miracles de la foi, 1951, agli accenti espressivi e profondi di Louis Amstrong che canta, accompagnato dalla sua orchestra, il negro-spiritual Sadrach, composto nel 1931 da Mac GIMSEY, best seller nel 1938, i temi di Daniele hanno preso tutte le forme; dalla commedia tragica del XVII secolo nell’opera tedesca Der Seigende Hofmann Saniel, del 1671, alle cantate in jazz del XX secolo, alla stampa di un francobollo delle poste italiane del 1961 (DOUKHAN Jacques, Le soupir de la terre, ed. Vie & Sante, Dammarie-les-lys 1993, p. 12). L’arte figurativa ispirata dall’Apocalisse riempie l’ultimo quarto del IV secolo e tutto il V, con opere prodigiose, osserva F. van der MEER. L’arte medioevale ne è ricca e la figura del Cristo onnipotente, vincitore supremo, la caratterizza. La maestà di Cristo, seduto o in piedi non è solo raffigurata nei manoscritti del Medio Evo, negli affreschi delle absidi, nei bassorilievi dei timpani, nei mosaici, nei vetri e nei rosoni delle chiese e delle cattedrali. Charles BRÜTSCH, nella sua opera, La Clarté de l’Apocalypse, nella 4a e 5a edizione, Genève 1966, pp. 443,444, presenta una lunga lista, che definisce «molto approssimativa», delle Chiese che presentano tali raffigurazioni in Germania, Spagna, Francia, Italia, Svizzera, Andorre, Inghilterra, Bulgaria, Danimarca, Svezia, Cecoslovacchia, Russia e, fuori dall’Europa, Egitto, Baouit, Saqqara, U.S.A. Per quanto riguarda le opere incise su legno, la storia delle illustrazioni dell’Apocalisse si divide in due periodi, fino al 1498 quando il maestro di Norimberga Albert Dürer pubblica la sua opera, a dopo questa data. Quest’opera fu così importante che l’arte che si ispirava all’Apocalisse era in declino e in quel periodo trova, nel maestro tedesco, un nuovo interesse. È difficile elencare gli artisti contemporanei che hanno rappresentato l’Apocalisse. Qualche nome secondo C. Brütsch, o.c., pp. 446,447: Giorgio de Chirico, 1852; Edouard Goerg, 1943; George de Pogedaleff, 4 vol. 1947-1950; Vincent de Crozals, 1950; Henri de Waroquier, 1955. A questi nomi di devono aggiungere le illustrazioni di Jean Berque, Paris-Lausanne 1938; soprattutto la tappezzeria creata da Jean Lurçat (morto nel 1966), che rappresenta la donna e il dragone di Apocalisse 12, nella chiesa cattolica del plateau d’Assy, alta Savoia. È da segnalare la litografia di Odilon Redon (1840-1916) del 1899, posta da A. Mellerio nella sua opera su O. Redon, Paris 1913. All’inizio del XX secolo, Paul Robert ha dipinto tre quadri (l’angelo musicista, Michele che trafigge il dragone, l’angelo del giudizio fermato da quello della grazia) sulla grande scalinata del Museo di Neuchâtel; due affreschi di M. Barraud, nella cappella dell’Università di Fribourg, 1946. Sulla facciata del tempio protestante di Aubagne, vicino a Marsiglia, un mosaico rappresenta l’Agnello, ad opera di Henri Lindegard - J. Franch-Clapers, la chiesa cattolica di Rheinfeldn, 14
Quando la profezia diventa storia
15
INTRODUZIONE
Il libro di Daniele è così importante che Gesù, parlando della distruzione di Gerusalemme, lo cita nominandolo espressamente e riportando poi testualmente le sue parole. Invita quindi: «Chi legge il profeta Daniele; rifletta», o «vi ponga mente», «stia ben attento», «cerchi di capire».17 Non possiamo comprendere l’Apocalisse senza passare attraverso Daniele perché il libro di «san Giovanni é il secondo tomo di una storia di cui quelle di Daniele è il primo». «Non si potrebbero quantificare gli errori evitabili che hanno commesso e sviato gli interpreti, quando hanno preteso di spiegarci l’uno senza avere capito l’altro».18 La cosa grave è che oggi l’errore continua. Gli esegeti si trovano davanti a due libri che vogliono spiegare senza considerare questa premessa, e dando quindi Argovie, possiede un affresco di 18x9 m. di Johannes Hugentobler che raffigura con finezza la Gerusalemme celeste; a Möhlin, località vicino alla precedente c’è un altorilievo di 15 mq che ritrae la liturgia celeste dei capitoli IV e V. Una serie di otto vetrate sono consacrate all’Apocalisse nella chiesa francese di Winterthour, fatte dal pittore Robert Wehrlin nel 1957; nel 1959 una vetrata con diversi motivi dell’Apocalisse è stata fatta nella chiesa protestante di Nidegg, a Berna, dipinta da R. Schär e nella chiesa di san Giovanni, sempre a Berna, nel 1961 ad opera di Max Hunziker. Si segnalano anche le opere di Max Beckmann e di R. Bergholtz. In questo excursus non è da dimenticare la Bibbia di Joseph Foret, pesante 210 chili, con commenti di Jean Cocteau, Jean Rostand, Daniel Rops, Jean Guitton, E.M. Cioran, Jean Giono e Ernest Jünger, e illustrata da Bernard Buffet, Salvatore Dalì, Leonor Fini, Foujita, Mathieu, Tremois e Zadkine. Questa Bibbia è stata esposta in numerose città e ha fatto parte dell’esposizione tenuta nel New Museum of Contemporary Art dal titolo La fine del mondo, visioni contemporanee dell’Apocalisse (1983-1984). Nella primavera del 1992 c’è stata una esposizione consacrata alla fine e all’Apocalisse nella galleria d’arte di G. Schreiber, all’Università di Tel Aviv. Sono da ricordare le opere di D. Y’acoby (1989-1990), Y. Parbuchrai (1991), T. Geva (1991). È stato anche stampato un catalogo Postscripts, “Fine” – Representations in Contemporary Israeli Art, The Genia Schreiber University Art Gallery, Tel Aviv University, 1992. Sebbene l’Apocalisse sia stata ispiratrice nell’arte musicale, il protestante MIDDENDORP si augura che possa essere espressa in un’opera simile a quella della Passione secondo San Matteo da J.S. Bach. Scrive J. Doukhan: «La musica è probabilmente il genere artistico maggiormente ispirato dall’Apocalisse. Dappertutto nel mondo, in Francia, in Polonia, in Germania, in Giappone, in America, dei compositori sono apparsi andando dall’oratorio alla sinfonia. L’Apocalisse è stata oggetto pure di tesi di dottorato in musica e in composizione. Tra le numerose opere consacrate all’Apocalisse, si notano i nomi seguenti: O. MESSIAEN, Quatour pour la fin des temps, 1941; Couleurs de la cité céleste, 1963; Des canyons aux étoiles, 1974; D. MAXWELL, Apocalypse et chute, 1980; I. MAREO, Apocalypse symphonique, 1982; K. RAINER, La nouvelle Jérusalem, 1986; Le voyant de Patmos, 1986; O.S. JOACHIM, Apocalypse et apothéose, 1989; S. WELLMAN, Symphonie d’Apocalypse, 1980; B. MATUSZCZAK, Apocalypse, 1985; R.M. SCHAFER, Apocalypse, 1986; W. JOSEPHUS, Les quattre chevaux de l’Apocalypse, 1980. Queste opere del nostro secolo sono state precedute, come elenca C. Brütsch, da: XVII secolo: Melchior Frank (1573-1639), 3 mottetti; Joham Rudolf Ahle (1625-1673), 1 mottetto; XVIII secolo: J.S. Bach (1685-1750), 4 cantate; F.G. Haendel (1685-1750), oratorio, Le Messie; XIX secolo: F. Mendelsshon Bartholdy (1809-1847), oratio, Paulus; Johannes Brahms (1833-1897), Ein deutsches Requiem; XX secolo: Henk Badings (1907), Apocalypsis, oratio, 1948; Robert Blum, oratio, Erzengel Michale, Zurich; P. Lucien Deiss, oratorio, Je vis la nouvelle Jérusalem, Paris; Jean François, oratorio, L’Apocalypse de saint Jean, Paris; Frank Martin, oratorio, In Terra pax; Darius Milhaud, cantate, Les deux cités; Jacques de la Presle, oratorio, L’Apocalypse de Saint Jean, con parole di Hélène Naville, ed. Rouart, Paris 1929; Franz Schmidt (1874-1939), oratorio, Das Buch mit den sieben Siegeln; Jean Cocteau avrebbe scritto le parole di un oratorio. 17 Matteo 24:15. Il testo che Gesù menziona si trova in Daniele 9:27. 18 L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 194,195; t. II, Paris 1848, p. 13.
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Quando la profezia diventa storia
INTRODUZIONE
interpretazioni che si confutano a vicenda e non hanno mai soddisfatto pienamente nessuno. Il grande Bengel diceva: Daniele «è il politico, il cronologista e lo storico tra i profeti»,19 e l’Apocalisse: «è il libro più importante della Scrittura perché è l’unico chiamato la Rivelazione di Gesù».20
19 «Daniele ha avuto delle intuizioni profetiche che sono state, con ragione, considerate tra gli oracoli più notevoli dell’Antico Testamento. La profezia apocalittica ricorda, in effetti, e indica in un modo più manifesto una azione più estesa di Dio sul veggente. In questo genere d’ispirazione, Dio dona delle luci che superano la misura ordinaria delle rivelazioni profetiche. In una parola, la profezia apocalittica è l’espressione più perfetta di tutto un ordine di idee, di tutta una fase del profetismo presso il popolo eletto. Così noi crediamo di poter definire Daniele il più grande dei profeti che abbia avuto il popolo ebraico; nessun profeta ha avuto un’aureola più luminosa» FABRE d’ENVIEU Jules, Le Livre du Prophète Daniel, t. I, Paris 1888, p. 55. 20 Cit. da K. Auberlen, o.c., p. 40. L’insegnamento escatologico sul tempo della fine di Gesù, Paolo e Giovanni ha le radici nello scritto del profeta Daniele. WESTCOTT ha dichiarato: «Non c’è dubbio che Daniele abbia esercitato una grande influenza sulla prima Chiesa cristiana come nessun altro scritto dell’Antico Testamento». Ernest KÄSEMANN ha affermato che l’apocalisse di questo libro è «la madre della teologia cristiana» cit. da FORD Desmond, Daniel, ed. Foreword by F.F. Bruce, Southern Publishing Association, Nashille, Tennessee, 1978. L’influenza teologica del libro di Daniele sul Nuovo Testamento la possiamo notare a più riprese. Riportiamo a tale proposito le considerazioni di LEHMANN Richard, Les liens de parenté entre Daniel et l’Apocalypse, in AA.VV., Prophétie et eschatologie, vol. I, Conférences Bibliques Division Eurafricaine, Séminaire Adventiste du Salève, 1982, pp. 395-420. A due riprese il Nuovo Testamento fa riferimento a Daniele 2: in Luca 20:18; Matteo 21:44. Daniele 2:35 dice che la pietra «frantumerà» i regni e li disperderà come la pula sulle aie d’estate. Matteo e Luca riprendono gli stessi verbi riportati dalla versione greca detta dei LXX in Daniele 2:44: «frantumare» e «ventilare». Quest’ultimo (gr. likmao) lo si ritrova nella LXX in Daniele 2:44, Ruth 3:2; Giobbe 27:21. Gli evangeli riportano i verbi nello stesso ordine di Daniele, ciò fa pensare a un suo riferimento. Il contesto immediato di Luca 20 è la parabola dei cattivi vignaioli. A prima vista sembra che Gesù voglia realizzare immediatamente la profezia di Daniele 2. Ma una lettura attenta mette in risalto il futuro escatologico. Gli effetti sono posti in un avvenire indeterminato. Inoltre l’espressione «chiunque» ha un carattere universale. Il giudizio che colpisce Gerusalemme nel 70 d.C. è una testimonianza storica di ciò che avverrà a «chiunque» rigetti il Messia. Daniele 7:13, sebbene non sia citato testualmente, è riferito da Gesù stesso e dagli apostoli: Marco 13:26; 14:62; vedere: Atti 1:9-11; 1 Tessalonicesi 4:17. É possibile che quando Paolo dice che i santi giudicheranno il mondo (1 Corinzi 6:2) pensi a Daniele 7:22 (vedere Apocalisse 20:4). Altri passi di riferimento: Daniele 7:18; 2 Timoteo 2:13; Luca 22:29,30. Daniele 7:18,22; Matteo 19:28. Daniele 12:1; Marco 13:19. Daniele 12:2; Matteo 25:46. Daniele 12:3, Matteo 13:43. Daniele 2:44;7:18 erano letti dagli apostoli con valore escatologico. 1 Corinzi 4:8 lo dimostra. Matteo 24:15 richiama Daniele 9:27;11:31. «Possiamo dire, in conclusione, che nessuna delle profezie di Daniele interpretate nel Nuovo Testamento è ricevuta come avendo avuto una applicazione nel passato o nel presente dagli scrittori del Nuovo Testamento. Sono considerate in un quadro cronologico (Matteo 24) e ogni volta sono interpretate escatologicamente... Abbiamo ragione di pensare che il libro di Daniele sia stato letto dagli autori del Nuovo Testamento come un libro le cui profezie s’inscrivono in un quadro cronologico e la cui realizzazione è attesa in un avvenire indeterminato» R. Lehmann, o.c., p. 406. Gli apostoli hanno visto Daniele 9, le 70 settimane, nella prospettiva messianica? L’hanno letta come noi? L’hanno vista come una profezia a carattere cronologico? Possiamo affermare di sì. Gli storici sono unanimi nel riconoscere l’attesa messianica nel primo secolo. Abbiamo delle testimonianze nel Nuovo Testamento: Atti 28:20 (1 Timoteo 1:1); Luca 3:15; Galati 4:4. Gesù stesso era convinto di compiere la profezia: Giovanni 7:6,8; 2:4; 7:30; 17:1. «Molto probabilmente la Chiesa primitiva ha riconosciuto in Gesù il Cristo, cioè l’Unto, perché essa ha visto in lui ciò che Daniele 9 aveva annunciato: l’Unto sarà soppresso. D’altronde una importante dichiarazione di Gesù indica molto bene che avesse in mente Daniele 9 quando dichiara, secondo Matteo 26:28: “Questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che è sparso per molti...”. M. Filippo fa notare che le parole corrispondono perfettamente a quelle della profezia: fare una solida alleanza con molti. (FILIPPO Mauro, The Seventhy weeks and the great tribulation, Boston 1923, p. 81, cit. da D. Ford, o.c., p. 201)» Idem, p. 408.
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Agli apostoli che si erano preoccupati di sapere come e quando Gesù sarebbe ritornato e quando sarebbe finita la triste realtà quotidiana, Gesù sul monte degli Ulivi rispose pronunciando un discorso meraviglioso con il quale considerava la vita della Chiesa e i pericoli che essa avrebbe attraversato.21 È per questo che «l’Apocalisse può essere anche considerata come lo sviluppo del discorso escatologico».22 L’Apocalisse non ha altro scopo che darci fiducia nell’avvenire e la certezza delle cose future. Pur non descrivendoci per filo e per segno quello che avverrà, ci testimonia della certezza che Cristo ritornerà trionfante. Giovanni, nel descrivere la rappresentazione figurata della realtà, fa dell’Apocalisse «più e meglio che una semplice storia raccontata in anticipo... una filosofia della storia»23 e quindi «si dovrebbe riprodurre l’Apocalisse in testa a ogni introduzione della storia universale, poiché il suo oggetto è ciò che fa il senso e il fondo dell’evoluzione dell’umanità».24 «Si può dire che il libro di Daniele è la culla nascosta della filosofia della storia».25 «L’Apocalisse biblica non è stata considerata fino ad ora che come un prologo del Regno di Dio. Oggi che (questo Regno) è diventato tecnicamente possibile e pure probabile, esso sorge davanti a noi in un isolamento totale: nessuno crede più che un regno di Dio vi faccia seguito, neppure il più cristiano dei cristiani».26 «Questi libri (Daniele e Apocalisse) sono stati scritti per coloro che si sono appropriati, tramite la fede, grazie a una intelligenza tutta spirituale, di tutto il resto della parola di Dio. Essi hanno di che scandalizzare coloro che li leggono come profani. Finché siamo in questo mondo di ricchi e di soddisfatti, finché non sospiriamo dal profondo del nostro essere qualcosa di meglio... le apocalissi non sono ancora per noi. Nessun altro che l’Agnello immolato può aprire il libro sigillato dai sette sigilli; nessun altro che colui per il quale il mondo è crocifisso può leggere gli enigmi che contiene. Daniele e Giovanni, quando questi misteri furono loro rivelati dall’alto, si prostrarono con la faccia a terra, tremando e adorando; è da qui che bisogna cominciare per arrivare a comprenderli... Bisogna avere fatto di già l’esperienza con «L’Apocalisse si caratterizza per una assenza totale di citazioni formali dell’Antico Testamento, tuttavia su 404 versetti, 378 contengono un riferimento all’Antico Testamento» Idem, p. 408. Daniele non ispira solamente il linguaggio a Giovanni (Daniele 2:35; Apocalisse 20:11; Daniele 2:29; Apocalisse 1:1; 22:6; 4:1; 1:20), ma anche gli avvenimenti che si devono susseguire. Il capitolo più citato è il 7, con dodici riferimenti. «Numerosi rapporti tra Daniele e l’Apocalisse sono evidenti. Per esempio: l’adorazione dell’immagine d’oro in Daniele 3 e l’immagine della bestia in Apocalisse 13; la visione del Cristo in Daniele 10 e Apocalisse 1; la caduta di Babilonia in Daniele 5 e Apocalisse 14 e 18; Dio viene a liberare i suoi in Daniele 3 e 6 e Apocalisse 14; le bestie di Daniele 7 e Apocalisse 13 e 17; i tempi profetici stabiliti da Daniele 7 li si ritrovano in Apocalisse 11, 12 e 13» Idem, p. 416. 21 Matteo 24; Marco 13, Luca 21. «Il rapporto stretto che esiste tra il discorso profetico che nostro Signore ha pronunciato sul monte degli Ulivi e il libro della profezia apocalittica, deve necessariamente ritenere l’attenzione di ogni persona che studia la Scrittura» ALFORD H., The greck Testament, vol. IV, Prolegomena, 2a ed., London 1862, p. 249; cit. da VAUCHER Alfred Félix, Les Prophéties apocalyptiques et leur interprétation, ed. 1972, p. 37. Per una spiegazione del discorso profetico di Gesù, vedere Appendice n. 15. 22 A.F. Vaucher, idem, p. 37. 23 Idem, p. 38. 24 FOERSTER Fr. Wilhelm, L’Europe et la Question allemande, Paris 1937, p. 5. 25 NICOLAS Michel, Des doctrines religieuses des Juifs, Paris 1860, p. 272, n. 2. Per una visione d’insieme dei vari sistemi di interpretazione dell’Apocalisse, vedere Appendice n. 9. 26 GUNTER Auders, Endzeit und Zeitende, C. II, Beck, Munich; cit. ZURCHER Jean, Servir, III e IV trim., 1973, p. 24.
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Dio... L’intelligenza è riservata a coloro che hanno la fede e la pazienza... Sono come le parabole degli enigmi santi, destinati a risvegliare l’attenzione: esse aprono l’entrata dei misteri celesti a colui che è attento e che vuole istruirsi, li chiudono a colui il cui cuore è indurito e i cui occhi sono appesantiti».27 Al centro di questi due libri, uno dell’Antico Testamento e l’altro del Nuovo, c’è la persona di Cristo Gesù. Daniele lo presenta come colui che è accanto ai suoi amici nella fornace di fuoco,28 lo vede come colui che viene incoronato per ricevere il Regno.29 È il principe, capo, nei confronti del quale l’opposizione del Pontifex Maximus esercita tutto il suo potere per distruggere, agli occhi degli uomini, la sua opera nel cielo e la sua influenza sulla terra,30 ne annuncia il tempo e l’opera che avrebbe compiuto sulla terra31 ed è ancora lui che il profeta vede intervenire alla fine della storia per liberare i credenti dalla tragedia finale che precede la resurrezione.32 Giovanni presenta il Signore come colui che gli rivela quanto scrive e che vede venire nella sua potenza e gloria.33 È ancora lui che vede camminare nella storia per sostenere i fedeli della sua Chiesa nelle loro tribolazioni.34 È lui, come Agnello di Dio, che vede dischiudere il mistero della storia.35 È ancora lui che nel cielo è lodato dagli esseri celesti.36 È il figlio maschio nato su questa terra e rapito in cielo e che presenta anche in procinto di venire per raccogliere i frutti dell’angoscia e l’agonia della sua carne.37 È colui che viene per vincere le potenze coalizzate contro l’Altissimo.38 È la luce che illumina la terra restaurata.39 È il tutto che porta a compimento ogni cosa, la vittoria della verità sulla menzogna e sull’odio, della vita sulla morte.40 Colui che Daniele presenta come il Figlio dell’uomo, il gran capo, l’unto, colui che viene soppresso e che chiama Micael; anche Giovanni lo descrive come il Figlio dell’uomo, come Michele, lo vede come Re dei re e Signore dei signori e lo presenta come colui che è stato l’Agnello immolato e ha vinto: è il leone della tribù di Giuda.41 I libri di Daniele e dell’Apocalisse fanno risplendere, con una luce ancora più intensa, quanto avevano annunciato gli altri profeti. Purtroppo questi due scritti nei decenni di questo secolo non hanno avuto negli studi teologici quella rilevanza che avrebbero meritato. La conseguenza riteniamo sia
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K. Auberlen, o.c., pp. 95, 96, 109. Daniele 3:25. Daniele 7:13,14. Vedere il nostro Capitolo XIII. Daniele 8:11. Vedere il nostro Capitolo XI. Daniele 9:25,26. Vedere il nostro Capitolo II. Daniele 12:1. Apocalisse 1:1,9; 19:11 e seg. Apocalisse 1:12-20. Vedere Appendice n. 11. Apocalisse 5:7,8. Vedere Appendice n. 11. Apocalisse 5:7 e seg. Idem. Apocalisse 12:1-6. Vedere il nostro Capitolo VIII. Apocalisse 19:11 e seg. Apocalisse 21:23. Apocalisse 1:18. Daniele 7:13; 8:11; 9:25,26; 12:1. Apocalisse 1:13; 12:7; 19:16; 5:6,5. Quando la profezia diventa storia
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stata devastante. C’è da chiedersi se il disorientamento religioso di fine secondo millennio non ne sia la conseguenza. Edmond Jacob, qualificato teologo dell’Antico Testamento, ha fatto notare che «la teologia della parola (messa in risalto da K. Barth), e la teologia dell’esistenza (nel pensiero di Bultmann), non hanno saputo cosa farsene dell’apocalittica, se non relegarla nel dominio della storia delle religioni o in quella dell’eresia». Inoltre «la “teologia della morte di Dio” è in parte stata provocata dal bisogno di sbarazzare il pensiero della mitologia apocalittica». Così facendo, queste teologie hanno rinunciato a ciò che può arricchire e rendere evidente, per l’uomo del XX secolo, che la Parola di Dio, la rivelazione si fa storia e dà senso all’esistenza. In contrapposizione a questo atteggiamento teologico E. Jacob si domanda: «Ci si deve chiedere seriamente se si può parlare oggi di Dio al di fuori dell’apocalittica in quanto essa è, secondo l’espressione di Käsemann, “la madre di tutta la teologia cristiana”».42 Il celebre Isacco Newton scriveva: «Rigettare (le profezie di Daniele) è rigettare la religione cristiana».43 «Durante più di duemila anni, l’influenza di Daniele sulle opere degli storici è stata evidente. È probabile che si farà nuovamente sentire, in un prossimo futuro, in relazione con l’escatologia» scrive W. Moeller.44 L’evangelista americano Mark Finley diceva: «La predicazione delle impressionanti profezie di Daniele e dell’Apocalisse hanno condotto migliaia di persone ad accettare il messaggio di Dio per il nostro tempo. Queste ampie profezie permettono una migliore comprensione del passato, danno un nuovo significato alla storia e contemporaneamente illuminano l’avvenire. Danno alla fede una base solida, fondando la fiducia nelle Sacre Scritture e mostrando la necessità di un pentimento e una conversione autentica in vista del prossimo ritorno di Cristo». Il teologo André Lacocque con ragione ha osservato: «Uno degli apporti più importanti del libro di Daniele è la sua nuova insistenza sul legame della fede con l’intelligenza».45 E. White scriveva nel secolo scorso che quando si comprenderà il contenuto di questi due libri apocalittici un grande risveglio, una esperienza religiosa totalmente diversa animerà la vita dei credenti e una riforma avverrà nella Chiesa. Con il desiderio che questo augurio si possa realizzare, invitiamo il lettore a pregare prima di iniziare la lettura di questi due importanti libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.
42 JACOB Edmond, Aux sources bibliques de l’apocalyptique, in Apocalypses et théologie de l’espérance..., Paris 1979, p. 48. 43 NEWTON Isaac, Opera V, London 1785, p. 312. 44 MOELLER W., Grundriss für Alttest. Einleitung, Berlin 1958, p.341. 45 LACOCQUE André, Le livre de Daniel, Paris 1976, p. 141.
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Capitolo I VISIONE GENERALE DELLA STORIA «Questa statua (del profeta Daniele)... è l’ A B C D della scienza... è la chiave della profezia» Louis Gaussen.1
«Si può dire che il libro di Daniele ... sia la culla nascosta della filosofia della storia» Michel Nicolas.2
«Daniele profetizzava per il suo tempo, e più precisamente per il nostro tempo. Ed ecco perché la profezia (come tutte le profezie escatologiche) è oggi di una attualità evidente» André Lamorte.3
Introduzione Alla fine del VII secolo a.C.4 il monarca babilonese Nebucadnetsar ebbe un sogno che lo turbò profondamente. La mattina seguente chiamò i suoi principali sapienti affinché gli dessero la spiegazione di quanto aveva visto durante il sonno. Il re non rivelò loro il sogno, forse perché lo aveva dimenticato5 o forse perché temeva che la 1
GAUSSEN Louis, Daniel le Prophète, t. III, Paris 1849, pp. 361.
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NICOLAS Michel, Des Doctrines religieuses des Juifs, Paris 1860, p. 272, n. 2. Vedere KARTEN Ernest William, Daniel’s philosophy of History, Bracknell, Berkshire 1967, 127 p. dattiloscritto. «Daniele presenta una filosofia veramente profetica della storia senza nessun legame con le tradizioni fantasiose della cosmogonia e dell’escatologia» ALLO Ernest Bernard, L’Apocalypse, 2a ed., Paris 1921, p. XXV; 4a ed., p. XXVII. 3
LAMORTE André, Le Problème du Temps dans la Prophétie biblique, Paris 1960, p. 131.
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Daniele dice che ciò che presenta avvenne nel secondo anno di regno di Nebucadnetsar. Se Daniele ha contato gli anni dalla morte del padre Nebopolassar, il primo anno di Nebucadnetsar va dall’estate del 604 e il secondo anno dall’estate del 603. Se ha adottato il calcolo babilonese, il secondo anno comincia nella primavera del 603. Quanto descrive è avvenuto alla fine del 603 o all’inizio del 602. (Vedere L. Gaussen, o.c., t. I, 2a ed., p. 66).
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«Il re ha dimenticato il sogno perché ne è stato profondamente scosso. In altre parole, il re ha compreso il messaggio degli dèi, ma questa rivelazione lo ha così talmente spaventato che fugge nella dimenticanza, rifiutando di far fronte alla realtà che sente in forma minacciosa. Questa spiegazione d’ordine psicologico è confermata più avanti anche da Daniele stesso che precisa che questo sogno è stato dato allo scopo di permettere a Nebucadnetsar di meglio conoscersi: “Affinché tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore” 2:20. A questa spiegazione se ne aggiunge un’altra di ordine soprannaturale. Sarebbe Dio all’origine di questa amnesia. Il fatto di non ricordarsi di un sogno era in sé, per i babilonesi, un segno che esso proveniva dagli dèi: “Se un uomo non si ricorda il sogno che ha avuto, ciò significa che il suo dio è in collera con lui” OPPENHEIM Leo, Le rêve, son interprétation dans le Proche Orient ancien, Paris 1959. Questo aspetto della rivelazione è sottolineato a due riprese dai Caldei: “Non c’è nessuno sulla terra che possa dirlo” versetti 10,11, e riconoscono: “Eccetto gli dèi la cui dimora non è fra i mortali” versetto 11. Ciò significa che solo una rivelazione dall’alto permetterà di far conoscere questo sogno. Daniele stesso fa notare al re: “Ciò che il re domanda è un segreto che i saggi, i maghi e gli indovini non sono in grado di far conoscere al re. Ma c’è nel cielo un Dio che rivela i segreti...” versetti 27,28. In effetti questa dimenticanza doveva fornire al re e a tutti gli altri la prova stessa che il suo sogno era veramente una rivelazione dall’alto, e non qualcosa di soggettivo. Il suo sogno è certamente un messaggio degli dèi, poiché nessun altro che lui ne ha avuto conoscenza. Da quel momento la dimenticanza del re verrà utilizzata come un criterio oggettivo, un test che gli permetta di giudicare la qualità dei candidati alla interpretazione: “Ditemi il sogno e io saprò se siete capaci di darmi la spiegazione” versetto 9» DOUKHAN Jacques, Le Soupir de la Terre, ed. Vie & Santé, Dammarie-les-Lys, 1993, pp. 36,37.
spiegazione che gli avrebbero data sarebbe stata il frutto di un accordo dei suoi cortigiani piuttosto che una vera interpretazione oggettiva. Al rifiuto del re di svelare il sogno, i sapienti riconobbero la loro incapacità e gli risposero: «Non c’è uomo sulla terra che possa far conoscere quello che il re comanda; così come non c’è mai stato re, per grande e potente che fosse, il quale abbia domandato una cosa siffatta a un mago, a un astrologo, o a un Caldeo. La cosa che il re domanda è ardua; e non v’è alcuno che la possa far conoscere al re, tranne gli dèi, la cui dimora non è fra i mortali».6 Nebucadnetsar reagì ordinando di sterminare i savi. Quando Daniele seppe di questo verdetto, andò «dal re, e gli chiese di dargli tempo; avrebbe fatto conoscere al re l’interpretazione del sogno».7 Questo uomo di Dio si riunì con i suoi amici, assieme pregarono il Signore e durante la notte «il segreto fu rivelato a Daniele in una visione».8 Quando l’indomani mattina il giovane ebreo venne introdotto alla presenza del re, gli disse: «Il segreto che il re domanda né savi, né incantatori, né magi, né astrologi possono svelarlo al re; ma v’è nel cielo un Dio che rivela i segreti, ed Egli ha fatto conoscere al re Nebucadnetsar quello che avverrà negli ultimi giorni».9 L’atteggiamento di Daniele è sobrio, egli cerca di allontanare la condanna dagli altri sapienti e, come ogni profeta di Dio, si adopera per far comprendere al sovrano che esiste un Dio la cui sapienza è superiore a quella di qualsiasi altra divinità. Tramite questo sogno e le sue conseguenze assistiamo alla prova di forza tra l’astrologia, la divinazione di ogni tempo,10 e la profezia biblica o israelitica.11 6 7
Daniele 2:10,11. Daniele 2:16.
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Daniele 2.18,19. È la storia di Giuseppe che si ripete (Genesi 40-41). Già in passato Dio aveva dato delle visioni notturne ai suoi profeti. Confr.: Genesi 30:3; 37:5-11; Numeri 12:6; 1 Samuele 28:6. 9 10
Daniele 2:27,28.
«L’astrologia si basa su un errore fondamentale: il determinismo o la negazione della libertà morale dell’uomo. La profezia per contro è “un fenomeno unico” nel suo genere e non può per nulla essere comparato alla mantica pagana. Tutti i popoli hanno avuto degli oracoli o dei preveggenti; Israele solo ha avuto dei profeti. Ci sono, tra la divinazione e la profezia, due diversi principi. Ecco il primo: a) la divinazione si riferisce unicamente al momento presente; la profezia si lancia alla fine della storia, fino alla “fine dei giorni”, secondo l’espressione impiegata dai profeti ebrei. Ogni profeta israelita, con la norma della legge in mano, apprezza e giudica il presente alla luce della fine, cioè della perfetta ed eterna realizzazione della legge e con questa pure presenta la fine sotto l’angolo particolare che conviene al momento presente. Ecco il luogo morale, il pensiero comune, che fa di tutti i profeti un solo fascio. Gli oracoli pagani non sono che una serie di dichiarazioni isolate le une dalle altre; essi sembrano le parole che si seguono senza relazione logica nelle colonne di un vocabolario. I profeti israeliti convergono tutti verso un termine unico, il trionfo della santa volontà di Yahvé, incatenandosi e completandosi come i termini di una stessa proposizione. Da questa prima differenza ne risulta una seconda. b) Gli oracoli pagani non sono tratti che dalle circostanze della vita privata o nazionale. La profezia israelita rivela, dalla sua prima parola, una portata umanitaria» GODET Frédéric, Études Bibliques, t. I, 4a ed., Paris 1889, pp. 149,150. Riteniamo opportuno riportare le riflessioni del pastore R. Rizzo sulla figura biblica del profeta che non è in Israele una persona super dotata. «È uno che parla, che dà un messaggio non suo, (ma) da parte di Dio. Il profeta ha come ultimo obiettivo la salvezza dell’intera umanità... Ma il suo fine immediato è la soluzione della crisi del singolo figlio di Dio che ha smarrito la strada (2 Samuele 12:1-7), o del gruppo umano... Il profeta è presente sempre per impedire la catastrofe (Giona). Il profeta autentico è l’espressione visibile della sollecitudine di Dio, della sua passione nei confronti dell’uomo; il profeta è lo spartiacque che separa nettamente il mondo falso degli dèi e del dio dei
filosofi, dall’unico Dio che non è né motore immobile, né potenza impassibile, ma padre sofferente e implicato nella tragedia umana. Le divinità mitologiche sono egocentriche ed egoiste; gli uomini sono servi, al limite gocce la cui massima aspirazione è quella di annullarsi nella divinità. I profeti invece dimostrano che l’uomo è “l’eterna premura di Dio”, non solo “la sua immagine”. Gli studiosi delle religioni comparate, spesso, sulla base di superficiali analogie, hanno collocato il profetismo biblico tra i generali fenomeni di comunicazione con la divinità che nulla ha in comune con esso». È Dio che chiama l’uomo ad essere un suo profeta. «Nessuno profeta ha voluto, ha cercato e neppure ha accettato con entusiasmo il dono profetico. Mosè non ha nessuna voglia di lasciare le sue pecore... Geremia si lamenta con il Signore di aver scelto (lui) un fanciullo (Geremia 1:6)», e dice che Dio lo ha sedotto ed egli si è lasciato sedurre...; «Giona fugge lontano... L’esercizio profetico non presuppone né l’esercizio né il graduale sviluppo di un talento»; esso dipende esclusivamente da un atto di scelta di Dio. «Per i profeti, il cielo, le stelle e il creato non hanno messaggi per la vita e per la storia, e le saggezze che ve ne scorgono sono false: “Non imitate la condotta delle genti, non abbiate paura dei segni del cielo, anche se le genti hanno paura di essi, poiché le consuetudini dei popoli sono false” Geremia 10:2. Le rivelazioni non provengono dai talenti naturali e particolari del profeta... è Dio che prende l’iniziativa di rivelare nella sua libertà». Non si diventa profeti a seguito di un corso di formazione, non è il risultato di uno studio fatto con efficacia. «Il profeta biblico non apporta ai suoi contemporanei mai nulla di totalmente nuovo ma solo ricordo e sviluppo di quanto Iddio aveva nel suo amore già precedentemente dato. I messaggi dei profeti mai provengono dal basso ma dall’alto; a differenza del “profetismo” universale, l’oggetto del messaggio e il suo beneficiario è sempre e soltanto l’uomo, ... mai messaggio è a beneficio di Dio o costituisce un metodo per addolcire, placare il capriccio o l’imprevedibilità di Dio, ogni messaggio esprime la sollecitudine di Dio per l’uomo... I maghi, gli indovini, gli sciamani..., in genere traggono vantaggi dalla loro vocazione; forniscono delle prestazioni; la loro vita non si identifica necessariamente con le loro “profezie”. Il profeta biblico vive nella profezia, della profezia e per la profezia. L’identificazione è totale; totale è l’accettazione dell’etica divina ma soprattutto del suo amore che sfocia nel sacrificio dell’esistenza; Mosè, Geremia, Osea, Ezechiele... vivono nella loro carne le sofferenze dovute al peccato del loro popolo come gli altri, ma in più sono lacerati dalla visione della salvezza a portata di mano, rifiutata e schernita. ... Il profeta di fronte ai problemi non ha pozioni da offrire, tecniche con le quali volgere a proprio vantaggio le forze della natura o la divinità… Egli non parla a Dio perché il popolo lo ha chiamato ma al popolo perché Dio lo ha chiamato... I miracoli sono compiuti dai profeti, ma sono solo dei segni non la soluzione dei problemi che invece è sempre affidata al rinnovamento del cuore (Ezechiele 36:26-28). “I profeti non avevano né teorie né idee su Dio. Ciò che avevano era una comprensione. La loro comprensione di Dio non era il risultato di uno studio teorico, di un andare a tentoni tra le alternative sull’esistenza e gli attributi di Dio. Per i profeti, Dio era reale in maniera travolgente e la sua presenza era schiacciante... Vissero come testimoni colpiti dalle parole di Dio, più che come investigatori impegnati ad accertare la natura di Dio; i loro discorsi costituivano una liberazione da un peso più che barlumi percepiti nelle nebbie dell’incertezza. Per i profeti gli attributi di Dio erano impulsi, sfide, comandamenti, piuttosto che nozioni fuori dal tempo, staccate dal suo essere. Essi svelavano atteggiamenti di Dio più che idee su Dio. Per i profeti la conoscenza di Dio era comunione con lui, raggiunta non mediante sillogismi, analisi, intuizioni, ma col vivere assieme...” Heschel» RIZZO Rolando, Il veicolo della speranza, in AA.VV., Siamo pieni di Speranza, ed. AdV, Falciani 1992, pp. 31-38. Tutto ciò ci permette di capire perché quando Nebucadnetsar, secondo la logica del tempo, chiede a Daniele: «Sei tu capace di farmi conoscere il sogno?», cioè hai imparato, hai studiano, sei stato formato a conoscere, interpretare i misteri della divinazione? Il profeta risponde: «Il segreto (cioè il sogno), né magi, né incantatori, né astrologi possono svelarlo... Dio che rivela i segreti lo ha fatto conoscere» Daniele 2:26-28. 11
Nel momento in cui Nebucadnetsar strappa lo scettro dalle mani dell’ultimo re di Giuda, questo scettro che dimorerà in potere dei pagani fino alla parusia (Ezechiele 21:32), Dio gli accorda un sogno profetico. Un concorso provvidenziale di circostanze mette in presenza i saggi di Babilonia (divinatori, incantatori, maghi, astrologhi, vedere Daniele 2:2), da una parte, e i rappresentanti del profetismo israelitico, Daniele, dall’altra. L’astrologia aveva preso un immenso sviluppo in Caldea, tanto che Caldeo era diventato sinonimo di astrologo. L’arte degli oroscopi era stata costituita a sistema, riportata a delle regole d’interpretazione che erano credute scientifiche. «La tendenza eminentemente speculativa di questo popolo si era appropriata di questa superstizione popolare e puerile, per riunirla a un’alta dottrina filosofica sulle leggi eterne del mondo e la intima solidarietà di tutti i fenomeni naturali da una parte, dell’uomo e della natura dall’altra» LENORMANT François, La divination et la science des présages chez les Chaldéens, p. 114. Vedere CONTENAU George, La divination chez les Assyriens et les Babyloniens, Paris 1940. Se c’è una curiosità malsana, colpevole, c’è anche un legittimo desiderio di sapere (Deuteronomio 29:29). La stessa Parola ispirata, che mette in guardia contro il pericolo dell’astrologia, ci invita a non disprezzare la profezia (1 Tessalonicesi 5:20). La penna dell’apostolo Pietro (2 Pietro 1:19) ci raccomanda la parola certa della profezia, questa lampada brillante in mezzo all’oscurità, in attesa che si alzi la stella del mattino. In Israele, popolo privilegiato, il profetismo, questo fenomeno unico nel suo genere, aveva preso una dimensione straordinaria, Isaia (41:21-29) aveva lanciato una sfida ai falsi dèi, incapaci di produrre una predizione qualunque da essere messa accanto alle predizioni dei testi sacri d’Israele. Con Daniele appare la profezia apocalittica, la forma più completa della profezia biblica. Essa giunge al massimo dell’altezza, nel momento psicologico in cui la sua necessità
Babilonia aveva vinto Gerusalemme, dimostrando in tal modo la sua superiorità militare. Nebucadnetsar, non avendo potuto portare con sé la statua di Yahvè, perché il Dio d’Israele non è mai stato raffigurato da una scultura, prese gli arredi sacri del tempio, il che poteva essere ugualmente considerato come la sconfitta del Dio d’Israele. Ma questa vittoria di Babilonia non doveva per nulla far pensare che le divinità della Mesopotamia fossero superiori a quella di Gerusalemme. Era stato Yahvè ad abbandonare nelle mani di Nebucadnetsar la capitale di Giuda a causa dei suoi peccati e del suo allontanamento da Lui.12 Infatti il profeta Geremia questa distruzione l’aveva già annunciata varie volte.13 La sconfitta di Gerusalemme non significava che Yahvè era stato vinto. La superiorità babilonese non era una superiorità morale e religiosa. I saggi babilonesi avevano una sapienza di carattere orizzontale, frutto delle proprie speculazioni e non di carattere trascendentale. I loro idoli non vedevano e non parlavano, in realtà essi non erano in grado di offrire nulla. In Babilonia Israele poteva quindi ripetere: «... l’Eterno è più grande di tutti gli dèi».14 È quanto lo stesso imperatore Nebucadnetsar riconoscerà a seguito della spiegazione del sogno. «Il re parlò a Daniele e disse: “In verità il vostro Dio è l’Iddio degli dèi, il Signore dei re”».15 L’Eterno non ha potuto proteggere il suo popolo a causa della sua ribellione e, sebbene si trovasse sulle rive dell’Eufrate, non lo ha comunque ripudiato, continuava ad amarlo di un amore eterno.16 Con questo sogno Yahvè volle dare anche a Israele, in terra di esilio, la dimostrazione che non era abbandonato. La visione con la quale l’Eterno ha innalzato Daniele onorava anche il popolo dell’Alleanza. Daniele, dopo aver testimoniato davanti al re della reale esistenza dell’Eterno, disse:
si faceva sentire. Sulla differenza tra la profezia biblica e la mantica pagana, vedere STOWE Calvin Ellis, Origin and History of the Books of the Bible, Hartf., 1867, pp. 509-540. SCHITH Jan Ridderman, Tractatus de differentia inter vaticinia sacrae scripturae et oracula gentilem, Hafn., 1776. 12
Daniele 1:1.
13
Geremia 17:27; 25:11. Anche al profeta Ezechiele Dio aveva fatto questa rivelazione, mediante delle visioni, prima che si realizzassero. In 1:4-28 il profeta descrive la visione chiamata del “carro”, simbolo dell’immagine della gloria dell’Eterno e rappresentazione figurata del suo trono. Nei capitoli successivi questo carro si alza al di sopra del luogo santissimo del tempio dove era stato fissato per trasportarsi prima all’ingresso del tempio (9:3), poi all’entrata del cortile esterno (10:19); dopo di che lascia completamente il tempio per trasferirsi sul Monte degli Ulivi, a Oriente di Gerusalemme (11:23). Tutto ciò vuole significare che l’Eterno, a causa dell’infedeltà d’Israele, abbandona il santuario, segno della dimora visibile della Sua presenza (Salmo 132:8, 14), alla distruzione. Dio, abbandonando il Suo domicilio nel santuario, va a cercarne un altro. Ritirandosi da Gerusalemme, lascia Giuda in balia dei suoi nemici. Però anche nella punizione d’Israele, Dio vuole essere con il Suo popolo e tramite Ezechiele fa sapere che: «Io sarò là (in Babilonia) il vostro santuario» 11:16. Là nell’esilio le rivelazioni speciali accordate ad Israele incominciano a cedere il posto a quelle universali che riguardano il mondo intero. Nebucadnetsar e i Babilonesi, Ciro e i Persiani, sono chiamati a contemplare il braccio dell’Eterno. Nel santuario i cherubini avevano un’unica faccia con lo sguardo verso l’arca a rappresentazione della rivelazione al solo popolo d’Israele, ora Ezechiele li vede con quattro facce volte verso i quattro punti cardinali, simboleggiando così che la rivelazione di Dio si estende al mondo intero. Vedere La Bible Annotée, Ancien Testament, t. II, Les Prophètes - Daniel, Paris, p. 11 e seg.
14 15 16
Esodo 18:11 Daniele 2:47. Geremia 31:3.
«Ecco quali erano il tuo sogno e le visioni della tua mente quando eri a letto. I tuoi pensieri o re... si riferivano a quello che deve avvenire da ora innanzi; e colui che rivela i segreti t’ha fatto conoscere quello che avverrà. E quanto a me, questo segreto m’è stato rivelato, non per una sapienza che io possiedo superiore a quella di tutti gli altri viventi, ma perché l’interpretazione ne sia data al re e tu possa conoscere quello che preoccupava il tuo cuore».17 Daniele ricorda al re il perché del suo sogno: egli era preoccupato e desideroso di apprendere che cosa il futuro avesse riservato al suo impero e alla sua città della quale dirà: «Niente mi è stato troppo prezioso per la mia cara Babilonia». «Per lo stupore degli uomini, io ho costruito questa casa. Così ho reso inespugnabili le difese di Babilonia. Possa essa durare per sempre».18 Per tre volte il giovane ebreo ricorda al re che il sogno che ha fatto avrà la sua realizzazione storica attraverso il tempo perché presenta la storia da quel momento fino ai tempi della fine.19 Con questa visione Dio si propone di svelare a tutti coloro che accettano la sua rivelazione due cose: la prima è che i credenti, coloro che Lo riconoscono come Dio, sono una benedizione per l’umanità intera. Essendo il “sale della terra” e la “luce del mondo”, saranno essi a rivelare agli uomini il giusto senso e significato della storia20; e la seconda è di dare, a quanti abbiano confidato in Lui, la certezza che la realizzazione della Sua Parola è sicura. Questa pagina biblica che noi consideriamo non vuole essere una sentenza divina contro gli sforzi degli uomini per realizzare una società umana giusta. Il messaggio evangelico è un messaggio d’amore che vuole l’unione tra gli uomini; se l’umanità non la realizza, non può attribuire il fallimento alla profezia divina, che annunzia in anticipo la realtà delle cose, ma alla deficienza della volontà dell’uomo che la esercita e la sviluppa senza Dio e contro Dio.
Visione generale della storia rappresentata in una statua tetrametallica «Tu, o re, guardavi, ed ecco una grande statua; questa statua, che era immensa e d’uno splendore straordinario, si 17 18 19 20
Daniele 2:28-30. È quanto si trova scritto su due tavolette di Babilonia. Confr.: Daniele 4:30. Daniele 2:28,29,45.
È da notare che con la seconda parte del versetto 4, del capitolo 2, fino alla fine del capitolo 7, la lingua che Daniele utilizza è quella aramaica, cioè quella del popolo pagano, volendo così indicare ai credenti e a coloro che non lo sono, quale sarebbe stato il destino delle potenze terrestri, mentre il resto del libro, scritto in ebraico, lingua del popolo di Dio, vuole indicare agli eletti cosa avrebbero incontrato e subìto nella storia e quale sarebbe stato il loro destino.
ergeva dinanzi a te, e il suo aspetto era terribile. La testa di questa statua era d’oro fino; il suo petto e le sue braccia erano d’argento; il suo ventre e le sue cosce di rame; le sue gambe, di ferro; i suoi piedi, in parte di ferro e in parte di argilla. Tu stavi guardando, quand’ecco una pietra si staccò, senz’opera di mano, e colpì i piedi di ferro e d’argilla della statua, e li frantumò. Allora il ferro, l’argilla, il rame, l’argento e l’oro furono frantumati insieme e diventarono come la pula sulle aie d’estate; il vento li portò via, e non se ne trovò più traccia; ma la pietra che aveva colpito la statua diventò un gran monte che riempì tutta la terra».21 «A dire il vero, il linguaggio della visione è di per sé sufficientemente esplicito per il re, ed è molto probabile che gli astrologi avrebbero potuto decifrarlo. Nell’antico mondo del Medio Oriente l’immagine di una statua d’uomo è in effetti sovente utilizzata per rappresentare il destino del mondo. Questa metafora era particolarmente familiare agli astrologi egiziani».22 Inoltre il numero quattro, in una forma esplicita, simboleggiava la dimensione terrestre.23 A questo punto è relativamente facile comprendere il sogno e indovinare che qui si contrappongono due ordini diversi. L’ordine terrestre dei metalli contenuto nei versetti da 31 a 33, in trentasette parole, e l’ordine della pietra contenuto nei versetti 34 e 35, in quarantasette parole. Il solo mistero da capire è nascosto nel significato di ogni metallo e soprattutto nella pietra la cui importanza è tale che lo spazio ad essa riservato supera quello coperto dall’insieme di tutti i metalli».24 «Questa statua... è l’ABCD della scienza; e se è indicata qui per prima, è perché essa è “la chiave delle profezie”, ed ogni interpretazione, sobriamente fatta, vi si deve conformare».25 Il fatto che la statua rivesta la forma umana è particolarmente appropriato perché essa vuole proprio raffigurare la storia dell’umanità. «La statua tutta intera rappresenta la potenza del mondo che è considerata dal punto di vista della sua opposizione al regno di Dio e come una nelle differenti fasi del suo sviluppo».26 21 22
Daniele 2:31-35. FESTUGIERE Y., La Révélation d’Hermès Tridmégiste, t. I, Paris 1950, pp. 92,93.
23
Daniele 7:2; 11:4; Ezechiele 37:9; Apocalisse 7:1; 2:8. Vedere gli oracoli persiani e babilonesi in, a cura di I.B. PRITCHARD, Ancient Near Eastern Texts, ANET, Princeton 1955, pp. 606, 607; confr. DUCHESNE GUILLEMIN, La religion de l’Iran Ancien, Paris 1962, p. 212. Il poeta greco Esiodo del VII secolo a.C., Le Opere e i Giorni, versi 106-180; e il poeta latino Ovidio, tra il I secolo a.C. e d.C., Metafore I, 89-414, parlano di una statua simile. 24 25 26
J. Doukhan, o.c., p. 41. L. Gaussen, o.c., t. III, p. 361.
La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 254. CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. V, Daniel, Paris 1900, nota. Questa unicità è espressa anche da Giovanni in Apocalisse 13 pp. quando presenta la bestia a 7 teste e 10 corna che riassume le quattro bestie di Daniele che presenta al capitolo 7.
La «statua era immensa di uno splendore straordinario... e il suo aspetto era terribile».27 «È evidente che la civiltà umana per il suo splendore, per la sua potenza, per le sue conquiste, per le sue ricchezze e la sua gloria può al primo colpo produrre un effetto maestoso e imponente... I metalli preziosi e brillanti che la compongono contribuiscono a produrre questo effetto. Essi illustrano la ricchezza e la gloria dei regni di questa terra, come li vede Nebucadnetsar».28 È anche quanto appare quando si vede un servizio fotografico di paesi di antiche civiltà. Palazzi, templi con architetture stupende e ricchezze incalcolabili; alberghi con ogni comfort. L’altra realtà: il popolo nella miseria, che vive in capanne, in tuguri, nella fame e nelle malattie. Sebbene la statua sia d’uno splendore straordinario, a causa delle nostre conquiste scientifiche, tecniche, astronomiche, spaziali e del progresso che gli uomini di ogni tempo non hanno mai smesso di ammirare, Dio, che vede le cose dall’alto, rivela tutta la realtà della nostra storia presentandola con l’aspetto “terribile”. Terribile perché essa sembra che non abbia altro da raccontare che guerre e conquiste di vario genere messe al servizio dell’oppressione dell’uomo. Sarebbe bene che «questo scandalo finisse presto».29 «I metalli della statua sono discendenti nella loro preziosità, ma ascendenti nella durezza dalla testa d’oro fino alle gambe e ai piedi di ferro. Qui appare l’argilla, mescolata o, piuttosto, posta accanto al ferro. Questo potente colosso, sebbene in apparenza passi da forte a più forte, riposa dunque su una base d’argilla».30 L’attività degli stati potenti, attivi, terribili, non è rappresentata da un essere vivente, ma da uno che è statico, senza vita, immobile, umano solamente in apparenza. Le civiltà si sono sempre inorgoglite, gli uomini hanno sempre sostenuto le proprie candidature, i propri sistemi. Qui viene rappresentato l’idolo dell’uomo; idolo al quale l’uomo ha sempre offerto in sacrificio la propria vita, i propri affetti, talenti, ambizioni ed aspirazioni. Nebucadnetsar era preoccupato della sua gloria, noi siamo preoccupati del come mantenere i nostri poveri agi che ci abbagliano... ecco la statua. Prima di considerare la spiegazione che ne dà Daniele e la sua realizzazione storica vogliamo precisare che la profezia biblica «è unicamente la storia delle nazioni che hanno avuto a che fare con il popolo di Dio».31 «Ci sono stati nella storia molti altri imperi che non sono menzionati da Daniele. La profezia si occupa unicamente di quelli che hanno un rapporto diretto con Israele e la Palestina».32 27 28 29 30 31 32
Daniele 2:31. PACHE René, Notes sur le prophète Daniel, 1946, pp. 48,58. MORANTE Elsa, La storia, romanzo, Einaudi, 2a ed., Torino 1974. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 254 L. Gaussen, o.c., t. I, 2a ed., Paris 1850, p. 99. R. Pache, o.c., pp. 56,57.
Come la luce della regia segue sul palco il protagonista principale, lasciando nella penombra gli altri personaggi e gli arredi della scena, così la profezia biblica illumina il cammino del popolo di Dio coinvolgendo nella sua luce anche quei popoli la cui storia s’intreccia con quella della Chiesa. Se per Nebucadnetsar la realizzazione di questo sogno misterioso era una questione di fede, per noi oggi è semplicemente una questione di storia. Questa statua traccia la storia universale come ci può essere rappresentata a grandi linee da un atlante storico.
Primo impero universale: testa d’oro - Babilonia «Tu, o re, sei il re dei re, al quale l’Iddio del cielo ha dato l’impero, la potenza, la forza e la gloria; e dovunque dimorano i figli degli uomini, le bestie della campagna e gli uccelli del cielo, egli te li ha dati nelle mani, e t’ha fatto dominare sopra essi tutti. La testa d’oro sei tu».33 Daniele non adula il monarca, ma si rivolge a lui nella forma prevista dal cerimoniale di corte. È inutile dire che Nebucadnetsar non costituiva lui solo la testa d’oro, ma che essa indicava il suo regno, che sarebbe continuato ancora dopo di lui. Nella spiegazione che segue Daniele precisa: «Dopo di te sorgerà un altro “regno”» e non un altro re.34 «Daniele personifica in questo re tutta la monarchia babilonese».35 Teodoreto, vescovo di Cirene, vissuto nel V secolo, seguiva l’insegnamento tradizionale precisando che la testa d’oro non era solamente Nebucadnetsar, ma tutto il regno Babilonese.36 Del resto, «in tutta la visione, non sono dei re, ma dei regni che vengono presentati. Ma Nebucadnetsar personifica qui tutto l’impero caldeobabilonese che non perì con lui, ma sussistette fino alla conquista di Ciro».37 L’oro era il metallo favorito in Babilonia. Lo storico Erodoto che visitò la città novanta anni dopo, era pieno di meraviglia nel constatare la quantità di questo metallo utilizzato nella costruzione dei templi, dei palazzi, delle mura e degli oggetti.38 L’oro 33
Daniele 2:37,38.
34
«Questa parole “la testa d’oro sei tu”, si applicano non al re, ma al suo regno. Non è detto, “Dopo di te sorgerà un altro re”, bensì un altro regno» BRISSET Jean Pierre, Les Prophéties accomplies, Paris 1906, p. 12.
35
Abate FABRE d’ENVIEU Jules, Le livre du prophète Daniel, t. II, Paris 1890, p. 163. Secondo il sistema BUNSEN C.K.J. p. 644, Ninive sarebbe la prima monarchia, Babilonia la seconda. Il testo biblico si oppone formalmente a una simile teoria. Inutile dire che Nebucadnetsar non costituiva lui solo la testa d’oro della statua, come hanno visto F. HITZIG, pp. 33-36, e H. SCHULTZ, pp. 804,805 che identificano la seconda monarchia con Belsatsar. Per il titolo delle opere vedere la Bibliografia. 36
Teodoreto, MIGNE, P.G., LXXXI col. 1303-1310; per il testo completo vedere Appendice n. 2, p. 1020. Vedere ELLIOTT Edward Bishop, Horae Apocalypticae, or Commentary on the Apocalypse, t. IV, 5a ed., London 1862, p. 239.
37 38
TROCHON Charles, Daniel, Paris 1882, pp. 107,108. Erodoto I, 181, 183.
era l’espressione simbolica dello splendore e della gloria di Babilonia. Daniele identifica la testa d’oro con il regno di Babilonia, ma già prima di lui Isaia, nell’VIII secolo a.C., raffigurava questa potenza con lo stesso metallo, profetizzando due secoli prima la sua distruzione. Successivamente Geremia presentava questo impero come «una coppa d’oro» nelle mani dell’Eterno che, dopo aver dominato per tre generazioni su Gerusalemme, sarà ridotto in servitù.39 Il motivo per il quale Daniele pone Babilonia come prima monarchia universale è spiegato dal profeta Ezechiele quando dice all’empio re di Giuda, Sedechia: «E tu, o empio, dannato alla spada, o principe d’Israele, il cui giorno è giunto al tempo del colmo dell’iniquità... La tiara sarà tolta, il diadema sarà levato, tutto sarà mutato; ciò che è in basso sarà innalzato; ciò che è in alto sarà abbassato. Rovina! Rovina! Rovina! Questo farò di lei; anch’essa non sarà più, finché non venga colui a cui appartiene il giudizio e al quale lo rimetterò».40 Con la detronizzazione di Sedechia non ci sarà più un sovrano legittimo sul trono di Giuda. L’abolizione della monarchia di Giuda ad opera di Babilonia ha formato un interregno che cesserà con la venuta del Messia, il quale, provenendo dalla famiglia reale, che è stata così radicalmente abbassata, sarà elevato al di sopra di tutti i re. Precisando quanto sopra, possiamo dire con J.B. Rossier: «La dominazione dei Gentili ed i loro rapporti profetici con il popolo di Dio cominciarono nel momento in cui il trono di Yahvè lasciò Gerusalemme».41 Lo scettro dalla casa di Davide passa ai Gentili fino alla venuta gloriosa del Messia Vogliamo qui aprire una parentesi che ci aiuterà a capire ancor meglio il rapporto che c’è tra questa statua che rappresenta i regni degli uomini e la regalità di Dio. «All’Eterno appartiene il regno, ed Egli signoreggia sulle nazioni» dice Davide e «tutto ciò che è in cielo ed in terra appartiene all’Eterno», afferma il redattore del libro delle Cronache, e, per definizione, Dio è re42 e il Suo regno è eterno, senza inizio né fine. Come Egli stesso di diritto era re prima di ogni creazione, di fatto, Egli lo è sul vasto universo da quando il Suo potere creatore si è manifestato... Illimitata nel tempo, la sovranità di Dio lo è anche nello spazio. Re del cielo, re della terra,43 Dio regna dappertutto. Assoluta prima della ribellione di Lucifero, l’universalità del regno di Dio attualmente è relativa. Dio rispetta la libertà delle Sue creature. Pur permettendo agli uomini di governarsi a loro piacere, Dio non abdica, Egli resta il re
39
Isaia 14:4; Geremia 27:5-7; 51:7.
40
Ezechiele 21:30-32. Le parole del versetto 32: «Finché non venga colui....», «non possono che avere in vista il Messia; è a lui che si riferivano le stesse espressioni di 17:22-24. ... Queste parole sembra che facciano allusione alla promessa di Giacobbe (Genesi 49:40)» La Bible Annotée, o.c., t. II, Ezéchiel, p. 90. 41 42 43
ROSSIER Jean Benjamin, Étude sur l’Apocalypse, t. II, Lausanne 1830, p. 49. Salmo 22:28. 1 Cronache 29:11; vedere Salmo 97:1. Daniele 4:37; Salmo 47:3,8.
delle nazioni.44 Egli è stato in particolare il re d’Israele.45 Dopo l’eliminazione degli empi incorreggibili, la sovranità di Dio diventerà assoluta, Dio sarà allora “tutto in tutti”».46 Da Adamo in poi Dio ha sempre rivendicato la sua sovranità. I giudizi parziali quali diluvio universale, Sodoma e Gomorra, la liberazione d’Israele, le piaghe sull’Egitto, sono stati interventi dell’Eterno a difesa della vita. Nell’amministrare questo popolo mediante i giudici e i profeti si è costituito uno stato teocratico.47 Quando Israele rifiutò questo privilegio di essere governato dall’Eterno mediante i giudici e si volle conformare agli altri popoli che lo circondavano, volendo un re visibile, il trono di Davide venne considerato il «trono dell’Eterno, che regna sopra Israele»,48 sul quale sedette Salomone alla morte del padre. I discendenti di Davide, “unti re”, rivestiti dell’autorità divina per governare sul popolo di Dio, erano i rappresentanti dell’Eterno, che è il vero re d’Israele. A causa degli errori di Salomone, il regno si divise in due dopo la sua morte: al Nord le dieci tribù formarono il regno d’Israele; al Sud, le tribù di Giuda e di Beniamino formarono il regno di Giuda. Questa dinastia davidica mantenne l’equilibrio, nel gioco delle grandi potenze del tempo, Assiria al Nord ed Egitto al Sud. Il regno di Giuda aveva impedito la formazione di un impero universale nel Medio Oriente sebbene Assiria ed Egitto si fossero spinte, nelle loro conquiste, sia al Sud sia al Nord di Gerusalemme. L’idolatria d’Israele faceva poi sì che le dieci tribù fossero deportate nei territori dell’Assiria e che fosse annesso a questo impero il suo territorio della Palestina nel 721 a.C. ad opera di Sargon. Il regno di Giuda, seguendo l’esempio d’Israele, continuò a prostituirsi alle varie divinità; nel 606 a.C. Nebucadnetsar conquistò la capitale e nel 586 a.C., nella terza campagna militare, distrusse la Santa Città. «Da quando la sede del governo di Yahvé è stata tolta da Gerusalemme, l’Eterno ha affidato l’autorità agli uomini, ai gentili che dominano su Israele».49 «È dalla prima invasione di Nebucadnetsar che si fa datare la cattività, poiché da allora la 44 45 46
Geremia 10:7; Apocalisse 15:3. Isaia 44:6; Sofonia 3:15. Vedere 1 Corinzi 15:28. VAUCHER Félix Alfred, Lacunziana, III serie, Collonges sous Salève 1955, p. 4.
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Il termine teocrazia è stato coniato da Giuseppe Flavio, Contro Appione, II, XVI, 164, 165: «Infinite sono le differenze particolari dei costumi e delle leggi degli uomini; ma li si possono riassumere così: alcuni hanno affidato il potere politico a delle monarchie, altri a delle oligarchie, altri ancora al popolo. Il nostro legislatore non ha fermato i suoi sguardi su nessuna di queste forme di governo: ha - se si può fare questa violenza alla lingua - istituito il governo teocratico, fondando in Dio il potere e la forza». 48 49
1 Re 2:12; 1 Cronache 28:5; 29:23.
J.B. Rossier, o.c., p. 17. Da «quando il trono di Dio ha cessato di esistere a Gerusalemme, Dio ha rimesso tutte le potenze nelle mani dei Gentili» DARBY John Nelson, Notes sur l’Apocalypse, 2a ed., Genève 1850, p. 68. Numerosi studiosi hanno datato “il tempo dei gentili” indicato da Gesù, Luca 21:24, da questo momento della storia. «Il regno della statua, il tempo dei Gentili, come l’ha chiamato Gesù, cioè il tempo in cui le nazioni devono dominare Gerusalemme e calpestarla, è cominciato con i Caldei sotto Nebucadnetsar e i suoi successori» L. Gaussen, o.c., t. I, p. 128. Riconosciamo che potrebbe essere valida la critica che sostiene che le parole di Gesù non dovrebbero essere messe in questo contesto perché sono al futuro e quindi non dovrebbero essere collegate con il passato con un significato di continuità. Le parole di Gesù poste nel loro contesto di Luca 21:20-24 sarebbero un riferimento agli avvenimenti che hanno preceduto la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C.. L’espressione “tempo dei gentili” non dovrebbe essere messa in relazione al governo teocratico di Yahvé, e quindi non dovrebbe partire dal tempo di Babilonia.
teocrazia perde la sua indipendenza. In quel tempo incomincia nella storia del regno di Dio un nuovo periodo, avendo per caratteristica essenziale il dominio delle potenze della terra».50 «La corona tolta a Israele è passata successivamente ai regni di Babilonia, di Medo-Persia, di Grecia e di Roma».51 Lo scettro strappato dalle mani dei re di Giuda passa nelle mani dei re di Babilonia che lo trasmetteranno poi alle monarchie pagane fino alla venuta gloriosa del Messia. Questo passaggio di corona, autorità, scettro non significa che i re, i regni e i potenti che si susseguono nel dominio del mondo siano a loro volta governi teocratici. Nel capitolo VII Daniele presenta queste stesse monarchie mediante animali Giovanni le riepiloga in un’unica bestia - cioè mediante esseri viventi che non hanno la dimensione spirituale. Quando sorgerà un potere, un regno che pretenderà di essere teocratico, i nostri due libri dell’Antico e del Nuovo Testamento lo definiscono l’Anticristo.
Secondo impero universale: petto e braccia d’argento - Medo-Persia «Dopo di te sorgerà un altro regno inferiore al tuo».52 Geremia aveva annunciato che l’esilio in Babilonia sarebbe durato settanta anni e gli ebrei sarebbero stati ancora in esilio quando questa monarchia sarebbe stata vinta e invitava quindi il popolo di Dio a porsi al riparo.53 Isaia descrive profeticamente questa distruzione chiamando per nome il nuovo conquistatore che avrebbe fatto anche tornare dall’esilio gli esuli: Ciro.54 Il nuovo impero, che è rappresentato dal petto e dalle braccia d’argento, è quello dei Medo-Persiani che nel 538 a.C. conquistarono Babilonia. Questa spiegazione è quella che è sempre stata data anche se nel passato ha avuto alcune eccezioni, oggi divenute numerose, ma tutte però ampiamente confutabili. I Medi e i Persiani formano un unico impero e Daniele nel suo libro lo dichiara a più riprese.55 L’argento, il metallo con il quale questo impero risulta identificato, è una caratteristica di questo regno. Questo metallo era utilizzato dai Persiani come unità di
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AUBERLEN August Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 30. WHITE Ellen, Review & Herald, 23.11.1905. Daniele 2:39. Geremia 25:11,12; 51:6. Isaia 13 e 14; 44:28; 45:1.
Daniele 5:28; 8:3,20. Vedere C. Trochon, o.c., p. 106. «Fino al XII secolo e in una forma più o meno unanime, si identificava la seconda monarchia (argento) con quella dei Medi e dei Persiani, meno brillanti in effetto, dell’impero caldeo» LUSSEAU Henri Louis - COLLOMB Marcel, Manuel d’Études Bibliques, vol. III, 2a, 3a ed. 1934, p. 475. Secondo «S. Gerolamo, Teodoreto e generalmente gli interpreti cattolici, il secondo regno deve essere identificato con l’impero medo-persiano» BUZY Denis, Les Symboles de l’Ancien Testament, Paris 1923, p. 270.
tassa. Erodoto56 ricorda che l’imposta sui vinti veniva pagata con l’argento. Sembra che solo la Satrapia indiana per la sua ricchezza pagasse in oro, ma il suo corrispondente era calcolato al peso dell’argento. Questo regno è definito «inferiore al precedente, come l’argento lo è nei confronti dell’oro...»; e questa inferiorità è: «in ricchezze, in splendore, in prosperità».57
Terzo impero universale: bacino di rame - Grecia «Poi un terzo regno di rame, che dominerà sulla terra».58 Come in Daniele VIII:20,21 all’Impero medo-persiano segue l’Impero greco, così le cosce di rame rappresentano, in successione, la potenza che con Alessandro Magno dominò sulla terra unendo «alla dominazione dell’Oriente (Persia) quella dell’Occidente (Grecia)».59 In otto anni di marcia trionfale (331-323 a.C.) Alessandro percorse e conquistò l’Asia Minore, la Siria, la Palestina, l’Egitto, la Mesopotamia, Babilonia, la Persia, la Media, la Bactriana, la Sogdiana, il Belucistan e diversi altri paesi ai confini dell’India. L’impero di Alessandro superò in estensione quello «Archemenide all’epoca della sua massima espansione sotto Dario I. Nessun conquistatore aveva riunito sotto il suo giogo tante province, portando le sue armi così lontano dalla sua patria».60 Il rame, con il quale i Greci sono qui identificati, era un elemento che caratterizzava questo popolo fin dai tempi di Omero. I soldati lo utilizzavano per le loro armi61 e il profeta Ezechiele lo presenta come elemento di scambio62. L’espressione “dominerà sulla terra” ha fatto pensare che questo regno unisse l’Oriente all’Occidente, e caratterizzasse l’estensione delle sue conquiste. Dobbiamo sottolineare che il dominio dei Greci non è consistito solamente in una conquista sul piano militare, bensì su quello culturale, tanto che il pensiero greco influenza ancora oggi la nostra civiltà.
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Erodoto, III, 89-95. GUERS Émile, Histoire abrégée de l’Eglise, 2a ed., Toulouse 1850, p. 10. Daniele 2:39 s.p. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 255. LEVEQUE Pierre, Le monde hellénistique, Paris 1969, p. 8.
61
Quando il re egiziano Psammetico I consultò l’oracolo di Latone perché voleva vendicarsi dei persiani, gli fu risposto: «La vendetta verrà dal mare quando gli uomini di rame appariranno». Questa risposta lasciò il re scettico fino al giorno in cui dei pirati greci, a causa di una tempesta, naufragarono sulle coste dell’Egitto. Un indigeno testimone di questa scena andò dal re e gli disse: «Degli uomini di rame venuti dal mare stavano saccheggiando la pianura» Erodoto I, 152,154.
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Ezechiele 27:13.
Oltre mille anni prima era stato annunciato che l’Occidente avrebbe prevalso sull’Oriente Quando il profeta Balaam fu chiamato dal re Balak per maledire Israele, che quaranta anni prima era uscito dall’Egitto e si apprestava a varcare i confini del paese di Moab e ad entrare nella Terra Promessa, annunziando il futuro, tratteggiava la storia predetta in questa statua: «Ma delle navi verranno dalla parte di Kittim e umilieranno Assur, umilieranno Eber, ed egli pure finirà per essere distrutto».63 Il vincitore viene dall’Ovest. Kittim indica propriamente l’isola di Cipro, poi le isole dell’Asia Minore e le coste del Mediterraneo, e per estensione l’Occidente. Nel primo libro dei Maccabei64, Filippo e Alessandro il Macedone sono chiamati re di Kittim. Nel libro di Daniele “le navi di Kittim”65 indicano le navi romane che portano l’ambasciatore Popilio Lenate, e anche negli scritti di Qumran questo nome indica le legioni romane.66 Sarà dunque l’Occidente a mettere fine alle potenze orientali. Dominerà pure su quelle di Eber, i popoli semiti, più particolarmente i discendenti di Abrahamo, gli Ebrei. Il conquistatore occidentale estenderà il suo potere sull’Oriente, più lontano e più vicino al Mediterraneo fino a che «egli pure finirà per essere distrutto». «Questa... profezia può essere considerata come la più stupefacente. Più di mille anni prima dell’avvenimento, non solamente la nascita del grande impero mondiale è stata qui predetta, con le sue conquiste su Assur ed Eber, cioè sui discendenti di Eber,67 ma ben al di là di questo la distruzione finale di questo impero mondiale è annunciata. Ciò non ha equivalenti nella Scrittura, se non nella visione di Daniele. Nessuno sforzo di una critica ostile saprebbe far dimenticare l’importanza di questa meravigliosa predizione».68
Quarto impero universale: gambe di ferro - Roma «Poi vi sarà un quarto regno, forte come il ferro; poiché, come il ferro spezza ed abbatte ogni cosa, così, pari 63 64 65 66 67 68
Numeri 24:24. 1 Maccabei 1:1; 8:5. Daniele 11:30. GRAU MONTSERRAT Manuel, Kittim, in Enciclopedia della Bibbia, vol. IV, ed. ElleDiCi, Torino 1970. Genesi 10:31.
EDERSHEIM Alfred, Israel under Joshua and the Judges, pp. 30,31; cit. da VAUCHER Alfred Félix, L’Adventisme, Collonges sous Salève 1962, pp. 15,16.
al ferro che tutto frantuma, esso spezzerà ogni cosa».69 Il poeta latino Lucrezio scriveva: «Prima del ferro fu noto l’uso del bronzo / perché più abbondante e trattabile è per natura. / Col bronzo scavavano il suolo, col bronzo / mischiavano flutti di guerra, menavano strage / e bestie rapivano e campi; e tutto / che nudo appariva e indifeso cedeva alle armi: / finché si mostrò a poco a poco la spada di ferro».70 Il ferro raffigura, come dice il testo biblico, la forza che rompe, spezza e abbatte ogni cosa. «Non si può meglio definire il carattere dei Romani: tutto in loro era di ferro. Il loro governo era di ferro, inflessibile, duro, schiacciante, spietato. Il loro coraggio era di ferro, crudele, sanguinario, indomabile. I loro soldati erano di ferro; mai popolo fu più temibilmente armato nei combattimenti; le loro corazze, i loro elmi, i loro lunghi scudi, i loro dardi, i loro giavellotti, le loro corte e pesanti spade a due tagli, tutte le loro armi erano ingegnosamente terribili... La loro disciplina era di ferro. Il loro giogo sui vinti era di ferro: pesante, insopportabile e tuttavia irremovibile, inevitabile... I loro cuori erano di ferro: mai conobbero la pietà; facevano scorrere il sangue degli uomini come l’acqua; avevano bisogno di queste gioie da cannibali in pace come in guerra... Avevano per questo piacere, in tutte le città, dei teatri in cui le signore romane assistevano come gli uomini e in cui si obbligavano i poveri prigionieri di guerra a battersi sino alla morte, contro delle bestie feroci, gli uni contro gli altri».71 Roma ha saputo creare un sistema amministrativo che le ha permesso di dominare e controllare i popoli vinti. Cirillo di Gerusalemme insegnava: «Tutti gli ecclesiastici s’accordano nel vedere nell’Impero Romano questo quarto impero».72 Così, dalle bianche e desolate scogliere della Britannia agli aridi deserti africani, dalle cupe foreste del Reno alle gialle rive del Caspio, le ferree legioni imponevano il diritto latino. Popoli bellicosi erano costretti a piegarsi alle aquile di Roma e le rivolte che compromettevano la Pax Romana erano presto soffocate nel sangue.73 «Jonathan ben Uzziel, che visse poco tempo prima del nostro Signore e che ha scritto un Targum sui profeti, ma del quale non abbiamo l’interpretazione di Daniele, spiega in questi termini, in una sua parafrasi sul libro di Abacuc, la profezia dei quattro imperi e della loro distruzione con il regno del Messia: “Poiché il regno di Babel non durerà e non eserciterà la sua dominazione su Israele, i re di Media saranno uccisi e le forze della Grecia non prospereranno; i Romani saranno distrutti e non preleveranno dei tributi da Gerusalemme”».74 Giuseppe Flavio nella sua opera Antichità Giudaiche, spiegando questa statua e 69 70 71 72 73 74
Daniele 2:40. Lucrezio, Dalla Natura, V, 1287-1293; traduzione di E. Cetrangolo, Milano 1978. L. Gaussen, o.c., t. I, p. 146. Cirillo di Gerusalemme, XV Catechesi, cap. 13. VISIGALLI Domenico, Cristo ritorna, ed. A.d.V., Falciani 1979, p. 11. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 636,637.
riportando egli stesso la tradizione dei padri, dice che le gambe di ferro rappresentano l’impero dei Romani.75 «La marcia del piano divino sembra tangibile nelle sue grandi linee. Secondo l’oracolo della Genesi, il mondo evolve a poco a poco dall’Oriente all’Occidente, e la signoria va da Sem a Jafet. Si vede il centro di gravità della storia universale spostarsi lentamente: da Gerusalemme, la metropoli religiosa del globo, e trasferirsi a Roma, capitale civile, passando da Atene, capoluogo intellettuale».76
75
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, X; XI, 7, 4. Il poeta latino Quinto Orazio Flacco assimilò Roma al ferro: «Questa gente (i romani) che dalle fiamme d’Ilio / portò fra le tempeste del Tirreno / tenacemente sulla terra Ausonia / i Penati e i figliuoli e i padrini vecchi, / com’elce che le dure accette potano / su l’Algido di ombrose fronde fertili, / prende forza ed ardimento dallo stesso / ferro di mezzo alla strage e alla sventura» Carmi, ovvero Odi, IV, strofe 14a e 15a. Versione di CETRANGOLO Enzio in Quinto Orazio Flacco, Tutte le Opere, ed. Sansoni, Firenze 1968, pp. 170,171. I rabbini Saadia ben Joseph e Salomon ben Isaac Jarchi, detto Raschi, mantennero ancora l’interpretazione tradizionale. Il rabbino Abraham ben Ezra, Commentaire sur Daniel, 1144, p. 26,27,74, ha creduto di poter rinnovare la spiegazione del testo biblico dopo aver criticato il collega Saadia. Per lui la quarta monarchia è l’Islam o l’impero ismaelita. Vedere GALLÉ A.F. Daniel avec un Commentaire de R. Saadia, d’Aben-Ezra, Raschi..., Paris 1900, pp. 26,27,74. Per giungere a questo risultato Aben Ezra ha modificato la successione delle monarchie precedenti: iniziò con Babilonia, considerò secondo impero i Medi e i Greci, e i Romani terzo regno. Questo sistema fu già confutato da Johann HAUSSCHEIN, conosciuto sotto il nome di ŒCOLAMPADE, In Daniel, Basel 1530, fol. 27; da GEIER Marti, Danielem prophetam (Operum Omnium), t. II, Amsterdam 1667, p. 193; 1696, fol. 181-186, dal gesuita J. MALDONADO, pp. 616, 669; Cornelis Cornelissen van des STEEN, o Corneille LA PIERRE, Daniel, Paris 1622, p. 11, In Ezechiel in Daniel, Anvers 1675, p. 1276,1277. È stato poi adottato da Bartholomaeus HELZHAUSER, Interprétation de l’Apocalypse, trad. Ignace Nicolas de WUILLERET, vol. II, Paris 1856, pp. 39-47. È forse a causa dell’influenza di Aben Ezra che Gioacchino da Fiore, nel libro V, cap. III, della sua Concordia Vet. ac Novi Testament, composta verso la fine del XII secolo e stampata a Venezia nel 1519, identifica la IV monarchia con i Saraceni. Per le monarchie precedenti, la spiegazione di Gioacchino differisce da quella di Aben Ezra. Considera i Medi e i Persiani come il seguito naturale del regno di Babilonia (prima monarchia) e separa i Greci (seconda monarchia) dai Romani (terza monarchia). Questo sistema è stato adottato dal gesuita cileno M. LACUNZA, con questa differenza: i Saraceni sono rimpiazzati dai Barbari. Questo pensiero del gesuita verrà riprodotto dal giansenista P.J. AGIER e dal pastore Doria A. ANTOMARCHI. L’errore di M. Lacunza ha alla sua origine il non aver saputo distinguere le fasi successive dell’Impero Romano come sono abbozzate dal profeta Daniele. «Si sa che l’Impero Greco, la terza monarchia, passò per due fasi: un periodo di unità e un periodo di divisione (è chiaramente presentato nei capitoli 7 e 8 di Daniele, n.d.t.). L’evoluzione della costituzione politica e sociale del mondo romano comprende, in un modo analogo, tre periodi: 1. il periodo delle gambe di ferro, cioè di prosperità, delle conquiste; 2. il periodo dei piedi in parte di ferro e in parte d’argilla: miscuglio di razze galliche, germaniche, tedesche, sarmate, orientali; 3. il periodo delle dita dita in parte di argilla e in parte di ferro. È quello delle dieci corna (capitolo 7). Ne consegue che il periodo dei dieci regni è una fase della storia dell’Impero Romano e che i dieci regni saranno un seguito di questo impero fino alla fine dei secoli. Le dieci corna romano-barbariche indicano, in effetti, la continuazione dell’Impero Romano, come le quattro corna del becco e le quattro teste del leopardo indicano la continuazione dell’impero di Alessandro» J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 666,667. M. Lacunza applica ai barbari, cioè alla terza fase dell’Impero Romano, ciò che il profeta dice della IV monarchia. AGIER Pierre Jean, Vues sur le Second Avènement de Jésus Christ ou Analyse de l’Œeuvre de Lacunza, Paris 1818, p. 23: «Le nazioni barbare, dopo aver portato in tutti i posti il carname della desolazione, si sono divisi i paesi, e hanno formato un nuovo impero totalmente differente dai primi. Quale è questo impero? È quello che noi vediamo sotto i nostri occhi e che sussiste da molto tempo, benché diviso in diverse membra e separato». Dobbiamo però rilevare che M. Lacunza e P.J. Agier hanno dimenticato che prima delle dita, che simboleggiano la divisione (Daniele 2:42), c’è l’omogeneità del ferro (versetto 40). 76
BERTHOUD Aloys, Apologie du Christianisme, Lausanne 1908, p. 497.
Perché Daniele non dice nulla della prima venuta di Gesù È durante questo impero che avviene nel nostro mondo il fatto storico più importante dell’universo. Il “Creatore”, l’“Onnipotente”, il “Santo d’Israele”, “il primo e l’ultimo”, “l’alfa e l’omega”, “il principio e la fine”77 viene a vivere tra gli uomini. La storia di Betlemme, del Galileo di Nazareth, annunciava, facendo eco ai profeti, seguita poi dagli apostoli e dalla schiera dei credenti, che il regno di Dio è presente e contemporaneamente futuro. Presente: in una realizzazione parziale nei fedeli che Dio ha sempre avuto in ogni tempo sulla terra; e futuro: quando Gesù stesso lo inaugurerà con il Suo glorioso ritorno. Sarà in quel giorno, come Ezechiele aveva annunciato, che il Messia riprenderà in mano lo scettro delle nazioni. Perché Daniele non dice nulla dello straordinario evento della nascita di Gesù? «Questo avvenimento non è rappresentato nella profezia della statua, perché è tutto religioso».78 Non si parla in questa visione della Chiesa perché essa non è il regno di Dio sulla terra, ma è solamente l’araldo di questo regno. Se essa si preoccupa di regnare ha finito la sua funzione di servire. Gesù stesso non si illudeva di stabilire il regno in questa realtà. Per contro si domandava: «Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?»79 Anzi nella preghiera che Gesù fa, la sera del suo arresto, per coloro che avrebbero accettato l’evangelo, insegna espressamente che non si deve confondere la Chiesa con i regni di questo mondo che passano: «Io ho manifestato il tuo nome agli uomini che tu m’hai dati dal mondo. Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo, come io non sono del mondo. Io non ti prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo... Io non ti prego soltanto per questi (gli apostoli), ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola».80 La funzione della Chiesa è di annunciare in questo deserto la Parola di liberazione di Dio. «In altri termini la funzione della Chiesa non è di organizzare il mondo, ma di convertirlo. E per farlo occorre che la Chiesa si rivolga a un mondo che sia realmente il mondo, con il suo peccato, con la sua violenza, in mezzo alle guerre, tra la fame, tra gli ammalati; un mondo che sia il mondo dove Satana regna: senza tutto ciò, la Chiesa non ha più niente da dire né da fare, poiché Gesù Cristo è venuto non per i sani, ma per gli ammalati».81
Il quarto impero universale continua trasformato fino al tempo della fine nei piedi e nelle dita di ferro e di argilla «E come hai visto i piedi e le dita, in parte di argilla di vasaio e in parte di ferro, così quel regno sarà diviso; ma vi 77 78 79 80 81
Giovanni 1:1-3; Colossesi 1:16; Apocalisse 1:8,18; 22:13; Isaia 47:4. L. Gaussen, o.c., t. I, p. 172. Luca 18:8 s.p. Giovanni 17:6,14-16,20. ELLUL Jacques, Protestantisme français, 1945, p. 142.
sarà in lui qualcosa della consistenza del ferro, giacché tu hai visto il ferro mescolato con la molle argilla. E come le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte di argilla, così quel regno sarà in parte forte ed in parte fragile. Tu hai visto il ferro mescolato con la molle argilla, perché quelli si mescoleranno mediante connubi umani82; ma non saranno uniti l’uno all’altro, nello stesso modo che il ferro non s’amalgama con l’argilla».83 Questa sezione, che non presenta il sorgere di un nuovo regno, è descritta con maggiore interesse da Daniele. Le dieci dita della statua raffigurano lo smembramento dell’impero in diversi stati, dopo la caduta dell’Impero Romano nel 476 d.C., a seguito delle invasioni barbariche. È nel nostro Capitolo IV: Come Dio vede la Storia - Le dieci corna o i regni della divisione dell’Impero Romano, che presentiamo nei particolari questa divisione. «L’introduzione dei barbari da tutte le frontiere dell’Impero Romano ha avuto per conseguenza le combinazioni etnologiche e politiche da cui sono uscite le nazioni dell’Europa moderna e delle regioni direttamente in relazione con essa».84 L’invasione barbarica «è la più importante, la più universale e la più lunga delle convulsioni alle quali il genere umano sia stato esposto; essa ha distrutto una civiltà per preparare gli elementi della nuova. Essa ha compreso nei suoi effetti tutta la porzione della razza umana che aveva allora la coscienza della sua esistenza e la capacità di conservare dei ricordi... L’Impero Romano... fu invaso da tutti i popoli che lo circondavano, saccheggiato, spogliato, ridotto in pezzi. Noi siamo i figli di questi uomini; noi non siamo figli dei Greci e dei Romani. Con loro sono cominciate le lingue che noi parliamo, i diritti che riconosciamo, le diverse leggi che ci reggono, le opinioni, i pregiudizi (più potenti delle leggi) ai quali obbediamo e ai quali obbediranno forse ancora i nostri nipoti».85 Perché i barbari non vengono rappresentanti con un altro metallo «I barbari non si gettarono spontaneamente sull’impero. Essi vi furono spinti dall’assalto dell’Unno, che doveva così determinare tutto il seguito delle invasioni... Si ha bisogno dei barbari per il lavoro dei campi e per le truppe. Questi non domandano di meglio che di mettersi al servizio di Roma. Così l’impero alle frontiere si germanizza per il sangue, ma non per il resto, perché tutto quello che vi penetra si romanizza. I Germani che entrano nell’impero lo fanno per mettersi al suo servizio e per godere dei vantaggi che esso offre, ed hanno per esso il rispetto dei barbari per l’incivilito. Non appena entrati, essi adottano la sua lingua e la sua religione, cioè il 82 83 84 85
«Si mescoleranno con seme d’uomo» nota versione Luzzi. Daniele 2:41-43. LAVISSE E. - RAMBAUD A., Histoire générale du IV siècle à nos jours, t. I, Paris, pp. II, III. SISMONDI, Histoire de la chute de l’empire romain, prefazione; cit. L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 135,136.
cristianesimo, dal V secolo in poi; cristianizzandosi perdono i loro dèi nazionali, frequentando le stesse chiese, si confondono a poco a poco con la popolazione dell’impero... I Germani non erano spinti da nulla contro l’impero, né da motivi religiosi, né da odio di razza né tanto meno da considerazioni politiche. Anzi, invece di odiarlo, essi l’ammiravano e non volevano altro che stabilirvisi e usufruirne. I loro re aspiravano alle dignità romane. Non c’era nulla che somigliasse al contrasto che presentarono più tardi musulmani e cristiani... All’inizio del VI secolo non c’è più un pollice di terra in Occidente sotto l’autorità dell’imperatore. La catastrofe sembra enorme a prima vista, così enorme che si data dalla caduta di Romolo (Augustolo) una seconda èra del mondo. Tuttavia, a guardarla da vicino, essa appare meno importante, perché l’imperatore non è annullato di diritto; non ha ceduto nulla della sua sovranità. La vecchia funzione dei federati continua, e i nuovi sopravvenuti riconoscono essi stessi il suo primato... Teodorico governa in suo nome. Il re burgundo Sigismondo gli scrive nel 516-518: Vester quidem est populus meus. Clodoveo si gloria di ricevere il titolo di console. Nemmeno uno osa prendere il titolo di imperatore».86 Inoltre i barbari, come «nuovi venuti, erano in effetti un’infima minoranza».87 Non esiste nessun documento che ci permetta di stabilire la popolazione sia dell’impero sia degli invasori. «Ogni precisione è impossibile; la sola cosa che appare evidente è che i Germani sparivano nella massa».88 «Saremmo però senza dubbio al di sopra della verità se, per le province occidentali al di fuori del limes, stimassimo il contributo germanico al 5 % della popolazione. A dire il vero, una minoranza può trasformare un popolo quando vuole dominarlo effettivamente, quando ha disprezzo per esso, e lo considera materia da sfruttare; questo fu il caso dei Normanni in Inghilterra, dei musulmani in qualunque luogo apparvero, ed anche dei Romani nelle province conquistate. Ma i Germani non volevano né distruggere, né sfruttare l’impero. Invece di disprezzarlo, l’ammiravano. Non avevano niente da opporgli come forze morali89 ... Avvenne così che gl’invasori trionfanti offrirono dappertutto ai provinciali una situazione giuridica uguale alla loro. In ogni campo essi avevano da apprendere qualcosa dall’impero: come avrebbero resistito alla sua influenza? E avessero almeno formato gruppi compatti! Ma, eccetto i Vandali, gli altri erano dispersi dall’ospitalità in mezzo ai Romani. La spartizione dei domìni li obbligò a piegarsi alle usanze dell’agricoltura romana».90 86 87 88
PIRENNE Henri, Maometto e Carlomagno, ed. Laterza, Bari 1976, pp. 8,6,7,18. Idem, p. 21. Idem.
89
«È un luogo comune e nello stesso tempo un tema romantico e un dogma presso certe scuole germaniche. E si ha buon gioco nel citare Salviano e il suo parallelo fra la decadenza morale dei Romani e le virtù dei barbari: queste virtù non hanno resistito allo stanziamento dei Germani in mezzo a popolazioni romanizzate. Mundus senescit, si legge, al principio del VII secolo, nella cronaca dello pseudo Fredegario, e basta scorrere Gregorio di Tours per trovarvi ad ogni passo le tracce della più grossolana decadenza morale: ubriachezza, stravizi, cupidigia, adulteri, omicidii, crudeltà abominevoli, e una perfidia, che regna dall’alto in basso dell’ordine sociale. La corte dei re germanici attesta tanti delitti quanto quella di Ravenna» Idem, p. 27.
90
Idem, pp. 22,23. I matrimoni misti fino al VI secolo vengono proibiti, «ma questo ostacolo giuridico non era un o-
La lingua dei barbari non si è conservata. «Noi non abbiamo un testo né un documento in lingua germanica... Se la lingua si fosse conservata, avrebbe lasciato tracce nelle lingue neolatine. Ora, eccetto un certo numero di parole prese in prestito, tale fenomeno non si constata affatto. Né la fonetica né la sintassi indicano la minima influenza germanica».91 «Presso i Burgundi e i Vandali l’influenza del diritto romano sul diritto germanico è così manifesta come presso i Visigoti».92 «È troppo evidente per insistervi che le istituzioni tribali dei Germani non hanno potuto conservarsi nei nuovi regni fondati sul suolo dell’impero, in mezzo ad una popolazione romana... Senza dubbio i re germanici installati nell’impero sono stati re nazionali per i loro popoli... Essi si chiamano reges Gothorum, Vandalorum, Burgundiorum, Francorum; ma per i Romani sono generali romani, ai quali l’imperatore ha abbandonato il governo della popolazione civile. Sotto questa etichetta romana appaiono loro, sono gloriosi di ostentarla davanti a loro: basti ricordare la cavalcata di Clodoveo quando fu fatto console onorario. Questo stato di cose appare nel modo più chiaro sotto Teodorico. Egli è, di fatto, un viceré romano. Pubblica editti e non leggi. I Goti formano l’esercito. Tutte le magistrature civili sono romane e tutta l’amministrazione romana è conservata tanto quanto è possibile. Continua ad esistere il Senato, ma tutto il potere è concentrato nel re e nella sua corte, cioè nel sacro palazzo. Anche Teodorico prende il semplice titolo di rex, come se volesse far scomparire la sua origine barbarica... La divisione delle province con i loro duces, rectores, praesides, la costituzione municipale con i curiales e defensores, l’organizzazione delle imposte, tutto è conservato. Egli conia monete, ma a nome dell’imperatore. Adotta il nome di Flavius, segno che prende la nazionalità romana... L’organizzazione della guardia del re è bizantina, così come tutto il cerimoniale della corte. L’organizzazione giudiziaria è tutta romana, anche per i Goti; l’editto di Teodorico è completamente romano... I Goti formano le guarnigioni delle città, vivendo dei loro redditi sulla terra, ricevendo una paga. Non possono avere impieghi civili, non è loro possibile la minima azione sul governo, eccetto per quelli che fanno parte, con i Romani, del seguito del re. In questo regno, dove comanda il loro re, essi sono in realtà stranieri, ma stranieri ben dotati di rendita: una casta militare che vive lautamente del suo impiego... Teodorico non è più che un funzionario di Zenone. Appena arriva in Italia, la chiesa e la popolazione lo riconoscono come rappresentante della regalità... Insomma, i Goti sono la base militare del potere regio, che, a parte questo, è romano... Presso i Vandali, a dispetto della rottura avvenuta con l’impero, ogni carattere germanico è assente dall’organizzazione dello Stato... Il suo (di Genserico) governo è romano: egli batte monete con l’effigie di Onorio; le iscrizioni sono romane. Sembra stacolo sociale. Il numero di unioni fra Germani e donne romane dovette essere costante e il bambino parla, si sa, la lingua di sua madre. Evidentemente questi Germani hanno dovuto romanizzarsi con una rapidità stupefacente» Idem, p. 23. 91 92
Idem, pp. 23,25. Idem, p. 26.
anzi che i re vandali abbiano continuato a versare a Roma ed a Costantinopoli le prestazioni di olio. Quando Genserico stabilì l’ordine di successione al trono, lo fece mediante un codicillo redatto secondo le prescrizioni della legislazione romana».93 «I Burgundi furono i soldati dell’imperatore contro i Visigoti: in tal modo essi si consideravano parte dell’impero; datavano secondo gli anni consolari, cioè degli imperatori, e il re era magister militum nel nome dell’imperatore... Il re burgundo, come quello visigoto, pagava gli stipendi ai suoi agenti. In un reame così profondamente romanizzato, Burgundi e Romani avevano la stessa condizione giuridica... Così dunque Ostrogoti, Visigoti, Vandali e Burgundi governano alla maniera romana. Di “principi germanici” non c’è traccia o quasi. Non c’è che l’antico regime, che sopravvive con nuovi re, sebbene certamente con molte perdite. C’è una sola novità: l’esercito non costa nulla grazie alla divisione delle terre».94 «Per i Franchi la loro romanizzazione fu meno effettiva, perché i loro re vissero a Parigi in un ambiente meno romanizzato di quello esistente nelle città di Ravenna, Tolosa, Lione o Cartagine. Inoltre la Gallia settentrionale usciva da un periodo di guerre e di invasioni successive, che vi avevano accumulato le loro devastazioni. Tuttavia delle antiche istituzioni romane essi conservarono tutto ciò che poterono, e non fu certo la buona volontà che fece loro difetto. Il loro stato fu più barbaro, ma non germanico. Anche qui l’organizzazione delle imposte e della moneta è conservata... Non c’è più grande errore che credere che l’idea dell’impero sia scomparsa dopo lo smembramento delle province occidentali per opera dei barbari. Non si può dubitare che il Basileus, che regnava a Costantinopoli, estendesse ancora sia pure teoricamente la sua autorità a tutto l’insieme. Egli non governava più, ma regnava ancora, e verso di lui si volgevano tutti gli occhi».95 In conclusione: «Da qualsiasi lato si guardi, il periodo aperto con lo stabilirsi dei Barbari sul territorio dell’impero non ha introdotto nella storia nulla di assolutamente nuovo. I Germani hanno distrutto il governo imperiale in partibus occidentis, ma non l’impero. Essi stessi, installandovisi come foederati, lo riconoscono... Si potrebbe quasi dire che il vecchio palazzo è stato diviso in tanti appartamenti, ma la sua costruzione sopravvive... A guardare le cose come sono, la grande novità dell’epoca è dunque un fatto politico: una pluralità di stati si sostituisce in Occidente all’unità dello stato romano. Questo senza dubbio è un fatto considerevole; l’aspetto dell’Europa cambia. Però la vita nella sua sostanza non cambia: questi stati, che si chiamano nazionali, in realtà non sono affatto nazionali, ma solo tanti frammenti del grande insieme a cui si sono sostituiti... I re germanici in Occidente, in mezzo al mondo romano che si dissolveva in quanto stato, furono, per così dire, tanti punti di cristallizzazione politica; ma intorno ad essi, sia pure con inevitabili perdite, è stato il vecchio o, diciamo meglio, l’antico 93 94 95
Idem, pp. 31,32,33. Idem, pp. 38, 39. Idem, pp. 41, 47.
equilibrio sociale che ha continuato a sussistere. In altri termini l’unità mediterranea, che costituisce l’essenza del mondo antico, si mantiene in tutte le sue manifestazioni».96 L’Impero Romano si smembra, ma non c’è una germanizzazione dell’impero e quindi la storia di Roma, il ferro, continua a seguito delle invasioni.
Significato del ferro e dell’argilla: potere politico e potere ecclesiastico Il ferro e l’argilla non rappresentano nazioni forti e paesi deboli come hanno pensato alcuni studiosi.97 Inoltre il testo biblico non presenta dita di ferro e dita di argilla, come tale teoria esigerebbe. Tutte le dita sono costituite da un miscuglio di ferro e di argilla. In ogni Stato sorto dalla divisione dell’impero si trova questa combinazione. Altri hanno identificato i Romani con il ferro e i Barbari con l’argilla.98 Ma come si potrebbe sostenere che l’Impero Romano, rappresentato dal ferro, sia stato vinto dai popoli barbari, rappresentanti dell’argilla? Cioè i più forti vinti dai più deboli? Appoggiandosi su Ippolito di Roma, i plimontisti e alcuni cattolici99 hanno pensato che il ferro alludesse al potere monarchico (autocrazia imperiale) e l’argilla al potere popolare (democrazia). La presenza di queste due forze nell’Impero Romano risalgono alle sue origini, ma Daniele non presenta l’argilla nelle gambe della statua. Il rabbino Manasseh ben Israel100 ha suggerito Roma per l’argilla e l’Islam per il ferro. Ma Roma è simboleggiata dalle gambe di ferro e l’Islam non ha nulla a che vedere con la quarta monarchia. G. Wingate ha pensato che con l’argilla si potessero identificare gli ebrei.101 Il testo biblico precisa: prima dello smembramento della IV monarchia, prima delle invasioni barbariche, in un certo periodo della storia dell’Impero Romano, prima della sua caduta nel 476 d.C., questo impero doveva subire nella sua natura intima un cambiamento inedito fino a quel momento nella storia e che sarebbe continuato, comune in ciascuno dei regni che lo hanno diviso. Il ferro e l’argilla coesistono nel piede: «perché questo regno deve essere diviso: in parte forte e in parte debole. Questi 96
Idem, pp. 129, 132.
97
Questo pensiero è stato espresso in un’opera anonima, Le Cinquième Empire, La Haye 1689, p. 19; da AGIER Pierre Jean, Daniel, Paris 1822, pp. 17,18; adottata da MATTESON John Gottlieb, Prophecies of Jesus, Battle Creek 1895, p. 311. Jean VUILLEUMIER, Les Prophéties de Daniel, Genève 1906, p. 44; Future unrolled, pp. 35,36; in Revue Adventiste, aprile 1950, p. 9. 98
Gerolamo, Lettera a Ageruchia, col. 36; per primo ha identificato il ferro con Roma e l’argilla con i barbari. Il pensiero è stato adottato da CRINSOZ Theodore detto de BIONNENS, L’Esprit de Bionnens sur l’Apocalypse et les prophéties de Daniel, 1798, p. 313; J.F. ALLIOLI von, Commentaire..., t. V, Paris 1868, p. 467, n. 20; Th.R. BIRKS, The four proph., 2a ed., pp. 92-96; P.L.E. BURNIER, 1849, p. 50; L.R. CONRADI, Los Videntes, t. I, pp. 57,58; É. GUERS, Histoire..., 2a ed., 1850, p. 13; T. NEWTON, 1758, p. 212; Th. WINTLE, 1836, p. 37. Su una forma un po’ modificata K.F.I. KEIL, The Book..., pp. 108,109. Per i titoli completi vedere Bibliografia. 99 100 101
Hippolyte de Rome, Commentaire de Daniel, ed. Le Cerf, Paris 1947, pp. 144,156; A. MARTINI, TROCHON, ecc. Manasseh ben Israel, De termino vitae, London 1709, p. 80. WINGATE G., The Jew in Daniel’s, London 1932.
ultimi tratti ci indicano che si doveva operare un cambiamento intimo nella costituzione di questo regno: cioè... non doveva essere una divisione esteriore come quelle che indicano le dieci dita (e la diversità dei metalli della statua), ma una divisione intestina, essenziale, in due governi, o due popoli, o due lingue, o due potenze; una divisione che deve essere comune ai dieci regni»,102 una divisione di natura. Che cosa rappresenta questa argilla che coesiste accanto al ferro? «L’argilla costituisce un elemento essenziale della profezia poiché nel linguaggio corrente si parla del colosso dai piedi d’argilla. Per sette volte si menzionano l’argilla ed il ferro: tre volte nella descrizione della statua e quattro volte nella sua spiegazione. Tre versetti (38-40) sono sufficienti per presentare i quattro primi imperi. Ne occorrono cinque (41-45) per precisare gli avvenimenti che seguono la fine dell’Impero Romano. Il testo biblico dirige la nostra analisi ed orienta la nostra attenzione. Prima di tutto si tratta dei piedi (versetti 33,34), poi dei piedi e delle dita (versetto 41), ed infine delle sole dita (versetto 42). Ci si offre in qualche modo una cronologia».103 «Nella spiegazione che il profeta stesso dà di questo miscuglio (ferro ed argilla), non parla per nulla di una pluralità di regni, ma dice semplicemente “questo regno sarà diviso”104 - si tratta di quello rappresentato dai “piedi e dalle dita”. In altre parole, ci sarà in seno all’Impero Romano, in un momento della sua storia, un fattore di scissione che renderà ogni unione impossibile a dispetto delle “alleanze umane”».105 Il testo biblico è preciso e, nella sua descrizione, non dice “un dito di ferro” e un “dito di argilla”, ma che il ferro e l’argilla saranno contemporaneamente nello stesso regno, nello stesso stato e coesistenti già prima della fine dell’Impero Romano. I vari metalli: oro, argento, rame e ferro, rappresentano i vari poteri temporali nel loro susseguirsi. L’argilla rappresenta anch’essa un potere, ma che non è della stessa natura di quello dei vari regni metallici, un potere “diverso” da quelli fino a quel momento avvicendatisi. La molle argilla del vasaio è un potere che coesisterà e si contrapporrà a quello temporale senza però identificarvisi e fondervisi facendo corpo unico con esso. È diverso come è diversa l’argilla dal ferro. È un potere che si adatta ad ogni situazione e dà anche la forma ad ogni situazione. Come la molle argilla si adatta ad ogni forma, essa però adatta a sé il metallo quando è fuso. Nel testo biblico l’espressione “argilla” e “argilla di vasaio” hanno una connotazione religiosa, presenta l’uomo nella sua dipendenza da Dio.106 Questo potere, distinto da quello rappresentato dal ferro, non può che rappresentare quello religioso visto in contrapposizione a quello politico. 102 103
L. Gaussen, o.c., t. I, pp. 145, 146. LANARÈS Pierre, Qui dominera le monde?, 5a ed., S.d.T., Dammarie les Lys, 1980, pp. 42,43.
104
Versetto 41. Daniele non pensa ancora allo smembramento dell’Impero Romano d’Occidente, come ha supposto J. Vuilleumier, o.c., pp. 39,40, ma alla presenza dell’argilla con il ferro nei piedi della statua. Lo smembramento dell’impero è rappresentato dalle dita della statua.
105
ZURCHER Jean, Les quatre empires universels, in AA.VV., Daniel - Questions Débattues, Collonges-sous-Salève 1980, p. 163.
106
Isaia 64:8; 29:16; 41:25; 45:9; Geremia 18:2; 19:1; Lamentazioni 4:2; Romani 9:21.
Questo ferro e questa argilla, coesistenti nella quarta monarchia universale, non però dalla sua origine, ma dopo alcuni secoli, da un certo tempo prima della sua divisione e perpetuandosi fino alla fine della storia dell’umanità, non possono non rappresentare che il potere politico ed il potere ecclesiastico, due poteri di natura diversa - uno di ferro, l’altro di argilla - che hanno caratterizzato particolarmente diciassette secoli di storia e che ancora continuano. Tale comprensione del testo biblico è stata rilevata dai commentatori.107 107
Questo significato «non è sfuggito... a degli interpreti ebrei, i quali hanno visto nel miscuglio del ferro e dell’argilla il Cristianesimo e l’Islam. Uno d’essi, Manasseh ben Israel, che morì ad Amsterdam nel 1765, indicò nominalmente la Chiesa cattolica romana e l’Islam» Vedere Seventh Day Adventist Bible Commentary - SDABC, vol. IV, p. 45. MÜNTZER Thomas «identificava i due poteri intrecciati della Chiesa e dello Stato: i “preti e tutti i malvagi ecclesiastici” da una parte, “i signori e i governanti” dall’altra. Questa stessa spiegazione verrà riproposta ancora nel Seicento, da teologi protestanti moderati come Giovanni COCCEIO - Henry MORE» MIEGGE Mario, Il sogno del re di Babilonia - Profezia e storia da Thomas Müntzer a Isaac Newton, ed. Feltrinelli, Milano 1995, p. 39; da NICOLAI Philipp, Opera Latina, vol. II, 1617, p. 81. «Alcuni pochi commentatori protestanti del XVII, XVIII e XIX secolo, quasi tutti di lingua inglese, hanno intravisto l’elemento religioso nella presenza dell’argilla mischiata con il ferro. HUIT Ephraim, The whole prophecy of Daniel explication.., London 1644, p. 60, è il primo esegeta del libro di Daniele nel Nuovo Mondo, che l’ha chiaramente identificata per presentare l’unione della Chiesa cattolica romana e gli Stati d’Europa. Benjamin GALE (1715-1790), A Brief Essay, or an Attempt to Prove, From the Prophetick Writings of the Old and New Testament, What Period of Prophecy the Church of God Is Now Under, New-Haven, 1788, p. 10, vedeva in questo simbolo l’ultima forma della tirannia di Roma, nella quale “il potere civile ed ecclesiastico sono uniti e mischiati”. David AUSTIN, The Downfall of Mystical Babylon; or, A Key to the Providence of God, in the Political Operations of 1793-4... A discourse, 1798, p. 388, stima ugualmente che l’impasto di ferro e d’argilla può presentare il potere civile ed ecclesiastico di Roma. Tra i teologi europei ne conosciamo due che hanno sostenuto questa interpretazione. Thomas SCOTT, The Holy Bible... Whit Original Nones Protocal Observations, and Copious Marginal References, London 1805, nota su Daniele 2:38-45; commentatore ben conosciuto della Chiesa anglicana, dichiara che il miscuglio di ferro e di argilla rappresenta gli elementi secolari ed ecclesiastici» J. Zurcher, o.c., p. 165. (Vedere FROOM LeRoy Edwin, The Prophetic Fait of Our Fathers, vol. III, Review and Herald Publishing Association, Washington D.C., pp. 62, 216, 241, 348). Riteniamo doveroso ricordare in questa nota chi più di altri si è dilungato in questa spiegazione e l’ha documentata al meglio. Di lui riportiamo anche delle citazione. Si tratta di Louis Gaussen, teologo ginevrino, specialista delle profezie di Daniele, che nel 1837 vi vedeva lui pure l’unione della Chiesa e dello Stato: «Il ferro e la terra, cioè il potere politico ed il potere ecclesiastico» o.c., p. 186. «Fra i predicatori milleriti, tra il 1798 e il 1844, solo Henry DANA WARD, Glad Tidings “For the Kingdom of Heaven Is at Hand”, New York 1838, pastore episcopale di New York, fervente sostenitore di William MILLER, fa una breve osservazione a proposito del miscuglio ferro ed argilla, che considera come il simbolo dell’unione della Chiesa e dello Stato, le cui origini risalgono all’epoca di Costantino» E. Froom, idem, vol. IV, pp. 573,574. WHITE James, Exposition of Daniel 2:31-44, in Review and Herald, ottobre 1854, p. 93 diceva che il potere romano, il ferro, era influenzato dal potere papale, l’argilla (cit., idem, p. 1114). Uriah SMITH in un articolo nella Review and Herald, del 31 ottobre 1864 scriveva: «Roma, o la potenza del ferro, sotto l’influenza dell’autorità del papato, o la Roma papale, si è essa stessa estesa all’argilla al punto di mischiarsi con lui, mantenendo così la forza del ferro». Questo autore però nella sua opera successiva, Daniel and the Revelation, Review and Herald Publishing Association, Washington, D.C., riedizione 1944, non dice nulla di questa spiegazione. WHITE Ellen nella Review and Herald del 6 febbraio 1900, scriveva: «Il miscuglio del potere della Chiesa e quello dello Stato si trovano rappresentati dal ferro e dall’argilla. Questa unione non può che indebolire tutta la potenza delle chiese. Ed il fatto d’investire la Chiesa del potere dello Stato non può che produrre dei cattivi risultati» SDABC, o.c. vol. IV, p. 1169; cit. E. Froom, idem, vol. IV, p. 1141. Già l’anno prima E. White aveva scritto nel manoscritto n. 63 del 1899: «L’unione del potere ecclesiastico e del potere politico»; cit. da The Ministry, dicembre 1948; cit. E. Froom, idem, vol. IV, p. 1141. A parere di questa autrice la diminuzione di valore dei materiali della statua, dall’oro all’argilla, non rappresenta solamente «il deterioramento del potere e della gloria dei regni terrestri», ma anche «il deterioramento della religione», Youth’s Instructor, 22 settembre 1903, p. 6; cit. da Froom, o.c., p. 1140,1141. Il maestro A.F. Vaucher che condivide questa spiegazione: ferro e argilla, potere politico e potere ecclesiastico, scrive che essa si ritrova già presso WICLIFF J., Bibelkommentar ed. Gustav Adolf Benrath, Berlino 1966, p. 85; J.P. POLIER; Mac CAUSLAND D., The letter days, pp. 336,337,353; Charles Taze RUSSEL ed è sviluppata ampiamente da Gaussen (vedere VAUCHER Alfred, Fer et argile, in Revue Adventiste, ottobre 1949; Lacunziana I, 1969, pp. 30,31). AUCLAIR Raoul, Le livre des Cycles, Paris 1947, pp. 44,45. A conoscenza del teologo J. Zurcher, o.c., p. 165,166, tutti i commentatori avventisti si sono tenuti all’interpretazione di U. Smith che segue la spiegazione classica protestante: ferro, nazioni forti; argilla, nazioni
Dopo il 312 d.C. un grande cambiamento fu introdotto nel governo e nella costituzione interna dell’Impero Romano. Molti ecclesiastici della Chiesa romana e vari storici hanno spesso definito la Chiesa “Imperium in Imperio”; in altre parole: “l’argilla nel ferro”. «La conversione di Costantino è il fatto più importante della storia del mondo mediterraneo tra la costituzione della egemonia romana e lo stabilimento dell’Islam. È a lui che si deve il trionfo del Cristianesimo».108 Costantino, liberando la Chiesa dalle catacombe, proibendo la persecuzione, col tempo liberò i ministri cristiani dalle imposte, li arricchì di onori e di doni regalando loro nelle più potenti città del suo impero molti palazzi. Nella stessa Roma donò i palazzi del Laterano edificando la basilica omonima e costruendo quella di S. Pietro. Stabilì un governo ecclesiastico riconosciuto dallo Stato e sanzionato dalle leggi. «Chiunque ha un processo può, in qualunque momento dell’istanza, e anche quando la sentenza sta per essere pronunciata dal giudice laico, dichiarare che fa appello al giudizio della Chiesa... Anche davanti alla giurisdizione civile, la testimonianza di un vescovo è indiscutibile e niente gli può essere opposto».109 I suoi successori continuarono la sua opera, così il clero, cioè i ministri della religione, divennero una potenza che ben presto uguagliò quella dei monarchi. Però, «Costantino... poneva o revocava i vescovi, riuniva a suo piacimento e presiedeva i Concili,110 controllava i loro decreti e li pubblicava come sue proprie leggi; quando Costantino costituì il clero della Chiesa cristiana come un corpo dello Stato, riconosciuto dai suoi codici, mantenuto dalla sua autorità, alloggiato nei suoi edifici, nutrito con le sue derrate, sostenuto dai suoi soldati, vendicato dal suo boia, non dubitava che poneva nell’impero un altro impero, nel suo regno un altro regno, nel ferro l’argilla, e che questo regno nuovo avrebbe ben presto avuto la sua capitale, le sue province, i suoi governatori di provincia, le sue milizie, i suoi tributi e i suoi tribunali».111 Costantino finché visse dominò la situazione, ma i suoi successori, seguendolo nella loro magnanimità nei confronti dell’argilla, se la fecero sfuggire di mano. «Questa unione contro natura tra Chiesa e Impero, Governo e Clero, Religione e Politica... non ha cessato di corrompere la Chiesa e di affaticare lo Stato, di essere per i preti un inebriante veleno, e per i principi un fatale incubo, in cui essi hanno consumato la loro forza, tormentato la loro potenza e perduto la loro saggezza... Come vediamo dei piccoli bambini ritornare continuamente presso un vecchio furbo, per ripetere continuamente uno stesso gioco che li imbroglia, così si sono visti i principi di secolo in secolo ritornare senza posa al clero, più vecchio e più abile dei deboli. Fanno eccezione a nostra conoscenza: A.F. Vaucher, o.c.; P. Lanarès, o.c., e J. Zurcher, o.c., pp. 162-166. 108
LOT Ferdinando, La fin du monde antique et le début du Moyen Âge, Paris 1927, p. 44.
109
Cit. da PAGANIOL A., L’empereur Costantin, Paris 1931, pp. 180,181. Il 5/5/333 sentenziò le regole dell’intervento episcopale nella giurisdizione civile che erano forse già state formulate nel 321.
110
Costantino, pur non essendo cristiano, convocò il Concilio di Nicea nel 325 e al cristianesimo non si convertì mai anche se sul letto di morte ricevette il battesimo. «Se si intende per conversione un rinnovamento morale e interiore, la risposta sarà sempre negativa» F. Lot, idem, p. 36. 111
L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 177,178.
loro saggi, per ricevervi così di secolo in secolo gli stessi errori, gli stessi malcontenti, le stesse risposte, gli stessi rifiuti».112 Già M. Guizot, ministro del re Luigi Filippo, professore della facoltà di lettere a Parigi, molto considerato per il suo talento, faceva notare che in qualunque popolo dell’antichità se il clero è sovrano, esercita, nello stesso tempo, anche il potere temporale, nel nome della sua supremazia spirituale; se sovrano è il potere temporale, uomo o senato, esso è rivestito degli uffici religiosi come delle magistrature civili, e governa sia il clero sia il popolo. Così l’Egitto è sotto la dominazione del sacerdote; a Roma, i patrizi sono anche i pontefici: là prevale la teocrazia, qui la religione è subordinata, ma in tutti i casi, il potere spirituale e il potere temporale sono confusi e posti nelle stesse mani. Il destino della nostra Europa è stato diverso; nel momento in cui sulle rovine dell’Impero Romano sono sorti i popoli moderni, due società assolute si sono trovate contrapposte: da una parte i barbari conquistatori, dall’altra il clero cristiano. Divise per natura, origine, popoli e lingua, le due società erano pertanto costrette a vivere assieme; poiché esse avevano, sia l’una sia l’altra, qualcosa da cui difendersi e sussistere per il proprio valore. Esse si avvicinarono e si allearono ma senza confondersi. I Barbari divennero cristiani: il clero cristiano prese posto nell’aristocrazia barbara; ma le due caste, le due società restarono profondamente distinte, ognuna d’esse ebbe la sua funzione, la sua organizzazione, le sue leggi, le sue giurisdizioni, la sua milizia, il suo sovrano.113 Nella storia dei popoli, il clero, gli addetti al culto, alla religione, grazie al matrimonio potevano trasmettere ai loro figli la propria opera. La Chiesa romana, a causa del celibato, per la sua sopravvivenza è stata costretta a ricorrere all’esterno della sua gerarchia, nel laicato, per avere uomini per perpetuarla. Così queste due forze, temporale ed ecclesiastica, sorgono dalla stessa famiglia, dallo stesso seme, dallo stesso connubio. Gesù aveva detto a Pilato: «Il mio regno non è di questo mondo»,114 ma nel corso della storia la Chiesa abbagliata dal potere, dalle ricchezze, dall’ambizione del mondo ha dimenticato le parole del Maestro e ha cercato in questo mondo ciò che Gesù ha rifiutato nella tentazione:115 è diventata l’argilla di questo mondo. Estendendo la sua influenza sulle anime, l’ha esercitata anche sui corpi e, credendo di anticipare nel presente la realtà del regno di Dio che viene, col tempo ha dimenticato la beata speranza del ritorno del suo Signore. Ha cominciato a battere i suoi confratelli,116 coloro che non la pensavano come lei e contestavano il suo dispotismo. Contemporaneamente ha cessato di insegnare, ha nascosto e negato anche l’insegnamento della Parola di Dio che annunciava il regno millenario di Cristo.117 Se i Romani erano il ferro e i Barbari l’argilla, Daniele non avrebbe potuto dire che essi non si sarebbero potuti unire, fondere, amalgamare. In Italia, Francia, 112 113 114 115 116 117
Idem, p. 178. GUIZOT M., II Leçon sur l’Histoire de la Civilisation Française, p. 3; cit. da L. Gaussen, idem, t. II, pp. 182,183. Giovanni 18:36. Luca 4:6,7. Matteo 24:49. Vedere nota n. 7, capitolo XXII, p. 880 e seg..
Spagna, Portogallo. Chi oggi potrebbe dire di discendere da un romano anziché da un goto? Daniele presenta questi due poteri: politico e religioso. Infatti, spesso i figli di uno stesso padre hanno occupato l’uno il trono del re e l’altro quello del papa, l’uno il comando dell’esercito, l’altro la guida del convento; l’uno avente l’autorità del magistrato; l’altro quella del prete; l’uno capitano, e l’altro vescovo. Gli interessi dei fratelli però non erano gli stessi e non hanno fatto altro che dividerli. Questi due poteri indipendenti e in opposizione trovano un’intesa, una alleanza di comodo di fronte a un pericolo comune, ma, passato questo, pur provenendo dallo stesso ceppo si combattono, o nel migliore dei casi rimangono semplicemente divisi. L’interdipendenza tra religione e politica con Costantino finì. «Nell’Impero Romano, dando ai sacerdoti un potere costituzionale, sostenendoli con la spada dei principi, stabilendo come legge universale per tutta l’Europa che si pagasse a loro la decima, si è sempre dappertutto proclamata la separazione della Chiesa dallo Stato. Essi sono dunque stati separati senza essere separati, associati senza essere associati, uniti e disuniti, dipendenti ed indipendenti».118 Come abbiamo detto, con la caduta dell’impero, con l’inizio delle dita, le invasioni barbariche divisero l’impero ma la situazione politico-religiosa non cambiò; il ferro, potere politico, coesistette con l’argilla del vasaio, potere religioso, cioè con la chiesa corrotta che corrompe i costumi. I Barbari, pur dividendo l’impero, ne assorbirono gli usi, la religione, il culto, le leggi, la lingua, facendo sì che essi continuassero il quarto impero sotto una forma nuova. Del resto, come riconosce anche l’abate Fabre d’Envieu: «Il periodo dei dieci regni è una delle fasi della storia dell’Impero Romano, e... i dieci regni saranno un seguito di questo impero fino alla fine dei secoli».119 In Roma coesiste: «la Roma antica, la Roma del Medio Evo e del Rinascimento e la Roma moderna».120 La Chiesa dei barbari si chiama la Santa Chiesa latina; la loro religione: la santa religione romana; il loro impero: il santo romano impero o impero dei latini; la loro lingua: la santa lingua latina, e la loro storia: la storia della Chiesa. Qualsiasi libro di storia presenta l’attività dell’argilla melmosa di vasaio con il ferro e ciò che essi hanno causato alla nostra vecchia Europa!... In una sala del Vaticano, dove i dipinti rievocano i trionfi del papato sulle varie potenze, sono stati esposti due quadri di Raffaello. Nel primo si vede il grande imperatore Giustiniano seduto sul suo trono e nel quadro a fianco l’altro imperatore, il papa Gregorio IX, egli stesso seduto sul suo trono. Ai piedi dell’imperatore un giureconsulto è in ginocchio, ai piedi del pontefice, nella stessa posizione, c’è un avvocato concistoriale. L’imperatore e il papa tengono in mano un libro che porgono agli uomini inginocchiati. Questi due libri sono: uno il codice civile romano che ha retto fino a non molto tempo fa l’impero nel “suo ferro”, e l’altro è il codice ecclesiastico romano che ha retto fino a non molto tempo fa l’impero nella “sua argilla di vasaio”. Il vescovo Doellinger così riassume la politica dell’argilla in Italia: «La politica 118 119 120
L. Gaussen, idem, pp. 179, 180. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, Paris 1891, p. 667. LANFREY P., Histoire politique des papes, Paris 1860, p. 38.
dei papi nella Penisola si propose d’impedire che l’Italia diventasse una nazione; essi hanno seguito questa politica dalla caduta dell’impero fino ad oggi. Quando il regno dei Goti successe a quello degli Eruli, i papi lo favorirono finché non fece loro ombra; ma appena divenne troppo forte, chiamarono in loro soccorso quegli imperatori d’Oriente che tanto fecero per espellerli; poi chiamarono i Franchi contro i Longobardi, come sempre hanno chiamato lo straniero non appena hanno visto apparire in Italia un centro di unità, un potere nazionale... Tutta la storia del papato si riassume nell’arte di eccitare un principe contro un altro, un vescovo contro un altro, un principe contro un vescovo e viceversa. E quando non aveva a propria disposizione le armi civili, in qualità di esecutori delle sue rivendicazioni, Roma aveva sempre sotto mano l’esercito dei frati».121 Tentativi per formare un impero omogeneo se ne fecero molti nel passato: nell’800 Carlo Magno, incoronato da Leone III nella notte di Natale, diede nascita al Sacro Romano Impero del quale Voltaire dirà che non era né Sacro, né Romano, né Impero. Con Carlo Magno, per la prima volta, dei sovrani ricevettero dal Papa la corona e «i re dovettero pentirsi più d’una volta d’aver lasciato prendere al pontefice di Roma un così pericoloso privilegio».122 L’imperatore Enrico IV dovette recarsi a Canossa da Gregorio VII per chiedergli di togliergli la scomunica affinché cessasse di «errare... di città in città, mendicando invano dei soccorsi che tutti i popoli gli rifiutavano».123 Il 18 gennaio 1077 ci fu il miracolo di Canossa «dove Cesare, umiliato, bacia piangendo il piede di Pietro».124 Federico II, egli stesso imperatore, a causa dei suoi contrasti col vescovo di Roma, dopo essere stato scomunicato più volte, dovette riconoscere al papa il suo potere di argilla. Carlo V nel XVI secolo, sebbene avesse un vasto dominio coloniale, ebbe tante lotte all’interno del suo regno a causa del suo connubio con il potere ecclesiastico, che alla fine logorato e stanco, dopo avere speso somme enormi in guerre, si ritirò in un convento. Filippo II, suo erede, volendo riunire sotto di sé l’Europa cattolica, si schierò contro i Paesi protestanti e fece annegare il suo vasto regno nell’inquisizione. Il Barbarossa, nel formare un impero universale, cozzò contro l’argilla e fu costretto da Adriano IV a tenere le briglie del suo cavallo in segno di omaggio. Quando a Venezia si dovette inginocchiare davanti a Innocenzo III per baciargli i piedi, con un supremo tentativo di indipendenza da Roma, volendo mostrare un omaggio non alla persona del Vescovo dei vescovi, ma al simbolo della cristianità mormorò: «Non a te, ma a Pietro». Al che Innocenzo, erede di Gregorio VII, replicò: «E a Pietro e a me!». E Barbarossa piegò la testa fino al sandalo dell’ecclesiastico. Quando nel 1162 Barbarossa offrì a Ginevra l’indipendenza dispensandola da ogni 121
DOELLINGER dr. Ignazio von, Il Papato dalle origini fino al 1870, Mendrisio 1914, p. 71, nota n. 106, p. 133, nota n. 121. 122 123 124
P. Lanfrey, o.c., p. 38. CARRIERE Jean, Le Pape, Paris 1934, p. 96. Idem, p. 97.
atto di vassallaggio, pose come condizione «che si cantassero per tre giorni delle litanie per la salute dell’impero». Malgrado questo, come il ferro non si amalgama con l’argilla, così essa non pervenne mai a dominare sui popoli, sebbene spiritualmente le fossero sottomessi. I tentativi per unire l’Europa sono stati molteplici e di natura anche diversa. Giuseppe Mazzini fondò la Giovine Italia e la Giovine Europa e possiamo riconoscere che la sua azione fu certamente alla base del sorgere di numerosissimi movimenti europeistici di natura culturale, economica, sociale e politica. Victor Hugo, prendendo la parola all’apertura del Congresso della pace riunito a Parigi il 21 agosto 1849, diceva: «Giorno verrà in cui la guerra apparirà così assurda e impossibile tra Parigi e Londra, tra Pietroburgo e Berlino, tra Vienna e Torino, quanto apparirebbe assurda e impossibile, oggi, tra Boston e Filadelfia. Giorno verrà in cui tu Francia, tu Italia, tu Inghilterra, tu Russia, tu Germania, voi tutte o nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità particolari e le vostre gloriose individualità, vi fonderete strettamente in una unità superiore e costituirete la fraternità europea. Giorno verrà in cui si vedranno questi due immensi blocchi contrapposti, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa tendersi la mano al di sopra dei mari». E lo stesso Victor Hugo non si stancava mai di proclamare: «Nel XX secolo si avrà una nazione straordinaria, illustre, ricca, intelligente, pacifica, senza prigioni. Questa nazione avrà per capitale Parigi e si chiamerà Europa». Ma quale è la realtà? La “nazione” Europa nel XX secolo ha scatenato due guerre mondiali, e il potere ecclesiastico, cioè l’argilla, ha giocato un ruolo importante. «È stabilito con certezza che nel 1914 come nel 1939, il Vaticano stette sempre dalla parte tedesca. Perché? Perché egli ama i tedeschi? No! Perché egli non ama la democrazia alla quale si richiamano gli alleati».125 Infatti il papato in passato ha dimostrato di non aver mai amato la democrazia e lo conferma l’enciclica di Gregorio XVI del 1832 Mirari vos che condanna i principi del 1789. Pio IX nella sua Enciclica Quanta cura e nel Syllabus, appendice dell’enciclica, pubblicata nel 1864, condanna nuovamente la laicità dello stato, la libertà di coscienza e di stampa, la separazione fra Stato e Chiesa, ribadendo che la Chiesa ha il diritto di reprimere anche con pene temporali colui che si rifiuta di obbedire alle sue leggi (come avveniva nel Medio Evo). «Nell’Enciclica Pascendi (8 settembre 1907), alle dottrine imprudenti professate dai liberali, Pio X oppose i princìpi nel nome dei quali la Chiesa ha sempre combattuto, in un Paese cattolico, che lo Stato e la Chiesa siano indipendenti l’uno dall’altra. Se lo Stato cattolico non tratta la Chiesa come amica ed alleata, fa di essa un’intrusa, una tollerata: lo Stato e la Chiesa possono solo essere alleati. Il cristianesimo apolitico è un non senso; lo stato cattolico areligioso è un controsenso... Il 21 giugno 1921 a Montecitorio Mussolini diceva: “Io affermo che la tradizione latina e imperiale di Roma è rappresentata oggi dal cattolicesimo... io penso e affermo che la sola idea universale che esiste oggi a Roma sia quella che risplende dal Vaticano”.126 125 126
BURE Émile, L’ordre de Paris, 9/1/1947; cit. da PARIS Edmond, Le Vatican contre l’Europe, Paris 1969. PERNOT Maurice, Le Saint Siège, L’Eglise catholique et la politique mondiale, Paris 1924, pp. 22,89.
La Chiesa voleva concretizzare a suo vantaggio questa tradizione imperiale con «il nazismo che è una reazione cristiana contro lo spirito del 1789»,127 (cioè della Rivoluzione francese) così diceva Franz von Papen, cameriere personale del papa ed aggiungeva: «Il Terzo Reich è la prima potenza del mondo non solamente a riconoscere, ma a tradurre nella pratica gli alti princìpi del papato».128 Del resto «Hitler ha preso il potere grazie agli intrighi di von Papen...».129 «Come il Cristo ha riunito i suoi dodici discepoli in una corte fedele fino al martirio, così noi siamo testimoni d’uno spettacolo identico. Adolfo Hitler è in verità lo Spirito Santo» diceva il ministro degli affari ecclesiastici del III Reich, Hans Kerll.130 Nei confronti del nostro dittatore, l’allora cardinale Achille Ratti nel 1921 diceva: «Mussolini avanza a grandi passi... Mussolini è un uomo formidabile. Mi capite bene? Formidabile...».131 «Il 16 novembre 1922, la Camera doveva accordare la sua fiducia a Mussolini, con 306 voti contro 116, e a questa seduta si doveva vedere il gruppo cattolico, sedicente democratico-cristiano, votare all’unanimità per il primo governo fascista...».132 «Dieci anni più tardi la stessa manovra portò in Germania lo stesso risultato. Lo Zentrum cattolico di Mgr. Kaas assicurava con il suo voto massiccio il dittatore nazista».133 Il 30 maggio 1929 Pio XI scriveva al cardinale Gasparri: «Stato cattolico si dice e si ripete, ma Stato fascista; ne prendiamo atto senza speciali difficoltà, anzi volentieri anche perché ciò vuole dire che lo Stato fascista, tanto nell’ordine delle idee e delle dottrine quanto nell’ordine dell’azione pratica, nulla vuole ammettere che non s’accordi con la dottrina e con la pratica cattolica senza la quale lo Stato cattolico non sarebbe né potrebbe essere».134 In Spagna l’argilla, che è stata sempre difesa e in soccorso della quale si è costituita l’Inquisizione, ha sostenuto il generale Franco durante la guerra civile, dopo che libere elezioni avevano deposto la monarchia. Noi crediamo che la Chiesa abbia una responsabilità nei confronti degli oltre quattro milioni di morti barbaramente uccisi dal “caudillo”, sui quali ha taciuto, confermando, appoggiando e sostenendo in tal modo l’azione del dittatore, da essa considerato il suo paladino. Il 23 maggio 1939 l’Osservatore Romano scriveva: «Franco offre solennemente a Dio la sua spada 127 128 129 130 131 132
Cit. E. Paris, idem, p. 71. Idem, p. 221. WINKLDER Paul, Allemagne secrète, Paris 1946, pp. 177,193; cit. idem, p. 81. GUERBER André, Himmler et ses crimes, Paris 1946, p. 91; cit. idem, p. 66. L’Illustration, 9/1/1937, p. 33; cit. idem, p. 54. NENNI Pietro, Six ans de guerre civile en Italie, Paris 1930, p. 146; cit. idem, p. 57.
133
E. Paris, idem, p. 57. «In Germania, il nunzio a Berlino, Mgr Pacelli, e Franz von Papen, cameriere personale del papa, preconizzano “l’unione con Roma” e lavorano per rovesciare la Repubblica di Weimar. I cattolici tedeschi sono ostili al nazismo, ma si fa loro sapere che il papa è “personalmente favorevole a Hitler”. Di conseguenza, lo Zentrum cattolico, asse di tutte le maggioranze parlamentari, vota i pieni poteri a Hitler il 30 gennaio 1933. L’operazione è prontamente seguita, come in Italia, dalla conclusione di un concordato molto vantaggioso per la Chiesa romana. L’episcopato tedesco presta giuramento di fedeltà al Führer e le gioventù cattoliche si fondono con le gioventù naziste» Idem, p. 345.
134
Acta Apostoliche Sedis Anno XXI, vol. XXI, 11.7.1929, n.7, p. 303.
vittoriosa». Ricevuto solennemente nella Basilica di S. Barnaba da sua eminenza il cardinale Coma y Thomas, arcivescovo di Toledo, «ha consegnato la sua spada al Signore, supplicandolo di accettare lo sforzo compiuto dal popolo tutto che insieme con lui e nel nome di Dio, ha vinto con eroismo il nemico della verità in questo secolo. Al Signore Iddio... chiedo quindi l’aiuto per condurre il popolo verso mete sempre più alte, per la gloria del Signore... e della Chiesa».135 Dal 1939 al 1944, in cinque anni ordinava l’esecuzione di 192.640 prigionieri della guardia civile, una media di 100 esecuzioni al giorno. Il governo di Franco si è mantenuto fino negli anni “70 grazie al clero che si è, nel contempo, pinguemente arricchito di ogni cosa, «possedendo il terzo delle terre».136 Franco aveva così ben capito che i regimi totalitari, di quell’Europa continuatrice dell’Impero Romano, avevano una stessa matrice e, a segno della sua alleanza con la dittatura nazi-fascista-vaticana, aveva incorniciato questa triade appendendola al muro del suo ufficio con i quadri di Hitler, Mussolini e Pio XII, quest’ultimo al centro. Quando Hitler morì il 3 maggio 1945 Franco faceva scrivere sui suoi giornali: «Adolfo Hitler, figlio della Chiesa cattolica, è morto difendendo la cristianità. Si comprenderà dunque come la nostra penna non trovi delle parole per piangere la sua morte, quando per contro essa ne aveva trovate tante per esaltare la sua vita. Sui suoi resti mortali si drizza la sua figura vittoriosa. Con la palma del martirio, Dio rimetta a Hitler i lauri della Vittoria».137 Questo figlio tedesco fu talmente prediletto dall’argilla che a Madrid il 12 maggio 1970 si è celebrata una S. Messa funebre in commemorazione del 25° anniversario della sua morte.138 Tutto questo perché? «La guerra di Hitler, dichiarava il cardinale Baudrillart il 30 luglio 1941, è una nobile impresa per la difesa della cultura (cattolica) europea».139 Monsignor Tiso, che era capo della repubblica slovacca, creata da Hitler, nel 1939 dichiarava: «Il cattolicesimo e il nazismo hanno molti punti in comune ed essi operano con la mano nella mano per riformare il mondo».140 Le parole di papa Giovanni XXIII dovrebbero far riflettere: «Per Noi, Noi non ci allontaniamo, nei confronti della stimatissima nazione germanica, dall’esempio che Ci è stato dato dal Nostro predecessore (Pio XII)...».141 Luigi Barzini, nel suo promemoria a Kissinger per capire la politica italiana, scriveva il 14 novembre 1974: «Vi è, inoltre, da noi la presenza incomoda della Chiesa universale, con il suo grande potere politico temporale, che complica tutto. È un problema secolare che oggi si è di molto aggravato. La Chiesa ha dato vita, voti, e potere al più grande partito italiano, si direbbe non per governare e far prosperare 135 136 137 138 139 140 141
L’Osservatore Romano, 23/5/1939. E. Paris, o.c. p. 335. Réforme 21.1.1945; cit. Idem, p. 116. La Nazione di Firenze, 13/5/1970, p. 13. Cit. E. Paris, o.c., p. 343. Siamo noi che abbiamo aggiunto la parola “cattolica”. CIANFARRA Camille, La guerre et le Vatican, Paris 1946, p. 202; cit. Idem, p. 169. La documentation catholique, 15/3/1959; cit. E. Paris, idem, p. 363.
l’Italia ma (come ha detto all’incirca Machiavelli) per impedire che altri la governassero contro gli interessi del Vaticano. La stessa Chiesa, come lei sa, è in crisi e le sue incertezze e il suo complesso d’inferiorità verso il mondo moderno si riflettono disastrosamente in molti modi nella politica italiana...».142 Come l’argilla è distinta dal metallo ed è di natura diversa, così il potere ecclesiastico è distinto, diverso dal potere politico. Ma perché il potere politico è stato sempre spinto a entrare in relazione con l’argilla? I motivi sono principalmente tre: - La Chiesa cattolica ha avuto e ha una grande forza morale, sociale e politica e quindi si ha bisogno che questa forza sia propizia, favorevole al governo e non ostile. - Il potere politico ha giudicato utile conoscere, con una osservazione diretta e costante, i movimenti, le tendenze e i disegni della politica cattolica romana, perché questa politica è mischiata, in una forma più o meno diretta, a ogni affare del mondo. - Gli Stati sono obbligati a riconoscere il diritto dell’autorità spirituale, ma per restare padroni a casa propria devono regolamentare le pratiche religiose e devono quindi trattare con Roma.143 Questa realtà è talmente vera che «nessun avvenimento politico può essere valutato nel suo giusto valore nel momento attuale se non si conosce la parte che ha assunto il Vaticano e si può dire che non esistono ai nostri giorni organismi nei quali il Vaticano non giochi direttamente o segretamente un ruolo importante».144 Su questa realtà contemporanea S.E. Mons. Agostino Casaroli ha tenuto una conferenza stampa il 10 dicembre 1974 il cui testo è stato poi pubblicato sull’Osservatore Romano del 29 dicembre. Il suo discorso iniziava con queste parole: «Le conferenze e le riunioni internazionali, che costituiscono per il loro numero e per la loro varietà uno dei tratti caratteristici della nostra epoca, vedono frequentemente la presenza, sino a qualche decennio fa inusitata, di rappresentanti della Santa Sede. Quali partecipanti su piedi di parità con quelli degli Stati, o più spesso in veste di Osservatori, essi stanno a dimostrare l’interesse concreto con il quale la Santa Sede segue i problemi della Comunità internazionale... Se la partecipazione della Santa Sede a conferenze e riunioni del genere rappresenta un fenomeno, per così dire, moderno, multisecolare è invece il riconoscimento del suo diritto a far parte della Comunità internazionale... (Dopo aver messo in relazione questo minuscolo stato con altri più estesi e potenti e con le superpotenze, bisogna riconoscere che sebbene abbia)... un insignificante piedistallo, sul quale si libra, però, ha le ali spiegate a coprire l’intero orbe, un potere indipendente e sovrano; rispettato e stimato, oppure sospettato e combattuto, ma che si impone per la sua statura, la sua storia, il suo influsso... Il Sacro Romano Impero era stato spazzato via dal ciclone napoleonico... Restava il Papa». Queste parole ci fanno capire e valutare il perché l’avvocato Edmond Paris, pubblicando il suo libro: Le Vatican contre l’Europe, les documents accusent - Il Vaticano contro l’Europa, i documenti accusano - (con il quale considera il ruolo del Vaticano prima e durante la 142 143 144
362.
Europeo, stessa settimana. Vedere M. Pernot, o.c., p. 60. SHIPLER Guy Emery; cit. MANHATTAN Avro, The Vatican and World Politics, New York; cit. da E. Paris, o.c., p.
II guerra mondiale) scrive: «Io dedico questo libro ai Signori Delegati de l’UNESCO, organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, le scienze, la cultura al servizio della pace. Possa esso apportare il suo contributo ai loro lavori, nell’inchiesta approfondita che essi conducono sulle cause permanenti di conflitto del mondo». Il pericolo oggi è tanto grande perché, come dice sempre Mons. Casaroli. «L’esperienza di non pochi anni presso l’ONU come presso l’UNESCO, la FAO e altre organizzazioni del genere, sembra positiva. Senza fare un principio assoluto, la Santa Sede continua pertanto su questa via». L’argilla e il ferro coesisteranno fino alla fine; ma non dimentichiamo che la storia c’insegna che tutte le volte in cui questi poteri si sono alleati, hanno trovato un accordo, un interesse comune, si sono formate le crociate, sono scoppiate guerre e ingiustizie. Benito Mussolini scriveva a tale proposito: «Quando Cesare porge la mano a Pietro / da quella stretta sangue umano stilla».145
Quinto impero universale: la pietra - regno eterno «E al tempo di quei re, l’lddio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto, e che non passerà sotto la dominazione d’un altro popolo; quello spezzerà e annienterà tutti quei regni; ma esso sussisterà in perpetuo, nel modo che hai visto la pietra staccarsi dal monte, senz’opera di mano, e spezzare il ferro, il rame, l’argilla, l’argento e l’oro. Il grande Iddio ha fatto conoscere al re ciò che deve avvenire d’ora innanzi».146 Questa è la parte più importante del sogno e possiamo pensare che occupasse la mente del re. La “pietra” nell’antichità aveva una connotazione religiosa. Il testo biblico ci autorizza a fare alcune considerazioni. Con le pietre si elevavano gli altari per i riti sacrificali (gli altari elevati all’Eterno erano realizzati con pietre non tagliate)147; il decalogo fu scritto su tavole di pietra148 e dalla pietra si traevano gli idoli149 oltre ad essere forgiati con i metalli150. La pietra viene anche presa a simbolo dell’Eterno e del Messia151. Da ciò possiamo dedurre che la pietra raffigura il Regno di Dio messo in contrapposizione alla statua raffigurante il regno degli uomini. La pietra non fa parte della statua, è distinta e separata da essa, è una potenza che non è di questo mondo, 145 146 147 148 149 150 151
MUSSOLINI Benito, Huss il veridico, ed. 1913. Daniele 2:44,45. Esodo 20:15,25. Esodo 24:12. Levitico 26:1. Daniele 3:5; 5:4,23. Salmo 118:22; Isaia 28:16; Zaccaria 3:9; Atti 4:11.
anzi lo colpisce e lo frantuma. La contraffazione di questo Regno-pietra, che vuole essere un potere in questo mondo, viene presentata nella statua come la molle argilla del vasaio, la Chiesa corrotta e che corrompe. Nel pensiero babilonese e dell’antichità la montagna era il simbolo dell’abitazione degli dèi152 e la pietra che si stacca da essa raffigurava un regno di origine celeste. 152
Il capitolo 2 è l’introduzione a tutta la rivelazione del libro e la sezione della parte escatologica: 2:45, la “pietra” e la “montagna” possono essere considerate i boccioli di cui il resto della rivelazione è la fioritura. Generalmente i commentatori hanno detto che la pietra raffigura la venuta del Messia nella sua potenza e la montagna è il simbolo del suo regno ristabilito. Studi più recenti hanno permesso di approfondire meglio il loro significato. Da un secolo JASTROW Morris, Religion of Babylonia and Assyria, ed. Athenium Press, Boston 1898, p. 614, faceva notare: «L’edificio sacro (il tempio) di Babilonia era inteso come dovendo essere una imitazione della montagna... (Questa era l’) idea del tempio babilonico. Conformemente alla nazione babilonica... la terra è rappresentata come una vasta montagna». «Jensen ha visto che i babilonesi vedevano la terra come una immensa montagna. Infatti la terra era chiamata E-kur, “Casa Montagna”. Successivamente essi però incominciarono a identificare una particolare parte della terra, di preferenza una cima della montagna, come essendo l’abitazione della divinità, così che i templi che venivano costruiti successivamente erano conosciuti come “case montagne”. La parte alta del tempio, che costituiva il luogo dell’abitazione della divinità, simboleggiava la montagna che era stata la sua precedente casa originale» FARBRIDGE Maurice, Studies in Biblical and Semitic Symbolism, Ktav Publishing House, Inc., New York 1970, pp. 180,181. Del resto «tutte le grandi civiltà hanno conservato il fondamentale simbolismo di orientazione e l’immagine dell’insieme del cosmo nei loro templi. L’immagine del cosmo-montagna è rappresentata quasi dappertutto: il Monte Meru in India e un simile simbolismo lo troviamo in Mesopotamia, in Palestina ed in altre parti. La mesopotamica ziggurat è il più famoso esempio di tempio che raffiguri il cosmo montagna... I templi erano considerati allora come una replica di quella montagna centrale del cosmo che genera e preserva l’universo» New Catholic Encyclopedie, vol. XIII, “Temples”, Mc Graw - Hill Book Company, New York 1967, p. 997. Queste dichiarazioni ci fanno comprendere come per gli antichi orientali la “montagna” ed il “tempio” insegnassero la stessa verità - il regno dei cieli. Se si considera che «il passo centrale del libro di Daniele è il testo di 8:14, esso contiene la chiave del libro: “Allora il santuario sarà purificato (rivendicato)” e per i commentatori la rivendicazione è riconosciuta come il principale tema di Daniele - (perfino il nome del profeta significa: “Dio è il mio rivendicatore (difensore)”). - Tutto quel che precede e segue 8:14 contribuisce alla sua spiegazione.- Così Daniele 2:44,45 e 8:14 sono molto strettamente in relazione tra di loro più di quanto è stato capito finora. Il simbolismo del santuario è identificato con lo stabilimento del regno eterno simboleggiato dalla montagna» FORD Desmond, Daniel, (in lettere ebraiche), Nasville, Tennessee 1978, p. 85. A queste considerazioni dobbiamo aggiungere che in Oriente era ampiamente conosciuta la relazione “pietra di fondamento (angolare)” - “tempio” - “montagna”. Quando Gesù identificava la sua persona con la pietra angolare (Matteo 21:42), attribuiva a sé una precisa concezione del tempo e del suo popolo. «Questo concetto di una pietra animata (vivente) ed in espansione era molto conosciuta nel vicino Oriente. Deriva dal fatto che gli antichi guardavano al mondo come ad un corpo vivente, e si riferivano al suo centro come all’ombelico. L’ombelico era considerato come il punto dal quale il nutrimento era distribuito sull’intera terra e la prima parte della terra ad essere creata. Naturalmente ogni comunità contendente localizzava l’ombelico nel suo proprio centro di adorazione» FAWCETT Thomas, Hebrew Myth and Christian Gospel, SCM Press Ltd, London 1973, pp. 238,170. «La pietra ombelico è da prendere in considerazione con attenzione in questo studio perché era particolarmente considerata - e in modo speciale dagli Ebrei - come la pietra di fondazione della comunità tempio... Questa roccia... non è solo il fondamento del tempio, ma come l’ombelico (centro) della terra è il fondamento dell’intero mondo» LLOYD Gaston, No Stone on Another, ed. Leiden, J. Brill, 1970, p. 225. «È per questo che essi (gli Ebrei) parlavano dell’affiorare della roccia nel Santo dei Santi» VAUX Roland de, Ancien Israël, Mc Graw Hill Book Company, New York 1965, pp. 318,319. Inoltre «questa stessa idea dell’ombelico non solo è in relazione con la pietra di fondamento, ma anche riallaccia se stessa alla sacra montagna» R.J. McKELVEY, The New Temple, Oxford University Press, 1969, p. 203. Daniele 2 potrebbe presentare la pietra ombelicale che nutrendo la terra diventa un grande monte vivente, il tempio della dimora di Dio e dei suoi adoratori. Da queste considerazioni abbiamo un’ulteriore riprova del parallelismo del capitolo 2 con quelli che seguono: la pietra e la montagna sono posti a fondamento del santuario del capitolo 8, nel quale il capitolo 7 presenta il Figlio dell’uomo che compie l’opera di giudizio, cosa che comporta la purificazione del santuario stesso. Gli Ebrei erano familiari con la paronomasia (figura retorica per la quale si accostano due parole di suono simile o uguale) e ponevano in correlazione le parole: pietra (eben), figlio (ben), figli (benin) e costruire (banah). BLACK
«Per il profeta ebreo, la montagna riveste un senso ancora più specifico. Significa Sion o Gerusalemme153 ed evoca la residenza celeste, poiché la montagna di Sion, o Gerusalemme, è anche vista nel cielo.154 Il linguaggio del Salmo XLVIII:3 lo lascia intendere nella misura in cui la montagna di Sion è situata all’estremità del Nord lett. estremità el Zafon -, espressione tecnica che designa la dimora celeste di Dio155. Inoltre la parola aramaica tur utilizzata qui per montagna è l’equivalente della parola ebraica sur che significa “roccia”. Quando si conosce l’importanza di quest’ultima parola nella Bibbia per caratterizzare il Dio d’Israele, si realizza subito la ricchezza di questa evocazione. La pietra scaturisce dalla roccia (montagna) ed è per conseguenza di origine divina e partecipa alla sua essenza. Queste due parole “roccia” (sur) e “pietra” (eben) sono sinonime per rappresentare l’Eterno.156 Questo regno (la pietra che diventa un grande monte e riempie tutta la terra) è essenzialmente diverso perché scaturisce dalla montagna e la pietra diventa ciò che era all’origine, cioè “montagna”. Questa coincidenza tra l’origine e il risultato di questo regno sottolinea una volta di più la sua origine celeste».157 I primi interpreti cristiani Tertulliano,158 Ippolito di Roma,159 come pure gli esegeti ebrei,160 avevano considerato la pietra simbolica che doveva polverizzare la statua come l’elemento della profezia non ancora compiuto e che si riferiva al regno futuro e glorioso del Messia. Numerosi sono gli autori cattolici e protestanti che seguono questa spiegazione. Matthew dice: «La eben-ben (pietra-figlio) è una parola che piace ed è tra le antiche e meglio conosciute nel Vecchio Testamento» The Christological use of the Old Testament in the New Testament, in New Testament Studies, vol. XVIII, 1971-1972, p. 12; es. Giosuè 4:6-8,20,21; 1 Re 18:31; Isaia 54:11-13; Lamentazioni 4:1,2. Il dr. Philip CARRINGTON osserva che «già in Daniele la Pietra nasconde la parola Figlio»; essa è un criptogramma per Israele, e corrisponde al “Figlio dell’uomo” del capitolo 7. M. BLACK fornisce parecchi esempi provenienti dalle fonti rabbiniche di questa riconosciuta relazione tra “pietra” e “figlio” e conclude il suo articolo affermando che: «La cristologica Pietra testimonia la presupposizione che una esegetica tradizione in Israele interpretava Daniele 2:44,45, come il Figlio, il Figlio dell’uomo di 7:13, il quale può già essere stato interpretato messianicamente nel precristianesimo-giudaico, diventando poi il Figlio di Dio cristologico del Nuovo Testamento» D. Ford, o.c., p. 14. Daniele 2 nel suo simbolico quadro annuncia il Regno di Dio e viene completato dalla visione messianica del capitolo 7 la quale presenta l’investitura del Re nel Figlio dell’uomo. Il Regno di Dio tempio si realizza prima nella persona di Cristo Gesù, quale vero nuovo tempio (Giovanni 2:19; Marco 14:58), poi nella costruzione della Chiesa (Matteo 16:18; 1 Corinzi 3:16; 6:19; Efesi 2:21; 2 Tessalonicesi 2:4), per essere successivamente una realtà nei cieli (Ebrei 8,9; Apocalisse 11:19; 15:8) e per trovare il suo definitivo compimento nella Nuova Gerusalemme (Apocalisse 21:3,22) dove il tempio sarà sostituito dalla persona stessa di Cristo Gesù che manifesterà la shekinah essendo lui stesso il Signore, il vero tempio, e dagli adoratori nei quali Dio «sarà tutto in tutti» 1 Corinzi 15:28. Abbiamo così in Daniele 2 l’annuncio del Regno-Tempio; in Daniele 7 il Re di questo Regno e la presentazione dei cittadini a seguito del giudizio; in Daniele 8 la purificazione del tempio celeste, ha come conseguenza la purificazione della Chiesa, cioè dei credenti di tutti i tempi affinché possano vivere nel nuovo mondo; in Daniele 11 la fine dell’ultimo rappresentante della dinastia dell’empio, già profetizzata nei capitoli 2, 7, 8 e in Daniele 12 la pietra vivente, il Figlio dell’uomo, l’Emanuele, col nome di Micael che viene a consegnare il Regno ai santi. 153 154 155 156 157 158 159 160
Daniele 9:16,20; 11:45. Vedere Apocalisse 14:1-5; 21:1. Isaia 14:13. Isaia 8:14. J. Doukhan, o.c., pp. 55, 56. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. Tertulliano, Contre les Juifs, in Œuvre, tradotta da GENOUDE, III, 2a ed. Paris 1852, p. 47. Hippolyte, ed. Lefévre, II, XII, pp. 144,145. MIGNE, P.G., LXXXI, col. 1301,1302,1307-1310. RASCHI, I, 1713, p. 745 vedeva il Regno di Dio. Pure Manasseh ben Israel, Pietra gloriosa, p. 25
Al tempo di quei re, cioè nel nostro tempo storico (e sarà l’Apocalisse di Giovanni, che preciserà meglio il tempo), si installerà un altro regno, però «senza opera di mano», senza che la volontà degli uomini sia direttamente impiegata e che, quindi, se ne possa gloriare. Questo regno è di natura diversa, non è la continuazione del precedente, viene dal di fuori della civiltà umana e si stabilirà annientando, spazzando via quel paradiso senza Dio che, come vedremo, l’uomo tenterà di realizzare in un suo ultimo tentativo di rivolta contro il suo Creatore. Questo regno è quello nel quale abiterà la “giustizia”161 e sarà inaugurato col ritorno glorioso di Cristo Gesù. La montagna del versetto 45, dalla quale si stacca la pietra che colpisce la statua, è la rappresentazione figurata della potenza di Dio,162 la quale è sussistita in tutti i secoli, accanto o di fronte alla statua, ma che solamente alla fine manifesterà la sua realtà. Questa pietra che si stacca dal monte è l’emblema di Cristo Gesù163 che, al Suo ritorno, causerà la rovina del colosso di metallo dai piedi d’argilla stabilendo il Regno di Dio sulla terra in una forma visibile, indicato dalla pietra che assume l’aspetto d’una grande montagna. «La potenza del mondo è rappresentata in tutto il suo splendore: ma questo colosso di metallo riposa su piedi d’argilla; tutta la grandezza umana non è né solida né preziosa, è in realtà fine e fragile come la pula al vento. Il Regno di Dio, al contrario, non attira gli sguardi, è una pietra accanto alla quale si passa senza fare attenzione, ma questa pietra è una e compatta, mentre le potenze del mondo, composte d’elementi eterogenei, tradiscono di già la loro fragilità. La pietra e la montagna sono il regno della croce e il regno della gloria: nel momento in cui il regno di Dio rovescia gli imperi del mondo, non è più questione di un piccolo gregge, di un popolo disprezzato dagli altri: Essa trionfa, arriva all’impero del mondo, diventa un regno, nel senso più completo e più positivo di questa parola.164 L’Evangelo nobilita certamente la vita; ma perché ci sia veramente il diritto di parlare di glorificazione, bisogna che ci sia assolutamente nuova nascita; ora chi dice nuova nascita dice morte, poiché il Signore stesso non è arrivato alla gloria che per questa via dolorosa. I regni della terra devono dunque crollare e sparire prima di poter risuscitare su una forma nuova e diventare il regno di Dio e del suo Unto... Daniele ha dunque delle buone ragioni per mostrarci il mondo persistere fino alla fine nell’incredulità e per niente cambiare... neppure dopo la prima venuta del Salvatore. Gli stati moderni sono lontani dall’essere retti dallo Spirito del Signore; la storia testimonia abbastanza chiaramente che nella nostra cristianità la politica non è meno dominata dall’egoismo e dall’interesse materiale come nell’antichità; è lo spirito
161 162 163 164
2 Pietro 3:13. Isaia 2:2-4; Michea 4:1. Salmi 118:22; Isaia 28:16; Matteo 21:42; Luca 1:31-33; Atti 4:11; Efesi 2:20; 1 Pietro 2:4,6,7. Matteo 5:5; Luca 12:32; 22:28-30; Romani 8:17; Colossesi 3:3,4; 2 Timoteo 2:11,12; Apocalisse 19:15.
stesso direttamente opposto a quello dell’evangelo che lo ispira sempre di più».165 Al blocco unico della pietra si contrappone il regno della statua nella sua diversità dei materiali.
Conclusione Questa pagina profetica di Daniele è qui per affermarci che il nostro mondo non si evolverà in meglio e che le soluzioni dei nostri problemi non dipenderanno da alcun contributo umano, da tecniche o dal potere dell’uomo. «La teoria del progresso del XIX secolo, trasformata in una specie di religione, è falsa e non corrisponde alla realtà».166 «Noi non consideriamo più la storia con l’ottimismo e la fede nel progresso del XVIII e XIX secolo. Non vediamo con fiducia uno sviluppo sempre crescente della razza umana. Non crediamo che gli uomini da se stessi finiranno per scalare la sommità del Regno di Dio, al termine di una lenta ascensione. Al contrario, sentiamo di nuovo la formidabile potenza della morte che minaccia ogni vita. Noi vediamo un mondo separato dalle sue origini creatrici e che, abbandonato a se stesso, non ritrova più la strada; segue la sua propria via e rischia di allontanarsi sempre di più da Dio, di decomporsi nel suo divenire demoniaco».167 L’umanità che ha avuto la sua origine nell’Eden, allontanandosi da Dio si è sempre più degradata. Questa statua con il suo passare da un metallo all’altro ci indica una perdita del valore intrinseco e morale.168 «L’umanità può immaginarsi di andare di progresso in progresso. La Bibbia dice che essa discende; e malgrado uno sviluppo meccanico straordinario,... essa sfocia dal punto di vista morale e spirituale nell’abisso».169 La storia dell’uomo segue una marcia discendente. «Per la Bibbia l’uomo si può ben civilizzare, passare da uno stato di natura a quello di cultura, sempre restando un uomo carnale, naturale, irrigenerato.170 La gloria nel senso biblico della parola171 è qualcosa d’altro che la civiltà. La Bibbia che vede tutto dall’alto e che non perde mai 165 166 167
K. Auberlen, o.c., pp. 50,51,219,220. BERDIAEFF N., Vie Art Cité, n. 3, 1948, p. 25. DEHN G., Le Fis de Dieu, Commentaire à l’Evangile de Marc, Paris 1936, p. 22.
168
«Nella statua di Nebucadnetsar che ci mostra la successione degli imperi di questa terra fino allo stabilimento del regno di Dio, ogni impero nuovo si mostra inferiore a quello che l’ha preceduto, e questa marcia discendente non si ferma che dopo essere sfociata in una catastrofe. Questa inferiorità crescente non è per nulla una inferiorità di potenza, poiché, se voi comparate il capitolo 7 dove questi imperi sono rappresentati sotto forma di quattro bestie, vedrete che la quarta - almeno nella sua prima parte (2:40-42) - è superiore di molto in potenza a tutte quelle che l’hanno preceduta. La differenza dei metalli non può indicare che una differenza di valore che, dal metallo più prezioso, l’oro, discende al metallo più volgare, il ferro, fino a quando questo si mischia con l’argilla. La stessa verità è espressa dal fatto che il primo impero è posto nella testa, gli altri successivamente più in basso» STOCKMAYER Otto, Conférence sur la Prophétie, Lausanne1875, pp. 7,8. 169 170 171
R. Pache, o.c., p. 57. Colossesi 4:11. Romani 8:17,21.
di vista i fini ultimi che Dio si propone in tutte le sue opere172, ha delle nostre civiltà una opinione meno ottimista di noi, che, essendo nati dalla terra, siamo della terra e parliamo come essendo della terra. Noi siamo talmente accecati, imbrigliati nei fili dell’errore che non vediamo nulla al di là della nostra civiltà e che immaginiamo possa rimpiazzare la conversione, avere il posto della nuova nascita... Essa (storia) riconosce la superiorità dei Greci sui Persiani, e dei popoli moderni su quelli dell’antichità, ma unicamente sul rapporto della cultura intellettuale, e si rifiuta di vedere una vera superiorità; essa non pensa che questo genere di sviluppo faccia dei veri uomini, degli uomini che si avvicinino realmente al tipo ideale dell’umanità, tale quale appare nel Figlio dell’uomo».173 Daniele, come il popolo di Dio sotto la dominazione dei potenti di questo mondo, è un uomo libero, è l’unico libero. Tanto è vero che è il solo che possa spiegare il significato del vivere e il senso della storia e gioca un ruolo infinitamente superiore a quello di coloro che lo tengono sotto il loro dominio. È oggi al popolo di Dio che gli uomini possono chiedere come scoprire la vera libertà, quale sia il fine della storia e lo scopo della vita. «Il regno di Dio è lo scopo della creazione e il termine verso il quale Dio dirige la storia del mondo. Il regno di Dio è la base invisibile sulla quale riposano gli imperi della terra, è anche la forza invisibile che li rovescerà e li distruggerà».174 La statua rappresenta l’unità organica della specie umana la cui umanità è rappresentata con un essere che, pur conservando la sua fisionomia, passa successivamente attraverso età diverse, che peraltro sono tutte animate dallo stesso spirito pagano di orgoglio, ambizione, violenza e persecuzione... Da qui, la continuità della storia. Un’epoca contiene e prepara l’altra; i secoli si incatenano gli uni agli altri, e gli avvenimenti si inseriscono nella trama della storia come in un posto designato. Ecco perché «spesso nelle Scritture, sia dell’Antico sia del Nuovo Testamento, Roma sarà chiamata Babilonia, perché agli occhi dello Spirito Santo, che abbraccia con un solo colpo d’occhio tutto il susseguirsi dei tempi, l’Impero di Babilonia era come l’inizio dell’Impero Romano, mentre l’Impero Romano, a sua volta, non era che Babilonia nel suo sviluppo e nella sua pienezza».175 Sebbene le monarchie universali siano quattro, con successive modifiche della quarta, in realtà, dal punto di vista profetico, non ce n’è che una sola, un solo potere, che Apocalisse XIII mostra assai chiaramente, il quale riveste successivamente, nel tempo, delle forme diverse e prende nomi differenti. Tutta la Storia, dalla torre di Babele, non è che uno sforzo rinnovato costantemente, ma mai riuscito, nel tentativo di formare una monarchia universale. L’idea tanto familiare a S. Agostino, (ma che disparve con lui per risorgere dodici secoli dopo con Bacone e Pascal) che considerava la vita del genere umano, da Adamo fino alla consumazione dei secoli, come la vita di un solo uomo, che nasce, 172 173 174 175
Giovanni 3:31. K. Auberlen, o.c., pp. 188,189. MENKEN; cit. da K. Auberlen, idem, p. 48. L. Gaussen, o.c., t. I, p. 112.
diventa grande e arriva alla pienezza delle sue forze, è bella e preziosa con la differenza che l’età d’oro, il paradiso perduto, è nel passato e non ritornerà più perché «il peccato è un veleno che penetra sempre più profondamente il corpo dell’umanità, è un tossico che lo corrode e lo snerva sempre di più»176 e, sebbene la Scrittura non si accontenti di negare il progresso dell’umanità, essa lascia chiaramente intendere che la caduta è costante da una generazione all’altra. La marcia dell’umanità sfocia in una catastrofe. Questa filosofia della storia potrebbe sembrare abbastanza pessimistica se la profezia non considerasse questa catastrofe come preludio allo stabilimento definitivo della quinta monarchia, di origine celeste. L’avvenimento di questo Regno non si stabilirà che dopo la distruzione di tutti i regni terreni. Questa concezione catastrofica è quella di tutti i profeti. La Scrittura anziché annunciare la conversione del mondo, il miglioramento della società, il perfezionamento delle istituzioni umane, ne annuncia la distruzione con la sostituzione del Regno di Dio. Questo regno esiste di già, è in germe nel cuore dei figli di Dio. La sua manifestazione si esprimerà pienamente quando sarà distrutto il quadro entro il quale la vita umana si è sviluppata di secolo in secolo. La storia umana percorre una marcia che possiamo dire provvidenziale177: il definitivo trionfo di Dio. «Negli annali della storia umana lo sviluppo delle nazioni, il sorgere e il crollare degli imperi appaiono come dipendenti dalla volontà e dalle prodezze degli uomini. La forma degli eventi sembra, in larga misura, determinata dal potere, dall’ambizione e dal capriccio di questi. Nella Parola di Dio, invece, è sollevato il velo e noi contempliamo dietro e al di sopra di essa attraverso il flusso e il deflusso degli interessi, della forza e delle passioni degli uomini, gli agenti dell’Essere misericordioso che in silenzio e con pazienza si adopera alla realizzazione dei propositi della sua volontà».178
176
K. Auberlen, o.c., p. 182.
177
Studiando questa statua possiamo scoprire che, malgrado il degrado di questo mondo, si realizza la salvezza. L’Eterno, non potendo proteggere il Suo popolo perché gli si sottrae, lo abbandona alle conquiste, alle invasioni della Mesopotamia e Babilonia diventa strumento efficace per purificare Israele dalle sue idolatrie. Con questo impero le nazioni si trovano riunite sotto un unico capo in vista della venuta del Messia. L’Impero Medo-Persiano contribuì al progresso della religione con il rovesciamento di Babilonia, che aveva oltre misura fatto soffrire il popolo di Dio, facendo ritornare gli esiliati nella loro patria, a seguito dell’editto di Ciro, che sarà alla base della ricostruzione religiosa di Israele e del tempio. La dominazione greca fece sì che la sua lingua divenuta popolare avesse la traduzione dell’Antico Testamento, contribuendo all’annuncio e all’attesa messianica. Le guerre con la Persia, i tentativi di ellenizzazione della Palestina e le conseguenti lotte irredentistiche radicarono nel popolo di Dio l’attesa e la diffusione della speranza del grande liberatore. L’avvento del Messia, la sua vita, la conservazione di quanto fatto e insegnato, i documenti del Nuovo Testamento, sono descritti in una lingua ricca di espressioni. Al tempo dell’Impero Romano appare l’Emanuele, che nel nome della sua autorità fu soppresso. Sebbene Roma mise fine all’antica dispensazione ebraica, facilitò la predicazione dell’Evangelo con la sua Pax Romana e malgrado le sue persecuzioni. 178
WHITE Ellen, Princípi di Educazione Cristiana, ed. A.d.V., Firenze 1965, p. 124.
Capitolo II IL CARDINE DELLA STORIA «Ma quando giunse la pienezza dei tempi, Iddio mandò il suo Figlio... affinché noi ricevessimo l’adozione di figli (di Dio)» S. Paolo.1 «Il centro del tempo è un fatto storico, già compiuto nel passato: la vita e l’opera del Cristo» Oscar Cullmann.2 «La storia della salvezza, nella Bibbia, è compresa tra due visioni che costituiscono il prologo e l’epilogo del dramma dell’uomo: la visione del Paradiso perduto e la visione della Città di Dio. Sono quasi due finestre aperte sull’eternità: la rivelazione di ciò che sarebbe potuto essere se l’uomo non si fosse separato da Dio; la rivelazione di ciò che sarà allorché il Signore avrà compiuto la sua opera di redenzione e l’umanità pacificata risorgerà a nuova vita, felice di possedere la gioia divina... Per il pensiero induista e per una parte del pensiero greco, il mondo è un eterno ritorno: la ruota della storia gira come la ruota delle stagioni, le civiltà nascono e muoiono. La rivelazione biblica ci dice che il nostro mondo ha un senso, uno scopo, una meta: da Dio, e per la gloria di Dio è stato creato. La storia biblica è a senso unico: va dalla prima creazione alla nuova creazione in Cristo...; ed il suo episodio centrale è costituito dal dramma dell’incarnazione. Ecco perché le prime pagine della Bibbia non si comprendono se non alla luce delle ultime. Le une e le altre costituiscono, rispettivamente, il prologo e l’epilogo del dramma del Calvario, della storia della nostra redenzione» Suzanne De Diétrich.3 «Il messaggio (biblico) comincia con la creazione e termina con la nuova creazione all’ultimo giorno, che è lo scopo e il fine. Tra questi due momenti si situa l’avvenimento decisivo della croce... L’elezione di Gesù Cristo, la cui morte sulla croce e resurrezione costituiscono il centro della storia della salvezza» 0scar Cullmann.4 1 2 3 4
Galati 4:4,5. CULLMANN Oscar, Christ et le temps, Neuchâtel 1966, p. 57. DIÉTRICH Suzanne de, Il piano di Dio, ed. Borla, Torino 1963, pp. 12,13,22,23. CULLMANN Oscar, Le retour du Christ, Neuchâtel 1943, p. 13.
CAPITOLO II
I profeti «indagavano per sapere quale fosse il tempo e quali le circostanze a cui lo Spirito di Cristo che era in loro accennava, quando anticipatamente testimoniavano delle sofferenze di Cristo... nelle quali cose gli angeli desiderano riguardare ben addentro» S. Pietro.5 «Mediante la croce si situa nell’universo il “luogo” in cui la potenza del peccato è rotta nell’uomo, in cui nasce la comunione perfetta tra Dio e l’uomo. Colui che perviene a questo “luogo” è liberato dall’accusa della legge e dalla sua maledizione, ma liberato ugualmente da ciò che nel più profondo di se stesso resiste a Dio, dal suo egoismo orgoglioso. Al di fuori di questo “luogo”, non ci può essere che allontanamento da Dio in rapporto all’uomo e dell’uomo nei confronti di Dio. Questo “luogo” è il punto di incontro di Dio e dell’uomo. Là, l’incontro si produce effettivamente. In questo luogo, ciò vuol dire che l’uomo, mediante la fede in Gesù Cristo, il crocifisso, accetta il verdetto che Dio porta su lui e consente a essere niente, e che per la fede nell’abbassamento di Dio, che trova qui il suo culmine, crede al suo amore incomprensibile e si umilia. É fin là che Dio deve abbassarsi per obbligare l’uomo a discendere dal trono del suo io e a vivere dell’amore di Dio» Emil Brunner.6
Introduzione La testimonianza nei confronti dell’Eterno si stava spegnendo nel mondo quando Dio chiamò Abramo dalla Mesopotamia per uno scopo ben preciso: «Vattene dal tuo paese e dal tuo parentado e dalla casa di tuo padre, nel paese che io ti mostrerò; e farò di te una grande nazione e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione... in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». Dice ancora l’Eterno: «Abramo deve diventare una nazione grande e potente... io l’ho prescelto affinché ordini ai suoi figli, e dopo di sé alla sua casa, che s’attengano alla via dell’Eterno per praticare la giustizia e l’equità, onde l’Eterno ponga ad effetto a pro di Abramo quello che gli ha promesso».7 Al popolo d’Israele liberato dalla schiavitù d’Egitto il Signore dice: «E mi sarete santi, poiché io, l’Eterno, sono santo, e vi ho separato dagli altri popoli perché diveniste miei».8 Come segno di appartenenza dà ad Israele la legge affinché questa nazione possa testimoniare della sapienza e dell’intelligenza dell’Eterno e le nazioni 5 6 7 8
62
1 Pietro 1:11,12. BRUNNER Emil, Dogmatique, t. II, ed. Labor et Fides, Genève 1965, p. 408. Genesi 12:1-3; 18:18,19. Levitico 20:26. Quando la profezia diventa storia
IL CARDINE DELLA STORIA
siano indotte a seguirlo dopo aver constatato che «questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente. Quale è difatti la grande nazione alla quale la divinità sia così vicina come l’Eterno, l’Iddio nostro, è vicino a noi, ogni volta che lo invochiamo?».9 E. de Pressensé giustamente fa notare: «L’ebreo non è né un soldato, né un poeta, né un filosofo; è un sacerdote e un profeta. Ecco il suo ruolo nell’antico mondo, ed è per questo che è il popolo precursore per eccellenza, quello che traccia la via al Redentore».10 Israele deve annunciare al mondo la venuta del Messia, il grande liberatore e la sua vittoria sul male, tenendo viva la promessa che l’umanità aveva ricevuto da Dio in Adamo nell’Eden, dal giorno in cui l’uomo si ribellò al Creatore.11 Israele si trova all’incrocio delle nazioni, al centro del mondo civilizzato tra l’Africa e l’Oriente, sulle rive del Mediterraneo, per potere meglio raggiungere gli uomini di ogni razza. «Ecco Gerusalemme! Io l’ho posta in mezzo alle nazioni e agli altri paesi che la circondano...».12 Era dunque nel luogo geografico più opportuno per essere il testimone degli oracoli di Dio: «Poiché da Sion uscirà la legge, e da Gerusalemme la parola dell’Eterno».13 Tutti i pagani che accetteranno la Parola dell’Eterno saranno accolti in Israele: «Io ne raccoglierò intorno a lui anche degli altri, oltre quelli dei suoi che già sono raccolti» dice il profeta Isaia, perché «anche gli stranieri che si sono uniti all’Eterno per servirlo, per amare il nome dell’Eterno, per essere suoi servi, tutti quelli che osserveranno il sabato astenendosi dal profanarlo e s’atterranno al mio patto, io li condurrò sul mio monte santo, li rallegrerò nella mia casa di orazione...». E il profeta ancora da parte dell’Eterno annuncia: «Volgetevi a me e siate salvati, voi tutte le estremità della terra! poiché io sono Dio, e non ve n’è alcun altro... Ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ogni lingua mi presterà giuramento... Nell’Eterno sarà giustificata e si glorierà la progenie d’Israele».14
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Deuteronomio 4:6,7. PRESSENSÉ Edmond de, Jésus Christ, son temps, sa vie, son œuvre, 7a ed., Paris 1884, p. 79. 11 Genesi 3:15. Il Targum di Gerusalemme riconosceva che la tradizione giudaica vedeva nel figlio della donna, descritto nella Genesi, la grande figura del liberatore (vedere abate FABRE d’ENVIEU Jules, Le livre du prophète Daniel, t. Il, Paris 1891, p. 1200). Nei punti di fede tracciati dal celebre rabbino Maimonide, la venuta del Messia era essenziale per la futura redenzione (Yad-hazaqan, Trattato Melachim cap. Xll; cit. idem, p. 1201). Il rabbino Wogue, professore al seminario israelitico di Parigi, nell’articolo XII del suo trattato scriveva: «Al tempo fissato da Dio, che lui solo può prevedere, sorgerà il Messia, oggetto della nostra speranza». A commento di questo articolo di fede scriveva: «La credenza messianica è vecchia come il giudaismo stesso, poiché essa risale a Mosè (Levitico 26:44,45; Deuteronomio 30:1-10; confr. Numeri 24:17) e forse alle prime pagine del Pentateuco (Genesi 3:15; 49:10-12)... Daniele annuncia questa grande èra con la precisione delle cifre ma queste cifre sono un enigma. Il Salmista (Salmo 126 ecc.) saluta con allegrezza la misteriosa epoca della liberazione, e Isaia (capitolo 10 e seg., confr. capitolo 11 e 26 ecc.) vede di volta in volta in questo eletto della Provvidenza l’uomo dei dolori e l’uomo del trionfo, il martire dei popoli e il dominatore dell’avvenire» WOGUE, Le Guide du croyant israélite, n. 78, Metz 1857, pp. 105,106; cit. idem, pp. 1202,1203. 12 Ezechiele 5:5. 13 Isaia 2:3; vedere Romani 3:2; 9:4; Isaia 43:10; 44:8. 14 Isaia 56:8,6,7; 45:22,23,25. 10
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Ed è per questo che l’appartenenza al popolo d’Israele non è il risultato di un atto sessuale, ma il frutto dello Spirito di Dio nel cuore dell’uomo «perché non tutti i discendenti da Israele sono Israele; né per il fatto che sono progenie d’Abramo, sono tutti figli d’Abramo... poiché ebreo non è colui che è tale all’esterno; ma ebreo è colui che lo è interiormente».15 A eco di queste parole dell’apostolo Paolo, André Chouraqui scrive: «Ogni pagano che osserva la Thorà è uguale al sommo sacerdote».16 Israele, vivendo accanto a popoli idolatri, ne subì l’influenza e il sincretismo fu la causa prima della sua catastrofe come nazione.17 Dopo la morte di Salomone il popolo si divise in due regni: al Nord le dieci tribù diedero vita al regno d’Israele con capitale Samaria; al Sud le tribù di Giuda e Beniamino, con capitale Gerusalemme, costituirono il regno di Giuda, vi facevano parte i discendenti della casa di Davide i quali conservavano e curavano il tempio di Gerusalemme. I templi fantocci di Dan e di Bethel, per il regno del Nord, furono dei santuari in cui il popolo legalizzava la sua idolatria. La storia di questo regno fu un susseguirsi di re «che fecero ciò che è male agli occhi dell’Eterno». La stessa cosa fu per il Regno di Giuda. A causa di questa loro infedeltà all’Eterno, di volta in volta, o l’Assiria invadeva il paese dal Nord o l’Egitto dal Sud, esigendo dei pesanti tributi di vassallaggio. Nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. iniziarono le grandi deportazioni in massa verso Nord-Est. Sargon nel 739 a.C. disseminò ai quattro venti Israele e, nell’anno in cui distrusse la capitale Samaria, 721 a.C., deportò 27.280 persone. Questi esuli formarono delle colonie in Persia, in Bactriana, in Tibet, in India, e poi anche in Cina. Lo storico Strabone dice «che erano sparsi dappertutto» e dappertutto erano «potentemente stabiliti». Il loro esilio forzato ed il loro commercio li costringeva così a compiere la loro opera. Il regno di Giuda al Sud, pur consapevole della sorte toccata al regno del Nord, non cambiò condotta. Dio fece sapere tramite Geremia: «Benché io avessi ripudiato l’infedele Israele a cagione di tutti i suoi adulteri e le avessi dato la sua lettera di divorzio, ho visto che la sua sorella, la perfida Giuda, non ha avuto alcun timore, ed è andata a prostituirsi anch’essa. Col rumore delle sue prostituzioni Israele ha contaminato il paese, e ha commesso adulterio con la pietra e col legno; e nonostante tutto questo la sua perfida sorella non è tornata a me con tutto il suo cuore, ma con finzione... (allora)... io accenderò un fuoco alle porte della città, ed esso divorerà i palazzi di Gerusalemme e non si estinguerà».18 Nel 605 a.C. Gerusalemme fu assediata da Nebucadnetsar, avvenne la prima deportazione ed iniziarono i settanta anni d'esilio in Babilonia.19 Nel 586 a.C. ci fu la terza campagna militare di Nebucadnetsar contro Giuda: «Nebuzaradan, capitano della guardia del corpo, servo del re di Babilonia, giunse a Gerusalemme, ed arse la casa dell’Eterno e la casa del re, e diede alle fiamme tutte le case di Gerusalemme, 15 16 17 18 19
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Romani 9:6,7; 2:28,29. CHOURAQUI André, La pensée juive, Paris 1968, p. 49. 2 Re 17:15,16; Osea 9:17. Geremia 3:8-10; 17:37. Geremia 25:11,12;29:10. Quando la profezia diventa storia
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tutte le case della gente ragguardevole. E tutto l’esercito dei Caldei ch’era col capitano della guardia atterrò da tutte le parti le mura di Gerusalemme».20 Il popolo ebraico deportato riconobbe che il suo esilio era la conseguenza diretta della sua idolatria, della sua infedeltà. Se da una parte vide la realizzazione di ciò che Dio gli aveva annunciato per bocca di Mosè: «Farò venire contro di voi la spada, vindice del mio patto; voi vi raccoglierete nelle vostre città, ma io manderò in mezzo a voi la peste, e sarete dati nelle mani del nemico... E quanto a voi, io vi disperderò fra le nazioni, e vi darò dietro a spada tratta, il vostro paese sarà desolato, e le vostre città saranno deserte»; dall’altra si ricordò delle promesse di Dio e della sua misericordia: «Se allora il cuore loro incirconciso si umilierà... io mi ricorderò del mio patto ... e mi ricorderò del paese».21 La cattività portò Giuda a fare un ritorno su se stesso. Comprese che il disastro fu causato dall’abbandono della legge di Dio, in esilio guarì dall’idolatria e nell’esilio, bisogna riconoscerlo, ci fu un soffio di rinnovamento riguardo all’attesa messianica. «La dispersione degli ebrei divenne fermento attivo di nuove creazioni religiose nell’Asia orientale. Fu allora che presso i Medo-Persiani, presso gli Indiani, presso i Cinesi, si levarono dei riformatori che presero a prestito quei dogmi, quei precetti della Bibbia e che fondarono, con i loro culti nazionali, delle concezioni proprie della religione liberatrice. Il giudaismo fu confiscato a profitto dello zoroastrismo, del buddismo e del taoismo».22
Una visione non completamente spiegata ha preoccupato molto il profeta Daniele Nel terzo anno del regno di Beltsatsar, Daniele ebbe una visione nella quale vide un potere che sarebbe sorto alla fine della dominazione greca, già vincitrice dei Medo-Persiani. Esso si sarebbe impadronito della Palestina, il paese splendido, si sarebbe elevato contro il Principe dei principi, gli avrebbe tolto il perpetuo, avrebbe abbattuto il santuario e soppresso la verità. Alla domanda: «Fino a quando...?», la risposta è: «Fino a 2300 sere e mattine; poi il santuario sarà purificato».23 Il messaggero celeste, l’angelo Gabriele, inviato da Dio per spiegare a Daniele il significato della visione, fa sapere al profeta che essa copre un lungo periodo che va fino al «tempo della fine», e il potere che sorgerà dopo la divisione del regno di Grecia «a motivo della sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani; s’inorgoglirà in cuore suo, e in piena pace distruggerà molta gente; insorgerà contro il Principe de’ principi» e alla fine «sarà infranto, senz’opera di mano».24
20 21 22 23 24
2 Re 25:8-10. Levitico 26:25,33; 26:41,42; confr. 2 Cronache 6:36-39. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. I, Paris 1880, p. 610. Daniele 8:13,14. Per la sua spiegazione vedere il nostro Capitolo XI, pp. 440-454, e Capitolo XIII, pp. 514-533. Daniele 8:17,19,25, vedere 2:34. Quando la profezia diventa storia
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Daniele, fortemente impressionato per quanto gli era stato mostrato in visione, svenne. La spiegazione fu interrotta. L’uomo di Dio così termina la descrizione di quell’esperienza: «Io, Daniele, svenni, e fui malato vari giorni; poi m’alzai, e feci gli affari del re. Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne avvide».25 L’abate Crampon traduce: «... Poi m’alzai e mi occupai degli affari del re. Io ero stupefatto di ciò che avevo visto, e nessuno la comprendeva» e poi commenta: «Nessuno di coloro ai quali comunicai la mia visione la comprendeva perfettamente o meglio nessuno se ne accorse, non notò, non conobbe la viva impressione che mi aveva causato la visione, fino a rendermi ammalato».26 La visione presentava una ulteriore distruzione del tempio e la soppressione del Capo del popolo d’Israele. Daniele pensava che il periodo cronologico della visione riferito alla purificazione del santuario poteva essere l’annuncio di un prolungamento dell’esilio. Il tempio e la città di Gerusalemme erano ancora distrutti. Daniele sapeva che i profeti collegavano le loro speranze messianiche al tempio e alla città di Gerusalemme. Ma come ciò si poteva realizzare se tutto era demolito? I profeti e in particolare Isaia avevano annunciato il trionfo messianico in seguito all’esilio, con il ristabilimento della nazione d’Israele.27 Daniele per tutto questo era sconvolto.
Spiegazione della visione che annuncia il cardine della storia Daniele metteva in relazione la visione che aveva avuto e che descrive nel capitolo VIII del suo libro con i settant’anni di esilio che erano stati annunciati da Geremia. La comprensione della visione lo preoccupava e quando i Medo-Persiani conquistarono Babilonia, nel modo in cui Isaia l’aveva annunciato due secoli prima, indicando anche in Ciro il Medo il pastore che avrebbe realizzato la Sua Parola,28 per il profeta e per tutto il popolo si compiva il segno che l’esilio stava per finire. Daniele pregò Dio che perdonasse i peccati d’Israele, affinché quanto annunciato da Geremia si avverasse. Dio gli rivelò allora in quale momento: il peccato sarebbe stato definitivamente espiato, la giustizia eternamente instaurata e, siccome Daniele era preoccupato per Gerusalemme distrutta da Nebucadnetsar, Dio gli rispose che in un tempo ben preciso, in seguito a un decreto, la città sarebbe stata ricostruita, ma per essere poi nuovamente distrutta con il tempio, a causa dell’infedeltà del popolo. Nel tempo in cui si attendeva la realizzazione della promessa che animava gli esuli, i sovrani pagani si facevano adorare, si attribuivano il titolo di salvatori, di figli delle varie divinità locali, e pseudo profeti si presentavano alle popolazioni dell’Oriente nelle persone di Budda, Lao-tser, Zoroastro. Questi riformatori religiosi proposero dottrine che sarebbero state di grande ostacolo all’accettazione della vera parola di Dio.
25 26 27 28
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Daniele 8:17,27. CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. V, Daniel, Tournai 1900, testo e nota. Isaia 35:59-61. Isaia 13; 44:28-45. Quando la profezia diventa storia
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È in questo contesto religioso e politico che l’Eterno annuncia con precisione il tempo e il momento del Liberatore. Le solenni dichiarazioni di Dio servono di orientamento, di bussola, per gli ebrei e i pagani che, convertendosi all’ebraismo, possono effettivamente constatare l’oggettiva superiorità del Dio d’Israele e della sua rivelazione. Ai falsi re-dèi, l’Eterno contrappone il vero Unto-Capo annunciando il tempo e lo scopo della sua venuta. Daniele scrive nel capitolo IX: «Mentre stavo ancora parlando in preghiera, quell’uomo, Gabriele, che avevo visto nella visione da principio, mandato con rapido volo, s’avvicinò a me, verso l’ora dell’oblazione della sera. E mi ammaestrò, mi parlò, e disse: “Daniele, io sono venuto per darti intendimento. Al principio delle tue supplicazioni, una parola è uscita; e io sono venuto a comunicartela, poiché tu sei grandemente amato. Fai dunque attenzione alla parola, e intendi la visione”».29 «Quale visione?... se questa parola non si riferisce a quella del capitolo VIII, chi dirà ciò che significa? Non c’è nessuna visione al capitolo IX che possa essere proposta all’esame di Daniele; non c’è là che una conversazione tra Gabriele e Daniele, il cui scopo è di spiegare la visione».30 «Si tratta... della visione in cui Gabriele si era mostrato precedentemente; la visione alla quale era stata fatta allusione in una forma precisa31: quella che Gabriele aveva ricevuto l’ordine di spiegare32».33 L’angelo Gabriele non aveva potuto spiegare completamente la visione del capitolo VIII perché Daniele era svenuto: «Si trattava, in effetti, di spiegare ciò che 29
Daniele 9:21-23. LITCH Josiah, Prophetical Expositions, t. I, Boston 1842, p. 132. BARNES Albert, Notes on the Book of Daniel, t. II, Edimburg 1853, p. 148 ha pensato a quanto presentato nel capitolo 9. Ma questo capitolo non riporta una visione, c’è un messaggio di Dio tramite l’angelo Gabriele. Nel capitolo 9 «non si tratta propriamente parlando di una visione» fa notare Giuseppe BERNINI, Daniele, 1976, p. 11. Il capitolo 9 «Non è propriamente parlando una visione; è una rivelazione che raggiunge il suo culmine nella difficile profezia delle 70 settimane» Gilberto GALBIATI, Il Libro di Daniele, Roma 1969, p. 87. Vedere Abraham Bar Hiyya Hanasi, 1967, p. 148. Il capitolo 9 presenta «l’inizio, della visione di 8:16» S.R. DRIVER, Daniel, 1936, p. 153. PLOEGER, Das Buch Daniel, 1965, p. 129, ha mostrato che la parola mar’eh (visione), impiegata in 9:23, richiama la stessa parola impiegata in 8:16. La stessa precisazione la si trova in BENTZEN, Das Buch Daniel, 2a ed., Tübingen 1952, p. 66 e presso altri commentatori. Il prof. William H. SHEA così spiega: «Quando Gabriele si avvicina a Daniele (9 :23) lo esorta in questi termini : “Sii attento alla parola (che ti trasmetto in questo momento) e comprendi la visione (che tu hai visto in precedenza)”. L’angelo rinvia il profeta alla visione del capitolo 8, e ciò in un modo estremamente preciso. La parola tradotta per “visione” è mar’eh, che si riferisce in particolare all’“apparizione” di certi esseri. Questo termine contrasta con la parola hazôn, utilizzato per le visioni simboliche nel libro di Daniele. Questa distinzione l’abbiamo in Daniele 8:26, in cui l’angelo dà l’assicurazione al profeta che la visione (mar’eh) delle sere e delle mattine è vera, ed invita Daniele a tenere segreta questa visione (hazôn). Il primo termine si riferisce all’apparizione degli esseri angelici del versetto 13 e 14 (dove si presentano i 2300 giorni); il secondo si applica all’insieme della visione simbolica dal versetto 2 a 12. Se esaminiamo le parole di Gabriele in Daniele 9:23, costatiamo che esse rinviano Daniele non alla visione simbolica del capitolo 8 in generale, ma all’apparizione (mar’eh) dei due personaggi celesti dei versetti 13 e 14. Siccome la dichiarazione di Gabriele che segue si riferisce al periodo profetico delle 70 settimane, questo è messo in relazione diretta con i 2300 giorni dall’impiego di questo vocabolo tecnico» Daniel 9:24-27, in AA.VV., Prophétie et Eschatologie, Seminaire Adventiste du Salève, Collonges sous Salève 1982, pp. 288,289. 31 Daniele 9:21. 32 Daniele 8:16. 33 MONTAGUE George, The Times of Daniel, London 1845, p. 393. Vedere BLISS Sylvester, Memoirs of W. Miller, ed. 1853, pp. 156-166. Vedere BERICK F.H., The Grand Crisis, p. 96; P. de BENOIT, Le Prophéte Daniel, 1941, p. 63. 30
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non era stato compreso al capitolo precedente: la parte relativa ai 2300 anni, messa in rapporto con la durata del sacrificio continuo».34 «La profezia delle 70 settimane fa dunque corpo, benché separato da un certo tempo, con la visione del capitolo VIII».35 Questo pensiero del canonico Vidal è espresso anche nella Bibbia, versione Pirot, che dice: «Lo scopo del capitolo IX è di completare il precedente dal punto di vista cronologico».36 Mons. Rinaldi così si esprime nel suo commentario esegetico su Daniele: «La rivelazione di questo capitolo (IX) si collega a quella precedente, che intende completare - alla fine del capitolo VIII il profeta non è rimasto del tutto privo di dubbi...: Dio gl’invia l’angelo Gabriele che gli reca la profezia delle 70 settimane.... Gabriele è partito per mettere Daniele in condizione di intendere pienamente, letteralmente “fargli intendere intelligenza”. Sembra con ciò collegarsi con il testo di VIII:27: dopo la visione e rivelazione il profeta “non era intendente” e l’angelo viene come “facente intendere”, per dargli “intelligenza”».37 L’angelo quindi andò a fare capire a Daniele quello che non aveva potuto comprendere prima: «Fai dunque attenzione alle parole ed intendi la visione». La traduzione che segue è letterale.
Testo delle 70 settimane e sua importanza «Settanta settimane sono state tolte per il tuo popolo e la tua santa città per consumare il crimine, per sigillare i peccati, per espiare l’iniquità, per portare giustizia dei secoli, per sigillare visioni e profezie, e per ungere santo dei santi. Sappi e comprendi: dall’uscita d’una parola per rialzare e ricostruire Gerusalemme fino a Unto-Capo, sette settimane e sessantadue settimane. Piazza - giudici - e mura saranno rialzate e ricostruite nell’angoscia dei tempi. E dopo (sessantadue settimane) Unto sarà sterminato; non a lui; popolo di Capo il veniente distruggerà la città e il santuario
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WOOD Hans, The Revelation of s. John, London 1787, p. 384. VIDAL G., La prophétie des semaines, Alger 1947, p. 70. DENNEFELD Ludwig, Les grands Prophètes, in La Sainte Bible, vol. VIII, ed. Pirot, Paris, p. 689. RINALDI Giovanni C.R.S., La Sacra Bibbia - Daniele, ed. Marietti, Torino 1962, pp. 123,126,127. Quando la profezia diventa storia
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(popolo di capo il veniente causerà la distruzione della città e del santuario) la loro fine sarà nell’inondazione; fino alla fine guerra e devastazione decretate. In una settimana confermerà una alleanza con molti; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e oblazione; al di sopra dell’ala di abominazione, devastatore; fino alla distruzione, la decretata piomberà sul devastato».38 «Questo passo... è notevole non solamente sotto il rapporto del contenuto, ma anche sotto quello della forma. L’assenza di articoli e di copule gli imprime un carattere veramente lapidario».39 Uno studio attento della struttura letteraria di questo testo mostra che si presenta in forma poetica.40 Questo testo poetico del versetto 24 e dei versetti 25-27 si presenta in forma chiastica. Il versetto 24 viene proposto nelle seguenti forme a) e b). 41
a) Concerne il popolo - per far cessare la trasgressione - per sigillare il peccato - per espiare l’iniquità b)
Concerne la città santa - per portare una giustizia eterna - per sigillare visione e profezia - per ungere santo dei santi
Opera di Dio - per espiare l’iniquità - per portare una giustizia eterna
Opera del popolo - cessare la trasgressione - sigillare il peccato
Risultato - sigillare visione e profezia - iniziare il ministero celeste
I versetti 25-27 riguardano il Messia e la città di Gerusalemme:42
Messia
Gerusalemme e tempio
25. Dall’uscita d’una parola per rialzare e ricostruire Gerusalemme fino
25. Dall’uscita d’una parola per rialzare e ricostruire Gerusalemme ... sette
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Traduzione letterale, vedere VAUCHER Félix Alfred, Les Prophéties Apocalyptiques, Collonges-sous-Salève 1972, pp. 21,22, siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. 39 GODET Frédéric, Études Bibliques, t. I, 4a ed., Neuchâtel 1889, pp. 349,350. 40 Vedere ad esempio La Bibbia di Gerusalemme. 41 Per la prima forma vedere Jacques DOUKHAN, Boire aux sources, ed. S.d.T., Dammarie les Lys 1977, p. 88; Les soixante-dix semaines de Daniel 9: étude exégétique, in AA.VV., Daniel: Questions débattues, Collonges sous Salève 1980, p. 115. Per la seconda forma vedere W.H. Shea, o.c., p. 292. 42 Vedere J. Doukhan, o.c., pp. 89,90; o.c., p. 118; Le Soupir de la Terre, Dammarie les Lys 1993, pp. 208,209. W.H. Shea, o.c., pp. 292-294, ha una presentazione diversa. Quando la profezia diventa storia
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a Unto-Capo, sette settimane e sessantadue settimane.
settimane ... Piazza e mura - giudici - saranno rialzate e ricostruite nell’angoscia dei tempi.
26. E dopo (sessantadue settimane) Unto sarà sterminato; non a lui;
26. popolo di Capo il veniente distruggerà - sarà la causa della distruzione de - la città e del santuario; la loro fine sarà nell’inondazione; fino alla fine guerra e devastazione decretate.
27. In una settimana confermerà una alleanza con molti; in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e oblazione.
27. Al di sopra dell’ala di abominazione, devastatore; fino alla distruzione, la decretata piomberà sul devastato.
I due temi Messia e Gerusalemme sono in una struttura che presenta la costruzione della città / venuta del Messia / tempi che si riferiscono alla città / tempi che si riferiscono al Messia. Abbiamo il parallelismo caro alla poesia ebraica che in forma alternata presenta: Messia-Gerusalemme / Messia-Gerusalemme / MessiaGerusalemme. «La profezia contenuta in queste poche righe merita, in effetti, di essere riguardata come una delle più ammirabili, delle più ricche, delle più profonde, che ci siano nell’Antico Testamento».43 L’abate Mémain afferma che se studiassimo questo brano e ci applicassimo ad un'interpretazione fedele del testo sacro e ad una cronologia esatta dei termini indicati, scopriremmo che «essa è allora una delle più belle prove della divinità del Cristianesimo ed è nello stesso tempo uno dei più preziosi elementi che concorrono a fissare la data della storia evangelica. Sbagliando queste due condizioni, la profezia delle 70 settimane resta allo stato di problema, senza soluzione ben chiara».44 Scrive Desmond Ford: «Le pagine scritte che commentano il capitolo IX di Daniele, per essere lette tutte richiederebbero la durata della vita di una persona. Lo scopo di questo capitolo è quello di tentare di cogliere le gemme che sono state espresse dalla Chiesa cristiana nei suoi venti secoli di storia, nella speranza che quanto riportiamo possa nutrire la mente di meraviglie, gratitudine e preghiera. Il capitolo IX di Daniele non è solamente il cuore della devozione del libro, ma anche contiene i “gioielli della corona” della profezia dell’Antico Testamento. I versetti 24-27 costituiscono una inesauribile miniera di verità rivelate che riuniscono profezie che hanno illuminato di speranza e di splendore la storia della rivelazione che ha il suo fondamento nelle Sacre Scritture».45 43
J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 860. MÉMAIN Théophile, Les 70 semaines de la prophétie de Daniel, Paris 1904, p. 3. 45 FORD Desmond, Daniele (in lettere ebraiche), Foreword by F.F.Bruce, Southern Publishing Association, Nashville, Tennessee, 1978, p. 198. 44
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Parafrasando il pensiero di Guinness46 possiamo dire che, di tutte le profezie della Bibbia, le 70 settimane di Daniele è la più ammirevole e la più importante. Rimane in piedi, eretta, dritta, fra le rovine del tempo, come il solitario e colossale obelisco attorniato dalle colline di Eliopolis, grande nella sua imponenza, antico per i secoli ormai passati, originale nelle sue scritte lapidarie, ancora nitide perché scolpite nel duro granito della storia, lasciando al potere del tempo di cancellare i suoi ricordi, le sue sentenze, che sono ancora oggi piene di significato perché il suo stile, ancora nel nostro tempo, tradisce l’originalità dell’autorità divina. Isacco Newton, il più grande degli scienziati che ha preceduto il periodo moderno, nel suo commentario stampato dopo la sua morte, scriveva che il testo di Daniele IX:24-27 era: «La pietra angolare della religione cristiana». «Perché - dice D. Ford secoli prima dava l’esatto tempo nel quale doveva apparire il Messia e la data della sua morte, come pure una comprensiva descrizione della sua opera di salvezza che compie sia in cielo sia in terra. La profezia nello stesso modo dice cosa sarebbe successo agli ebrei a causa del loro rigetto di Colui che era stato lungamente atteso attraverso i secoli. La distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. era una testimonianza storica che le offerte ed i servizi del santuario avevano avuto la loro realizzazione nell’avvenuta promessa messianica. Questa stessa profezia completa quella del capitolo VIII, le quali combinate assieme fanno la più comprensiva previsione mai offerta all’uomo. Parlano della prima e della seconda venuta del Cristo. Descrivono il suo ministero sulla terra e nei cieli, il destino del popolo di Dio nelle due dispensazioni (dell’Antico e del Nuovo Testamento), l’apostasia e le prove più importanti che dovrà sopportare, il finale e terribile messaggio al mondo, l’ultima crisi tra la legge umana e divina e i loro avvocati, il giudizio nei suoi vari aspetti, e come alla fine si stabilirà la giustizia e il divino Re che condiscende ad essere il tabernacolo di Dio fra gli uomini in una terra fatta nuova».47 Scriveva Thomas Scott: «È chiaramente innegabile che Daniele previde che il Messia non sarebbe venuto prima che fossero trascorsi cinquecento anni dal decreto che avrebbe accordato la ricostruzione di Gerusalemme (che nel tempo in cui scriveva era distrutta). Daniele mostra che il Messia sarebbe stato messo a morte a seguito di una legale sentenza; (perché così la parola implica) ed espressamente predice, quale conseguenza della sua morte, Gerusalemme ed il tempio sarebbero stati nuovamente distrutti, e la nazione degli ebrei esposta ad una tremenda punizione, della quale non è menzionata nessuna fine. In quel tempo Gesù di Nazaret appare: egli risponde in ogni particolare alla descrizione che viene fatta di lui da tutti i profeti: veniva messo a morte come un criminale; tuttavia vaste moltitudini divennero suoi discepoli, e la Cristianità fu stabilità in forma permanente. Dopo un certo tempo Gerusalemme ed il tempio vennero distrutti... Come si può allora negare che Daniele parli per divina
46
GUINNESS Henry Grattan, The Divine Program of the World’s History, London 1888, pp. 328,329; cit. D. Ford, Idem, p. 198. 47 D. Ford, o.c., p. 199. Quando la profezia diventa storia
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ispirazione o che Gesù sia il Messia promesso? Ambedue questi importanti punti sono potentemente e pienamente dimostrati da questa profezia».48 Il prof. W. H. Shea a conclusione di un suo studio esegetico scrive che il Messia, la sua opera e la sua sorte, in questa profezia occupa il posto centrale. Da questo testo si possono trarre otto punti essenziali riguardo al Messia: 1. L’analisi della struttura letteraria di questo testo permette di mettere in relazione il Messia e la sua morte con l’espiazione finale che si doveva compiere secondo il versetto 24. 2. Poiché l’opera dell’espiazione riguardava il Messia, gli stesso era responsabile delle conseguenze, cioè il dono della giustizia eterna all’umanità. 3. Questa giustizia eterna doveva essere accordata ai suoi beneficiari in seguito all’opera che si compie nel nuovo santuario, posto nel cielo. Il versetto 24 presenta l’inaugurazione di questo ministero con l’espressione «ungere santo dei santi». 4. Il Messia appare in un momento preciso della storia, è unto (fatto Cristo) per svolgere il suo ministero. Il versetto 25 fissa questa data nell’anno 27 d.C. 5. In un momento della 70a settimana il Messia muore, ma non di una morte naturale; bensì sarebbe stato ucciso, soppresso, da una persona o da un gruppo, come viene precisato nel versetto 26. 6. Nella morte sarebbe solo, abbandonato, rigettato, dice sempre il versetto 26. 7. Durante l’ultima settimana il Messia conferma l’alleanza che Dio aveva concluso con il suo popolo, dice il versetto 27. 8. Nel mezzo dell’ultima settimana, con la sua morte, il Messia mette fine, nel significato teologico, ai servizi del tempio. W. Shea conclude: «Se guardiamo questo quadro con gli occhi del Nuovo Testamento, riconosciamo sicuramente la vita, la morte, la resurrezione, l’ascensione e il ministero di Gesù Cristo nel santuario celeste».49 Il testo biblico presenta un periodo di 70 settimane diviso in tre periodi: 6, 62, 1 settimana. «Propriamente parlando, nel linguaggio usuale, la parola “sabuha” indica un insieme di sette giorni (una settimana); ma nello stile profetico, impiegato dall’angelo, questo sostantivo indica una “settimana d’anni”. Si sa, del resto, che gli Ebrei conoscevano delle settimane, o periodi di sette anni, con le quali calcolavano l’anno sabatico del giubileo. Questi periodi di sette erano appropriati all’uso che essi facevano dell’anno giubilare, sia dal punto di vista civile che dal punto di vista religioso. Questo anno ritornava regolarmente dopo un periodo di sette settimane d’anni. Si legge, in effetti, nel Levitico: “Conterai sette settimane d’anni: sette volte 48
Cit. Idem, p. 199. «Una profezia celebre di Daniele annuncia l’epoca nella quale il Messia deve essere messo a morte. Essa dice che dall’emanazione di un editto per ricostruire Gerusalemme, sarebbero passate sette settimane fino a quando la città sarebbe stata ricostruita, piazze e mura, poi sessantadue settimane dopo le quali l’Unto o il Messia si manifesterà, e infine, nel mezzo della 70a settimana, quando il Messia avrà concluso una alleanza con un gran numero, farà cessare il sacrificio e l’oblazione» ALAIN L., Bible Scolaire illustrée, Paris 1920, p. 118. 49 W.H. Shea, o.c., pp. 297,298.
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sette anni; che fanno in tutto quarantanove anni”.50 La Vulgata ha tradotto con: septem hebdomades annorum, e in realtà “sette ebdomadi d’anni” fanno esattamente “sette settimane d'anni”. Ora è facile vedere che le settimane del nostro testo sono delle settimane sabbatiche o delle settimane di anni che comprendono un periodo di 490 anni... Non era d’altronde necessario aggiungere l’espressione anni perché il contesto mostra in modo sufficiente che non può essere questione di settimane di giorni... Il rabbino Cahen si esprime così a tale proposito: “Si tratta qui non di settimane di giorni, ma di anni, come Levitico XXV:8 ‘sette sabati d’anni, sette volte sette anni’; così, settanta settimane d’anni fanno quattrocentonovanta anni".51».52 «Alla luce delle ricerche recenti sugli scritti degli ebrei del secondo secolo avanti Cristo, è chiaramente apparso che il principio giorno-anno era conosciuto ed applicato dagli interpreti ebrei nel corso del secondo secolo fino al periodo post-qumranico. Non è più sostenibile oggi la tesi che questo principio daterebbe dal nono secolo dopo Cristo. Lo si trova nella letteratura e successivamente nei testi di Qumran».53 «I talmudisti, l’autore del Seder-Olam e gli Ebrei in genere (Saadias Gaon, Jarchi, Aben-Esra, Abravanel, Iachiades o Iachia, Manasse ben Israel, Orobio, ecc.) confessano che le settimane di Daniele non possono essere che delle settimane d’anni».54 La versione italiana della Bibbia ebraica, edizione del 1967, fa notare: «Qui settimane si devono intendere di anni; settanta settimane di anni».55 50
Levitico 25:8 e seg. CAHEN Samuel, La Bible, t. XVII, Paris 1843, p. 49. «Queste settanta settimane devono intendersi per settimane d’anni, e formano 490 anni» Mon. MARTINI Antonio, La Sacra Bibbia, Vecchio e Nuovo Testamento, traduzione secondo la Vulgata, t. I, 2a ed., Fratelli Treves Editori, Milano 1877, col 418. 52 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 893,897. 53 SHEA William H., Études sur l’Interprétation Prophétique, Hagerstown, Maryland 1992, p. 99. «L’esistenza di una tale interpretazione al di fuori della Bibbia non prova in modo assoluto che Daniele abbia effettivamente utilizzato tale metodo» Idem. Nel Libro dei Giubilei appare per 80 volte la parola “settimane” in un contesto che implica l’utilizzo del principio giorno-anno. Un esempio: l’età della vita di Noè è presentata sia con la cifra di 950 anni sia con la formula: 19 giubilei (un giubileo sono 49 anni), due settimane e cinque anni. Si ha così la seguente equazione: 950 anni=19 giubilei (19x49 anni) = 931 anni + 2 settimane (2x7 anni) = 14 anni + 5 anni = 950 anni. Nel Testamento di Levi, parte dell’opera Testamento dei dodici patriarchi, si presenta un sistema cronologico di 70 settimane, che Levi presenta come un tempo di cattiveria. Il documento non va oltre al settimo giubileo che suddivide in settimane delle quali mette in risalto la quinta e la settima settimana. È sottinteso che queste 70 settimane sono calcolate nell’ottica di 10 giubilei, cioè dieci volte 49 anni. Considerando che i giubilei indicano periodi di anni, è conseguente pensare che i giorni delle 70 settimane debbano essere compresi nel valore di anni. Il testo di Qumran 11 Q Melchisedek presenta la venuta escatologica di Melchisedec. La data della venuta è calcolata su una base cronologica di anni sabbatici e giubilari. «Numerosi studiosi si accordano per riconoscere che questo documento si ispira alla profezia della 70 settimane di Daniele 9:24-27, ma il periodo delle 70 settimane è, qui, riorganizzato in dieci giubilei, indicando chiaramente che le “settimane” erano comprese nel senso di settimane di anni.- Nelle poche righe pubblicate si può rilevare l’espressione particolare: “una settimana di anni”» Idem, pp. 100,101. 54 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 893,897. 55 Gli agiografi, ed. 1967, p. 271. I versetti 24-26 vengono così tradotti: versetto 24: «Settanta settimane furono fissate per il tuo popolo e per la tua santa città, dopo di che cesserà l’empietà, avrà fine il peccato, sarà espiata la colpa, si produrrà una giustizia eterna, sarà suggellata visione e profezia e si rinnoverà l’unzione del luogo 51
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Del resto il contesto mostra chiaramente che non può trattarsi di settimane di giorni; è impossibile credere che in 16 mesi, settanta settimane di giorni, sarebbe stato possibile restaurare tutto quello che la profezia menziona, tra l’altro la ricostruzione della città. Romani e Greci conoscevano l’espressione “settimana d’anni”.56 G.H. Hasel scrive: «C’è virtualmente un accordo unanime fra i commentatori di tutte le scuole di pensare che la frase “settanta settimane” (sabu’im sibìim) significhi «Antonio Martini, arcivescovo di Firenze, affermava: «Tutti 490 anni».57 convengono che le 70 settimane sono d’anni. Di queste 70 settimane l’angelo ne fa tre parti, una di 7 settimane, una di 62 settimane, la terza di una settimana, nella cui metà il Messia sarà ucciso».58 Mentre Daniele aveva messo in relazione la visione del capitolo VIII con i 70 anni di esilio annunciati da Geremia, l’angelo gli presenta la profezia delle 70 settimane d’anni. Il profeta: «a) Aveva implorato per il suo popolo il perdono dei peccati; nelle 70 settimane, gli è detto, l’espiazione/purificazione perfetta avverrà. b) Aveva pregato per il compimento della promessa di Geremia, nelle 70 settimane di anni comincerà il compimento di tutte le promesse. c) Aveva pregato per il ristabilimento del Santuario: nelle 70 settimane d’anni sarà unto il Santuario dei santuari.
santissimo»; versetto 25: «Sappi dunque e comprendi dal momento che Gerusalemme sarà restaurata e ricostruita, fino al giorno in cui sorgerà l’Unto principe, passeranno sette settimane d’anni e dopo sessantadue settimane di anni, saranno di nuovo fabbricate le piazze e il fosso, ma in tempi angosciosi»; versetto 26: «E dopo le sessantadue settimane di anni sarà distrutto l’Unto, nulla rimarrà di lui...». La Bibbia, Parola del Signore, lingua corrente, traduce: «24: Per il tuo popolo e per la città santa è stato fissato un tempo di settanta periodi di sette anni. Questo tempo è necessario perché termini la disubbidienza, cessino le colpe ed i peccati siano perdonati, la giustizia eterna si manifesti, le visioni e le profezie si realizzino e il Luogo Santissimo sia di nuovo consacrato. 25: Ecco quel che tu devi sapere e comprendere; dal momento in cui è stato pronunciato il messaggio che riguarda il ritorno dall’esilio e la ricostruzione di Gerusalemme fino all’apparizione di un condottiero consacrato devono passare sette periodi di sette anni e sessantadue periodi di sette anni; questo ritorno dall’esilio e questa ricostruzione della città e delle fortificazioni si faranno in tempi difficili. Al termine di questi sessantadue periodi un uomo consacrato sarà condannato senza che alcuno lo difenda. 27: Durante l’ultimo periodo di sette anni...». 56 «I Romani conoscevano anche delle settimane d’anni. Aulo Gellio Varrone, volendo far intendere che aveva quasi 80 anni e che aveva scritto 490 libri, dichiara: “che è di già entrato nella sua XII settimana d’anni, e che fino a quel giorno ha scritto 70 ”septaines” di libri”» (Noct. Atticae, III, 10). Questo modo di contare era conosciuto anche dai Greci. Aristotele menziona espressamente: «Coloro che dividono le età con delle settimane d’anni» (Polit. Lib. Vll, 16; cit. Gensorius, De die natali, cap. XVI); cit. J. Fabre d’Envieu, o.c., p. 893. 57 HASEL Gerhard F., Interpretations of the Chronology of the Seventy Weeks, in AA.VV., 70 Weeks, Leviticus, Nature of Prophecy, Frank B. Holbrook, Editor, Washington D.C. 1986, p. 6. In nota precisa: «Le sole eccezioni a conoscenza sono C. WIESELER, Die 70 Wochen und die 63 Jahrwochen des Propheten Daniel, Göttingen 1839, che suggerisce: 9:24 le settimane sono da intendere letteralmente, ma i versetti 25-27 le settimane sono d’anni. J. SLADEN, The Seventy Weeks of Daniel’s Prophecy, London 1925, difende il sistema letterale delle settimane. 58 Mons. MARTINI A., La Sacra Bibbia, vol. III, Milano, nuova ed., p. 764.
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Così, tutto ciò che ha richiesto sarà sovrabbondantemente compiuto. Cosa che si sarebbe realizzata allo scadere dei 70 anni, alla fine della cattività, non è ancora che una debole immagine».59
«Settimane settanta sono state tolte per il tuo popolo e la tua santa città»60 È opportuno far rilevare che la parola “tolte” è comunemente tradotta “fissate”, “determinate”61; questi termini non esprimono esattamente il senso della parola originale, anche se essa comprende il significato delle parole “fissate” o “determinate”. La parola originale “netaq”, posta al singolare, indica esattamente “reciso” cioè tagliato via, tolto, staccato; il che fa intendere come le 70 settimane siano un tempo reciso, tolto, cioè staccato da un periodo ovviamente più lungo di cui esse fanno parte. Le 70 settimane rappresentano un periodo di tempo fissato, determinato,62 cioè ben preciso. È il tempo che Dio ha riservato al popolo d'Israele affinché svolga un ruolo importante nella storia della salvezza. Esse rimangono comunque un lasso di tempo che fa parte di un periodo più lungo, dal quale sono state appunto “recise”, “tolte”. Ma tolte da quale insieme? Come abbiamo detto: «Esiste evidentemente un rapporto stretto tra i due capitoli VIII e IX di Daniele. È detto che le 70 settimane sono distaccate in vista di certi scopi precisi e questo fa supporre che esse fanno parte di un periodo più lungo. La forma più naturale di spiegare questo distaccamento consiste nel metterle in rapporto con l’intero periodo della visione precedente».63 La spiegazione del capitolo VIII, come abbiamo già detto, è stata interrotta dallo svenimento di Daniele, gli avvenimenti annunciati andavano dal tempo dei MedoPersiani alla fine della storia. Al capitolo IX si riprende, o meglio, si continua la spiegazione della visione avuta, precisando l’inizio dei 2300 giorni profetici. «Le 70 settimane (d’anni) devono essere distaccate dal periodo più lungo dei 2300 (anni) menzionati prima nella visione».64 «Non c’è alcun periodo del quale si possa dire che le 70 settimane sono state staccate, se non quello dei 2300 giorni del capitolo VIII».65 59
AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1889, pp. 127,128. Daniele 9:24. 61 La Bibbia, ed. Luzzi, Concordata e Paoline, Diodati, 62 «Numerosi sono coloro che suppongono che questo tagliare via sia un equivalente di determinare. Per sostenere questa opinione, fanno appello al fatto che il verbo è sovente utilizzato in questo senso nei dialetti semiti... Tuttavia il fatto che Daniele poteva servirsi di altre parole se avesse semplicemente voluto esprimere la nozione di determinare, ... il fatto di avere espressamente utilizzato una parola che mai è utilizzata altrove, è sufficiente per provare che qui essa è utilizzata in relazione al senso primario, per mostrare che le 70 settimane costituiscono un periodo definito con cura come tagliate via» HENGSTENBERG E. William, Old Christology, vol. III, Grand Rapids, 1956, p. 92. 63 BIRKS Thomas-Rawson, First Elements of Sacred Prophecy, London 1843, p. 360. 64 G. Montague, o.c., p. 404. Daniele 9:25. 65 SMITH Uria, The Sanctuaire and the 2300 Days of Daniel VIII:14, Battle Creek 1873, p. 57; vedere Jos. TURNER, 1849, p. 33. 60
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Sebbene Israele avesse trasgredito l’impegno preso di vivere secondo la legge che l’Eterno gli aveva dato, il Signore offriva ancora a questo popolo settanta settimane d'anni per assolvere al compito di testimone. Ancora per 490 anni Dio considererà questo popolo come il Suo. Gerusalemme, benché distrutta, continuava ad essere la santa città, perché Dio l’aveva consacrata per apparirvi nella persona del Messia al tempo stabilito. Da quando far partire questo periodo così importante e fondamentale? Il versetto 25 ci precisa il momento di inizio. I particolari del versetto 24 li considereremo più avanti.
«Dall’uscita di una parola per rialzare e ricostruire Gerusalemme»66 L’espressione dabar significa: parola, comandamento, sentenza, decreto. P. Winandy propone la seguente traduzione: «Impara a conoscere e ricevere intelligenza dai disegni nascosti di Dio: dall’emissione di una dichiarazione per fare ritornare (il popolo) e restaurare Gerusalemme, fino all’Unto principe (ci sono ancora) 7 settimane e 62 settimane: (Gerusalemme) ritornerà e sarà restaurata nelle sue piazze e nei suoi (fossi?) giudizi, e nell’intelligenza dei tempi».67 «... Le due parole ristabilire (rialzare) e costruire (ricostruire), sono un ebraismo che significa semplicemente ricostruire».68 «Qualunque sia la posizione dei diversi interpreti sulla prima parola “liaschib”, essi si accordano tutti per riconoscere, nelle due parole unite, l’annuncio della restaurazione delle mura di Gerusalemme».69 Nei confronti di Gerusalemme distrutta ci sono stati tre decreti di ricostruzione: due per il tempio, uno per la città e una autorizzazione di Artaserse Longimano per Nehemia affinché ritornasse temporaneamente in Giuda a verificare lo stato di avanzamento dei lavori di ricostruzione.70 66
Daniele 9:25. WINANDY Pierre, Étude philologique de Daniel 9:24-27, tesi presentata all’Università La Sorbonne di Parigi, 1977, p. 279. 68 S. Cahen, o.c., p. 50. 69 Th. Mémain, o.c., pp. 22,23. 70 Malgrado il testo biblico indichi in una forma esplicita quando far iniziare le 70 settimane: la promulgazione del decreto di costruzione, dei commentatori, purtroppo troppi, non hanno tenuto conto della precisazione dell’angelo o non hanno valutato bene il tenore dei decreti imperiali confondendo, tra l’altro, la ricostruzione del tempio con Gerusalemme: - 606 a.C. (Geremia 35:11) A. CALMET, Dissertation, vol. XVI, Paris 1730, p. 536; A. COLLINS, The Scheme, vol. I, 1726, p. 109; F.J. DELITZSCH, Real., vol. I, pp. 604,605; J. HARDOUIN, Chronology, 1709 p. 592 s.; Ab. KUENEN, Hist., vol. II, p. 545; É.G.E. REUSS, pp. 264,265; H. SCHULTZ, Alttest, 4a ed., 1899, p. 806; - 604 a.C. M. VERNES, Encyclop. vol. II, p. 587; - 536 a.C. editto di Ciro: J. CALVIN, f. 146; F. GODET, Études, 5a ed., pp. 184,351; K.F.I. KEIL, The Book, pp. 352,353; W.C. THURMAN, 3a ed., pp. 56,252; J. VOLBORTH, p. 54; A. WILLET, p. 314; - 520 a.C. editto di Dario I: 67
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Primo decreto, 536 a.C. Il primo decreto in favore d’Israele fu emanato da Ciro, re dei Medo-Persiani, nel 536 a.C.. Nel libro di Esdra leggiamo: «Nel primo anno di Ciro, re di Persia, affinché s’adempisse la parola dell’Eterno pronunciata per bocca di Geremia, l’Eterno destò lo spirito di Ciro, re di Persia, il quale a voce e per iscritto fece pubblicare per tutto il suo regno quest’editto: “Così dice Ciro, re di Persia: l’Eterno, l’Iddio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra71, ed egli mi ha comandato di edificargli una casa a Gerusalemme, che è in Giuda. Chiunque tra voi è del suo popolo, sia il suo Dio con lui, e salga a Gerusalemme, che è in Giuda, ed edifichi la casa dell’Eterno, dell’Iddio d’Israele, dell’Iddio che è a Gerusalemme...”».72
D. DAVIDSON e H. ALDERSMITH, The Great, vol. I, pp. 303,304; J.A. BENGEL, Ordo, 1770, pp. 303,304,519; - 466 a.C. J.A. BATTENFIELD, 1914, p. 67; - 458/457 a.C. editto di Artaserse, 7o anno; - 445 a.C., missione di Nehemia, 20o anno di Artaserse: F.J. von ALLIOLI, p. 505; R. ANDERSON, 5a ed., p. 66; P. de BENOIT, p. 65; N.S. BERGIER, p. 37; F.H. BERICK, The grand, p. 97; J.B. BOSSUET, p. 42; J.P. BRISSET, p. 47; I. CHASE, p. 74; A.J.T. CRAMPON, nota; E. DENNY, Forgiveness, p. 17; M.K. FRANCINE, p. 60; É. GUERS, p. 97; W. de HANERAW, p. 83; E.W. HENGSTENBERG, O.T., vol. II, p. 394; C.H. LAGRANGE, Leçons, vol. I, 2a ed., pp. 4-51; A. MARTINI, 1929, p. 352; H. MORE, Paralipomena, p. 4; L. de MONTJOSIEU, p. 8; E. PILLOUD, Daniel, pp. 301,302; S. REED, 1850, p. 4; J.H. RICHTER, Erkl., IV, p. 801; L.E. RONDET, 2a ed., vol. XI, 1772, pp. 137-143; ROSELLY de LORGUES, Le Chr., 14a ed., vol. XI, 1842, p. 254; J. THOMAS, Chronikon, 1866, p. 33; S.P. TREGELLES, p. 107; Ch. TROCHON, pp. 76,77; J.F. WALVOORD, 1944, pp. 33,34; è stato già il pensiero di Gioacchino da Fiore, Adv. Jud., p. 47, e di Rupert di Deutz, In Daniel, MIGNE, P.L., CLXVII, col. 1517. A. CALMET, Comm. litt., XVI, 1730, p. 689, adottava il 20o anno di Artaserse come l’inizio delle 62 settimane. J.N. ANDREWS, The Prophecy, 1863, p. 39, faceva notare che «Nehemia aveva ricevuto un permesso orale di ristabilire la città di Gerusalemme. Un simile permesso non costituisce un decreto». - 420 a.C. editto di Dario II: J. MEDE, The Theology, London 1677, pp. 697-699; E. URCH, 1893, pp. 10,11; - 417 a.C. M. GRANT, Divine Chronology, p. 7. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. 71 «Rivolgendosi ai Babilonesi, afferma che precisamente il dio babilonese Marduk lo ha chiamato sul trono di Babel per sostituirvi Nabonide negligente nel culto di quel dio, e gli ha dato la signoria “di tutta la terra” (Cilindro di Ciro scoperto a Babilonia nel 1879)» Abate RICCIOTTI Giuseppe, Storia d’Israele, vol. II, ed. SEI, Torino 1964, p. 20. 72 Esdra 1:1-4. Sebbene questo decreto nella formulazione sia simile a quello promulgato nei confronti dei popoli adoratori di altre divinità, riteniamo che Ciro abbia potuto conoscere l’Eterno in seguito al precedente decreto di Dario il Medo, promulgato dopo la liberazione di Daniele dalla fossa dei leoni (Daniele 6:26,27) e la testimonianza che Daniele stesso ha dato al nuovo imperatore. Ci sono motivi per credere che Daniele, che è vissuto almeno fino al terzo anno di Ciro (Daniele 10:1) e che si è interessato pienamente per la realizzazione della profezia di Geremia, riguardante il ritorno del popolo d’Israele nel suo paese, dopo settanta anni di esilio (Daniele 9:2; confr. Geremia 25:11,12), abbia presentato al nuovo re di Babilonia un rotolo delle profezie di Isaia che riguardano la sua persona e che l’Eterno lo chiama suo pastore, suo unto (Isaia 44:28; 45:1) e avrebbe liberato il suo popolo dall’esilio senza il pagamento di un riscatto (45:13). Giuseppe Flavio, che aveva accesso a certi rapporti storici persi da molto tempo, afferma che «quando Ciro lesse questo ammirò il potere divino. Un desiderio ed una ambizione segreta si impossessarono di lui in vista di realizzare ciò che era scritto» Antichità Giudaiche, XI,1,2. Ci sono buone ragioni per credere a questa testimonianza di Giuseppe a dispetto delle critiche moderne su il Secondo Isaia e la pretesa impossibilità della profezia di annunciare il futuro. Quando la profezia diventa storia
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Con questo decreto simile a tanti altri accordati ai vari popoli deportati in Babilonia73 Ciro non autorizzò la ricostruzione della città di Gerusalemme, ma unicamente la ricostruzione del tempio. Tanto è vero che Esdra dice a tale proposito: «Allora i capi famiglia di Giuda e di Beniamino (le due tribù del Regno del Sud), i sacerdoti e i leviti, tutti quelli ai quali Iddio aveva destato lo spirito, si levarono per andare a ricostruire la casa dell’Eterno ch’è a Gerusalemme».74 «Così, in seguito al decreto di Ciro, i Giudei ebbero la libertà di ritornare in Giudea. Essi cessarono di essere internati in quartieri speciali: la relegazione del popolo giudaico in Mesopotamia, imposta e mantenuta dai re caldei, prendeva fine, dopo essere durata 70 anni... Non si trattava di ricostruire allora la nazione giudaica: tutto mancava a loro per tentare una restaurazione politica... Adoratore di tutti gli dèi del suo impero, Ciro non ebbe alcuna difficoltà nel permettere di ristabilire a Gerusalemme un tempio al Dio del cielo».75 L’abate Brunel scriveva: «Si è sostenuto che l’editto di Ciro, concernente il tempio di Gerusalemme, comportasse nello stesso tempo l’autorizzazione di ricostruire i bastioni (però) il permesso... di ricostruire il santuario è ben diverso da quello che l’autorizza a rialzare la cinta fortificata della sua capitale. Tuttavia, sembra che il re di Persia non proibisse di costruire attorno al tempio qualche abitazione; esse erano necessarie agli addetti al culto e senza nessun pericolo per l’impero... Lo si vede, il decreto di Ciro non era il “dabar” indicato dall’angelo, né il termine iniziale delle 70 settimane».76 Questo decreto di Ciro non riguardava la ricostruzione della città. In esso non c’è nulla per una ricostruzione politica. Gerusalemme, inoltre, una volta ricostruita poteva diventare un centro di rivolta, e impedire i progetti del nuovo imperatore nei confronti dell’Egitto che conquisterà undici anni dopo, nel 525 a.C. Ciro era un capace politico e, liberando religiosamente i popoli conquistati dalla dinastia babilonese, li voleva legare a sé. Come stratega non poteva permettere che Gerusalemme indipendente riprendesse il ruolo che aveva avuto prima della sua distruzione. I re persiani non potevano dimenticare che questa città aveva opposto una resistenza energica a Nebucadnetsar. La politica persiana era quella di lasciare i popoli vinti in uno stato di impotenza politica per poterli governare meglio. Così Ciro decretò solamente la ricostruzione a Gerusalemme di un luogo sacro, considerato come asilo di una
73 Dietro autorizzazione di Ciro le «statue dei vari paesi, che non solo Nabonide ma anche i suoi predecessori avevano concentrato in Babel, uscirono dalla capitale e tornarono fra i loro antichi adoratori. Insieme con gli dèi uscirono man mano le rispettive popolazioni... tale avvenimento, così nuovo e importante nella storia dell’umanità, è narrato da Ciro stesso (nel suo cilindro): “Da... (lacuna) ... fino alla città di Assur e Susa, Agade, Eshnunak, Zamban, Meturnu, Der fino al distretto del paese dei Quti, delle città (di là) dal Tigri, le cui dimore stavano da molto tempo in rovina, gli dèi colà dimoranti io riportai al loro posto, e un’eterna dimora feci loro occupare. I loro uomini, tutti quanti, io radunai e ristabilii la loro dimora. E agli dèi di Sumer e Akkad, che Nabonide aveva portato in Babel (provocando) a sdegno il signore degli dèi, feci io occupare, per comando di Marduk il Gran Signore, una dimora di pace nella loro cella a delizia del cuore”» G. Ricciotti, o.c., pp. 20,21. 74 Esdra 1:5. 75 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1045. 76 BRUNEL E., Restauration du peuple d’Israël après la captivité de Babylone, Lyon 1894, p. 167.
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divinità e non la ricostruzione di una città turbolenta, ribelle e indomabile, con un grande spirito di indipendenza. Dopo questo editto, i ricchi, i nobili, le famiglie più influenti d’Israele non ritornarono in Palestina. I dottori giudei hanno detto che la «farina del popolo restò a Babilonia». È solo un numero ristretto che ha approfittato di questo editto. Il Paese era in uno stato terribile di desolazione e tutte le città erano distrutte. Bisognava inviare a Gerusalemme dei coltivatori e degli operai: ecco perché la maggior parte dei Giudei che tornarono in Giuda erano povera gente. D’altra parte le famiglie ricche non potevano lasciare i loro affari ben avviati per ritornare in una terra desolata se volevano concorrere con i loro mezzi all’opera di ricostruzione. Stando in Mesopotamia potevano sovvenzionare i lavori. Il rabbino Cahen riconosce che coloro che si recarono in Palestina si erano votati «al pensiero pio di ricostruire, sulla montagna di Sion, il Tempio dell’Eterno. I termini stessi del decreto di Ciro, che aveva messo fine alla cattività, non accordava loro altra cosa. Si concedeva loro di ricostruire l’edificio sacro e di ritornare nella loro patria; non si sarebbero tollerate altre ambizioni».77 Le popolazioni vicine sapevano molto bene che il decreto del re non verteva sulla ricostruzione della città. Esdra ci ricorda: «Ora i nemici di Giuda e di Beniamino, avendo saputo che quelli che erano stati in cattività edificavano un tempio all’Eterno, all’Iddio d’Israele, si avvicinarono a Zorobabel ed ai capi famiglia e dissero loro: “Noi edificheremo con voi, giacché come voi, noi ricerchiamo il vostro Dio”. Ma Zorobabel, Jeshua, e gli altri capi famiglia d’Israele risposero loro: “Non spetta a voi ed a noi insieme di edificare una casa al nostro Dio; noi soli la edificheremo all’Eterno, all’Iddio d’Israele, come Ciro re di Persia ci ha comandato”. Allora la gente del paese si mise a scoraggiare il popolo di Giuda, a molestarlo per impedirgli di fabbricare, e a comprare dei consiglieri per frustrare il suo divisamento; e questo durò tutta la vita di Ciro, re di Persia, e fino al regno di Dario, re di Persia».78 A causa di questa opposizione «fu sospesa l’opera della casa di Dio a Gerusalemme e rimase sospesa fino al secondo anno del regno di Dario, re di Persia».79 Così l’editto di Ciro rimase lettera morta per quindici anni, fino al tempo del re Dario, quando i Giudei, sotto l’influsso dei profeti Aggeo e Zaccaria, ripresero i lavori e «ricominciarono a edificare la casa di Dio a Gerusalemme…».80 «Bisogna confessare... che quest'editto del fondatore dell’Impero Medo Persiano fu di gran beneficio a tutti i Giudei. Ponendoli direttamente sotto la protezione del gran re, li indicava già alla benevolenza dei futuri eredi della sua corona».81 Ciro fu inconsciamente il promotore della futura ricostruzione nazionale.82 77 78 79 80 81 82
CAHEN Samuel, Les pharisiens, vol. I, p. 5; cit. da J. Fabre d’Envieu o.c., t. II, p. 1052. Esdra 4:3-5. Esdra 4:24. Esdra 5:2. E. Brunel, o.c., p. 168. Isaia 44:28; 45:13. Quando la profezia diventa storia
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Secondo decreto, 520 a.C., e causa della sua promulgazione I nemici dei Giudei, visto che essi avevano intrapreso la ricostruzione del tempio di Gerusalemme, li accusarono di ricostruire le mura della città e inviarono lettere in tal senso ai re Serse ed Artaserse83 per ostacolare l’opera di ricostruzione. E questo, come ci riferisce Esdra, continuò fino al tempo di Dario. In realtà si trattava del rifacimento delle mura del tempio, che veniva edificato in forma così massiccia che lo facevano assomigliare assai più ad una cittadella che ad un luogo di culto. L’opera veniva fatta con molta cura. Il re Dario inviò dei funzionari a Gerusalemme per controllare la veridicità di quanto si affermava contro i Giudei. Quando essi ritornarono, dopo aver effettuato il sopralluogo, riferirono al re che i Giudei stavano ricostruendo unicamente il tempio della città e che l’autorizzazione era stata data a suo tempo dal re Ciro.84 Dario, dopo aver fatto controllare l’editto di Ciro, la cui copia fu trovata a Babilonia nel castello di Ahmetha, riconfermò l’editto precedente ordinando: «Lasciate continuare i lavori di quella casa di Dio» e minacciò di rovina coloro che si sarebbero intromessi per impedirne la realizzazione. Grazie a questa riconferma «gli anziani dei Giudei continuarono l’opera di ricostruzione facendola progredire... e finirono i loro lavori di costruzione... E la casa fu finita il terzo giorno del mese di Adar, il sesto anno del regno di Dario». 85 Dario ribadì l’editto di Ciro per fare proseguire i lavori del tempio nel 520, 519 a.C. La ricostruzione del Tempio fu terminata il 12 marzo 515 a.C.
Preparazione al terzo decreto
Quando il tempio fu costruito sul monte Moria, era come una cattedrale in mezzo a un deserto. La sua ricostruzione era la prima tappa per l’unità nazionale. I Giudei, con il loro talento e la loro abilità, occuparono sempre dei posti influenti nell’amministrazione dell’impero e a corte. Daniele e i suoi amici avevano avuto un ruolo molto importante in Babilonia. Daniele fu molto apprezzato anche alla corte di Dario il Medo e l’annuncio che aveva fatto a Belsatsar nella notte in cui Babilonia passò sotto la potenza medo-persiana86 non era sconosciuto ai nuovi potenti. Non è da escludere che Daniele abbia anche fatto conoscere a Ciro le profezie bibliche che lo 83
«In effetti Assuero e Artaserse (Esdra 4:6,7) non possono indicare che Serse (485-465) e Artaserse I Longimano (465-425)... Con tutti i moderni ammettiamo che qui questo brano (Esdra 4:6-23) ha subito uno spostamento cronologico, cioè nella redazione ultima del libro di Esdra non è stato messo al suo giusto posto» La Bible Annotée, Ancien Testament, Les Livres Historiques, t. IV, Esdra, Neuchâtel 1894, pp. 385,399. 84 Esdra 5:9-17. 85 Esdra 6:1,2,7,11,14,15. 86 Daniele 5.
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riguardavano,87 e si può quindi pensare ad una sua influenza diretta o indiretta nel decreto di Ciro. Il libro di Ester ci presenta la gelosia che si nutriva nei confronti dei Giudei per le loro cariche amministrative. La regina Ester, moglie di Serse, era israelita. Mardocheo suo zio, fu nominato primo ministro dopo la morte di Haman.88 Anche Nehemia visse alla presenza di Artaserse, che lo apprezzò moltissimo. La cosa non ci dovrebbe stupire, perché in ogni tempo questo popolo ha dato prova d’ingegno, di talento e ha spesso suscitato, anche per questo motivo, l’opposizione nei suoi confronti. Artaserse I Longimano, «figlio di Serse I... è stato identificato con certezza come essendo l’Assuero del libro di Ester».89 Egli salì al trono, secondo Diodoro di Sicilia, che ci ha lasciato una storia, anno per anno, dei re greci e di quelli persiani, nel IV anno dalla 77a olimpiade, cioè nell’anno greco che va dal mese di luglio 465 al luglio 464 a.C..90 «Esdra e Nehemia furono dei grandi strateghi presso Artaserse... Anche le circostanze erano loro favorevoli: Nehemia, il coppiere del re, era onnipotente alla corte; Esdra, lo scriba, era molto stimato nella città, e Artaserse gioiva in pace del trionfo della sua campagna d’Egitto. I bassi rancori e le vessazioni dei Samaritani rendevano pure il popolo giudeo interessante ad un re tollerante e generoso come Artaserse».91 La regina Ester doveva essere ancora viva all’inizio del regno di Artaserse e forse era lei che gli era accanto quando Nehemia gli chiese l’autorizzazione per andare a Gerusalemme. Fu in questo contesto che Artaserse venne sensibilizzato sulla necessità di organizzare il culto nel tempio di Gerusalemme. Si fece notare al re che era pressoché impossibile esercitare il culto se la legge di Mosè non fosse stata rimessa in vigore in tutta la sua completezza. Per adorare in una forma corretta Yahvé, occorreva “un popolo” e “una società religiosa” che Gli fossero assolutamente devoti. La riunificazione del popolo d’Israele era nel pensiero teologico ebraico alla base del messianismo, e «poiché Esdra aveva applicato il cuore allo studio ed alla pratica della legge dell’Eterno, e ad insegnare in Israele le leggi e le prescrizioni divine»92 si sarà indubbiamente adoperato con ogni mezzo per esercitare la sua influenza sul re al fine d’indurlo a permettere la riunificazione nazionale.
Terzo decreto, 457 a.C.
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Isaia 44:28; 45:1,13; 13. Ester 8-10. 89 «Uno dei primi risultati della lettura delle iscrizioni persiane fu l’identificazione di Assuero con Serse. Questa conquista della scienza non fa più ombra di dubbio» OPPERT, Dictionnaire de la Bible, t. II, col. 1141; cit. da G. Vidal, o.c., p. 85. 90 Diodoro, Biblioteca storica, I, Xl, cap. 69. 91 E. Brunel, o.c., p. 168. 92 Esdra 7:10. 88
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Fu nella primavera del 457 a.C., nel VII anno di regno di Artaserse,93 che l’imperatore diede le seguenti disposizioni: «Artaserse, re dei re, a Esdra, sacerdote, scriba versato nella legge dell’Iddio del cielo, ecc. Da me è decretato che nel mio regno, chiunque del popolo d’Israele, dei suoi sacerdoti e dei leviti sarà disposto a partire con te per Gerusalemme, vada pure; giacché tu sei mandato da parte del re e dai suoi sette consiglieri per informarti in Giuda e in Gerusalemme come vi sia osservata la legge del tuo Dio, la quale tu hai nelle mani». Dopo aver elencato quello che il re offriva in beni, così prosegue: «Del rimanente dell’argento, e dell’oro farete, tu e i tuoi fratelli, quel che meglio vi parrà, conformandovi alla volontà del vostro Dio... Tutto quello ch’è comandato dall’Iddio del cielo sia puntualmente fatto per la casa dell’Iddio del cielo... E tu, Esdra, secondo la sapienza di cui il tuo Dio ti ha dotato, stabilisci dei magistrati e dei giudici che amministrino la giustizia a tutto il popolo d’oltre il fiume, a tutti quelli che conoscono le leggi del tuo Dio; e fatele voi conoscere a chi non le conosce. E di chiunque non osserverà la legge del tuo Dio e la legge del re farete pronta giustizia, punendolo con la morte, o con il bando o con 93 «La morte di Serse nel dicembre del 465 è indicata da una tavoletta trovata nel 1930, a Ur, in Caldea, nel corso di uno scavo fatto in quel luogo. Questo documento mostra che il 17 dicembre 465, Serse era ancora vivente. D’altra parte noi abbiamo un papiro datato del 2 gennaio 464 che mostra Artaserse, suo giovane figlio, quando è salito sul trono. La presa del potere è dunque avvenuta a fine dicembre 465, ma per Esdra, che utilizza il sistema persiano per computare gli anni di regno e il calendario giudaico d’autunno ad autunno, il periodo che va dal dicembre 465 all’autunno 464 è l’anno di intronizzazione. Il primo anno di regno non comincia che il 1° di Tishri cioè settembreottobre del 464. Ciò ci porta, per l’inizio del VII anno di Artaserse, all’autunno del 458. Per conseguenza il viaggio di Esdra (7:8,9) cominciato in Nisan e terminato in Ab del VII anno di Artaserse corrisponde al periodo da marzo a luglio 457» HORN S.H. - WOOD L.H., The Chronology of Ezra 7, in Review and Herald, 1953, pp. 91,92. Per questa data si possono consultare, per quanto riguarda le opere storiche: Abraham CALOV, De LXX septimanis mysterium, Wittemberg 1663; Martin GEIER, Praelectiones in Daniel, 1667; Johann Franz BUDDE, Historie Ecclesiastique Vieux Testament, 1715-1719; Humphrey PRIDEAUX, The Old and New Testament Connected, 1715; NEWTON Isaac, La Chronologie des Anciens Royaumes, Paris 1728, p. 43; Works, V (Cronology), London 1785, p. 290; WEBER Georg, Allgemeine Weltgeschichte, vol. I, Leipz., 1857, p. 739. «Se si vuole una dimostrazione esauriente, la si può trovare in Johann FUNCK (1518-1566), autore di una tesi anonima sulla seconda parte del capitolo 9 di Daniele, Ausslegung des anderntheils der Neundten Capitels Danielis, Koenigsberg 1564, o nella dissertazione del gesuita italiano Giacomo Maria AYROLI (1660-1721), che può essere consultata a Parigi, Biblioteca Nazionale, e a Londra, Museo Britannico, in Synopsis dissertationis biblicae in LXX Danielis hebdomadas, Roma 1705, Liber LXX hebdomadum resigratus, S. Danielis vaticinum, Roma 1713, 1714, 1748; vedere Mémoires pour l’Histoire des Sciences et des Beaux-Arts, vol. I, Trévoux 1713, pp. 296-310; vol. IV, 1716, p. 212; vol. I, 1721, p. 357. Ayroli consacra diversi capitoli a provare che Ciro e Dario devono essere scartati a vantaggio di Artaserse. Prima e dopo di lui numerosi autori hanno fatto partire le 70 settimane d’anni dal 20o anno d’Artaserse. Così Bossuet, Martini, Allioli, Trochon, Crampon, tra i cattolici; Lutero, Hengstenberg, Guers, Tregelles, Robert Anderson, tra i protestanti. Ayroli seguito da Fabre d’Envieu, F. de Rougemont, Pusey, Elliott, ecc., ha mostrato che il decreto del 7o anno d’Artaserse (457 a.C.) soddisfa tutte le esigenze dell’esegesi e della storia. Di conseguenza è inutile scendere fino al 20o anno di Artaserse, al momento in cui Nehemia ottiene delle lettere regali che l’autorizzano a rialzare le mura di Gerusalemme (Nehemia 2:1-9)» VAUCHER Alfred Félix, Lacunziana, serie n. 1, Collonges sous Salève 1949, p. 76. Numerosi sono gli autori, ma ne elenchiamo soltanto alcuni, che sostengono questa data: A. BLOMSTRAND, 1853, p. 96; R. BROWN, vol. I, 1883, pp. 275,276; E. BRUNEL, pp. 163-171; E.P. CACHEMAILLE, 1911, pp. 80,81; 1918, p. 26; L.T. CUNNINGHAM, Signific., pp. 28,29; J. FABRE d’ENVIEU, vol. II, pp. 1092,193; A.R. FAUSSET, Encyclop., p. 153; J. FERGUSON, p. 35; B. FOSTER, 1787, p. 24; K.W. HARTENSTEIN, 1936, p. 104; A.E. HATCH p. 119; E. HUNTINGFORD, 1895, p. 75; A. KINNE, 1814, pp. 172,173; P. de LAUNAY, Dissertation, 1624, pp. 367,377; T. LINDER, 1947, p. 122; Th. MÉMAIN, 1903, pp. 13,15,28; 1904, p. 71; G.S. MENOCHIO, Spec., vol. IV, 1768, pp. 298,299; R. PACHE, Le prophète, p. 79; W. PALMER, p. 78; E.B. PUSEY, 1864, p. 78; E. SAUER, Das Morgenrot, 1947, p. 231; W.E. SHELDON, Chronology, p. 89; R. Cunningham SHIMEALL, 1842, p. 239; W.M. TAYLOR, 2a ed., p. 209; S. TOOVEY, An Essay, 1813, p. 16; A.F. VAUCHER, Le point…, in Revue Adv., 15/5/1954, pp. 5,6; P. VULLIAUD, La fin, 1952, p. 55, n. 2; J.T. WHEELER, p. 277; H. WOOD, The Revelation, 1787, p. 402. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia.
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multa pecuniaria o col carcere». Esdra commenta questo decreto con le seguenti parole: «Benedetto sia l’Eterno, l’Iddio dei nostri padri, che ha così disposto il cuore del re ad onorare la casa dell’Eterno, a Gerusalemme, e che mi ha conciliato la benevolenza del re, dei suoi consiglieri e di tutti i suoi potenti capi».94 Questo è il solo decreto imperiale che è seguito da una benedizione e da una lode a Dio. Esdra diventa così il capo della seconda carovana che, formatasi a Babilonia con la promulgazione di questo editto il primo giorno del primo mese, arriva a Gerusalemme il primo giorno del quinto mese,95 cioè nel luglio del 457 a.C. Scrive K. Auberlen: «Il ritorno di Esdra nel 457 a.C., è la sola data che risponde alle esigenze del testo ben compreso».96 «In questo editto, che sviluppa considerevolmente quello di Ciro e di Dario, Artaserse impegna prima di tutto i Giudei sparsi nell’Impero Persiano a rientrare nel loro paese. Ma i Giudei avevano di già, a seguito dell’editto di Ciro, la libertà di andare in Palestina, e non si vede con quale scopo si sarebbe fatta una nuova immigrazione, se questa non fosse stata per ricostruire uno Stato ebraico... Il potere del riscritto reale è, inoltre, munito di un potere quasi illimitato. Il decreto di Artaserse è, in effetti, molto largo: comprende il “potere legislativo”97, il “potere giuridico”98 lo “jus gladii” (il potere esecutivo)99... Così investito dei più grandi 94
Esdra 7:12-14,18,23,25,28. Esdra 7:9. 96 K. Auberlen, o.c., p. 160. A favore di questa data W.H. Shea scrive: «a) Gli storici classici hanno registrato le date di questo regno con precisione, esprimendole in termini olimpiaci. Da Senofonte e da Tucidide, sono state trasmesse da Plutarco allo storico cristiano Giulio l’Africano. b) Il canone dell’astronomo alessandrino Tolomeo contiene una lista di eclissi che si sono prodotte nel passato e risalgono fino all’anno 457 a.C. Esse sono datate in funzione dei regni dei diversi re. Le eclissi menzionate per il periodo persiano fanno intervenire gli anni di regno di Artaserse I, permettendo di fissarli con la massima certezza. c) I papiri di Elefantina, in Egitto, sono stati redatti in aramaico da dei Giudei che vivevano in quell’isola durante il periodo persiano. Riportano un doppio periodo di date: quelle del calendario lunare persianobabilonese e quelle del calendario egiziano. Questi due calendari si sviluppano in un modo diverso, nel senso che il cambio degli anni avvengono in momenti diversi, se li compariamo al calendario giudaico. Così, facendo dei confronti, siamo in condizione di fissare gli anni di regno dei sovrani persiani e di Artaserse I. d) Le tavolette cuneiformi babilonesi forniscono una lista relativamente completa di re che hanno regnato dall’anno 626 a.C. all’anno 75 della nostra era. R.A. PARKER - W.H. DUDUDDESTEIN ne hanno fatto una recensione nella loro opera Babylonian Chronology, Providence, R.I. Brown University 1956. Queste tavolette permettono di calcolare le date del regno di Artaserse I, in funzione del calendario giuliano. Queste quattro fonti d'informazioni cronologiche sono unanimi: il settimo anno del regno d’Artaserse I si è esteso dal primo mese (Nisan) dell’anno 458 a.C. fino alla primavera dell’anno seguente, in altre parole il dodicesimo mese (Adar) dell’anno 457. Considerando l’armonia che esiste su questo argomento tra le diverse fonti indicate, possiamo considerare queste date come essendo fissate in modo fermo e irrevocabile» o.c., pp. 282,283. 97 Esdra 7:14. 98 Esdra 7:25. Diverse versioni traducono la frase contenuta nel versetto 25 nel modo seguente: «Gerusalemme verrà ricostruita “piazze e mura” con “piazza e fossati”. Ora la parola fossi può essere tradotta anche giudizio. Questa è la tesi di P. Winandy, o.c.. A pag. 279 egli dà questa traduzione: «(Gerusalemme) ritornerà e sarà restaurata nella sua gran piazza e nei suoi giudizi (sentenze)». «Piazza e fossati» è una curiosa associazione.- Questa traduzione è forse causata dal fatto che in arabo la parola ha valore di “fendere”, “graffiare”, in assiro “scavare”, probabilmente “decidere”, in fenicio “gravare”... Lo studio dettagliato di questa parola (fossati) nel Tenach (abbreviazione ebraica di ciò che i cristiani chiamano Antico Testamento), ci porta in ogni caso all’osservazione seguente: nelle 26 occasioni in cui la radice haratz sotto una forma o sotto un’altra è impiegata al di fuori di Daniele 9:25, non ha mai il significato di fossato. Per contro... l’idea del giudizio, sotto forma sostantiva o aggettivata si riscontra in diversi altri testi: Gioele 3:14; Giobbe 14:5; Isaia 10:22.- In nessun passo per la ricostruzione di Gerusalemme si parla di fossati. “Piazza e 95
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poteri amministrativi, Esdra lavora a ricostruire la nazionalità del popolo ebraico. L’editto reale gli dà evidentemente la missione di formare un popolo distinto dagli altri e governato dalle sue proprie leggi religiose e civili. Ora, il potere di restaurare politicamente Gerusalemme comprendeva quello di riedificare la città, poiché questa ricostruzione era un seguito dell’organizzazione politica. Costruire una città, in effetti, non significa solamente costruire delle case e dei bastioni, ma riunirvi dei cittadini e farvi regnare delle leggi100 ... Esdra non aveva infatti bisogno di una missione più specifica per ricostruire Gerusalemme: era autorizzato a stabilire nella sua nazione una forma di governo; doveva stabilire dei tribunali incaricati di fare eseguire le leggi di Mosè e di punire, pure con l’ultimo supplizio, i refrattari, chiunque fossero; era infine autorizzato a prendere delle misure per garantire la sicurezza del popolo che gli era affidato e per migliorare la sua situazione... Artaserse, permettendo il ristabilimento d’una città a Gerusalemme, permetteva dunque, nello stesso tempo, di costruire delle case e di mettervisi al riparo dagli attacchi del nemico».101 «Questa restaurazione operata da Esdra è, dopo la missione di Mosè, il più grande avvenimento della storia giudaica. Seguendo la tradizione ebraica, Esdra, raccogliendo i libri sacri, fissò il canone (450 a.C.)... Esdra fu così l’autore della restaurazione materiale e religiosa del popolo giudaico».102 Artaserse autorizzò Esdra ad agire «secondo la sapienza del suo Dio».103 Questo scriba non poteva non ignorare che secondo le parole di Isaia, Geremia, e di Daniele stesso, la ricostruzione nazionale faceva parte del piano di Dio. Infatti scriveva: «Poiché noi siamo schiavi; ma il nostro Dio non ci ha abbandonati nel nostro servaggio; ché anzi ha fatto sì che trovassimo benevolenza presso i re di Persia i quali ci hanno dato tanto respiro da potere rimettere in piedi la casa dell’Iddio nostro e restaurare le rovine, e ci hanno concesso un ricovero (un chiuso, un riparo, un rifugio) in Giuda e in Gerusalemme».104 fortificazioni”, o “piazza e muraglie” sarebbero accettabili. Nella ricostruzione di una città negligere le muraglie ed insistere sui fossati è ben strano.- Walvoord, facendo probabilmente allusione al testo della masora, ammette che la parola tradotta con “muro” (harûs) non è la parola normale per muro (hôma). La radice haras significa: tagliare, aguzzare, decidere.- In Daniele 11:36 la stessa radice viene tradotta: ordinato, decretato, ecc. Questa traduzione la si dovrebbe mantenere anche per Daniele 9:25.- A voce unanime la parola haratz non significa mai muraglia. La traduzione “piazza e giudizi” sarebbe un'associazione logica, tanto più che le piazze in Oriente erano le corti dei giudici, i giudici erano seduti vicino alla porta. Storicamente Esdra 7:25 ci parla di giudizi» P. Winandy, o.c., pp. 260,265,266,269. In tutta la storia d’Israele non si parla mai di scavo di fossati. Gerusalemme era così disposta: estsud valle del Cedron, sud-ovest valle di Hinnon, nord muraglia. La parte nord era la più debole e tutti gli attacchi venivano da quella parte. Nessuno però menziona nella ricostruzione scavi fatti in quella zona. L’opera più considerevole in questo senso: KENYON K. M., Jerusalem, Excavating 3000 Years of History, Thames and Hudson, 1969, non fa nessuna allusione. E. Rey traduceva: «Le piazze saranno ristabilite e i giudici ristabiliti» REY Eugène, Une nouvelle traduction de Daniel 9:24-27, in Revue Adventiste, marzo 1938, pp. 4,5. L’editto di Artaserse confermerebbe queste traduzioni per il fatto che menziona il ristabilimento dei giudici e dei magistrati (Esdra 7:25). 99 Esdra 7:26. 100 Cicerone diceva giustamente a questo proposito: «Urbis, oppidum muro cinctum; civitas vero, coctus, hominum jure sociatus». 101 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1061,1062. 102 Th. Mémain, o.c., p. 43. 103 Esdra 7:25. 104 Esdra 9:9.
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Ecco perché «la maggior parte dei commentatori fanno partire le 70 settimane dall’editto di Artaserse»105 e «la data del 457... corrisponde al VII anno di regno di Artaserse I°».106
«Piazze - giudici107 - e mura saranno rialzate e ricostruite nell’angoscia dei tempi»108 Per quanto Esdra avesse ottenuto l’appoggio del re per ricostruire lo Stato di Giuda, l’angelo aveva detto a Daniele che Gerusalemme sarebbe stata ricostruita «in tempi angosciosi».
Autorizzazione a Nehemia Nel XX anno del regno di Artaserse, tredici anni dopo l’emanazione dell’editto, consegnato dal re ad Esdra, che autorizzava la ricostruzione della città, Nehemia, che in quel tempo si trovava a Susa, venne informato da suo fratello Hanai e da altre persone provenienti dalla Giudea, che coloro che erano tornati a Gerusalemme si trovavano in grande difficoltà e che «le mura di Gerusalemme restano rotte, e le sue porte, consumate dal fuoco».109 Come conseguenza di questa notizia Nehemia disse: «Io mi posi a sedere, piansi, feci cordoglio per parecchi giorni, e digiunai e pregai...».110 Questa sofferenza morale che porta Nehemia ad essere triste in presenza del re Artaserse,111 di cui era coppiere, non può essere considerata, per nessun motivo logico ed esegetico, come conseguenza della distruzione della città operata da Nebucadnetsar nel 586 a.C., ma ha senso se è provocata da qualche cosa di ben più recente; cioè dalle dolorose notizie ricevute dai connazionali sulle difficoltà di ricostruzione delle mura della città di Gerusalemme. Per questa sua sofferenza il re, per la stima riservata a Nehemia e per la sua benevolenza, gli concede l’autorizzazione di recarsi a Gerusalemme per verificare lo stato di avanzamento dei lavori di ricostruzione delle mura cittadine, e non per quanto accaduto 142 anni prima. Nehemia riceve dal re l’autorizzazione di allontanarsi dalla corte per un periodo di tempo alquanto breve, provvisorio.112 La sua assenza lascia un vuoto tra i servitori del re e nelle sue abitudini. Nehemia non ha bisogno di molto tempo, recandosi a Gerusalemme non forma nessuna nuova colonna di esuli, gli operai sono di già sul posto. Però anche dopo l’arrivo di Nehemia a Gerusalemme la situazione rimane 105
VIGOUROUX Fulcran, La Sainte Bible Polyglotte, t. VI, Paris 1906, p. 345. RENIÈ J., Manuel d’Ecriture Sainte, t. III, Paris 1946, p. 257. 107 Vedere nota n. 98, p. 84. 108 Daniele 9:25. 109 Nehemia 1:3. 110 Nehemia 1:4. 111 «La sorpresa e il dolore di Nehemia attestano che una autorizzazione di rialzare questa città era stata ottenuta nel decreto dato da Artaserse a Esdra» J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1065. 112 Nehemia 2:6-8. 106
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difficile a causa delle reazioni, della gelosia dei vicini. Nehemia infatti scrive: «Ma quando Samballat, Tobia, gli Arabi, gli Ammoniti e gli Asdodei ebbero udito che la riparazione delle mura di Gerusalemme progrediva, e che le brecce cominciavano a chiudersi, ne ebbero grandissimo sdegno, e tutti quanti assieme congiurarono di venire ad attaccare Gerusalemme e di procurarvi del disordine».113 «Ma Nehemia non aveva... da fare ai bastioni che una semplice riparazione: colmare le brecce, restaurare certe porte e innalzare le muraglie. Ora, per terminare queste riparazioni, lo spazio del tempo indicato dal testo era sufficiente: c’erano numerosi carpentieri, materiale in prossimità, e una grande attività tra i lavoratori».114 «La ricostruzione così rapida delle mura, fatta sotto Nehemia in 52 giorni115, mostra che esse erano già in parte rialzate. L’autorizzazione data a Nehemia da Artaserse I, nel XX anno del suo regno, ha soprattutto in vista l’assenza del coppiere del re e suppone un permesso di già accordato per ristabilire Gerusalemme; di modo che questa autorizzazione non potrebbe essere vista come il punto di partenza delle 70 settimane... Il sistema secondo il quale il decreto, per ricostruire Gerusalemme, daterebbe del XX anno del regno di Artaserse Longimano, periodo in cui permise a Nehemia di assentarsi per andare a rialzare le mura di questa città, è inammissibile».116
Fine delle 7 settimane, 408 a.C. L’artefice principale dell’opposizione alla ricostruzione era Samballat, un nemico giurato che, non potendo impedire i lavori perché c’era un decreto medo-persiano, cercò di sabotarli e intimidire i costruttori. Finché visse Samballat per i Giudei furono giorni di “angustia”. Due papiri di Elefantina del V secolo. a.C., poco posteriori al periodo di Nehemia, ci potrebbero essere utili per fissare la fine delle difficoltà per Israele. Nel 410 gli Ebrei di Elefantina chiedono al sommo sacerdote di Gerusalemme, Yeuohanan, l’autorizzazione di ricostruire la sinagoga dell’isola che era stata distrutta da una sommossa egiziana. Non ricevendo nessuna risposta, nel 408 scrivono una seconda lettera al governatore persiano di Samaria, Bagohi, sollecitando lui e i figli di Samballat (che era morto tra il 410 e il 408) Delays e Selemyah di intervenire presso il sommo sacerdote di Gerusalemme per avere il permesso. Se il 113
Nehemia 4:7,8. E. Brunel, o.c., p. 162. L’abate G. Ricciotti scrive a tale proposito: «Il tempo impiegato può sembrare troppo breve, e certamente... non si sarebbe potuto compiere tutto in meno di due mesi, se si fosse trattato di tirare su delle mura addirittura livellate al suolo. Ma senza dubbio, non era questo il caso... Nehemia nella sua ispezione notturna, trova specialmente mura squarciate; doveva dunque trattarsi in gran parte di restauri. Inoltre, questi restauri erano ancor più facilitati dal fatto che i materiali per compierli stavano lì a pochi passi dalle brecce: erano infatti macigni e pietre fatte rotolare dai distruttori. Questa considerazione, mentre dà un’opportuna spiegazione alla brevità del tempo impiegato, raccomanda sempre meglio la conclusione già tirata... che, cioè, le stesse mura erano state distrutte l’ultima volta soltanto un paio d’anni prima, tra il 447 e il 446, quando già stavano per essere ultimate dopo un lungo periodo di ricostruzione. Alla distruzione di Nebucadnetsar, vecchia già di un secolo e mezzo, non si può affatto pensare: i materiali delle sue macerie erano stati utilizzati, fra altro, dai rimpatriati di Zorobabel, per la costruzione delle loro case e forse del Tempio» G. Ricciotti, o.c., t. II, p. 144. 115 Nehemia 6:15. 116 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1067,1068,1073. 114
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governatore poteva compiere quest’opera nei confronti del sacerdote ciò fa capire che i rapporti si erano pacificati. «La distretta dei tempi» era arrivata al suo termine nel 408, 7 settimane (49 anni) dopo l’editto.117 Con William H. Shea desideriamo però precisare: «Nessuna sorgente storica a nostra disposizione, sia essa biblica o extrabiblica, ci permette di sapere se la ricostruzione della città sia effettivamente stata compiuta in questa data (408 a.C.). Da un punto di vista strettamente storico, non possiamo affermare che la profezia si è o non si è compiuta. Tuttavia, i libri di Esdra e di Nehemia confermano un punto: Gerusalemme è realmente stata ricostruita in tempi difficili».118
Riepilogo «“Il dabar”, che permetteva di ricostruire le mura di Gerusalemme, non è altro che il decreto reale ottenuto da Esdra l’anno VII del regno d’Artaserse».119 Prideaux diceva: «Esdra è stato visto come un altro Mosè, con ragione è stato considerato il secondo fondatore della Chiesa e dello Stato dei Giudei».120 «Il ritorno di Esdra, 457 a.C., risponde alle esigenze del testo ben compreso».121 Dal 457 a.C., quarantanove anni (le prime 7 settimane) sono serviti per organizzare il nuovo Stato d’Israele e potere continuare la sua opera provvidenziale. Allo scadere della prima parte della profezia «verso l’anno 408 - dice Fabre d’Envieu, dopo aver citato Erodoto - Gerusalemme fu considerata come una grande città: nessun documento ci permette di dubitare che la Città santa fosse ricostruita in quell’epoca, e che essa fosse vista, da quel momento, come una delle più considerevoli città dell’Asia».122
«Fino a Unto-Capo, sette settimane e sessantadue settimane»123 L’angelo aveva detto a Daniele: «Dall’uscita di una parola per rialzare e ricostruire Gerusalemme fino a Unto-Capo sette e sessantadue settimane».124 117
Vedere G. Vidal, o.c., p. 183. (Esdra 4; Nehemia 4:6). W.H. Shea, o.c., pp. 274,275. 119 E. Brunel, o.c., p. 171. 120 PRIDEAUX, Histoire des Juifs, t. II, cap. V; cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1070. 121 K. Auberlen, o.c., p. 160. 122 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1096. 123 Daniele 9:25. 124 Daniele 9:25. Tra 7 settimane e 62 settimane c’è nel testo ebraico un segno che si chiama athnach un accento disgiuntivo che indica una pausa, a seconda del senso della frase. Alcune versioni mettono un punto, altre una virgola, altre un punto e virgola, e altre ancora non pongono nessun segno di punteggiatura. Mettere nella traduzione una punteggiatura che faccia capire che la città viene ricostruita durante le 62 settimane è fuorviante. Nella realtà, come è nella intenzionalità del testo, Gerusalemme è stata ricostruita, come abbiamo mostrato, durante le prime sette settimane. K. Auberlen dice: «Potrebbe essere che l’athnach del versetto 25 debba il posto inusitato che occupa all’intenzione di accentuare di più la differenza che c’è tra le sette e le sessantadue settimane. Invita il lettore a 118
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Chi indica l’espressione Unto-Capo, in ebraico “Mesîah Nagid”? La parola Mesîah deriva dalla radice aramaica “mashac” e significa ungere. La parola “Nagid” significa propriamente capo, conduttore, guida, duce, principe; letteralmente in ebraico: “quello che sta alla testa”. Queste espressioni vengono tradotte dalla versione Vulgata: Christum Ducem; dalla Siriaca: Cristo-Re; da Teodozione: Cristo egoumenou (come la Vulgata); la Versione dei Settanta non le riportano. Va rilevato che il testo non dice: fino a un capo, o conduttore, o guida o duce, il quale è stato unto, ma fino a (alla venuta di) un Unto, a un prescelto quale Messia che è al tempo stesso capo, o conduttore, o guida, o duce. L’angelo non vuole indicare un personaggio qualunque e sconosciuto, che per le sue caratteristiche è stato unto, ma specificamente l’Unto di Dio, il Messia, che è altresì capo, conduttore, guida, duce, e che Israele attendeva non solo per sé, ma come guida di tutte le nazioni. La rivelazione annuncia quindi colui che avrebbe realizzato quanto è stato detto all’inizio al profeta.125 «La posizione di questi due termini in ebraico ha la sua ragione d’essere; essa indica che la parola nagid è impiegata qui come un aggettivo, e che il Messia, messo al primo posto e come sostantivo, è giustamente il personaggio principale al quale l’aggettivo capo deve essere riferito».126 fermarsi un istante alle sette settimane prima di passare alle seguenti» o.c., p. 172. L’abate Th. Mémain scrive che questo athnach sia stato messo nel testo Masoretico nel V secolo d.C. «senza valore disgiuntivo». Il teologo J. Doukhan precisa che «questa punteggiatura risale al X secolo della nostra era», Boire…, p. 188, nota 204. Il testo Masoretico viene contraddetto dalla versione di Teodozione, Giulio l’Africano, Eusebio e dalla Vulgata di Gerolamo. (o.c., p. 23). A queste versioni si devono aggiungere: la LXX, la Peshitta siriaca e l’antica versione Latina. Questo athnach dice l’abate Crampon: «È del tutto giustamente sospetto, posteriore di diversi secoli all’èra cristiana esso ha potuto essere influenzato dal desiderio di sfuggire alle conseguenze che i santi padri tirarono da questo passo in favore della dignità messianica di Gesù» o.c. Vedere anche La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 309. Il testo dovrebbe essere letto: «Fino al Messia-Capo sette settimane e sessantadue settimane». J.N. Darby che traduce tenendo conto della versione dei LXX, della Siriaca e della Vulgata latina, scrive: «Dall’uscita della parola per ricostruire e ristabilire Gerusalemme, fino al Messia, (il) Principe, ci sono sette settimane e sessantadue settimane, la piazza e il fossato saranno ricostruiti e (questo) in tempi di disordine». La Bibbia edizione Salani traduce: «Sappi dunque e considera bene: dall’emanazione della parola affinché sia edificata di nuovo Gerusalemme, fino a un Unto, un principe, vi saranno settimane sette e sessantadue, e di nuovo saranno riedificate le piazze e le mura... ». La versione italiana della Vulgata, corretta per ordine di Sisto V e edita sotto Clemente VIII, e detta per questo Sisto-Clementina, traduce: «Da quando uscirà l’editto per la riedificazione di Gerusalemme fino a Cristo, al Principe, vi saranno sette e sessantadue settimane. Saranno riedificate le piazze e le muraglie in tempo di angoscia». La Bibbia, Parola del Signore, traduce correttamente: «Devono passare sette periodi di sette anni e sessantadue periodi di sette anni; questo ritorno dall’esilio e questa ricostruzione della città e delle fortificazioni si faranno in tempi difficili». 125 Coloro che persistono nel rifiutare il miracolo della profezia identificano questo personaggio con il sommo sacerdote Onia III, o chi per lui, al tempo di Antioco Epifane. La Bibbia di Gerusalemme attribuendo il nostro testo al tempo dei Maccabei ha espressioni di incertezza e riconosce che bisogna andare oltre. «La profezia che segue, parallela dei capitoli vicini, si riferisce agli avvenimenti della persecuzione di Antioco, ma in uno stile letterario allusivo e misterioso (sic!) (assenza di nomi propri, cifre convenzionate e arrotondate (sic!)), così fa intendere che il testo ha una portata più alta. Come l’annuncio del regno messianico (2:28 e 7:13), essa avrà la sua realizzazione definitiva nel tempo di Cristo e della Chiesa. L’èra di pienezza descritta nel verso 24 supera infinitamente un semplice ritorno alla pace. 9:26. Si può con Teodozione identificare questo Unto Messia con il sommo sacerdote Onia III (confr. 2 Maccabei 4:35-38)». L’argomento maggiore per questa identificazione è dato dal testo di Daniele 11:22 dove il “principe” è identificabile con Onia III. Vedere nostro commento, nel capitolo XX, nota 66, p. 847 e nota n. 70, p. 848-850. 126 Th. Mémain, o.c., p. 23.
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Queste due espressioni: Messia e Capo, indicherebbero i due aspetti della sua opera: sacerdote e religioso l’una; guida, conduttore, re, principe l’altra. «Il titolo di “unto” lo designa come uno di quelli che Dio ha scelto e rivestito del suo spirito, e quello di “capo” (in ebraico, quello che è alla testa), sia come il capo del popolo, sia forse come il primo tra tutti gli unti stessi, in quanto riunenti in sé la regalità e il sacerdozio».127 L’abate Crampon fa notare: «Keil dice che l’Antico Testamento conosce un solo personaggio che sia contemporaneamente sacerdote e re, è il Cristo, il re Messia».128 La cerimonia dell’unzione si compiva su oggetti sacri del Tempio, ma soprattutto su tre categorie di persone: sacerdoti, profeti e re. Questo rito significava l’opera dello Spirito di Dio nell’appartare quell’oggetto o quella persona per una funzione sacra. La figura del Messia per eccellenza, tenendo conto di quanto sopra, comportava l’idea di un re sacerdote e profeta. Quando Israele chiese a Samuele un re (melek) politico come lo avevano tutti i popoli, Dio rispose dandolo nella persona di Saul.129 Poi in Davide, Dio diede sì un re (melek)130 il quale però doveva pascere il popolo e, come rappresentante di Dio, doveva svolgere la funzione di conduttore, capo, cioè nagid, come lo avevano riconosciuto tutte le tribù d’Israele.131 Il nagid è il re nella sua funzione religiosa, il pastore che è stato designato da Dio per la Sua opera. «Prendendo questo nome (nagid), conduttore, capo, al posto del sostantivo (melek) re, l’angelo ha voluto indicare che, pur essendo il Conduttore del popolo messianico, il Messia sarebbe stato anche il Conduttore delle nazioni pagane».132 Del resto è così che Isaia parla del Messia: «Ecco, io l’ho dato come testimone ai popoli, come principe e governatore dei popoli».133 E questa era la funzione e la qualità che l’Eterno gli attribuiva.134 «Nessun termine poteva convenire meglio all’autorità del “buon Pastore”».135 Il filologo P. Winandy nella sua tesi di dottorato scrive: «Abbiamo notato che la letteratura qumraniana dà generalmente una prospettiva escatologica ad entrambi i termini “unto” e “capo”. Essi non sono mai applicati a un personaggio storico contemporaneo. Nell’apocalisse di Daniele, facendo parte di questa categoria di letteratura, siamo portati, di conseguenza, a dare a questi due termini una prospettiva messianica».136
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Salmo 110:1-4; Zaccaria 6:12,13. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 309. Salmo 110:4; Zaccaria 6:13; Giovanni 4:25. A. Crampon, o.c. 129 1 Samuele 8:5,20,22. 130 1 Samuele 16:1. 131 2 Samuele 5:1,2; Salmo 78:71; vedere 1 Samuele 13:14. Il testo biblico attribuisce questa funzione anche a Geroboamo e a Baasa (1 Re 14:7; 16:2); all’Eterno (Giobbe 31:37); ai principi infedeli (Salmo 76:12); ai principi ingiusti (Proverbi 28:16); al re di Tiro (Ezechiele 28:2). 132 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 938. 133 Isaia 55:4. 134 Matteo 2:6. 135 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. I, Evangile de Matthieu, Lausanne 1880, p. 9. 136 P. Winandy, o.c., p. 230. 128
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Scriveva Jacques Cappel nel 1616: «Le 70 settimane cominciano dalla pubblicazione dell’editto di Artaserse Longimano, l’anno VII del suo regno, ottenuto da Esdra, in virtù del quale Nehemia senza altro nuovo editto ricostruì le mura di Gerusalemme l’anno XX dello stesso Artaserse. Da questo editto fino al battesimo di nostro Signore, durante il quale fu dichiarato dal Padre Cristo e Principe della nostra salvezza, ci sono 69 settimane compiute».137 «Nelle prime 7 settimane Gerusalemme sarà veramente ricostruita, ma non nella sua gloria messianica come divinamente promessa a Geremia e ad Isaia.138 No, non sarà ricostruita che in una maniera tutta esteriore e miserabile, con piazze e fossi; sarà un tempo di miseria, preferibile senza dubbio alla cattività, ma che non potrà essere paragonato ai tempi della salvezza e della grazia in cui il Messia sarà venuto. Così l’angelo distoglie lo sguardo di Daniele dalla fine della cattività e lo dirige sulla fine delle 69 settimane, epoca in cui il Messia deve apparire. Poiché il destino del popolo e della città santa, che preoccupa il profeta, non dipende che dalla posizione che essi prendono nei confronti del Messia... la profezia messianica presenta questa doppia faccia, annuncia contemporaneamente salvezza e giudizio».139
Come i profeti dell’Antico Testamento avevano descritto la venuta del Messia Davide cantava di lui: «L’Eterno ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi... Tu sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec”.». «Si prostrino davanti a lui tutti gli dèi» e «il tuo trono, o Dio, è per ogni eternità; lo scettro del tuo regno è uno scettro di dirittura. Tu ami la giustizia e odi l’empietà. Perciò Iddio, l’Iddio tuo, ti ha unto...».140 «Poi un ramo uscirà dal trono d’Isai, e un rampollo spunterà dalle sue radici». «Sorgerà a Davide un germoglio giusto, il quale regnerà da re... e questo sarà il nome con il quale sarà chiamato: “L’Eterno nostra giustizia”.».141 Questo personaggio che è contemporaneamente radice e ramo d’Isai, eleverà la sua gloria fino alle estremità della terra e spunterà o nascerà «da te, o Bethlehem Efrata, ... da te mi uscirà colui che sarà dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi ai giorni eterni».142 E grazie a Lui, «il popolo che camminava nelle tenebre, vede una gran luce; su quelli che abitavano il paese dell’ombra della morte, la luce risplende... Poiché un fanciullo ci è nato, un figlio ci è stato dato, e l’imperio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno. Principe della pace...».143
137
CAPPEL Jacques, Le livre de Babel ou l’Histoire du Siège Romain, Seda 1616, p. 1005; cit. A.F. Vaucher, o.c., p.
24. 138 139 140 141 142 143
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Geremia 31:38-40; Isaia 54:11 e seg.: 60-62. K. Auberlen, o.c., pp. 128,129. Luca 2:34; Gioele 3:1-5; Malachia 3:1-6; 4:2; Luca 2:29-35; 3:7-18. Salmo 110:1,4; 97:7; 45:6,7. Isaia 11:1; Geremia 23:5,6. Isaia 11:10; confr. Matteo 22:41-46; Michea 5:1. Isaia 9:1-5. Quando la profezia diventa storia
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Preannunciando la venuta del Messia, Isaia dice: «Preparate nel deserto la via dell’Eterno, appianate nei luoghi aridi una strada per il nostro Dio!».144 Questo Messia, Daniele lo aveva visto venire sulle nuvole del cielo - emblema della divinità - nelle sembianze di un Figlio dell’uomo.145 Con i profeti dopo l’esilio il messianismo raggiunge il suo apogeo, essi completano e chiariscono quanto già i loro predecessori avevano detto: «Manda gridi di gioia, rallegrati, o figlia di Sion! Poiché ecco, io (l’Eterno) sto per venire, e abiterò in mezzo a te, dice l’Eterno. E in quel giorno molte nazioni s’uniranno all’Eterno, e diventeranno mio popolo; e io (l’Eterno) abiterò in mezzo a te, e tu conoscerai che l’Eterno degli eserciti m’ha mandato a te».146 Questo inviato dell’Eterno è il “compagno” dell’Eterno è l’Eterno stesso,147 come dice il profeta Malachia: «Ecco, io l’Eterno vi mando il mio messaggero: egli preparerà la via davanti a me. E subito il Signore, che voi cercate, l’Angelo del patto, che voi bramate, entrerà nel suo tempio».148 E ancora Zaccaria precisa che questo Messia è il vero re promesso da sempre con le parole: «Esulta grandemente, o figliola di Sion, manda gridi di allegrezza, o figliola di Gerusalemme; ecco, il tuo re viene a te egli è giusto e vittorioso, umile e montato sopra un asino, sopra un puledro d’asina»; e siccome verrà a conquistare il mondo non con la spada, «Egli parlerà di pace alle nazioni» e allora le spade delle nazioni si alzeranno verso di lui: «Destati, o spada, contro il mio pastore e contro l’uomo che mi è compagno! dice l’Eterno degli eserciti».149 A questo “compagno” dell’Eterno, “pastore” del suo popolo colpito dalla spada, si chiederà: «“Che sono quelle ferite che hai sulle mani?” Ed egli risponderà: “Sono ferite che ho ricevuto nella casa dei miei amici”». Ed è così che l’Eterno, parlando di ciò che Gli avrebbero fatto, dice: «Ed essi riguarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio» e in seguito a questa sua sofferenza «il suo dominio si estenderà da un mare all’altro».150 Questa rivelazione di Zaccaria di un Messia sofferente e glorioso, riflette ciò che Isaia aveva detto di Lui tre secoli prima. «Ecco il mio servo prospererà, sarà elevato, esaltato, reso sommamente eccelso. Come molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti (quanto era disfatto il suo sembiante sì da non parere più un uomo, e il suo aspetto sì da non parere più un figlio d’uomo), così molte saranno le nazioni di cui egli desterà l’ammirazione; i re chiuderanno la bocca dinanzi a lui, poiché vedranno quello che non era loro stato narrato, e apprenderanno quello che non avevano mai veduto».151 Proprio perché questo Messia-Salvatore era atteso, la sua figura aveva inorgoglito i sovrani e da decenni i re si presentavano ai loro popoli col titolo di “soteros” cioè salvatore, liberatore. «È in effetti appoggiandosi sull’idea della promessa di un Dio144 145 146 147 148 149 150 151
Isaia 40:3. Daniele 7:13. Zaccaria 2:10,11. Zaccaria 13: 7. Il compagno dell’Eterno è un essere che partecipa alla sua natura, confr.: Levitico 25:15. Malachia 3:1. Zaccaria 9:9,10; 13:7. Zaccaria 13:6; 12:10; 9:10. Isaia 52:13-15. Quando la profezia diventa storia
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uomo fatta all’umanità che i popoli pagani furono indotti ad adorare dei conquistatori, degli uomini potenti».152 Gli dei liberatori: Osiride, Tammuz, Dumazi, Mitra, sono simboleggiati da un ramo. Apollo stesso era simboleggiato con un ramo di alloro in mano. Tutto ciò era il risultato di una deviazione e di un falso concetto del Messia. In questo clima di confusione il Signore ha voluto dare delle precise indicazioni sul senso e i tempi del Messia. «Questo sviluppo era diventato necessario a causa della situazione religiosa e politica dei discendenti d’Israele, e anche a causa delle vedute idolatriche dei re e dei conquistatori che stavano per dominare su loro fino alla venuta del vero Messia».153 L’insegnamento dei rabbini sulla persona e l’opera del Messia154 Dopo il peccato della prima coppia Dio disse al serpente: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno».155 Nel libro della Sapienza, la cui redazione risale al III secolo a.C., si identifica il serpente dell’Eden con il demonio stesso, insegnamento questo che ritroviamo anche nel Nuovo Testamento156 e che l’esegesi giudaica, ha sempre sostenuto. Questo conflitto tra il Bene e il Male non si compie senza rischio. L’interpretazione del più celebre degli esegeti ebrei, Rachi, è: «Tu gli morderai il tallone e a causa di ciò lo farai morire».157 Le due morti, quella del serpente e di chi lo schiaccia sono dunque simultanee. La posterità della donna, uccidendo il serpente, morirà compiendo un sacrificio. Sulla posterità della donna, alcuni hanno visto il popolo d’Israele, ma la maggiore parte dei rabbini vi ha visto un uomo. La versione greca dei LXX, del III secolo a.C., usa il pronome personale maschile al nominativo (autos) per indicare la progenie che schiaccerà la testa. Il pronome non può essere quindi riferito né alla donna né alla progenie, un maschio, nel suo insieme. Per indicare la donna avrebbe dovuto avere un pronome femminile, per la progenie uno neutro. «Si comprende che, sulla base di questa ultima traduzione, è stato naturale più tardi identificare la posterità della donna come se fosse il Messia stesso. Bisogna dire che nel seno dello stesso ebraismo, fino ai nostri giorni,158 una forte corrente d’esegesi aveva abituato gli ebrei a leggere Genesi III:15 in una prospettiva messianica. I Targum159 aramaici d’Onkelos e di
152 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. I, p. 640. Forse anche per questo Gesù diceva: «Quelli che sono venuti prima di me sono stati ladri e briganti» Giovanni 10:8. 153 J. Fabre d’Envieu, idem. 154 Ci è stato molto utile per questo paragrafo il lavoro di J. Doukhan, o.c., pp. 64-78. 155 Genesi 3:15. 156 Sapienza 2:24; Apocalisse 12:9. 157 Miqraoth, Gdoloth, Genesi 3:15; cit. da J. Doukhan, o.c., p. 66. 158 Pure commentatori moderni non esitano a interpretare Genesi 3:15 in senso messianico (confr.: BREUER Marc, Thora commentée, p. 15); cit, idem, nota 102, p. 183. 159 Il Targum è la traduzione in aramaico delle Scritture. Questa opera viene scritta dopo l’esilio in Babilonia, tra il IV secolo a.C. e il V secolo d.C., perché la lingua ebraica era caduta in disuso.
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Gerusalemme si rifanno entrambi al Messia nel loro commentario del versetto in questione».160 Ad eco della Genesi il profeta Isaia canta l’opera del Servitore dell’Eterno: «Erano le nostre malattie ch’egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato; e noi lo reputavamo colpito, battuto da Dio, ed umiliato. Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo della nostra iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è stato su lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione... Maltrattato, umiliò se stesso, e non aperse la bocca... fra quelli della sua generazione chi rifletté ch’era strappato dalla terra dei viventi e colpito a motivo delle trasgressioni del suo popolo? ... (Egli stesso darà) la sua vita in sacrificio per la colpa».161 Nella tradizione giudaica questo personaggio fu identificato con il Messia senza essere confuso con il popolo d’Israele. Il Talmud di Babilonia riporta una antica tradizione secondo la quale, a proposito di Isaia LIII:4, il Messia doveva essere chiamato il lebbroso: «I maestri (Rabbanan) hanno detto: il lebbroso della Scuola di Rabbi... è il suo nome, poiché è detto: “Ha portato le nostre malattie si è caricato delle nostre sofferenze, e noi l’abbiamo visto come un lebbroso, colpito da Dio e umiliato”».162 A commento di questo stesso passo nel Midrash163 è scritto: «Messia di nostra giustizia (Meshiah Tsidkenou), benché noi siamo i tuoi avi, tu sei più grande di noi poiché tu hai portato i peccati dei nostri figli, e grandi oppressioni sono cadute su te... tu non eri fra i popoli del mondo che derisione e scherno per Israele... la tua pelle si era rattrappita e il tuo corpo era secco come legno, i tuoi occhi erano scavati dal digiuno e la tua forza era dissecata come un coccio; tutto questo è avvenuto a causa dei peccati dei nostri figli».164 La figura del Messia sofferente ritorna nel Midrash Rabbah dove gli si dà anche il titolo di Re: «Il Re Messia... offrirà il suo cuore per implorare delle misericordie per Israele, piangendo e soffrendo per loro secondo che è scritto in Isaia LIII:5: “È stato ferito a causa dei nostri peccati”, ecc.; quando gli Israeliti peccano, Egli invoca su loro la misericordia secondo che è scritto: “Per i suoi lividi noi siamo guariti” e ugualmente: “Egli ha portato i peccati di molti uomini”, è perciò che il Santo benedetto l’ha così decretato alfine di salvare Israele e di rallegrarsi con loro nel giorno della resurrezione».165 «Esiste dunque tutta una letteratura giudaica d’Isaia LIII. Dal Talmud al Targum, senza dimenticare le numerose Midrashim, è attestata una tradizione ben stabilita secondo la quale il Messia, nettamente distinto da Israele, è un personaggio determinato. La sua vocazione, prima di tutto redentrice, passa necessariamente attraverso l’afflizione e la morte. È un Messia che “si carica dei peccati” degli altri ...
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Idem, p. 67. Isaia 53:4,5,7,8,10. 162 Sanhédrin 98b; cit. da idem, p. 68. 163 I Midrash sono una raccolta di scritti in cui i diversi libri della Scrittura sono spiegati secondo le tradizioni antiche. Come i Talmud, appartengono alla legge orale e risalgono allo stesso periodo. 164 Pesiqta Rabbati, Pisqa 37; cit. idem. 165 Berechit Rabbati de Moche Hadarshan, Genesi 24: 67; cit. idem, p. 68. 161
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- un Messia “vittima espiatoria”, “pecora muta”, per riprendere i termini del profeta Isaia».166 Per il fatto che i profeti avevano presentato un Messia destinato a soffrire, a morire e l’altro destinato alla gloria e all’eternità dal viso maestoso di re, si è pensato a due Messia con vocazioni diverse. Ma è «un solo passo del Talmud167 (che) fa allusione a questa differenza. Il Messia vi è indicato con le parole di figlio di Giuseppe (quando rappresenta la vittima) e di figlio di Davide (quando rappresenta il re)».168 Col tempo, riassume J. Doukhan: «La letteratura giudaica nel suo insieme si è impossessata di questo tema per forgiare tutta una dialettica sulla base di una distinzione tra i due Messia. E più si avanza nel tempo, più la differenza si precisa. Ma, all’origine, i testi tradizionali tenderebbero al contrario a prevenirsi contro una tale duplicità del Messia».169 Del resto, «la sofferenza e la morte non costituiscono il monopolio del figlio di Giuseppe. Il Talmud parla espressamente della morte del figlio di Davide.170 È d’altronde significativo che il Messia sofferente, descritto in Isaia LIII, è identificato come se fosse il Re Messia,171 vocabolo designante specificamente il Messia figlio di Davide.172 In un altro scritto, il Messia figlio di Giuseppe appare ugualmente sotto i tratti d’un Messia glorioso173... I ministeri dei due Messia si incontrano dunque e danno sovente l’impressione di essere confusi. È difficile dissociarli. Essi si rassomigliano troppo. Questa identità ha di già stupito il Targum, che va fino a rassomigliarli a “due capri gemelli”174».175 Il pensiero di essere di fronte a due Messia e non a un personaggio unico è causato dai diversi nomi che gli si danno, i quali però non indicano più persone, ma rivelano differenti aspetti e funzioni della sua opera. Un significativo discorso riportato nel Talmud confermerebbe questo pensiero: «Un secondo re Davide, chiamato a regnare in gloria e eternamente; o il lebbroso stesso chiamato a essere umiliato e caricato delle nostre sofferenze e delle nostre malattie».176 «Secondo il lessico dei nomi propri biblici e rabbinici, era normale che una sola e medesima persona portasse diversi nomi.177 E parlare di un figlio di Giuseppe o di un figlio di Davide non significava necessariamente riferirsi a due Messia diversi. Si aveva in effetti la tendenza a riportare tutto al Messia figlio di Davide, come lascia capire un aforisma talmudico: 166
J. Doukhan, idem, p. 69. Confr.: Soukhat 52a. È il solo passo di tutto il Talmud in cui si parla di due Messia. Si può dunque pensare che si tratti di una addizione tardiva contemporanea ai Midrashim e alle apocalissi giudaiche che riflettono la polemica giudeo-cristiana. Cit. idem, nota n. 126. 168 Idem, p. 171. 169 Idem. 170 Sanhédrin 98b; cit. idem. 171 Bereshit Rabbati, Genesi 24:67; cit. idem. 172 Idem, Genesi 19:36. 173 «Efraim (figlio di Giuseppe) 19:36 Messia di nostra giustizia, regna su loro (i popoli del mondo), trattali come ti sembra bene» Pesiqta Rabbati, Pisqua 37; cit. idem, p. 72. 174 Targum, Cant. 4:5 e 7:3; cit. idem, p. 72. 175 J. Doukhan, idem, pp. 71,72. 176 Sanhédrin 98b; cit. idem, p. 72. 177 Vedere Isaia 9:5,6. 167
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“Quanto al Messia, che faccia parte dei viventi o dei morti, il suo nome sarà Davide”178».179 «Accanto a numerosi passi che ci presentano un Messia umano di carne e di sangue, la Bibbia e la tradizione giudaica ci presentano un ventaglio di testi nei quali il Messia prende la figura del Dio eterno... Non è il Messia che è Dio ma più precisamente è Dio che è il Messia... Il movimento è qui discendente, e non ascendente. Si tratta di una rivelazione di Dio e non di una usurpazione dell’uomo paragonabile alla presunzione di Babele».180 Era normale che gli Ebrei si aspettassero un Messia d’origine divina perché è scritto: «Io sono l’Eterno, e fuori di me non v’è Salvatore».181 L’esegesi tradizionale giudaica è concorde nell’interpretare il passo di Geremia XXIII:5,6 con il quale il profeta annunzia il Liberatore, il cui nome sarà «l’Eterno nostra giustizia», in senso messianico: «Il Messia, ci dice il Talmud, sarà chiamato col nome di Santo benedetto182 ... poiché è detto in Geremia XXIII:6: “Ecco il nome con il quale sarà chiamato: Yahvé nostra giustizia”».183 «Quale è il nome del Re Messia? si interroga il Midrash; R. Abba ben Kahana dice: “Yahvé è il suo nome secondo che è scritto in Geremia XXIII:6: Ecco il nome con il quale lo si chiamerà: Yahvé nostra giustizia’”».184 «Il Targum di Jonathan si pone nell’ottica dell’interpretazione tradizionale e traduce il versetto citato in questo modo: “Ecco i giorni vengono, dice Yahvé, in cui io susciterò a Davide il Messia di giustizia, egli regnerà da Re e prospererà ed ecco il nome che gli si darà: giustizia ci sarà fatta nel nome di Yahvé nei suoi giorni”».185 Questa identificazione del Messia con Yahvé non si riferisce solo al nome ma anche alla sua eternità. Come il profeta Michea scrive che l’origine del Messia risale ai «tempi antichi, ai giorni dell’eternità», così, «nello stesso ordine di idee, un buon numero di passi del Midrash e del Talmud fanno riunire Dio e il Messia nelle loro anteriorità, essi sono tutti e due “primi”».186 «Io mi manifesterò il primo, è Dio... e io vi condurrò “il primo”, è il Messia».187 Il Targum, spiegando Isaia IX che precisa ancor meglio le caratteristiche divine del Messia, ci dà questa interpretazione: «Il profeta disse alla casa di Davide: “Un padrone ci è nato, un figlio ci è stato dato; egli prenderà la legge su lui per custodirla; il suo nome è stato pronunciato dall’origine: Prodigioso in consiglio, Dio potente, esistente eternamente, Messia nei giorni del quale abbonderà la pace su noi”».188 178
T. T. Ber 5a; cit. idem, p. 72. Idem, p. 72. 180 Idem, p. 73. 181 Isaia 43:11; Osea 13:4. 182 È il nome di Dio nella letteratura rabbinica. Idem, nota n. 142, p. 186. Vedere Marco 14:61. 183 Baba batra 75b; cit. idem, p 74. 184 Eikah Rab., Pisqa 1, Lamentazioni 1:16. Midr. Mishkei Pq 19, Provvidenza 19-21: Midr. Tehillim, Salmo 21:1,2 ecc.; cit. idem, p. 74. 185 Targum, Geremia 23:5,6; cit. idem, p. 74. 186 J. Doukhan, idem, p. 75. 187 Pesiqta de rab Kahana, Pisqa 28; cit. idem, p. 75. 188 Targum, Isaia 9:5; cit. idem, p. 75. 179
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Il Midrash nelle prime parole della creazione scorge l’ombra del Messia: «Genesi I:3. E lo Spirito di Dio planava al di sopra delle acque, è lo Spirito del Re Messia secondo che è scritto in Isaia LXI: “Lo Spirito dell’Eterno riposa su di lui”».189 Ciò che oggi sembra inconciliabile per gli Ebrei, il Messia, avrebbe in comune con Dio la vocazione di salvatore, l’eternità, la regalità suprema, lo stesso nome di Yahvé, lo stesso Spirito, pur continuando ad essere il figlio di Davide. Questo è un insegnamento dato e riconosciuto nel passato e il Midrash propone l’ipotesi straordinaria di una misteriosa generazione dall’alto: «Il Redentore che io susciterò un giorno sarà senza padre secondo che è detto: “Ecco un uomo, semenza è il suo nome, ed egli germinerà con i suoi propri mezzi”; come Isaia ha detto: “Egli si è elevato davanti a lui come un seme, come un germoglio che esce da una terra secca...” ed è di lui che la Scrittura dice: “Ecco oggi io ti ho generato”».190 E di fronte a questo problema un altro Midrash, utilizzando la stessa immagine, evocherà un curioso fenomeno d’incarnazione in una forma ancora più suggestiva: «Salmo LXXXV:12. La verità germoglierà dalla terra. R. Yudan disse: “È la nostra salvezza che germoglierà dalla terra tramite l’operazione immediata di Dio... E perché dice che germoglierà e non che nascerà? Perché il suo modo di nascere non sarà simile a quello delle creature del mondo, ma differirà sotto tutti gli aspetti... Non ci sarà nessuno che potrà nominare il padre del Messia e ancor meno conoscerlo. Ma ciò sarà un mistero per i popoli, fino a che egli stesso venga e lo riveli”».191 «Un Midrash che s’interroga sulla personalità di Melchisedec, è indotto anche a riferirsi al Salmo CX:4 per concludere: “Chi è? È il Re giusto e salvatore, il Re Messia di cui è scritto in Daniele IX:24, per portare la giustizia eterna ... è il Re Messia di cui si è parlato in Zaccaria XI:9: “Ecco che il tuo re viene a te... sopra un puledro d’asina”.”».192
L’attesa messianica nel I secolo d.C. La documentazione storica che gli Evangeli ci offrono indica quanto l’attesa del Messia fosse sentita in quegli anni. Il vecchio Simeone ed Anna che servivano nel tempio aspettavano la consolazione d’Israele.193 Questa attesa era motivo di ricerca. Andrea disse a suo fratello Simone dopo essere stato in contatto con Gesù: «Abbiamo trovato il Messia» e Filippo a Natanaele: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge, ed i 189 190 191 192 193
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Midrash Rabbah, Paar 2, Genesi 1:2; cit. idem, p. 77. Bereshit Rabbati, Genesi 37:22; cit. idem, p. 77. Tehillim Rabbati (rabbi Mosheh Hadarshan), Salmo 85:12; cit. idem, p. 77. Bereshit Rabbati, Genesi 14:18; cit. idem, pp. 70, 71. Luca 2:25-38. Quando la profezia diventa storia
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profeti».194 Tutta questa attesa e ricerca esprimeva anche l’atteggiamento della classe sacerdotale e dei responsabili del popolo. Essi attendevano il Messia ed erano coscienti che i tempi erano maturi e che l’Unto-Capo si doveva manifestare. «I Giudei mandarono da Gerusalemme dei sacerdoti e dei leviti» per chiedere a Giovanni Battista: «Tu chi sei? ... Sei tu il profeta? ... Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo? Il Battista rispose: “Io sono la voce d’uno che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia...”» e precisa che è «colui che viene dietro di me, al quale io non sono degno di sciogliere il laccio dei calzari».195 Mentre Giovanni Battista insegnava: «Il Regno dei cieli è vicino», «il popolo (era) in attesa e si domandava se “non fosse lui il Cristo”».196 Dopo che Gesù fece un miracolo la folla si chiese: «Non è costui il figlio di Davide?».197 In Gerusalemme il popolo diceva di Gesù: «Questi è davvero il profeta» e altri: «Questi è il Cristo».198 E poco prima che Gesù entrasse in Gerusalemme osannato: «Essi (le persone) pensavano che il Regno di Dio stesse per essere manifestato immediatamente».199 Giuseppe d’Arimatea aspettava questo Regno.200 A Gesù i Giudei chiederanno dopo due anni e mezzo dall’inizio della Sua opera pubblica: «Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente».201 Dopo la metà del I secolo per gli Ebrei il tempo nel quale il Messia si sarebbe dovuto rivelare era scaduto. Non avendo accettato Gesù, aspettavano da un momento all’altro la realizzazione delle profezie. Per accelerare i tempi e costringere il Messia a manifestarsi si ribellarono all’Impero Romano. Lo storico romano Svetonio, presentando la causa della distruzione di Gerusalemme, dell’anno 70 d.C., scriveva: «Era divulgato per tutto l’Oriente da molto tempo prima, e per ferma opinione si teneva che i fati volessero che in quel tempo quelli che venissero di Giuda, avessero ad esser signori del mondo: il che per quanto si vide, per gli eletti chiaramente fu predetto dell’Impero Romano».202 Tacito, alla fine del I secolo, dopo aver descritto i fenomeni che si manifestarono nel tempio poco prima della sua distruzione, parlando dell’attesa del Liberatore, che era stata la causa prima della resistenza degli Ebrei, diceva: «Dagli antichi libri dei sacerdoti si predicava proprio che in quel tempo prevarrebbe l’Oriente, e da Giuda sorgerebbero i possessori del mondo; i quali oracoli Vespasiano e Tito annunciavano».203 Queste dichiarazioni degli storici romani risentivano dell’influenza dell’ebreo, ex fariseo, Giuseppe Flavio, testimone oculare della distruzione del tempio e della città, 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203
Giovanni 1:41,45. Giovanni 1:19,21,25,23 (confr. Isaia 40:3), 27. Matteo 3:2; Luca 3:13. Matteo 12:23. Giovanni 7:40,41. Luca 19:11. Luca 23:51. Giovanni 10:24. Svetonio, Vita dei dodici Cesari - Vespasiano, cap. IV. Tacito, Opere: Storie, libro V:13, vol. IV. Quando la profezia diventa storia
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che prima di loro aveva scritto: «Ciò che li aveva soprattutto eccitati (ciò che aveva sostenuto i ribelli contro Roma), era un oracolo ambiguo, contenuto nelle Sante Scritture, il quale diceva che, verso questa epoca, un personaggio uscito dalla Giudea si sarebbe impadronito dell’impero e di tutto l’universo. Questo essi lo intesero come se alludesse a un loro connazionale».204 Giuseppe, nascondendo lo scandalo e la vergogna d’Israele nell’avere rifiutato l’Unto dell’Eterno, attribuì a Vespasiano imperatore ciò che i profeti avevano annunciato dell’Unto-Capo, dicendo: «Ciò che ho da dirti da parte di Dio è di una importanza maggiore del mio imprigionamento. Tu sei annunciato dagli oracoli della religione di Mosè, tu sei il padrone predestinato della terra, del mare e di tutto il genere umano».205 E, criticando come i suoi connazionali capirono la profezia di Daniele relativa al Messia, diceva: «Molti sapienti si sbagliarono nella sua interpretazione, mentre la profezia in realtà si riferiva al dominio di Vespasiano acclamato imperatore in Giudea».206 Giuseppe fu l’unico giudeo ad attribuire a un pagano la funzione di Messia, la cecità dei suoi connazionali non giunse a tanto. Fu l’attesa di un Messia prettamente politico e terrestre che impedì agli Ebrei di riconoscere in Gesù il vero Cristo. Questa attesa di un messia conquistatore di popoli era tale che Erode stesso si considerava una specie di liberatore e aveva fondato una setta che portava il suo nome per sostenerlo: gli erodiani. Michel Nicolas ha fatto giustamente notare: «Non si è mai avuto, presso i Giudei, movimento (politico) che non sia stato provocato da qualche interesse religioso» che non trovasse la sua ispirazione nel testo sacro e anche «Teuda non era certamente un semplice fazioso politico» e «la presa d’armi di Giuda era evidentemente il risultato di un’opinione religiosa»; visto che «Giuseppe lo dà come l’autore di una nuova setta».207 Questi messia si presentarono prima di Gesù.208 Giuda Gaulamita capo degli zeloti era visto come messia. Menahem, all’inizio della guerra, si mise alla testa degli insorti con il titolo di re di Gerusalemme. Rabbi Akiba indicava nel grande ribelle del 132 d.C., il cui nome fu cambiato in Bar Kokeba, figlio della stella, «la stella che deve nascere da Giacobbe».209 204
Giuseppe Flavio, Guerre Giudaiche, libro VI:5. Eusebio, Storia Ecclesiastica, libro II, c. 19. 206 G. Flavio, idem, VI:5. 207 NICOLAS Michel, Des doctrines religieuses des Juifs, p. 118; cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c.. t. II, p. 1143. 208 Atti 5:36,37. È anche a loro che si riferiscono le parole di Gesù riportate in Giovanni 10:8. 209 Bar Kokeba fu poi soprannominato Bar Kozeba “figlio della menzogna”. Gli abati Léman, di origine ebraica, hanno presentato una lunga lista di falsi messia e scrissero: «Nei vostri libri, o Israeliti, nelle vostre sinagoghe, nelle vostre scuole, si è sempre fatto mistero dei falsi Messia e delle delusioni dei nostri antenati. Eccone la lista, elaborata e veritiera: Teuda, in Palestina, nell’anno 24. Simone il Mago, in Palestina, negli anni 34-37. Menandro, stessa epoca. Dosito, in Palestina, negli anni 50-60. Bar Kokeba, in Palestina, nell’anno 138. Mosè, nell’isola di Creta, nell’anno 434. Giuliano in Palestina, nell’anno 530. Un Siriano, sotto il regno di Leone l’Isaurico, nell’anno 721. Sereno, in Spagna, nell’anno 724. Un altro, in Francia nell’anno 1137. Un altro, in Persia, nell’anno seguente, 1138. Un altro, a Cordova, nell’anno 1151. Un altro, dieci anni più tardi, a Fez, nell’anno 1161. Verso la stessa epoca, un altro, in Arabia nel 1167. Poco dopo, un altro, verso l’Eufrate. Un altro, in Persia, nell’anno 1174. David Almusser in Moravia, nell’anno 1176. Un altro, durante la vita del R. Sal. Adrath, nell’anno 1280. David Eldavid, in Persia, nell’anno 1199 o 1200. Ismael-Sophi, in Mesopotamia, nell’anno 1497. Il rabbino Lemlen, in 205
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Gli anni che seguirono la vita pubblica di Gesù furono un fiorire di Messia, e fu l’attesa del liberatore politico la causa, come abbiamo visto sopra, della distruzione di Gerusalemme. Gesù cosciente della sua messianicità mise in guardia la Chiesa, nel suo discorso escatologico, contro il sorgere di questi millantatori che avrebbero fatto opere potenti e segni straordinari.210
Realizzazione storica dell’«Unto-Capo» «Il primo ciclo, quello di 7 volte 7 anni, si riferisce alla ricostruzione completa della città; il secondo, quello di 62 settimane d’anni, rappresenta il tempo che passerà da questa ricostruzione fino all’avvento del Messia; la settimana che resta per completare il numero 70 è l’era messianica stessa».211 Se sommiamo al 457 a.C. i 483 anni delle 69 (7+62) settimane, giungiamo nell’estate del 27 d.C.212 «Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, essendo Ponzio Pilato governatore della Giudea… la parola di Dio fu rivolta a Giovanni (Battista), figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli andò per tutta la contrada attorno al Giordano, predicando un battesimo di ravvedimento».213 Il canonico Vidal scriveva: «Questo quindicesimo anno si deve contare a partire dal 765 (anno di Roma), data nella quale Augusto fece votare dal Senato e dal popolo romano dell’impero che Tiberio era suo uguale alla testa dell’impero. Tiberio stesso contava i suoi anni di potere supremo partendo dal 765, così come lo si può vedere
Austria, nell’anno 1500. Un altro, in Spagna, nell’anno 1534. Un altro, nelle Indie Orientali, nell’anno 1615. Un altro, in Olanda, nell’anno 1624. Zabathai Tzevi, in Turchia, nell’anno 1666» LÉMAN, La question du Messie..., pp. 21-24; cit. J. Fabre d’Envieu, o.c., pp. 1162,1163. «La Cabala annunciava l’arrivo del Messia per lo stesso anno (1666). Apparve nell’ora fissata. Era un giovane di Smirne, d’una bellezza straordinaria, d’una eloquenza travolgente con tutte le caratteristiche di un ispirato. Secondo un altro metodo di trascrizione, si nominava Sabtai Zèvi. Tutti i rabbini della Turchia lo riconobbero; dei proseliti andarono da lui dalla Germania, da Amsterdam, da Londra. Il regno d’Israele si stava per realizzare, il regno di Dio stava per cominciare, ma denunciato come impostore da un rabbino di cui non aveva voluto essere il vicario, e portato davanti al sultano Mohammed IV, si fece mussulmano, ed ebbe un posto di portachiave dell’harem» Cit. Idem, pp. 1163,1164. Gli abati Léman menzionano, accanto ai nomi di questi Messia, “le sorgenti storiche” da dove si possono attingere delle informazioni su questi personaggi, e traggono da questo quadro la conclusione seguente, molto valida a fare riflettere i loro connazionali: «Tutto questo, o Israele, è autentico; tutto questo è storia, è luce, non una volta, non dieci volte, ma venticinque volte i nostri antenati sono stati giocati da questo miraggio; per non aver riconosciuto il Messia là dove era, ci si è ridotti a cercarlo là dove non era» cit. Idem, p. 1164. Lo stesso Napoleone I fu considerato da molti Ebrei come il Messia. 210 Matteo 24:11,23,24. 211 A. Crampon , o.c., nota. 212 Vedere Grafico n. 1, p. 100. Per la data del battesimo di Gesù vedere: WABNITZ Auguste, Histoire de la Vie de Jésus, vol. I, Montauban, p. 189; BENGEL J.A., Schriftmaessige Zeit-Rechnung, Tuebingen 1747, p. 177; PRESSANCE Edmond de, Jésus-Christ, son temps, sa vie, son œuvre, Paris 1866, p. 301,302; 7a ed., 1894, p. 311,312. 213 Luca 3:1-3. Quando la profezia diventa storia
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sulle sue monete».214 Alcune di queste monete trovate ad Antiochia in Siria, hanno l’effigie di Tiberio con l’iscrizione “Kaiser Sebastos”.215 Questa associazione al trono Augusto l’ha voluta nell’ottobre del 765, al suo ritorno dalla guerra in Germania, dove ottenne numerosi successi, due anni prima di morire, il 19 agosto 767 anno Roma, che corrisponde all’anno 14 d.C..216 Quindi il quindicesimo anno di Tiberio Cesare va dall’ottobre del 26 d.C. all’ottobre del 27 d.C. In occasione della prima Pasqua che Gesù celebrò a Gerusalemme, primavera del 28 d.C., i Giudei gli chiesero un segno della sua messianicità dopo che Egli aveva cacciato i commercianti dal tempio. Gesù rispose: «“Disfate questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Allora i Giudei dissero: “Quarantasei anni è durata la fabbrica di questo tempio e tu lo faresti risorgere in tre giorni?”».217 Scriveva l’abate Ricciotti: «Poiché si può stabilire con sicurezza che Erode il Grande cominciò il rifacimento totale del tempio nel 20-19 a.C., se discendiamo per 46 anni da questa data otteniamo l’anno 27-28 d.C. che sarebbe il primo della vita pubblica di Gesù».218 Se nell’anno 27 d.C. scadono le 69 settimane o la 62a settimana, in che modo viene consacrato l’Unto? Nell’evangelo leggiamo: «Ora avvenne che come tutto il popolo si faceva battezzare, essendo anche Gesù stato battezzato, mentre stava pregando, si aprì il cielo, e lo Spirito Santo scese su di lui in forma corporea a guisa di colomba; e venne una voce dal cielo: “Tu sei il mio diletto Figlio; in te mi sono compiaciuto”».219 Col rito dell’unzione nell’Antico Testamento si voleva manifestare che l’Eterno aveva consacrato quella persona ad una funzione particolare. Il battesimo di ravvedimento, che Giovanni Battista faceva, preparava il regno messianico.220 In quel tempo, sei mesi dall’inizio della sua predicazione, Gesù uscì dal suo lungo anonimato e chiese il battesimo non perché avesse bisogno d’ottenere il perdono per qualche
GRAFICO N. 1 69 settimane = 483 anni
__.___________ a
_ / /_ ___ ___
1 settimana 3 anni e mezzo + 3 anni e mezzo
_______ __.__.__.__._ † __________.__ b
c d
e f
g
214
G. Vidal, o.c., p. 140 bis. Vedere SCHAFF Philip, Histoire de l’Eglise chrétienne, New York 1870, vol. I, p. 120. 216 Vedere Grafico n. 2, p. 101. Tacito, Annali (I:3), scrisse: «Tiberio fu assunto da Augusto come collega dell’impero e consocio del potere tribunizio». Svetonio scrisse (Tiberio 12): «Secondo la legge, emanata per mezzo dei consoli affinché amministrasse insieme con Augusto le province ed esercitasse il censo». Valerio (libro 11, 121) disse che a Tiberio venne conferito il comando militare. Così dal 765 anno Roma (12 d.C.), Tiberio condivise con Augusto l’impero, il potere tribuno, quello proconsolare nelle province, il comando degli eserciti e il diritto del censo. 217 Giovanni 2:19,20. 218 RICCIOTTI Giuseppe, Vita di Gesù, Mondadori, Milano 1968, p. 173. 219 Luca 3:21,22. 220 Marco 1:4; Luca 3:3. 215
100
Quando la profezia diventa storia
IL CARDINE DELLA STORIA
457 a.C.
27 d.C.
31 d.C.
34 d.C.
a) L’editto di Artaserse viene promulgato nel 1° giorno del primo mese del suo XX anno di regno (Esdra 7:9) = marzo 457 a.C. Cinque mesi dopo entra in vigore, Esdra raggiunge Gerusalemme: luglio 457 a.C. Dal luglio del 457 a.C. a fine anno: 6 mesi 456 anni Dal gennaio del 456 a.C. a fine dicembre dell’1 a.C.: 26 anni Dal gennaio dell’1 d.C. a fine dicembre 26 d.C.: b) Giovanni Battista inizia il suo ministero fine inverno primavera del 27 d.C. Gesù, suo cugino, era nato sei mesi dopo di lui (Luca 1:35,26) e possiamo dire che la Sua attività pubblica sia iniziata nello stesso anno, sei mesi dopo, quindi fine estate inizio autunno del 8 mesi 27 d.C. (Luca 3:1,21-23) Dall’entrata in vigore dell’editto di Artaserse, luglio 457 a.C. al battesi483 anni mo di Gesù ci sono: 69 settimane =
Dal battesimo di Gesù alla sua crocifissione ci sono tre anni e mezzo. c) 1a Pasqua celebrata da Gesù dopo circa sei mesi dal suo battesimo: primavera 28 d.C. (Giovanni 2:13) 1 anni d) 2a Pasqua celebrata da Gesù, primavera 29 d.C. (Giovanni5:1) 1 anno e) 3a Pasqua celebrata da Gesù, primavera 30 d.C. (Giovanni 6:4) f) 4a Pasqua celebrata da Gesù, primavera 31 d.C. (Giovanni
2 mesi
6 mesi
1 anno
11:55) a
È durante questa 4 Pasqua, 31 d.C. che Gesù viene crocifisso 3 anni 6 mesi dopo 3 anni e 6 mesi dall’inizio del suo ministero g) Fine 70 settimane: 34 d.C.: Israele cessa di essere il popolo di Dio. Avvenimenti particolari: - primo martire: morte di Stefano (Atti 7:59); - prima persecuzione generale contro la Chiesa (Atti 8:1, 3); - prima dispersione dei credenti (Atti 8:4); - prima evangelizzazione agli incirconcisi, con prima manifestazione dello Spirito Santo sui pagani e primi battesimi di credenti senza essere stati circoncisi (Atti 10); - prima costituzione della Chiesa al di fuori della Palestina in territorio pagano, Antiochia (Atti 11:19 e seg.); - prima volta che i credenti vengono chiamati cristiani (Atti 11:26).
GRAFICO N. 2 Anno Roma Anno Tiberio Era Età di Gesù 221 222 Cesare cristiana
221
Ogni anno di regno di Tiberio Cesare va dall’ottobre all’ottobre. Quando la profezia diventa storia
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749 750 751 752 753 754 755 765 766 767 777 778 779 780 781 782 783 784 785 786 787
1 2 12 13 14 15
5 a.C. 4 3 2 1 a.C. 1 d.C. 2
1 2 3 4 5 6
12 13 14
16 17 18
24 25 26 27 28 29 30
28 29 30 31 32 33 34
31† 32 33 34
Autunno 5 a.C. nascita di Gesù Primavera 750 anno Roma, morte di Erode
Ottobre 765, Tiberio viene associato al trono dal padre Augusto 19 Agosto 767 anno Roma. Morte di Augusto
XV anno di Tiberio Cesare: ottobre 26ottobre 27; estate-autunno 27 d.C., battesimo di Gesù
Primavera 31 d.C., morte di Gesù, aveva 34 anni 34 d.C. Primo martirio: morte di Stefano. Prima persecuzione e prima dispersione della Chiesa. Prima evangelizzazione ai pagani. Prima discesa dello Spirito Santo sui gentili. Primi battesimi degli incirconcisi. Prima Chiesa tra la gentilità. Per la prima volta i
222 È riconosciuto universalmente che il monaco scita Dionigi il Piccolo († 556 d.C.) ha commesso un errore quando fissò la nascita di Gesù il 25 dicembre del 753 anno di Roma chiamando quindi l’anno 1 d.C. il 754 anno di Roma. Per non correggere tutti gli scritti fino al IX secolo (data della scoperta dell’errore cronologico) si è lasciato convenzionalmente l’anno 1 come inizio dell’èra cristiana. Erode il grande, che ordinò la strage degli innocenti (Matteo 2:12-18), morì nei primi quindici giorni del mese di Nisan, fine marzo inizio aprile del 750 a.Roma. Considerando che: - Gesù, quale primogenito, doveva essere stato presentato al Tempio non prima di 40 giorni dalla sua nascita, secondo la legge levitica (Levitico 12:1-4); - Erode morì qualche tempo dopo la strage degli innocenti; - quando Gesù nacque i pastori erano sulle colline di Betlemme a vegliare i loro greggi, cosa che non facevano nei mesi invernali (a Gerusalemme in dicembre c’è anche la neve): possiamo fissare la nascita di Gesù nell’autunno del 5 a.C. Gesù compì il suo trentesimo anno d’età nell’autunno del 26 d.C. che corrisponde all’inizio del XV anno di regno di Tiberio Cesare. Affinché un ebreo potesse compiere una funzione pubblica doveva aver compiuto il 30° anno di età. «Gli antichi consideravano il trentesimo anno come il punto culminante, l’acme della vita umana dal punto di vista fisico e intellettuale (vedere Senofonte, Memorabili I; Dionigi d’Alicarnasso, Antichità Romane, 4,6)» GODET Frédéric, Commentaire sur l’Evangile de S. Luc, t. I, 4a ed., Neuchâtel 1969, p. 270. Durante il XV anno di Tiberio Cesare, Giovanni Battista inizia la sua opera di preparazione e prima della fine dell’anno, nell’estate-autunno del 27 d.C. Gesù si fa battezzare da lui, non avendo ancora compiuto il 31° anno di età; Luca dice, «aveva circa 30 anni» (3:23). Questa «espressione... è ricercatamente elastica, a causa del suo avverbio circa. Presso di noi oggi si potrebbe applicare anche con una differenza di due unità in più o in meno... Presso i Giudei antichi questa elasticità non solo non poteva mancare ma vi sono vari indizi per ritenere che fosse anche maggiore... il numero base poteva essere accresciuto anche di tre o quattro unità» G. Ricciotti, o.c., p. 173.
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fedeli sono chiamati cristiani.
peccato,223 ma per esprimere la sua volontà di riconfermare col Padre quell’unione che lo avrebbe reso capace di realizzare il suo compito di salvatore dell’umanità.224 Per questo necessitava che la Sua unione con Dio fosse completa. Nel momento in cui si consacrava per compiere la sua opera, iniziava per lui la fase dolorosa della sua vita. L’opera del suo ministero «è l’inizio della sua autoproclamazione come Mediatore tra Dio e gli uomini».225 Con il battesimo Gesù domanda a Giovanni che questa sua consacrazione interiore sia una testimonianza universale. Gesù, pur non avendo peccato, con il battesimo esprime la sua solidarietà con il popolo, con l’umanità caduta, confessa il peccato non come colui che l’ha commesso, ma come colui che prende la risoluzione di portarne le conseguenze per vincerlo e sradicarlo dal cuore dell’uomo. È per questo che, quando il Battista rivede Gesù sulle rive del Giordano, dice di lui: «Ecco l’Agnello di
223
Per gli Ebioniti (Giudei diventati cristiani) che facevano voto di povertà e vivevano in una forma umile e semplice, Gesù aveva peccato fino al momento del battesimo, ma da quel momento Dio è entrato in Lui e la divinità si unì all’umanità. Questo ragionamento, del resto insostenibile biblicamente, era il frutto di un errore di fondo che non voleva ammettere la totale divinità del Cristo, cioè Dio che a Natale si presenta come uomo. Per gli Adozionisti Gesù è stato un uomo come gli altri e al momento del battesimo viene adottato dal Padre. Mani, (III secolo), che dà origine alla dottrina manichea, ragionava come i precedenti, pensava che Gesù avesse peccato fino al momento del battesimo. Ma Gesù per il Nuovo e l’Antico Testamento è l’Agnello di Dio senza macchia e difetto alcuno. 224 Di fronte al rifiuto di Giovanni: «Sono io che ho bisogno d’esser battezzato da te, e tu vieni a me?», Gesù rispose: «Liberami ora (traduzione letterale: Matteo 3:14,15) poiché conviene che compiamo ogni giustizia». Generalmente si traduce questa risposta di Gesù con le parole «Lascia fare per ora». Ma l’espressione usata da Gesù è “afes arti” che viene dal verbo “afiemi” e significa: lasciare andare, liberare. Era il termine tecnico che veniva usato in occasione dell’anno sabbatico (ogni sette anni) e in occasione del giubileo (ogni 49 anni) con il quale si annullavano i debiti, si rendeva la libertà agli schiavi, si restituivano le proprietà agli originari possessori. Principio questo che permetteva la continuità del commercio, limitava il latifondismo e il pauperismo. Sistema meraviglioso che voleva arginare la sete di possesso dell’uomo e ricordargli che era un amministratore dei beni di questo mondo e il suo prossimo un fine e non un mezzo. Questo principio, purtroppo, anche in Israele non fu mai applicato interamente. Da che cosa Gesù doveva essere liberato dal momento che l’evangelista constata: «Allora Giovanni lo liberò»? Generalmente viene tradotto: «e lo lasciò fare», versione Luzzi. Lo liberò non dal peccato perché Gesù non commise peccato (Giovanni 8:46; 14:30; Luca 23:47), ma è venuto nella carne simile a quella di peccato (Giovanni 1:14). «La parola carne, che non bisogna confondere con corpo, è scelta specificatamente per indicare, sempre nella Scrittura, la natura umana, l’uomo. La natura umana con l’idea ... di debolezza, d’infermità, di sofferenza e di mortalità che sono la conseguenza del peccato» L. Bonnet, o.c., t. II, Evangile de S. Jean, t. II, pp. 49,50; Romani 8:3. Gesù sentiva pienamente il peso della natura degenerata e ne chiedeva la liberazione. «Cristo non ha preso una carne di peccato, ma una carne simile al peccato - la carne non è stata in lui un principio di concupiscenza, ma solamente un principio di infermità» LIBERTON Jules, Les origines du dogme de la Trinité, 5a ed., pp. 377,378. Cristo, il secondo Adamo, si trovava svantaggiato nei confronti del primo per il fatto che ereditava nel Suo corpo una debolezza fisica e morale causata da millenni di peccato (Romani 5:14) ed era assoggettato alla legge della ereditarietà. La differenza tra noi e lui è che il peccato commesso da Adamo ha dato origine in noi a una malattia che prima o poi si manifesta come personale peccato della nostra volontà. Gesù, quale secondo Adamo (Romani 5:12 e seg.), pur venuto nella fragilità della nostra carne, non aveva una natura propensa al male pur avendo bisogno per la sua protezione e crescita il soccorso dello Spirito, come avvenne fin dalla sua incarnazione (Luca 1:35). In noi la tentazione scaturisce dal nostro interno, dalla nostra concupiscenza (Giacomo 1:14), mentre Gesù era sollecitato dal peccato dall’esterno, da una realtà al di fuori di lui, come fu per Adamo quando fu sedotto. Gli evangeli elencando la genealogia di Gesù (Luca 3:23-38; Matteo 1:1-17) ci presentano tra i suoi avi nomi di peccatori e di peccatrici. Una tale eredità doveva pesare molto sulla coscienza del Messia e quindi questo “afes arti” potrebbe corrispondere al bisogno che Egli sentiva dell’aiuto del Padre per potere realizzare tutta la giustizia di Dio nella Sua persona, essendo continuamente presente il pericolo di cadere nella ribellione dell’avversario. 225 JÜNGEL Eberhard, Il battesimo nel pensiero di Karl Barth, ed. Claudiana, Torino 1971, p. 22. Quando la profezia diventa storia
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Dio che toglie i peccati del mondo».226 Gesù solidarizza col nostro peccato, ne porta le conseguenze e muore; il credente con la sua conversione, solidarizza con lui nella sua vittoria e con il battesimo testimonia di risuscitare a una nuova vita. Il Padre accetta la sua consacrazione, il suo impegno in favore dell’uomo, ed egli stesso a sua volta lo consacra, lo unge. Lo Spirito Santo scende su di lui in forma corporea, a guisa di colomba, immagine della dolcezza, della purezza, della semplicità e gli dichiara: «Tu sei il mio diletto Figlio».227 Nella profezia di Daniele «l’angelo non dice: “Fino all’unto che nasce” neppure: “Fino all’unto che viene soppresso”, ma precisa: “Fino all’unto capo”, cioè fino alla manifestazione di colui che viene consacrato Messia (unto). La nascita del Cristo si è compiuta nell’oscurità e nella povertà; la sua infanzia e la sua adolescenza si sono svolte nell’ombra; la sua morte è avvenuta nell’umiliazione e nell’abbandono. Ma è al momento del suo battesimo, all’inizio della sua vita pubblica che Gesù viene unto e appare come “capo”».228 Questa unzione fatta dal Padre direttamente col suo Spirito Santo «lo ha costituito re teocratico, dominatore d’Israele, capo e padrone delle nazioni».229 Le parole dell’angelo al tempo dell’annunciazione alla Vergine riprendono quelle dette a Daniele: «Questi sarà grande, e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre, ... e il suo regno non avrà mai fine».230 Gesù consacrato Messia dal Padre è l’Unto per eccellenza, realizza la speranza d’Israele. L’angelo, nello spiegare la visione a Daniele, «impiegando la parola nagid (capo) al posto del sostantivo melek (re) ha voluto indicare che l’Unto non sarebbe stato semplicemente un re simile a quelli delle nazioni, ma un Unto la cui regalità politica sarebbe stata diversa da quella di coloro che si occupavano degli interessi di ordine secondario. Gabriele mostra con la scelta di questa parola la missione dell’Unto che doveva essere contemporaneamente “capo, conduttore, re, sacerdote ed evangelista”».231 Ed ecco perché il Messia, l’Unto, si presenta al popolo con le parole del profeta Isaia: «“Lo Spirito del Signore è sopra me; per questo egli mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato a bandire liberazione ai prigionieri, ed ai ciechi ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a predicare l’anno accettevole del Signore”; poi, restituendo il rotolo che gli era stato consegnato nella sinagoga di Nazaret, dice: “Oggi si è adempiuta questa scrittura, e voi la udite”».232 Gesù è il Messia annunciato da Dio nella promessa fatta in Eden. Si presenta al popolo d’Israele con il linguaggio dell’anno giubilare, anno di liberazione in cui si proclamava «l’affrancamento del paese per tutti i suoi abitanti».233 226
Giovanni 1:29. Marco 1:11; Luca 3:22; Matteo 3:17. Ogni volta che Gesù si riconsacra in vista della redenzione, il Padre gli manifesta la sua approvazione (Luca 9:35; Giovanni 12:28). 228 G. Vidal, o.c., pp. 182,183. 229 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1125. 230 Luca 1:33. 231 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1127. 232 Luca 4:18,19; confr. Isaia 61:1 e seg. 233 Levitico 25:10; Giovanni 8:31,32. 227
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Gesù si presenta con il linguaggio dell’anno giubilare proprio perché le settanta settimane lo richiedevano, essendo dieci periodi di anni sabbatici come prescriveva Levitico XXV:1-17. W. Shea scrive: «Questo rapporto - tra le 70 settimane e gli anni sabbatici - era già stato rilevato dagli Esseni di Qumran, nel primo secolo a.C., che interpretavano le settanta settimane di Daniele come dieci giubilei. Ma, poiché i giubilei si contano solamente in anni, ciò significa che applicavano il principio giorno anno anche se per loro la parola sabû’a significava solamente settimana. Questo rapporto tra il giubileo e l’anno sabbatico nella profezia delle settanta settimane, si trova ugualmente confermato dal fatto che gli avvenimenti che si realizzano passano attraverso gli anni sabbatici del periodo post-esilico. Gli anni 457 a.C., 27 d.C. e 34 d.C. furono degli anni sabbatici».234 Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando l’evangelo di Dio e dicendo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, ravvedetevi e credete all’evangelo».235 L’apostolo Pietro, nel 34 d.C., riassunse il ministero di Cristo Gesù a Cornelio richiamandosi ai fatti che ancora erano ben conosciuti: «Voi sapete quello che è avvenuto per tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni: vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Iddio l’ha unto di Spirito Santo e di potenza; e come egli è andato attorno facendo il bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo, perché Iddio era con lui. E questa è la parola che egli (Dio) ha diretto ai figli d’Israele, annunciando pace per mezzo di Gesù Cristo. Esso è il Signore di tutti».236 Gesù stesso rivendica la Sua posizione di re davanti a Pilato e come tale viene crocifisso, portando sulla croce, al di sopra del suo capo, la scritta: «Questo è Gesù, il re dei Giudei»237 e così era anche stato dichiarato alcuni giorni prima: «Osanna al Figlio di Davide», quando entrò in Gerusalemme.238 Gesù è re, anche se il suo regno non è di questo mondo, non secondo la concezione degli uomini. Come tale entra in Gerusalemme, lascia che la folla lo acclami e che stenda a terra i propri mantelli al suo passaggio. Entra nella Sion cavalcando una mula. Gesù è re, ma non secondo l’uso degli Assiri e degli Egiziani con un seguito di carri e cavalli, che poi magari finiscono inabissati nel Mar Rosso. Il
234 W. H. Shea, Études..., p. 89. Vedere WACHOLDER Ben Zion, The Calendar of Sabbatical Cycles During the Second Temple and the Early Rabbinic Period, in Ebrew Unione College Annual, n. 44, 1973, pp. 153-196. Degli studiosi fondamentalisti - NEWMAN Robert Chapman, Daniel’s and the Latter Days, Chicago 1965, p. 145; HOEHNER H.W., Chronological Aspects of the Life of Christ, parte VI: Daniel’s Seventy Weeks and New Testament Chronology, in Biblical Studium, n. 132, 1975, pp. 62-64 - hanno voluto applicare il ciclo sabbatico alle 70 settimane facendole iniziare dal 452 al 445, 444 a.C. Ma questi non sono anni sabbatici. Per contro gli anni 457 a.C., editto di Artaserse; 408 a.C., Gerusalemme ricostruita; sì, come lo sono pure il 27 d.C., anno del battesimo di Gesù e il 34 d.C. fine delle 70 settimane e apertura della Chiesa ai gentili. 235 Marco 1:14,15. Con le parole «il tempo è compiuto» Gesù indica che il periodo profetico annunciato dall’angelo a Daniele si è realizzato, è scaduto. L’espressione «il Regno di Dio è vicino» indica che il regno della grazia, della misericordia di Dio, che già esisteva, sta per essere dimostrato. È al suo ritorno che si realizzerà il regno di Dio nella sua gloria. Entrambi i regni si fondono sulla veridicità della profezia. 236 Atti 10:37,38,36. 237 Matteo 27:37; Marco 15:26; Luca 23:38. Vedere Giovanni 18:37; Matteo 27:11. 238 Matteo 21:9.
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suo regno è un regno di pace e non di guerra, e sarà al suo ritorno in gloria che cavalcherà un cavallo bianco per giudicare le nazioni e per vincerle.239 In Betania, nella casa di Simone, Gesù viene unto.240 I re venivano unti con olio di nardo puro e l’ambiente si saturava del suo profumo. Trecento giornate di lavoro era il valore di quanto viene sparso sui suoi piedi e sul suo capo. La sua regalità va oltre la realtà di questo mondo. Gesù viene unto da una donna, da una persona che è considerata tra le minime di questo mondo. A loro non era lecito fare servizio ai rabbini, questa era una prerogativa degli uomini. Gesù è il buon pastore e come tale è il re degli umili, dei mansueti, dei poveri, dei diseredati. La sua regalità è una regalità di servizio e di buone novelle, per questo motivo viene unto anche ai piedi.241 Testimone di quanto gli viene fatto è Lazzaro, il morto tornato alla vita. La sua presenza indica che la signoria del Cristo va oltre i confini del nostro tempo e spazio, trionfa sulla morte ed è legata all’eternità. Ma il mondo non ha voglia di comprenderlo, non è pronto a riceverlo, la folla sulla strada che va da Gerico a Gerusalemme non vuole che Gesù sia importunato da un cieco e che abbia pietà di lui,242 non c’è tempo per l’amore e la solidarietà. Il popolo vuole che egli sia re, che cambi le strutture di questo mondo, che a dominare non siano più i Romani, ma i Giudei. E siccome «essi pensavano che il regno di Dio stesse per essere manifestato immediatamente», Gesù presenta la parabola di un nobile che si deve assentare per ricevere l’investitura del suo regno. I suoi concittadini lo odiano, per questo dà ai suoi servi dei denari con la sua effigie. Sebbene il paese gli sia ostile e dominato da uno spirito diverso dal suo, i suoi servitori devono far fruttare i suoi soldi, senza imporre con la forza il loro valore regale, il loro potere d’acquisto. Sarà al suo ritorno che i suoi nemici periranno.243 Poiché il Suo regno non è di questo mondo, egli lo vuole conquistare con armi diverse, tradendo le aspettative degli apostoli ed essi, a loro volta, tradiscono lui perché non vedono più in lui il loro re. Il regno che il Messia propone non corrisponde a quello della loro idea che vuole la conquista del potere mediante la rivoluzione armata. Se Gesù avesse conquistato il mondo alla maniera degli apostoli, il regno sarebbe stato sì nelle sue mani, ma gli uomini in quelle dell’avversario. Ma quando Pietro «avrà capito» allora dirà di lui alla Pentecoste, dopo aver dimostrato che in Gesù le promesse fatte ai padri vengono realizzate: «Sappia dunque sicuramente tutta la casa d’Israele che Iddio ha fatto e Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».244 Davanti a Gesù cui è stata data «ogni potestà... in cielo e sulla terra... si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio».245 239 240 241 242 243 244 245
Apocalisse 19:11 e seg. Matteo 26:6 e seg. e paralleli Isaia 52:7. Matteo 20:20-34. Luca 19:11 e seg. Atti 2:36. Matteo 28:18; Filippesi 2:10,11.
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Egli «in una settimana confermerà una alleanza con molti»246 La traduzione di questo testo è più il risultato dell’interpretazione che si vuole dare al testo che la sua reale traduzione. Molti studiosi contemporanei non vogliono riconoscere che il soggetto di quanto l’angelo dice a Daniele sia sempre il MessiaCapo, come lo ha presentato con questi due termini nel versetto 25, presentato poi al versetto 26 solo con l’espressione Messia e successivamente solo con il titolo di Capo e nel nostro testo, versetto 27, lasciando il soggetto sottinteso, perché evidentemente conosciuto. Questo soggetto sottinteso, gli studiosi moderni, anziché riferirlo al personaggio principale dell’intero brano, al Messia,247 come richiederebbe la sintassi e le regole grammaticali, viene identificato con la figura alla quale sia datta il testo, ad Antioco Epifane, con il quale fanno alleanza gli Israeliti apostati; o all’anticristo finale del quale si immagina che farà un patto ingannevole.248 Osservando il testo, si vede che nel versetto 25 si ha la presentazione del MessiaCapo, nel versetto 26 si ha la descrizione di ciò che il Messia subirà dopo le 62 settimane, mentre nel versetto 27 si ha l’esposizione di quanto il Messia compirà nella prima parte dell’ultima settimana.249 Riteniamo che i soggetti Antioco e anticristo finale, riteniamo che siano il risultato della fantasia dei traduttori. Per la loro traduzione non hanno neppure un riscontro nel versetto 26. Il “distruttore”, che sarebbe anche colui che stipula l’alleanza, viene indicato solo nella secondo parte del versetto 27.
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Daniele 9:27. «Questo paragrafo si deve rapportare al Messia in ragione delle osservazioni seguenti: - la presenza del tema delle settimane, parola chiave che si riallaccia al Messia; - obbedisce al principio di composizione delle rime alternate: Messia - Gerusalemme / Messia - Gerusalemme / Messia Gerusalemme (vedere p. 69 e nota n. 289, p. 114); - infine la nozione di alleanza (Brith) e di cessazione delle offerte (Yashbit) che riprende la nozione espressa attraverso il verbo ykaret del paragrafo messianico precedente (dopo le 62 settimane sarà abbattuto il Messia e nessuno sarà al suo fianco - nessuno per assisterlo), cosa che costituisce un indizio in più secondo il quale “consoliderà una alleanza con un grande numero in una settimana, e nel mezzo della settimana, farà cessare sacrificio e offerte” si situa sullo stesso piano di “dopo le 62 settimane sarà abbattuto il Messia e nessuno sarà al suo fianco” e lo prolunga. La parola krt (rompere) è in effetti una allusione sia all’alleanza (krt è precisamente la parola tecnica che esprime il processo di alleanza; confr. Esodo 24:8; 34:27; Giosué 9:15; Osea 2:20; Geremia 34:13; ecc.) e a una cessazione. La parola ykaret contiene di già in “dopo le 62 settimane sarà abbattuto il Messia e nessuno sarà al suo fianco” i due significati teologici della morte del Messia, che noi troviamo esplicitato in “consoliderà una alleanza con un grande numero (in) una settimana, e nel mezzo della settimana, farà cessare sacrificio e offerte”, cioè l’alleanza mediante il suo sacrificio, e di conseguenza la fine dei sacrifici» J. Doukhan, Boire..., p. 188, nota 205a; Les soixante-dix semaines ..., p. 129, nota 3. 248 Vedere Appendice n. 4. «Il soggetto è certamente sottinteso. Si può pensare, secondo le applicazioni diverse dei versetti precedenti, a Antioco Epifane con il quale fanno alleanza gli israeliti apostati, o anche al Messia che durante la settimana stabilisce la nuova alleanza. Ma forse la cosa più naturale è pensare all’Eterno stesso che presiede all’opera messianica» La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 312. 249 I versetti 26 e 27 sono paralleli: entrambi presentano l’opera del Messia e ciò che subirà la santa città come conseguenza del rigetto del Cristo. Vedere p. 69 e nota n. 289, p. 114. 247
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Giovanni Diodati nel 1641 presentava il soggetto sottinteso con «Esso»250 e commentava: «Cristo, apparito e conversando nel mondo, ... rinnoverà per l’Evangelo ai fedeli d’in fra i Giudei il patto della grazia fatto coi padri: e lo ratificherà per nuovi sacramenti».251 «Ei», traduce monsignore Antonio Martini nel secolo scorso, e spiega in nota: «Questi sacrifici essendo stati aboliti con la morte di Gesù Cristo, ne segue che la morte di lui cade in mezzo all’ultima settimana d’anni, cioè tre anni e mezzo dopo ch’egli ebbe cominciato a predicare in pubblico; il che si accorda pienamente colla cronologia, poiché Gesù Cristo insegnò, infatti, durante codesto periodo di tempo».252 Commenta l’abate Th. Mémain: «Il terzo periodo (delle 70 settimane) non dura che una settimana, ma è l’ultima e la più importante di tutte; essa comprende i sette anni253 di grazia, specialmente accordati ai Giudei dalla prima predicazione del Salvatore fino alla conversione del centurione Cornelio. È in effetti in questa ultima data che gli apostoli vedono cessare per loro il comandamento di rivolgersi unicamente agli Ebrei, e che essi cominciano, per contro, a predicare l’Evangelo di preferenza alle nazioni pagane».254 «L’angelo Gabriele riprende qui in dettaglio l’ultima settimana che l’esposizione delle conseguenze della morte del Messia gli aveva fatto interrompere».255 «Ciò che è nuovo in questa profezia, non è né l’idea della nuova alleanza, né quella del Messia che muore, dipinto di già nel libro in Isaia LIII; ma è unicamente la relazione stabilita tra questi due fatti».256 Di quale alleanza si tratta? «La parola berit (patto) ha qui un senso religioso. Si tratta, in effetti, d’una alleanza che procurerà i beni annunciati al versetto 24... L’angelo presenterebbe l’alleanza messianica come facente corpo unico con 250
Come ha fatto la Sisto Clementina. DIODATI Giovanni, La Sacra Bibbia, tradotta in lingua italiana e commentata da Giovanni Diodati, di nazione lucchese, seconda edizione, migliorata e accresciuta, ed. Pietro Chovët, 1641, p. 774. 252 Mons. Antonio Martini, o.c., col. 418. 253 Ricordiamo che 7 giorni significa 7 anni. Anche il Talmud spiega: «Una settimana in Daniele 9 significa una settimana d’anni», Yoma 54a, e il Midrash Rabbah, spiegando questa espressione di Daniele dice: «Una settimana rappresenta un periodo di 7 anni» Midrash Rabbah Eikah, 34; cit. J. Doukhan, o.c. p. 93. 254 MÉMAIN Théophile, La Connaissance des temps évangéliques, Sens 1886, p. 149. «Alcuni scrittori ecclesiastici dei primi secoli hanno interpretato la profezia delle settanta settimane in un senso escatologico, come uno sviluppo del regno di Dio dalla fine dell’esilio fino all’ultima venuta del Cristo, alla fine dei tempi. Così, Ireneo, Hoeres, V,25,3,4; Ippolito, De Antichristo; Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, XV,15; Apollinare di Laodicea hanno distaccato l’ultima settimana dalle sessantanove settimane, e l’hanno riportata alla distruzione di Gerusalemme e più particolarmente alla fine del mondo, di cui la catastrofe della città giudaica è una immagine. Hèsychius, vescovo di Solone, vi aveva visto una allusione ai sette anni che precederanno la seconda venuta di Gesù Cristo. La prima parte di questa settimana sarebbe il tempo del ritorno di Elia; la seconda parte, il tempo dell’Anticristo. La guerra dell’Anticristo durerà tre anni e mezzo, secondo la testimonianza del libro di Daniele (12:7) e di san Giovanni (Apocalisse 12:6). L’Anticristo farà cessare i sacrifici (Daniele 9:27) e avrà un trionfo di tre anni e mezzo (7:25). Questi accostamenti non sono assolutamente fondati, e non ci offrono una spiegazione corretta dei versetti 24-27 del capitolo 9 di Daniele. L’ultima settimana non deve, d’altronde, essere separata dalle sessantanove prime settimane da un lungo intervallo. Le settanta settimane formano un solo e stesso tutto che sfocia nel Cristo soppresso» J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1309. Purtroppo ancora oggi degli evangelici mantengono questa spiegazione che non rispetta il testo biblico. Vedere Appendice n. 3. 255 Idem, pp. 999,1000. 256 La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 312. 251
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l’alleanza antica, la quale sarebbe anche considerata come essendo solamente rinnovata, trasformata. È così che nel libro di Ezechiele viene detto: “Nondimeno io mi ricorderò del patto che fermai teco nei giorni della tua giovinezza, e stabilirò con te un patto eterno”257, la nuova alleanza è presentata come una conferma e una continuazione dell’antica».258 257
Ezechiele 16:60. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p 1000. Le stesse parole sono espresse anche da K. Auberlen, o.c., p. 134. Generalmente si crede che il patto o l’alleanza che l’Eterno ha fatto con il popolo d’Israele al Sinai è veicolo di valori salvifici diversi da quello che Gesù ha fatto nella camera alta prima del Getsemani. 258
La parola alleanza, patto, è l’espressione impiegata nella Bibbia per indicare le condizioni tramite le quali l’Eterno può essere il Dio dell’uomo e il Signore della sua vita e potergli fare del bene. Il patto esprime le condizioni poste da Dio, non dall’uomo, che le può solo accettare o respingere, grazie alle quali l’uomo può continuare ad essere figlio di Dio e vivere nel Regno di Dio. 1o patto. Il primo patto o alleanza, anche se la parola non è utilizzata, viene fatto nell’Eden. Accettando le condizioni che Dio dava all’uomo, Adamo ed Eva avrebbero potuto continuare a vivere nel giardino e godere di una realtà dove tutto «era molto buono» Genesi 1:31. L’albero della conoscenza del bene e del male rendeva tangibili gli elementi del contratto: Genesi 2:15-17. Eva, nella sua risposta al serpente (Genesi 3:3), dimostrò che conosceva bene l’esistenza di un contratto formale. Quando questo contratto fu violato, la coppia perse l’Eden (Genesi 3:23). Scopo dell’alleanza: Condizione dell’alleanza: Segno dell’alleanza:
- l’uomo creato innocente avrebbe dovuto mantenere questa sua prerogativa nell’essere felice e nel vivere nel bene. - fede, accettare la parola di Dio come norma della propria vita. - la coppia non scorgeva la sua nudità.
2o patto. Dopo aver chiamato Abramo da Ur dei Caldei, Dio concluse con lui un’alleanza: Genesi 15. L’alleanza con il patriarca ha due aspetti: - immediato: promette la posterità (Genesi 15:5); - futuro: a) promette il possesso del paese (Genesi 15:7) b) benedizione per le nazioni (Genesi 18:18; 22:18). Scopo dell’alleanza: - Abramo doveva essere santo, integro (Genesi 17:1); - ordinare di osservare la parola di Dio (Genesi 18:19); - fedeltà ai comandamenti dell’Eterno (Genesi 26:5; Giacomo 2:21-25). Condizione dell’alleanza: - Abramo doveva credere nel Signore (Genesi 15:6); Segno dell’alleanza: - circoncisione. (A Noè Dio aveva dato l’arcobaleno.) Abramo è il capostipite di un popolo. Con la circoncisione si dimostra di accettare il patto che l’Eterno propone e di accettare ciò che Dio offre e promette (Genesi 17:9-11; Romani 4:11). La circoncisione fatta sull’organo sessuale maschile voleva indicare che la propria vita e potenza vitale, la propria persona era interamente del Signore. L’uomo è impegnato a vivere per Dio per tutta la vita. La circoncisione, oltre ad avere un valore igienico, era un segno pedagogico che richiamava il discendente di Abramo alla fede nel Dio dei padri. Questo segno nella carne ricordava continuamente all’uomo, alla coppia, alla famiglia, che lui e la sua casa appartengono all’Eterno. La circoncisione garantiva ad Abramo, se continuava ad essere fedele all’Eterno, la realizzazione futura di ciò che l’Eterno aveva promesso: Genesi 15:8-17. Il patto che Dio aveva fatto con Abramo non era solamente con lui e la sua discendenza fisica, ma anche con tutti coloro che facevano e avrebbero fatto parte del suo clan e vi si sarebbero aggiunti in futuro, cioè, coloro che per nascita erano considerati stranieri (Genesi 17:13). L’alleanza che Dio ha fatto con Abramo non è stata annullata da quella fatta al Sinai e dall’opera di Gesù Cristo. Per l’apostolo Paolo è ancora valida oggi: Galati 3:15-17,29. 3o patto. Quando la profezia diventa storia
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Il testo biblico non impiega l’espressione «concludere una alleanza», ma un termine che significa «confermare», che implica un contratto di già esistente. Del resto in tutto il corso della storia Dio non rinuncia mai alla Sua alleanza, ma resta sempre fedele ad essa, la rinnova, la conferma.259 «Questa conferma di alleanza - scrive il prof. W.H. Shea - doveva estendersi su una settimana intera, la 70ma. Questa azione non è cominciata al momento in cui il Alleanza di Mosè al Sinai: Esodo 24:8. - L’alleanza fatta con Abramo doveva continuare con i suoi discendenti: Genesi 17:7,9,10,19. - Alla base dell’alleanza del Sinai c’è quella fatta con Abramo: Esodo 2:24; 6:5; Deuteronomio 4:31. Differenza delle due alleanze: - al tempo di Abramo la legge non è stata ufficialmente scritta (Genesi 26:5) - al Sinai la legge venne scritta su tavole di pietra. Scopo dell’alleanza:
- essere santi: Levitico 20:26. - conservare gli oracoli dell’Eterno: Romani 3:1 - come Abramo era testimone dell’Eterno, così Israele doveva essere la luce delle nazioni: Isaia 43:10, 12; 44:8. - questa alleanza era a beneficio di tutti i popoli: Isaia 14:1;18:7; 19:18-25;44:2-25;
Condizioni dell’alleanza:
- fedeltà alla parola del Signore
Segno dell’alleanza:
- circoncisione della carne che significa circoncisione del cuore e delle orecchie:
56:6,7.
Deuteronomio 10:16; Geremia 4:4. Questa alleanza viene rinnovata al tempo di Giosuè e di Nehemia dopo che i Giudei sono ritornati dall’esilio in Babilonia. 4o patto. A causa del modo di vivere d’Israele, i profeti dal VII secolo annunciano la necessità di una nuova alleanza: - sarà per Israele e per tutti i popoli: Isaia 42:6; 49:8; - si fonderà ancora sulla legge di Dio: Geremia 31:31-33; - è ancora quella fatta con Israele (e che ha le sue origini in quella fatta con Abramo): Ezechiele 16:60. Il profeta Daniele annuncia il tempo di quando questa alleanza verrà fatta: Daniele 9:25,27. Dio non rinuncerà mai alla sua alleanza, rimane sempre fedele alla sua parola: Deuteronomio 7:9; 32:4; Nehemia 9:33; Isaia 49:7; Osea 12:1; Romani 3:1-4. Nella nuova alleanza fatta da Gesù troviamo in Luca 22:20 le stesse parole di Mosè: Esodo 24:8. Gesù viene inviato dal Padre mantenendo così la promessa fatta ai padri: Luca 1:72,73. Scopo dell’alleanza:
- essere santi: Giovanni 17:17; - conservare gli oracoli di Dio: 1 Timoteo 2:28,29. - portare la salvezza al mondo intero: Marco 15:16.
Condizione dell’alleanza:
- fedeltà alla parola di Dio: Giovanni 14:15; Ebrei 10:26;
Segno dell’alleanza:
- pane e vino. La circoncisione esterna viene sostituita con quella interna: Romani 2:28,29; Filippesi 3:2,3; Colossesi 2:11,12; Galati 3:27-29.
Tutti i credenti sono figli di Abramo e costituiscono un solo e unico popolo: Efesi 2:14-22; che ha nel tronco e nelle radici la storia dei padri: Romani 11:14-17. Come l’alleanza fatta con Abramo era diversa nel cerimoniale di quella fatta con Mosè, così quella fatta con Mosè differisce da quella fatta da Gesù. Quella fatta da Gesù realizza ciò che Dio si proponeva con Mosè e quindi con Abramo: Esodo 19:5,6; 1Pietro 2:9; Ebrei 4:14-16. 259
Deuteronomio 7:9; 32:4; Nehemia 9:33; Isaia 49:7; Osea 12:1; Romani 3:1-4.
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IL CARDINE DELLA STORIA
Cristo è morto sulla croce, nel mezzo della settimana, bensì all’inizio del suo ministero, nell’anno 27. Se rileggiamo i primi capitoli degli evangeli avendo in mente lo stabilimento o il ristabilimento di una alleanza, noi cogliamo subito l’importanza del sermone sulla montagna in questo contesto. Gesù ha ripreso dei comandamenti dell’antica alleanza e, lungi dall’abolirli, li ha amplificati e confermati. Poi li ha completati con le sua nuove esigenze. Questi particolari del suo sermone sono disseminati da riferimenti alla legge e ai profeti. Tutto ciò si inserisce in un quadro di benedizioni promesse260 e di una possibilità di ricevere sia delle benedizioni sia dei castighi.261 Questo tipo di linguaggio caratterizza perfettamente il contesto di una alleanza. Numerosi commentatori vi hanno notato la parentela che esiste tra l’alleanza di Mosè, al Sinai, e quella di Gesù, sul monte delle Beatitudini. Il Cristo ha cominciato il suo ministero ricordando l’alleanza conclusa. Ecco ciò che era predetto in Daniele IX:27».262 È sotto la penna del profeta Geremia che per la prima volta si trova il termine «nuova alleanza»: «Ecco, i giorni vengono, dice l’Eterno, che io farò un nuovo patto... questo è il patto che farò... io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, ed io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo».263 Ciò che cambia in questa nuova alleanza rispetto a quella antica è il mezzo con il quale Dio rivela la Sua santità. Nella prima alleanza Dio si era rivelato santo mediante la legge pietrificata, nella nuova alleanza Egli si è manifestato tale in Cristo Gesù, interiorizzando (se così si può dire) la stessa legge nel cuore e nella mente del credente tramite una relazione intima dello spirito dell’uomo con lo Spirito di Dio, come scrive l’autore della lettera agli Ebrei264, che riprende le espressioni del profeta Geremia. Il nuovo patto, stipulato tramite il Cristo, Dio l’aveva fatto già annunciare dal profeta Isaia: «Io, l’Eterno, ti (Cristo) ho chiamato secondo giustizia, e ti prenderò per la mano, ti custodirò e farò di te (Cristo) l’alleanza del popolo, la luce delle nazioni... Così parla l’Eterno: “Nel tempo della grazia io ti esaudirò, nel giorno della salvezza ti aiuterò; ti preserverò, e farò di te l’alleanza del popolo, per rialzare il paese, per rimetterli in possesso delle eredità devastate, per dire ai prigionieri: “Uscite!” e a quelli che sono nelle tenebre: “Mostratevi!”».265 Chiaramente Isaia dichiara che lo stesso Servitore di Yahvé (Cristo) sarà l’alleanza del popolo e la luce delle nazioni, facendo in modo che il privilegio dell’alleanza si estenda a tutti gli uomini di tutte le nazioni. Nell’antica dispensazione «il Decalogo è presentato come il patto o come il riassunto dell’Alleanza che Dio ha deciso, e da solo, di concludere con il suo popolo. Questo è fondamentale, poiché il Decalogo non è prima di tutto ciò che Dio esige dal suo popolo, ma è prima di tutto ciò che egli gli dà. Il Decalogo è una grazia in cui Dio 260 261 262 263 264 265
Matteo 5:3-11.. Matteo 7:13-27. W.H. Shea, o.c., p. 278,279. Geremia 31:31-33. Ebrei 8:8-10; 10:16; già il Salmo 119 è la dimostrazione di una simile esperienza. Isaia 42:6; 49:8. Quando la profezia diventa storia
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si lega volontariamente al suo popolo.... Non bisogna sbagliare, come troppo spesso si fa; non ci sono nell’alleanza due tempi: l’uno in cui Dio avrebbe liberato e l’altro in cui l’uomo in risposta ubbidirebbe; e così la liberazione dall’Egitto da parte di Dio è l’obbedienza alla legge da parte dell’uomo. No! L’alleanza è che Dio libera dall’Egitto e dà il decalogo. È che Dio libera degli schiavi e dà a questi schiavi la possibilità di vivere da uomini liberi. Egli dà il comandamento e dà l’obbedienza. Dà la libertà, il volere e l’operare… Quando Dio libera dalla mano degli Egiziani, libera simultaneamente l’uomo da se stesso. Quando libera degli schiavi, costoro cessano veramente di essere schiavi. Per questo il decalogo è la vetta dell’alleanza. Esso è la prova che gli Israeliti possono ormai vivere come gli alleati di Dio... L’ubbidienza umana non è la seconda parte di un contratto, o ciò che l’uomo offrirebbe per pagare Dio della sua benevolenza. Essa è una possibilità, un avvenire, una libertà, una apertura, una esistenza nuova che Dio offre. Essa non è ciò che l’uomo restituisce, è ancora ciò che Dio gli dà o per lo meno ciò che gli propone. Essa non è una risposta dell’uomo, è una promessa di Dio sull’uomo e all’uomo. Il Decalogo è fondamentalmente antilegalista, e gli Israeliti l’hanno a lungo compreso, essi che hanno cantato la legge, il dono della legge, come la vetta dei doni di Dio. E non è che più tardi, con Esdra, che la legge comincerà ad essere compresa come la parte esclusiva dell’uomo, come la sua risposta, il suo pagamento, all’iniziativa divina. Allora nascerà il legalismo contro il quale Gesù Cristo e Paolo si eleveranno con il più grande vigore».266 Anche la nuova alleanza, manifestazione della grazia liberatrice di Dio, riposa sulla legge che l’apostolo Paolo definisce «santa» e il cui «comandamento è santo giusto e buono».267 Per il grande apostolo la giustificazione per fede non abolisce la legge, ma la riconferma e la stabilisce.268 Nei confronti di questa legge Gesù aveva detto: «Più facile è che passino cielo e terra, che un apice della legge cada».269 E affinché fosse ben chiaro che la sua opera di liberazione non era in contrasto con la legge mosaica ed il decalogo, nel sermone sul monte disse: «Non pensate ch’io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per compiere (completare): poiché io vi dico in verità che finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice della legge passerà, che tutto non sia adempiuto».270 266
MAILLOT Alphonse, Le décalogue, une morale pour notre temps, Paris 1976, pp. 16-18. Romani 7:12. 268 Romani 3:31. 269 Matteo 16:17. 270 Matteo 5:17,18. L’esegeta protestante svizzero L. Bonnet così spiega: «La legge ed i profeti costituiscono tutta l’economia mosaica e tutte le rivelazioni dell’antica alleanza, sia come istituzioni sia come Sacre Scritture (Matteo 7:12; 22:40; Luca 16:16). Il Salvatore non è venuto per abolire nulla, abrogare (greco slegare, dissolvere, distruggere, versetto 19) ma per compiere ogni cosa. E lo ha fatto in ogni maniera possibile. I) Ha insegnato, rivelato il senso completo e spirituale della legge divina che il farisaismo aveva materializzato con la sua dottrina delle osservanze esteriori (versetti 20, 21 e seg.). II) Ha egli stesso compiuto, perfettamente, la Legge divina con la sua santa condotta di vita. III) Ha realizzato, con la Sua opera e soprattutto con la Sua morte, davanti a Dio e nei cuori dei riscattati, l’idea completa dell’antica alleanza, con i suoi tipi, le sue figure, i suoi sacrifici, le sue promesse e le sue speranze 267
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IL CARDINE DELLA STORIA
La giornata del sermone sul monte richiama quella del Sinai perché il promulgatore dell’antica alleanza è lo stesso della nuova. L’«Io sono l’Eterno, l’Iddio tuo» è «l’Eterno, il tuo Redentore, il Santo d’Israele».271 Questo «Redentore che comanda è colui che ha dato la Sua vita per riscattarci, colui che ha giudicato che nessun sacrificio era troppo grande per venirci in aiuto e liberarci dalla schiavitù del maligno, colui che ha fatto tutto ciò che era possibile fare per strapparci dalla potenza delle tenebre. È il Redentore, il Crocifisso, è Gesù Cristo che pronuncia ognuna delle parole del Decalogo».272 Il profeta del dopo esilio, Malachia, quando annunciava il Messia da parte dell’Eterno insegnava la stessa cosa: «Ecco io vi mando il mio messaggero; egli preparerà la via davanti a me (Eterno). E subito il Signore, che voi cercate, l’Angelo del patto,273 che voi bramate, entrerà nel suo tempio».274 Con questa rivelazione il (Romani 10:4; Ebrei 10:1; vedere soprattutto Giovanni 19:30), questo compimento, in un senso più elevato, più perfetto. L’evangelo, Cristo lo ha operato a sua volta nei cuori dei credenti (Romani 3:31). Così Gesù ha compiuto la legge e i profeti in una maniera organica e vivente, come il frutto è il compimento del fiore» L. Bonnet, c.c., t. I, p. 34. «Quando nel suo discorso... Gesù disse: “Voi avete sentito dire... Ma io vi dico”, egli non mette affatto il suo insegnamento in contrapposizione con quello di Mosè e dei profeti. È ad una interpretazione troppo stretta e poco spirituale della legge e alle tradizioni aggiunte dai dottori del suo tempo che Gesù oppone le sue solenni affermazioni... A prima vista sembrava che la legge non esigesse che un’osservanza esteriore. Ma per ogni cuore sincero era evidente che, attraverso i suoi comandamenti, il Dio della Santità voleva condurre i suoi adoratori verso un’obbedienza, senza la quale l’ubbidienza esteriore non era che un vano formalismo. Il decimo comandamento lo diceva molto chiaramente, quanto al decalogo. L’insegnamento israelitico avrebbe avuto il compito di spiegare la legge in questo senso veramente morale, e di fare risalire il popolo dalla lettera allo spirito, come avevano cercato di fare i profeti... Il farisaismo si era compiaciuto di ampliare all’infinito l’osservanza legale, di determinarla nelle manifestazioni più minute e di rincarare sulla lettera al punto di metterla per forza contro lo spirito» F. Godet, o.c., pp. 436,437. È a causa di questo spirito che Gesù è in contrasto con i farisei anche riguardo al IV comandamento che richiede la santificazione del sabato, settimo giorno della settimana. Gesù non discusse mai se si doveva santificare o no il sabato, ma discusse sul come santificarlo. Gesù conferma e ribadisce la santificazione del sabato, santificazione che continua con gli apostoli, ma toglie dalle pratiche di quel tempo tutte quelle sovrastrutture legalistiche, e nell’intenzione anche protettive, che il mondo farisaico vi aveva sovrapposto svigorendone il significato. «In numerosi passi dell’Evangelo possiamo constatare che Gesù non ha né abolito il Sabato né capovolta la legge su questo punto, ma che egli ha ridonato questo giorno alla sua destinazione primitiva. Il Signore Gesù e i suoi apostoli hanno... distinto, onorato, solennizzato il giorno di riposo» GUERS Émile, cit. da VUILLEUMIER Jean, Le jour de repos à travers les âges, p. 5. 271 Esodo 20:3; Isaia 48:17. 272 PURY Roland de, prefazione di AA.VV., L’Ordre de Dieu, Neuchâtel 1946, p. 6. 273 L’Antico Testamento ci parla dell’angelo dell’Eterno (la parola ebraica “maleach” ha un senso più generale dell’espressione greca “anghelos”) nel quale c’è il nome dell’Eterno stesso (Esodo 23:21), risiede la persona della divinità, l’Essere di Dio, il cui “nome” esprime l’essenza: «Io sono quegli che sono» Esodo 3:14. Cioè: «Io sono Colui che esiste per natura, che non trae la sua esistenza da nessun altro, che è l’essenza stessa» La Bible Annotée, Les livres historiques, t. I, Exode, Neuchâtel 1889, p. 375. È tramite lo stesso angelo che l’Eterno manifesta «la sua presenza» Esodo 33:14 (versione Luzzi), «la sua faccia» (versione Diodati), «la sua persona» (Versione edizione Paoline) e secoli più tardi a seguito della sua incarnazione dirà: «Chi ha visto me ha visto il Padre» Giovanni 14:6. Isaia rievocando il soggiorno del popolo nel deserto, riassume l’azione dell’Angelo dell’Eterno dicendo che «in tutte le loro distrette egli (l’Eterno) fu in distretta, e l’Angelo della sua faccia li salvò» Isaia 63:9. Questo angelo della faccia che è stato il liberatore, il protettore, il conduttore è colui che è la faccia stessa di Dio. L’Eterno, dice Malachia, è «il Signore che voi cercate» è lo stesso che il profeta Isaia contemplò «assiso sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio» alla cui presenza i serafini gridavano: «Santo, Santo, Santo è l’Eterno...! Tutta la terra è piena della sua gloria» Isaia 6:1,2; Giovanni 12:37,41. Questo Signore che Isaia vede, Malachia ce lo annuncia come Messia. L’identificazione del Signore con l’Angelo del patto, quale stesso personaggio, risulta prima di tutto dal parallelismo tra le due proposizioni: «che voi desiderate», «che voi bramate». Questo personaggio tanto Quando la profezia diventa storia
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messianismo dell’Antico Testamento raggiunge il suo culmine e riassume tutto ciò che i profeti avevano detto a tale proposito. Questo Messia che voi aspettate, è l’Eterno stesso che viene a voi. Ed è così che l’Antico e il Nuovo Testamento sono legati in una indivisibile testimonianza del nostro Creatore. «L’Angelo del patto», dopo aver fondato l’alleanza con il suo popolo e dato la sua legge al Sinai, viene per coronare la sua opera, fondando la nuova alleanza basata sulla stessa legge. Colui che l’ha data al Sinai275 è colui che la riconferma e la spiega sulla montagna di Giuda nel suo sermone. «Egli stabilirà un saldo patto con molti». Con l’espressione “molti” l’angelo fa riferimento a quanto annunciato dal profeta Isaia276 indicando coloro che saranno salvati dal Servitore dell’Eterno. I molti che beneficiano di questo saldo patto non sono altro che coloro che formano il rimanente fedele del popolo d’Israele, che nell’opera del Messia hanno avuto la conferma della loro speranza, e formano il nocciolo della nuova alleanza nella quale entrano i nuovi convertiti. Ed è così che «il popolo eletto del passato si trova, in effetti, nel popolo eletto dell’avvenire: questo popolo si compone di tutti i veri figli di Abramo».277 Questa alleanza che Dio fa con il Suo popolo tramite il Messia mette in evidenza i rami secchi dell’ulivo affinché siano recisi e al loro posto vengano innestati dei rami di ulivo selvatico perché portino frutto. Il ceppo rimane278 e la base dell’alleanza è la stessa: la legge immutabile di Dio, espressione della sua grazia, della sua giustizia e del suo amore eterno, garanzia di libertà per colui che è stato liberato dalla schiavitù d’Egitto e dal peccato. Con questa nuova alleanza si viene a creare un unico gregge nel quale vengono raccolte le pecore che sono sia dell’ovile d’Israele sia delle altre nazioni, affinché siano sotto la guida di un solo pastore.279 L’apostolo Paolo scrive: «Non c’è... né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero: non c’è né maschio né femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù... E se siete in Cristo, siete dunque progenie d’Abramo; eredi, secondo la promessa».280
atteso, il Messia, è l’oggetto della ricerca e del desiderio d’Israele, non è altro che l’Eterno. Che il Signore (l’espressione Signore è l’equivalente dell’ebraico Adonai che nella versione dei LXX è Kurios con cui si traduce sempre il nome dell’Eterno, Yahvé) e l’angelo del patto siano lo stesso personaggio è confermato dalla proposizione al singolare: «Ecco egli viene». Questo Messia entrerà nel suo tempio, nel tempio di Gerusalemme, come se entrasse in casa sua. L’inviato che deve venire è colui che ha stabilito l’alleanza con Israele, è l’Eterno che il popolo andava ad adorare (vedere La Bible Annotée, idem, pp. 237-242; Les prophètes, t. III, Neuchâtel, p. 305). 274 Malachia 3:1-3. 275 Atti 7:38. 276 Isaia 53:11. 277 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1000. 278 Romani 11:17,18. 279 Giovanni 10:11,16. 280 Galati 3:28,29.
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Questo patto conferma il precedente. Al vero Israele spirituale, ai veri figli di Abramo si aggiungono i gentili convertiti, ed entrambi fanno un «popolo unico» che partecipa allo stesso ceppo «e così tutto Israele sarà salvato».281 Il Salvatore viene da Sion e tutti i credenti nascono a Gerusalemme convertendosi all’Eterno.282 Come il sacrificio dell’agnello in Israele sigillava l’alleanza avvenuta nel passato e ne annunciava la realizzazione futura, così Gesù sigillava il nuovo patto, dando nuovo significato alla cena pasquale come ricordo dell’opera di liberazione compiuta sul Golgota e pegno e garanzia del trionfo futuro: «Poiché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga».283 Come nell’antico patto Dio s’impegnava a soccorrere il suo popolo, così nel nuovo patto Dio continua a soccorrerlo, si abbassa, si inchina e gli lava i piedi. Il suo gesto è un invito ad ogni credente, ormai maturo nella sua grazia, a piegarsi davanti ai suoi fratelli e ai diseredati di questo mondo per soccorrerli, imitando e identificandosi con il Maestro dell’universo che ne ha dato l’esempio.284
«Dopo le sessantadue settimane l’Unto sarà sterminato»285 «La parola “sabuhif” (settimane) è preceduta da ha che è contemporaneamente articolo e pronome dimostrativo. Da questo si vede che si tratta qui di settimane determinate e menzionate al versetto 25. Sarebbe come se l’angelo dicesse espressamente: “Dopo le 62 settimane che ho enumerate a seguito delle 7 settimane”; o “Dopo queste 62 settimane che io ho distinto dalle prime 7”. Così la menzione di queste 7 settimane era inutile».286 «L’impiego della preposizione ‘ahârê suggerisce che il Messia sarebbe ucciso “dopo” la fine delle 7 settimane e delle 62 settimane, ossia nel corso della 70a settimana. Questa formula offre semplicemente una indicazione approssimativa concernente la sua morte».287 L’angelo «non intende per nulla dire con ciò che questi fatti (annunciati nel versetto 26) si realizzeranno subito dopo la fine delle 62 settimane. Al contrario, poiché, secondo il versetto 25, è allora solamente che apparirà il Messia, ed è sufficientemente evidente che non è con la sua morte che inizia la sua opera; la sua morte, lo vedremo al versetto 27, non si attuerà che una mezza settimana più tardi».288
281 282 283 284 285 286 287 288
Romani 11:26. Isaia 59:20; Romani 11:26. 1 Corinzi 11:26. La versione ed. Salani traduce: «Rammemorate l’annuncio della morte del Signore». Giovanni 13:2-17. Daniele 9:26. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 966,967. W.H. Shea, o.c., p. 275. K. Auberlen, o.c., p. 131. Quando la profezia diventa storia
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L’Unto di cui qui si parla è sempre lo stesso, la parola ebraica non è preceduta da articolo e quindi si potrebbe benissimo considerarla come nome proprio. «Il contesto esclude, in effetti, un unto ordinario, re o sacerdote, e non c’è nessun motivo di distinguere due Messia nell’oracolo dell’angelo».289 «È dunque naturale vedere in questo unto quello del versetto 25, la cui venuta era stata semplicemente indicata come data della chiusura delle sessantanove settimane».290 Questo Unto sarà soppresso. L’espressione ebraica “ikkaret” indica una morte violenta.291 Del Servitore dell’Eterno il profeta Isaia aveva scritto: «Dall’oppressione e dal giudizio fu portato via; e fra quelli della sua generazione chi ha riflettuto che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a motivo delle trasgressioni del mio popolo?» Altri traducono: «Dal carcere e dal luogo del giudizio egli è stato portato via, e fra i suoi contemporanei292 chi vi ha posto mente? Poiché è stato reciso dalla terra dei viventi, egli è stato colpito per il peccato del mio popolo».293 Dopo la sua resurrezione Gesù ricorda agli apostoli a proposito della Sua passione: «Così è scritto, che il Cristo soffrirebbe...».294 Con queste parole «l’angelo vuole dire (a Daniele e a tutti i Giudei): “Tu devi rinunciare non solamente alla speranza di vedere il Messia apparire subito dopo la 289 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 968. «Si potrebbe certo supporre che il testo evochi qui due Messia diversi, appoggiandosi sul fatto, per esempio, che il riferimento al Messia si esprima in modo diverso nei due passi. La prima volta, egli è mâsîah nâghîdh, mentre la seconda volta è semplicemente indicato come mâsîah. Noi abbiamo già notato che la struttura del passo contrasta questa differenza e suggerisce piuttosto che si tratta della stessa persona. Inoltre, il modo in cui questa espressione passa dal definito (mâsîah nâghîdh) all’indefinito (mâsîah) ha il suo riscontro a livello della città di Gerusalemme. Al versetto 25, in rapporto con mâsîah nâghîdh abbiamo la città esplicitamente nominata come essendo Gerusalemme; per contro, al versetto 26, in rapporto con l’espressione mâsîah, essa è semplicemente indicata come “la città”. Come per la città così per il Messia, noi passiamo dal definito all’indefinito. Per il fatto che si tratta della stessa città, Gerusalemme, non può non trattarsi che dello stesso Messia» J. Doukhan, Les soixante-dix semaines ..., pp. 120,121. 290 La Bible Annotée, o.c., p. 311. 291 Genesi 17:14; Levitico 7:20; 17:1,14; 18:29; 20:18; Proverbi 2:22: Zaccaria 13:8,9. «Coloro che applicano questi versetti al tempo di Antioco vedono in questo unto soppresso il sommo sacerdote Onia III, che fu assassinato ad Antiochia verso il 172 o 171 a.C., dal luogotenente di Antioco ... e sostituito da suo fratello Giasone, che a sua volta ha subito la stessa sorte tre anni dopo dagli intrighi di Menelao. Si possono citare diversi passi, per esempio Levitico 4:3,5,16, in cui l’epiteto di “unto” è dato al sommo sacerdote. Quando Onia fu destituito a seguito della sua morte, continuava ad essere agli occhi dei Giudei un personaggio unto. Ma ciò che sembra contrario a questa spiegazione, è che questo omicidio è rimasto un fatto isolato, senza la minima relazione morale con l’invasione di Gerusalemme con il saccheggio del tempio, che sono qui messi in connessione stretta con la soppressione dell’unto (versetto 26). Partendo da quest’ultima osservazione, si è piuttosto portati ad applicare queste parole alla soppressione del Messia che ha avuto per conseguenza la distruzione del tempio e la rovina del popolo ebraico» La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 311. 292 Gesù presenta a Nicodemo, dottore della legge, nella notte che questi venne ad interrogarlo, che il Figlio dell’uomo dovrà essere innalzato (Giovanni 3:14). Durante il suo ministero in Galilea Gesù aveva parlato più volte ai suoi discepoli del tradimento e della morte violenta che lo attendevano: «Il Figlio dell’uomo sta per essere dato nelle mani degli uomini e l’uccideranno...» Matteo 17:22,23. Dopo la resurrezione di Lazzaro, andando a Gerusalemme, Gesù parla dettagliatamente durante la strada delle sue sofferenze, della passione e del come lo avrebbero ucciso (Luca 18:31-34), e in quei giorni narra la parabola dei vignaioli che oppressero il Figlio del padrone della vigna per carpirne l’eredità (Luca 20:9-19). Due giorni prima di Pasqua Gesù annuncia come avverrebbe la sua morte violenta: lo avrebbero «crocifisso», Matteo 26:2. Malgrado questo i discepoli non capivano. Durante l’ultima cena discutevano tra di loro per sapere chi era il maggiore per avere il primo posto nel regno che pensavano che Gesù avrebbe inaugurato in quei giorni. 293 Isaia 53:8, vedere nota, Versione Luzzi. 294 Luca 24:46.
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cattività, ma ancora a quella di vedere stabilire il suo Regno glorioso subito dopo che sarà venuto”».295 Infatti dopo che i farisei chiesero a Gesù quando si sarebbe realizzato il Regno di Dio, Egli dirà ai discepoli: «Prima bisogna che il Figlio dell’uomo soffra molte cose e sia reietto dal suo popolo».296 A conclusione di questa sezione riteniamo opportuno farci una domanda: gli apostoli hanno conosciuto, letto e capito il testo delle 70 settimane di Daniele IX nella prospettiva messianica come noi? Crediamo che si possa affermare di sì. Sia perché gli storici sono unanimi nel riconoscere, come pure le autorità religiose e il popolo, che l’attesa messianica avrebbe avuto il suo compimento nel primo secolo, sia perché Gesù stesso era convinto di compiere la profezia297 e sia perché gli apostoli stessi sono consapevoli di vivere nel tempo della realizzazione della speranza.298 Molto probabilmente la Chiesa primitiva ha riconosciuto in Gesù il Cristo, cioè l’Unto, perché essa ha visto in lui ciò che Daniele IX aveva annunciato: l’Unto sarà soppresso. D’altronde una importante dichiarazione di Gesù indica molto bene che avesse in mente Daniele IX quando dichiara, secondo Matteo XXVI:28: «Questo è il mio sangue, il sangue della nuova alleanza, che è sparso per molti...». M. Filippo fa notare che le parole corrispondono perfettamente a quelle della profezia: fare una solida alleanza con molti.299
«E non a lui»300 Il testo è molto conciso, lapidario ed è stato compreso in diversi modi. In ebraico ha semplicemente «e non a lui». I Settanta traducono: «Non sarà più». L’edizione italiana del 1967 de La Bibbia ebraica dice: «Nulla rimarrà di lui». La versione Siriaca riferisce il pronome non al Messia, ma a Gerusalemme e Efraim spiega: «E non ci sarà altro Messia per Gerusalemme». La Vulgata di Gerolamo traduce: «E il popolo che lo deve rinnegare non sarà più il suo popolo». Ch.L. Levasseur commenta: «Ormai (l’Unto) non ha più dominio su questo popolo che lo mette a morte».301 Si è supposto che Gerolamo abbia avuto un manoscritto ebraico più completo e si è quindi pensato che nei manoscritti che abbiamo la frase sia incompleta, e che una parola sia sfuggita al copista, «ma tutte le versioni antiche suppongono il testo ebraico attuale».302 Così Knabenbauer suppone l’idea contenuta nel verbo precedente e dice: «Sarà soppresso, ma non ci sarà per lui soppressione», quindi risorgerà.303 L’abate A.
295 296 297 298 299 300 301 302 303
K. Auberlen, o.c., p. 131. Luca 17:25. Giovanni 7:6,8; 2:4; 7:30; 17:1. Atti 28:20; 1 Timoteo 1:1; Luca 3:15; Galati 4:4. FILIPPO Mauro, The Seventy Weeks and the Great Tribulation, Boston 1923, p. 81; cit. da D. Ford, o.c., p. 201. Daniele 9:26 letterale. LEVASSEUR Ch. L., Essai sur la prophétie des 70 semaines de Daniel, Strasburg 1846, p. 6. A. Crampon, o.c., nota v. 26. Cit. idem. Troviamo questo pensiero in Isaia 53:10. Quando la profezia diventa storia
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Crampon scrive che «si ottiene un buon senso supponendo la parola “quod”, “e ciò che è di lui” cioè il popolo d’Israele, la Città santa e il santuario, “non sarà più”».304 Però Th. Mémain osserva: «Leggendo il testo ebraico con tutta la sua concisione, si ha ancora un senso molto accettabile: il Messia soffrirà la morte non per lui, ma per la redenzione del mondo. Caifa stesso aveva profetizzato che Gesù doveva morire per la sua nazione».305 Considerando anche che l’espressione “aynlo” potrebbe essere una contrazione dell’espressione che Daniele usa al capitolo XI:45 “Ayn ozer lo”, cioè «nessuno per assisterlo», si può concludere che il Messia sarà soppresso e nessuno lo soccorrerà. «Una volta che il Messia sarà soppresso, la sua opera sembrerà distrutta, nulla sembra poterla rialzare; i suoi aderenti, i santi, sono come scomparsi».306 Nella versione de La Bibbia edizione delle Paoline si legge: «Nessuno lo difenderà». Tutto ciò corrisponde al racconto che gli evangeli ci fanno, i fedelissimi abbandonarono Gesù, come Egli aveva predetto: «Questa notte voi tutti avrete in me un’occasione di caduta; perché è scritto: “Io percuoterò il pastore, e le pecore della greggia saranno disperse”».307 Lo stesso Pietro che era disposto a dare la sua vita lo rinnegò tre volte, Giuda lo tradì e al Getsemani «tutti i discepoli, lasciatolo, se ne fuggirono».308 Al popolo di Giuda, convenuto a Gerusalemme per la Pasqua e ai capi religiosi, il governatore romano Pilato disse, presentando Gesù sulla loggia: «Ecco il vostro Re!» ed essi «gridarono: “Toglilo, toglilo di mezzo, crocifiggilo!” (e allora) Pilato disse (di nuovo a) loro: “Crocifiggerò io il vostro Re?” I capi sacerdoti risposero: “Noi non abbiamo (cioè, noi non riconosciamo) altro re che Cesare”. (In altre parole: “Chiunque, fuorché lui, può regnare su noi”.) E tutto il popolo, rispondendo, disse: “Il suo sangue sia sopra noi e sopra i nostri figli”».309 Zaccaria, un secolo dopo Daniele, annunciò del Messia: «E gli si dirà: “Che sono quelle ferite che hai sulle mani?” Ed egli risponderà: “Sono le ferite che ho ricevuto nella casa dei miei amici”».310 Così il Salmo II, salmo messianico, trova la sua realizzazione completa in un preciso giorno della storia: quello della crocifissione e quello della resurrezione. «... I re della terra si ritrovano e i principi si consigliano assieme contro l’Eterno e contro il suo Unto, dicendo: “Rompiamo i loro legami 304
Idem. Th. Mémain, Les 70..., p. 6. Vedere Giovanni 15:51. 306 La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 310. «Una traduzione letterale darebbe : “Non sarà per lui”. Il soggetto reale è sottinteso. Ci sono due possibilità. Si tratta di cose, di possessi materiali o di persone. Nella prima ipotesi, la profezia insisterebbe sulla povertà del Messia alla sua morte. È naturalmente il caso di Gesù Cristo sulla croce, ma Dio si preoccupa primariamente degli esseri e poi delle cose; d’altra parte il primo soggetto che segue indica delle persone (un popolo). Seguendo questa interpretazione, conviene tradurre: “E nessuno sarà per lui”. Ciò descriverebbe bene il rigetto di cui il Messia sarebbe vittima al momento della sua morte. Questa predizione si è realizzata in maniera straordinaria nell’esperienza di Cristo (Giovanni 1:11; Matteo 26:56,74; Luca 24:21)» W.H. Shea, o.c., pp. 275,276. 307 Matteo 26:31, confr. Zaccaria 13:7. 308 Matteo 26:56; Giovanni 16:32. 309 Giovanni 19:6,14,15; Luca 19:14; Matteo 27:25. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto messo tra parentesi. 310 Zaccaria 13:6. 305
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e gettiamo via da noi le loro funi”».311 Nel tempo in cui visse Gesù, la Palestina, sebbene avesse una parvenza di unità religiosa e politica, era per contro molto divisa. Pilato, governatore del grande Impero di Roma, dominava al Sud. Al Nord il tetrarca Erode non lo sopportava. C’era ostilità tra i rigoristi farisei e i sadducei. C’era ostilità tra Roma e Israele, tra i vincitori e i vinti. Ostilità tra gli erodiani e gli zeloti. Ostilità tra Israele, che si considerava l’elite dell’umanità, e i Gentili, i pagani che più numerosi occupavano il loro Paese. Ostilità tra il popolo e la classe religiosa che lo voleva dominare. Ma nel giorno del Golgota, per un prodigio diabolico, ci fu un avvicinamento tra tutte queste forze opposte e diverse. Le rivalità e i rancori personali cessarono e tutti furono riuniti in un unico pensiero, in un unico sforzo, per scongiurare un pericolo che fino a quel momento li aveva minacciati. Uniti per fare barriera contro il comune nemico. E per realizzare questo progetto, Erode e Pilato, che fino a quel momento erano nemici, divennero, usando un’espressione dell’evangelo di Luca, «amici».312 Per la morte dell’Unto «nessuno è per lui» mentre il mondo è unito, e continua ad esserlo nel suo rifiuto. L’umanità pensa: «Costui è l’erede; venite, uccidiamolo, e facciamo nostra la sua eredità. E presolo, lo cacciarono fuori dalla vigna, e l’uccisero».313 L’uomo tenta continuamente di creare il suo Eden, il suo paradiso dove Dio non possa più interferire. Ma, «Colui che siede nei cieli ne riderà il Signore si befferà di loro. Allora parlerà loro nella sua ira, e nel suo furore li renderà smarriti: Eppure, dirà: “Io ho stabilito il mio Re sopra Sion, monte della mia santità”». Come ciò può realizzarsi dopo che l’Unto dell’Eterno è stato soppresso? «Io spiegherò il decreto: L’Eterno mi disse: “Tu sei il mio Figlio, oggi io Ti ho generato. Chiedimi, io ti darò le nazioni per la tua eredità e le estremità della terra per tuo possesso”».314 L’apostolo Paolo spiega che «Dio ha adempiuto il Salmo II con la resurrezione di Gesù».315 È perché questo Salmo aveva avuto la sua realizzazione che Gesù, prima di lasciare per sempre i suoi discepoli all’ascensione, disse: «Ogni potestà mi è stata data
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Salmo 2:2,3. Il reverendo Lagrange definì «Questo Salmo 2 come il salmo messianico per eccellenza e come il primo documento ebraico che contiene il termine tecnico di Messia, unito ancora tuttavia a Yahvé sotto la forma “del Suo Unto”». Numerosi dottori giudei hanno compreso questo Salmo come colui che indica il Re-Messia. 312 Luca 23:12. 313 Matteo 21:38,39. 314 Salmo 2:4-8. 315 Atti 13:33; confr. Romani 1:1-4. Quando la profezia diventa storia
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in cielo e sulla terra»316, e l’autore della epistola agli Ebrei ricorda ai nuovi convertiti la realizzazione di ciò che l’Eterno aveva fatto annunciare: «Il tuo trono, o Dio, è nei secoli dei secoli, e lo scettro di rettitudine è lo scettro del tuo regno ... perciò Dio, l’Iddio tuo, ha unto te... Tu, Signore, nel principio, fondasti la terra, e i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu dimori; invecchieranno tutti come un vestito, e li avvolgerai come un mantello, e saranno mutati; ma tu rimani lo stesso, e i tuoi anni non verranno meno... Siedi alla mia destra finché abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi».317 Come conseguenza di questo «e non a lui» il giudizio di Dio sul suo popolo è il preludio del Giudizio di Dio sull’umanità.318 La Bible Annotée commenta: «“E nulla per lui”, il significato di questa traduzione letterale non differisce dalla nostra traduzione, che abbiamo preferito per la sua maggiore chiarezza: “e nessuno per lui”. Una volta il Messia soppresso, la sua opera sembrerebbe annientata; nulla sembra possa risollevarla; i suoi aderenti, i santi, sono come scomparsi. La conseguenza di questo annientamento della persona del Cristo e della sua opera è indicata dalle parole che seguono. Una volta la teocrazia privata da colui che ne era l’anima, non può far altro che crollare (confr. Luca 13:34 e 35; Giovanni 2:19). Abbattere il Messia, è abbattere il tempio e Israele stesso».319
«E in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e oblazione»320 «La parola “settimana”, in questa frase è accompagnata da un articolo definito; ciò mostra bene che si tratta di quella che è evocata all’inizio del versetto. Il soggetto continua ad essere il Messia Principe. Daniele IX:26 non predice direttamente la data esatta della morte del Messia. Questo versetto segnala semplicemente che essa avverrà “dopo” le 69 settimane, cioè nel corso della 70a. Il Messia farà cessare il sacrificio e l’offerta. Questo aspetto della sua opera è in relazione con la sua morte. Questa ha dovuto avvenire nel mezzo della settimana. Tuttavia in ebraico questa espressione non significa che sarebbe dovuta avvenire esattamente nel mezzo di 316 317 318 319 320
Matteo 28:18. Ebrei 1:8-13; confr. Salmo 45:6,7; 102:25; 110:1. Daniele 9:26. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 311. Daniele 9:27.
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questa settimana, come lo si crede qualche volta oggi. Poco importa: senza voler cercare qui una precisazione assoluta, noi possiamo scoprire che la morte del Cristo è avvenuta verso la metà dell’ultima settimana profetica, che va dall’anno 27 all’anno 34 della nostra era».321 Questo Unto, secondo l’espressione dell’angelo, avrebbe messo fine alle vittime sacrificali (ostie) e alle offerte, cioè alle donazioni a Dio dei frutti della terra e alle oblazioni di farina.322 «Queste espressioni comprendono sia il sacrificio cruento sia l’oblazione incruenta; in una parola il culto israelitico»323 che purtroppo, quale dimostrazione di grande contraddizione, continua in una forma incruenta nella Chiesa romana con il sacrificio della Messa. La morte di Gesù ha realizzato infatti tutto quel cerimoniale israelitico che aveva lo scopo di raffigurarlo. Il Battista aveva presentato il Cristo come «l’agnello di Dio» e l’autore dell’epistola agli Ebrei spiega l’adempimento dei riti del tempio con queste parole: «E infatti a noi conveniva un sacerdote come quello, santo, innocente, immacolato, separato dai peccatori ed elevato al di sopra dei cieli; il quale non ha ogni giorno bisogno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire dei sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo; perché questo egli lo ha fatto una volta per sempre, quando ha offerto se stesso».324 Mentre Israele in quel giorno sacrificava l’agnello per ricordare la liberazione dall’Egitto, sulla croce innalzata sul Golgota veniva immolato il vero Agnello pasquale senza difetto325 che realizzava la vera liberazione dalla schiavitù del peccato e dalla morte. Mentre Gesù sulla croce gridava: «È compiuto!», «la cortina del Tempio si squarciò in due, da cima a fondo» secondo l’espressione di Matteo e Marco o «nel mezzo» secondo Luca.326 «Dei molti miracoli che seguirono la morte di Gesù, Marco non ha raccontato che questo, senza dubbio a causa del suo bello e profondo significato simbolico».327 «Noi pensiamo che nel momento in cui il velo del tempio si è strappato, annunciando con questo la fine dell’antica alleanza, il sacrificio è stato compiuto una volta per tutte da Cristo Gesù».328 Il Talmud riporta che quarant’anni prima della distruzione di Gerusalemme: «Le porte del Santuario si erano aperte da sole e R. Johanan ben Zacai le rimproverò. “Santuario, santuario, disse, simuli tu il terrore? Io lo so, tu sarai devastato"».329 321
W.H. Shea, o.c., p. 279,284,285. «Benché questa parola possa indicare la “metà” in altri contesti, quando è unita a un periodo significa sempre “mezzo” (vedere Esodo 12:29; Giosuè 10:13; Giudici 16:3; Geremia 17:11; Salmo 102:25; Ruth 3:8). Ora il mezzo della settimana, cioè tre anni e mezzo dopo l’anno 27, cade nell’anno 31 che si avvera essere l’anno della crocifissione» J. Doukhan, Le soupir ..., p. 212. 322 Levitico 23:17. 323 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1010. 324 Ebrei 7:26,27; confr. 9:25,26. 325 1 Corinzi 5:7. 326 Giovanni 19:30. Matteo 27:50; Marco 15:28; Luca 23:45. 327 L. Bonnet, o.c., t. I, p. 363. 328 LEUTHI Walter, La Prophétie de Daniel et notre temps, Neuchâtel 1943, p. 125. 329 Yoma 39b; cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1011; vedere F. Godet, o.c., t. II, p. 537. Quando la profezia diventa storia
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Dalla morte di Gesù, «il culto israelitico perde il suo valore e la sua efficacia, che passa tutta intera nel sacrificio messianico. La parola shabath: riposarsi, cessare, impiegata nel testo - si spiega più naturalmente in una cessazione di questo genere che in una soppressione violenta, come è avvenuta all’epoca dei Maccabei. Le cerimonie levitiche non sono più da quel momento che delle forme senza vita la cui abolizione non può tardare».330 Il terremoto, l’apertura delle tombe e la resurrezione che ne consegue sono il pegno del giudizio ultimo sugli uomini e della vittoria di Cristo sulla potenza della morte.331 «L’oracolo di Daniele deve intendersi come una cessazione di diritto immediato, seguito, poco tempo dopo, da una cessazione di fatto... Noi siamo in diritto di ritenere che, nei quarant’anni che precedettero la distruzione del tempio, secondo la confessione dei rabbini, una grande rivoluzione si fece nel santuario, la lampada si spense, le porte gemettero, il sommo sacerdote fu spaventato, ecc. Ora, si sa che il tempio fu bruciato nell’anno 70. Togliendo quarant’anni, noi arriviamo all’anno 30, nel quale Gesù Cristo stabiliva l’alleanza e fondava la sua Chiesa. La tradizione giudaica non indica, del resto, che press’a poco l’anno stesso del sacrificio espiatorio: essa si è accontentata di un numero tondo».332 Giuseppe Flavio così riporta i segni che si sono manifestati nel tempio poco prima della sua distruzione: «Intorno alla nona ora della notte, ... la porta del tempio rivolta verso Oriente, e che era di rame e così pesante che venti uomini potevano appena spingerla, si aprì da sola, benché fosse chiusa con delle grosse serrature, con delle sbarre di ferro e dei catenacci che entravano ben dentro nel suolo, che era di un solo blocco di pietra... Poco dopo la festa, il ventisettesimo giorno di maggio, accadde una cosa che temerei riportare, per paura che la si prenda per una favola, se delle persone che l’hanno vista non fossero ancora vive, e se le disgrazie che l’hanno seguita, non ne avessero confermato la veridicità. Prima del levarsi del sole, si scorsero nei dintorni di questa contrada dei carri pieni di gente armata attraversare i mari e spandersi nei dintorni della città, i sacerdoti essendo stati nel tempio interno durante la notte per celebrare il servizio divino, intesero del rumore, e subito dopo una voce che ripeté diverse volte: “Usciamo da qui”».333 Tacito riporta in questi termini l’abbandono del tempio da parte di Dio: «Le porte si aprirono all’improvviso da sole, e s’intese una voce, più che umana, che gridava che gli dèi si erano ritirati».334 «Questi prodigi accaduti prima dell’ultima rovina di Gerusalemme, erano di tale natura da fare sufficientemente capire agli Ebrei che Dio aveva abbandonato il loro tempio e soppresso il loro culto».335 Il tempio distrutto alla fine di quella generazione, 330 331 332 333 334 335
La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 312; vedere Appendice n. 4. Matteo 27:52,53. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1011. Giuseppe Flavio, Guerre Giudaiche, VI, V, 3. Tacito, Storia, V, 13. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1012.
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come aveva detto Gesù,336 può dimostrare che Dio non riconosceva più quella forma di adorazione. In che anno possiamo fissare la data della morte di Cristo? Gesù, come abbiamo presentato sopra337, ha partecipato a quattro Pasque. La prima, dopo essere stato battezzato e aver fatto dei discepoli, segnava l’inizio della sua attività pubblica recandosi a Gerusalemme.338 La seconda l’anno successivo,339 al termine del suo ministero in Giudea con il rigetto da parte del Sinedrio. La terza nel 30 d.C.340 segna la fine del Suo ministero in Galilea con il conseguente rigetto dei Galilei. L’ultima341, in concomitanza col Suo sacrificio, nel 31 d.C., dopo il Suo ritiro a Tiro, Sidone, nella Decapoli, in Samaria e in Perea. Che Gesù sia morto in quell’anno, dopo tre anni e mezzo dal suo battesimo, in mezzo alla settimana, ci è stato trasmesso da Giulio l’Africano «uno dei migliori
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Matteo 24:35. Vedere Grafico n. 1, p. 100. 338 Giovanni 2:13. 339 Giovanni 5:1. Su questo testo i commentatori sono divisi nell’identificare la festa. Infatti i manoscritti ci sono pervenuti con due letture diverse: «Ci fu una festa» e «ci fu la festa». Tra coloro che preferiscono la lettura “una” festa non c’è un accordo unanime. La festa la si identifica con quella delle Trombe, celebrata tra settembre-ottobre, all’inizio dell’anno civile; con la festa dei Tabernacoli, celebrata nello stesso periodo. Altri vi hanno visto la festa di Pentecoste celebrata in maggio, a seguito della prima Pasqua indicata nel capitolo 2. Altri ancora vi hanno visto la festa di Dedicazione o di Purim, istituita al tempo di Ester (9:20-26), celebrata in marzo. Chi sostiene questa tesi, dice che Gesù sarebbe poi rimasto nelle vicinanze di Gerusalemme per salirvi a celebrare la sua seconda Pasqua indicata al capitolo 6:4. A favore di questa tesi, o che comunque si tratti di una festa che precede quella di Pasqua, c’è il fatto che il capitolo 4:35 ci pone nel mese di dicembre e il capitolo 6:4 nel mese di aprile e di conseguenza la festa del capitolo 5:1 dovrebbe essere una festa intermedia. Trascorrerebbe così un anno completo tra la prima Pasqua del capitolo 2 e la seconda del capitolo 6. Se così fosse, il ministero di Gesù sarebbe durato 2 anni e mezzo con questa cronologia: Giovanni 2:13, Pasqua (primo anno); 4:35, dicembre, stesso anno; 5:1, Purim, marzo, secondo anno; 6:4, Pasqua, aprile; 7:1, Tabernacoli, ottobre; 10:22, Dedicazione, dicembre; 12:1, Pasqua, aprile, terzo anno. Vedere GODET Frédéric, Commentaire sur l’Evangile de S. Jean, t. II, 3a ed., Neuchâtel 1885, p. 398. Ogni posizione è presentata da seri nomi nel campo dell’esegesi. Anche la spiegazione «la festa» dei Giudei identificata con quella di Pasqua ha altrettanti validi commentatori. Westphal scrive a tale proposito: «I due più antichi autori che parlano di questo testo sono: Tatiano e il suo avversario Ireneo. Vivevano nel secondo secolo, sono d’accordo nel dire che si tratta della festa di Pasqua, la festa per eccellenza presso i Giudei. Ciò che ci conferma in questa opinione (la quale giustifica la credenza ormai secolare, è la durata di tre anni del ministero di Gesù, credenza che però oggi è quasi abbandonata, perché si vuole sostenere che tutto il racconto degli evangeli sia stato vissuto in un anno), è che Gesù stesso sembra fare allusione ai tre anni della sua attività durante i suoi ultimi intrattenimenti, allorquando dice nella sua parabola del fico sterile: “Ecco, sono ormai tre anni che vengo a cercare frutto da questo fico, e non ne trovo” Luca 13:7» WESTPHAL Alexandre, Jésus de Nazareth, Harmonie des quatre Évangiles, Lausanne 1914, p. 65. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. Sebbene l’accettazione dei tre anni e mezzo del ministero pubblico di Gesù lasci sotto silenzio diversi mesi, ciò è spiegato dal fatto che gli evangelisti non si sono tanto preoccupati di presentare una biografia cronologica completa della vita del Cristo quanto gli avvenimenti che più hanno potuto mettere in risalto la sua opera e i suoi ammaestramenti (vedere G. Ricciotti, o.c., pp. 168,169). 340 Giovanni 6:4. 341 Giovanni 11:55 e seg. 337
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cronologi dell’antichità cristiana»342, da Apollinare di Laodicea,343 da Eusebio di Cesarea, da Epifane e da Crisostomo. In uno studio molto ricco, Grace Amadon344 crede di potere affermare che la crocifissione avvenne il venerdì 27 aprile, mentre l’abate Maurice Chaume, a seguito di calcoli fatti, la fissa per il 23 marzo, sempre del 31 d.C..345 Che si tratti di marzo o di aprile è di una importanza relativa anche se è ammirevole lo studio che viene fatto. È straordinario rilevare che un buon numero di studiosi sono concordi nel fissare la data nell’anno 31.346
342
VAUCHER Alfred Félix, Lacunziana, II serie 1952, p. 52. Giulio l’Africano visse verso il 230 d.C. È il primo che nella sua Cronologia, opera nella quale aveva riunito la storia dalla creazione fino all’anno 221 d.C., ha aperto la via a coloro che vogliono rendersi conto delle profezie di Daniele. «La morte di Gesù è stata fissata nella primavera del 31 dal gesuita Denis PETAU, De Doctrina temporum, vol. II, Paris 1627, p. 666; Rationarium temporum, vol. I, Paris 1703, p. 243; WABNITZ Auguste, Histoire de la Vie de Jésus, vol. II, Montauban, 1904, pp. 237,335,345,392; HALES William, A new Analysis of Chronology, vol. II, 2a ed., London 1830, p. 518, pone la morte di Gesù nel 31 e nel 34 il martirio di Stefano» F.A. Vaucher, Les Prophéties..., p. 27. 343 Apollinare il giovane di Laodicea, cit. da Gerolamo, Daniele IX, traduzione inglese, p. 102. 344 AMADON Grace, Ancient Jewish Calendar, in Journal of Bible Literature, n. 61, IV, 1942, pp. 277-280; cit. da A.F. Vaucher, Lacunz., serie II, p. 52. 345 CHAUME Maurice, Recherches sur la Chronologie de la Vie de Notre Seigneur, in Revue Biblique, XV, Paris 1918, pp. 215-243; cit. in Dictionnaire Pratique des Connaissances Religieuses, t. II, col. 158, art. Chronologie; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 52. Vedere CABALLERO-SANCHEZ Pablo, La profecia de las 70 semaine de Daniel, Madrid 1946, pp. 63-65; W. HALES, New Analysis, vol. II, 1830, p. 518; J. NEUFFER, The date…, 19 aprile 1956, pp. 16,17,25; 26 aprile pp. 3,4; I. QUIGLEY, The Resurr., pp. 15,18; M.-M. WILSON, 1906, p. 679. 346 Oltre all’anno 31 d.C. per la morte di Gesù, i commentatori propongono altre date: - 26: N. MANN, Of the true, 1733, p. 134, trad. latina, p. 139; - 27: X. LÉVRIER, Clé, 2a ed., 1903, pp. 44,65; - 28: M. GOGUEL, Introduction, vol. IV, 1, p. 86; - 29: R.K. ARNAUD, 1918, p. 225; D. LAZZARATO, La cronologia, p. 40; Chronologia, p. 483,503; De ex Danielis, p. 53; A. LOISY, Les Mystères, 2a ed., p. 206; Les livres, 1922, p. 16; H. BROWNE, Ordo, 1844, pp. 53-94; F. PRAT, La data, vol. III, 1, 1912, pp. 82-104; G.L. ROSE, Tribul., 1943, p. 65; C.H. TURNER, Chronology, I, pp. 403-415; - 30: J. ANGUS e S.G. GREEN, The Bible, 6a ed., p. 794; J. von BEBBER, Zur Chron., 1898; J.A. BENGEL, Welt, 1747, p. 177; J.A. BISHOP, The Day, 1957, pp. 15-30 (6 aprile); BORGONCINI DUCA, Date, p. 81; L.T. CUNNINGHAM, Significance, p. 34; D. DAVIDSON, The Date, 1833; A.R. FAUSSET, 1878, p. 153; P.F. HENRY, Les deux, 1930, pp. 8,30; E. HEYCOCK, p. 464; Th. MÉMAIN, 1903, p. 35; H. OLTRAMARE, Commentaire sur l’ép. aux Romains, vol. I, p. 87; J.A. PORRET, Trois, p. 36; E. PREUSCHEN, Todesjahr, pp. 1-17; L.J.U. SMAY, 1915, pp. 199-206; A.E. TRICOT, S. Paul, p. 32; J. URQUHART, The Wonders, 3a ed., p. 206; G. VIDAL, p. 16; A. WEIGALL, Survivance, 1934, p. 31; J.A. WYLIE, p. 149; - 31: vedere sopra; - 32: R. ANDERSON, The Coming, 5a ed., pp. 97,122,128; W. WHITLA, Sir Isaac Newton’s, p. 125; - 33: W.S. AUCHINGLOSS, 1905, pp. 115,126; A. BLOMSTRAND, 1853, p. 100; J. FABRE d’ENVIEU, vol. II, p. 1121; C. FRENCH, The Midnight, 18 nov. 1842, p. 4; K.W. HARTENSTEIN, 1936, p. 104; W. HOMANNER, Die Dauer, 1908, p. 109 (3 aprile); P. LADEUZE, La date, vol. V, pp. 893-903; A. MALET, Histoire, p. 414; J. Le PELLETIER, Dissertation, 1700, pp. 478-487; G. SEYFFARTH, Summary, 2a ed., pp. 183-187; - 34: C.H. LAGRANGE, Leçons, p. 395; I. NEWTON, Observ., cap. XI; - 35: G. BURTON, Suppl., 1768, pp. 7,38,69; M. CHAUME, Recherches, pp. 212-243, 505-549. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. Per il giorno della crocifissione: venerdì, vedere: S. ZEITLIN, The date, part III, 1932, pp. 263-271; L. SIBUM, Revue des Sciences, XV, 1935, pp. 567-572; S. BACCHIOCCHI, The time, 1985.
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L’apostolo Paolo ai Romani scrive: «Cristo, nel tempo stabilito, morì per i peccatori».347 Enrico Bosio commenta l’espressione «tempo stabilito», come altri commentatori, con le seguenti parole: «Nel tempo più opportuno, fissato dal consiglio di Dio, cioè quando fu compiuta la preparazione voluta da Dio nel mondo pagano e giudaico».348 Riteniamo che si abbiano dei motivi per credere che il «tempo stabilito» sia proprio quello previsto dall’onniscienza di Dio e da Lui indicato nella nostra profezia alla quale Paolo fa riferimento. Prima di considerare l’ultima parte dell’oracolo dell’angelo, desideriamo esaminare le espressioni del versetto 24 che presentano «chiaramente le molteplici opere che solo il Messia poteva realizzare».349 «La morte del Crocifisso... è contemporaneamente la fine e l’inizio di un mondo. Il vecchio mondo è vinto; il nuovo comincia a spuntare».350 Le sei espressioni del versetto 24 non descrivono ancora il regno messianico nella sua gloria esteriore, ma la sua vittoria sul peccato.
«Per consumare il crimine»351 Il verbo ebraico significa: completare, e può essere preso nel senso di consumare, finire o compiere, impedire, fermare, esso esprime l’atto di chiudere. La radice del verbo ha due significati complementari: «Il peccato sarà fermato, chiuso, messo a fine» o «il peccato arriverà al suo culmine, colmerà la sua misura».352 Possiamo dedurre da questo che in un certo momento delle 70 settimane il peccato, cioè la rivolta dell’uomo nei confronti di Dio, raggiungerà il suo parossismo, la sua massima espressione, ma nello stesso tempo in cui la manifesta, sopprimendo il suo Creatore, l’universo non ha più dubbi sull’amore dell’Eterno. L’uomo che riflette davanti all’espressione più inequivocabile del suo crimine, prende coscienza dell’assurdità della sua azione, si converte e pone fine alla sua rivolta. Il peccato cessa di essere una forza nel popolo di Dio. L’apostolo Paolo, che prima perseguitava i cristiani con i quali il Cristo si identificava, dopo aver compreso l’assurdità del suo peccato e del suo modo di vivere, pur considerandosi osservatore della legge di Dio, scriveva: «Ma quanto a me, non sia mai che io mi glori d’altro che della croce del Signore nostro Gesù Cristo, mediante la quale il mondo (il vivere normale dell’umanità separata da Dio), per me, è stato crocifisso, e io sono stato crocifisso per il mondo» e tutta la propria giustizia 347 Romani 5:6; versione La Parola del Signore. The Good News for Modern Man, traduce: «Cristo morì per gli empi al momento da Dio scelto». The Revised Standard Version, ha: «Al tempo giusto Cristo morì per i viventi». 348 BOSIO Enrico, Le epistole ai Romani; I, II Corinzi, ed. Claudiana, Torre Pellice 1930, 1939, Torino 1989, p. 61. 349 Th. Mémain, o.c., p. 120. 350 DIDON P. Henri, Jésus-Christ, Paris 1919, p. 345. 351 Daniele 9:24. 352 J. Fabre d’Envieu preferisce il senso di raffrenare, trattenere; A. Crampon, «rinchiudere la prevaricazione»; J.N. Darby, «per chiudere la trasgressione»; H.A. Perret Gentil, perché il «crimine sia consumato»; J. Doukhan, per «imprigionare il crimine»; E. Rey per mettere il «colmo alla ribellione».
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personale la reputava come tanta spazzatura.353 L’apostolo Pietro a sua volta scriveva: «Egli (Gesù), che ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo, sul legno, affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia, e mediante le cui lividure siete stati sanati».354 Il pastore riformato Roland de Pury commentava: «Sono le nostre menzogne, le nostre vanità, le nostre concupiscenze, la nostra idolatria che lo fanno salire sulla croce e che lo precipitano nella morte e nell’inferno - e al posto di scrollare da sé tutto ciò e di sbarazzarsene per raggiungere suo Padre, al posto di rigettare su noi i nostri falli di cui lo aggravavamo, egli ha tutto preso sulle sue spalle, ha portato tutta questa turpitudine nel suo corpo, per travolgerla, per spazzarla via lontano da noi, con lui nella morte e nell’inferno. Questa spada con la quale noi l’abbiamo trafitto, egli l’ha trattenuta in sé e le nostre mani sono rimaste vuote. Ed ecco: il trionfo del nostro peccato ci ha privati del nostro peccato.... la sua morte che sembrerebbe essere la morte della giustizia di Dio, il colpo di grazia dato al Regno, è in realtà la morte delle nostre iniquità.... Sulla croce, siamo noi che moriamo, che cessiamo di esistere per tutte queste cose che ci fanno morire e che cominciamo a esistere per quelle che ci fanno vivere».355 Ciò che ha fatto salire Cristo sulla croce è la malvagità dell’uomo, essa è quindi la prova inequivocabile dello stato di rivolta in cui si trova. La croce è anche la dimostrazione della santità di Dio la quale, mettendo in risalto il peccato dell’uomo, vi pone fine.
«Per sigillare i peccati»356 Cioè mettere fine al peccato; fare che il peccato raggiunga la misura della sua pienezza; annullarlo affinché non continui la sua opera e sia incapace di riprodursi. L’espressione potrebbe essere vista come una radicalizzazione della precedente. Si può pensare al peccato perdonato, annullato. Colui che riconosce e accetta la grazia di Dio può ancora rimanere nel peccato affinché la grazia di Dio abbondi? «Così non sia», risponde l’apostolo Paolo. Noi che siamo morti al peccato, come vivremo ancora in esso? La vita del figlio di Dio, che gioisce del perdono, vive sotto la guida dello Spirito Santo, non dovrebbe più avere a che fare col peccato, ha chiuso con esso.357 La croce ha fatto del credente un «nato di nuovo», «una nuova creatura» perché ha preso moralmente coscienza della sua nuova identità.358 L’uomo fu creato ad immagine di Dio, ma il peccato lo ha degenerato. Perdonato e convertito riconosce nell’universo come unico bene il Signore. Nulla gli interessa se non Dio solo, che egli sente quale è veramente: un Padre di amore. Tra 353 354 355 356 357 358
Galati 6:14, Filippesi 3:8. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. 1 Pietro 2:24. PURY Roland de, Pierres Vivantes, 2a ed., Neuchâtel, pp. 78,79. Daniele 9:24. Romani 6:1,2; 8:14,15; 1 Giovanni 3:4. Giovanni 3:3; 2 Corinzi 5:17.
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l’uomo rigenerato, Cristo e Dio si stabilisce un’unione, Gesù compie nel credente l’opera di rinnovamento. Il Cristo lo aiuta a crescere fino alla sua statura perfetta.359 L’uomo che prima trovava soddisfazione nel peccare, nell’essere il figlio lontano dalla casa paterna, rientrato in sé, a seguito dell’opera che lo Spirito Santo ha compiuto in lui, abbracciato al padre, ora gioisce nell’ubbidienza alla sua parola e nel poter vivere nella sua casa. Soffre del male commesso non perché sia un uomo moralmente a posto, ma perché è un uomo unito al Signore.
«Per espiare l’iniquità»360 Espiare, cioè coprire nel senso di perdonare, purificare, non fare più vedere l’iniquità, nasconderla alla vista. Il verbo kaafar racchiude l’idea di riscatto, cioè di liberazione. Il sacrificio di espiazione, di propiziazione per il peccato,361 cioè di purificazione è il nerbo del cerimoniale del tempio, come abbiamo detto sopra. Facendo riferimento a questo riscatto Gesù disse della Sua morte: « ...il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire, e per dare la vita sua come prezzo di riscatto per molti».362 Ancora una volta questa espressione ci aiuta a capire meglio il senso della morte di Gesù Cristo, che come l’amore è una forza insondabile. Mai potremo spiegare la croce solo razionalmente, perché, se così fosse, il Suo sacrificio sarebbe ridotto ad una formula; se Dio avesse potuto salvare l’uomo tramite un ragionamento l’avrebbe fatto evitando il Calvario, il Monte del Teschio. Siamo nel campo dell’amore, e l’amore va oltre alla razionalità, pur non contraddicendola. L’espressione ebraica kafar significa, come abbiamo detto, coprire, nascondere, togliere alla vista nel senso di: perdonare, purificare. Il filologo P. Winandy precisa che Kafar (e suoi derivati) riguarda il perdono dei peccati, mediante filologie comparate e sul piano teologico, non significa coprire, ma corrisponde, nell’Antico Testamento, al rituale di purificazione, del perdono dei peccati mediante il sacrificio di sangue.363 L’opera del Messia aveva lo scopo di far sì che degli esseri in rivolta nei confronti del loro Creatore potessero nuovamente ritornare al Dio Santo e Giusto. Tutta la Sacra Scrittura ci presenta Dio che è alla ricerca del proprio figlio, dell’uomo: «Adamo, dove sei?», mentre questi costantemente si sottrae al suo appello e al suo amore nascondendosi. La Bibbia ci presenta un Padre che implora, privato dei suoi figli, un Padre ferito nel suo amore. Dio scende in mezzo all’umanità, senza partecipare al peccato dell’uomo, ma subendo le conseguenze di questo peccato. Dio, 359
Efesi 4:13. Daniele 9:24. 361 Numeri 35:31; Levitico 5:8; 4:26; 16:19; Ezechiele 45:17. 362 Matteo 20:28. 363 WINANDY Pierre, Sens de Kafar dans la théologie biblique d’après l’étude philologique, in Servir, 3o e 4o trimestre 1977, p. 17. 360
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pur essendo santità e quindi separazione dal male, scende tramite i Suoi profeti e poi come ultima alternativa, col Suo Figlio. Emanuele: «Dio con noi». La croce, come abbiamo detto, mette in risalto il nostro peccato, la nostra malvagità e quindi, per contrapposizione, ci rivela l’amore di Dio che è venuto in mezzo a noi non solamente per dirci, ma per dimostrarci che ci ama fino al punto di morire per noi. Il Figlio dell’uomo anche sulla croce è fedele al Padre e crede e testimonia nella sua bontà. Gesù muore. Ma la croce manifesta la giustizia di Dio, perché il Padre a Pasqua risuscita il Signore della gloria. È davanti a questa morte che l’uomo comprende la sua follia, e la sua situazione di perdizione gli si manifesta in una forma evidente. Comprende l’amore infinito di Dio, si pente, crede, chiede perdono e torna al Padre. Il peccato porta con sé una trasformazione della persona, una malattia, una degenerazione. La croce porta l’uomo a iniziare in Cristo, in Dio una nuova vita. In seguito al germogliare della fede in Dio nel cuore dell’uomo, esso viene dichiarato giusto. Da quel momento inizia per lui il processo di guarigione e Dio vede l’uomo in Cristo, unito a Lui, come il tralcio alla vite364, non più per quello che è, ma per quello che sarà ed è già in potenza. Gesù è venuto per sopprimere, per far sparire quella montagna di malintesi dell’uomo nei confronti di Dio: «Io (dice l’Eterno), ho nutrito dei figli e li ho allevati, ma essi si sono ribellati a me».365 La morte di Gesù non è un incidente, ma è la conseguenza di una vita che non poteva continuare; è un sacrificio e un’offerta366 perché Gesù stesso volontariamente non si sottrae alla violenza degli uomini e anche in quella circostanza crede nella giustizia di Dio. Gesù è il buon Pastore che mette la sua vita per le pecore, nessuno gliela toglie, ma la depone da sé.367 Gesù ha preso su di sé le nostre infermità e ha portato le nostre malattie, non come uno si carica di un pacco postale, ma nel senso che ha simpatizzato con noi fino a sentirne tutta la sofferenza.368 Ha preso su di sé il peccato, per combatterlo, sradicarlo dal nostro cuore e vincerlo. Il sangue sparso sugli stipiti delle porte delle case d’Egitto in occasione della Pasqua non aveva lo scopo di rendere favorevole il popolo d’Israele a Dio o di propiziarsi la divinità, bensì quello di testimoniare l’accettazione dell’azione misericordiosa di Dio, della sua salvezza, della sua grazia, della sua protezione, del suo intervento liberatorio. «Cristo ha dovuto soffrire... a causa degli uomini, a causa della loro attitudine nei suoi confronti. La storia che va da Betlemme al Golgota è quella di un Essere abbandonato, rigettato e perseguitato dal suo proprio circondario e finalmente accusato, condannato e crocifisso. Essa manifesta lo stato di guerra e di rivolta che oppone l’uomo a Dio stesso».369 364 365 366 367 368 369
Giovanni 15:1-5. Isaia 1:2. Efesi 5:2. Giovanni 10:11,18. Matteo 8:14-17. BARTH Karl, Esquisse d’une dogmatique, Neuchâtel 1968, pp. 166,167.
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«Poiché l’uomo... si eleva contro l’appello misericordioso di Dio, Gesù sa che la sua esistenza finirà nella catastrofe. Sa che la sua esistenza che, dall’inizio, era di già “in basso” deve, mediante un ulteriore passo, terminare nell’ultima profondità. Ma è a una tale profondità che avrà il suo ribaltamento. Sa, e lo confida come un segreto ai suoi discepoli, che il cammino che Dio gli traccia porterà alla croce. E, giunto alla soglia che separa la morte dalla vita, spiega egli stesso ai suoi discepoli che ciò che agli occhi degli uomini rappresenta una tragedia scandalosa, è il senso proprio e il completamento della sua opera d’amore».370 Non è Dio che cerca la morte del Figlio. È proprio nel momento in cui Dio si avvicina in forma più diretta ed intima all’umanità che si manifesta l’infinita distanza che li separa. Più Dio si avvicina all’uomo più il peccato manifesta il suo vero volto. Il Messia quindi espierà il peccato, e di fatto, Gesù ha espiato il peccato, non per modificare l’attitudine di Dio nei confronti dell’uomo, ma per modificare il nostro atteggiamento nei suoi confronti. Nel momento in cui l’uomo crede in Gesù, in Dio, il Cristo elimina la sua ribellione, la seppellisce nella morte e per l’uomo inizia la guarigione, una nuova vita. Tramite l’unione vivente con Cristo, la sua vita si ripropone nella vita del rigenerato affinché possa dire per esperienza: «Non sono più io che vivo, ma è il Cristo che vive in me».371 Nel Cristo l’uomo è salvato perché si riconcilia con Dio e in Gesù incontra l’Eterno. Parafrasando il pensiero di L. Evely, diciamo che il vero perdono del peccato non è solamente la cancellazione di un debito, ma la ricostruzione di tutto ciò che il peccato aveva distrutto in noi: la nostra fede e il nostro amore.372 Con la croce la politica umana rigetta il Regno di Dio, il quale a sua volta condanna le varie politiche degli uomini e il loro metodo di governo, trionfando con la resurrezione. Parlando della sua prossima morte Gesù diceva: «Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora sarà cacciato fuori il principe di questo mondo».373 La Terra, rifiutando Cristo, si condanna da sola. L’umanità, rigettando ciò che è buono, non può che essere cattiva. La croce condanna tutte le concezioni di fraternità, uguaglianza, libertà che il mondo vuole formare al di fuori del suo Dio. Alla croce il Creatore subisce le conseguenze della rivolta delle creature, la espia374, perché: «Riguarderanno a me, dice (l’Eterno), a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio».375 C’è un parallelismo fra queste tre prime espressioni che abbiamo esaminato del versetto 24 e quelle che seguono:
370
E. Brunner, o.c., , t. II, Genève 1965, p. 317. Galati 2:20. 372 EVELY Louis, Oser parler, ed. le Centurion, Paris 1982, p. 140. 373 Giovanni 12:31. 374 Cioè purifica perché cambia l’atteggiamento dell’uomo e lo riconcilia con Dio. Vedere Romani 5:10,11; 11:15; 2 Corinzi 5:18-20, vedere nota Luzzi; Colossessi 1:20-22; Efesi 2:16. 375 Zaccaria 12:10. 371
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Distruzione del male - consumare il crimine - sigillare il peccato - purificare l’iniquità
Stabilimento del bene - portare giustizia eterna - sigillare visione e profezia - ungere santo dei santi.
«Per portare giustizia dei secoli»376 Alla consumazione del crimine corrisponde: «portare la giustizia eterna». Alla fine del male c’è l’inizio della giustizia. La parola tsedeq significa la grazia mediante la quale noi siamo resi partecipi della giustizia eterna. Con queste parole si annuncia che l’umanità può riavere quello che ha perduto perché il Messia ha vinto il male e ha trionfato sulla morte. Geremia aveva annunciato questa giustizia da parte dell’Eterno con le parole: «Io farò germogliare a Davide un germoglio di giustizia, ed esso farà ragione e giustizia nel paese e questo è il nome con il quale sarà chiamato: l’Eterno, nostra giustizia».377 Però prima di questo: «Egli vedrà il frutto del tormento dell’anima sua, e ne sarà saziato; per la sua conoscenza, il mio servo, il giusto, renderà giusti i molti...».378 «Stabilire una giustizia eterna», è «portare, per mezzo dell’opera del Messia, lo stato di perfetta giustizia davanti a Dio, al quale l’umanità è eternamente destinata, ma che non può produrre da sola; far così succedere a tutte le condanne anteriori la giustificazione divina che deve durare per sempre».379 La grazia offerta ha un risvolto eterno, perché le conseguenze sono eterne. La giustizia è eterna perché il regno del Messia è eterno, eterno come lui stesso.380
«Per sigillare visioni e profezie»381 Al suggellamento del peccato si contrappone il sigillo della rivelazione. Il Messia, per autenticare la parola dei profeti e realizzare tutto ciò che l’Antico Testamento ha detto a proposito del suo regno e della salvezza, dovrà «confermare la verità compiendola».382
376 «Le tre espressioni che precedono annunciano l’intera distruzione del male sotto tutte le sue forme; le tre espressioni seguenti presentano lo stabilimento perfetto del bene. C’è una correlazione tra la I e la IV, la II e la V, la III e la VI» A. Crampon, o.c., nota. 377 Geremia 33:15,16; vedi 23:6. 378 Isaia 53:11. 379 La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 307. 380 Daniele 2:44; Osea 2:19, Isaia 51:6,8. 381 Daniele 9:24. 382 K. Auberlen, o.c., p. 123.
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È nel Messia che tutte le espressioni della solidarietà di Dio per la sofferenza dell’uomo annunciate dai profeti diventano realtà perché in lui Dio stesso è venuto a viverle con noi nella nostra prigione, nel deserto del nostro mondo.383 L’espressione “secondo le Scritture” che troviamo spesso nel Nuovo Testamento «significa semplicemente che la Scrittura non ha né senso, né verità al di fuori di Gesù Cristo. L’esistenza di Gesù di Nazaret, la sua vita, la sua morte, la sua resurrezione, e il senso di ogni frase della Bibbia, è la verità di tutto ciò che la Bibbia ci annuncia. La Scrittura non è là per se stessa; ... Senza di lui essa è vuota, totalmente vuota. Senza lui è falsa. Rigorosamente parlando, essa non esiste che perché compiuta da lui, ricevendo da lui il suo senso e la sua verità... La Bibbia senza Gesù Cristo non sarebbe che “formule de politesse” divina, linguaggio convenzionale per persone religiose».384 La Parola di Dio, che ha operato nel passato, in Gesù Cristo si è incarnata ed è venuta a vivere quello che ha detto. L’incarnazione dell’Eterno è la prova che veramente “Dio soffre con noi”. Se non si scoprono nella Sacra Scrittura l’annuncio e la realizzazione di questa parola noi non abbiamo ancora scoperto il perché e il valore della rivelazione. In polemica con i farisei Gesù disse: «Investigate le Scritture perché pensate aver per mezzo d’esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me».385 Dopo la sua resurrezione Gesù dimostra di essere il Messia richiamandosi a tutto ciò che l’Antico Testamento diceva di Lui.386 Gesù sigillava le visioni e le profezie «poiché in lui la pienezza della legge e dei profeti veniva in persona», così scriveva Ippolito di Roma nel 395.387 «Il compimento di questa profezia del capitolo IX del libro di Daniele ha l’effetto di autenticare le visioni e le profezie»388 e rendere certa, per anticipazione, la realizzazione futura della parola di Dio: la salvezza finale.389 «Il compimento delle predicazioni relative alla prima venuta del Messia nel momento specificato in questa profezia dà la sicurezza che gli altri elementi della profezia, in particolare i 2300 giorni profetici, avranno un compimento altrettanto preciso».390 Di fronte a questa dichiarazione così solenne: «Le visioni e le profezie si realizzano»391 non si capisce come gli studiosi moderni possano attribuire questa profezia delle 70 settimane al tempo di Antioco Epifane, quando nei suoi confronti non c’è nessuna visione e profezia nell’Antico Testamento.
«Per ungere santo dei santi»392 383 384 385 386 387 388 389 390 391 392
Esodo 3:7; Isaia 63:9. PURY Roland de, La Présence de l’Eternité, Genève, p. 16,17. Giovanni 5:39. Luca 24:44. Ippolito di Roma, Commentario su Daniele, XXXIII A.F. Vaucher, Les prophéties..., p. 22. Romani 8:24. The Seventh Day Adventist Bible Commentary, - SDABC, vol. IV, p. 852. Versione La Bibbia, Parola del Signore. Daniele 9:24. Quando la profezia diventa storia
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All’espressione «purificare l’iniquità», corrisponde l’azione di ungere, di consacrare il santo dei Santi. «Questa parola, nell’originale, non si riferisce che a delle cose, al tabernacolo, al tempio; nell’oracolo, al santo dei santi».393 «Il termine ungere richiama l’unzione fatta sul tabernacolo inaugurato da Mosè. Keil fa notare che questa unzione d’olio non fu ripetuta né all’inaugurazione del tempio di Salomone, né a quella del tempio di Zorobabele (dopo l’esilio di Babilonia), né al tempo della purificazione del tempio sotto i Maccabei perché i santuari erano senza dubbio considerati come la continuazione dell’antico»394, cioè della tenda di convegno consacrata da Mosè. Qual è questo “santissimo” di cui parla l’angelo? Alcuni vi hanno visto l’unzione del Cristo.395 Sebbene in Gesù noi abbiamo il santuario di Dio con gli uomini, il contesto del nostro brano ci offre un altro insegnamento. Il versetto 25 ci presenta la ricostruzione del santuario israelitico, mentre il versetto 26, portandoci ai tempi messianici, ci presenta la sua distruzione. Per consolare in anticipo gli eletti a causa di questa terribile prospettiva, l’angelo promette che nel tempo in cui si manifesta il Messia, verrà consacrato, al posto del santuario distrutto, il Santuario dei santuari, un santuario infinitamente più glorioso, che sarà veramente il santo dei santi, il Santuario celeste di cui il tempio di Gerusalemme era l’ombra, il tipo, la rappresentazione figurata.396 Osserva il prof. J. Doukhan: «È altamente significativo rilevare che la stessa associazione di queste tre nozioni di espiazione (kpr), di unzione (msh) e di Santo dei santi (qôdhès qodhâsîm - senza articolo) si ritrova in Esodo XXIX:36,37, il solo passo biblico con Daniele IX:24 che utilizza queste tre espressioni in relazione tra di loro. 393
GUERS Émile, Israel aux derniers jours, Genève 1856, p. 96; vedere J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 915. A. Crampon, o.c., p. 700; La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 308. 395 Tertulliano, Contro i Giudei, capitolo 8; Ippolito di Roma, trad. LEFÈVRE, IV, 32, pp. 325,329; Atanasio, Traité sur l’incarnation du Verbe, cap. 8, tard. CAMELOT, III, 1849, p. 346; J. CALVIN, Leçons, f. 142b, 148b; K. Auberlain, o.c., pp. 123-127; J.P. BRISSET, pp. 46,50; P.L.É. BURNIER, vol. III, 1849, p. 346; M.L. CLARK, p. 12; J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1128,1129; F.W. FARRAR, Vie de ..., ed. Zahn, p. 138; J. FERGUSON, p. 34; H. GROTIUS, Opera Omnia, p. 451; P. de LAUNAY, p. 342; W. LOWTH, 1822, p. 346; J. MEDE, Works, 4a ed., p. 697; Ph. MELANCHTON, 1543, p. 124; 1555, p. 183; W. MILLER, Evidence, 1843, pp. 62,63; Ch. TROCHON, p. 212; ecc. «Dai tempi della Chiesa primitiva si è applicato questa frase all’unzione di Gesù Cristo in qualità di Messia. Tuttavia questa interpretazione si oppone all’uso corrente dell’espressione qodes (ha) qodessîm (santo dei santi) nell’Antico Testamento. Al di fuori del libro di Daniele, queste parole appaiono più di 40 volte nell’Antico Testamento ed in tutti i casi designano un santuario o una cosa in rapporto con un santuario. La sola eccezione potrebbe trovarsi in 1 Cronache 23:13, ma è discutibile, poiché a mio avviso questo passo si riferisce al santuario» W.H. Shea, o.c., p. 267. Eusebio in MIGNE, P.G., XXIV, col. 527,528 mette in relazione questa unzione con il ministero sacerdotale di Cristo in seguito alla sua ascensione. Alcuni autori sostengono che si tratti del santuario: J.F. von ALLIOLI, Comment., p. 505; J.H. ALSTED, Trifol., I, p. 129; R. ANDERSON, 1963, p. 51; J.N. ANDREWS, 1863, p. 69; F. GODET, 3a ed., p. 347; É. GUERS, Israel, p. 96; M.J. LAGRANGE, p. 69, n. 2; S. LEE, The event…, p. 11; J. LITCH, Prophecy, I, p. 134; G. LUZZI, p. 310; É.G.E. REUSS, pp. 265,266; ecc. «Ungere un santo dei santi. Ciò corrisponde a quanto ha fatto Mosè, in forma tipica, dopo la consacrazione del tabernacolo» G. MONTAGUE, The Time, p. 410. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia. 396 Ebrei 8:5. 394
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IL CARDINE DELLA STORIA
Ora, quest’ultimo passo è nel contesto della consacrazione di Aaronne e dei suoi figli al sacerdozio (la prima consacrazione dei sacerdoti israeliti). È interessante rilevare che questa cerimonia consisteva principalmente nell’unzione d’un “Santo dei santi” e che essa era segnata dal numero 7: la cerimonia doveva durare 7 giorni. Il sommarsi degli schemi e dei motivi linguistici comuni tra la profezia delle 70 settimane e questo passo dell’Esodo è rilevante. Possiamo quindi cogliere quanto suggerisce la relazione espressa dal parallelismo tra l’espiazione e l’unzione di un Santo dei santi, cioè la consacrazione di un nuovo sommo sacerdozio».397 L’opera redentrice non finisce con la croce, ma continua in cielo dopo la resurrezione del Messia. L’apostolo Paolo ricorda questo insegnamento e scrive ai Romani dicendo che il nostro Signore Gesù Cristo «è stato dato a causa delle nostre offese, ed è risuscitato in vista della nostra giustificazione».398 Salendo in cielo dopo la sua morte, Cristo Gesù viene rivestito della funzione sacerdotale di Sommo Sacerdote della nuova alleanza nel santuario celeste399, dove inaugura la Sua opera divina con un atto corrispondente all’unzione del santuario mosaico. Con questa unzione di un nuovo santo dei santi si ha una nuova forma di culto. «Qui si apre a noi un nuovo ciclo di verità rivelate che non ha preso il suo posto nella coscienza e nella teologia della Chiesa».400 Quest’opera sacerdotale del Cristo nel cielo, inaugurata alla Pentecoste con la discesa dello Spirito Santo, presenta due fasi: quella dell’“intercessione”, sua presenza in cielo quale nostro rappresentante che compie dal giorno dell’unzione del santuario stesso, e quella di giudizio e di purificazione che precederà la fine del tempo di grazia (che noi vedremo nel nostro Capitolo XIII - Il Giudizio preliminare in cielo prima del ritorno di Gesù, purificazione del Santuario celeste e sua ripercussione sulla terra. In questa opera compiuta accanto al Padre, il Cristo non ha il compito di implorare la misericordia del Creatore verso gli uomini «perché il Padre stesso ci ama»401, ma quella di essere accanto al Padre al nostro posto, avere in sé la nostra vita ed essere garante della redenzione finale. Dare al credente la certezza della salvezza, la grazia di essere figlio di Dio, di garantire nel presente ciò che si compirà domani.402 «La nostra profezia evoca dunque l’inaugurazione del ministero del Cristo nel La portata di questa frase è santuario celeste dopo la sua ascensione.403 considerevole: è il solo legame che il nostro testo stabilisce con ciò che avviene nel cielo».404
397 398 399 400 401 402 403 404
Doukhan J., o.c., p. 116,117. Romani 4:25. Traduzione letterale. Ebrei 9:11-22. ROUGEMONT Frédéric de, Un mystère de la Passion et la théorie de la Rédemption, Bâle 1876, p. 496. Giovanni 16:27; 3:16. Colossesi 3:1-3. Ebrei 9:21-24. W.H. Shea, o.c., p. 268. «Le profezie di Daniele 7:9-14 e 8:11-14 penetrano ugualmente nel dominio celeste». Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO II
«Settimane settanta sono state tolte per il tuo popolo...»405 490 anni riguardano il popolo d’Israele. È il tempo che Dio affida ancora a questa nazione per svolgere il compito di suo testimone. Dopo di che consegnerà ad altri il deposito degli oracoli affinché portino frutto.406 In che modo tutto questo si è avverato nella storia? Allo scadere delle 70 settimane, 34 d.C., Dio stende ancora la sua mano misericordiosa sulla nazione ebraica per un ultimo richiamo. Gamaliele, dottore della legge ebraica, in seguito all’imprigionamento di Pietro, invita i membri del Sinedrio a riflettere sul loro comportamento nei confronti della Chiesa apostolica di Gerusalemme: «Uomini Israeliti, badate bene, circa questi uomini, a quello che state per fare... (dopo aver presentato la storia dei sobillatori Teuda e di Giuda il Galileo, aggiunge:) Non vi occupate di questi uomini, e lasciateli stare; perché, se questo disegno o quest’opera è degli uomini, sarà distrutta, ma se è da Dio, voi non li potete distruggere, se non volete trovarvi a combattere anche contro Dio».407 Nell’anno 34 d.C. il diacono Stefano, della Chiesa di Gerusalemme, è accusato di bestemmiare contro Mosè, cioè contro la legge e contro il santuario. Posto di fronte alle autorità del Sinedrio, che avevano condannato il Cristo, tre anni e mezzo prima, ripropone la storia del Risorto. Il volto di Stefano risplende della realtà celeste. Sono gli stessi membri del Sinedrio a riconoscerlo. Nel discorso che rivolge ai suoi accusatori «fa prova di una conoscenza perfetta dell’economia giudaica e della sua interpretazione spirituale, resa ora manifesta in Cristo».408 Dimostra chiaramente come il testo della Scrittura è il veicolo tramite il quale possiamo comprendere come Dio agisce nella storia. L’azione di Dio sfugge ai nostri schemi, alle nostre concezioni e pertanto il Suo piano si compie così meravigliosamente come era stato rivelato. Dai membri del Sinedrio, che lo dovevano giudicare e non si decidevano ad accettare il Cristo quale realizzatore delle promesse messianiche, Stefano sollecita una presa di coscienza chiamandoli «incirconcisi di cuore e di orecchie», ponendoli sullo stesso piano dei pagani. Mediante Stefano, Dio stende ancora il suo braccio misericordioso, ricordando la realtà di ogni tempo: «Voi siete come i vostri padri, resistete allo Spirito Santo, perché ci fu mai profeta che i vostri padri non abbiano perseguitato?» Voi che mi ascoltate, in altre parole, dice Stefano, avete ucciso i profeti che annunciavano questo Gesù e avete continuato la loro azione sopprimendo il Giusto. Poi il diacono presenta il loro bisogno e la loro contraddizione. Se voi, come i vostri padri, aveste veramente cercato di osservare la legge che vi è stata data, vi sareste resi conto della vostra impotenza e vi sareste gettati nelle braccia misericordiose di Dio per la vostra salvezza. I membri del Sinedrio reagirono e il 405
Daniele 9:24. 1 Timoteo 6:20; Matteo 21:43. 407 Atti 5:35,38,39. 408 Vedere WHITE Ellen, Gli uomini che vinsero un impero, ed. A.d.V. Falciani 1989. Per il discorso di Stefano: vedere Atti 6:15-8:3. 406
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popolo d’Israele colpì in Stefano la mano benefica del Salvatore. Stefano morendo vede il Signore come Figlio dell’uomo, (certamente alludendo alla visione che Daniele presenta al capitolo VII:13,14) e, pregandolo, mette in risalto la divinità del Messia.409 Con la lapidazione di Stefano iniziò «una gran persecuzione contro la Chiesa che era in Gerusalemme. Tutti furono dispersi per le contrade della Giudea e della Samaria... »410 e da allora l’evangelo non è più predicato solamente ai Giudei e ai Gentili circoncisi. William H. Shea fa notare: «Sono le parole “visione” e “profeta” che appaiono qui e non “profezia”.- Stefano era l’ultimo profeta a rivolgersi al popolo ebraico quale popolo eletto da Dio; ma lo si è ridotto al silenzio lapidandolo. Così facendo, si è nello stesso momento messo a tacere la voce profetica. Ben inteso, il Nuovo Testamento menziona gli atti e le parole di altri profeti411 ma questi possono essere descritti da ora in poi come dei profeti cristiani che si rivolgono alla Chiesa».412 In quel tempo Dio chiamò Pietro ad aprire le porte della Chiesa ai pagani. Gli diede una visione tramite la quale l’Apostolo doveva capire «che Dio non ha riguardo alla qualità delle persone; ma che in ogni nazione, chi lo teme ed opera giustamente gli è accettevole».413 In casa di Cornelio, un centurione romano, l’Apostolo ricordò «la storia di Gesù di Nazaret; come Iddio l’ha unto di Spirito Santo e di potenza... (e) che da Dio è stato costituito Giudice dei vivi e dei morti. Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui riceve la remissione dei peccati mediante il suo nome. Mentre Pietro stava parlando, lo Spirito Santo scese su tutti coloro che udivano la Parola... Allora Pietro prese a dire: “Può alcuno vietare l’acqua perché non siano battezzati questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi stessi? (nel giorno della Pentecoste) E comandò che fossero battezzati”».414 Per «la prima volta... sul territorio pagano, l’Evangelo è predicato e si battezza»415 «perché è la prima volta che lo Spirito Santo è dato a dei pagani».416 «E tutti i credenti circoncisi che erano venuti con Pietro, rimasero stupiti che il dono dello Spirito Santo fosse sparso sui Gentili».417 In quell’anno si giunge al termine delle 70 settimane, Israele come nazione cessa di essere il popolo eletto. Cristo Gesù abbatte il muro di separazione tra Israele e i 409
Atti 7:56; confr. Daniele 7:13,14. L’Antico Testamento condannava ogni omaggio di questo genere reso ad un essere che non sia Dio. Saulo, che era stato presente al martirio di Stefano, venne qualche tempo dopo fermato dal Signore sulla via di Damasco (Atti 9). L’Apostolo, scrivendo ai Galati (2:1), dice di essere salito a Gerusalemme in occasione del Concilio, quattordici anni dopo la sua conversione. La prima Assemblea di Gerusalemme si è tenuta nel 49. Se a questa data sottraiamo i 14 anni menzionati da Paolo, possiamo fissare la data del suo battesimo nel 34-35. 410 Atti 8:1. 411 Atti 11:28;21:19; 1 Corinzi 14; Apocalisse 1:1. 412 W.H. Shea, o.c., pp. 264,266. 413 Atti 10:34,35. 414 Atti 10:38,42,44,47,48. 415 LUTHI Walter, Acts des Apôtres, Genève, p. 124. 416 L. Bonnet, o.c., t. II, Les Acts des Apôtres, p. 388. 417 Atti 10:45. Quando la profezia diventa storia
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Gentili facendo dei due popoli uno solo, perché «membri della famiglia di Dio, essendo stati edificati sul fondamento degli apostoli (cioè la testimonianza del Nuovo Testamento) e dei profeti (la rivelazione dell’Antico Testamento), essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare».418 È ancora in quell’anno, 34 d.C., che Pietro si reca ad Antiochia, vi predica l’Evangelo, fonda la prima Chiesa in territorio pagano, e in quella località per la prima volta i discepoli vengono chiamati Cristiani.419 I rami secchi dell’ulivo di Dio (i figli del popolo d’Israele) vengono tranciati e al loro posto vengono innestati dei rami selvatici (i Gentili che in Cristo sono progenie d’Abrahamo eredi delle promesse420). Sebbene il padre (popolo d’Israele) continui a rimanere in vita, il figlio (la Chiesa) eredita le promesse, le vive e le ripropone al padre affinché rinvigorisca e possa vivere con lui della vita di Dio. Reinnestato nella pianta, può continuare a testimoniare di Dio all’umanità. Il rifiuto di Israele, Dio l’aveva previsto sei secoli prima, e lo ha fatto conoscere a Daniele annunciandogli che purtroppo solamente una parte del popolo avrebbe accettato la sua grazia, mentre la maggioranza avrebbe persistito nella rivolta cosciente. Come conseguenza di questo rifiuto, Dio giudica che non può proteggere la città di Gerusalemme e il suo tempio. Negli anni che seguirono ci furono delle forti reazioni nei confronti di coloro che si riferivano ai periodi profetici di Daniele per dimostrare che Gesù di Nazaret era il Messia e che i «tempi» si erano compiuti.421
«E popolo di Capo il veniente distruggerà la città e il santuario 418
Efesi 2:14,15,20. Atti 11:26. 420 Galati 3:29; Romani 11:17. «Nell’insieme, a causa della propria disubbidienza e della sua infedeltà, e soprattutto per avere rigettato Gesù, Israele stesso è stato rigettato. La Chiesa cristiana è il vero popolo di Dio» BULTMANN Rudolf-Karl, Theology of the New Testament, traduz. di Hendrick GROBEL, New York 1951, p. 97. 421 «Il talmudista Tabh dice: “Tutti i termini indicati per la venuta del Messia sono passati” (Sanhédr. fol. 97b). Nello stesso trattato (Sanhédr. 97a) si trova la confessione seguente mista ad una negazione che nessun Giudeo ha motivata: “Quanti anni sabbatici sono passati in cui sono apparsi i segni necessari del Messia, e tuttavia egli non è venuto!”. Da parte sua il rabbino Jonathan si levava con indignazione (idem, 97b) contro questi calcolatori della fine, che, appoggiandosi sui calcoli che essi facevano sui tempi fissati da Daniele fino all’arrivo del Messia (9:24-27; 7: 11,12) dicevano: “Poiché la fine è arrivata e il Messia non è venuto, non verrà più”. Così questi rabbini hanno constatato che la fine è venuta» J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1193,1194. Se questo insegnamento rabbinico fosse vero tutto il messaggio profetico e biblico sarebbe un non senso e per quale motivo continuare a leggere il testo sacro? Dal rifiuto del Messia si passò all’anatemizzare coloro che accettavano Gesù quale Messia. «Nel Talmud di Babilonia (Gemare, Tr. Sanhédr. fol. 97) si legge: “Maledetti siano coloro che calcolano il tempo del Messia”; il rabbino Iochanan grida: “Possano le loro ossa rompersi!”, “che l’inferno li inghiottisca!” (Abravanel, Rosch amamah cap. I, fol. 5,2); “Perisca la loro anima!” dice il rabbino Efraim (Ir Gibborin, fol 3, cap. I n. 54); “e che la geenna li divori!” diceva il rabbino Matthatis (Nizzachon, n. 334) - “che il loro cuore scoppi e che i loro calcoli svaniscano!” diceva il grande Maimonide (Iggereth Hatteman, fol 125,4); e diversi rabbini ripetono all’infinito: “Che il loro animo crepi come un tumore!” (Hal. Melach. ch. XII, 5). Riassumendo, i rabbini si sono sforzati di sottrarre i testi di Daniele alle investigazioni dei loro correligionari, perché essi hanno giudicato che questi testi li condannassero» idem, t. II, pp. 1194,1996. 419
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il popolo di Capo il veniente causerà la distruzione della città e del santuario; e la loro fine sarà nell’inondazione; e fino alla fine guerra e devastazione decretate»422 Questa dichiarazione annuncia la distruzione di Gerusalemme che avvenne nel 70 d.C. ad opera di Tito. Gesù stesso ha annunciato la distruzione del tempio e della città prima che fosse passata quella generazione.423 Chi distruggerà Gerusalemme? Cinque sono le spiegazioni che si danno al testo: - Antioco IV Epifane re seleucida; - Anticristo finale; - Tito a capo dell’esercito romano; - Gesù capo del popolo che verrà a distruggere la città; - Il popolo è la causa della distruzione della città. Antioco Epifane Anche se questa spiegazione è sostenuta da un considerevole numero di commentatori, crediamo di avere a più riprese dimostrato l’insostenibilità di vedere Antioco IV Epifane nei capitoli VII, VIII e IX di Daniele. Riportiamo la seguente riflessione della Bible Annotée: «Il termine distruggere (schachat) sembra forte per indicare ciò che successe sotto Antioco Epifane. Tre anni dopo l’assassinio di Onia, ma senza relazione alcuna con questo avvenimento, il tempio di Gerusalemme fu saccheggiato, un gran numero di abitanti della città massacrati e un altare a Giove Olimpico fu messo al posto dell’altare degli olocausti. Ma né il tempio, né la città furono distrutti».424
L’Anticristo finale È una posizione creduta nel mondo evangelico fondamentalista che proietta la sua manifestazione in un tempo futuro, staccando la 70a settimana dalla storia del passato. A nostro parere questa spiegazione fa violenza al testo biblico e ha come base un pensiero teologico preconcetto e non trova il suo corrispondente nella Bibbia. Nella nostra Appendice n. 3 presentiamo la non sostenibilità di tale posizione futurista.425 422
Daniele 9:26. Matteo 24:34. 424 La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 311. 425 Questa posizione è sostenuta da: R. ANDERSON, 1895, p. 53; P. de BENOIT, pp. 67,68; Mad. CHARLES, Voici je viens, pp. 238-240; J.N. DARBY, Études, 3a ed., pp. 90-94; É. GUERS, Israël, pp. 101-104; B.W. NEWTON, Prospects, 2a ed., pp. 260,261. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia. 423
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Tito a capo dell’esercito romano Generalmente viene tradotto: «Il popolo di un capo che verrà», e si identifica il «capo» con Tito.426 Crediamo però che sia più corretto vedere in questo nagid (capo) ancora lo stesso Messia, lo stesso Cristo, colui che annunciato doveva venire. Per Tito, a seguito di quanto abbiamo scritto sopra, si sarebbe dovuto utilizzare l’espressione melek. Gesù Cristo risponde alla descrizione dettagliata della profezia: è lui il Messia Principe che è apparso alla fine delle 69 settimane (versetto 25); è lui il Messia che è stato sterminato (versetto 26a). Dovrebbe dunque anche corrispondere al Principe del popolo che, venendo, causerà la distruzione della città e del santuario (versetto 26b). Riconoscendo in lui il «principe che verrà», si è in sintonia con le indicazioni cronologiche date nei versetti precedenti. «I Romani appaiono anche in questa profezia, ma solamente sotto i tratti del “devastatore” di cui si parlerà più avanti (nel versetto che segue)».427
Gesù, capo del popolo, verrà a distruggere la città ed il santuario A sostegno di questa spiegazione c’è quanto detto sopra ed il linguaggio biblico. Già nell’Antico Testamento Dio si servì delle varie nazioni, Assiria e Babilonia, per compiere un suo giudizio parziale. Di loro dice: «... L’Assiria, verga della mia ira! Il bastone che ha in mano è lo strumento della mia indignazione».428 «O Babilonia, tu sei stata per me un martello, uno strumento di guerra; con te ho schiacciato le nazioni, con te ho distrutto i regni».429 L’abate Fabre d’Envieu fa notare: «A torto si è supposto che il titolo di Nagid era dato al principe romano che doveva distruggere Gerusalemme, Tito, indicato al versetto seguente sotto il nome di Devastatore. Egli non era che il luogotenente del Messia, il quale, solo, è propriamente il Capo, il Conduttore, il Veniente. Colui che è stato stabilito capo delle nazioni e che ha ricevuto i popoli come una eredità che gli spetta di diritto, si è posto alla guida dei romani per esercitare i suoi castighi su una nazione che aveva rifiutato di essere suo popolo. Egli stesso ha condotto l’esercito che doveva punire l’insolenza e l’ingratitudine dei Giudei».430 «Quando Tito entrò nella città (dopo averla espugnata) ammirò le alte fortezze... osservando... l’altezza 426
Il testo ebraico e quello greco hanno un participio presente. I sostenitori di questa posizione, a fine secondo millennio, sono numerosi, la maggioranza rispetto a coloro che spiegano le 70 settimane in chiave messianica. Tra questi studiosi ricordiamo solo: J.F. von ALLIOLI, vol. V, 5a ed., p. 597, n. 32; J. DOUKHAN, in AA.VV, Question, e in Andrews University, Sem. St., 1979, pp. 13,14; A.R. FAUSSET, A Comment., vol. IV, p. 457; D. FORD, Daniel, pp. 204,232,233; C.M. MAXWELL, vol. I, pp. 210-212; TROCHON, p. 216 . 427 W.H. Shea, o.c., p. 276. 428 Isaia 10:5. 429 Geremia 51:20. 430 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 983.
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della loro massicciata, la grandezza di ciascun macigno, l’accuratezza delle connessioni e come fossero ampie ed elevate, esclamò: “Davvero abbiamo fatto la guerra con Dio e fu Dio che da questa fortezza tirò abbasso i Giudei! poiché mani d’uomini o macchine, che cosa possono contro queste torri?”».431 Gesù, dopo aver presentato la parabola dei cattivi vignaioli, parlando di coloro che lo avrebbero rifiutato, disse: «La pietra che gli edificatori hanno riprovata è quella ch’è diventata pietra angolare... Perciò io vi dico che il Regno di Dio vi sarà tolto, e sarà dato ad una gente che ne faccia i frutti. E chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; ed ella stritolerà colui sul quale cadrà».432 «La morte del Messia comporta due conseguenze: la prima sarebbe l’abbandono del popolo ebraico, Dio lo lascerebbe andare a se stesso, il Messia rinuncerebbe al popolo che aveva rinunciato a lui. La seconda, un po’ più lontana nella sua realizzazione, era la desolazione della città e del santuario. Il rinnegamento e la crocifissione del Messia portarono alla distruzione della città e del tempio, alla dispersione della nazione ebraica».433 Gesù stesso annunciò il giudizio su Gerusalemme nella parabola delle nozze in cui gli amici del re, il popolo d’Israele, rifiutano l’invito alla salvezza e subiscono la distruzione: «Allora il re s’adirò, e mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e ad ardere la loro città».434 Il protestante J.H.A. Ebrard diceva: «Un popolo, inviato da questo principe (nagid soppresso), distruggerà la città e il Tempio».435 La distruzione di Gerusalemme, come quella di Sodoma e Gomorra, è una raffigurazione, un tipo del giudizio finale ed è la dimostrazione della distruzione del male e di tutti coloro che avranno rifiutato la vita che solo l’Eterno può dare. La persona del Cristo è una salvezza per gli uni ed è una condanna per gli altri. Non ci si può disinteressare di lui. È la pietra sulla quale si edifica la propria vita o è la pietra sulla quale si schianta la propria esistenza. Queste parole possono sembrare dure, ma l’uomo non può ridere del suo Creatore, la storia d’Israele lo dimostra. Se l’uomo non accetta Dio, si causa la morte.436 J.H.A. Ebrard scriveva: «Il Salvatore è chiamato Unto quando si tratta della sua sofferenza e del suo rigetto; è chiamato Principe quando si tratta del giudizio che esercita su coloro che l’hanno rifiutato».437 La spiegazione che vede Cristo Gesù quale capo che viene per distruggere la città, grammaticalmente potrebbe eliminare la difficoltà dell’identificazione del soggetto 431
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, VI. Matteo 21:42,44. 433 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 980. 434 Matteo 22:7. 435 J.H.A. EBRARD, cit. da K. Auberlen, o.c., p. 133. Ai due autori citati: J. Fabre d’Envieu e J.H.A. Ebrard, che sostengono questa spiegazione si possono aggiungere: BOUTFLOWER, In and around…, pp. 169,194,195,200; R. STIER, The Words, p. 139; E.J. YOUNG, The New Bible, 1970, p. 699. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia. Vedere Matteo 16:26; 22:7. 436 Geremia 2:19; 5:25; 6:19;7:19. 437 Ebrard, cit. K. Auberlen, o.c., p. 132. 432
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del versetto 27. Considerando che Gesù Cristo, l’Unto Capo, risponde perfettamente a tutti i dettagli di questa profezia ed è il solo protagonista di questo testo; è lui il Messia Principe che è apparso alla fine delle 69 settimane; è lui che è stato soppresso ed è quindi ancora lui che dovrebbe, quale Principe del popolo, venire per distruggere la città. La sola critica a questa spiegazione è quella di attribuire al popolo ebraico la causa della distruzione di Gerusalemme e del tempio come presentiamo nella spiegazione che segue.
Il popolo è la causa della distruzione della città e del santuario Il testo biblico si esprime in termini causali e potrebbe dire che sia il popolo ebraico la causa della distruzione di Gerusalemme. Si può avere la seguente lettura: «Il popolo a causa del Capo che verrà (del Capo veniente), - distruggerà - sarà la causa della distruzione della città e del santuario». «Il popolo di Capo il veniente causerà la distruzione della città e del santuario». In altre parole, il popolo d’Israele non avendo accettato il Messia causerà la distruzione della propria nazione, che sarà materialmente realizzata dai Romani. Gesù piange su Gerusalemme perché la città ha rifiutato la sua protezione e si è esposta alla distruzione.438 Negli anni sessanta la causa della ribellione dei Giudei nei confronti dell’impero di Roma va proprio ricercata nell’attesa messianica e nella convinzione che i tempi a lui attribuiti per il presentarsi al popolo erano compiuti. Per i giudei il Messia conquistatore, che avrebbe fatto risplendere il trono di Davide, doveva prendere il potere. Gli Ebrei si ribellarono ai Romani sperando che il Messia finalmente si manifestasse e prendesse nelle sue mani la sorte del popolo. Questa ribellione della nazione nella convinzione che il Messia sarebbe dovuto venire è stata la causa della distruzione di Gerusalemme. Come abbiamo riportato sopra, Gesù aveva detto: «La pietra che gli edificatori hanno riprovata è quella che è diventata la pietra angolare. Chiunque cadrà su quella pietra sarà sfracellato; ed ella stritolerà colui sul quale cadrà». Gesù, piangendo su Gerusalemme, annuncerà: «Affinché venga su voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia... Io vi dico in verità che tutte queste cose verranno su questa generazione... Ecco la vostra casa sta per essere lasciata deserta».439
«La loro fine sarà nell’inondazione»440 438 439 440
Matteo 23:37,38. Luca 20:16-18; Matteo 23:35,36. Daniele 9:26.
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IL CARDINE DELLA STORIA
L’angelo aveva detto a Daniele: «La loro fine sarà nell’inondazione». «Quando finalmente una breccia fu fatta nelle mura, le truppe nemiche penetrarono nella città come le acque di un fiume in piena (“come una inondazione”). Questo quadro corrisponde molto bene alla maniera con la quale i Romani hanno vinto le difese di Gerusalemme nel 70 della nostra era».441 «“Decretate”: benché impossibile possa sembrare a chi li riguarda, il decreto di Dio si dovrà compiere fino all’ultimo. È la seconda distruzione d’Israele che è così annunciata».442 «Vi saranno delle devastazioni sino alla fine443 della guerra». I Romani conquistando Gerusalemme hanno incendiato la città, il tempio, abbattuto le mura e conservato tre torri del palazzo di Erode. La distruzione fu totale. Epifanio, nel descrivere a cosa poteva essere paragonata la città in occasione della visita che vece Adriano nel 130, scrisse: «Trovò il tempio di Dio calpestato e tutta la città devastata, ad eccezione di qualche casa e della chiesa di Dio».444
«Al di sopra d’ala di abominazione, devastatore»445 La parola ebraica “Kenf” designa l’ala dell’uccello, di un volatile che rappresenta qualcosa di abominevole, una impurità, una causa o espressione di idolatria. Con questi termini erano indicati gli dei di legno, di pietra, di argento e d’oro.446 441
W.H. Shea, idem, p. 277. «La Bibbia paragona sovente delle forze armate a una inondazione (vedere Geremia 46:6,7; 47:2; Apocalisse 12:15,16). Nel passo parallelo di Daniele 11:22, la parola tradotta qui per “inondazione” è amplificata da zerocôt (“eserciti”), cosa che sottolinea ancora maggiormente il carattere militare di queste acque» idem. 442 La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 312. 443 «E la sua fine sarà nell’inondazione. Le parole “la sua fine”, si possono riportare al santuario il quale è come portato via da uno straripamento di acqua, allo scopo di fare posto al nuovo Santo dei santi, annunciato al versetto 24» La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 311 e aggiunge: «Questa espressione può anche essere applicata al nemico di cui si è parlato (traducendo il testo con: “Il popolo di un capo che verrà”). Dopo aver distrutto la città e il tempio, perirà lui stesso come una inondazione. C’è forse una allusione al Faraone e al suo esercito (Esodo 14). Qualunque cosa sia, c’è una relazione morale, piuttosto che cronologica. Il testo vorrebbe dire: il distruttore sarà distrutto a sua volta; confrontare il versetto 27 e la relazione stabilita con il versetto 26 tra la soppressione dell’unto e la distruzione della città e del santuario. Il quarto impero (romano), dopo aver distrutto Gerusalemme, sarà distrutto a sua volta, e ciò mediante delle invasioni simili ad uno straripamento di acqua. La parola straripamento (scheteph) è frequentemente applicato alle invasioni di eserciti nemici, e anche in Daniele stesso (confr. 11:20,22,26; Isaia 8:8; ecc.)». Come osserviamo anche nella nota seguente, riteniamo che forse questo pensiero superi il quadro profetico del nostro testo. «Coloro che applicano il testo ad Antioco vedono qui l’indicazione della morte di questo monarca. Ma come spiegare l’espressione nell’inondazione? Antioco è morto semplicemente di una malattia che l’ha colpito di ritorno da una spedizione contro i Persiani» La Bible Annotée, idem, p. 311. 444 Epifanio, Pesi e misure, 14:54c; cit. W.H. Shea, o.c., p. 278. La Bible Annotée presenta due spiegazioni: «“E fino alla fine”, si può intendere di questa epoca determinata, “la guerra” non cesserà che quando la Terra Santa non sia stata assolutamente desolata. Si può anche dare all’espressione fine una portata più assoluta: “fino alla fine dell’ordine attuale”. La pace non si stabilirà più in una forma duratura e stabile; ci sarà guerra tra la bestia e i santi fino alla fine, questa guerra non cesserà che dopo che ci sia stata la grande desolazione che precede lo stabilirsi del regno di Dio» La Bible Annotée, o.c., t. II, pp. 311,312. 445 Daniele 9:27. 446 Deuteronomio 29:17; Geremia 7:30; 13:27; 16:18; Ezechiele 7:20; 37:23. Quando la profezia diventa storia
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Stuart traduce: «Uccello alato» e rende così il testo: «E un devastatore sarà su un uccello di abominazione».447 «L’abominazione è data dagli dèi del popolo romano e di Tito, il devastatore. Gli stendardi degli invasori romani portavano delle immagini idolatre; le aquile romane (l’aquila di Giove riprodotta sui labari è l’uccello idolo) erano un oggetto di culto», come scriveva Tertulliano nella sua Apologetica.448 Per rispetto alla religione ebraica gli stendardi romani venivano coperti quando attraversavano la Giudea. Ma Gesù, riferendosi a questa profezia di Daniele, disse: «Quando dunque avrete veduto l’abominazione della desolazione (gli stendardi romani sventolare), della quale ha parlato il profeta Daniele, posta in un luogo santo... (cioè le bandiere che calpestano la regione di Giuda, che dal rimpatrio dell’esilio era considerata terra santa, come dominio speciale di Yahvé) allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, e quelli che sono nella città se ne partano, e quelli che sono per la campagna non entrino in essa. Perché quelli sono giorni di vendetta, affinché tutte le cose che sono scritte siano adempiute».449 Come abbiamo visto sopra, al versetto 26, la distruzione di Gerusalemme e del tempio era descritta con le parole: «La sua fine verrà come una inondazione e vi saranno delle devastazioni sino alla fine della guerra». Giuseppe Flavio vedeva nel suo tempo la realizzazione dell’oracolo dell’angelo: «Questo grande profeta (Daniele) ha avuto anche conoscenza dell’Impero di Roma e dell’estrema desolazione nella quale questo impero ridurrà la nostra nazione».450 Gerusalemme sarebbe stata distrutta come una inondazione.451 Nell’incendio di Gerusalemme «si sarebbe detto che la collina del tempio ribollisse fin dalle radici, rigurgitando come il fuoco da ogni parte, e che il sangue fosse più abbondante del fuoco e gli uccisi più numerosi degli uccisori. In nessun punto la terra compariva sotto i morti, bensì i soldati dovevano salire sui mucchi di cadaveri per inseguire i fuggiaschi».452 447
cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1017. Tertulliano, Apologetica, XVI:8; cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1019. 449 Matteo 24:15; Zaccaria 2:12; Luca 21:21,22. Il Prof. W.H. Shea propone un’altra spiegazione che riportiamo : «Dal punto di vista storico sono i Romani che hanno compiuto la devastazione. Siccome i Giudei occupavano la loro capitale fino a quel momento, e le abominazioni dovevano precedere la devastazione, sono i Giudei e non i Romani che hanno la responsabilità di queste “abominazioni”. Come questa predizione si è realizzata? Forse per il fatto che hanno continuato a offrire i sacrifici. Non solamente essi non avevano più valore, ma servivano a negare la realizzazione antitipica che li aveva compiuti. Avrebbero dovuto insegnare una verità, ma essi la respingevano. È una applicazione possibile del termine “abominazioni”. Ce n’è un altro, che si riferisce al ruolo finale giocato dal tempio. Negli ultimi momenti dell’assedio di Gerusalemme, il tempio si è trasformato in una fortezza, in un ultimo bastione di resistenza contro i nemici che circondavano la città. Ciò pervertiva il motivo per il quale era stato eretto, cioè il culto e i servizi in onore a Dio» Daniel 9 :24-27, p. 280. 450 Giuseppe Flavio, o.c., X:12. Vi fa anche allusione in Guerre Giudaiche, IV:22 e VI:8. 451 Linguaggio usato anche dai profeti per descrivere la desolazione nella quale veniva lasciata una città conquistata (Geremia 51:42; Daniele 11:10,22,26). «Questa espressione si trova anche in una iscrizione assira, relativa al sacco di Tebe ad opera di Assurbanipal. Si legge: “Essi (gli Assiri) s’impadronirono per intero della città e la distrussero come una inondazione"» (traduzione d’Oppert, Mémoires de l’Acad. des Inscript., ecc. 1869, t. VIII, p. 601); cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c., p. 989. 452 Giuseppe Flavio, Guerre Giudaiche, VI. 448
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«Quando l’esercito non ebbe più da uccidere né da depredare Cesare diede l’ordine di abbattere tutta la città e il santuario, lasciando in piedi solo le torri più alte, Fasael, Ippoco e Mariamme. Esse, con parte del muro che recingeva la città ad Oriente, dovevano servire di accampamento alla guarnigione che vi avrebbero lasciato. Gli abbattitori pertanto livellarono tutto il resto della città in maniera tale da non lasciare a quei che sopraggiungessero indizio alcuno che il luogo fosse stato in qualche tempo abitato».453 Eleazaro, il capo dei sicari che si erano rifugiati nella fortezza di Masada, conquistata più tardi dai Romani, esclamò nei confronti di Gerusalemme: «Dove è la grande città, la metropoli dell’intera stirpe dei Giudei, che era creduta avere Dio come fondatore? Sradicata dalle fondamenta, fu rapita via, e quale unico titolo sepolcrale per ricordarla, è rimasto l’accampamento di coloro che l’hanno uccisa, tuttora impiantato tra i ruderi».454 «Ai Giudei dispersi in tutto l’impero fu imposto di pagare, ciascuno, due dramme per il Campidoglio (il tempio di Giove), come contribuivano in precedenza per il tempio di Gerusalemme».455 Brunel fa notare che le mura di Gerusalemme dovevano proteggere un deposito prezioso: «Le liste genealogiche delle grandi famiglie, soprattutto quella di Davide». Esse caddero sotto le armi dei Romani allorquando si era potuto constatare che Gesù era veramente il figlio di Davide. «Una cosa infine ben degna di nota è che dopo la rovina di Gerusalemme tutte le liste genealogiche d’Israele sono state completamente distrutte, tutte le tribù giudaiche si sono confuse, e non è mai stato possibile scoprire dove scorresse il sangue reale di Davide».456 La profezia delle 70 settimane si è avverata nei minimi particolari, ma quale chance Dio ha dato al suo popolo prediletto pronunciandola sei secoli prima della sua realizzazione, dando così l’opportunità a ciascuno di capirla e di sottrarsi alla tragedia! Non è soltanto la Chiesa nascente che vide nella distruzione di Gerusalemme la conseguenza del rifiuto del Messia. Il filosofo stoico di Siria, Mara Bar Serapion, scrivendo una lettera a suo figlio, studente a Edessa, che i critici datano nell’anno 73 d.C., diceva che la punizione ad Israele è stata inflitta da Dio in seguito all’esecuzione del «re saggio» (Gesù): «Poiché furono da allora spogliati del loro regno, i Giudei perirono e furono banditi e vissero dispersi».457
«E fino alla distruzione, la decretata piomberà sul devastato»458
453
Idem, VII:1-4. Idem, VII. 455 Idem. 456 E. Brunel, o.c., pp. 174,175. 457 BLINZLER J., Le procès de Jésus, Paris 1962, p. 43; cit. da AUTANT Jean-Paul, Le Glaive et la Croix, t. II, mémoire au Séminaire Adventiste, Collonges-sous-Salève 1974, p. 217, nota 47. BOVON François, Les derniers jours de Jésus, Genève 1974, p. 32. 458 Daniele 9:27. 454
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Molti traducono: «e questo, finché la completa distruzione, che è decretata, non piombi sul devastatore». Se accettiamo questa traduzione troviamo ancora una correlazione con i capitoli precedenti (VII e VIII) di Daniele, nei quali il potere che avrebbe soppresso il “capo” del popolo di Dio e abbattuto il santuario avrebbe continuato la sua azione fino al ritorno del Cristo, quando a sua volta sarebbe stato «infranto, senz’opera di mano»459 espressione questa che corrisponde alla sua distruzione completa. La Bible Annotée, accettando questa traduzione, così commenta: «La desolazione del Tempio di Gerusalemme dura ancora. Essa non cesserà che quando il desolatore diventerà un desolato. Il quarto impero (Roma) che distrusse il santuario sarà distrutto a sua volta».460 A questa spiegazione contrapponiamo quella dell’abate Fabre d’Envieu, che traduce: «E fino (alla fine) distruzione ben decretata si spanderà sul devastato», cioè, questa distruzione totale si riferisce a Gerusalemme e non a Roma e spiega: «Non si è fatto abbastanza notare che l’angelo conferma e completa al versetto 27 ciò che ha detto al versetto precedente. C’è un parallelismo molto regolare tra questi due versetti. Ognuno di essi è diviso in due parti, di cui l’una riguarda la morte del Messia, la conferma della nuova alleanza; e l’altra la distruzione della città e del santuario, o, in altri termini, il castigo che sarà riservato al popolo che avrà rigettato il Messia... Notiamo anche che, al versetto 26, si tratta della distruzione di Gerusalemme e del Tempio, e che, per conseguenza, tenendo conto del contesto e dell’analogia dei fatti, è ancora questa città e il suo santuario che sono l’oggetto della distruzione predetta al versetto 27. Nei due passi si presenta lo scatenarsi di una guerra terribile, di cui noi leggiamo, con una specie di spavento, l’eventualità, e che doveva, come l’esplosione improvvisa di un grande uragano, invadere la Giudea e portare “la distruzione decretata”, la distruzione “completa” di Gerusalemme e del suo tempio. È ciò che hanno compreso la versione dei Settanta, Teodozione e la Vulgata».461 Il prof. W.H. Shea scrive: «Ecco come interpretiamo la fine del versetto 27 : al termine della guerra, tutto ciò che è stato deciso concernente la devastazione della città si riverserà su di essa. C’è un parallelismo tra questa dichiarazione e quella che chiude il versetto 26, sia per il suo contenuto, sia per la sua posizione nella struttura letteraria della profezia».462 Con la distruzione di Gerusalemme, nel 70 d.C., si stronca il popolo d’Israele, ma la guerra non è ancora finita: «Fino alla fine della guerra» aveva detto l’angelo. L’ultimo tentativo avvenne nel 132 d.C. con Bar Kokeba, a seguito del quale Israele 459
Daniele 8:25; 2:44. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 313. Questo modo di vedere «rompe il legame evidente che esiste tra i versetti 26 e 27» W.H. Shea, o.c., p. 281, passando dalle devastazioni al devastatore. «Le quattro parole o concetti essenziali della fine del versetto 27 si ritrovano alla fine del versetto 26. La differenza principale tra i due versetti è data dall’assenza, al versetto 27, della parola “guerra”. In considerazione di questo legame evidente tra i due versetti, è meglio considerare la fine del versetto 27 come una nuova evocazione della sorte della santa città, piuttosto che cercare una idea che non appare in ciò che precede (la sorte del devastatore)» idem. 461 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1033,1039. 462 W.H. Shea, o.c., p. 281. 460
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fu annientato e fu proibito agli Ebrei non solo di ritornare a Gerusalemme, come era stato imposto nel 70, ma anche di ritornare in Giudea. L’abate Ricciotti, a conclusione della sua Storia d’Israele scrive: «Dai sommari di Dione Cassio e da altri accenni risulta che la repressione costò ai Romani perdite assai gravi; ma per i Giudei essa fu addirittura uno sterminio, certo peggio che ai tempi di Tito... Gli schiavi giudei venduti sui mercati di Hebron, Gaza ed Egitto, non si calcolarono; l’abbondanza della merce ne fece avvilire il prezzo, tanto che un cavallo e uno schiavo costavano quasi lo stesso... l’affermazione di Dione Cassio, secondo cui tutta la Giudea diventò quasi un deserto, può esser presa alla lettera.... Sul luogo del Tempio yahvistico sorse il tempio a Giove Capitolino... e in più una statua equestre di Adriano... Da quel giorno i Giudei hanno avuto per città il mondo intero, e per Tempio il proprio cuore».463 Questa situazione presenta la fine della missione di Israele nel mondo. Il rabbino A. Chouraqui scrive: «Si sa che fino alla distruzione del Tempio, i Giudei avevano dei missionari che non si accontentavano di visitare le comunità della Diaspora, ma ancora che predicavano e insegnavano alle nazioni. Così si è valutato il numero dei proseliti giudei in seno all’Impero Romano, nel I secolo della nostra era, a circa otto milioni. Lo spirito di missione che i Giudei manifestavano con fervore ed efficacia, quando essi erano forti, s’indebolì e disparve dopo la rovina della nazione. Questa operò un mutamento completo del pensiero talmudico per ciò che concerne il proselitismo. In effetti, le energie dei sopravvissuti dei grandi massacri dovevano essere consacrate alla salvaguardia della Thorà per la sopravvivenza del popolo. Il proselitismo implicava una aggiunta di forze che i Giudei dopo il loro esilio non avevano più... Questo ripiegamento del pensiero giudaico su se stesso è evidentemente la conseguenza d’una situazione nuova, quella sorta dall’esilio. Non si tratta più per il Giudeo di aspirare a convertire chicchessia, ma a sopravvivere e a restare fedele alle sue sorgenti, praticando naturalmente la virtù della speranza».464
Conclusione «L’esegesi scrupolosa e cosciente del testo mostra... che questa profezia ottiene il suo intero e perfetto compimento nel tempo di Gesù Cristo. Essa fissa matematicamente il tempo della sua manifestazione pubblica e quello della sua morte, seguita dalla rovina di Gerusalemme e dalla dispersione del popolo ebraico... È certo che il Messia è venuto al tempo predetto dall’angelo, e che l’oracolo delle settanta settimane, uno dei più memorabili in favore della religione cristiana, conserva tutta la sua forza».465
463
G. Ricciotti, Storia d’Israele, vol. II, pp. 536-539. Dione Cassio, LXIX, 13,14. A. Chouraqui, o.c., pp. 49,50. 465 J. Fabre d’Envieu, o.c. t. II, pp. 1322,1323. «Non abbiamo detto nulla del sistema esegetico che applica i versetti 24-27 al tempo di Antioco Epifane. Questa applicazione, oltre ad essere completamente sconosciuta dai rabbini dei primi secoli e del Medio Evo, urta contro 464
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Queste realizzazioni profetiche sono così straordinarie che un grande rabbino veneziano, Simone Luzzatto, ha dichiarato: «Non si potrebbe negare che, secondo le date di Daniele, il Messia sia di già venuto» e che «degli studi troppo prolungati e troppo approfonditi su Daniele, da parte dei dotti giudei, avrebbero probabilmente per conseguenza la loro conversione in massa al cristianesimo».466 Pensiamo che si possa dire oggi, come al tempo del profeta Geremia, che la penna degli scribi continua a falsare il senso delle Scritture.467 Questa profezia è qui, fra l’altro, per aiutare quegli Ebrei sinceri che hanno il coraggio di essere impopolari, ad avere il coraggio di abbandonare le loro tradizioni per essere veramente degli Israeliti, nome che etimologicamente significa «colui che lotta con Dio» per il bene degli uomini, e cessare di combattere contro Dio.468 Questo invito ad essere un vero israelita è naturalmente esteso ad ogni creatura.
Schema riassuntivo Nel capitolo VIII il profeta Daniele ebbe una visione, a causa della quale l’angelo Gabriele dovette interrompere la spiegazione perché il profeta non riuscì a sopportare quanto aveva visto (versetto 27). Daniele temeva che la visione, che menzionava un periodo di tempo (versetto 14), indicasse un prolungamento dell’esilio di Israele. All’inizio del capitolo IX viene presentato mentre legge il profeta Geremia e prega (9:1), affinché quanto annunciato dal profeta si realizzasse. versetto 21. A Daniele si presenta ancora l’angelo Gabriele come nel capitolo precedente (v. 16). 23. L’angelo vuole spiegargli la «visione». In questo capitolo IX Daniele non ha nessuna visione. Tale termine si riferisce a quella avuta precedentemente nel capitolo VIII. 24. «Settanta settimane = 490 giorni = 490 anni (Ezechiele 4:6) sono fissate per il tuo popolo» ebreo. Questo periodo viene diviso in tre parti (v. 25): 7, 62 e 1 settimana.
Da quando far partire questa profezia? 25. «Dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e riedificare Gerusalemme». Editti in favore del popolo di Dio: - 536 a.C. editto di Ciro (Esdra 1). Ordina la fine dell’esilio per gli Ebrei e autorizza la ricostruzione del tempio. - 520 a.C. editto di Dario (Esdra 6:1-12). Conferma quello di Ciro a continuare la ricostruzione del tempio perché i lavori erano stati interrotti (Esdra 4:1-5). difficoltà inspiegabili sulle quali in questa sede non sarebbe possibile soffermarsi»; nota A. Crampon. Vedere per questa esposizione Appendice n. 4. 466 WOLF, Bibliothek, Hébr. vol. III, 1228; cit. da VUILLEUMIER Jean, Les prophéties de Daniel, Genève 1906, p. 262. 467 Geremia 8:8. 468 Geremia 32:28; Atti 5:39.
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- 457 a.C. editto di Artaserse (Esdra 7:12-26). Ordina la ricostruzione di Gerusalemme. Questo editto presenta il diritto legislativo (versetto 24), giuridico, esecutivo (versetto 25,26) e ordina di restaurare le rovine (Esdra 9:9). Gerusalemme sarebbe stata ricostruita «in tempi angosciosi» (Nehemia 1:1-4; 4:7,8). Nehemia (1:1-4) piange per le notizie avute da Gerusalemme. Le mura rotte non potevano essere quelle del 586 a.C.. Sono il risultato delle azioni di disturbo dei nemici di Giuda. Nehemia (2:1-8) riceve l’autorizzazione di lasciare la corte del re per raggiungere temporaneamente Gerusalemme. Non è un decreto, è una autorizzazione personale per Nehemia a lasciare la corte. 420 a.C. Nehemia parte da solo. I lavori di restauro vengono finiti in 52 giorni (6:15) e ciò dimostra che la ricostruzione delle mura era in stato molto avanzato. Nehemia ha concluso l’opera ancora in una situazione di difficoltà per il popolo. 408 a.C. Pur non avendo un documento storico che in un modo formale affermi che Gerusalemme era stata ricostruita, non abbiamo neanche documenti che dimostrino il contrario. Si sa però che la città cominciava a essere influente.
7 settimane = 49 anni
-----•----/ 457 a.C.
62 settimane = 434 anni
/----•---------------------/ 408 a.C.
1 settimana = 7 anni
/----------------------•---------†--------•-----27 d.C.
31 d.C.
34 d.C.
27 d.C., 25. dopo 7 e 62 settimane = 483 anni. «Apparizione di Unto-Capo = Messia-Pastore = Cristo-Principe» (Isaia 55:4; Matteo 2:6; Luca 3:1,21,22; Atti 10:38; Giovanni 1:33,41). Il popolo e i capi religiosi attendono il Messia in quel momento storico (Giovanni 1:19-23; 4:25; 6:16; 7:40; 10:24; Luca 19:11). 31 d.C. 27. «In mezzo alla settimana» dopo 3 anni e mezzo dalla sua apparizione (Luca 3:1,21,22; Atti 10:38). Gesù ha partecipato a quattro Pasque (Giovanni 2:13; 5:1; 6:4; 12:1). Si stabilisce un «saldo patto con molti» (Geremia 31:31-33; Ezechiele 16:60 = Luca 22:20; Ebrei 10:16; 1Corinti 11:25). 26. L’Unto «Sarà soppresso» (Isaia 53; Atti 4:26,27; 2:37). «Nessuno sarà per lui» (Isaia 53:3; Matteo 26:31; Giovanni 11:49,50). «Farà cessare sacrificio e oblazione» (Marco 15:38; Ebrei 7: 27). 24. «Farà cessare la trasgressione» (Galati 6:14; 1 Pietro 2: 24). «Per mettere fine al peccato» (Romani 6:1,2; 8:14,15; 1 Giovanni 3:4). «Espiare l’iniquità» (Isaia 53; Romani 3:25; 1 Pietro 2: 24). «Addurre una giustizia eterna» (Geremia 23:6; Isaia 45:25; 1Corinzi 1:30; Romani 8:16). Quando la profezia diventa storia
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«Sigillare visione e profezia» (Giovanni 1:29; 5:39). «Ungere un luogo santissimo» (Ebrei 9:24). 34 d.C. «Settanta settimane sono fissate riguardo al tuo popolo». Il popolo giudaico viene sostituito dalla Chiesa nell’annuncio della parola di Dio (Atti 7:59; 8:2,4,5; 10:44; 11:19-26). 26. «Il popolo di Capo il veniente distruggerà la città e il santuario - sarà la causa della distruzione della città e del santuario». - Il Capo veniente che guida l’esercito romano alla distruzione di Gerusalemme e del tempio sarebbe il Cristo stesso (Matteo 21:42,44; 22:1-7; 24:15-21,34). Già nel passato il testo biblico presenta Dio che guida l’Assiria e Babilonia alla conquista di Gerusalemme (vedere Isaia 10:5; Geremia 51:20). Ciò che subì Gerusalemme nel 70 d.C. può essere visto nell’ottica di questa lettura. Il giudizio di Dio su Gerusalemme è tipo del giudizio di Dio sul mondo dopo che l’evangelo sarà stato proclamato a tutta l’umanità (Matteo 24:14). - «Il popolo di Capo veniente (il popolo di Colui che doveva venire e non lo ha accettato) causerà la distruzione della città e del santuario». 27. «Sulle ali di abominazione, devastatore». Il devastatore è Tito. Con l’espressione «abominazione» l’Antico Testamento (Deuteronomio 29:17) presenta gli idoli e l’adorazione a loro fatta (Geremia 13:27). L’ala di abominazione indica un uccello che è oggetto di culto. L’aquila di Giove posta sugli stendardi dell’esercito romano era adorata dai soldati. «Finché la completa distruzione che è decretata, non piombi sul devastato» (Matteo 24:2; Luca 21:24).
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Capitolo III INSEGNAMENTI DIMENTICATI «Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figliolo delle perdizione» S. Paolo.1 Apostasia. «Abbandono pubblico di una fede per un’altra... L’apostasia dei falsi cristiani precederà il trionfo dell’Anticristo» Dictionnaire Encyclopédique de la Bible.2
Introduzione Nel capitolo precedente abbiamo detto, riprendendo l’insegnamento dell’apostolo Paolo, che la Chiesa è l’ulivo d’Israele, potato dai suoi rami secchi, nel quale si innestano i rami dell’ulivo selvatico rappresentanti le genti. Il cristianesimo è sorto nell’ambiente ebraico ed ha ereditato dal popolo di Dio le rivelazioni, la legge e le varie dottrine che hanno caratterizzato Israele come un popolo distinto dagli altri. Come Israele ha abbandonato sovente, fin da quando stava per entrare nella terra promessa, queste verità per assomigliare ai popoli che lo circondavano, così la cristianità, fin dai primi decenni dal suo sorgere, ha subìto l’influenza del paganesimo dal quale era attorniato. La Chiesa prendeva le distanze dagli insegnamenti e dalle filosofie della società che la circondava o li elaborava, li cristianizzava, rinnovando così il sincretismo dell’antico Israele. Come Israele ha sempre avuto in ogni tempo settemila uomini che non si sono piegati davanti a Baal, così il cristianesimo ha avuto i suoi fedeli testimoni che, pur influenzati dagli errori che si sono perpetuati attraverso i secoli, hanno saputo far brillare nel loro tempo quelle distinte verità che li caratterizzavano. Vediamo come si è realizzato il sincretismo nella Chiesa o come Paolo lo definisce: l’abbandono dalla sana dottrina.3 Nel giorno della Pentecoste i pii israeliti rievocavano la promulgazione della legge al Sinai4. «Il primo atto di grazia di Dio verso il suo popolo, al quale Egli si lega con
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2 Tessalonicesi 2:3. AA.VV., Apostasia, in Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, A. Westphal, t. I, Paris 1932, p. 74 1 Timoteo 1:10; 2 Timoteo 4:3; Tito 1:9; 2:1.
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un’alleanza solenne, consiste nella rivelazione della sua legge, ossia della sua volontà, al fine di farlo vivere.... La legge è “custode della resa libertà”, e traccia i confini che il popolo di Dio non può violare senza rompere il Patto di Alleanza e ricadere nella notte di un mondo senza Dio. Essa sottolinea marcatamente che tutta la vita deve essere sottomessa all’ordine divino».5 Nel giorno in cui si rievoca il dono divino offerto con potenza al Sinai, Dio si manifesta con l’invio dello Spirito Santo e inizia per gli apostoli la «pazzia della predicazione» annunciante al mondo lo scandalo della croce, cioè «il mistero della pietà: Colui che è stato manifestato in carne».6 Inserita in questo nuovo contesto evangelico la legge non solo «sopravvive... ma diventa la costituzione dei segnati della grazia, la costituzione dei cittadini del regno, il richiamo costante del valore di una vita vissuta sotto il segno della vittoria del Cristo e con la forza dello Spirito Santo».7 Lo Spirito Santo discende alla Pentecoste per scrivere nel cuore dell’uomo la legge di Dio, e scenderà ogni volta per compiere la stessa opera nei confronti di coloro che, avendo accettato la sua azione che convince di peccato e di liberazione, vorranno vivere nella libertà del Signore.8 Essi si svilupperanno seguendo la nuova legge che hanno nel cuore: la legge di Dio resa vivente dal nuovo patto. L’Evangelo si propaga nell’Impero Romano, in mezzo a difficoltà, ostilità, invidie d’ogni genere. Esso produce i suoi effetti e qua e là dall’aridità del mondo fa germogliare dei nuovi esseri ad una speranza viva in vista di una eredità incorruttibile.9 Si formano le prime comunità, si organizzano le chiese, il nome di Gesù Cristo viene lodato e gli uomini trovano la loro felicità nel riconoscere il Signore come loro Dio, Creatore e Salvatore. Se con la predicazione dell’Evangelo c’è il trionfo della Verità, l’azione seduttrice di Satana, principe di questo mondo, cerca di smantellare questo edificio spirituale, per far sì che il suo dominio sia universale. Ma Gesù aveva detto che le porte dell’Ades non avrebbero prevalso sulla sua Chiesa.10 Il martirio di Stefano e di Giacomo, l’imprigionamento dei vari apostoli: Pietro, Giovanni, Paolo, Barnaba e Sila, la reazione dei Giudei nei confronti della Chiesa di Gerusalemme, di Damasco, di Tessalonica, di Roma e di altre località, si rivelavano ancora come mezzi fecondi per ricondurre a Dio un maggior numero di persone. Pur non abbandonando questi sistemi, che in alcuni periodi si intensificheranno, altre forze cercarono di spostare la Chiesa dalle sue fondamenta, influenzandola e 4 Nelle liturgie della sinagoga, la Pentecoste è chiamata «festa della promulgazione della Legge», e tutto il rituale della festa è ispirato a questo significato. Anche nella letteratura talmudica la festa di Pentecoste è considerata come il memoriale della promulgazione della legge sul Sinai (Pesakh. 686); vedere, idem, t. II, p. 375. 5 DIÉTRICH Suzanne de, Il Piano di Dio, ed. Borla, Torino 1963, p. 59. 6 1 Corinzi 1:21; 1 Timoteo 3:16. 7 S. de Diétrich, o.c., pp. 64,65. 8 Ebrei 8:10; 10:16; Giovanni 16:8; Romani 6:4,5. 9 1 Pietro 1:4. 10 Matteo 16:18.
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seducendola con insegnamenti che le venivano dall’esterno e con errori che germogliavano al suo interno.
L’apostasia annunciata Durante il suo secondo viaggio missionario, Paolo raggiunge Tessalonica (49, 50 d.C.), città di antica tradizione storica, con una popolazione in prevalenza greca, ma con elementi romani ed ebrei. Città di commercio, di artigianato e con traffico marittimo. La predicazione di Paolo suscita un grande interesse e anche un’aspra reazione, tanto è vero che l’apostolo deve lasciare in fretta questa città, dove però aveva preso vita una comunità di credenti. Nel suo bisogno di comunicare con questa chiesa abbandonata a se stessa, Paolo le invia un suo collaboratore, il giovane discepolo Timoteo e, a seguito delle notizie ricevute, manda una lettera con la quale esprime i suoi sentimenti di sollecitudine per i fratelli. Nella sua epistola affronta vari problemi di quella comunità e alcune sue frasi relative al ritorno di Cristo vengono mal comprese. Alla domanda su cosa ne sarà dei credenti morti prima del ritorno del Cristo, Paolo insegna la risurrezione, ma la sua frase «noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore... »11 viene fraintesa, si crede che il ritorno di Gesù sia imminente, qualcuno cessa di lavorare e una vampata di fanatismo crea dei disordini. Qualche mese dopo l’apostolo fa pervenire alla comunità di Tessalonica una seconda lettera: «Perché sentiamo che alcuni si conducono... disordinatamente, non lavorando affatto, ma affaccendandosi in cose vane».12 Dopo aver scritto: «Ora, o fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto travolgere la mente, né turbare sia da ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche epistola data come nostra, quasi che il giorno del Signore fosse imminente», aggiunge: «Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia».13 Cos’è questa apostasia che Paolo menziona? Scrive il vescovo Anglicano T. Newton: «È evidente che l’apostasia descritta qui non è di natura civile, ma religiosa; non è una rivolta contro il governo, è una defezione che consiste nell’abbandono della vera religione, nell’allontanamento dalla fede del Dio vivente».14 L’abate G. Ricciotti precisa: «L’apostasia ben determinata 11
1 Tessalonicesi 4:15. 2 Tessalonicesi 3:11. 13 2 Tessalonicesi 2:1-3. II fatto che l’apostolo Paolo nella precedente lettera si sia identificato con coloro che sarebbero stati vivi quando Gesù sarebbe tornato, non voleva con questo dire che Gesù si sarebbe manifestato nel suo tempo. Nella sua seconda lettera questa credenza la smentisce chiaramente. Paolo si era semplicemente identificato con i vivi che attendevano il ritorno di Gesù per meglio mettere in risalto che i morti risuscitati non avrebbero perso nulla rispetto a loro. Del resto, nella sua prima lettera ai Corinzi, scritta nel 55, si identifica sia con coloro che saranno vivi (15:51,52) sia con coloro che saranno morti quando Gesù ritornerà (6:14), come pure fa nella seconda lettera (4:14) scritta nel 57 o nel 58. Paolo nel suo scritto usa quella forma letteraria che noi stessi adoperiamo quando parlando ci identifichiamo ora con un gruppo, ora con un altro, per aiutare a meglio capire il nostro pensiero. 14 NEWTON Thomas, Dissertation, vol. II, 5a ed., Northampton 1858, p. 366; cit. da VAUCHER Félix Alfred, L’Antichrist, Fides, Collonges sous Salève 1972, p. 28. Vedere 1 Timoteo 4:11; Ebrei 3:12. 12
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dall’articolo... è certamente un’apostasia religiosa non già politica»15; del resto, precisa il cattolico B. Rigaux: «Nel Nuovo Testamento il verbo ha conservato la sua accezione religiosa».16 Questo allontanamento della Chiesa cristiana dall’evangelo, non sarebbe esploso improvvisamente, bensì si sarebbe manifestato a seguito di una lenta metamorfosi, i cui sintomi erano presenti già nella Chiesa fondata dagli stessi apostoli, perché quando lo spirito di Dio agisce, contemporaneamente anche lo spirito dell’Avversario rinnova i suoi sforzi.
Sintomi di apostasia nella Chiesa apostolica Alla Chiesa, «colonna e base della verità»17, Satana ripropone gli errori di sempre: non accettare la sola grazia, ma acquistare il dono di Dio con del denaro18; adulterare la Parola di Dio19, alterare volontariamente gli insegnamenti dell’apostolo Paolo;20 speculare sulla fede mediante la filosofia e prospettare la funzione mediatrice di altri esseri come gli angeli;21 discutere se mangiare o non mangiare la carne in alcuni giorni della settimana;22 accettare l’insegnamento di un evangelo diverso da quello insegnato da Paolo;23 osservanze di giorni, di stagioni, di mesi e di anni;24 l’evangelo, che è liberazione, lo si cerca di strumentalizzare, si fa della pietà un mezzo di lucro;25 si vuole «dominare sull’eredità del Signore» che è la Chiesa;26 si tenta di primeggiare sui fratelli;27 si introducono prescrizioni e insegnamenti secondo la tradizione degli uomini;28 si perde di vista il compito e la funzione del credente in seno alla comunità e non si è più assidui alle riunioni abbandonando lo studio e l’ascolto delle Sacre Scritture;29 le false dottrine cercano di sgretolare il perno dell’evangelo: la divinità del Cristo;30 si parla di fede mentre si trascurano le opere che la dimostrano;31
15
RICCIOTTI Giuseppe, Gli Atti degli Apostoli e le lettere di S. Paolo, Milano 1958, p. 334. RIGAUX B. O.F.M., S. Paul, Les Épîtres aux Thessaloniciens, Paris 1956, p. 654; vedere Atti 15:38; 5:37; 19:9; Ebrei 3:12. 17 1 Timoteo 3:15. 18 Atti 8:20. 19 2 Corinzi 2:17; 4:2. 20 2 Pietro 3:16. 21 Colossesi 2:18. 22 Romani 14:2-15; Colossesi 2:21. 23 Galati 1:17. 24 Galati 4:10. 25 1 Timoteo 6:5; Tito 1:11; 1 Pietro 5:2. 26 1 Pietro 5:5. 27 3 Giovanni 9,10. 28 Colossesi 2:8. 29 Ebrei 10:25. 30 1 Giovanni 4:2. 31 Giacomo 2:14-17. 16
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l’osservanza e la validità della legge vengono poste in discussione,32 La linea di demarcazione tra paganesimo e cristianesimo viene confusa.33 Il pericolo della Chiesa non è quello di vivere nel mondo, ma quello che dei falsi apostoli e dei falsi profeti, come già avevano sedotto il popolo d’Israele, seducano i fedeli34 per farvi entrare l’andazzo del mondo. Paolo, sapendo che l’apostasia sarebbe stata guidata anche dagli stessi responsabili spirituali non convertiti, nel ‘58 ammonisce gli anziani di Efeso e di tutta quella regione radunati per salutarlo, dopo il suo lungo soggiorno in quella località, con queste parole: «Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la Chiesa di Dio, la quale egli ha acquistata col proprio sangue. Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi dei lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e di fra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trarre i discepoli dietro a sé».35 L’apostolo Paolo a più riprese scriveva a Timoteo: «Lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori, e a dottrine di demoni... Perché verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina, ma per prurito d’udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole»; mentre Pietro ricorda che come in Israele ci furono i falsi profeti, così tra i cristiani, saranno i falsi dottori.36
L’apostasia dà origine ad una nuova religione Al «mistero della pietà, Dio manifestato in carne», Satana contrappone «il mistero dell’iniquità».37 «Chi dice mistero, dice una religione»38 e questa religione è d’iniquità (in greco, anomia, negazione della legge) perché tende alla negazione del «così ha detto l’Eterno... l’Iddio tuo». La cristianità dei primi secoli lentamente abbandona la rivelazione di Dio per ergersi a religione umana. Vorremmo esporre qui di seguito l’apostasia della Chiesa cristiana su tre punti che caratterizzano ancora oggi il cristianesimo nel suo insieme, nella forma cattolica, ortodossa, protestante ed evangelica in genere. In questa cristianità apostata il Signore ha riconosciuto, attraverso i secoli, dei leali servitori i quali sono rimasti fedeli e coerenti alla luce dell’evangelo che è giunta fino a loro. Il Signore ha riconosciuto anche la sincerità del loro cuore perché, pur 32 33 34 35 36 37 38
Giacomo 2:10-12; Romani 3:31. Romani 12:1; 2Corinzi 8:14-18. 2 Pietro 2:1. Atti 20:28-30. 1 Timoteo 4:1; 2 Timoteo 4:3,4; 1 Pietro 2:1. 1 Timoteo 3:16; 2 Tessalonicesi 2:7. JURIEU Pierre, L’accomplissement des prophéties ou la délivrance prochaine de l’Eglise, Rotterdam 1686, p. 79. Quando la profezia diventa storia
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credendo ad insegnamenti errati, li hanno vissuti convinti che corrispondessero alla rivelazione di Dio. Ancora oggi vi sono leali e sinceri credenti, che vivono nell’errore. L’annuncio dell’evangelo nella sua verità è un invito ad accettare ciò che manca alla loro conoscenza per un’esperienza più completa con il loro Creatore. Cause dell’apostasia L’apostasia si è concretizzata perché la Chiesa ha avuto, attraverso i secoli, e fin dall’inizio, degli “specialisti” che hanno saputo comprendere i tempi, il popolo e soddisfare la sua religiosità servendo la divinità come voleva. La Parola di Dio è sempre stata scomoda alle persone non convertite e l’uomo fin dall’Eden, dal giorno della seduzione, ha cercato di andare oltre, al di là della grazia ricevuta. Spesso quelli che vengono chiamati i grandi della Chiesa, per rendere la Chiesa più accettabile, hanno voluto mettersi in sintonia con i tempi ed aggiornarsi con le speculazioni del loro presente secolo. Uomini con buone intenzioni hanno asservito la Chiesa di Dio alla religione dell’epoca. L’errore che 3400 anni fa il popolo d’Israele ha commesso con Aaronne, quando Mosè era sul monte Sinai a ricevere la legge da Dio, dopo l’uscita dall’Egitto, é stato perpetuato nei secoli ed è continuato nella Chiesa. Allora il popolo domandò ad Aaronne un dio che andasse davanti a lui e Aaronne, dopo aver invitato il popolo a spogliarsi dei suoi ornamenti (il popolo è sempre disposto a offrire i suoi tesori al proprio dio, sia esso vero o falso), cerca di salvare il culto all’Eterno facendo il vitello d’oro. Davanti a questo simulacro Aaronne dice: «O Israele questo è il tuo dio che ti ha tratto dal paese d’Egitto».39 Da quel giorno molti conduttori della Chiesa, come Aaronne, hanno marchiato come “fede cristiana” i desideri della carne sacralizzandoli con l’altare prima, il pulpito poi, a seconda del tempo, annunciando pubblicamente che si tratta di una «festa in onore all’Eterno».40 Il peccato commesso da Aaronne, come quello commesso dai successori degli apostoli, era più grave di un culto fatto alle divinità pagane dell’epoca di Baal, Astarte, Mitra, Diana, Giove, Marte, ecc., a causa dell’illusione data. Hanno allontanato i fedeli dalla Parola di Dio nel nome dell’Eterno. Non hanno condotto la cristianità agli idoli, ma hanno camuffato l’Eterno, coprendo l’idolatria umana col manto della Rivelazione. Mosè disceso dalla montagna richiamò il popolo alla confessione di fede e di fronte alla legge della grazia di Dio infranta, la Chiesa di allora vide in tutta la sua cruda realtà il proprio peccato.41 39 40 41
Esodo 32:4. Esodo 32:5. Vedere Esodo 32:1-24.
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Voglia Dio ancora oggi, tramite la Sua legge di libertà, richiamare la Sua Chiesa, gli eletti sedotti, alla fedeltà, prima che il giudizio purifichi in un sol giorno l’insieme dei Suoi fedeli. I tre punti con i quali vogliamo dimostrare che la cristianità si è allontanato dagli insegnamenti della Parola rivelata sono: - la sostituzione del giorno di riposo; - la dottrina dei demoni o culto ai morti o immortalità dell’anima; - il battesimo e suo significato.
I. Sostituzione del giorno del riposo Importanza della legge di Dio Se l’opera dei profeti può essere riassunta nelle parole di Isaia: «Alla legge alla testimonianza, se il popolo non parla così non ci sarà per lui nessuna aurora»42, la predicazione apostolica è identica, come pure quella della Chiesa al tempo della fine. Gesù non venne per abolire la legge, anzi per confermarla in tutta la sua completezza, realizzandola e aiutando i credenti a viverla.43 L’insegnamento apostolico è unanime: «la legge è santa ed il comandamento è santo, giusto e buono».44 Paolo non contrappone mai la fede alla legge, ma la legge della fede alla legge delle opere ribadendo l’osservanza della legge con le parole: «Annulliamo noi dunque la legge mediante la fede? Così non sia, anzi, stabiliamo la legge».45 L’osservanza del Decalogo, scritto da Dio stesso su tavole di pietra sul Sinai, quale manifestazione della Sua volontà e della Sua eterna permanenza, è confermata anche da Paolo nella prima lettera ai Corinzi, dove si legge: «La circoncisione è nulla e la incirconcisione è nulla; ma l’osservanza de’ comandamenti di Dio è tutto». L’apostolo Pietro conferma questo insegnamento scrivendo: «Avendo purificate le anime vostre coll’obbedienza alla verità».46 Quale è questa verità? Per un ebreo la verità non era qualcosa di speculativo, filosofico; la verità era una norma, era un principio: «La tua legge è verità, e tutti i tuoi comandamenti sono verità».47 Per l’apostolo Giacomo la legge di Dio è perfetta ed «è la legge della libertà» e «chiunque avrà osservato tutta la legge e avrà fallito in un sol punto, si rende colpevole su tutti i punti»48, perché violare la legge significa manifestare per principio il sentimento di indipendenza da Colui che l’ha dato e che la introduce con: «Io sono l’Eterno, il tuo 42 43 44 45 46 47 48
Isaia 8:20. Matteo 5:17,18. Vedere nota n. 270, pp. 111,112. Romani 7:12. Romani 3:31,27. Esodo 24:12; 31:18; 32:16; 34:1,28; Deuteronomio 10:2. 1 Corinzi 7:19. 1 Pietro 1:22. Salmo 119:142,151. Giacomo 1:25; 2:12; 2:10. Quando la profezia diventa storia
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Dio».49 Significa essere animati dallo stesso sentimento dell’Avversario, cioè sottrarsi per poco o per molto a ciò che Dio ha detto, non vivere più della Sua Parola, cioè dalla sua grazia. È per la fede in Gesù Cristo che la legge di Dio prende vita nel cuore del credente. «Da questo conosciamo che amiamo i figlioli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. Perché questo è l’amore di Dio: che osserviamo i suoi comandamenti».50 Non sono forse la mancanza di amore nei confronti di Dio e la scarsa fiducia in quello che ha detto per noi alla base della rivolta dell’uomo contro l’Eterno e dell’oppressione dell’uomo sull’uomo? Il profeta Isaia ci ricorda: «Così parla l’Eterno, il tuo redentore... Io sono l’Eterno, il tuo Dio, che t’insegna per il tuo bene, che ti guida per la via che devi seguire. Oh fossi tu pur attento ai miei comandamenti! La tua pace sarebbe come un fiume, e la tua giustizia, come le onde del mare».51 «Il Nuovo Testamento tutto intero suppone o proclama il valore permanente della legge, come espressione della santa volontà di Dio».52 Predicare la salvezza per grazia significa predicare la liberazione dal giogo del peccato. «La grazia quale essa è manifestata nell’Evangelo, è l’omaggio più chiaro, la consacrazione più solenne che possa ricevere la legge... La croce, il trionfo della grazia, è il trionfo della legge».53 «La grazia non è il permesso d’infrangere qualche regolamento arbitrario, ma piuttosto la possibilità di obbedire alla volontà “buona, accettevole e perfetta” di Dio essa è “la grazia di poterlo servire”54 e non di ridercene di Lui... L’Evangelo senza la legge non è che un pio sogno... Tutta la grazia è obbedienza, e tutta l’obbedienza è grazia».55 «Stabilire la legge, ecco l’opera per eccellenza, ecco il miracolo dell’Evangelo. Che cosa è un cristiano? Un uomo nel quale la legge è stabilita, è un uomo che ama fare da oggi in poi tutta la volontà di Dio; in altri termini è un uomo che è nato di nuovo... Il cristiano non è più sotto la legge; ma egli è più che mai con la legge. Mai essa gli era apparsa così santa, così preziosa, così obbligatoria...».56 Sia i cattolici che i protestanti esaltano il Decalogo quale manifestazione della volontà di Dio. 49 50 51 52
Esodo 20:2. 1 Giovanni 5:2,3. Isaia 48:17,18. BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, 3a ed. rivista e ampliata da SCHRŒDER Alfred, Lausanne 1905, p.
266. 53 54 55 56
VINET Alexander, Discours sur quelques sujets religieux, 5a ed., 1853, p. 113. Luca 1:4. PURY Roland de, prefazione di AA.VV., L’Ordre de Dieu, Neuchâtel 1946, pp. 7,8. GASPARIN Agénor conte de, Paraboles de vérité, 1876, pp. 7,8.
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La legge di Dio esaltata dai cattolici
Nel Dictionnaire Encyclopédique de Théologie Catholique leggiamo: «La legge, espressione della santa volontà di Dio, è eterna, come Dio è eterno; essa è assolutamente obbligatoria per il cristiano. Ha tutto il suo valore nell’Evangelo».57 «Le leggi del decalogo sono in fondo più antiche di Mosè; esse sono fondate sulla natura umana e sul suo destino e non su delle relazioni variabili, delle circostanze passeggere, e i diversi gradi di cultura ai quali l’uomo può pervenire. È appena necessario far notare che il decalogo ha conservato tutta la sua forza nel cristianesimo, e il concilio di Trento (sessione VI can. 19) pronuncia espressamente l’anatema contro coloro che pretendono che il decalogo non concerni il cristiano».58 Si legge nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica: «Fedele alla Scrittura in conformità all’esempio di Gesù, la Tradizione della Chiesa ha riconosciuto al Decalogo un’importanza ed un significato fondamentali. Il decalogo costituisce un’unità organica in cui ogni “parola” o “comandamento” rimanda a tutto l’insieme. Trasgredire un comandamento è infrangere tutta la legge. Quanto Dio comanda lo rende possibile con la sua grazia».59
La legge di Dio esaltata dai riformatori
I grandi riformatori hanno scritto nei confronti del decalogo: «La legge non è nient’altro che la rivelazione della volontà di Dio. Poiché la volontà di Dio è eterna, la legge lo è anche», così diceva Zwingli.60 Lutero, preoccupato di salvaguardare la libertà cristiana, a volte ha fatto delle affermazioni avventate e imprudenti che i suoi avversari hanno preso per accusarlo, ma parlando di Johann Agricola (Schneider) ha detto: «Togliendo la legge, egli toglie anche l’Evangelo; egli trae la nostra credenza dal fermo appoggio della coscienza, per sottometterla ai capricci della carne».61 Nel 1530 dichiarava: «Eccomi diventato discepolo del decalogo. Io comincio a comprendere che il decalogo è la dialettica dell’Evangelo, e l’Evangelo la retorica del decalogo».62 57
RIESS Florian, Antinomisme, in Dictionnaire Encyclopédique de la Théologie Catholique, t. I, 3a ed., Paris 1886, p. 360; cit. da VAUCHER Félix Alfred, Décalogue, p. 40. 58 WELTE Benedickt, Décalogue, in idem, t. VI, Paris 1869, p. 105; cit. A.F. Vaucher, idem, pp. 40,41. 59 AA.VV., Catechismo della Chiesa Cattolica - testo integrale e commento, ed. Piemme, Casale Monferrato 1993, art. 2078,2079,2082, pp. 390. 60 ZWINGLI Huldrych, Brève instruction chrétienne, 1523, Genève 1953, p. 14; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 41. 61 LUTHER Martin, Mémoires, ed. Michelet, t. II, p. 159; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 41. 62 Idem, p. 285; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 41. Quando la profezia diventa storia
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Calvino, che ha trattato la legge nei capitoli VII, VIII e IX del suo secondo libro dell’Istituzione Cristiana, la esaltava e scriveva tra l’altro: «Quando il Signore Gesù dice che non è affatto venuto per abolire la legge, ma per compierla, e che non passerà una sola lettera fino a che cielo e terra non passeranno, che tutto ciò che è scritto si compia: in ciò dimostra che con la sua venuta la riverenza e l’obbedienza della legge non è in nulla diminuita».63
Il Decalogo preesistente al Sinai Il Decalogo, sebbene Dio l’avesse dato dopo l’esodo dall’Egitto, preesisteva a quel periodo. Al Sinai Dio non fa altro che codificare la Sua legge e tutte quelle prescrizioni che Mosè mette per iscritto sono ciò che i patriarchi dal tempo di Adamo si trasmettevano oralmente. Di Abrahamo Dio dice: «Ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato, i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi».64 Davide invita il figlio Salomone a mettere in pratica le stesse cose: «Comandamenti, statuti e leggi» che Mosè ha scritto nella legge e per questo motivo prega il Signore affinché dia a suo figlio un cuore ben disposto.65 Prima che la legge venisse promulgata al Sinai il testo sacro riportava già il principio di ognuno dei dieci comandamenti.66 Importanza del IV comandamento67 Circa i comandamenti: «Non uccidere», «non commettere adulterio», «non rubare», «non dire falsa testimonianza», non ci sono problemi perché tutti, sia cattolici che protestanti, li accettano, fanno parte dei principi morali universali. Il dissenso è sul IV comandamento. «Ricordati di santificare il giorno del sabato. Per sei giorni lavorerai, ed attenderai a tutte le tue opere. Ma il settimo giorno è il sabato del Signore Dio tuo; in esso non farai alcun lavoro, né tu, né il tuo figliolo, né la tua figliola, né il tuo servo, né la tua ancella, né il tuo giumento, ed il forestiero che si trova fra le tue porte. In sei giorni infatti il Signore fece il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che è in
63
CALVIN Jean, Institution chrétienne, t. II, Genève 1955, p. 120; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 43. Genesi 26:5. 65 1 Cronache 29:19; 1 Re 2:3. 66 I°: Genesi 3:1-6; 2°: Genesi 35:1-4; 3°: Esodo 32:4-6,21; 4°: Genesi 2:2,3; Esodo 16; 5°: Genesi 9:22,23; 6°: Genesi 4:6-9; 7°: Genesi 39:7-9; 8°: Genesi 30:33; 9°: Genesi 4:9; 12:18; 10°: Genesi 3:6. 67 Per una più ampia esposizione del significato del IV comandamento vedere il nostro Capitolo XVI. 64
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essi, e nel settimo giorno si riposò; per questo, benedisse il giorno del sabato e lo dichiarò santo».68 «Il fatto che il sabato occupi un posto così considerevole nel decalogo, che il linguaggio di questo quarto comandamento sia così solenne, e che questo comandamento sia ripetuto molte volte nell’Antico Testamento, mostra che si tratta di un’istituzione assolutamente centrale nella vita del popolo di Dio».69 Gesù in polemica con i farisei, non sulla validità della santificazione del sabato, ma sul come santificarlo, affermava: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato; perciò il Figlio dell’uomo è Signore anche del sabato».70 Dio fin dall’Eden (e quindi molto prima del Sinai e della formazione del popolo d’Israele) ha offerto all’uomo un dono che gli ricordi la sua origine e il fatto che la sua esistenza è legata al Creatore. Questo dono Iddio lo ha fatto all’uomo e «per l’uomo vuol dire: non per un tempo, un paese, un popolo, ma per l’uomo di tutti i tempi, di tutti i popoli, di tutti i paesi»71 e «il sabato è fatto per l’uomo, per il suo bene, per il suo riposo, per lo sviluppo della sua vita interiore e per gli interessi supremi della sua anima».72 «Come il mondo nel riposo sabbatico di Dio ha raggiunto il suo ultimo perfezionamento, così l’uomo deve, mettendosi a disposizione di Dio al sabato, testimoniare che la sua esistenza è legata a Lui».73 È per questo motivo che il comandamento inizia con l’ordine: «Ricordati». Gesù dice che in questo giorno ha posto il segno della Sua signoria. Rivendicando il Suo titolo di Signore e padrone del sabato, non vuole attribuirsi il diritto di distruggerlo, modificarlo, bensì quello di difenderlo, sia contro le trasgressioni sia nei confronti delle deformazioni. Gesù è il Signore del sabato perché è Lui che lo ha creato essendo l’artefice della creazione. Presentandosi come Signore del sabato ci ricorda che è il Signore delle nostre persone e del nostro tempo. Era con l’osservanza del sabato che Israele prima e la cristianità poi avrebbero dimostrato al mondo di appartenere a un Dio che è il Creatore dell’Universo. «Il sabato è menzionato 58 volte nel Nuovo Testamento, sempre con il suo carattere specifico di giorno sacro consacrato al riposo, al culto e a degli atti di misericordia».74 «Il Signore e gli apostoli hanno... distinto, onorato, solennizzato il giorno di riposo».75 68
Esodo 20:8-11. W.A. Visser’t Hooft in AA.VV., o.c., p. 50. 70 Marco 2:27,28; Matteo 12:8. 71 GODET George, Le bon droit du dimanche, Neuchâtel 1893, p. 44. 72 L. Bonnet, o.c., t. I, Les Evangiles, p. 262. 73 SCHEDL Claus, Storia del Vecchio Testamento, vol. I, Roma 1963, p. 22. 74 LEWIS Abram Herbert, A Critical History of the Sabbath and the Sunday, 2a ed., Plainfield, New Jersey, 1903, p. 4; cit. da A.F. Vaucher, Le jour du repos, ed. 1963, p. 23. 75 GUERS Émile; cit. da VUILLEUMIER Jean, Le jour de repos à travers les âges, p. 5. 69
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A coloro che traggono un argomento per la non osservanza di questo comandamento dall’assenza, nel Nuovo Testamento, di ordini positivi riguardo al sabato, si può rispondere con Galley: «Noi non possiamo domandare all’Evangelo una nuova promulgazione del quarto comandamento, poiché sarebbe una negazione implicita della sua autorità anteriore. Nessun comandamento è nuovamente promulgato dall’Evangelo se non con questa parola del Maestro: “Io non sono venuto per abolire la legge e i profeti, ma adempierli”. Ma mentre il Nuovo Testamento contiene delle raccomandazioni formali di osservare diversi altri comandamenti, il sabato non è sanzionato che dall’esempio di Gesù e degli apostoli, e dalle testimonianze indirette che essi gli rendono nel loro linguaggio».76 Possiamo anche 76
GALLEY Émile, Le Dimanche est d’institution divine, Lausanne 1872, p. 58; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 28. Vedremo qui di precisare il significato di due testi di Paolo che, non capìti, sono all’origine di malintesi. Romani 14:5,6. Nel capitolo 14 di questa epistola l’apostolo parla di un problema che divideva la Chiesa in due fazioni. C’era chi voleva digiunare, astenendosi dalla carne in alcuni giorni della settimana per realizzare e manifestare una maggiore spiritualità, e altri che contrariavano questo atteggiamento, considerandolo non importante per lo sviluppo morale del credente. La pratica del digiuno era comune in tutto il mondo ed era usata anche in Israele: «Io digiuno due volte la settimana» Luca 18:12. Ora questo digiuno veniva fatto in giorni particolari della settimana. Nella Didachè, uno scritto del 150 d.C., si legge al capitolo 8: «Che i vostri digiuni non siano nello stesso tempo di quelli degli ipocriti: essi digiunano il II e il V giorno (cioè il nostro lunedì e giovedì) della settimana, mentre voi digiunate il IV giorno (nostro mercoledì) e il giorno della preparazione (preparazione al sabato, cioè il nostro venerdì) Luca 23:23-24». La Didachè citata a sostegno della non più validità dell’osservanza del sabato, IV comandamento, trova in questo passo una indiretta testimonianza. Il brano menzionato sopra presenta dei giorni considerati più atti al digiuno che all’osservanza di un giorno particolare di riposo, come espresso dal IV comandamento. Ciò è stato riconosciuto fin dai primi secoli e anche da esegeti moderni. Quindi «tutti i giorni sono uguali», hanno lo stesso valore per il digiuno, che consiste nel mangiare solamente verdure. «Colui che stima un giorno più d’un altro, vede certi giorni come impropri a certe azioni o altri come esigenti certe prestazioni o certe astinenze... È abbastanza chiaro dal contesto che si tratta di astinenze. È ciò che hanno compreso quasi tutti gli antichi, pure coloro che vedevano nei deboli i giudeo cristiani: Origene, Crisostomo, Teodoreto, Ambrosiaste, Pelagio, lo pseudo Primasio, Tommaso... Se si esclude S. Gerolamo, che difendeva il digiuno contro Gioviniano,... gli antichi hanno riconosciuto a proposito dell’osservanza dei giorni, che Paolo indicava, delle pratiche ascetiche» LAGRANGE Albert M.H., Épître aux Romains, 3a ed., Paris 1922. «Certi fanno distinzione fra i giorni. Niente indica qui che si tratta di giudaizzanti, non si troverà qui un’allusione al sabato, ma a delle pratiche d’astinenza o di digiuni fissati in date regolari» LEENHARDT Franz J., Épître de S. Paul aux Romains, Neuchâtel-Paris 1957, p. 196. La Bible de Jérusalem, ed. fascicoli, in nota scrive: «In base al contesto si tratta di cristiani ai quali una fede insufficientemente illuminata non dà delle convinzioni così ferme per agire con una coscienza sicura (versetti 2,5,22). Essi si sentono obbligati in certi giorni (versetto. 5), forse in forma permanente (versetto 21) ad astenersi dalla carne o dal vino (versetto 2,21); pratiche ascetiche conosciute nel mondo pagano (Pitagorici) e nel mondo giudaico (Esseni)». Colossesi 2:16. Due spiegazioni. La prima. La morte di Gesù ha inchiodato alla croce la nostra dichiarazione di condanna. La salvezza ha unito il credente a Cristo e quindi per l’uomo convertito non c’è più nessuna condanna (Romani 8:31). Ciò che viene inchiodato alla croce non è la legge ma l’atto di accusa. Nel brano che viene citato, il sabato è indicato come l’ombra di cose che dovevano venire. Allora, si sostiene, il IV comandamento, essendo un’ombra di cose che devono venire, per quale motivo lo si deve ancora osservare? Prima di concludere nel dire che il sabato, IV comandamento, faceva parte della legge morale e quindi non viene abolito, questo passo, se riguarda il sabato IV comandamento, è in relazione al suo aspetto cerimoniale, come hanno sostenuto numerosi teologi. «Feste, noviluni e sabati» indicano, come nei passi dell’Antico Testamento (1 Cronache 23:31; 2 Cronache 2:4; 31:3; Osea 2:11), le grandi feste annuali, mensili e settimanali. «L’apostolo indica tre aspetti delle feste giudaiche: prima di tutto, le grandi solennità di Pasqua, di Pentecoste, e dei Tabernacoli; poi le feste mensili, e infine i sabati settimanali» L. Bonnet, o.c., vol. III, 3a ed., 1892, p. 458. Sebbene esegeti cattolici e protestanti abbiano visto nel sabato menzionato l’indicazione di una festa religiosa settimanale distinta dal IV comandamento, (il nome sabato significa riposo, cessazione e viene attribuito ad ogni festa), crediamo più corretto dire che questa espressione di S. Paolo sia inerente al IV comandamento, 7o giorno della settimana. Questo non vuole dire che l’apostolo invalidi l’osservanza del sabato IV comandamento, ma considera come superato ciò che nell’osservanza di questo
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comandamento è un’ombra di ciò che doveva venire. «Nel sabato della dispensazione mosaica c’era, accanto all’aspetto morale, un aspetto cerimoniale e un aspetto giudiziario» SCOTT Thomas, The Holy Bible, vol. VI, Boston 1853, p. 372. È questo aspetto che il sacrificio di Cristo ha realizzato e compiuto (vedere Numeri 28:9,10). Quindi Paolo voleva dire: «Che nessuno vi faccia osservare delle feste, dei noviluni o anche il sabato. In se stesse, queste cose, quali esse sono presentate dai falsi dottori, separati da Cristo, non sono che delle ombre di ciò che doveva avvenire; e ciò che doveva seguire non era un’ombra vana ma la sostanza, cioè Cristo. - Paolo vuole semplicemente mostrare che non c’è nessun vantaggio a osservare dei riti e delle cerimonie, perfino anche il sabato settimanale, se nello stesso tempo si rigetta il Cristo» RICHARDSON William Edwin, A study of the historical Background and the Interpretation of Colossien 2:14-17, tesi dell’Università Andrews, Berrien Springs, Michigan, 1960, pp. 79, 81. Del resto tutta l’epistola è una esaltazione del Cristo «nel quale tutti i tesori della sapienza e della conoscenza sono nascosti. Poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità» (Colossesi 2: 3, 9). Paolo ripete le parole di rimprovero del profeta Isaia (1:13,14) e di Osea (2:11) di fronte ad una manifestazione religiosa con l’osservanza di feste, noviluni e sabati ma disgiunta dall’accettazione completa dell’Eterno. Nella lunga lettera d’Ignazio ai Magnesiani si legge: «Noi non dobbiamo osservare il sabato giudaizzando e rallegrandoci di essere oziosi... Ma che ognuno di voi osservi il sabato spiritualmente, godendo della meditazione della legge, non del riposo corporale». Il «non più sabatizzare» significa osservare il sabato non alla maniera giudaica, contro la quale Gesù stesso ha polemizzato a varie riprese con i farisei, ma secondo l’esempio del come santificarlo. Del resto il IV comandamento, come è formulato nel Decalogo, non è un’ombra di qualcuno che deve venire, bensì un ricordo di qualcosa che si è compiuto nel passato: la creazione. A questa spiegazione crediamo sia opportuno aggiungerne una seconda che, sebbene forse più difficile, riteniamo risponda meglio al testo biblico. Traiamo queste considerazioni dall’aggiunta che BACCHIOCCHI Samuele ha fatto alla sua tesi di laurea alla Gregoriana di Roma, Un esame dei testi biblici e patristici dei primi quattro secoli allo scopo d’accertare il tempo e le cause del sorgere della domenica come giorno del Signore, aprile 1974, dopo essere rientrato negli Stati Uniti. Stabilire il background storico-religioso dell’eresia colossese non è facile, poiché le allusioni ermetiche e concetti quali: «tradizione» 2:8, «pienezza» 2:9,10, «filosofia» 2:8, «mangiare e bere» 2:16, «principati e potestà» 2:15, «elementi del mondo» 2:8,20, corrispondono a concetti sia del «giudaismo antico», sia del «sincretismo ellenistico», vedere DUPONT Jacques, Gnosis: La Connaissance Religieuse dans les Épîtres de S. Paul, 1949, pp. 256,489-493. L’insegnamento che Paolo contesta nella lettera ai Colossesi è caratterizzato da un errore teologico e pratico. Teologicamente, la «filosofia» colossese si trova in contrasto con Cristo per diversi aspetti. La sua fonte di autorità, secondo Paolo, era una «tradizione» e il suo scopo era di insegnare la vera «saggezza» 2:3,32, «conoscenza» 2:2,3; 3:10 e «comprensione» 1:9; 2:2. Per raggiungere tale conoscenza i cristiani erano spinti a rendere omaggio ai principati cosmici 2:10,15 e agli «elementi del cosmo» 2:8,18,20. Che cosa Paolo intenda con questa ultima frase è ancora molto dibattuto. La maggior parte degli esegeti moderni comunque ha adottato un’interpretazione personificata degli stoicheia (specialmente in base al testo parallelo di Galati 4:3,9; confr. 3:19) identificandoli con i mediatori angelici della legge (Atti 7:53; Galati 3:19; Ebrei 2:2) e con gli dèi astrali pagani ai quali si attribuiva il controllo del destino dell’umanità. Vedere BULTMANN R.K., Theology of the New Testament, 1961; WHITELY D.E.H., The Teology of S. Paul, 1964, p. 25. Per ottenere la protezione di questi poteri e principati cosmici, i «filosofi» colossesi sollecitavano i cristiani ad offrire un’adorazione cultuale ai poteri angelici (2:15,18,19,23) e a seguire pratiche ritualistiche e ascetiche (2:11,14,16,17,21,22). Comportandosi in questo modo si credeva di accedere meglio e di partecipare alla divina «pienezza» 2:9,10; confr. 1:19. L’errore teologico quindi consisteva fondamentalmente nel frapporre dei mediatori inferiori come gli angelici al posto del Capo stesso (2:9,10,18,19). Risultato pratico di queste speculazioni teologiche era l’insistenza su uno stretto ascetismo e ritualismo. Questo consisteva nello «spogliare il corpo della carne» 2:11 (che significava evidentemente una separazione dal mondo) - la frase suggerisce la pratica dei culti mistici quando, nel rito di iniziazione, il devoto si toglie gli abiti e fa un bagno di purificazione. Vedere LOHSE Edward, A Commentary on the Epistles to the Colossian and to Philemon, 1972, p. 102, nota 3 - un trattamento severo del corpo (2:23), la proibizione di assaggiare o toccare certi cibi o certe bevande (2:16,21) e l’accurata osservanza di giorni sacri, di feste stagionali, di noviluni, di sabati (2:16). I cristiani presumibilmente erano portati a credere che, sottomettendosi a queste pratiche ascetiche, non abbandonassero la loro fede in Cristo, ma piuttosto ricevevano una ulteriore protezione ed erano così assicurati al pieno accesso della pienezza divina. Questo può essere dedotto sia dalla distinzione fatta da Paolo tra il vivere «secondo gli elementi del cosmo» e «secondo Cristo» 2:8, sia dall’insistenza dell’apostolo sulla supremazia del Cristo incarnato nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della deità» 2:9, e perciò i cristiani ottengono «la pienezza» della vita, non attraverso gli elementi del cosmo, ma attraverso Cristo, «che è il capo di ogni potestà e autorità» 2:10; confr. 1:15-20; 3:3. Sulla base di queste semplici linee possiamo stabilire che il sabato è menzionato nella lettera, non nel contesto di una discussione diretta sull’obbligo della legge, ma piuttosto nel contesto di credenze e pratiche sincretistiche, che
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incorporano elementi del Vecchio Testamento, senza dubbio per avere una giustificazione dei loro principi ascetici (Vedere CAIRD A.B., Paul’s Letters from Prison, 1976, p. 198). Cosa viene inchiodato alla croce? I falsi maestri stavano «ingannando» 2:4 i cristiani spingendoli a credere che l’osservanza di «regole» era necessaria per cercare la protezione di quegli esseri cosmici che erano reputati capaci di aiutarli ad essere partecipi della completezza e della perfezione della divinità. Opponendosi a questo insegnamento, Paolo enfatizza due verità vitali. In primo luogo egli ricorda ai Colossesi che in Cristo, e in lui solo, «abita corporalmente la pienezza della deità» 2:9 e che perciò ogni altra forma di autorità esistente è subordinata a lui, «che è il capo di ogni potestà e autorità» 2:10. In secondo luogo l’apostolo riafferma che è solo “in” e “attraverso” Cristo che il credente può «pervenire alla pienezza di vita» 2:10, perché Cristo non solo possiede la «pienezza della deità», ma provvede pure alla pienezza «della redenzione» e al «perdono dei peccati» 1:14; 2:10-15; 3:1-5. Per spiegare come Cristo elargisca la «perfezione» 1:28; 4:12 e «la pienezza» 1:19; 2:9 al credente, Paolo, come WEISS Harold ha convincentemente mostrato, «non ricorre alla legge ma al battesimo» (The Law in the Epistle to the Colossians, in The Catholic Biblical Quarterly, p. 305). Questo fatto rappresenta una variazione significativa, visto che la spiegazione del significato della legge è spesso parte integrante della presentazione del Vangelo fatta da Paolo, anche se in tutto il capitolo 2 di Colossesi il «termine “legge” nomos sia assente... dalla controversia» E. Lohse, o.c., p. 116. Weiss (o.c., p. 307) sottolinea similmente: «Desidero... ripetere quello che fu detto all’inizio: in tutta l’epistola la parola legge non è mai usata. Non solo, ma tutto il rilievo della legge, che appare inevitabile per Paolo quando presenta il suo vangelo, è completamente assente». Ciò conferma quanto abbiamo detto precedentemente, e cioè che l’eresia colossese non era basata sul legalismo giudaico abituale, ma piuttosto su un certo tipo di regole (dogmata) ascetiche e cultuali inusitate (sincretistiche), che minano la onnisufficienza della redenzione operata da Cristo. I benefici del battesimo sono presentati concretamente come il perdono di «tutte le nostre trasgressioni» 2:13; 1:14; 3:14, che ha come conseguenza l’essere «fatti vivere» in Cristo (2:13). Che cosa intendeva Paolo per cheirografon (termine usato nell’antichità nel senso di «accordo scritto» o di «certificato di debito»? MOULTON-MILLIGA, The Vocabulary of the Greek Testament, 1929, p. 687. Oltre alle difficoltà grammaticali, «sembra difficilmente paolino», scrive HUBY J., Saint Paul: Les Épîtres de la captivité, 1974, p. 73, «rappresentare Dio come crocifiggente quella “sacra” cosa (Romani 7:6) che era la legge mosaica». Ma cancellare la legge morale significa lasciare l’umanità senza principi morali. La colpa non è eliminata distruggendo il codice legale. «Nel giudaismo la relazione tra l’uomo e Dio era spesso descritta tra un debitore e il suo creditore» E. Lohse, o.c., p. 108. Per esempio un rabbi diceva: «Quando un uomo pecca, Dio registra il debito di morte. Se l’uomo si pente, il debito è cancellato (cioè dichiarato nullo). Se egli non si pente, quello è annotato come rimanente autentico (valido)» Tanhuma Midrash, 140b. Nell’Apocalisse di Elia si trova la descrizione di un angelo che tiene un libro, chiamato esplicitamente cheirografon, in cui sono ricordati i peccati del veggente. Sulla base di questi e di altri esempi, è abbastanza ovvio che cheirografon è o un «certificato di indebitamento dovuto al peccato» o il «libro in cui si ricordano i peccati» ma non la Legge di Mosè, poiché quest’ultima, come è saggiamente sottolineato da Weiss, «Non è un libro di ricordi» Idem, p. 302. Distruggendo il ricordo dei peccati, Dio toglie la possibilità dell’accusa che sempre è rivolta contro quelli che hanno peccato. Vedere la promessa simile in Isaia 43:25. Sulla croce Dio ha cancellato i nostri peccati e ci ha garantito un pieno perdono. Non si discute qui, quanto riguarda «il mangiare, il bere» come dice LENSKI R.C.H. (The Interpretation of St. Paul’s Epistles to the Thessalonians, to Timothy, to Titus and to Philemon, 1946, p. 123), di «cibi e bevande adatti o inadatti, essendo alcuni puri e altri impuri, ma di regole su quando mangiare e bere e digiunare». «Non è questione di distinguere tra puro e impuro come raccomandato in Levitico 11, ma della pratica del digiuno secondo il costume degli asceti pagani» HUGEDÈ Norbert, Commentaire de l’Épître aux Colossiens, Labor et Fides, Genève 1968, p. 143. «La questione non è affatto quella della distinzione tra cibo legale e illegale, ma tra mangiare e bere o l’astinenza. Nella sua mente c’è il problema dell’ascetismo piuttosto che quello della purezza rituale» PEAKE A.S., The Epistle to the Colossians - Expositor’s Greek Testament, 1942, p. 530. «Non toccare, non assaggiare, non maneggiare», restrizioni ascetiche tese a promuovere «un rigore devozionale e umiltà e severità verso il corpo» 2:23, sono estranei agli insegnamenti legali giudaici. Normalmente tali insegnamenti sorgono da una concezione dualistica della vita che nega alla parte materiale del mondo e del corpo umano di giungere ad un grado di santità più alto. «Nessuno continui a giudicarvi» non significa condannare, ma esprimere un’opinione. «Quello che egli dice è che l’osservanza (o, implicitamente, la non osservanza) non costituisce la base su cui qualcuno possa sedere per giudicare i Colossesi» LUKYN Williams A., The Epistles of Paul the Apostle to the Colossians and to Philemon, 1928, p. 103. Concludiamo quindi che nel versetto 16 l’ammonizione non è contro il sabato, feste e leggi alimentari, ma invece contro coloro che pretendono che queste pratiche siano un aiuto indispensabile per raggiungere la perfezione cristiana e una protezione necessaria dagli «elementi del cosmo», negando così la onnisufficienza di Cristo. MARTIN Ralph P. (Colossians and Philemon, New Century Bible, 1974, p. 19), scrive: «La regola principale deve essere sottolineata. Paolo non sta condannando l’uso di giorni o di stagioni sacre... Quello che lo spinge qui è il motivo errato
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aggiungere che il Nuovo Testamento, non riportando espliciti insegnamenti sull’osservanza del IV comandamento, dimostra che esso era osservato in tutta la cristianità di origine ebraica e di origine gentile. Se così non fosse stato, avremmo avuto nel testo biblico delle testimonianze di conflitto nella comunità, come ci sono state per altre osservanze.
L’osservanza del Sabato nei primi cinque secoli dopo Cristo
dell’osservanza di feste sacre è fatta diventare parte del culto promosso a Colosse all’indirizzo degli elementi del cosmo, i poteri astrali che dirigono la corsa delle stelle e regolano il calendario. E così essi devono essere placati». Perché queste pratiche possono essere considerate un’«ombra»? Quindi accettati da Dio in un certo tempo e rigettati poi? La spiegazione più plausibile è che Paolo non sta discutendo intorno all’origine, alla forma e alla legittimità di queste osservanze, ma che egli invece ammette un loro valore, evidentemente perché riconosceva in esse l’espressione di nobili e sincere - sebbene traviate - aspirazioni spirituali. Quello che l’apostolo fa, comunque, è porre queste osservanze nella prospettiva di Cristo, attraverso il contrasto «ombra-corpo». È possibile che il contrasto ombra-corpo che deriva da Platone (Repubblica 7, 514a-517a; 10; 596; Timeo, 46c; 71b), fosse usato dai filosofi colossesi per insegnare che «la realtà piena» (pleroma) poteva essere raggiunta solo venerando «le ombre», soprattutto gli angeli e gli elementi del cosmo, per mezzo di un regime ascetico. Se così fosse, Paolo risponderebbe al loro insegnamento dando, al contrasto proposto da loro, un orientamento cristologico. Come nella lettera ai Romani 14 Paolo non condanna gli scrupoli dietetici di alcuni fratelli, ma esorta piuttosto ad averli «in onore del Signore» 14:16 e riconosce in questo loro atteggiamento una funzione positiva, così, in questa lettera ai Colossesi, Paolo dice che non solo l’osservanza dei giorni sacri, ma anche gli scrupoli alimentari possono fungere da ombra, preparando i cristiani per la realtà del mondo a venire. Paolo in Colossesi 2:16 non sta condannando l’astinenza dai cibi e dalle bevande, o la pratica dell’osservanza di giorni sacri, come il sabato, ma le motivazioni sbagliate di queste osservanze. Ciò che Paolo combatte è la promozione di queste pratiche come aiuti ausiliari per la salvezza, e mezzi per ottenere la protezione degli «elementi cosmici». Il sabato che Paolo presenta può essere l’osservanza del VII giorno della settimana, IV comandamento, ma non nello spirito dell’evangelo. Nel contesto dell’eresia di Colosse sembra che il sabato sia stato osservato non come un segno della creazione, dell’elezione o della redenzione, ma come afferma E. Lohse, «a causa degli elementi del cosmo, che dirigono il corso delle stelle e che così stabiliscono pure minuziosamente l’ordine del calendario» o.c., p. 115. Bisogna notare che questa superstizione astrologica non era solo presente nei circoli ellenistici, ma anche nel giudaismo. La comunità di Qumran faceva speculazioni su relazioni tra angeli, le potestà delle stelle e la stretta osservanza di tempi sacri (vedere libro dei Giubilei, 5:15 e seg.; 6:32-38; 23:19). La setta giudeo-cristiana degli Elcasiti, circa 100 d.C., ci fornisce un esempio di come la venerazione dei poteri astrali influenzasse la loro osservanza del sabato. Ippolito riporta: «Elcasai parla così: “Là esistono stelle cattive di empietà... guardatevi dal potere dei giorni, dalla sovranità di queste stelle e non intraprendete imprese incerte durante i giorni in cui queste dominano. E non battezzate uomini o donne durante i giorni del potere di queste stelle, quando la luna (emergendo) di fra esse, percorre il cielo e viaggia insieme con esse... Ma, soprattutto, onora il giorno del sabato, poiché quel giorno è uno di quelli durante il quale prevale (il potere) di queste stelle”» Ippolito, La Refutazione di tutte le eresie, 9,11; confr. Epifanio, Adversus Haereses, 29,8,5. Simili superstizioni astrologiche sottostanno all’osservanza del sabato di Cerinto (vedere Filastrius, Haereses, 36), di Desiteo di Samatra (vedere Origene, De Principiis, 4,3,2), dei Simoniani (vedere pseudo Clemente, Omelia, 2,35,3) e degli Hipsistariani (vedere Gregorio Nazianzeno, Oratio, 18,5; MIGNE, P.G., 35,991). Nel mondo pagano il sabato era visto come un giorno nefasto per la sua associazione con il pianeta Saturno. Considerate le radicate superstizioni astrologiche che influenzavano l’osservanza dei giorni, sembra plausibile pensare che l’osservanza del sabato promossa dai maestri ascetici di Colosse - noti per il loro incoraggiamento all’adorazione degli elementi del cosmo - possa essere stato solo di tipo rigoristico e superstizioso. Una messa in guardia contro tale tipo di osservanza del sabato fatta dall’apostolo sarebbe stata non solo opportuna ma anche desiderabile. Ma in questo caso Paolo non starebbe attaccando il principio del sabato ma il suo pervertimento. Bisogna osservare che l’apostolo non sta ammonendo contro la forma di questa osservanza, ma contro la sua funzione pervertita. Quando la profezia diventa storia
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È pensiero unanime, cattolico e protestante, che «la Chiesa primitiva di Gerusalemme e in generale i giudeo-cristiani osservassero scrupolosamente il sabato».77 «I primi cristiani, al tempo in cui erano ancora quasi tutti raccolti nella capitale giudaica, prendevano parte al culto del tempio, ma senza pregiudizio delle loro riunioni speciali, quelle della nuova sinagoga che essi avevano costituito fin dai primi giorni. Al di fuori di Gerusalemme, la più grande espressione della vita religiosa collettiva era, come per gli ebrei, la riunione settimanale. Queste riunioni avevano luogo di sabato».78 «Mentre gli Ebrei cristiani di Palestina ritenevano tutta la legge mosaica, e per conseguenza le feste giudaiche, i cristiani di origine pagana osservarono sia il sabato che la Pasqua, ma senza superstizione giudaica».79 «L’idea di trasferire alla domenica la solennità del sabato, con tutte le sue conseguenze, è un’idea estranea al cristianesimo primitivo».80 Socrate, lo scolastico di Costantinopoli, il continuatore della Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, affermava, nella prima metà del V° secolo: «Quasi tutte le chiese del mondo intero celebrano i santi misteri il sabato di ogni settimana; tranne i cristiani di Alessandria e di Roma che, in ragione d’una certa vecchia tradizione, hanno cessato di fare la stessa cosa. Gli Egiziani in vicinanza di Alessandria e gli abitanti di Tebe tengono le loro assemblee regolari il sabato».81 Hermias Sozomène (380-443), governatore di Costantinopoli, contemporaneo di Socrate, autore lui stesso d’una storia della Chiesa, scriveva che «a Costantinopoli e in altre città, contrariamente all’uso di Roma e di Alessandria, ci si riunisce il sabato e anche il giorno seguente».82 «Nel IV e V secolo, la maggior parte dei cristiani hanno continuato ad osservare contemporaneamente il sabato e la domenica».83 «Nella maggior parte delle Chiese di Oriente e ad imitazione di quella di Milano, si continuò a festeggiare il sabato come la domenica, con delle assemblee religiose dove si predicava e dove si celebrava la comunione, evitando soprattutto di digiunare in quel giorno».84
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TOMAS Louis, Le jour du Seigneur, vol. II, pp. 108, 109; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 29. DUCHESNE Louis, Origines du culte chrétien, 5a ed., pp. 47,48. 79 GIESELER Johann-Karl-Ludwig, Lehrbuch der Kirchengeschichte, 3a ed., Bonn 1931, p 1O9; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 29. 80 L. Duchesne, o.c., p. 48. 81 Socrate lo Scolastico, Storia ecclesiastica, vol. V, 22; MIGNE, P.G., LXVII, 1864, col. 635, (traduzione latina), 636 (testo greco); cit. A.F. Vaucher, o.c., pp. 32,33. 82 Hermias Sozomène, Storia ecclesiastica, vol. III, 19; MIGNE, P.G., LXVII, col. 1477 (testo greco), col. 1478, (traduzione Latina); cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 33. 83 KRAFT Robert A., Some notes on Sabbath Observance in early Christianity, Andrews University Seminary Studies, III, gennaio 1965, p. 53; cit. A.F. Vaucher, Le jour Seigneurial, Collonges sous Salève 1970, p. 21. 84 CHASTEL Etienne, Histoire du christianisme, vol. II, p. 207; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 21. 78
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Dall’osservanza del sabato all’osservanza della domenica Il sabato, IV comandamento, sebbene ancora nel V secolo fosse santificato in quasi tutta la cristianità, specialmente nelle Chiese d’Oriente dove lavorarono gli apostoli, e continuerà ad essere osservato da un numero sempre più ridotto attraverso tutti i secoli, ben presto, dopo l’epoca apostolica, anche la celebrazione della domenica incominciò ad essere osservata nella cristianità. «La festa della domenica, come tutte le altre feste, non è mai stata che un’ordinanza umana, e gli apostoli non hanno mai pensato di stabilire un comandamento divino a questo riguardo, né la Chiesa apostolica primitiva, di trasferire alla domenica le leggi del sabato».85 La celebrazione della domenica «benché la si trovi strettamente associata alla storia del cristianesimo, non è così antica come questo».86 «La sostituzione della domenica al sabato non si è fatta d’un colpo, essa è il risultato d’una lenta evoluzione storica»87 che portò il primo giorno della settimana ad essere generalmente celebrato come festivo. Perché questa defezione verso ciò che non è più in armonia con il comandamento di Dio? «La Chiesa primitiva ha dovuto tracciarsi un cammino tra due correnti opposte: quella del giudaismo, per il quale il cristianesimo non era altra cosa che la continuazione del mosaismo, sotto una nuova forma, e quella degli gnostici, che reagivano violentemente contro la religione dell’Antico Testamento».88 Gli ebrei si fecero sempre più intollerante verso la Chiesa, nei confronti della quale compirono le prime persecuzioni e procurarono i primi martiri. Quando i cristiani lasciarono Gerusalemme, che stava per essere assediata dai Romani nel 70 d.C., furono considerati dei traditori della Patria e la persecuzione nei loro confronti si intensificò dopo la distruzione della città santa. I cristiani se partecipavano al culto nella sinagoga, specialmente al tempo di Bar Kokeba (132135), correvano il rischio di subire terribili supplizi se non rinnegavano e bestemmiavano il nome di Gesù. L’imperatore Adriano, dopo lo sterminio degli ebrei, costruì sulle rovine di Gerusalemme la nuova Elia Capitolina proibendo la continuazione delle pratiche ebraiche, in particolare la circoncisione e l’osservanza del sabato. Successivamente Antonio il Pio revocò queste misure. Ma ugualmente in molte regioni: Libia, Cirenaica, Cipro, Alessandria, Mesopotamia e Palestina, si sentì il bisogno di evitare di creare dei sospetti di appartenenza al giudaismo per il fatto che il mondo pagano non distingueva la differenza tra i cristiani e gli ebrei. 85
NEANDER S.A. Wilhelm, Histoire Générale de la Religion et de l’Eglise Chrétienne; cit. da FAYARD Marcel Isaac, Au seuil des Temps Nouveaux, Dammarie-les-Lys 1936, p. 296. 86 ZAHN, Skizzen aus dem Leben der Alten Kirche, 3a ed., p. 613; cit. A.F. Vaucher, Le jour du repos, p. 46. 87 LUZZI Giovanni, I Fatti degli Apostoli, Firenze 1898, p. 220. 88 A.F. Vaucher, Le jour Seigneurial, p. 23. Quando la profezia diventa storia
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Per distinguersi dai disprezzati ebrei, la cristianità incominciò ad abbandonare il sabato.89 Non bisogna dimenticare che il giorno di riposo rende manifesta la differenza tra una religione e un’altra (il venerdì per i musulmani; il sabato per gli ebrei e la domenica per i cristiani). L’altra corrente opposta alla cristianità, come abbiamo già detto, era quella «degli gnostici, che reagivano violentemente contro la religione dell’Antico Testamento90, alla quale essi sostituivano un sincretismo che comprendeva molti elementi presi dalle religioni pagane. Quindi per distinguersi (dal giudaismo), la Chiesa prese le distanze dal sabato; mentre, per avvicinarsi al mondo pagano che sperava conquistare, essa ha adottato il giorno del sole come giorno di culto.91 L’egittologo Arthur Weigall, che fu una delle otto persone, di particolare importanza, che vennero incaricate di presenziare all’apertura della tomba del faraone Tut-ankh-amon, così si espresse a proposito del cambiamento del giorno di riposo: «La Chiesa santificò la domenica, in parte perché era il giorno della risurrezione, ma soprattutto perché era la festa settimanale del sole. La politica cristiana amava adottare le feste pagane care alla tradizione popolare per dare loro un nuovo significato. La domenica, giorno del sole, era anche il giorno di Mitra. È interessante notare che Mitra era chiamato dominus o signore, la domenica dovette essere chiamata il giorno del signore ancora prima dell’epoca cristiana. La domenica, dedicata al sole, era sacra da molto tempo per molte religioni pagane, era in particolare il giorno santificato dagli adoratori di Mitra, che lo designavano senza dubbio anche sotto il nome di giorno del Signore. Il fatto che Gesù sia risuscitato di domenica non sembra essere stata la vera ragione per la quale i cristiani riverirono particolarmente quel giorno. Avrebbero avuto altrettante ragioni di scegliere il venerdì, commemorazione della morte del Signore. Sembra che essi furono influenzati - in questa faccenda come in altre - dal costume pagano, e che la domenica fu adottata perché gli adoratori di Mitra e di altre divinità solari consideravano che questo giorno era sacro, e che era impossibile sopprimere questa abitudine ancestrale».92 Il dr. T.H. Morer, pio rettore anglicano di Londra, scriveva: «Con una discesa insensibile, i cristiani del II e III secolo furono portati ad aprire le loro chiese al primo 89 «È in opposizione al giudaismo che ben presto, al posto del sabato, fu introdotta la festa di domenica» W. Neander, o.c., p. 186; cit. A.F. Vaucher, Le jour de repos, p. 50 90 Marcione (137-139) digiunava il sabato volendo così manifestare il suo disprezzo nei confronti del Dio dell’Antico Testamento che considerava cattivo. 91 «Nello stesso tempo l’idea dell’immortalità naturale dell’anima, il culto delle immagini e dei santi» A.F. Vaucher, Le jour Seigneurial. Questa dottrina la considereremo nelle pagine seguenti. 92 WEIGALL Arthur, Survivances païennes dans le monde chrétien, Paris 1934, pp. 126,196,197 Che non si santificò la domenica a ricordo della risurrezione è confermato anche dallo storico protestante W. Neander che scrisse: «Essi celebravano la domenica di ogni settimana, non in ragione della risurrezione del Cristo, la qual cosa non si sarebbe accordata con la loro dottrina, ma perché questo giorno era consacrato al sole, che era in realtà il loro Cristo» o.c., vol. II, 1851; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 53.
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giorno della settimana. Uno dei loro motivi era di attirare le folle al loro culto dove si cercava di imitare per quanto possibile i riti pagani... È innegabile che noi dobbiamo il nome di questo giorno (sunday = giorno del sole) ai Greci e ai Romani; riconosciamo inoltre che gli antichi Egiziani adoravano il sole e che gli avevano consacrato questo giorno come memoriale permanente della loro venerazione. E noi scopriamo che, per l’influenza del loro esempio, altri popoli, e tra essi gli Ebrei pure, gli resero degli onori.93 Questi abusi non impedirono ai Padri della Chiesa cristiana che avrebbero dovuto ripudiare o abolire sia questo giorno sia il nome che lo designava - di utilizzare e di santificare l’uno e l’altro. É d’altronde ciò che essi fecero per dei templi pagani profanati da culti idolatri... Così per la domenica (sunday), giorno in cui i gentili adoravano solennemente questo astro e che essi chiamavano giorno del sole; ... i cristiani stimarono opportuno di osservare lo stesso giorno e di conservarne il nome, alfine di non apparire rigidi senza motivo, di non mettere ostacoli alla conversione dei gentili e di non sollevare ancora più grandi prevenzioni contro l’Evangelo».94 Anche per quanto riguarda le altre «feste cristiane, esse si sono fissate con naturalezza nei giorni già scelti dalle feste pagane, affinché i cristiani non si distinguessero troppo dai pagani, da una parte, e il popolo vedesse meno differenza tra le due religioni che festeggiano lo stesso giorno».95 Tertulliano verso il 200 presentava l’apostasia della Chiesa in Africa scrivendo: «Noi abbiamo abbandonato i sabati, i noviluni e le feste che precedentemente erano predilette dal Signore, osserviamo ora i Saturnalia, i Capodanni, le Matronali e il solstizio d’inverno. Doni sono dati e ricevuti, i giochi rimbombano di chiasso, i banchetti strepitano. O come è da preferirsi la fedeltà dei pagani alla loro setta, in quanto essi non rivendicano per sé alcuna solennità dei cristiani».96 «Nel III e IV secolo il mitraismo era diventato a poco a poco il culto solare più importante dell’Impero Romano. Si chiamava Mitra “il Sole Invitto”. Nel calendario di Filocolo, datante l’anno 336, il 25 dicembre è indicato: “Natalis Invicti”, e vuole dire “Dies natalis solis invicti” nascita del sole invincibile, una allusione certa a Mitra».97 Fu a Roma che per la prima volta, forse nello stesso anno, si celebrò questa festa dedicandola al Cristo e da Roma essa si sparse per tutto l’impero. «Il dio sole degli ultimi Cesari pagani - Sol invictus - cedette il suo posto nel calendario al Salvatore cristiano, suo successore riconosciuto. Il giorno del sole, Solis dies, della settimana astrologica divenne la domenica cristiana, la festa settimanale della risurrezione. E l’anniversario della nascita del sole, Natalis solis invicti, l’alba del 25 dicembre, fu 93
Baal (Giudici 2:11,13 ecc.), Tammuz (Ezechiele 8 :14), Moloc (Levitico 18:21 ecc.) erano divinità solari. MORER Dr. T.H., Six dialogues on the Lord’s Day, London 1701, pp. 22,23. 95 CAUZONS Thomas de Cauzons (pseudonimo), Histoire de l’lnquisition en France, vol. I, Paris 1909, pp. 114,115; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 51; Le Jour Seigneurial, pp. 25,26. 96 Tertulliano, De idolatria, 14,5, CCL,2,1114; cit. da S. Bacchiocchi, o.c., pp. 392,393. 97 A. Weigall, o.c., p. 212; vedere CULLMANN Oscar, Noël dans l’Eglise ancienne, in Cahiers Théologiques, n. 25, Neuchâtel 1949, p. 23. 94
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adottata come giorno della nascita del Salvatore - Natalis Domini, o Natale».98 Massimo di Torino, morto nel 470, diceva: «La domenica è per noi un giorno venerabile perché è il giorno in cui il Salvatore, come il sole levante, dissipa le tenebre degli inferi, brilla della luce della risurrezione. Ed è per questo che gli uomini di questo secolo lo chiamano giorno del sole, perché il Sole di giustizia l’ha illuminato levandosi».99
Il ruolo di Roma nel cambiamento dal sabato alla domenica La Chiesa di Roma in questa apostasia sul giorno di riposo ebbe un ruolo guida. Seguendo l’esempio dell’eretico Marcione (II secolo) che digiunava di sabato a disprezzo del Dio dell’Antico Testamento, Roma si differenziò dalla maggior parte delle comunità occidentali nel digiunare in quel giorno. Vittorino di Pattau scriveva: «Il settimo giorno Egli si riposò da tutte le sue opere; lo benedisse e lo santificò. In quel giorno noi abbiamo l’abitudine di digiunare100 per potere andare la domenica con azioni di grazia verso il pane. Bisogna digiunare anche il venerdì per non dare l’impressione di osservare il sabato con gli ebrei, di cui il Signore del sabato stesso, il Cristo, ha detto per mezzo dei suoi profeti che l’anima sua lo detesta».101 Va da sé che il sabato, a causa del digiuno settimanale, non poteva essere visto come un giorno di letizia, di gioia con il quale il credente avrebbe goduto la delizia del Signore. Il digiuno lo rendeva triste, in esso si prolungava il digiuno del venerdì ed era naturale che si desiderasse che questo giorno passasse in fretta. Il sabato in Roma era quindi un giorno scomodo. Sebbene in Roma si digiunasse di sabato per celebrare l’eucarestia di domenica, nelle altre Chiese dell’Impero l’eucarestia veniva celebrata di sabato. Roma col tempo acquistò sempre più la funzione di leadership. Inoltre vinse il braccio di ferro con le Chiese d’Oriente nel celebrare la festa di Pasqua non il 14 di Nisan, secondo la tradizione ebraica, ma la prima domenica successiva. «Nel II secolo dell’èra cristiana due correnti si contrastavano tra di loro: una, rifacentesi a Giovanni (l’apostolo), che celebrava (la Pasqua) assieme ai Giudei il 14 di nisan, qualunque fosse il giorno della settimana in cui cadeva; l’altra, attestata a Roma e ad Alessandria, se già non cadeva di domenica la trasferiva a quella successiva».102 Il primo tentativo di unificare la cristianità su questo punto fu fatto 98
ZIELINSKI Tadeusez, La Bubyle, Paris 1924, p. 95; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 29. Massimo di Torino, Omelie LXI sul Pentateuco, I; MIGNE, P.L., LVII, 1847, col. 371; cit. A.F. Vaucher, idem. 100 La Didaché, scritta nel secondo secolo, riconosce come giorno di digiuno il mercoledì ed il venerdì, con quest’ultimo i cristiani si preparavano alla santificazione del sabato. 101 Vittorino di Pattau, De fabrica mundi, 5, CSEL 49, p. 5; cit. da S. Bacchiocchi, o.c., p. 337. Crediamo utile far notare che: «È il sabato dei farisei che Gesù condanna, e non quello delle due tavole (della legge)» BURNIER Pierre Louis Étienne, Études élémentaires et progressives de la Parole de Dieu, vol. IV, Lausanne 1850, p. 229; nuova ed. rivista da J.A. Parrot, vol. III, Lyon 1900, p. 140. 102 SALVONI Fausto, Da Pietro al Papato, Genova 1970, pp. 265,266, in nota l’autore precisa che in Oriente la Cena verteva più sulla commemorazione della morte, mentre in Occidente sulla risurrezione. 99
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dal vescovo romano Aniceto (157-168) ma Policarpo, vescovo di Smirne, persistette per il 14 di Nisan. Il vescovo di Roma, Vittore (189-198), dopo aver interrogato i vari vescovi, tentò di imporre a tutte le chiese sotto minaccia di scomunica l’usanza di Roma e di Alessandria. Col tempo l’uso romano-alessandrino crebbe sempre d’influenza e al concilio di Nicea (325 d.C.) fu imposto con decreto imperiale. Gaudenzio di Brescia, contemporaneo di Ambrogio, per spiegare il significato della Pasqua, utilizzò non solamente il simbolo del Sole, ma attribuì alla stagione un significato simbolico. «Il Signor Gesù ha voluto che la festa benedetta della Pasqua fosse celebrata in un tempo opportuno dopo la nebbia dell’autunno, dopo la tristezza dell’inverno, e prima del caldo dell’estate. Perché in realtà Cristo, il Sole della Giustizia, doveva dissipare le tenebre del giudaesimo e il ghiaccio del paganesimo prima del fuoco del giudizio futuro, tramite la luce pacifica della sua risurrezione e riportare nel loro stato primordiale tutte le cose che erano state coperte da una tetra caligine dal principe delle tenebre».103 Il cardinale parigino J. Daniélou così commenta il significato di questa evoluzione: «Si compie così da parte del cristianesimo il processo di astrazione dei simboli cosmici dei miti pagani in cui si erano pervertiti, nonché l’assimilazione di essi in quanto simboli del mistero della verità. Siamo giunti con ciò al quarto secolo, al tramonto del paganesimo, allorché il cristianesimo ne rivestiva le spoglie».104 La domenica che non era «all’inizio che un complemento cristiano del sabato, senza che nessuno pensasse a fargli soppiantare il giorno sacro tradizionale degli Ebrei»,105 finì per prendere il posto del sabato. A seguito poi dell’opera apostata di alcuni Padri della Chiesa, i decreti conciliari e le leggi imperiali lo resero obbligatorio.
La Chiesa cattolica attribuisce a sé l’autorità di avere cambiato il giorno di riposo
L’arcivescovo Gaspare del Fosso quando il 18 gennaio 1562, all’apertura della sessione del Concilio di Trento, dopo otto mesi d’interruzione, davanti a vescovi e prelati, un terzo in più delle precedenti sessioni, fece la sua orazione che verteva sull’autorità della Chiesa, sul primato del Papa e la potestà dei concili, disse: «L’autorità della Chiesa non è minore di quella della Parola di Dio; perché la Chiesa ha mutato il sabato da Dio già ordinato nella domenica,... (e) questi precetti, non per la predicazione di Cristo, ma per l’autorità della Chiesa sono mutati».106 103
Gaudenzio di Brescia, Sermone 1 di Esodo, in MIGNE, P.L., 20,843; cit. da S. Bacchiocchi, o.c., p. 398. DANIELOU Jean, Bibbia e Liturgia, p. 403; cit. S. Bacchiocchi, idem. 105 GAILLARD Jean, Le Dimanche, jour sacré, in Cahiers de la Vie Spirituelle, n. 11, Paris 1/4/1940, p. 524; cit. A.F. Vaucher, Le jour du repos, p. 54. 106 SARPI Fra’ Paolo, Storia del Concilio Tridentino, t. IV, 1790, p. 13. 104
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L’arcivescovo di Reims, mons. Gousset diceva: «La Chiesa sostituì il primo all’ultimo giorno della settimana... Mentre l’obbligo di consacrare qualche tempo al culto esteriore e pubblico è di diritto naturale e divino, l’obbligo di santificare la domenica... non è che di diritto ecclesiastico».107
La fiaccola della verità non si è mai spenta su questo comandamento Sebbene durante i secoli bui del Medio Evo la fedeltà al IV comandamento non sia venuta meno anche se ha suscitato l’ira dei Concili e diverse persone furono uccise a causa della loro fedeltà, nel nostro tempo, dice la Bibbia Concordata: «Solo pochi seguaci di Cristo continuano pur ora a celebrare il sabato (Avventisti)».108 «Gli Avventisti del VII giorno, scrive Adolphe Alfred Tanqueray nel Dictionnaire de Théologie Catholique, pretendono che non si possa giustificare con la Scrittura il trasferimento del sabato alla domenica; e bisogna confessare che, se non si ammette altra regola di fede che la Bibbia, è difficile dimostrare loro il contrario».109 «L’osservanza della domenica da parte dei protestanti è un omaggio reso, malgrado loro, all’autorità della Chiesa» di Roma, dice Mons. Ségur.110 «Essi (gli avventisti) hanno il merito di questa logica, unica fra i protestanti, a motivo della quale, poiché rifiutano l’autorità della Chiesa, rifiutano ugualmente di seguirla in ciò che concerne il trasferimento del giorno del Signore dal sabato alla domenica».111 Riteniamo opportuno riflettere sulle parole del pastore delle Valli Valdesi, Carlo Gay: «Il decalogo non è mai stato abrogato; esso contiene e segna la linea di condotta dei credenti, che devono seguire giornalmente. Il rigore di Dio non è diminuito: la legge dimora santa e pura, e non passerà uno iota fino alla venuta del Regno di Dio».112 E anche su quanto disse Gesù: «Ogni pianta che il Padre mio celeste non ha piantata sarà sradicata».113 «La legge morale del decalogo ha un valore eterno. Essa resta per sempre l’espressione della volontà divina... Essa è ancora la legge del cristiano, poiché, ... il cristiano non è senza legge. Egli è sotto la legge di Cristo, e la legge del Cristo è la legge del Sinai ben compresa nel suo spirito... Malgrado le nostre luci evangeliche, ribelli che siamo, pronti a dare libero corso alle passioni della carne sotto ombra di spiritualità raffinata, ci fa bene ritornare spesso alla lettera stessa della legge, a questi
107 108 109 110 111 112 113
GOUSSET M.T., Théologie morale à l’usage des curés et des confesseurs, t. I, Paris 1845, p. 238. Bibbia Concordata, nota Genesi 2:1,2. TAMQUERAY Adolphe Alfred, Adventistes, in Dictionnaire de Théologie Catholique, t. I, Paris 1903, col. 514. Mgr SEGUR, Causerie sur le protestantisme d’aujourd’hui, 3a ed., p. 207. The National catholic Monthly, E.U. v. 33, n. 10, Chicago, Illinois, 10 marzo 1939, p. 24. GAY Carlo, La Bibbia e il suo messaggio, Roma 1948, p. 36. Matteo 15:13.
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comandamenti precisi che non si lasciano eludere, che prescrivono il bene e proibiscono il male sotto delle forme concrete».114 «Cristo è risuscitato per dare uno scopo eterno alla nostra ubbidienza ed è morto perché noi potessimo ubbidire, affinché la legge ci dia la vita e non la morte. Ciò che la Risurrezione dell’Agnello ci promette, il suo sangue ce lo comanda».115 Conclusione Come abbiamo già detto, il Cristo che, quale nostro Creatore, è il Signore del sabato, ha posto in questo comandamento il suo sigillo e la sua osservanza a segno dell’avvenuta rigenerazione. Del resto: «Il Decalogo (come tutte le altre espressioni della legge dell’Antico Testamento) è similmente uscite dalla bocca del Salvatore. “Io sono l’Eterno, l’Iddio tuo, che ti ho tratto dalla casa di servitù”. “Così parla l’Eterno il tuo Redentore, il Santo d’Israele”. È il Redentore che comanda, colui che ha dato la sua vita per riscattarci, colui che ha giudicato che nessun sacrificio era troppo grande per venirci in aiuto e liberarci dalla schiavitù del Maligno, colui che ha fatto tutto ciò che era possibile fare per strapparci dalla potenza delle tenebre. È il Redentore, il Crocifisso, è Gesù Cristo, che pronuncia ognuna delle parole del Decalogo... Dio non ci comanda nulla senza avercelo offerto nella sua grazia».116
II. La dottrina dell’immortalità dell’anima Schizzo dell’insegnamento biblico sulla natura dell’uomo «Dio solo è immortale» spiega l’apostolo Paolo a Timoteo117, ed ha creato un uomo libero il quale, accettando l’offerta della Sua grazia, avrebbe potuto vivere della Sua vita. Affinché l’uomo potesse comprendere, nella sua innocenza, che l’immortalità non era qualcosa che faceva parte della sua natura, Dio lo invitò a cibarsi dell’albero della vita. Sebbene l’uomo fosse stato avvertito da Dio del pericolo di perdere la sua libertà, la sua signoria sugli animali e sul creato, e di alterare il «tutto era molto buono» della creazione, divenendo un condizionato e schiavo della sua azione, davanti alla promessa di Satana «non morrete affatto... (ma) sarete come Dio»118, l’uomo si sottrasse al Creatore. 114 VALLOTTON Paul, La Bible, son autorité, son contenu et sa valeur, Lausanne 1882, pp. 128,129; cit. da A.F. Vaucher, Le Décalogue, p. 5 115 PURY Roland de, Pierres Vivantes, 2a ed., p. 31. 116 PURY Roland de, Prefazione, in AA.VV., o.c., pp. 6,7. 117 1 Timoteo 6:16; 3:17. 118 Genesi 3:5,6; confr. 2:17,18.
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Ieri come oggi, la trasgressione prende l’aspetto della buona azione, e Satana si fa passare come il benefattore dell’umanità offrendo la vita nella disobbedienza. Satana non negò l’esistenza di Dio, ma predicò il primo sermone sull’immortalità dell’anima e sulla reincarnazione che purtroppo molte fedi sostengono. La seduzione dell’Eden: «Non morrete affatto» continua ancora e sempre di più ci sono persone che la sostengono con un linguaggio scientifico. Con la rivolta nei confronti di Dio, l’uomo si degrada spiritualmente, moralmente e fisicamente e, volendo egli stesso essere dio, non accettando al di sopra di sé il Creatore, si è dato la morte. La morte viene posta in contrapposizione alla vita. La morte è cessazione dell’essere cosciente e non il passare a vivere in un altro modo e luogo. Da quel giorno nell’Eden la morte è entrata nel mondo e, sebbene l’uomo abbia in sé «il pensiero dell’eternità»119, perché è stato creato da un Essere eterno, per vivere nell’eternità, con la morte cessa di vivere. «Difatti, i viventi sanno che morranno; ma i morti non sanno nulla, e non v’è più per essi alcun salario; poiché la loro memoria è dimenticata. E il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole... Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze poiché nel soggiorno dei morti dove vai, non v’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza... Nella morte non c’è memoria di te (Eterno) chi ti celebrerà nel soggiorno de’ morti?».120 Neppure i credenti defunti glorificano il Signore, perché: «Non sono i morti che lodano l’Eterno, né alcuno di quelli che scendono nel luogo del silenzio; ma noi (i viventi) benediremo l’Eterno da ora in perpetuo.... Poiché quei che scendono nella fossa non possono più sperare nella tua fedeltà (perché) gli uccisi che giacciono nella tomba... sono fuori della portata della tua mano».121 La morte che colpisce l’uomo fin dall’uscita dell’Eden, sebbene continui a essere la madre degli spaventi, il risultato d’uno squilibrio, una maledizione, è ancora per l’uomo una liberazione, interrompe la sua sofferenza, la sua malattia e grazie ad essa il nostro mondo non è un grande lazzaretto nel quale s’invochi una fine che non viene. Ancora una volta nella disgrazia il Signore ci è venuto incontro liberandoci da una sofferenza eterna. Chi muore scende nel «luogo del silenzio... riposa nell’assemblea dei trapassati» dove regnano le tenebre122. Lo Sceol è il nome ebraico del luogo immaginario dove i morti dormono e si riposano dalle loro fatiche.123
119 120 121 122 123
Ecclesiaste 3:11. Ecclesiaste 9:5,6,10; Salmo 6:5. Salmo 115:17; Isaia 38:18; Salmo 88:5. Siamo noi che abbiamo scritto quanto messo tra parentesi. Salmo 94:17; 115:17; Proverbi 21:16; Giobbe 10:21,22. Daniele 12:13.
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Se l’indipendenza da Dio, se «il salario del peccato è la morte, (per contro) il dono di Dio è la vita eterna».124 Alla morte la Sacra Scrittura contrappone la risurrezione. Il patriarca Giobbe sul suo letto di sofferenza diceva agli amici: «... Il mortale spira e... dove è egli? Le acque del lago se ne vanno, il fiume viene meno e si prosciuga; così l’uomo giace, e non risorge più; finché non vi siano più cieli, egli non si risveglierà né sarà destato dal suo sonno.... Io so che il mio Redentore vive, e che nell’ultimo giorno egli si leverà sopra la polvere; e quantunque, dopo la mia pelle questo corpo sia roso, pur vedrò con la carne mia Iddio; il quale io vedrò, gli occhi miei lo vedranno, e non un altro».125 Il Nuovo Testamento ha lo stesso insegnamento. Di Lazzaro che era morto Gesù disse che dormiva e la sorella di lui rispose a Gesù: «Io so che risusciterà, nella risurrezione, nell’ultimo giorno».126 L’apostolo Paolo consola i Tessalonicesi che erano nel lutto annunciando il ritorno di Cristo e la risurrezione in quel giorno.127 I grandi uomini di Dio (Abele, Noè, Abrahamo, Isacco, Giacobbe, Samuele, Davide, ecc.) che sono stati dei luminari attraverso i secoli «pur avendo avuta buona testimonianza per la loro fede, non ottennero quello ch’era stato promesso» perché non era ancora giunto il tempo di giudicarli e dare ai servitori, ai profeti, ai santi, e a quelli che temono il nome di Dio, piccoli e grandi il premio, così scrive Giovanni. È al ritorno di Cristo che i morti risorgeranno e solamente in quel giorno, con l’apostolo Paolo, riceveranno la corona di giustizia assieme a tutti coloro che hanno amato il ritorno di Gesù.128 «Se i morti non risuscitano... quelli che dormono (che sono morti) in Cristo, sono dunque periti» per loro non c’è salvezza e quindi «se i morti non risuscitano, mangiamo e beviamo, perché domani morremo».129 Questo insegnamento della risurrezione, che si contrappone all’immortalità dell’anima e alla negazione della salvezza, subito dopo la morte era uno dei pilastri della predicazione di Gesù e degli apostoli.130 124
Romani 6:23. Giobbe 14:10-12; 19:25,26; versione Diodati. 126 Giovanni 11:11-13,24. 127 1 Tessalonicesi 4:15-18. 128 Ebrei 11:39; Apocalisse 11:18; 2 Timoteo 4:8. 129 1 Corinzi 15:16,18,32. 130 Atti 24:14,15; 26:6-8; 23:6; Luca 14:14. Coloro che sostengono che la dottrina dell’anima immortale sia presente nel Nuovo Testamento citano generalmente cinque testi (Luca 16:19-31; 23:43; Filippesi 1:23; 2 Corinti 5:1-10; 1 Pietro 3:18,19) e la spiegazione che ne danno non tiene conto né dell’intenzionalità di chi parla o scrive, né del contesto, né dell’insegnamento generale delle Sacre Scritture a tale riguardo. Luca 16 :19-31. Parabola del ricco Epulone e del povero Lazzaro. Con questa parabola Gesù non ha voluto e non vuole per nulla informare i suoi ascoltatori sullo stato dei morti ma, prendendo spunto da una immagine popolare sull’aldilà, vuole insegnare che la morte fissa definitivamente la conseguenza di ciò che si è fatto nella vita. È durante la vita terrena che noi possiamo prendere le nostre decisioni. Inoltre la conclusione della parabola indica chiaramente l’intenzionalità di Gesù nel presentarla: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscitasse». In altre parole gli Israeliti avevano tutto quanto era loro utile per ravvedersi, avevano il 125
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messaggio dell’Antico Testamento. I segni, le opere potenti, la stessa risurrezione di un morto non portano a convertire coloro che si sono induriti nei piaceri o nella loro opposizione a Dio. La prova di queste parole la si ha quando più tardi Gesù risusciterà l’amico Lazzaro. Quel miracolo straordinario non portò la classe dirigente, benestante, del popolo a ravvedersi e a convertirsi, anzi essa indurì il proprio cuore nei confronti di Dio e decise di fare morire Gesù (Giovanni 11:47-50). Questo perché, di fatto, aveva rifiutato Mosè e i profeti. Luca 25:43. È la promessa fatta da Gesù sulla croce al ladrone penitente. «Io non posso impedirmi di pensare che la punteggiatura attuale sia sbagliata, e che la vera espressione sia: “In verità, in verità, io te lo dico oggi, tu sarai con me in paradiso”. Così compresa la risposta è sublime. Io ti dico oggi, in questo momento di prova, di disperazione e di morte, in questo giorno nel quale i miei nemici sembrano trionfare e Satana rallegrarsi, in questo giorno in cui io sono esposto alla derisione degli increduli e alle calunnie, in questo giorno in cui io sono abbandonato da tutti, tu (che poni in me la tua fiducia e mi riconosci, in questo momento, quale Salvatore) tu sarai con me in paradiso. Al mio ritorno, questo ritorno che dovrà essere atteso, quando io verrò non più come l’Agnello immolato, ma come il Leone della tribù di Giuda, tu ti terrai in mia presenza, la tua fede non sarà delusa. Io ti conoscerò di nuovo, e tu conoscerai il tuo Signore. Nella gloria del mio regno tu vedrai l’ampiezza di questa grazia che sa trionfare dell’incredulità, della rivolta e della vergogna, che può trasformare un criminale che sta morendo in un servitore di Dio riscattato, immortale e glorioso» NOEL Gerard Thomas, A Brief Enquiry into the Prospects of the Christian Church, London 1828, p. 108, siamo noi che abbiamo aggiunto quanto messo tra parentesi. Non si deve dimenticare che la punteggiatura è stata aggiunta al testo biblico diversi secoli dopo le redazioni dei manoscritti originali. La punteggiatura corrente è pretestuosa ed è la chiara conseguenza dell’influenza esercitata dalla teologia cattolica, dopo che l’insegnamento dell’immortalità dell’anima è parte integrante dell’insegnamento della Chiesa. Questa spiegazione, che vede il ladrone con Gesù in cielo il giorno stesso della crocifissione, viene chiaramente smentita dal testo sacro, perché tre giorni dopo la crocifissione, nel giorno della risurrezione, Gesù dirà a Maria: «Non mi toccare (altri traducono: non mi trattenere (Concordata)), perché non sono ancora salito al Padre» Giovanni 20:17. Filippesi 1:23. In questo testo Paolo esprime il desiderio di andarsene dalla terra per essere con Cristo. Il teologo cattolico Elio PERETTO su questa dichiarazione scrive: «È particolarmente importante, perché suppone che il cristiano, dopo la morte, si ricongiunga al Cristo senza attendere il giudizio. - È l’unico testo che accenna alla vita dell’oltretomba senza che sia collegata con la Parusia del Signore. Esiste un periodo di tempo, che precede la seconda venuta del Signore, durante il quale il cristiano deceduto vive col Signore» Lettere dalla prigionia, Filippesi, ed. Paoline, 1976, pp. 42,47. Se questo fosse stato l’insegnamento di Paolo, lo avrebbe esposto chiaramente ai Tessalonicesi quando gli avevano chiesto spiegazioni di cosa ne è di coloro che sono morti prima del ritorno di Gesù. In quell’occasione Paolo parla del sonno dei morti e spiega che i viventi non precederanno nella salvezza coloro che si sono addormentati, e la salvezza avverrà per tutti, vivi e defunti, contemporaneamente al ritorno di Gesù (1 Tessalonicesi 4:13-18). Con le parole di Paolo ai Filippesi non si può provare che pensasse di andare immediatamente alla presenza del Cristo con la morte. Siccome nella morte non c’è coscienza del tempo che passa, il momento della risurrezione sarà per Paolo l’istante successivo a quello della morte. È per questo motivo che l’apostolo può dire che per lui morire corrisponde ad essere con Cristo. 2 Corinti 5:1-10. «Paolo esprime il desiderio di lasciare il suo corpo per dimorare presso il Signore. Paragona il corpo umano, durante la vita, a una tenda di passaggio, mentre il corpo futuro ad un edificio permanente. Coloro che vivranno al momento della parusia, credendo nel Signore, passeranno dalla tenda all’edificio stabile in un battere d’occhio. Quanto ai morti, l’uscita dalla tenda e l’entrata nell’edificio non sarà simultanea. Tra questi due avvenimenti c’è un intervallo di tempo del quale i morti non hanno però nessuna nozione. Paolo si augurava non tanto di essere svestito dalla morte, ma di essere soppravestito, prendendo possesso del corpo spirituale e glorioso promesso agli eletti» A.F. Vaucher, o.c., p. 10. Per Paolo ci sono quelli che, quando Cristo Gesù ritornerà, vedranno il loro corpo terreno trasformarsi in corpo glorioso e quelli che essendo morti, nudi spogliati dalla loro tenda, dal loro corpo, risusciteranno già col corpo glorioso, Paolo desidera poter mettere sul suo vestito, corpo terreno, il nuovo vestito, corpo celeste, e passare quindi da questa esistenza, da questa tenda di passaggio, all’altra esistenza, all’edificio permanente, senza morire, senza che il suo corpo si svesta o si decomponga nella tomba. 1 Pietro 3:18,19. Gesù, messo a morte quanto alla carne ma vivificato quanto allo Spirito, andò con questo Spirito a predicare l’evangelo a coloro che sono nelle carceri, cioè nella morte. Le parole di Pietro non vogliono insegnare che Gesù sia andato a predicare ai morti, nel tempo in cui egli è stato nel sepolcro (come sostiene particolarmente la Chiesa dei Santi degli ultimi tempi, cioè i Mormoni). «Lo spirito che qui è opposto alla carne è lo spirito che si trova in ogni uomo e lo rende capace di svilupparsi nella santità di essere in comunione con Dio e di cogliere la vita eterna (3:4). Cristo è stato vivificato quanto allo Spirito, in ciò che il suo spirito, spogliato dal suo corpo di carne dalla morte, ha ricevuto un nuovo organo, un corpo spirituale. Questo pensiero (di Pietro) era appropriato ad incoraggiare e a fortificare dei cristiani chiamati a soffrire e a morire per il loro Salvatore» L. Bonnet, o.c., p. 203. La predicazione dell’evangelo agli antidiluviani, che ora sono nel soggiorno dei morti perché sono morti, non è stata fatta dal Cristo, ma da Noè che era animato dallo spirito di Cristo. Questo insegnamento è stato sostenuto già da Agostino (cit., idem,
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Origene (III secolo), riprendendo questo insegnamento, in una omelia disse: «Gli apostoli stessi non hanno ancora ricevuto la gloria: ma aspettano anch’essi affinché ancor io sia partecipe del loro gaudio».131 Questa verità risulta palese ogni qualvolta si torni alla sorgente. Il contemporaneo domenicano Thomas Camelot scrive: «Quando si parla dell’immortalità dell’anima, non si tratta che dell’immortalità felice dopo la risurrezione gloriosa, conseguenza della risurrezione di Cristo. L’immortalità naturale è al di fuori della prospettiva del pensiero cristiano».132 All’insegnamento degli apostoli e dei profeti si è contrapposto quello del seduttore, del principe di questo mondo.
Errore universale «Domandate a un cristiano, protestante o cattolico, intellettuale o no, che cosa insegna il Nuovo Testamento sulla sorte individuale dell’uomo dopo la morte, e, salvo pochissime eccezioni, avrete sempre la stessa risposta: l’immortalità dell’anima. Eppure questa opinione, per diffusa che sia, è uno dei più gravi fraintendimenti che riguardano il cristianesimo».133 «Dall’origine dell’umanità, due dottrine si sono affrontate, riguardo all’uomo: quella di Dio: “Tu morrai certamente”; quella di Satana: “No, voi non morrete punto”.134 Mentre i profeti israeliti hanno mantenuto fedelmente il pensiero divino, che scorre come un fiume di acque pure attraverso tutto l’Antico Testamento, il fiume del paganesimo ha trasportato, con alcune vestigia della rivelazione primitiva, una massa crescente di errori. I due fiumi, che hanno cominciato a scorrere in direzioni p. 204). Al capitolo 1:11, Pietro dice che i profeti «indagavano qual fosse il tempo e le circostanze a cui lo Spirito di Cristo che era in loro accennava, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze del Cristo, e della gloria che dovevano seguire». Pietro distingue nei profeti il loro proprio spirito e quello del Cristo, il quale permetteva al loro di ricevere i pensieri di Dio. Questo Spirito che anima lo spirito dei profeti Pietro lo chiama: spirito del Cristo. Per Pietro, Cristo con il Suo spirito svelava ai profeti il modo con il quale si sarebbe realizzato il piano della salvezza. Questo spirito di Cristo era anche in Noè, predicatore di giustizia (2 epistola 2:5), la cui predicazione non fu altro che l’opera di Cristo compiuta mediante la sua bocca. Pietro, dopo aver parlato della morte e della risurrezione di Gesù, ritorna alla predicazione di Noè, e lo fa per un motivo molto semplice. Teme che i fedeli ai quali si rivolge si possano scoraggiare e quindi li esorta a rimanere fermi nella fede (3:14,15). Per dare forza a questa esortazione ricorda l’esempio di Cristo che ha sofferto per noi, poi rievoca l’opera della redenzione ai tempi antidiluviani con lo scopo di incidere negli ascoltatori l’idea che, se Cristo non diventa la pietra angolare della loro fede, come lo fu nel passato per coloro che si salvarono dal diluvio, diventa la pietra sulla quale essi si infrangono. Cerca di risvegliare in loro il senso di responsabilità infondendo un sentimento di salutare timore, ricordando il castigo terribile di coloro che ai tempi di Noè, che ora sono in prigione, sono morti, non credettero nella salvezza per grazia, annunciata dal patriarca. La posizione degli ascoltatori di Pietro è la stessa di quella degli antidiluviani. La fine di tutte le cose è vicina (4:7,17). Il battesimo è, per la generazione contemporanea, ciò che l’acqua del diluvio o l’arca è stata per Noè e i suoi contemporanei: mezzo di salvezza per coloro che credettero, di giudizio per coloro che furono increduli e non accettarono la predicazione di Cristo. 131 Origene, Omelia VII sul Levitico. 132 CAMELOT Thomas, Introduction au traité contre les païens d’Athanase d’Alexandrie, Paris 1946, p. 47. 133 CULLMANN Oscar, Immortalità dell’anima o risurrezione dei morti?, Paideia, Brescia 1970, p. 15. 134 Genesi 2:17; 3:4. Quando la profezia diventa storia
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opposte, hanno finito per convergere; essi si sono incontrati e hanno mischiato le loro acque». Queste acque si mescolarono nel giudaismo tardivo, e nel cristianesimo postapostolico. «Le acque chiare del Rodano e le acque fangose dell’Arve si incontrano a Ginevra: esse lottano per mantenere la loro indipendenza e la loro omogeneità, e fino a una certa distanza dopo il loro congiungimento si possono vedere (ancora) le due correnti distinte, di colori differenti, come separate da una linea ideale; poi, a poco a poco la fusione si opera; ben presto le due correnti si confondono e danno origine a un nuovo fiume ad acqua torbida: è il Rodano, ma modificato nella sua apparenza dall’apporto del suo affluente».135 E la storia ci dice che «per imporsi ai pagani, il cristianesimo si tinse di paganesimo, divenne pagano».136 «Mentre il paganesimo si cristianizzava, il cristianesimo si paganizzava. Un giorno venne in cui le due potenze furono abbastanza ravvicinate per confondersi. Da questa fusione è nato il cattolicesimo»137 che vive anche nella Chiesa ortodossa, nel protestantesimo e nell’evangelismo che non hanno saputo saltare i secoli dell’apostasia per ritornare all’insegnamento dei profeti e degli apostoli.
India
Nel lontano Oriente in India «gli Aria credevano all’immortalità delle anime che dovevano, dopo la morte, abitare il cielo, il sole o gli astri, e che essi tendevano a identificare con gli dèi».138 «Noi troviamo presso gli Aria dell’India, per quanto lontano possiamo risalire, una fede profonda nell’immortalità. Secondo i Veda, in effetti, la cui più antica parte, la Rig-Véda, deve, nella sua totalità, datare del X secolo a.C., il principio vitae che risiede nell’uomo è il fuoco; venuto dal cielo dove costituisce l’essenza della divinità, il fuoco deve risalirvi; ed ecco perché il popolo... praticò molto presto la cremazione, con l’idea che il rogo trasportasse in cielo l’elemento vitale. L’anima non è dunque che una emanazione della sostanza divina e, come tale, deve, quando essa lascia il corpo, continuare a vivere in mezzo a questa sostanza; essa è, per natura, immortale».139 «La credenza dell’immortalità dell’anima era fermamente radicata nella mente degli Aria dei sette fiumi... Il sacrificio agli antenati aveva lo scopo di facilitare alle anime dei morti l’accesso al cielo; essi li deificavano in qualche modo»140 e quindi «la 135
VAUCHER Alfred Félix, Le problème de l’immortalité, ed. Fides, Collonges sous Salève, p. 19. RENEL Charles, Les Religions de la Gaule avant le Christianisme, Paris 1906, p. 2; cit. da VAUCHER Alfred Félix, L’homme son origine sa destinée, Dammarie-Les-Lys 1974, p. 55. 137 REVILLE Jean, La Religion à Rome sous les Sévères, Paris 1886, p. 294. 138 MILLOUÉÈ Léon de, Précisation de l’Histoire des religions, Ia parte: Religion de l’Inde, Paris 1890, p. 48; cit. da A.F. Vaucher, Le problème de l’immortalité, p. 10. 139 VIEL Jean, Les idées des Grecs sur la vie future, Toulouse 1897, p. 14; cit. A.F. Vaucher, idem. 140 LENORMANT François, Manuel d’Histoire Ancienne de l’Orient jusqu’au début des guerres médiques, vol. III, 6a ed., Paris 1896, p. 470; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 11. 136
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personalità del defunto sussisteva tutta intera nell’altra vita».141 È più tardi, con i Bramini, che inizia l’idea della trasmigrazione delle anime.
Egitto
«In molte cose essenziali, teologicamente e socialmente, sotto dei simboli e dei nomi differenti, l’Egitto riproduce l’India».142 Accanto al concetto dell’immortalità dell’anima sussiste quello della risurrezione e «queste cure estreme degli Egiziani per preservare i corpi dalla corruzione e assicurare a loro l’integrità erano un atto di fede nell’altra vita e l’indizio di una vaga speranza in una sicura risurrezione».143 «L’anima propriamente detta sale o s’invola al cielo. Essa va, secondo le idee dell’epoca arcaica esposte nei testi delle piramidi, a congiungersi con le stelle innumerevoli o, secondo le dottrine che prevalsero più tardi, essa va a fondersi nel sole, l’astro per eccellenza».144 In Egitto è presente anche la concezione che nella vita futura ci sia anche una seconda morte dei cattivi.145
Grecia
La Grecia stessa, culla della civiltà europea ed occidentale, col tempo ha subito la seduzione dell’Eden. «La credenza nell’immortalità celeste dell’anima fece la sua apparizione nel mondo greco, nel corso della seconda metà del V secolo. Essa trasformò radicalmente la rappresentazione che i popoli dell’Oriente mediterraneo si facevano dell’origine, della natura e del destino delle anime. Alla concezione del soffio vitale che si dissipa con la morte, alla fede nella sopravvivenza delle ombre vane che ripetono in gesti inefficaci, nel regno sotterraneo dei morti, i lavori dell’esistenza terrestre, sostituì l’idea di un’anima di essenza celeste, smarrita in questo basso mondo come in una terra d’esilio, destinata a ritornare alla sua patria d’origine, per gustare, in compagnia degli dei siderali, una immortalità radiosa. Essa trasferì i Campi Elisi degli Egiziani e degli Orfici dalle viscere della terra al campo delle stelle e fece del regno dei morti il regno dei cieli».146
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OLDEMBERG Hermann, La Religion du Véda, Paris 1903, p. 451; cit. A.F. Vaucher, idem. BRUNEL Henri, Avant le Christianisme, ou Histoire des doctrines religeuses ou philosophiques de l’Antiquité, Paris 1852, p. 104; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 11. 143 MALLON Alexis, Les Hébreux en Egypte, Rome 1821, p. 90; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 12. 144 VIREY Philippe, La religione de l’ancien Egypte, Paris 1910, p. 239; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 12. 145 Vedere BERGUER-BRETT Henry, Le Conditionalisme et l’Universalisme conditionnel, Genève 1879, p. 6. 146 OROUGIER Louis, L’origine astronomique de la croyance pythagoricienne en l’immortalité céleste des âmes, Paris 1933, p. III; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 14. 142
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Platone, discepolo di Socrate, che ha formulato in tutto il suo rigore il dogma dell’immortalità dell’anima: insegnava «un’immortalità personale».147 «La nostra anima è più che immortale; essa ha l’eternità in sorte: è una delle tesi cardinali di Platone».148 «Secondo Platone, non solamente l’anima è eterna, essa è in più immortale benché la distinzione non sia esplicita, come è chiaramente indicato nel Fedone».149 «Platone... riprende l’antica teoria degli orfici e dei pitagorici che proclamavano l’immortalità dell’anima, e la necessità per essa di liberarsi dai legami del corpo».150 Però «l’immortalità restava ai loro occhi (di Socrate e di Platone) piuttosto una bella speranza che una verità dimostrata».151
Mesopotamia
«I Caldeo-Babilonesi ammettevano che nell’uomo un elemento immateriale si univa al corpo... È questo elemento immateriale che sopravvive alla morte... Il suo destino dopo il trapasso può essere di due sorti. Alcune anime privilegiate raggiungono, per il favore degli dèi, una vera apoteosi, esse sono ammesse nel cielo in compagnia degli dèi... Per gli uomini comuni la sorte d’oltretomba è d’una natura molto più oscura... Nel paese senza ritorno,... l’anima persiste, ma privata di sentimento, incapace di attività, immersa nelle tenebre; non è l’annientamento, ma non è neppure l’immortalità come noi la concepiamo, è uno stato intermedio, una specie di intorpidimento e di sonno».152 Ma accanto a questo concetto «si hanno delle prove incontestabili della credenza dei Caldei all’immortalità dell’anima».153 Ciò che si insegna oggi nella cristianità risente fortemente dell’insegnamento che era dato in Persia dopo la riforma di Zoroastro: «L’uomo è composto d’un corpo e di un’anima. Le anime, tutte sorelle, create dall’origine vengono successivamente ad unirsi a un corpo del quale esse si spogliano nell’ora della morte per ritrovarlo nel momento della risurrezione, e per restarvi per sempre uniti. Dei castighi sono riservati alle anime dei colpevoli; delle ricompense attendono le anime dei giusti. Dio è rimuneratore e vendicatore. I castighi non sono affatto eterni, essi non devono durare che tanto quanto il genio del male, cioè la durata del tempo che passa».154 È nella terra di Babele che questa concezione dell’immortalità deve avere avuto la sua origine estendendosi nei vari continenti. 147
ROHDE Ervin, Psyché, p. 479; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 15. PIAT Clodius, Platon - Les Grands Philosophes, Paris 1906, p. 238; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 16. 149 CHAIGNET Antoine-Edouard, De la Psychologie de Platon, Paris 1862, p. 195; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 16. 150 VERNER Charles, La Philosophie Grecque, Paris 1938, p. 104; cit. A.F. Vaucher, idem. 151 PETAVEL-OLLIFF E., Le Problème de l’Immortalité, t. I, Paris 1891, p. 72. 152 LENORMANT François, La Divination et la Science des Présages chez les Chaldéens, Paris 1875, pp. 153-155; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 13. 153 ERMONI Vincent, La Bible et l’Assyriologie, Paris 1905, p. 55; cit. A.F. Vaucher, idem. 154 MÈNANT Joachim, Zoroastre - Essai sur la philosophie religieuse de la Perse, Paris, p. 192; cit. A.F. Vaucher, idem. 148
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Riepilogo
PhilèmonVincent riassume così gli usi e i costumi dell’antichità nei confronti dei defunti: «Gli abitanti della Gallia facevano dei prestiti in denaro rimborsabili nell’altro mondo. Gli antichi Greci mettevano nella bocca del morto una moneta, per pagare il suo trasporto fino al soggiorno delle anime. Gli Egiziani mettevano vicino al cadavere, nella sua tomba, “il Libro dei Morti”, che conteneva le preghiere tramite le quali si doveva conciliare il favore divino nell’altra vita. I Pellirosse si fanno seppellire con le loro frecce, al fine di potere ancora vivere, nell’oltretomba, della loro caccia. Il Lappone, nelle distese glaciali del Nord, fa mettere nella sua tomba una pietra di silice ed un’esca da fuoco per fare del fuoco al suo risveglio. L’Esquimese della Groenlandia sotterra con il suo bambino un cane, che gli deve servire da guida».155 L’etnologo Jean Servier constata: «Tutti i riti funerari sono tecniche la cui efficacia è condizionata dalla credenza nella sopravvivenza dell’anima e da una conoscenza approfondita delle modalità di questa sopravvivenza, la cui concezione è analoga nelle diverse civiltà».156 Ma «la tesi filosofica dell’immortalità e dell’indistruttibilità dell’anima umana... è assolutamente estranea alla religione biblica».157 «In virtù d’una immunità straordinaria, i libri canonici dell’Antico Testamento non tradiscono da nessuna parte, in un modo innegabile, l’influenza delle dottrine platoniche che sono però evidenti in molti libri deuterocanonici».158 «La dottrina pagana dell’immortalità dell’anima è la negazione su tutte le linee dei dogmi fondamentali della Chiesa cristiana. Non solamente della Risurrezione, ma soprattutto della Creazione. Poiché un’anima immortale non è creata. Secondo le diverse dottrine platoniche o induiste, secondo tutte le grandi mitologie pagane, d’altronde in ciò perfettamente conseguenti, l’anima non è mai creata, essa è una emanazione della divinità, una particella, una scintilla divina, caduta ed imprigionata in un corpo e che, liberata da questo corpo con la morte, ritorna a fondersi nella divinità. Così la morte non è più una maledizione, non è più il salario del peccato, al contrario. È una liberazione».159 155 156 157 158 159
VINCENT Philémon, Manuel de religione chrétienne, Paris, p. 257. SERVIER Jean, L’uomo e l’invisibile, ed. Rusconi, Milano 1973, p. 144. REUSS Edouard, Histoire de la théologie chrétienne au siècle apostolique, vol. II, 3a ed., Strasburg 1864, p. 554. Petavel Olliff, o.c., t. I, p. 120. PURY Roland de, Des antipodes, ed. D. & N., 1967, p. 128. Quando la profezia diventa storia
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L’uomo secondo la Bibbia A questa concezione pagana la Sacra Scrittura contrappone che «l’Eterno Iddio formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente».160 Scrive J. Zurcher: «Questo breve racconto ha non solamente il vantaggio di stabilire i legami che esistono realmente tra Dio e l’uomo, ma ancora di dirci tutto ciò che è possibile affermare quanto alla natura intima dell’uomo, cioè: 1. che l’uomo è formato da due principi correlativi; 2. che la sintesi di questi principi costitutivi dell’essere umano formano un tutto: l’uomo; 3. che la caratteristica dell’uomo è di essere un’anima vivente». Di conseguenza l’anima - non è divina; - non è preesistente alla creazione dell’uomo; - non è una sostanza immateriale, separata e separabile dall’uomo, che è stata un bel giorno imprigionata nel corpo e che un giorno lo lascerà. Nel pensiero biblico l’uomo forma un tutto indivisibile. «Il testo afferma... chiaramente che il nephesh (anima, in greco psiche) non è dato all’uomo come un’anima che sarebbe depositata in un corpo, ma il risultato finale dell’azione divina è una realtà contemporaneamente fisica e spirituale; così la traduzione più adeguata di nephesh chayah è quella di essere vivente... Il nephesh è il risultato del basar (carne) animato dal ruach (spirito)».161 Con l’espressione anima, la Bibbia presenta l’uomo, l’io, l’essere intero nelle sue varie manifestazioni: l’anima si sazia;162 prova delle emozioni;163 ha una attività morale164 e può morire,165 Gesù con il suo sacrificio offre la sua anima cioè se stesso.166 L’anima è la persona.167 Il maestro Vaucher riassume così l’antropologia biblica: materia + forma = corpo; corpo + spirito = anima o persona vivente che si manifesta sotto il triplice aspetto fisico, psichico e spirituale.168 L’uomo quindi non ha un corpo, ma è un corpo; non ha un’anima, ma è un’anima; non ha uno spirito, ma è uno spirito. Corpo anima e spirito169 sono i diversi organi 160 161 162 163 164 165 166 167 168
Genesi 2:7. ZURCHER Jean, L’Homme, sa nature et sa destinée, Neuchâtel 1953, p. 156. Salmo 107:9. Salmo 35:9; 2Re 4:27. Michea 6:7; 2Re 9:15. Ezechiele 18:4, 20. Giovanni 10:11,15,17. Atti 2:41; 27:10. A.F. Vaucher, L’homme,..., p. 15.
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con i quali l’uomo entra in relazione con l’ambiente che lo circonda, con i suoi simili e con Dio. Corpo anima e spirito sono tre gradi della manifestazione dell’essere umano. Che l’uomo sia un tutt’uno e non un composto viene oggi confermato dalla medicina psicosomatica. «Non si può curare il corpo senza curare l’anima e lo spirito. Non vi è riforma fisica di una vita senza riforma morale, e non c’è riforma morale senza rinnovamento spirituale».170 «L’antropologia biblica si avvera oggi, alla luce dei lavori contemporanei di biologia, di psicologia e di psicopatologia, d’una verità e d’una giustezza che fanno della Bibbia una miniera ancora inesplorata di insegnamenti per l’antropologia e la psicologia, come anche la psichiatria. Il problema psicofisiologico, quello delle emozioni, della vita psicopatica, sia a livello intellettuale che emotivo... sono stati trattati nei testi ebraici con una precisione e con una padronanza che deve servire da modello alla moderna ricerca. È infatti verso il punto di vista biblico che si orienta senza saperlo l’antropologia positiva, di mano in mano che si libera dagli schemi platonici e cartesiani».171
L’apostolo Paolo annuncia che nella Chiesa si sarebbero invocati i demoni, cioè i morti Paolo profetizzava che sarebbe venuto il tempo in cui la cristianità avrebbe accettato le dottrine pagane dello stato dei morti facendo di conseguenza un culto ai defunti, che venivano chiamati demoni. Questa forma di culto sarebbe stata esercitata nella chiesa di Gesù Cristo. Al suo collaboratore Timoteo scrive: «Lo Spirito dice espressamente che nei tempi a venire alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demoni».172 Con queste parole Paolo dice semplicemente che la dottrina greca dei «demoni» che i latini chiamano «geni» o «semidei» (divi), cioè il culto ai trapassati che si credevano elevati in cielo, ai quali s’innalzavano altari, si accendevano delle candele, si bruciava l’incenso o si indirizzavano delle preghiere come a dei protettori, intermediari tra l’uomo e le divinità, sarebbe entrato nella cristianità apostata. Che con demoni si intendessero i trapassati è ciò che lo stesso apostolo Paolo dice nel suo discorso all’aeropago di Atene: «Ateniesi io vedo che siete in ogni cosa quasi troppo
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2 Tessalonicesi 5:23. TOURNIER Paul, Medicina Individuale, 2a ed., AVE, Roma, p. 86. TRESMONTANT Claude, Metafisica del cristianesimo e la nascita della filosofia cristiana, p 33. 1 Timoteo 4:1. Quando la profezia diventa storia
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religiosi».173 O, secondo l’espressione greca “deisidaimonestérous”, «come troppo dedicati al culto dei demoni». Luca, nel redigere l’esperienza di quel giorno, dice che gli Ateniesi, parlando tra di loro, dicevano di Paolo «pare essere un predicatore di divinità straniere», traduzione letterale, «sembra che annunci dei “demoni stranieri”»174. Chi erano questi demoni stranieri che Paolo annunziava? «Annunziava Gesù e la risurrezione», cioè annunciava il “demone" Gesù, che dalla morte è ritornato alla vita. Giovanni nell’Apocalisse usa ancora questa espressione «demone» quando predice che la cristianità corrotta, malgrado sia stata colpita dalle conseguenze dell’infedeltà a Dio, continua a adorare «i demoni».175 Nessuna Chiesa cristiana ha presentato un culto a degli spiriti maligni, ma troppo numerosi sono stati i cristiani che hanno presentato un culto a «degli spiriti di morti deificati» o a «dei demoni» secondo l’espressione greca di Paolo. Nel Nuovo Testamento la parola demone indica i trapassati e le divinità, i semidei dei popoli pagani.176 Designa anche gli spiriti impuri o cattivi che Satana impiega al suo servizio. Generalmente negli Evangeli l’espressione demone ha questo secondo significato, ma nelle epistole dell’apostolo Paolo ha generalmente il primo significato.177 Nell’Antico Testamento, versione greca dei LXX, il significato primo e principale di questa parola si applica agli idoli dei pagani.178 È per abuso che Satana nel linguaggio corrente viene chiamato demone o demonio. Questo nome però non gli è mai dato nella Scrittura. I demoni sono sotto il suo potere; perché è lui l’artefice di questo imbroglio e perché è lui che domina sugli spiriti decaduti. Nella Bibbia nessun essere è chiamato demonio per eccellenza. Il significato della parola demone: semidei e trapassati, è confermato dai Padri della Chiesa sia latina che greca. Agostino nella sua Città di Dio scrive: «Apuleio e quanti la pensano come lui hanno attribuito ai demoni la dignità di risiedere nell’aria, cioè tra il cielo e la terra, così che essi rechino agli dèi le preghiere degli uomini e riportino a questi i doni ottenuti “non essendovi nessun Dio che si abbassi fino all’uomo”».179 Così, coloro 173
Atti 17:22. Atti 17:18. 175 Apocalisse 9:20. 176 Atti 17:18-22; 1 Corinti 10:20,21; Apocalisse 9:20; 18:2. 177 Il significato della parola demone è stato sapientemente stabilito da CAMPBELL nel suo Vl discours préliminaire sur les Evangiles; da MÈDE, Commentaire sur la Révélation de Jean, p. 623; da ELLIOTT Edward-Bishop, Horae apocalypticae, ou Commentary on the Apocalypse, 1a ed., p. 326; vedere GAUSSEN Louis, Daniel le Prophète, t. III, Paris 1849, pp. 394,395; vedere FOERSTER W., daimon, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, t. II, voce, Paideia 1966, p. 744 e seg.. 178 Deuteronomio 32:17; Salmo 96:5; 106:37,38 (gr. 105) 2 Cronache 10:20,21. 179 Platone, Convito, 203. «Platone nel Simposio dice che “chi è demone è intermediario tra Dio e i mortali... I demoni interpretano agli dèi le cose degli uomini, e agli uomini le cose degli dèi”», cit. da GODET Frédéric, Commentaire sur la I épître aux Corinthiens, t. II, Neuchâtel 1887, p. 106. Plutarco ha scritto un libro sul buon «demone» di Socrate. 174
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che credettero queste cose stimarono cosa sconveniente che gli dèi comunicassero con gli uomini e gli uomini con gli dèi. Ritennero invece cosa degna che i demoni comunicassero con gli dèi e con gli uomini per trasmettere agli uni le petizioni e agli altri i favori».180 Ignazio martire (II secolo) ricorda nella sua epistola di Smirne l’apparizione di Gesù agli apostoli dopo la crocifissione e gli fa dire: «Prendetemi, palpatemi, e vedete che io non sono per nulla un demone incorporale».181 Sotto l’influenza della filosofia greca e delle concezioni pagane, che già avevano influenzato il giudaismo, il concetto dell’immortalità dell’anima si insediò nella cristianità perché i padri della Chiesa non si preoccuparono di verificare le proprie radici pagane con la rivelazione. Forti personalità pagane accettarono il Cristo degli evangeli, ma a causa di una mancanza di conoscenza dell’insegnamento biblico, portarono nella Chiesa le loro concezioni filosofiche quale loro patrimonio culturale arricchito dai valori della nuova fede. Col tempo fu normale sostituire il culto pagano alla divinità e ai trapassati con quello dei martiri prima e dei santi dopo.
Gli eroi pagani vengono sostituiti dai martiri e dai santi cristiani
È così che Eusebio, vescovo di Cesarea, all’inizio del IV secolo dopo aver citato Platone «il quale vorrebbe che gli uomini morti per la patria fossero considerati demoni, e che i loro sepolcri fossero adorati come quelli dei demoni», fa di questa dottrina del filosofo un argomento a favore delle feste che i cristiani celebravano già nel suo tempo sulle tombe dei martiri, perché secondo lui non è sbagliato che questi morti «siano accettati come campioni della vera religione... Da qui la nostra abitudine di andare presso i loro sepolcri e di rivolgere loro una preghiera e dare onore alle loro anime benedette».182 Teodoreto, vescovo di Tiro, all’inizio del V secolo, dopo aver citato il poeta Esiodo che considerava i trapassati, tra i quali i migliori filosofi, come i guardiani e i preservati dal male diceva: «Perché trovate voi sbagliato se lo facciamo anche noi nei confronti di coloro che sulla terra sono stati eminenti nella pietà e soffrirono il martirio? Noi cristiani non li chiamiamo demoni, che Dio ce ne guardi, ma amici e servitori di Dio, i quali essendo ora morti e quindi fuori dal loro corpo, hanno la capacità di guardare gli affari degli uomini. Ed è per questo che vengono invocati. I loro templi sono celebri per la loro grandezza e bellezza. Coloro che sono in salute li pregano affinché vi siano conservati, coloro che sono da molto tempo ammalati li pregano per essere guariti, coloro che non hanno figli li pregano affinché li possano avere, quelli che partono per un viaggio li invocano affinché siano nei loro confronti compagni e guida. 180 181 182
Agostino, Città di Dio, libro VIII, cap. 8. Cit. da E.B. Elliott, o.c., p. 507; cit. da Mède, o.c., p. 642. Cit. da L. Gaussen, o.c., t. III, p. 107. Quando la profezia diventa storia
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La dimostrazione del fatto che i nostri martiri sono come i vostri protettori è data dal fatto che coloro che fanno delle petizioni vengono esauditi e la prova la si ha nelle offerte fatte dai fedeli in riconoscenza per la guarigione ottenuta. I doni votivi che voi potete vedere sono: effigi di occhi, di mani, oro, argento. In verità i nostri martiri hanno abolito e cancellato la memoria di coloro che si chiamano dèi dalla mente degli uomini. Il Signore ha introdotto i nostri morti al posto dei vostri dèi destituendoli e dando il loro onore ai nostri martiri. Al posto della festa di Giove e di Bacco e di altri simili, adesso si celebrano le feste di Pietro e Paolo, Tommaso e Serpio e di altri martiri».183 Questo assorbimento del mondo pagano ha suscitato però delle reazioni anche se il loro effetto è stato nullo. Chi ha contestato queste pratiche pagane nella Chiesa di Dio è stato come una voce nel deserto. Il culto ai morti non solo non è stato abbandonato ma rivalutato. Un esempio chiaro lo troviamo nel culto (ambiguamente chiamato devozione) alla Vergine, Regina del cielo184, che il vescovo sant’Epifanio, nel IV secolo, rimproverava ai colliridiani dicendo: «Non bisogna onorare i santi al di là di ciò che è loro dovuto, poiché è il Signore che noi dobbiamo servire. La Vergine non è stata per nulla proposta alla nostra adorazione, poiché ella ha adorato Colui che, secondo la carne, è nato da lei. Che nessuno dunque adori Maria. È a Dio solo, il Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, che appartiene questo mistero, ma a nessun uomo, né a nessuna donna, e gli angeli stessi non sono affatto degni di una simile gloria. Così dunque certe donnette non disturbino più la Chiesa e non dicano più: “Noi onoriamo la Regina del Cielo”, poiché dicendolo e offrendo le loro focacce, compiono ciò che è stato predetto, che alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demoni.185 No questo errore del popolo antico186 non prevarrà su noi al punto da allontanarci dal Dio vivente per adorare le creature, poiché se un angelo rifiuta di essere adorato da San Giovanni,187 come lo rifiuterebbe ancor più colei che non fu che la figlia di Anna».188 Quando i due fiumi, quello della rivelazione e quello della seduzione si incontrarono, dopo un po’ di tempo le acque si mescolarono e non dettero più segni di distinzione. Il cristianesimo apostata non aveva nulla che si differenziava dal paganesimo vinto e tuttavia vincitore. Agostino riconosceva che «a proposito dei beni che godono i beati (i morti, cioè i demoni) dopo questa vita non c’è dissenso tra i più illustri filosofi e noi; essi
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Eusebio, Prepararazione evangelica, XIII, 11; cit. da L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 394, 295; E.B. Elliott, o.c., t. II, 5a ed., London 1862, p. 505. 184 Espressione questa che il profeta Geremia attribuiva al culto pagano di Astarte. Geremia 7:18. 185 Cita chiaramente Paolo: 1 Timoteo 4:1. 186 Allusione al Salmo 106:37. 187 Vedere Apocalisse 19:10; 22:8,9. 188 S. Epifanio, Libro III, Commentario, 2a ed., t. II - haeres 79; cit. da GROSS Charles, L’Œcuménisme, Metz, p. 14 nota; cit. L. Gaussen, o.c., t. III, p. 107; cit. E. Elliott, o.c., p. 508.
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combattono solamente la risurrezione della carne, e la negano con tutte le loro forze».189 La teoria dell’immortalità dell’anima è stata affermata da Tertulliano, esposta da Agostino e ha trovato la sua formula definitiva in Tommaso d’Aquino. Il cristianesimo diventa così una religione di pratiche pagane o, se vogliamo, un paganesimo di credenze cristiane. Sebbene l’apostolo Paolo insegni chiaramente che Gesù è il «solo mediatore tra Dio e gli uomini»190, la Chiesa ha sostituito l’opera del Cristo con quella dei santi e delle vergini, sostitutivi di tutte quelle divinità pagane che fungevano da intermediari tra le divinità superiori e gli uomini, avendo anche il compito di proteggere le città, le arti e i mestieri. Ruolo di Roma nella soppressione del II comandamento
Nell’Antico Testamento, come abbiamo visto, la parola demone è attribuita anche agli idoli, alle statue dei pagani. Il secondo comandamento dice: «Non ti fare scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù ne’ cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra; non ti prostrare dinanzi a tali cose e non servire loro... ».191 Fu perché la Chiesa praticava il culto ai demoni che con il tempo, per una questione di coerenza, si trovò nell’obbligo di togliere dal decalogo il secondo comandamento, che in una forma chiara la condannava nel suo allontanamento dalla legge di Dio, anche se questo comandamento va oltre questa pratica pagana. Uno dei tentativi per mantenere la coerenza nella Chiesa riguardo a questo soggetto fu il concilio di Costantinopoli nel 754 con 338 vescovi, i quali decisero «che ogni immagine di qualunque materia fosse fatta e formata, sarebbe gettata fuori dalla Chiesa, come una cosa abominevole e pronunciarono queste stesse parole: “Gesù Cristo ci ha liberato dall’idolatria e ci ha insegnato ad adorare in spirito e verità; ma il Diavolo, non potendo soffrire la bellezza della Chiesa, a poco a poco ha riportato l’idolatria sotto l’apparenza del cristianesimo, persuadendo gli uomini a servire la creatura, e ad adorare un’opera alla quale essi hanno messo il nome di Gesù Cristo”». Però nel 787 si tenne il secondo concilio di Nicea, VII concilio ecumenico, con 350 vescovi, riunito sotto l’influenza del pontefice romano. Esso decretò: «Che sarebbero erette delle immagini del Signore Dio, nostro Salvatore Gesù Cristo, della nostra felice Signora la madre di Dio, dei venerabili angeli e di tutti i santi, e che chiunque avesse rigettato le immagini, le pitture o le reliquie dei martiri, sarebbe deposto, se è ecclesiastico, e scomunicato, se monaco o laico»; aggiungendo, secondo 189 Agostino, o.c., libro XXII, cap. XXVI. Agostino ha inoltre esposto i suoi argomenti filosofici in favore dell’immortalità dell’anima nel II libro dei Soliloqui e nel trattato dell’Immortalità dell’anima. Con Agostino molte concezioni dualistiche manichee entrarono nella Chiesa. 190 1 Timoteo 2:4. 191 Esodo 20:4,5; confr. Levitico 26:1,
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il costume: «Dannazione a tutti gli eretici! Dannazione al concilio che ha ruggito contro le venerabili immagini! La santa Trinità li ha deposti».192
La formazione del dogma dell’immortalità dell’anima
I secoli trascorsero e quando «verso il 1500, l’immortalità era il problema attorno al quale si agitavano tutte le questioni filosofiche»193 il papa Leone X, nella VIII sessione del V Concilio del Laterano, 19 dicembre 1513 proclamò il dogma dell’immortalità dell’anima. «La bolla pubblicata in quell’occasione dice che “non solamente l’anima è la forma del corpo, ma che essa è inoltre immortale... Coloro che insegneranno il contrario saranno puniti come eretici”».194 Lutero elevò la sua protesta contro questo dogma nella sua XXVII tesi, pubblicata nel gennaio 1551, tre mesi prima di comparire a Worms e «nella sua “Difesa di tutte le proposizioni condannate dalla nuova bolla”,... metteva il dogma dell’immortalità dell’anima nel novero delle “favole mostruose che fanno parte del letame romano”...».195 Sebbene «l’immortalità dell’anima sia la dottrina ufficiale della Chiesa romana; i teologi della Riforma non sono riusciti a svincolarsene totalmente».196 Lo stesso grande riformatore non è sempre stato coerente alla dottrina biblica dell’incoscienza dei morti.197 La Riforma, non avendo sottomesso ad un esame le dottrine che uscivano dal quadro della giustificazione per fede, rimase incompleta e la confessione di fede di Westminster delle Chiese riformate ne è una chiara testimonianza. Essa può essere così riassunta: «l) Adamo è stato creato immortale come Dio stesso quanto alla sua anima, benché il suo corpo fosse mortale; 2) La morte di cui fu minacciato in caso di disubbidienza aveva un triplice carattere: essa doveva mettere un termine alla vita fisica, separare l’anima da Dio e votarla a delle pene eterne».198 «E questa credenza d’origine greca e pagana domina ancora molte menti nel nostro tempo, malgrado il rinnovamento biblico del nostro tempo».199
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Cit. da GUERS Émile, Histoire abregée de l’Eglise, 1850, pp. 100,101. Petavel Olliff, o.c., t. II, Paris 1892, p. 76. 194 Idem, p. 291. 195 Idem, p. 77. 196 BAUDRAZ Françis, Les epître aux Corinthiens, 1965, p. 117. 197 Vedere DANIEL Walther, The ministry, juill 1955, pp. 41,42. 198 Petavel-Olliff, o.c., t. II, p. 81. Questa confessione di fede ha ancora autorità presso le Chiese Presbiteriane della Scozia, Inghilterra e America. 199 F. Baudraz, o.c., p. 117. 193
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La dottrina dell’immortalità dell’anima: porta aperta allo spiritismo
«Spiritismo, termine derivato dal latino spiritus, sostanza incorporea capace di percezione, e con il quale si vuole designare una dottrina che afferma la possibilità di comunicare con lo spirito di un defunto attraverso un soggetto psichicamente predisposto».200 Lo spiritismo si presenta, fra l’altro, come una religione che afferma che l’anima di colui che muore ritorna nel mondo degli spiriti, dei disincarnati, e può essere accanto agli esseri incarnati che vedono e ascoltano. Nell’Enciclopedia Cattolica si scrive dello spiritismo: «Chi volesse ammettere per veri alcuni fatti assolutamente preternaturali, che si asserisce essersi svolti nel corso delle manifestazioni medianiche, e volesse accettarli come dimostrazione dell’origine ultraterrena della rivelazione spiritica, ...sarebbe costretto ad ammettere nello svolgimento di tali fatti l’intervento di spiriti di natura diabolica. Sotto l’aspetto morale... l’interpretazione spiritica delle manifestazioni metapsichiche e la loro pratica, allo scopo di porsi in comunicazione con spiriti disincarnati, rappresenta colpa grave d’idolatria e superstizione. Per tale ragione sin dal Vecchio Testamento simile pratica è stata condannata, dichiarata degna della pena di morte201 e a volte direttamente punita da Dio con la più grande severità... Un decreto del S. Uffizio del 4 agosto 1856 dichiara illecita, ereticale e scandalosa la pratica di evocare le anime dei morti, riceverne responsi, ecc.; la dichiarazione della S. Penitenzieria, 1 febbraio 1882, dichiara illecito l’assistere, anche passivamente, alle consultazioni o ai giochi spiritici... la risposta del S. Uffizio, 10 aprile 1898, dichiara illecita l’evocazione dei trapassati».202 Se questo è ciò che dice la Chiesa, essa stessa però sostiene l’insegnamento dello spiritismo affermando la sua dottrina dell’immortalità naturale dell’anima. Come le persone vanno dal medium per potere intrattenersi con il defunto ed avere consigli, così la Chiesa afferma che il congiunto morto vede e segue tutti gli eventi quotidiani dei viventi e di conseguenza può influire sulla loro vita. Le manifestazioni più appariscenti dello spiritismo cristiano sono le apparizioni tanto osannate delle varie vergini203 e le profezie che fanno i beati morti. La forza per combattere la piaga dello spiritismo, che conquista sempre più seguaci nel mondo sta solamente nel ritorno all’insegnamento biblico. Lasciato questo, l’umanità non può che mettersi nelle mani dell’Avversario e subirne le seduzioni. La dottrina pseudo-cristiana dell’immortalità dell’anima è la porta che immette la cristianità in diretto contatto con gli angeli decaduti, con i demoni dei quali si parla molto negli evangeli. 200
Spiritismo, in Grande Dizionario Enciclopedico UTET, vol. XI, p. 1181. Deuteronomio 18:9-12; Levitico 20:6,27. 202 Spiritismo, in Enciclopedia Cattolica, vol. XI, col. 1138,1139. «Esponenti del cattolicesimo (dicono che) molte manifestazioni che gli spiritisti considerano come dovute a “disincarnati”, sarebbero invece dovuti a interventi diabolici»; Spiritismo, in Enciclopedia Italiana Treccani, vol. XXXII, p. 394. 203 Vedere Appendice n. 18. 201
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L’inferno e le pene eterne204
Come abbiamo visto nella confessione di fede di Westminster un errore non va mai solo. Le anime dei defunti vengono distribuite tra paradiso, purgatorio e inferno. Ma «gli inferi biblici non sono un luogo di tormento, ma di riposo. Che pensare allora dell’inferno cattolico, dove le anime dei malvagi ardono per tutta l’eternità? Qualcuno ha detto che se un tale luogo esistesse, dovrebbe essere riservato a chi ha inventato il dogma delle pene eterne e lo ha attribuito a Dio. Chi continua ad insegnare sì empia dottrina è responsabile dei sarcasmi degli increduli».205 Con questa dottrina dell’inferno che per Tertulliano era un odioso campo di carname, uno «sgozzamento continuo», si completa l’edificio dell’apostasia presente ancora nella cristianità. La credenza dell’inferno è tale che è una delle condizioni inderogabili per potere partecipare ai corsi di monitrici per bambini per la scuola domenicale nelle chiese evangeliche fondamentaliste, ed è la VII ed ultima condizione per far parte dell’Alleanza Evangelica Italiana.
Conclusione e augurio Il pastore riformato R. de Pury scriveva: «È davanti alla bara, che l’illusione di ogni tempo si è data libero corso, e che l’uomo ha lasciato vedere il suo bisogno di essere imbrogliato» e, dopo aver detto che la soluzione pagana della morte è diventato il dogma cristiano, aggiungeva: «Le devastazioni che questo dogma ha fatto nella predicazione cristiana sono incalcolabili e sbalorditive, poiché finisce per essere il fondamento della maggior parte dei nostri discorsi funebri. Quale ironia nel fatto che il popolo che fu più di tutti attaccato a questa credenza, e che ci ha lasciato le testimonianze più commoventi, sia il popolo d’Egitto, colui sul quale la Bibbia fece pesare la maledizione di Dio! Allorquando la Bibbia stessa, sulla quale deve basarsi la nostra predicazione, non contiene da nessuna parte la minima traccia d’una credenza all’immortalità dell’anima».206 Per il momento una completa riforma non si è ancora realizzata nel mondo evangelico; noi vorremmo che le parole di speranza di Petavel-Olliff: «È compito della nostra generazione - scriveva alla fine del secolo scorso - riprendere l’opera incompiuta dei riformatori»,207 diventino oggi realtà. Purtroppo alle soglie del terzo millennio l’insegnamento dell’Avversario dilaga senza argini di contenimento. Il Vescovo di Roma ha proposto alla venerazioni dei 204 205 206 207
Per una più ampia esposizione del soggetto vedere il nostro Capitolo XXII, p. 915 e seg. VAUCHER Alfred Félix, Il mondo dell’incoscienza, in Segni dei Tempi, 1974, p. 53. PURY Roland de, La présence de l’Eternité, Neuchâtel 1946, pp. 124,125. Petavel Olliff, o.c., t. Il, p. 80.
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fedeli più demoni di quanto l’abbiano fatto nel passato i suoi predecessori e le librerie sono invase dalla letteratura New Age dove immortalità, reincarnazione, entità del paranormale sono l’asse portante di questa nuova filosofia che unisce Oriente e l’Occidente, Nord e Sud.
III. Battesimo e suo significato biblico Cristiani non si nasce, lo si diventa. L’incontro con l’Evangelo produce la conversione, cioè un cambiamento di cuore e di mente nei confronti del Creatore. Questo cambiamento operato dallo Spirito è la nuova nascita senza la quale nessuno può vedere o entrare nel regno dei cieli.208 Questo passare da una vita di separazione da Dio a una vita in Cristo è testimoniato, davanti al Signore, all’universo e alla Chiesa, col battesimo. Il battesimo non è un’istituzione religiosa dovuta all’autorità ecclesiastica o apostolica, ma un rito voluto e prescritto da Gesù stesso. Affinché gli apostoli non lo dimenticassero, Gesù lo ha ricordato loro, quasi come espressione della sua ultima volontà nei momenti trascorsi assieme prima della sua ascensione definitiva.209 Il Dictionnaire de Théologie Catholique dice: «Durante i primi secoli, il battesimo si conferiva abitualmente per immersione; è, del resto, il senso etimologico del verbo baptizo, che significa immergere, affondare»210 e questo ci aiuta a capire perché Giovanni Battista battezzava (immergeva) a Enon presso Salim dove c’era molta acqua.211 L’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani spiega il significato dell’immersione e della sua conseguente uscita dall’acqua dicendo: «O ignorate voi che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Noi siamo dunque stati con lui seppelliti mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è resuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita. Perché, se siamo diventati una stessa cosa con lui per una morte somigliante alla sua, lo saremo anche per una risurrezione simile alla sua...».212 Crisostomo diceva a tale proposito: «Quello che per Cristo fu la croce ed il sepolcro, lo fu per noi il battesimo...; egli è infatti morto fisicamente e venne sepolto,
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Giovanni 3:3-5. Matteo 28:19; Marco 16:15,16. BAREILLE G., Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. II, col. 185. Giovanni 3:25. Romani 6:3-5. Quando la profezia diventa storia
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noi (abbiamo fatto) entrambe le cose rispetto al peccato... Quella di Cristo fu morte fisica (letteralmente della carne), la nostra fu morte al peccato».213 L’uomo che viene immerso, sepolto nelle acque testimonia della sua morte al peccato, e la sua uscita dall’acqua, la sua emersione, simboleggia la sua risurrezione spirituale, che lo porta a vivere per il suo Dio. Ed è così che «il battesimo è il segno della nuova nascita. Segna l’entrata nell’alleanza di Gesù Cristo. Indica l’atto di Dio che ci ha salvati: la morte e la risurrezione del Cristo.... L’uomo che si fa battezzare, dimostra di riconoscersi incapace di purificarsi con i propri mezzi, di salvarsi con i suoi meriti; testimonia che deve la sua purificazione, la sua salvezza da questo mondo al solo Signore e che lo accetta con gratitudine. L’essenziale di ciò che Dio dice all’uomo e fa per lui è dunque concentrato in questo segno così semplice del battesimo».214 Nel battesimo è concentrato tutto l’Evangelo: l’incarnazione del Cristo, la Sua predicazione, la Sua morte, la Sua risurrezione e la risposta dell’uomo a Dio, la sua morte e il suo ritorno a vivere in Lui, nella Sua grazia. «Andate e battezzate nel nome del Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo»215 racchiude tutta la restaurazione dell’uomo. «Battezzare “nel nome” (gr. per il nome, o nel nome, o in vista di questo nome, secondo una particella che indica la direzione, lo scopo al quale si tende)216 non significa soltanto battezzare per l’ordine, sull’autorità dell’Essere di cui si tratta; ma, sia come il suo nome indica la sua essenza stessa, tutte le sue perfezioni, e battezzare significa immergere, significa introdurre il neofita in una comunione vivente con Dio. Così battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo è battezzare con la sicurezza che Dio stesso compie e realizza tutto il significato di questa azione, cioè comunica tutte le grazie di cui il Dio tre volte santo è la sorgente. In una parola, il credente tramite il battesimo è ricevuto nella comunione del Padre, sorgente eterna di ogni amore, di ogni vita; nella comunione del Figlio, che lo ha riscattato e che fa di lui un membro vivente del Suo proprio corpo; nella comunione dello Spirito Santo, che lo illumina e lo santifica. Tale è il ricco e profondo significato del battesimo cristiano, che ha per frutto la purificazione e la rigenerazione per mezzo dello Spirito Santo217».218 Che il battesimo abbia questo carattere formale di unione ed innesti il cristiano in Dio, «lo si vede in una forma particolarmente impressionante nell’esposizione che fa (l’apostolo Paolo) al capitolo VI dell’epistola ai Romani; dove la preposizione “con”
213
Crisostomo, Epistola ai Romani 6:3; Omelia 10,4; cit. da DACQUINO Pietro, Battesimo e cresima, Torino 1973, p.
41. 214 215 216 217 218
BRÜTSCH Charles, La Foi Réformée, Neuchâtel 1947, pp. 59,60. Matteo 28:19. Romani 6:3; 1 Corinzi 10:2. Giovanni 3:5; Tito 3:5. L. Bonnet, o.c., vol. I, p. 241.
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si incontra quasi in ogni riga e serve a costituire delle espressioni caratteristiche. La stessa cosa è nella corta allusione al battesimo contenuta in Colossesi.219 Dunque ogni volta che Paolo parla esplicitamente del battesimo è l’idea dell’unione col Cristo che viene messa in primo piano».220 Le condizioni per il battesimo sono: pentimento e fede.221 Credere e pentirsi implicano una maturità da parte di chi recepisce la Buona Novella ed essendo la risposta a Dio talmente personale, non può essere fatta per procura o da un essere che, sebbene presente fisicamente, non è però cosciente. L’apostolo Pietro dice che il battesimo è «la richiesta di buona coscienza fatta a Dio».222 Cioè con il battesimo il credente chiede il perdono dei propri peccati nel nome di Cristo e il soccorso dello Spirito Santo che gli permette di conservare una coscienza irreprensibile (costantemente illuminata dalla Parola di Dio che stabilisce ciò che è bene e ciò che è male) in vista della testimonianza che deve fare davanti a coloro che gli «domandano ragione della sua speranza».223 Insegnare, fare discepoli, battezzare, significa sottomettere le persone a tutte le istruzioni del Gesù storico per introdurre coloro che lo accettano nell’eternità. Pietro che è cosciente di questa realtà «scongiura» i suoi ascoltatori, nel giorno della Pentecoste, a salvarsi da quella perversa generazione. E «quelli dunque i quali accettarono la sua parola furono battezzati».224
L’impiego dell’acqua nelle religioni extrabibliche e in Israele «La maggior parte delle religioni hanno attribuito all’impiego dell’acqua nei loro riti, alle lustrazioni e alle abluzioni, un valore simbolico e un’efficacia misteriosa».225 «Mediante il suo simbolismo naturale, il rito dell’abluzione era fatto per entrare nella vita religiosa dell’umanità. Di fatto, le abluzioni sono frequenti in tutte le religioni pagane e i misteri greci in particolare se ne servivano come riti di iniziazione».226 Nella religione di Mitra il «rituale comprendeva delle lustrazioni e delle abluzioni ripetute, che avevano lo scopo di cancellare le sozzure dell’anima. ... Si
219
Colossesi 2:12,13. LEENHARDT Franz Johan, Le Baptême chrétien, 2a ed., Neuchâtel 1946, p. 49. 221 Atti 2:38; Marco 16:15,16. 222 1 Pietro 3:21. 223 Vedere L. Bonnet, o.c., t. IV, L Épître de Pierre, p. 206. 224 Atti 2:40,41 225 La Grande Encyclopédie, t. V, pp. 308, 309, articolo Baptême; cit. da BROWN Henry Francis, Le Baptême à travers les siècles, tradotto et abbreviato da VAUCHER Alfred Félix, Dammarie-les-Lys 1972, p. 5. 226 RIVIERE Jean, Baptême, in Dictionnaire Pratique des Connaissances Religieuses, t. I, Paris 1925, col. 627; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 6. 220
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prescrivevano ai neofiti delle molteplici abluzioni, una specie di battesimo destinato a lavare le sozzure morali ... Ci si sentiva purificati».227 In Israele «i proseliti (convertiti dal paganesimo) circoncisi, poi battezzati, erano considerati come ammessi all’Alleanza... » Questo passare dal paganesimo alla famiglia di Abrahamo era considerato una nuova nascita, ma in senso legale. Per Gesù invece la nuova nascita significa una rigenerazione spirituale. Gli Esseni del Mar Morto introducevano i nuovi convertiti nella loro comunità mediante riti di abluzioni e di battesimo. Nella Chiesa apostolica il battesimo non segna soltanto il passaggio dalla fedeltà agli dei pagani a quella del Cristo o dal rituale mosaico alle dottrine cristiane. È il segno di una vera rivoluzione in cui si testimonia della trasformazione dell’individuo. Con questa cerimonia il catecumeno esprime la volontà di tagliare netto con tutto il passato, permettendo allo Spirito di Dio di spazzare ed eliminare da lui le vecchie abitudini, diventando così un individuo nuovo.
La Chiesa cristiana introduce nel battesimo altri elementi Nel suo espandersi, come abbiamo già visto per le altre due espressioni di apostasia, il cristianesimo urtava contro altre religioni altrettanto missionarie, come il mitraismo, i cui insegnamenti offrivano delle somiglianze col cristianesimo. Del resto in tutte le religioni si parla di amore, giustizia, bene, solidarietà. «I Padri (della Chiesa) erano i primi a riconoscere che il diavolo aveva, lui stesso, i suoi sacerdoti, e che i misteri eleusini, isiaci e mitriaci, facevano uso del battesimo nei loro riti d’iniziazione».228 Ben presto si manifestarono le prime deviazioni. Fu con il II secolo che «più d’una idea proveniente dai riti dei misteri pagani s’infiltrò nell’insegnamento dei teologi».229 Nella Didaché, o insegnamento dei dodici Apostoli, della metà del II secolo è detto come concessione: «... Battezzate... nell’acqua corrente. Se non vi è acqua viva, che si battezzi in un’altra acqua e, in mancanza di acqua fredda, in quella calda. Se
227
CUMONT Franz, Les mystères de Mithra, 3a ed., Bruxelles 1913, pp. 142,151,183; cit. A.F. Vaucher, idem. CONYBEARE Frederick Cornwallis, Baptism, in The Enciclopedy Britannique, 11a ed., vol. 3; p. 386; cit. da VAUCHER Alfred Félix, Le Baptisme, p. 9. 229 AA.VV., Baptism, in The New Schaff-Herzog Encyclopy of Religion Knowledge, vol. I, p. 437. 228
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non hai (abbastanza) né dell’una né dell’altra, versa tre volte dell’acqua sulla testa (del catecumeno) nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo».230 Giustino Martire nella sua Apologetica dice che il catecumeno deve digiunare assieme a coloro che celebreranno il rito di abluzione che «si chiama illuminazione, perché coloro che ricevono questa dottrina hanno lo spirito illuminato».231 Nel IV secolo Basilio riconosceva che la tradizione aveva aggiunto qualcosa e diceva: «Noi non ci accontentiamo delle parole riportate dagli apostoli o dall’Evangelo: prima e dopo, noi ne pronunciamo delle altre, ricevute dall’insegnamento non scritto, perché esse hanno una grande importanza per il mistero».232 Queste aggiunte consistono tra l’altro nell’attribuire al rito un valore sacramentale, magico. L’acqua doveva essere corrente, benedetta e l’effetto della sua purificazione e santificazione operata dal vescovo, secondo Cipriano, era quello di cancellare i peccati al suo contatto.233 La benedizione dell’acqua opera un cambiamento magico, sia secondo Tertulliano234 sia secondo Cirillo di Alessandria che scrisse: «L’acqua subì un cambiamento di natura, grazie allo Spirito Santo, ed acquistò un potere divino e ineffabile».235 Al battesimo veniva attribuito un carattere così sacramentale che quando Atanasio da ragazzo battezzò per gioco dei suoi compagni, il vescovo di Alessandria che lo vide considerò valido a tutti gli effetti quel battesimo e ammise quei giovani alla scuola per formarli al sacerdozio.236 «Così si arrivò a predicare la salvezza tramite il battesimo e non più in Cristo, tramite il pentimento».237 Si iniziò a dare ai catecumeni battezzati il latte e il miele per aiutarli a capire che erano nati di nuovo.238
Modifiche del rito Triplice immersione
230
Les Pères Apostoliques, I, Doctrine des Apôtres, ed. Hippolyte Hemmer, G. Ogier et A. Laurent, Paris 1907, p. 15 (capitolo VII); cit. A.F. Vaucher, idem, p. 14. 231 Giustino Martire, Prem. Apologie, Paris 1904, p. 127 (capitolo LXI); cit. A.F. Vaucher, idem, pp. 14,15. 232 Basile le Grand, Traité du Saint-Esprit, 27,66, Paris 1947, p. 234, MIGNE, P.G., 32, col. 187; cit. A.F. Vaucher, idem. 233 Cipriano, Epistole 70, I, 3, Paris 1925, II, p. 252. 234 Tertulliano, Du Baptisme, capitolo 4; MIGNE, P.L., I, col. 1203,1204. 235 Cirillo, su Giovanni 3:5; MIGNE, P.G., 73, 1864, libro II, col. 245,246; cit. A.F. Vaucher, idem. 236 CLIFFORD Cornelius, Athanasius, in The Catholic Encyclopedia, vol. 2, p. 36. 237 A.F. Vaucher, idem. 238 MOSHEIM Johann-Lorenz von, Histoire Ecclésiastique ancienne et moderne, vol. I, Yverdon 1776. p. 213. Quando la profezia diventa storia
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Dall’immersione unica presentata nell’Evangelo si passò a compiere tre immersioni secondo il manuale della Didaché della metà del II secolo. Questa usanza viene confermata da Tertulliano all’inizio del III secolo239 e da Ippolito che scriveva: «Egli entra in seguito nell’acqua, e il sacerdote, ponendo la sua mano sulla testa del candidato, lo immerge per tre volte, domandandogli ad ogni immersione se egli crede alle tre Persone della beata Trinità, il sacerdote ripete la formula del battesimo a ogni immersione».240 Il vescovo Munnulus di Girba raccomanda la triplice immersione al Concilio di Cartagine del 256 e la Costituzione Apostolica, forse del IV secolo, raccomanda che «se qualche vescovo e prete non compie le tre immersioni, ma si accontenta di una, data nella morte di Cristo, che egli sia deposto».241 Quale è l’origine di questa pratica? Secondo Martino di Braga (520-580) avrebbe una origine antica che risulterebbe da un’epistola da lui inviata a Bonifacio, in risposta «a una lettera d’un vescovo spagnolo che attribuiva una origine ariana all’uso della triplice immersione».242 Gerolamo riconosceva: «Anche altre osservanze delle Chiese, dovute alla tradizione, hanno acquistato l’autorità di una legge scritta, così l’uso di immergere la testa tre volte nel lavatoio e di gustare il latte ed il miele dopo essere usciti dall’acqua».243 A supporto della triplice immersione c’erano i riti pagani che si cristianizzavano.
Il battesimo ai bambini
Sebbene ancora oggi tutti riconoscano che nella Chiesa primitiva il battesimo era fatto solamente a persone adulte, nel III secolo si trova ben stabilito il battesimo dei bambini. Questo cambiamento è uno dei più significativi che abbiano segnato la storia della Chiesa. «Negli ultimi anni del Il secolo, Tertulliano si mostrava un avversario acerrimo del battesimo dei bambini, prova che non era generalmente considerato come un’ordinazione apostolica»244 ma un ulteriore passo verso una religione che si conforma al suo tempo. Molti uomini illustri vengono battezzati in età adulta: Ambrogio, Agostino, Gregorio di Nazianze, Basilio, Crisostomo, Gerolamo. Nel 340 Gregorio il Teologo
239
Tertulliano, Adversus Praxeas, capitolo 26; MIGNE, P.L., 11, c. 190. Ippolito, Canon XIX, ]23-132. 241 Constitutions Apostoliques Lib. 8, can. 50; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 24. 242 OTT Michael, Martin of Braga, in The Catholic Encyclopedy, vol. IX, p. 732; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 25. 243 Jérôme, Dialogo contro i Luciferiani, 8; MIGNE, P.L., 23, col. 172; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 26. 244 NEANDER Augustus, The History of the Christian Religion and the Church, New York 1848, p. 199; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 31. Vedere Tertulliano, Del Battesimo, capitolo 18; MIGNE, P.L., I, 1844, col. 1221. 240
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suggerisce l’età di tre anni per il battesimo,245 mentre Agostino quella di quattordici.246 Origene è probabilmente il primo a propugnare il battesimo dei bambini e alla base di questa sua dottrina, secondo Harnack, c’era la sua concezione filosofica che gli uomini avevano peccato nella loro vita anteriore, concezione che sarà poi sostituita da quella del peccato originale. Cipriano in Africa è un difensore del battesimo dei bambini ed è sostenuto da una sessantina di vescovi. Il XVI concilio di Cartagine nel 418 fu il primo a prescrivere: «Chiunque dice che non è necessario battezzare i neonati, sia un anatema».247 Ma fino al VI secolo il battesimo degli adulti rimane sempre la pratica più seguita. Il battesimo, precedendo l’istruzione, dà origine a delle innovazioni e la Catholic Encyclopedie riconosce che «quando si stabilì il battesimo dei bambini la cresima (confermazione) non fu amministrata che al momento in cui il bambino aveva raggiunto l’età della ragione».248 In questa fase di assorbimento del paganesimo, il limbo fa la prima apparizione. Gregorio di Nazianze (329-390) diceva dei bambini non battezzati: «Non saranno né ammessi alla gloria celeste dal giusto Giudice, né votati alle pene, perché non malvagi e nemmeno sigillati (dal battesimo)»249 e per evitare che i neonati morti subissero la sorte dei dannati, come credeva Agostino250, il battesimo dei bambini si generalizzò sempre di più. I neonati non potevano rispondere «sì, credo in Gesù», allora sorse la necessità dei procuratori: padrini e madrine. Battesimo per aspersione
Con il battesimo dei bambini si sviluppa la forma del battesimo per aspersione, che fu solamente accettata dalla Chiesa occidentale. Del resto «l’aspersione dei bambini faceva parte della mitologia pagana, e la si constata su numerosi monumenti romani o etruschi, sebbene la sua origine si perda nella notte dei secoli. Presso i pagani, era una lustrazione; fece la sua prima apparizione nella Chiesa sotto la forma di esorcismo; quando i monaci unirono l’esorcismo al battesimo, si confuse col battesimo; per finire, lo soppiantò».251 «È un grave errore supporre che il battesimo abbia cessato di essere amministrato per immersione quando l’uso di battezzare i bambini divenne generale. L’immersione 245
Conybeare, articolo Baptism, o.c., p. 366; cit. A.F. Vaucher, idem p. 33. WALL William, The History of Infant-Baptism, vol. I, Oxford 1862, p. 212; cit. A.F. Vaucher, idem p. 33. 247 HEFELE Charles Joseph, Histoire des Conciles, II, I, Paris 1908, p. 192 (canone 2); Cit. A.F. Vaucher, idem, p. 34. 248 SCANNELL T.B., Confirmation, in The Catholic Encyclopedie, vol. IV, p. 216; cit. A.F. Vaucher, idem, p 37. Una cerimonia analoga viene fatta nelle Chiese protestanti che battezzano i neonati. 249 Gregorio de Nazianze, Orat. 40,23; MIGNE, P.G., 36, 1858, col. 390; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 38. 250 The Catholic Encyclopedie, vol. IX, p. 257; cit. A.F. Vaucher, idem. 251 ROBINSON Robert, The History of Baptism, London 1790, p. 132; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 41. Tertulliano diceva a proposito delle lustrazioni pagane: «Il prete, passeggiando l’acqua sacra qua e là, annaffia case, borgate, templi, ecc.» o.c., capitolo 5, III, p. 243. MIGNE, P.L., I, col. 1204,1205; cit. A.F. Vaucher, idem, pp. 41,42. 246
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fu praticata fino al XIII e anche fino al XIV secolo. Di fatto, non è mai stata formalmente abbandonata; persiste nella Chiesa greca e in diverse altre Chiese orientali... Questa nuova forma di battesimo (aspersione) non ha preso il posto dell’immersione che dopo diversi secoli, senza che una regola ecclesiastica sia stata stabilita e che si sia rinunciato ufficialmente al rito dell’immersione».252 L’immersione non disparve dalla cristianità; Lutero però cercò di ristabilirla nel mondo riformato senza riuscirvi.253 L’uso del battesimo dei bambini è così generalizzato nel mondo evangelico che ha portato il sorgere della Chiesa battista con lo scopo di riproporre alla cristianità questo insegnamento di Gesù, e in questi ultimi anni, grazie ai lavori di Karl Barth, finalmente alcune chiese hanno cominciato a riflettere se è coerente ancora per loro continuare secondo la tradizione e sostenere di rifarsi alla sola Sacra Scrittura. Nella realtà, al di là delle discussioni teologiche, nella pratica poco o nulla è cambiato. L’insegnamento dell’Evangelo sul battesimo urta contro l’atteggiamento di molte denominazioni cristiane e ci porta amaramente a constatare che anche su questa verità l’abbandono della sana dottrina per molti è palese.254 Conclusione
Il battesimo non fatto nel momento e nella forma presentati dal Nuovo Testamento non è più il segno esteriore della nuova nascita, come aveva insegnato in forma chiara e formale il Maestro quando disse: «Andate per tutto il mondo e predicate l’Evangelo ad ogni creatura. Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato».255
Conclusione generale
252
LYMAN Coleman, Ancient Christianity Exemplified, Philadelphia 1875, pp. 396,397; cit. A.F. Vaucher, idem, p.
50. 253
SCHAFF Philip, History of the Christian Church, New York 1870, vol. 2, p. 251; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 49. In un articolo pubblicato dalla Féderation Protestant de France dove si offrono delle direttive si legge: «In un primo tempo, e mediante una preoccupazione di onestà, noi proponiamo di mostrare come il battesimo metta in luce alcune nostre divergenze teologiche e senza dubbio le più importanti. In un secondo tempo, cercheremo di lasciarci interpellare dall’altro: cosa dobbiamo apprendere da lui? Infine porremo le domande suscitate dalle nostre pratiche reciproche attuali: non ci confrontiamo noi sul piano pastorale con domande simili o identiche che permettano di intravedere un superamento delle nostre posizioni tradizionali?» SCHWEITZER Louis, segretario della FPF, in Christianisme du 20e siècle, sabato 8 dicembre 1990, pp. 6-8. In altre parole: 1a tappa: quali sono le nostre differenze? 2a tappa: Cosa possiamo imparare dagli altri? 3a tappa: Come intravedere il superamento delle nostre posizioni tradizionali? Una posiziona contraria a: Cosa insegna la Bibbia a tale proposito? Che cosa dobbiamo fare per conformarci? Lo stesso autore aggiunge: «Un’attitudine di “battesimo stretto” è sovente vissuto come una obbedienza, come una fedeltà necessaria alla Parola di Dio. C’è sovente in essa un “io non posso altrimenti” che si deve rispettare. Per contro i “battisti” devono prendere coscienza che il loro atteggiamento è percepito, a torto o a ragione, come ferente per la fede dei pedobattisti. Non si tratta che di divergenze teologiche, ma anche di ferita inflitta a dei fratelli e a delle sorelle...» Idem. In altre parole chi vuole essere fedele all’insegnamento del Signore è considerato come colui che ha un atteggiamento che tende a ferire il proprio fratello. 255 Marco 16:15,16. 254
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Concludendo questo capitolo, ricordiamo che Paolo diceva che il mistero dell’iniquità era all’opera al suo tempo, e già nella chiesa apostolica si infiltravano insegnamenti che gli apostoli hanno dovuto combattere e contrastare. Cirillo di Gerusalemme scriveva: «Attualmente vi è l’apostasia, perché gli uomini si allontanano dalla retta fede».256 La conversione nominale di Costantino, all’inizio del IV secolo, causò grandi allegrezze; il mondo pagano coperto da un mantello pseudocristiano entrò nella Chiesa. Da quel momento l’opera della corruzione fece grandi progressi. Il paganesimo sembrava vinto, ma in realtà era vincitore, il suo spirito dirigeva la Chiesa e ancora oggi si presenta rinnovato, ma sempre uguale a se stesso. «Per molto tempo la Chiesa di Roma si è gloriata della sua immutabilità. Bossuet opponeva ancora alle variazioni del protestantesimo l’invariabilità del dogma cattolico. Ma la storia dei dogmi ha diroccato la tesi degli antichi controversisti romani. Attraverso i secoli Roma ha cambiato; si possono seguire le sue dottrine dal loro primo fiorire fino al loro completo sviluppo. Essa si è allontanata a un grado tale dal cristianesimo apostolico, che su molti punti essa gli ha fatto esattamente il contropiede. Per spiegare questi cambiamenti, i più abili tra i controversisti cattolici moderni hanno adottato la teoria dello sviluppo, immaginata da Joseph de Maistre, perfezionata dai cardinali Newman e Wiseman, e ridotta in assiomi da Moehler. Secondo questa nuova teoria, i dogmi della Chiesa sarebbero esistiti in germe nell’insegnamento apostolico; questi germi si sarebbero sviluppati a poco a poco, conformemente a delle leggi provvidenziali, in modo da progredire da un secolo all’altro. La dottrina della Chiesa si sarebbe così arricchita senza alterarsi».257 Oggi si cerca di trarre dalla Sacra Scrittura delle argomentazioni per spiegare quello che la tradizione ha realizzato attraverso i secoli. La dialettica sta compiendo un’opera straordinaria e sgomenta coloro che se ne accorgono. Il teologo Karl Adam candidamente confessa: «Noi cattolici riconosciamo facilmente, senza alcuna vergogna, e anche con fierezza, che il cattolicesimo non potrebbe essere identificato semplicemente e completamente con il cristianesimo primitivo, neppure con l’Evangelo del Cristo, proprio come una grande quercia non può essere identificata con una piccola ghianda. Non c’è identità meccanica ma identità organica».258 Ma se veramente «si paragona il cristianesimo a una pianta di cui l’Evangelo sarebbe il germe, mentre la Chiesa Cattolica ne offrirebbe lo sviluppo... la similitudine è esatta? La rassomiglianza è certa?... Quando ho piantato un albero so in anticipo ciò che produrrà la semenza affidata alla terra. La sua forma, il suo fogliame, il suo frutto, la sua specie, in una parola, sono determinati da regole precise. Non è la stessa cosa di una religione come il cristianesimo, d’una istituzione come la Chiesa. Una quercia non può, crescendo, diventare un olmo, un giglio diventare un rosaio, ma 256
Cirillo di Gerusalemme, La Catechesi, XV: IX. VAUCHER Alfred Felix, Histoire du Salut, 3a ed., Dammarie-Les-Lys 1951, p. 351. 258 ADAM Karl, The spirit of Catholicism, New York 1954, p. 2; cit. VAUCHER Alfred Félix, Supplement Histoire du Salut, 3a ed., Collonges-sous-Salève 1969, p. 90. 257
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accade spesso, avviene tutti i giorni che un’istituzione cambi a poco a poco spirito, tendenza, carattere. Il nome resta, ma chi ci garantisce che, sotto questo nome, noi abbiamo sempre la stessa cosa?.. Il cattolicesimo è il prodotto del cristianesimo; un prodotto, sono d’accordo, ma un prodotto alterato, una degenerazione, una corruzione... Il cattolicesimo è meno un prodotto autentico del cristianesimo che una pianta parassita che vi si è attaccata. E diventato grande con lui, si è nutrito della sua sostanza, ha confuso i suoi rami con i suoi, ma non ha mai fatto corpo unico con lui. La quercia differisce, è vero, dalla ghianda dalla quale è uscita, ma almeno esistono tra loro delle affinità intime. L’albero in germe e l’albero diventato grande non possono essere di natura opposta. Ora, la Chiesa romana e l’Evangelo di Gesù Cristo non sono l’una nei confronti dell’altra nello stesso rapporto dell’inizio e dello sviluppo, sono su molti punti due religioni diverse...».259 Il Concilio di Trento da parte sua «sanzionò tutti gli errori che aveva generato il Medio Evo, consacrando come legge invariabile tutte le follie dei secoli precedenti fissandole nella via della menzogna e della rivolta, Roma così per molto tempo mobile, confermando con tanto di canone, e con terribili anatemi, le dottrine e le pratiche contro le quali si erano di più elevati i Riformatori, a Trento ha completato la rottura tra la luce e le tenebre; ha tracciato tra l’errore e la verità una linea di demarcazione profonda, eterna».260 A Trento «la Chiesa romana, in effetti, non riformò né la sua tradizione, né i suoi dogmi, né la sua organizzazione. La sua politica fu essenzialmente una politica di resistenza, una politica di combattimento contro tutte le innovazioni che erano proprie della Riforma. Che essa sia uscita dalla prova con delle forze rinnovate, questo non cambiava nulla ai suoi principi né alle regole del suo governo, che essa si gloriava al contrario di mantenere immutabili».261 Trento fissò la posizione teologica della Chiesa di Roma e il concilio Vaticano II dopo quattro secoli la confermò con un giuramento firmato dai padri prima dell’apertura del Concilio. In questo giuramento si legge: « l) Io riconosco fermamente ed abbraccio le tradizioni apostoliche e gli altri costumi e regolamenti della Chiesa. Ugualmente, riconosco la Sacra Scrittura nel senso in cui la nostra santa madre Chiesa l’ha considerata e la considera ancora. A essa (chiesa) appartiene il giudizio sul vero senso e la spiegazione dei sacri Scritti. Mai la spiegherò diversamente da come l’hanno unanimemente interpretata i Padri. 2) Io confesso anche che ci sono, nel senso proprio e vero del termine, sette sacramenti nella nuova Alleanza, che sono stati istituiti dal nostro Signore Gesù Cristo e che sono necessari per la salvezza del genere umano, sebbene non lo siano per tutti, per ogni individuo, cioè: il battesimo, la confermazione, l’eucarestia, la penitenza, l’estrema unzione, l’ordine, il matrimonio; che essi 259 260 261
SCHERER Edmond, Lettres à mon curé, 3’ ed., Paris, pp. 142-144; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 90. É. Guers, o.c., p. 602. SÈE H. - REBILLON A., Le XVI siècle, ed. Olio, Paris 1942, p. 35.
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comunicano la grazia e che di essi, il battesimo, la confermazione e l’ordine non possono essere rinnovati senza sacrilegio. Io accetto e anche approvo tutti i riti approvati dalla Chiesa nel momento dell’amministrazione solenne dei detti sacramenti. Io accetto interamente tutto ciò che è stato deciso e dichiarato al Concilio di Trento sul peccato originale e sulla giustificazione. Io confesso ancora che nella messa è consumato un sacrificio vero ed espiatorio per i vivi e per i morti, che nel santissimo sacramento dell’eucarestia il corpo ed il sangue e contemporaneamente l’anima e la divinità del nostro Signore Gesù Cristo sono realmente e veramente presenti, che si produce una trasformazione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue. Questa trasformazione, la Chiesa cattolica la chiama transubstantiatione. Io confesso inoltre che il Cristo tutto intero ed il vero sacramento sono presenti pure sotto una sola specie. Io ritengo fermamente che esiste un purgatorio e che le anime che vi sono chiuse trovano un soccorso nella preghiera dei credenti. Io credo anche fermamente che si devono venerare e invocare i santi che regnano con il Cristo, che essi apportano per noi delle preghiere a Dio, che si devono venerare le reliquie. Affermo fermamente che si devono avere e conservare delle immagini del Cristo, della madre di Dio sempre vergine, anche degli altri santi, che si deve a loro testimoniare il rispetto e la venerazione che è loro dovuta. Io dico anche che il Cristo ha dato alla Chiesa pieno potere per le indulgenze, e che il loro uso apporta una grande benedizione al popolo cristiano. Io riconosco la santa chiesa romana, cattolica ed apostolica, come la madre e l’educatrice di tutte le Chiese; io prometto e giuro vera obbedienza al papa romano, successore di san Pietro, il principe degli apostoli e vicario di Gesù Cristo. Io accetto anche senza elevare alcun dubbio e confesso tutte le altre cose che sono state trasmesse, decise e dichiarate dai santi Concili ecumenici, prima di tutto dal santo Concilio di Trento e dal Concilio ecumenico Vaticano I, particolarmente in ciò che concerne il primato del vescovo di Roma ed il suo magistero infallibile. E nello stesso modo: io condanno, biasimo e dico anatema tutto ciò che è in contraddizione con questo e tutte le false dottrine che la Chiesa ha condannato, rigettato e anatematizzato. Questa vera fede cattolica, al di fuori della quale nessuno può essere salvato, che io confesso qui liberamente e alla quale tengo fermamente, voglio conservarla costantemente e confessarla, pura e immacolata fino all’ultimo soffio della mia vita, e veglierò, nella misura in cui ciò dipende da me, affinché sia conservata, insegnata e predicata dai miei subordinati o da coloro di cui io dico di aver cura in virtù del mio ufficio. Lo prometto, ne faccio voto e lo giuro. Che Dio ed i suoi santi angeli mi vengano in aiuto».262
Le Messager, 20.11.1963. Quando la profezia diventa storia
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Paolo VI, all’apertura della III sessione del Concilio, il 14 settembre 1964, nel suo discorso ripeté sin dall’inizio solennemente e a ben quattro volte: «Hic revera est Ecclesia. Nos ipsi hic Ecclesiam efficimus» - La Chiesa è realmente qui, siamo noi che abbiamo fatto la Chiesa. Il Concilio è stato caratterizzato da una costante e forte autocritica, talvolta molto audace: in quasi ogni congregazione generale si levarono padri per fare una severa disamina dell’organizzazione della Chiesa, del tenore di vita dei vescovi, del predominio della gerarchia, della superstizione nella pietà popolare, della passività dei fedeli nella celebrazione della messa e delle deficienze di altri aspetti della vita ecclesiastica cattolica, senza però intaccare con i loro interventi la dottrina della Chiesa. La visione che oggi offre il cristianesimo moderno dimentica alcuni insegnamenti biblici e allora viene naturale pensare «che il cristianesimo fu un movimento religioso di lunga mano preparato dalle condizioni di civiltà che si erano venute creando nella società mediterranea fin dall’epoca della fondazione delle grandi monarchie per opera dei successori di Alessandro. ... Il cristianesimo fu una formazione composita, un prodotto ibrido, un incontro di affluenze diverse se non addirittura eterogenee».263 Se questo è quanto si può affermare della Chiesa di maggioranza, dobbiamo anche riconoscere onestamente che i tre aspetti con i quali abbiamo cercato di presentare questi insegnamenti dimenticati coinvolgono ancora oggi le Chiese cristiane. Venga presto il tempo in cui: «Avendo aperto il cuore all’amore della verità per essere salvate» lascino l’errore, la «tradizione» e la menzogna per servire veramente il Signore Gesù Cristo. «Poiché la Scrittura è la regola di ogni verità, ... non è lecito agli uomini e neppure agli angeli aggiungere, diminuire o cambiare alcunché. Ne segue che né antichità, né costumi, né la moltitudine, né la sapienza umana, né i giudizi, né le dichiarazioni, né gli editti, né i decreti, né i concili, né le visioni, né i miracoli devono essere in opposizione a questa Scrittura; ma al contrario ogni cosa deve essere esaminata, regolata e riformata in accordo con essa». È ora ormai che questa dichiarazione di fede di la Rochelle trovi la sua realizzazione.
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GENTILE Panfilo, Storia del Cristianesimo, Milano 1975, pp. 9,10.
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INSEGNAMENTI DIMENTICATI
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Capitolo IV COME DIO VEDE LA STORIA Posta nel cuore della Germania, Norimberga fu nel passato un grande centro commerciale e un focolaio artistico di prim’ordine. Nel XVI secolo, fu la prima città ad accettare la fede evangelica. Nel 1607 Léonard Kern per ornare le due porte monumentali del Rathaus o Municipio, di questa città storica, ha scolpito Nebucadnetsar seduto vicino al leone alato, simbolo di Babilonia; Ciro accanto all’orso, simbolo della Persia, Alessandro il Grande vicino al leopardo greco; Giulio Cesare vicino alla bestia romana con le dieci corna. Incendiato durante la seconda guerra mondiale, il Municipio conserva tuttavia la sua facciata quasi intatta. Le quattro sculture sussistono come una illustrazione silenziosa della permanenza della profezia ispirata.
Introduzione Il profeta Daniele riprende quanto esposto al capitolo II, dove le quattro monarchie universali sono rappresentate dalla statua tetrametallica “d’uno splendore straordinario” ma di un “aspetto terribile”, al capitolo VII, sotto l’emblema di quattro bestie feroci, manifestazione della realtà intrinseca dell’uomo con i suoi vizi, le sue idolatrie e la sua brutale tirannia, la sua separazione da Dio. All’animale manca la dimensione spirituale. In natura queste bestie non esistono.1 Di loro viene detto che sono simili, ma non sono un leone, un orso e un leopardo. Sono degli animali particolari perché rispetto
1 Si è pensato che le bestie di Daniele storicizzassero gli antichi miti che opponevano Dio alle forze del male. Si è pensato quindi che sia evidente che l’agiografo si sia riferito alle concezioni mitiche secondo le quali il mare sia abitato da mostri ostili alla divinità babilonese Marduk e a Baal delle concezioni ugaritiche. Scrive DELCOR Mathias direttore de l’Ecole Pratique des Hautes Etudes: “Per quanto curiosa possa sembrare l’origine delle quattro bestie danieliche, non si spiega direttamente attraverso la mitologia babilonese o ugaritica. Secondo l’Enuma elis Tiâmat ha generato l’Idra, il drago rosso, il Iahâmu, il leone-grande, il lupo-schiumante, l’uomo-scorpione, le tempeste furiose, l’uomo-pesce e il capricorno. Questi mostri tuttavia, non corrispondono affatto alle quattro bestie descritte da Daniele. Neppure la mitologia ugaritica è in grado di spiegare l’origine di queste quattro bestie e nemmeno quella della quarta, dotata di dieci corna, giacché la bestia ugaritica, l’Itm, ne possiede sole sette. Si è dimostrata la necessità di ricercare il prototipo degli animali fantasiosi di Daniele nei segni zodiacali o nel dedekaoros, cioè nell’astrologia antica ostile a Dio e generatrice dei mostri poté essere preso ad imprestito dei miti antichi” Studi sull’Apocalittica, ed. Paideia, Brescia 1987, pp. 175,176. Tutti i tentativi fatti per accostare le bestie di Daniele a pensieri che non hanno la loro origine nella rivelazione sono falliti.
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agli animali del nostro mondo che uccidono per mangiare, essi uccidono per uccidere, non mangiano per vivere, ma vivono per mangiare. Essi raffigurano il potere umano. L’uomo, rivoltato nei confronti di Dio, non riflette più l’essere originale, non è più un Uomo e quindi “l’umanità separata da Dio è rappresentata, non secondo la sua apparenza ingannatrice, ma quale essa è in realtà, cioè sotto i tratti di animali selvatici e senza ragione. Solo nella prospettiva del Regno di Dio l’uomo realizza veramente il suo essere e la sua destinazione; solo dall’alto può venire il vero Figlio dell’uomo... Una bestia può essere potente, può essere terribile e più forte di qualsiasi uomo... essa può dare prova anche di molta intelligenza; ma il suo sguardo è sempre rivolto alla terra, essa non intende la voce della coscienza e non mantiene alcun rapporto con Dio. Ciò che fa la grandezza vera dell’uomo, è la sua umiltà e la facoltà di riconoscere la volontà di Dio che lo eleva verso cose superiori a quelle che sono terrene”.2 Per Nebucadnetsar, abbagliato dal fasto delle ricchezze e che vede le cose solo nella loro apparenza, il regno degli uomini è un metallo brillante e il regno di Dio una pietra insignificante, ma per Daniele, quale figlio di Dio, che può penetrare la realtà intima di queste potenze politiche, le potenze del mondo senza Dio e nemiche di Dio, non hanno nulla della dignità umana. “Non è un caso - e la loro storia ne fornisce la prova - che la maggior parte degli Stati abbiano una bestia feroce nei loro stemmi”.3 Un giorno il re di Babilonia Nebucadnetsar, contemplando dalla sua terrazza la grande città, fu avvinto dal suo orgoglio (il peccato non è altro che la folle esaltazione di sé), non riconobbe più Dio al di sopra di sé ed esclamò: “Non è questa la grande Babilonia che io ho edificato come residenza reale con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà?”. Ma il re aveva ancora la parola in bocca, quando una voce discese dal cielo e disse: “Sappi, o re Nebucadnetsar, che il tuo regno t’è tolto e tu sarai cacciato di fra gli uomini, la tua dimora sarà con le bestie dei campi...”. Ciò avvenne e durò per sette tempi finché egli non riconobbe che l’Altissimo domina sul regno degli uomini.4 “Nel primo anno di Beltsatsar, re di Babilonia,5 Daniele, mentre era a letto, fece un sogno, ed ebbe delle 2
AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, pp. 52,53. HAERING GERRIT Jean, Dieu et César, Paris 1933, p. 150. 4 Daniele 4:30-32,25. 5 Sono diverse le date che vengono proposte. È importante sapere l’anno in cui il principe ereditario sia stato associato al trono: - 553 a.C. sembra preferita dal SDA Bible Commentary, vol. IV, p. 746 . - 552 indicata da: Ch. BOUTFLOWER, p. 302; J.B. PAYNE, Encicl...., p. 381; - 550-549 e - 548-547 sono proposte da HASEL G.-F., The First and third years..., pp. 153-168; - 541 S.N. HASKELL, nel 1908, p. 73; - 540 suggerita da J. VUILLEUMIER, p. 111; Secondo un poema babilonese pubblicato da Sidney SMITH, Babylonian History Texts, London 1924, pp. 83-91, Nabonide nel suo terzo anno (553 a.C.), aveva intrapreso una spedizione contro Tema in Arabia, “gli confidò la regalità”. 3
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visioni nella sua mente. Poi scrisse il sogno, e narrò la sostanza delle cose. Daniele dunque prese a dire: “Io guardavo, nella mia visione notturna, ed ecco scatenarsi sul mare grande i quattro venti del cielo. E quattro grandi bestie salirono dal mare, una diversa dall’altra. La prima era come un leone, ed aveva delle ali d’aquila. Io guardai, finché non le furono strappate le ali; e fu sollevata da terra, fu fatta stare in piedi come un uomo, e le fu dato un cuore d’uomo. Ed ecco una seconda bestia, simile ad un orso; essa si rizzava sopra un lato, aveva tre costole in bocca fra i denti; e le fu detto: ‘Levati, mangia molta carne!’ Dopo questo, io guardavo, ed eccone un’altra simile ad un leopardo, che aveva addosso quattro ali d’uccello; questa bestia aveva quattro teste, e le fu dato il dominio. Dopo questo, io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco una quarta bestia spaventevole, terribile e straordinariamente forte; aveva dei denti grandi di ferro; e divorava e sbranava e calpestava il resto con i piedi; era diversa da tutte le bestie che l’avevano preceduta e aveva dieci corna...””. L’angelo spiega a Daniele: “Queste quattro grandi bestie, sono quattro re che sorgeranno dalla terra; poi i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, d’eternità in eternità”... ed egli mi parlò così: “La quarta bestia è un quarto regno sulla terra, che differirà da tutti i regni, divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà. Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno...””.6 Daniele nella sua visione vide scatenarsi sul “Mar Grande” dei venti. Nel linguaggio ordinario degli Ebrei, il Mar Grande è il Mediterraneo7, il Mare Nostrum, mare che per molto tempo e ancora ora è il centro geografico attorno al quale hanno
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Daniele 7:1-7,17,23,24. “Contrariamente a quelle dei capitoli 2 e 4, questa prima visione, accordata personalmente e unicamente a Daniele, segna in un modo molto netto l’inizio del suo ministero in qualità di profeta. Essa si presenta per conseguenza come la visione iniziale di questo ministero profetico che durerà per i quindici ultimi anni della sua vita. É perciò normale considerare le visioni e le profezie che gli furono accordate in seguito come delle elaborazioni fondate su questa prima visione” SHEA William, Le Jugement en Daniel 7, in AA.VV., Prophétie et Eschatologie, Conférences Bibliques Division Eurafricaine, Séminaire Adventiste du Salève 1982, p. 134. 7 Come traduce La Bibbia della CEI. La stessa precisione la troviamo in Th. BOUTFLOWER, p. 213; D. FORD, Daniel, pp. 142,184; G.S. MENOCHIO, Biblia..., Paris 1660, p. 479; Rob. ANDERSON, 5a ed., p. 277; G. BAGLIO, p. 56; É. GUERS, Israel..., p. 72; R.G. NOYES, vol. II, 1890, p. 399; W.C. STEVENS, p. 94; Ch.H.H. WRIGHT, Daniel..., 1906, p. 147. Il grande mare non è l’Oceano come hanno scritto S. CAHEN, p. 35 e C.D. GINSBURG, p. 70 Quando la profezia diventa storia
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gravitato i grandi imperi e sulle rive del quale le monarchie universali si sono sedute.8 Questo Mare segna ancora il confine tra i Paesi del Nord e i Paesi del Sud del mondo. Il mare o le acque nel linguaggio apocalittico sono “il simbolo naturale della massa dell’umanità, specialmente della umanità pagana, nel seno della quale si formano i diversi imperi”.9 I quattro venti del cielo che soffiano sul gran mare raffigurano le rivoluzioni politiche che sollevano i popoli come le onde del mare. Le invasioni degli eserciti nemici sono paragonate nella parola dei profeti al vento ardente, ad un turbine che tutto disperde.10 Tutti questi avvenimenti sono sempre però sotto il controllo di Dio e quindi il credente può guardare al presente e al futuro con fiducia.11 Da questa lotta di eserciti, invasioni di popoli e di passioni, che hanno la loro prima origine nel cuore dell’uomo, sorgono quattro bestie. Da queste acque-popoli sorgono degli animali e gli animali sono stati in Oriente i simboli dei re, degli imperi, delle nazioni. Simbologia questa che risale ai tempi più lontani.12 “Le bestie rappresentano dei re e una successione di re o, in altri termini, delle dominazioni, dei regimi, dei regni o degli imperi idolatri, opposti o indifferenti al Regno di Dio. Questi imperi sono rappresentati sotto l’immagine di bestie, per far notare che le passioni ne sono il principale movente... È da rilevare che queste bestie indicano le “sovranità o monarchie universali”. Daniele le considera tanto nel loro capo quanto nell’insieme dei loro successori. In tal modo, le quattro bestie rappresentano quattro re e la serie dei re che continuano la loro dominazione o il loro regno. Chiaramente, nel testo, le bestie indicano dei re.13 L’interprete della visione dice a Daniele: “Queste quattro grandi bestie, sono quattro re (malkin)”. Ma le traduzioni antiche o moderne hanno tradotto per “quattro regni”. Esse hanno compreso, in effetti, che si tratta qui, non solamente di un individuo, ma della serie dei re che si riallacciano a lui. Così l’angelo ci fa comprendere che, con la parola “re”, intende il seguito dei successori di questi re: “La quarta bestia è un quarto regno”14. Le bestie rappresentano, dunque, non solamente il primo re indicato dalla visione, ma anche una “dominazione” (malku) successivamente occupata da diversi re.15 È così che al capitolo II il dominio o il regno dei Medo Persiani, dei Greci e dei Romani è indicato dalla parola malku (regno) che, nel capitolo VII, viene rappresentato da una 8
Osea 13:7,8. “Il mare, secondo la concezione biblica e la mentalità dei popoli dell’antico Oriente (confr. l’Epopea di Enumaelish (Babilonia); la battaglia di Ba’al col Mare (Ugarit), vol. I, pp. 38,102,241), è il simbolo della ribellione e della sollevazione contro Dio (Isaia 17:12; Geremia 5:22; Salmo 46:47; 89:10). Pertanto le fiere uscite dal mare hanno pure un carattere di ostilità nei confronti di Dio” SCHEDL Claus, Storia dell’Antico Testamento, vol. IV, tradotto da Pietro CANOSA, ed. Paoline, Roma 1966, p. 69. 9 CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. V, Daniel, p. 685. Vedere Apocalisse 17:15; Isaia 17:12;2 7:1; Geremia 46:7, Ezechiele 26:3. 10 Geremia 4:11-13; 49:36. 11 Salmo 65:7. 12 Isaia 27:1; Ezechiele 29:3; 32:2. 13 Daniele 7:17. 14 Daniele 7:23. 15 Daniele 8:20,21.
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bestia simbolica. Ogni regno (regime) è così rappresentato come una unica bestia, sebbene comprenda più persone diverse, poiché tutte queste persone sono considerate come dei membri di uno stesso corpo, che concorrono a una specie di unità, ... mossi da uno stesso spirito, per uno stesso regime nazionale... Il dottor Pusey dice molto bene, a questo proposito: “In queste profezie, il re rappresenta il regno, e il regno è concentrato nel re".16 Notiamo anche che le bestie simboliche stabiliscono tra i domini (regno o reame) che esse personificano delle differenze etniche. Ogni bestia indica un cambiamento politico e il trasferimento della dominazione, della regalità, del regno a una nazione diversa. Le quattro bestie hanno un carattere comune: sono delle bestie; ma rappresentano dei tipi diversi”.17 “La differenza di queste bestie non consiste nel grado di potere che è loro accordato, - poiché tutte simboleggiano delle monarchie universali, - bensì nel carattere della loro potenza. Come ogni bestia ha la sua organizzazione e le sue caratteristiche proprie, così ognuno di questi imperi ha uno spirito e un modo di agire particolare”.18
Primo impero. Rappresentato da un animale simile ad un leone con ali d’aquila: Babilonia “Il leone è il più nobile dei mammiferi selvatici e l’aquila il più nobile degli uccelli: queste caratteristiche ricordano l’immagine della testa d’oro, il più nobile dei metalli, immagine applicata espressamente a Nebucadnetsar”.19 Geremia ed Ezechiele già avevano descritto la potenza babilonese con queste figure.20 Gli altorilievi di Ninive e Babilonia rappresentano spesso questa specie di animale composto che molte volte viene esibito nell’ingresso dei palazzi e dei templi. Con questo animale si voleva così raffigurare il potere di Babilonia, i suoi attacchi impetuosi, la sua rapidità nelle conquiste e la violenza delle deportazioni, la sua altezza di genio e la potenza del suo volo. Simile all’aquila che trasporta lontano la sua preda, Babilonia planava sulle popolazioni. S’abbatteva come dall’alto delle nuvole sulle loro città più forti, e quando le aveva prese era contemporaneamente un’aquila e un leone sulla sua preda. Nulla l’arrestava nelle sue conquiste, né le montagne, né i fiumi, né le muraglie più inespugnabili.
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PUSEY Edward Bouverie, Daniel the prophet. Nine Lectures, Delivered in the Divinity Shool of the University of Oxford, Oxford 1864, pp. 78, 79; cit. da FABRE d’ENVIEU Jules, Le Livre du Prophète Daniel, t. II, Paris 1880, p. 565. 17 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 564,565. 18 La Bible Annotée, Ancien Testament, t. II, Les Prophètes - Daniel, Paris-Genève, p. 285. 19 A. Crampon, o.c., p. 686. 20 Geremia 59:19,22; Ezechiele 17:3. Quando la profezia diventa storia
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Queste ali d’aquila che vengono strappate, i commentatori le comprendono come un atto violento, col quale si suole designare il periodo in cui Nebucadnetsar cessò le sue conquiste per darsi alle arti e alla pace, dando al suo regno un carattere più umano. Il cuore d’uomo raffigura il cambiamento religioso che si operò in lui negli ultimi anni del suo regno nel riconoscere la sovranità del Dio d’Israele.21 Già da quando Nebucadnetsar fu tolto dalla scena, prima con la sua malattia mentale che durò sette tempi e poi con la morte che lo seguì da vicino, i suoi eserciti cessarono di volare come aquile; essi subirono sconfitte continue e le sue conquiste gli vennero rapite una dopo l’altra.22 Le ali che vengono strappate e l’offerta del cuore simile a quello d’uomo possono riferirsi anche “agli ultimi anni dell’Impero Babilonese, indebolito e cadente sotto i colpi dei Medo-Persiani; non è più un leone vigoroso, né l’aquila rapida che tocca appena la terra, ma l’uomo debole e mortale, incapace di difendersi contro la seconda bestia”.23 Come abbiamo detto sopra, un animale non rappresenta un re singolo, ma un regno nel quale i discendenti di Nebucadnetsar non sono che i continuatori. Come nella statua questo regno è rappresentato dalla testa, così qui è rappresentato da questo animale e non è quindi possibile far partire il susseguirsi degli imperi da uno precedente a quello di Babilonia. Al tempo in cui Daniele scrive, “la monarchia babilonese era di già apparsa ed era giunta quasi alla sua fine; lo scrittore sacro si esprime ugualmente al futuro a causa delle altre tre, che appariranno in avvenire”.24
Secondo impero. Rappresentato da un animale simile a un orso ritto su un lato con tre costole in bocca: Medo-Persia Il secondo animale che Daniele vede sorgere è simile ad un orso che si rizza su un lato ed ha tre costole in bocca. Questo animale tozzo, lento nei movimenti e di grande ferocia rappresenta l’Impero Medo-Persiano che corrisponde, nella statua, al petto e alle braccia d’argento. “L’ordine “levati”, non deve fare concludere... che l’animale fosse accovacciato, poiché usciva proprio in quel momento dal mare. Questa apostrofe ha quindi, come spesso accade, il senso di “Andiamo! avanti!”25 “Mangia molta carne!” è l’emblema dell’avidità con la quale questo secondo impero si impossesserà delle ricchezze dei
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La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 285. Confr. Daniele 2:47; 3:28; 4:34. GAUSSEN Louis, Daniel le Prophète, t. II, Paris 1848, pp. 30,31. A. Crampon, o.c., p. 686. Idem, p. 689. Giudici 8:20.
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popoli conquistati. L’ordine significa: “Compi il tuo ruolo nella storia! Nessun ostacolo ti arresta!””.26 Mentre i Caldei trasportavano lontano i popoli vinti, i Medo-Persiani, senza toglierli dalle loro terre, li calpestavano sotto i piedi, dimostrando grande crudeltà nella loro guerra. Gli storici dicono che i Persiani furono i più barbari di tutti i popoli conquistatori. Per caratterizzarli si sono dovuti adottare dei paragoni con gli animali selvatici. “Nulla caratterizza meglio la nazione persiana delle sue leggi criminali. Esse si distinguevano per la crudeltà delle pene: i colpevoli venivano scorticati e seppelliti vivi. C’era più crudeltà ancora nelle mutilazioni che i persiani si compiacevano d’infliggere. Il persiano Ciro era, secondo la testimonianza di Senofonte, il persiano che dopo il vecchio Ciro si mostrò più degno dell’impero: possedeva tutte le virtù d’un gran re. A causa dello zelo con il quale esercitava la giustizia, lo storico greco dice che le grandi strade erano affollate d’uomini mutilati ai piedi, alle mani, agli occhi. Dopo la presa di Babilonia (Dario) fece mettere in croce 3000 abitanti tra i più distinti della città... Serse sorpassò Dario in crudeltà... Seneca riporta che un re persiano fece tagliare il naso a tutto un popolo. L’antichità tutta intera ha mancato d’umanità; ma un disprezzo della personalità umana, tale quale scaturisce dalla condotta dei persiani, non si trova più nella storia”.27 Questa bestia si “rizzava sopra un lato” o essa “aveva un lato più alto”. Questa immagine corrisponde al montone del capitolo VIII che aveva due corna, uno più alto dell’altro, indicando così che la componente etnica persiana aveva un ruolo preponderante rispetto a quella meda. Tronchon dice che l’orso medo-persiano ha due lati: “L’uno, il lato medo, resta a riposo; l’altro, il lato persiano, si alza e diventa più alto del primo”.28 Le tre costole in bocca rappresentano “le conquiste della parte occidentale, della parte settentrionale e della parte meridionale”29: la Lidia, Babilonia, l’Egitto conquistati rispettivamente nel 546, 538 e 525 a.C. Sono territori che non vengono considerati come facenti parte del corpo della bestia, cioè dell’estensione geografica del proprio impero.30 Per un certo numero di esegeti moderni l’orso rappresenterebbe la potenza meda e la terza bestia (il leopardo alato) quella persiana. Questa spiegazione urta però contro la realtà storica ed il testo biblico. La storia non conosce che un Impero Medo-Persiano unico, nel seno del quale l’autorità appartenne dapprima alla dinastia meda, poi alla dinastia persiana. M.
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La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 286. LAURENT F., Histoire du Droit des gens, t. I, pp. 438,439 t. II, p. 176; cit. da VUILLEUMIER Jean, Les prophéties de Daniel, Genève 1906, pp. 118,119. 28 Cit. da A. Crampon, o.c., p. 686; La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 286. 29 La Bible Annotée, idem. 30 Vedere il nostro Capitolo VII. 27
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Maspéro, d’accordo con M. Rawlinson,31 dopo aver raccontato i dissensi in seguito alle quali Ciro (persiano) prevalse su Astiage (medo), si esprime in questi termini: “Fu un cambiamento di dinastia piuttosto che una conquista straniera. Astiage ed i suoi predecessori erano stati re dei Medi e dei Persiani; Ciro e i suoi successori furono re dei Persiani e dei Medi”.32 I Medi più civilizzati giocarono un ruolo di primo piano finché più tardi i Persiani non ebbero un ruolo di preminenza e furono descritti come l’elemento preponderante.33 Il libro di Daniele insiste a varie riprese nel presentare questo impero come unico. Al re Beltsatsar Daniele annuncia che il regno di Babilonia viene dato ai “Medi e ai Persiani”.34 L’angelo dice al profeta: “Il montone che hai veduto, rappresenta il re di Media e di Persia”35, Dario il medo promulga un decreto conformemente alla “legge dei Medi e dei Persiani”36, al capitolo XI:1 l’angelo dice che Dario è il re medo, e al verso 2 dice che sorgeranno ancora in Persia tre re e “questo prova che ai suoi occhi Dario il medo è contemporaneamente re dei persiani”.37 Ai tempi della regina Ester, sebbene la dinastia fosse ormai persiana, si parlava ancora delle “Cronache dei re di Media e di Persia”38 mantenendo l’antico titolo che poneva i Medi al primo posto. Nel terzo anno di regno, Assuero riunì il suo “esercito di Persia e di Media”.39 Nelle varie iscrizioni di Dario Istarpe “i Persiani e i Medi vi sono menzionati come due etnie unite in un solo popolo: “L’armata dei Persiani e dei Medi che erano con me”, “io inviai una armata di Persiani e di Medi”, “nessun uomo, né persiano né medo, l’avrebbe spodestato””.40 Vedere nell’orso qualcosa di diverso e di disgiunto dalla monarchia medo-persiana è un errore storico ed esegetico. Scrive J. Doukhan: “Molto presto nella tradizione giudaica si è riconosciuta, attraverso questa rappresentazione dell’orso di Daniele VII, una allusione ai Persiani. Poiché, commenta con un certo sorriso il Talmud: “I Persiani mangiano e bevono come l’orso, hanno dei capelli lunghi come l’orso, sono agitati come l’orso”.41 Un altro passo talmudico chiama l’angelo tutelare di Persia “l’orso di Daniele”42”.43
31 MASPERO M., Histoire ancienne des peuples de l’Orient, p. 509; RAWLINSON M., Ther five great monarchies, t. II, 3a ed., London 1873, pp. 422,426. 32 La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 286; A. Crampon, o.c., p. 686. 33 Vedere BENOIT Pierre de, Le prophète Daniel, Paris 1941, 20. 34 Daniele 5:28. 35 Daniele 8:20. 36 Daniele 6:8,12,15. 37 La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 286. 38 Ester 10:2. 39 Ester 1:3. 40 Cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 645. 41 Kidd, 72a. 42 Yoma 77a. 43 DOUKHAN Jacques, Le soupir de la terre, ed. Vie et Sante, Dammarie-les-Lys 1993, p. 146.
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Terzo impero. Rappresentato da un animale simile ad un leopardo con quattro teste e quattro ali d’uccello: Grecia Il terzo animale rappresenta il regno greco-macedone che conquistò il mondo a volo d’uccello. La velocità del quadrupede è rafforzata da quella dell’uccello. Sembra conquistare il mondo senza toccare terra, dirà qualche anno dopo lo stesso Daniele.44 Già “Teodoreto faceva notare che la visione designa il regno macedone e che Alessandro è stato convenientemente comparato ad una pantera, a causa della sua prontezza, della sua rapidità, della mobilità del suo carattere e delle sue passioni”.45 “Il leopardo è piccolo, ma intrepido: s’attacca a tutto ciò che incontra e nulla lo ferma. Alessandro era piccolo di taglia; il suo regno primitivo della Macedonia era piccolo; non aveva che un piccolo esercito contro 150.000 uomini al Granico; contro 400.000 a Isso e contro gli 800.000 ad Arbela... Come il leopardo, era senza posa, inquieto, agitato, intrattabile, insoddisfatto; e questo carattere si è trovato in quasi tutti i suoi successori”.46 “Non aveva 21 anni quando tutti gli Stati della Grecia lo nominarono generale dei Greci, per attaccare il potente impero dei Medi e dei Persiani. Nell’anno successivo passa in Asia e rovescia tutto sul suo cammino; marcia, o piuttosto vola come una tempesta; le città più munite cadono davanti a lui; gli eserciti più formidabili sono distrutti in un giorno; la potente Tiro è bruciata; Gaza è annientata; l’Egitto è conquistato in qualche settimana; Babilonia apre le sue porte; lo sfortunato re dei Medi e dei Persiani, lungamente inseguito, cade trafitto di colpi; e in 5 anni di guerra rapida e vittoriosa come non si vide mai, questo giovane principe, appena all’età di 26 anni, sale sul trono di Nebucadnetsar e di Ciro, si vede monarca del mondo e si fa chiamare “il padrone della terra e del mare””.47 Questo animale, a differenza degli altri, aveva quattro teste. “Esse non indicano solamente che la potenza del terzo impero deve estendersi verso i quattro punti della terra o verso i quattro punti cardinali, cioè su tutta la terra, a seguito della formula dei re di Babilonia e di Ninive, che si davano il titolo di “re delle quattro regioni”. Ma nel nostro testo queste quattro teste simboleggiano i
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Daniele 8:4. cit. J. Fabre d’Envieu, idem, pp. 650,651. 46 L. Gaussen, o.c., t. II, p. 40. Le cifre che l’antichità ci trasmette relative alla consistenza numerica degli eserciti possono anche non essere esatte, ma indicative per far comprendere lo spiegamento delle forze. 47 Idem, t. I, p. 136. 45
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quattro capi, i quattro generali di Alessandro che formeranno i quattro regni, i quali continueranno l’impero ellenico di Alessandro o l’impero macedone”.48 Questi quattro regni furono quelli di Macedonia, Tracia, Egitto e Siria.49 “In effetti, l’impero di Alessandro non è esistito come impero a parte e distinto dalle monarchie greche che ne uscirono. Il fondatore morì prima di potere organizzare il suo nuovo Stato; venti anni dopo, le sue conquiste passarono a quattro dei suoi generali che le divisero prendendo il titolo di re. É questo che indica il testo stesso, facendo apparire la terza bestia con le sue quattro teste, ancora prima di dire che la dominazione gli fu data. Essa appare all’inizio della visione profetica nella forma sotto la quale si è realizzata storicamente”.50 Questo modo di vedere è confermato al capitolo seguente di Daniele. Con questa bestia è rappresentata tutta la storia dei vari regni dell’Impero GrecoMacedone.
Quarto impero. Rappresentato da un animale che non ha riscontro nel creato: Roma Critica all’identificazione con il regno seleucida ed altre speculazioni Critica all’identificazione della quarta bestia con il regno seleucida51
L’esegesi “razionale” moderna o liberale vuole vedere in questa quarta bestia il regno dei Seleucidi sorto dalla divisione in quattro del regno di Alessandro.52 “La forza straordinaria che le è attribuita non permette di vedervi né l’insieme delle monarchie sorte dall’impero di Alessandro, né uno di esse: quello della Siria”.53 La quarta bestia viene descritta come spaventevole, terribile e straordinariamente forte, quindi superiore a tutte le precedenti. Il regno Seleucida ha avuto dei confini geografici limitati facenti parte dell’impero conquistato da Alessandro Magno e non ha superato né i limiti di questo impero, né la sua forza. Dopo la quarta bestia, il testo biblico dice che il regno viene dato ai santi dell’Altissimo senza intervallo di tempo. Le profezie di Daniele, a differenza di quelle degli altri profeti biblici, sono cronologiche e concatenate, non lasciano quindi intervalli di tempo più o meno lunghi. “É inammissibile confondere questo quarto impero con il regno dei Seleucidi... Questo errore esegetico si spiega unicamente con l’idea preconcetta di numerosi 48 49 50 51 52 53
J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 581. Vedere a tale proposito il nostro Capitolo XI. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 287. Per una presentazione sistematica di questa identificazione nel libro di Daniele, vedere Appendice n. 4. Vedere nota n. 64 per una più ampia trattazione anche delle diverse posizioni. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 288.
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critici che sono incapaci di sbarazzarsi della concezione insostenibile che il libro di Daniele si riferisca esclusivamente all’epoca di Antioco Epifane...”.54 L’avvocato Amedée Nicolas dice: “Questa bestia è evidentemente l’Impero Romano che si eleva dopo l’Impero Greco, e fu molto più esteso e potente di questi tre imperi che l’avevano preceduto. Holzhauser pensa che questo quarto impero sia quello di Maometto. Noi non possiamo ammettere questo, neppure come semplice ipotesi; (troppi secoli d’intervallo trascorrerebbero tra l’Impero Greco e quello di Maometto e quindi non ci sarebbe una continuazione logica) bisognerebbe, in questo caso, sopprimere, o non vedere da nessuna parte l’Impero Romano, che ha tuttavia avuto il più grande posto nel mondo”.55 Il quarto impero deve succedere agli stati greci usciti dalla conquista di Alessandro e chiudere la serie delle monarchie universali. L’Impero Romano solo risponde a questa condizione. Ha assorbito l’Egitto, la Siria, la Tracia e la Grecia; ha superato tutti i grandi imperi precedenti. Nulla è sfuggito alla sua potenza. Dionigi d’Alicarnasso, che scriveva negli anni che hanno preceduto la nostra era, disse: “L’Impero Romano regna su tutte le contrade della terra che non sono inabbordabili, domina su tutto il mare; solo e per primo ha fatto dell’Oriente e dell’Occidente le sue frontiere.56 La grande monarchia dei Greci macedoni, per quanto vasta fosse, si arrestò al mare Adriatico; ma la repubblica di Roma comanda a tutta la terra, almeno fin dove la terra è abitata; poiché questa repubblica è padrona di tutti i mari, e non solamente di quelli che sono al di qua delle colonne d’Ercole, ma ancora dell’Oceano, fino a dove si può navigarlo”.57 “Da oltre un centinaio d’anni - scriveva l’abate J. Fabre d’Envieu nel 1890 - i razionalisti - (con tutti i loro virtuosismi) - si cimentano a dimostrare che l’ultimo impero rappresentato dalle gambe di ferro e i piedi di ferro e d’argilla, così come per la quarta bestia, non sia l’Impero Romano. Per escludere questo impero dalla serie indicata da Daniele e ritrovare quattro imperi, essi hanno cercato di dividere ciascuno dei tre primi imperi. Ma, malgrado tutti i loro sforzi, questa esegesi di combinazioni artificiali non li ha condotti che a un impatto, e non hanno concluso altro che il refutarsi a vicenda... Insomma, i nuovi esegeti non hanno potuto pervenire a plasmare la profezia a loro piacere, e si sono infranti contro un testo implacabile che li sfida... I Padri della Chiesa - salvo Efrem, il cui errore si spiega e si refuta facilmente58 sostengono questa interpretazione: sant’Ippolito, san Gerolamo, Oroso, Teodoreto,
54
P. de Benoit, o.c., p. 21. Lo stesso pensiero è sostenuto dall’abate A. Crampon, o.c., p. 686. NICOLAS Amedée, Conjectures sur les Âges de l’Eglise et les derniers temps, 2a ed., Paris 1881, p. 199. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto tra parentesi. 56 La Bible Annotée, o.c., t. Il, p. 288. Sulla dichiarazione di Dionigi vedere anche A. Crampon, o.c., p. 686. 57 Dionigi d’Alicarnasso, Antichità Romana, p. 2; cit. L. Gaussen, o.c., t. II, p. 83. 58 Efrem aveva supposto che l’Impero Medo fosse la seconda bestia e l’Impero Persiano la terza. Vedere nota n. 64 sistema n. IV, pp. 206,207. 55
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sant Agostino,59 san Giovanni Crisostomo60, Sulpicio Severo61. Ci è sufficiente riportare le parole di san Cirillo di Gerusalemme62. Dopo aver detto che tutti gli scrittori ecclesiastici ammettono che il quarto impero è l’Impero Romano, aggiunge: “Poiché il primo era l’impero degli Assiri (Babilonesi); l’altro, dei Medi e nello stesso tempo dei Persiani; e dopo questo, il terzo, quello dei Macedoni; il quarto impero è ora quello dei Romani.” I commentatori del Medioevo e i commentatori cattolici dei tempi moderni hanno seguito l’insegnamento tradizionale, a eccezione di Houbigant, di Jahn e di Calmet che, lasciandosi trasportare da Grotius63, riconosce nondimeno “che non pretende con questo distruggere il sistema che indica nella quarta bestia l’Impero Romano”. I pretesi riformati hanno d’altronde riconosciuto il bene fondato della vecchia interpretazione. Nella prefazione del suo commentario su Daniele, Lutero dice che egli si appoggia sull’autorità di “tutti i dottori che lo hanno preceduto”, e aggiunge: “Il primo regno è quello degli Assiri o Babilonesi, il secondo quello dei Medi o dei Persiani, il terzo quello di Alessandro il Grande e dei Greci, il quarto quello dei Romani”. Su questa spiegazione e opinione, tutti sono d’accordo, e la storia e i fatti lo stabiliscono assolutamente. Calvino, Melantone, Œcolampadio, Vitringa, Geier, Bengel, Bullinger, e innumerevoli luterani e calvinisti hanno, nei loro commentari, spiegato gli imperi di Daniele nello stesso modo. Tra i moderni possiamo citare: C.B. Michaelis, Keil, Gaussen, Auberlen, Kliefoth, Zuendel, ecc. Ci sarebbe impossibile dare qui il catalogo degli inglesi che hanno mantenuto la interpretazione comune, ci è sufficiente nominare il celebre Isacco Newton e il Dr. Pusey. Questa interpretazione si raccomanda, d’altronde, per la sua evidenza intrinseca, e noi abbiamo il diritto, dopo lo studio che abbiamo fatto dei testi, di considerare questo risultato come solidamente dimostrato”.64 59
Agostino, La città di Dio, I,X,23. Giovanni Crisostomo, Daniele, t. VI. 61 Sulpicio Severo, Sacra Historia, I, III, 11. 62 Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, XV, 6. 63 Grotius riprende l’idea di Porfirio e divide in due l’Impero Greco: terza bestia Alessandro, quarta i suoi successori: i quattro diadochi. 64 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 640,637,638. Alcuni esempi di autori che hanno sostenuto questa interpretazione: J. ABBADIE, pp. 446-451; K. AUBERLEN, p. 64; P. ALLIX , De Messiae, p. 5; R. ANDERSON, 5a ed., p. 73; G. BARTOLUCCI, Biblioteca..., pars III, Roma 1683, pp. 610613; Baruc, II libro, XXXVI-XL; cit. R.H. CHARLES, The Apocrypha; È. BAUDOUIN, p. XIII,14,23-32; A. BEA, pp. 4652; Edw. BICKERSTETH, A Script., p. 196; A.E. BLOOMFIELD, The End, p. 89, 106; H.E. BROOKE, p. 11; K.L. BROOKS, The Certain, p. 7; J. BRUNEMANNUS, p. 14; E.P. CACHEMAILLE, 1911, p. 38; J. CALVIN, Leçons, fol. 96b; H. DEANE, A Bible, pp. 59, 137,138; J. DRACH, Comm., vol. I, fol. 15-18; vol. II fol. 4-6; J. DREXEL, trad. italiana, pp. 572-603; Esdra, IV libro, v. 90, X-60-XII-35; F. DUESTERWALD, pp. 107-117; G.S. FABER, A Dissertation, 5a ed., p. 154; L.C. FILLION, pp. 233,234,277-280; B. FOSTER, p. 27; L. GERBI, p. 195; H.A.C. HAEVERNICK, 1832, pp. 229-235; W. HARPER, p. 18; E. HUIT, pp. 51-59; F. JOUBERT, ed. 1745, pp. 35-47; ed. 1749, vol. I, pp. 85-91; A. KINNE, An 60
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Explication, p. 128; T.F.O. KLIEFOTH, pp. 88-94, 188-209; Ch.H. LAGRANGE, Leçons, vol. I, 2a ed., pp. 169,306,310; W.S. LASOR, Creat., p. 172; P. de LAUNAY, Réponse, pp. 200-207; W. LOWTH, ed. 1822, p. 332; J. de MALDONADO, pp. 613-616, 665; G.S. MENOCHIO, 1630, pp. 307,318; 1758, p. 129; 1768, p. 241,248; D. MUELLER; L.W. MUNHALL, p. 160; G. NIGRINUS, 1574, p. 68; J. ŒCOLAMPADE, 1530, f. 80; f. 82b contro Policonius e f. 83a contro Aben Ezra; F. OGARA, pp. 69-73, 219-224, 237,238; W. PALMER, pp. 23,46,106,107,140,142; J.B. PAYNE, Encycl., pp. 370,371; A. PELET, pp. 11,40; J.B. PELT, pp. 11,40,353; J.A. PETIT, p. 37; M. POOLE, Synopsis, pp. 830,831; C. ROLLIN, pp. 251-264; M.F. ROOS, An Exposit., pp. 71,128-134; A. ROHLING, p. 82; J.B. ROSSIER, vol. II, p. 212; C. SÁNCHEZ (Sanctius), 1619, c. 385; F.G. SMITH, p. 81; STEEN (ALAPIDE), 1622, p. 6,7; W.C. STEVENS, pp. 37, 94,95; A.F. VAUCHER, Lacunziana, serie I, pp. 37-40; J.C.J. WHITCOMB, The New ..., pp. 29,293; G. WILLIAMS, 6a ed., pp. 620,625; W. WINGATE, p. 10; Edw.-Jos YOUNG, The Bible ..., London 1953, 1954, 1962, pp. 671,672,676,677; The Prophecy, 1949, pp. 76,149,305; J. ZURCHER, Question Débattues, pp. 150-158; J. ZUMBIEHL, Das Buch Daniel ..., pp. 90-114; Anonimo, Kai to the Prophecy..., pp. 63-100; Remarks on the ..., p. 43. Comparando i dati che emergono da J. Fabre d’Envieu, p. 641 e da La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 284, presentiamo i seguenti sistemi interpretativi che hanno lo scopo di eliminare dalle visioni profetiche di Daniele Roma quale quarto impero universale. I sistema: Babilonia - Nebucadnetsar - Beltsatsar - Neriglissor - Nabonide I
II sistema
III sistema
- Ninive - Babilonia - Medo-Persia - Grecia
- Babilonia I - Babilonia II - Medo-Persia - Grecia
IV sistema - Babilonia - Medi - Persia - Grecia
V sistema - Babilonia - Medo-Persia - Alessandro - i success.di Alessandro
VI sistema - Caldei - Medo-Persia - Grecia - Parti
J.C. HARENBERG, pp. 379-381. Critica: la profezia di Daniele prevede una successione di Regni non di re.
II
C.J. BUNSEN, pp. 660,661. Critica: il testo biblico si oppone a identificare Ninive con la prima bestia. “Di fronte ai termini così precisi del testo di 2:38, non può essere preso in considerazione il fatto di vedere il primo impero in quello di Ninive” La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 285.
III
H. SCHULTZ, pp. 804,805. REDEPENNING E.R. - HITZIG F., p. 99. Critica: “Non si può scindere in due l’Impero Babilonese, per fare della persona di Nebucadnetsar il primo imperatore e di Beltsatsar il rappresentante del secondo. Le bestie non rappresentano dei re, ma dei regni” La Bible Annotèe, o.c., t. II, p. 286, vedere anche HOONACKER Albin von, p. 174.
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Purtroppo quanto il testo biblico presenta in modo evidente oggi ancor più del secolo scorso è rigettato e sono quindi ancor più valide le parole che P. Jurieu che
IV
È sostenuta da diversi autori. AMNER R., Essay, p. 220; BALDENSPERGER W., p. 269; BARYLKO J., p. 10; BEHRMANN G., pp. 16,45; BELLA B.M., p. 4,18; BERNINI G., pp.114,223; BLEEK F., Einleitung, p. 606; BRUSTON C., Études, pp. 7,8; CAQUOT A., Sur les, p. 5; CLEAVER H., p. 194; CORNFELD G., Adam, pp. 552,553; F.J. DELITZSCH, p. 474; DERESER Th.A., pp. 266,297; DE WETTE W.M..L., t. II, p. 487; DRIVER S.R., The Book, p. 28; GESENIUS F.H.W. Lex. Man.; HILDENFELD A.B.C.C., Die Proph., p. 78; HOEPFL H., p. 567; HOLLARD A., pp. 189-193; HOOPER E.B., p. 88; HOWIE C.G., p. 121; KRAELING E.G.R., Comm. On the Proph., p. 288; KRANICHFELD W.R., pp. 122,123,257,258; KUENEN A., The Proph., p. 296-309; LODS A.F.P., Historie, p. 842; G.C.F. LUECKE, M.L. MARGOLIS e A. MARX, pp. 138,139; MARTI K,. p. 49; MAURER F.J.V.D., p. 129; MONTGOMERY J.A.,. p. 59-63; NOELDEKE T., p. 325; Ortensio da Spinetola URBANELLI, p. 591; PORTEOUS N.W., p. 106; PRINCE J.D., A critic., pp. 6,7; SAHLIN H., p. 43; SOGGIN P. p. 128; STEINMANN J., pp. 57,108-110; TERRY M.S., p. 183; M. VERNES, Encyclop. des Sc. Religieuses, t. III, p. 678, la traduz. Ecumenica de la Bible, Ancien Testament, 1975, p. 1699. Questa spiegazione è già stata avanzata nel IV secolo da Efrem, pp. 206,214, e nel V secolo da Policronius, vescovo d’Apame, che ha scritto un Commentario su Daniele. Vedere MAI Angelo, Scriptores Veterum Nova Coll., Roma 1825, vol. I, p. 111; vol. III, pp. 124-126; nuova ed., Paris 1907, t. II, p. 144 e seg. Questo IV sistema ha più sostenitori tra i moderni teologi. “Gli esegeti moderni di Daniele identificano il quarto impero con quello fondato da Alessandro Magno, che è nelle fonti giudaiche l’Impero Romano. La Mek. R. Ism., opera assai tardiva e databile per la sua redazione finale nel secolo VIII (H.L. STRACK - G. STEMBERGER, Einleitungim Talmud und Midrasch, München 1982, p. 268) è l’unica fonte giudaica a parlare di 5 imperi: Assiria, Babilonia, Media, Grecia, Roma” cit. M. Delcor, o.c., pp. 274,275. La Bibbia TOB ha in nota: “In ogni caso, il quarto regno è certamente l’impero greco di Alessandro, di cui i re seleucidi di Siria sono gli eredi diretti”, ma riconosce che “la tradizione ebraica cristiana identificherà la quarta bestia con l’Impero Romano (confr. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, 10,11,7; 4 Esdra, 11,1; 12,10ss; Apocalisse di Baruc, 39; Epistola di Barnaba 4). Quando quest’“ultimo nemico” terreno - il piccolo corno - sarà stato sconfitto, allora inizierà il regno dei santi dell’Altissimo, depositari umani del regno di Dio” . 1635. Quest’ultima osservazione sul testo è sufficiente per abolire qualsiasi sistema che non veda in Roma la quarta bestia e nelle corna la suddivisione del suo impero a seguito delle invasioni barbariche. “Questa spiegazione ci sembra inconciliabile sia con la storia sia con il modo di esprimersi del testo biblico. La storia non conosce che un Impero Medo-Persiano unico, nel mezzo del quale l’autorità appartiene prima alla dinastia meda e poi alla dinastia persiana. Il libro di Daniele considera le cose nello stesso modo. Distingue senza dubbio una dinastia meda e una dinastia persiana, quando parla dei due re: Dario (il medo) e Ciro (il persiano); ma non stabilisce per nulla, per questo motivo, due monarchie diverse. Ben al contrario, dice (5:28) “Il regno di Babilonia è dato ai Medi e ai Persiani”. In fine, al capitolo 8, il regno dei Medi e dei Persiani è rappresentato da un solo animale: il capro con due corna” La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 286. GOETTSBERGER J., Das Buch Daniel, Bonn 1928, p. 64; A. von HOONACKER, p. 171; J. ORR, p. 537; C.H.H. WRIGHT, p. 154, hanno dimostrato l’unità della monarchia bicefala medo persiana. Come variante di questo sistema WILLET A., p. 211 vide la Siria nella quarta bestia; GEIER, p. 202 vide Alessandro e i suoi successori.
V
Questo sistema è difeso da L. BERTHOLDT, p. 425; D. BUZY, Symboles, pp. 266-287; A. CALMET, Dissertat., pp. 583,584, 651,652; J. CHAINE, p. 217; H. De GROOT (GROTIUS), Opera, pp. 414, 435,436; P.C.S. DESPREZ, Daniel and John, pp. 80,81; A. DUFOURCQ, p. 99; J. GOETTSBERGER, Das Buch, p. 64; C.F. HOUBIGANT, pp. 549,568,892,893. Ecc. Critica: “Una volta che i quattro Stati formatisi dalla conquista di Alessandro, per conseguenza la Siria, come l’Egitto, la Macedonia e la Tracia, sono apparsi come racchiusi nella terza monarchia, essi non possono, né insieme, né uno d’essi in particolare, formare il quarto impero” La Bible Annotée, o.c, t. II, p. 287.
IV
Secondo J. Fabre d’Envieu è stata sostenuta da Johann-Christoph BECMANN. È una tesi sostenuta da Gottfried KECKERHART, De Monarchia quarta, sotto la presidenza di Becmann, Frankfort 1671, 4a ed., Aufl. 1684, p. 32. Per il titolo completo delle opere degli autori citrati vedere Bibliografia.
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pronunciava nel 1686: “Bisogna essere ciechi per non vedere l’Impero Romano, la quarta monarchia, in questa quarta bestia”.65 Altre speculazioni
Modificando l’interpretazione tradizionale, pur senza un fondamento valido, in aggiunta alle speculazioni presentante sopra,66 si è voluto presentare delle varianti,67 e queste bestie sono state identificate sia con le quattro grandi religioni68 sia con gli Stati contemporanei.69 65
JURIEU Pierre, Accomplissement des Prophéties, ou la délivrance prochaine de l’Eglise, vol. I, Rotterdam 1686, p.
231. Vedere J. BRENZ, pp. 86-92; R.E. FREEMAN, 1968, pp. 299; H. GUINNESS, The divine ..., 1888, p. 301; J. NOBLE, p. 39, 92-102; W.C. SCROGGIE, 1953, pp. 422,423. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia.. 66 Vedere nota n. 54. 67 - La dinastia di Ciro nel leone, quella di Dario nell’orso, Alessandro e i suoi diadochi nel leopardo, l’Impero Romano nella quarta bestia. BAGLIO Gaetano, Gesù e re Erode nella storia da Daniele a S. Paolo, Napoli 1938, pp. 59-61, - I quattro animali sono quattro nazioni barbare: Alani, Vandali, Svevi e Goti. Il canonico Pedro de AGUILÓN, Profecía de Daniel, Zaragoza 1636, X-28 pp. 68
I
Idolatria, islam, cristianesimo degenerato, deismo chiamato anche anticristinesimo. Questa spiegazione è stata proposta da M. LACUNZA che non ha saputo discernere il rapporto esistente tra il capitolo 2 e 7 di Daniele e gli ha fatto dire che “Queste quattro bestie non rappresentano nient’altro che quattro grandi e false religioni, che dovevano perdere l’umanità nel corso dei secoli” Venida, II, 3. M. Lacunza è stato seguito su questa strada dal magistrato Pierre Jean AGIER e dal pastore Doria A. ANTOMARCHI, Ben.Ezra, p. 51. Stessa interpretazione presso Antonio-Maria CLARET Y CLARA, La época presente, Barcellona 1868, p. 46.
II
Sinagoga giudaica, paganesimo romano, arianesimo, islam. Questo sistema proposta da Gioacchino da Fiore, Apocalisse, Venezia 1537, fol. 162, deve avere influenzato il gesuita M. Lacunza. Pietro COLONNA, conosciuto con il nome di GALATINUS, ha riprodotto questa spiegazione del monaco calabrese nel suo Commentario in Apocalisse, composto nel 1524 (Ms, Vaticano Latino 5567, fol. 336, 237).
III
Giudei, pagani, saraceni, ariani. È una variante della teoria gioacchiniana e si trova in un commentario falsamente attribuito a Tommaso d’Aquino, In Apocalisse, Venezia 1562, fol. 45. Impero cristiano di Costantino, ariani, saraceni e turchi, impero di Carlomagno. GROENEWEGEN Henricus, Keten des Prophetische Godgeleerdheyd, Ench, 1682, p. 936,937,
IV V
Roma, i barbari, i maomettani, la cristianità apostata. Manoscritto non firmato, datato Paris 12.9.17, attribuito alla penna dell’oratore giansenista Michel PINEL, Essai sur la connaissance des temps, pp. 98-102.
VI
Idolatria, maomettanesimo, falso cristianesimo, empietà. “A seguito di una prospetto che annunciava la prossima pubblicazione in Cile della El fin de los Tiempos, di José-Miguel del PINO, le quattro bestie di Daniele rappresentano l’influenza evidente del padre Lacunza” VAUCHER Alfred-Félix, Une célébrité oubliée, Le P. Manuel de Lacunza Y Diaz, 1940, p. 249, n. 756, 2a ed., 1968, p. 163, paragrafo 137.
VII
Prima bestia, idolatria; seconda, maomettanesimo; terza con le quattro teste: eresia, scisma, ipocrisia, libertinaggio; la quarta l’anticristo che è una persona morale. Riccardo RODRIGUEZ-BLANCO, che ha seguito l’opera di Lacunza senza mai nominarlo, in El Gran Mistero de la misericordia de Dios con la humanidad y el Anticristo, Santiago de Compostela 1901, pp. 133,137, presenta la suddetta spiegazione alle pp. 134-203. Quando la profezia diventa storia
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Roma L’espressione di Daniele: “Io contemplavo nella visione notturna”, “è come una ripresa della rivelazione profetica, nell’attesa di fatti più gravi ancora dei precedenti”.70 La quarta bestia suscita un interesse superiore alle precedenti ed è oggetto, da parte di Daniele, di un interessamento e uno studio particolari. La descrizione della quarta bestia: “spaventevole, terribile e straordinariamente forte; aveva dei denti grandi, di ferro; divorava e sbranava, e calpestava il resto coi piedi” non può non richiamare quanto Daniele aveva detto a proposito del ferro della statua: “Poi vi sarà un quarto regno forte come il ferro; poiché, come il ferro spezza ed abbatte ogni cosa, così, pari al ferro che tutto frantuma, esso spezzerà ogni cosa”.71 “... Banchetti, nascite, funerali, trattati di pace, giorni di trionfo, tutto si celebrava con il sangue umano”. Ciò che l’evangelo ci riportò a proposito di Giovanni Battista, decapitato in un banchetto, era una scena giornaliera nei costumi dei romani e molti episodi analoghi avvenivano a Roma durante il soggiorno dell’apostolo Paolo in quella città. Per i Romani gli schiavi non erano considerati persone, non avevano diritto di parola, la loro testimonianza era nulla, non potevano possedere alcunché, perché essi stessi erano posseduti, nessuna ingiuria li poteva colpire e quando un romano veniva assassinato (dice la Legge Sillana) tutti gli schiavi che abitavano sotto lo stesso tetto: uomini, donne e bambini, dovevano essere messi a morte per consacrare la sicurezza del padrone. La crocifissione era il supplizio degli schiavi e delle torce umane illuminavano la città. In questo modo morirono 60.000 schiavi sotto l’imperatore Traiano. Il Colosseo è il monumento che Roma ci ha lasciato della sua sete di sangue e del suo piacere nell’assistere alla morte come spettacolo. Di questi luoghi di atrocità ce ne erano in tutte le grandi città dell’impero. Quando Tito il costruttore ritornò da Gerusalemme, festeggiò l’evento con combattimenti che durarono 100 giorni consecutivi. Vi sacrificò 5000 tigri, elefanti e altre bestie feroci e 2000 gladiatori. Claudio, il 1° agosto del 52 d.C. (ci riportano Dione, Svetonio, Tacito) volendo celebrare il suo VIII
Identificazione delle quattro bestie con le potenze protestanti: tedesche, svizzere, olandesi, inglesi. Pierre Auguste RABOISSON, Les événements prochains d’après le livre de Daniel et l’Apocalypse, Paris 1874, pp. 32,33
Sul sistema di M. Lacunza vedere PAGÈS Y PUIGDEMONT Félix, La Escatologia del P. Lacunza, S.I., tesina facoltà di teologia di Barcellona 1979, pp. 55-59, 85-89. 69 Le quattro bestie hanno avuto la seguente identificazione: Inghilterra, Prussia, Austria e Russia. ALBRECHT Christian, Das Buch. der Propheten Daniel, 1840, pp. 35,36, ANDERSON Robert, The Coming Prince, 5a ed., London 1895, pp. 274-277, dopo aver adottato l’interpretazione tradizionale, si è chiesto se tutta la visione non avesse un compimento futuro. Suggerisce: il leone britannico, l’orso moscovita, esita nel presentare il leopardo germanico, e afferma che il quarto mostro annuncia un impero romano ancora futuro. 70 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 581. 71 Daniele 2:40.
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compleanno, diede come spettacolo una battaglia dal vero sul lago Fucino dove 19.000 persone erano condannate a morire su 24 navi. Tacito dice che “i combattenti mostrarono l’intrepidità dei più grandi guerrieri; e quando ci fu molto sangue sparso si risparmiarono i superstiti”.72 “Divorava e sbranava”. In effetti, durante più di sei secoli tutti i popoli vinti dovettero fornire gratuitamente e regolarmente, ad ogni cittadino di Roma, il suo pane prima di tutto, cioè il suo orzo e il suo frumento, poi in seguito la sua carne di porco, poi infine, il suo olio e il suo vino. Sotto l’imperatore Claudio si contavano in Roma fino a 6.840.000 cittadini, oltre gli stranieri e gli schiavi. Per questo motivo, delle navi in grande numero venivano costantemente dall’Asia, dalla Sicilia, dalla Sardegna, dall’Africa, dall’Egitto, dalla Spagna e dalla Francia. L’Egitto solo forniva a Roma, tutti gli anni, 20 milioni di moggi di frumento, cioè 1.700.000 ettolitri, e l’Africa ne forniva il doppio.73 Questa quarta bestia “era diversa da tutte le bestie che l’avevano preceduta”. Gerolamo diceva a tale proposito: “Io sono molto meravigliato che avendo nominato il leone, l’orso e il leopardo, non si è rappresentato l’Impero Romano con nessuna bestia conosciuta; probabilmente è stato fatto per mostrarci che questa bestia è molto più impressionante tanto che si è astenuto dal darle un nome, affinché tutto ciò che noi possiamo immaginare delle bestie più crudeli lo applichiamo all’Impero dei Romani”.74 “Si è detto che il carattere della prima bestia è la maestà aggiunta alla forza; quella della seconda, la forza aggiunta alla voracità, quella della terza, la rapidità. Il carattere della quarta bestia è formato dall’unione della forza, della brutalità, della ferocia e della rapidità delle altre bestie. Essa è d’altronde ragguardevole per il terrore che ispira; essa riunisce in sé tutto ciò che vi era di terribile nelle altre... (ciò spiega anche perché) in Apocalisse XIII, una bestia-mostro è rappresentata come possedendo tutti gli attributi delle quattro bestie di Daniele; ed è molto giusto, perché questa bestia simboleggia l’Impero Romano, che riunisce tutte le caratteristiche delle altre tre in ciò che riguarda la forza, la crudeltà e tutto ciò che ispira terrore”.75 Il re Agrippa, nel 67-68 d.C., dieci anni dopo che il prigioniero Paolo gli presentò l’evangelo di Cristo, fece un lungo discorso ai Giudei con lo scopo di dissuaderli a scendere in guerra contro un popolo che era padrone dell’universo. Questo discorso riportato da Giuseppe Flavio è un commentario delle espressioni di Daniele: “questo regno divorerà tutta la terra”. “O Giudei, che nessuno mi interrompa se mi intende dire delle cose che dispiacciano. Liberi coloro che vogliono la rivolta di dimorare nei loro sentimenti dopo che io avrò parlato; ma che almeno io possa essere ascoltato!... 72 73 74 75
L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 102,103. Idem, p. 92. S. Gerolamo; cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 658,659. J. Fabre d’Envieu, idem., pp. 582,571; vedere La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 288. Quando la profezia diventa storia
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Quando Pompeo invase la Giudea (centotrentun anni fa), era allora che bisognava fare tutto per resistere ai Romani. Ma se i nostri antenati, più ricchi e più potenti di noi, non furono capaci di respingere una debole parte dei loro eserciti, su chi vi fondate per sperare di sostenere tutto lo sforzo di un così grande e temibile impero? I generali ateniesi che, per difendere la libertà della Grecia, non temettero di vedere le loro città in cenere, ora obbediscono e vedono la loro repubblica, una volta la regina della Grecia, ricevere gli ordini che provengono dall’Italia. - I Lacedemoni, che vinsero tante battaglie, riconoscono ugualmente i Romani per loro signori. - I Macedoni stessi, che non possono dimenticare le imprese gloriose del loro grande Alessandro e che costituirono un impero nel mondo intero, consentono tuttavia a piegare le ginocchia davanti a questi uomini invincibili. - Tante altre nazioni, che non credevano possibile che si togliesse loro la libertà, hanno ugualmente ricevuto il giogo di questi dominatori di tutta la terra. - E voi, voi pretendete essere i soli che non si sottomettono a coloro a cui tutto è sottomesso!.. Che dirò delle cinquecento città dell’Asia? Obbediscono senza guarnigione a un solo proconsole, e non si prostrano tutte davanti ai fasci consolari? Che dirò io dei popoli della Colchide, del Bosforo, del Ponto, del Caucaso, della Palude Meotide, che, non avendo mai avuto dei padroni, neppure della loro nazione, non osano pensare a sollevarsi contro Roma, benché essa non abbia ora che una sola guarnigione di tremila soldati? E ancora, questi stessi Romani non si sono resi padroni, con solamente quaranta vascelli, di tutto un mare (di questo vasto Ponte-Eusino), che nessun altro popolo prima osava tentare di passare? Quali ragioni la Bitinia, la Cappadocia, la Panfilia, la Lidia, la Cilicia potrebbero addurre in favore della loro libertà? e tuttavia esse pagano i tributi senza che i Romani abbiano bisogno neppure di soldati per costringerli! Che dirò della Tracia, questa vasta contrada le cui fortezze naturali: le sue montagne e i suoi ghiacciai sembrano difendere, la cui lunghezza è di sette giornate di cammino e la larghezza di cinque, e che tuttavia obbedisce interamente a duemila soldati romani? Vedete ancora questa Illiria che si estende fino al Danubio e alla Dalmazia: i Romani tuttavia la fanno obbedire a due legioni. Chi, più dei Galli, avrebbe delle ragioni per insorgere, i Galli che, difesi all’oriente dalle Alpi, al nord dal Reno, al sud dai Pirenei, all’ovest dall’Oceano, contano in mezzo a loro trecentocinque popoli diversi? Tuttavia voi li vedete tributari dei Romani! Non si può dubitare del loro coraggio, poiché hanno combattuto ottant’anni per la loro libertà; e tuttavia essi obbediscono a milleduecento uomini di questa nazione romana oggi signora del mondo, mentre questo numero di soldati è appena quello delle loro città! Quanto è servito agli Spagnoli avere delle miniere d’oro? Ai Lasitani (popolo del Portogallo), e al bellicoso popolo della Biscaglia, essere così lontani da Roma sulle rive dell’Oceano? Questi conquistatori incomparabili non hanno portato le loro armi 216
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al di là delle colonne d’Ercole e superato, come attraverso le nuvole, i monti Pirenei? E tuttavia una sola delle loro legioni romane è sufficiente oggi per mantenere sotto il giogo, a una così grande distanza, delle nazioni così marziali! E chi di voi ancora non ha inteso parlare del grande numero dei Germani? Potete voi non avere sovente notato la grandezza della loro taglia e la loro forza straordinaria, poiché non ci sono posti nel mondo dove i Romani non abbiano degli schiavi di questa potente nazione? E tuttavia, quale sia la distesa del loro paese, la loro fermezza d’animo e la grandezza del loro coraggio che supera ancora quella della loro statura; poiché essi disprezzano la morte e che una volta irritati superano in furore le bestie più feroci, hanno oggi il Reno per frontiera; otto legioni li assoggettano... Se mettete la fiducia nella forza delle vostre muraglie, considerate ciò che era per la Gran Bretagna essere interamente circondata dal mare..., tuttavia, malgrado i venti e le onde, i Romani l’hanno domata, e quattro legioni sono sufficienti per mantenere nell’obbedienza un’isola che potrebbe passare per un mondo! Che dirò io dei Parti, questa nazione così potente, che dà oggi degli ostaggi a Roma e le invia, ... in pegno di sottomissione, il fiore della sua nobiltà? E di questi Cartaginesi, che, malgrado il loro Annibale, sono tuttavia caduti anche loro sotto i colpi dei Romani? E quest’Africa, questa terza parte del mondo, che si estende dal Mar Rosso fino al mare Atlantico, che comprende con l’Etiopia un così gran numero di nazioni? Oltre alla quantità di grano che fornisce questa vasta contrada, per nutrire ogni anno durante otto mesi i cittadini di Roma, essa paga ancora dei tributi e porta senza mormorare molti altri fardelli pesantissimi, mentre una legione è sufficiente per tenerla nell’obbedienza! Ma perché cercare degli esempi così lontani? Questo Egitto di cui voi siete così vicini, che contiene 750.000 abitanti, senza contare quelli di Alessandria, e che si estende dalle ricche contrade degli Arabi fino alla lontana Etiopia, non vi farà abbastanza comprendere l’estrema forza del popolo romano, allorquando voi lo vedete così fedelmente sottomesso a pagargli un tributo che deve essere immenso poiché si conta per testa? E tuttavia, quale tentazione non avrebbe alla rivolta questo antico regno nella sua Alessandria così popolata, così ricca, così vasta, lunga trenta stadi e larga più di dieci? Questa città paga ai Romani in un mese ciò che voi date in dodici; oltre a ciò fornisce annualmente tutto il grano necessario per nutrire per quattro mesi la popolazione di Roma. E tuttavia, vedete la sua forza: un deserto invalicabile, questo mare senza porti, queste braccia d’un grande fiume, queste paludi fangose che lo circondano. Due legioni romane, in guarnigione in questa città sono sufficienti per tenere in briglia questo profondo Egitto e tutta questa nobiltà macedone che l’aveva conquistato e che fu per trecento anni la padrona!”.76 Vivere ai tempi di Roma significava per gli ebrei essere coscienti di essere nel tempo in cui le gambe di ferro e la quarta bestia di Daniele VII dominava. Scrive 76 Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XXVIII, riportato da L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 78,82. La traduzione del testo di Giuseppe è libera.
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CAPITOLO IV
infatti A. Wikenhauser: “Questa interpretazione (IV bestia = Roma) si riscontra nella letteratura rabbinica sin dai più antichi documenti. Un eminente conoscitore di questa letteratura, quale fu Billerbeck, ritiene che negli ultimi quaranta anni del tempio nessun Giudeo avesse dei dubbi che l’Impero Romano fosse l’ultimo dei regni nemici di Dio”.77 Ippolito di Roma verso il 250 d.C. scriveva nel suo commentario: “L’oro, che raffigura l’Impero dei Babilonesi, è il leone; l’argento, l’Impero dei Persiani, è l’orso; il rame, l’Impero degli Elleni iniziato da Alessandro il Macedone, è il leopardo. Dopo questo, parla delle gambe di ferro, per significare la bestia terribile e spaventevole coi denti di ferro, figura dei Romani, che dominano ai nostri giorni, e che sono forti come il ferro”.78 Ciò che il profeta Osea aveva annunciato due secoli prima79, ciò che il profeta Balaam, invitato da Balak re di Moab per maledire Israele, indicava ancora sotto gli antichi nomi di Assur e Kittim80, Daniele, contemporaneo di Nebucadnetsar e di Ciro, li ha contemplati da vicino nelle due monarchie orientali (Assur): Babilonia e MedoPersia, e nelle due monarchie occidentali (Kittim): Greci e Romani.81 Come la statua di Daniele terminava con le dita, così la quarta bestia aveva dieci corna.
Le dieci corna o i regni della divisione dell’Impero Romano “Le corna indicano, nel linguaggio della visione, dei re con il loro susseguirsi di re, dei regni; ma sono dei re di regimi e dei regni parziali, che sorgono dalle monarchie universali. In ebraico, la parola qeren significa corno, potenza, splendore. Si comprende facilmente che un corno indichi una forza: gli animali che hanno le corna manifestano tramite esse la loro forza; è nelle loro corna che essi trovano la loro 77
WIKENHAUSER Alfred, L’Apocalisse di Giovanni, 3a ed., Brescia 1968, pp. 150,151. Giuseppe Flavio scriveva: “Eccone l’interpretazione: la testa d’oro indicava, designava te e tutti i sovrani tuoi predecessori, le due mani e le due spalle significano che la vostra potenza verrà frantumata da due re. L’impero di questo ultimo sarà distrutto da un altro, giunto dall’occidente, vestito di bronzo, e a questa potenza sarà messa fine da parte di un’altra, simile al ferro, che trionferà per sempre, a motivo del metallo del ferro, più resistente dell’oro, dell’argento, del bronzo. Daniele si spiegò nei riguardi del re a proposito della pietra. Io, invece, non ho ritenuto doverlo rifare, perché il mio compito è narrare gli avvenimenti passati e accaduti, non quelli futuri” Antichità Giudaiche, X, 206-210. Anche se Giuseppe non lo dice in modo esplicito, è evidente che attribuisce a Roma la qualità del ferro e M. Delcor fa notare: “Parlare di un miscuglio di ferro e di creta (dei piedi n.d.a.) equivarrebbe a sottolineare la debolezza dell’Impero Romano e a rischiare di offendere i lettori romani. È interpretazione di RALPH Marcus (Loeb) e WEILL Jules, traduttori dell’opera di Giuseppe” p. 276. Lo storico giudeo riporta chiaramente che quando Erode il Grande fece il suo discorso nel quale presentava la sua decisione di riedificare il Tempio seguì la tradizione giudaica nel presentare i grandi imperi: Babilonia, Persia, Grecia e Roma e di quest’ultimo dice: “I dominatori del mondo o poco ci manca…” XV, 385-387; cit. M. Delcor, o.c., p. 278. Le popolazioni del Medio-Oriente antico vedevano Roma venente dal mare. Nelle visioni del 4 Esdra 11:1; 12:11 (libro apocrifo scritto verso il 97 a.C.), Roma è pure rappresentata da un animale che esce dal mare. 78 Ippolito di Roma, Commentario su Daniele, IV, VII. 79 Osea 13:7,8. 80 Numeri 24:24. 81 K. Auberlen, o.c., p. 64.
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difesa. Così un corno drizzato sulla testa d’una bestia indica un “potere” elevato nella sovranità o nel regno rappresentato da questa bestia. Le corna indicano anche delle porzioni di monarchie universali. Le quattro corna del becco del capitolo VIII rappresentano quattro re che si sono divisi l’impero di Alessandro. A proposito della quarta bestia, è detto: “Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno”. Il contesto ci mostra che questi dieci re rappresentano dieci regni formati dal sezionamento del quarto regno universale. Noi constatiamo da questo che gli imperi universali sono indicati da delle bestie e le sezioni di questi imperi da delle corna”.82 E per questo dalla parola qeren (corno) è derivato, presso i Greci e i Latini il nome di corna e di corona. “Dieci corna, cioè dieci re, prendendo questa parola nel senso di regni, che ha spesso; esse corrispondono alle dieci dita della statua.83 Esse significano la moltitudine degli Stati ai quali darà nascita la dissoluzione dell’Impero Romano”.84 “L’Impero Romano continua la sua esistenza, sotto una nuova forma, negli Stati che si sono innestati su lui o che l’hanno soppiantato, e durerà, attraverso le trasformazioni che essi potranno subire, fino alla fine dei tempi”.85 Queste corna rappresenterebbero gli Stati sorti dalle invasioni barbariche. Gli studiosi sono pressoché unanimi nel riconoscere in queste corna i seguenti regni: 1. Burgundi che negli anni 406-476 si stabilirono sui due versanti del Giura e sulle rive del Rodano da Basilea a Marsiglia. 2. Franchi che negli anni 351-455 si stabilirono tra il Reno, la Mosella e la Loira. 3. Eruli che nel 475 si stabilirono nel centro Italia. 4. Longobardi che nel 453 occuparono la Norica (Austria) e scesero in Italia nel 568 dopo la sparizione degli Eruli e degli Ostrogoti. 5. Ostrogoti che si stabilirono negli anni 453-489 fra il Danubio, il Po e l’Adriatico. 6. Svevi che negli anni 409-466 si impadronirono della Galazia e del Portogallo. 7. Vandali che nel 409 occuparono la Spagna e nel 492 il Nord Africa. 8. Visigoti che negli anni 419-466 si stabilirono sui due versanti dei Pirenei, fra la Loira e lo stretto di Gibilterra. 9. Alani che occuparono a loro volta l’Iberia. 10. Cepidi che occuparono la Jugoslavia. Questi barbari si sono installati sul territorio dell’Impero Romano latino.86 82 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 566. Con il corno si rappresenta la forza della divinità: Salmo 18:3; 2 Samuele 22:3; ecc. In Zaccaria 1:18-21; 2:1-4; con il corno si indica un impero, una nazione, il potere politico che ha causato la distruzione. 83 Confr. Apocalisse 17:7,12; Daniele 7:24; 2:44. 84 A. Crampon, o.c., p. 686; vedere La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 288. 85 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. I, p. 672. 86 La lista dei regni barbarici è di L. Gaussen, o.c., t. I, 2a ed., pp. 150,151.
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Se tutti gli studiosi non offrono la stessa lista87 ciò non crea nessun problema. La divergenza è su qualche nome, due o tre, e ciò non deve preoccupare se si considera che: I) una statua che rappresenti un essere umano per forza di cose deve avere dieci dita;88 II) la IV bestia ripropone la stessa correlazione di simboli, e III) dieci è un numero simbolico che indica la perfezione nella divisione. Calvino scriveva: “Quanto al numero di dieci, noi sappiamo che è un modo di parlare ordinario, e che si trova spesso nella Scrittura, che dieci ha valore di molti... non bisogna qui tormentarsi molto sul numero”.89 IV) Questo modo di vedere è confermato da Giovanni nell’Apocalisse che rappresenta la sua bestia sempre con le 10 corna, anche se Daniele dice che tre sono state divelte per permettere il sorgere di un undicesimo corno. J.B. Bossuet diceva: “Niente forza a tormentarsi per ridurli precisamente al numero di dieci, quando ancora li si può più o meno ridurre in rapporto ai regni fissi che essi hanno stabilito”.90 P. de Benoit scrive: “Non bisogna forse considerare la cifra dieci come assoluta, e noi pensiamo semplicemente, con diversi interpreti, in una decina di regni o paesi”.91 87 Il Maestro F.A. Vaucher così riassume le divergenze degli studiosi: “Se si scarta la Grecia, contata fra i dieci regni da Mede e Jurieu, ma che appartiene alla terza monarchia; se si eliminano gli Unni, ammessi da Isacco Newton, Thomas Newton, W. Hales, Charles-Louis Loys de Cheseaux, U. Srnith e S.N. Haskell, e gli Alemanni, ammessi da J. Mede, P. Jurieu e J. Vuilleumier, ma che non hanno costituito un regno all’interno dei limiti dell’impero latino, se infine si lasciano da parte i Sassoni, che figurano nelle liste fornite da Mede, Jurieu, de Cheseaux, Hales, Smith, Haskell, J. Vuilleumier, ... resta un certo numero di regni che ha ottenuto il suffragio della maggioranza degli interpreti”. Della lista che noi abbiamo presentato, “Rales rigetta il n. 3, Isacco Newton il 3 e il 5, Mede e Jurieu il 3 e il 4. Thomas Newton e de Cheseaux accettano i n. 1, 2, 4.... Al posto dei Cepidi si è anche suggerito i Bretoni (Isacco Newton, Thomas Newton, Mede, Jurieu, de Cheseaux)” VAUCHER Alfred Félix, Pour le predicateur - Les dix rois apocalyptiques, in Revue Adventiste, Fevr. 1942, pp. 7,8.
Joseph Mede 1586-1638
Bishop Newton 1704-1782
Uriah Smith 1832-1903
Sir Isaac Newton 1642-1727
E.R. Thiele
Alemanni Ostrog. In Lomba. Visigoti Franchi Svevi e Alani Vandali Burgundi Bretoni Sassoni Greci
Alemanni Longobardi Goti Franchi Unni Senato di Roma Burgundi Bretoni Sassoni Greci in Ravenna
Longobardi Ostrogoti Visigoti Franchi Unni Vandali Burgundi Eruli Anglosassoni Svevi
Longobardi Svevi Visigoti Franchi Unni Vandali e Alani Burgundi Bretoni Alani Ravenna
351 Alemanni 351 Franchi 406 Burgundi 406 Svevi 406 Vandali 408 Visigoti 409 Sassoni 453 Ostrogoti 453 Longobardi 476 Eruli
Germani Francia Svizzera Portogallo Africa Spagna Britannia Italia Italia Italia
FORD Desmond, Daniele (scrittura ebraica), Nashville 1978, p. 158. “Sembra che la cifra dieci sia impiegata perché era naturale che la statua avesse dieci dita” LOOMIS Harmon, The Great Conflict, Christ and Antichrist, New York 1874, p. 399. 89 CALVIN Jean, Leçons sur le livre de Daniel, Genève 1562, fol. 97,98. 90 BOSSUET Jacques Bènigne, L’Apocalypse, Paris, p. 273. 91 P. de Benoit, o.c., p. 22. “Non è sufficiente che ci siano dieci dita ai piedi, perché il numero dei regni simbolici debba essere esattamente dieci” Basile STEWARD, Foretold and Fulfilled, London 1920, p. 31. 88
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Diciamo con un autore anonimo: “Per il compimento di questa profezia è sufficiente che l’Impero Romano sia stato diviso in più pezzi o parti, come lo si può verificare dai regni e stati che sono usciti e che esistono ancora”92 risultato delle grandi immigrazioni del V° secolo della nostra era. Nulla impedisce di vedere questa cifra come un numero tondo.93 G.A. Rosselet osservava: “Questi dieci regni, di secolo in secolo, si sono modificati e trasformati, ma sono dimorati sempre nel numero da sette a dieci”.94 Questa divisione persisterà fino al ritorno di Cristo quando “l’Iddio del cielo farà sorgere un altro regno che non sarà mai distrutto, e che non passerà sotto la dominazione di un altro popolo”.95 Conclusione “Esiste una perfetta similitudine tra il simbolismo della statua e quello delle quattro bestie, con la differenza che le quattro bestie ne offrono l’aspetto morale e spirituale”96 e la natura intima di queste potenze politiche, mentre la statua rappresenta le monarchie come un re pagano le poteva vedere.
92
Anonimo, Le cinquième empire, p. 19. Vedere VAUCHER Félix Alfred, Lacunziana, serie I, 1949, pp. 41,42. Vedere ALLIOLI Joseph Franz von, Commentaire sur tous les Livres des Divines Ecritures, traduzione di Louis Philippe GIMAREY, vol. V, Paris 1868, p. 467. 94 ROSSELET d’IVERNOIS Gustave-Adolphe, L’Apocalypse et l’Histoire, t. I., Paris 1878, p. 197. 95 Daniele 2:44. I futuristi cattolici, come Roberto BELLARMINO, De Romano Pontifex, libro III, cap. V, Controversie, Roma 1832, pp. 638,640, seguito da diversi protestanti ADAMS John Quincy, The Time, pp. 36-40; R. ANDERSON, 5a ed., 1895, pp. 46,271-277; BARBEY Louis, pp. 127,128,132,133; BONAR Andrew, pp. 32,47-50; K.F.I. KEIL, traduzione inglese, p. 268; KING G.R., pp. 118-121; B.W. NEWTON, London 1849, p. 276; 2a ed.,1873, pp. VII, 491; R. PACHE, Notes, p. 74; ROSSIER J.B., t. II, p. 52; TREGELLES S.P., Remarcks, pp. 66,84, (per i titoli delle opere vedere Bibliografia) ed altri, pretendono che i dieci regni devono ancora venire, sono nel futuro. Partono dall’idea che le due gambe della statua rappresentino le due metà dell’Impero Romano: l’impero greco in Oriente, e l’impero latino in Occidente. Quindi cinque dita della gamba destra e cinque della gamba sinistra corrispondono a cinque regni in Oriente e cinque in Occidente. Siccome una simile divisione non si è mai prodotta nella storia, bisogna proiettare la sua realizzazione in futuro. Si deve però osservare che nel testo biblico le dieci dita fanno seguito ai piedi senza nessuna interruzione di tempo. Inoltre Daniele non ha mai stabilito alcun rapporto geografico tra le due gambe e una tardiva divisione dell’impero in due parti. Diceva L. Gaussen: “Questa divisione in due imperi si è realizzata dopo 400 anni dall’inizio delle gambe di ferro. Secondo Daniele (2:35), il rame esiste ancora, non solamente dopo la conquista di Roma, ma in un’epoca ancora più avanzata dove l’Impero dei Romani sarà distrutto dalla piccola pietra che si stacca dal monte. Bisogna concludere che la Turchia d’Europa, la Grecia, la Tracia, l’Asia Minore, la Siria e l’Egitto siano ancora il rame, essi non sono mai stati il ferro”, o.c., t. I, pp. 211,212. Si è dunque in diritto di affermare: “Le dita rappresentano i dieci regni che si sono formati durante e a seguito dell’invasione dei Barbari nell’impero d’Occidente che è il territorio proprio del quarto regno della statua”. L’argomento forte dei futuristi è dato dal fatto che la lista proposta dei regni barbarici dai diversi esegeti della scuola storica non concordano perfettamente tra di loro. Le differenze che riguardano solo due, tre nomi scaturiscono dal fatto che gli autori non hanno adottato lo stesso punto di vista per quanto riguarda i limiti geografici della quarta monarchia e l’epoca di apparizione dei dieci regni. Questi regni, che sorgono dallo smembramento dell’Impero Romano d’Occidente devono essere cercati nei limiti di questo impero, all’esclusione dei territori che sono appartenuti alle monarchie precedenti. “Dopo un esame maturo, i migliori esegeti sono giunti a una conclusione evidente: i dieci regni appartengono esclusivamente all’impero d’Occidente” BIRKS Thomas-Rawson, The four propheticals Empires, London 1844, p. 96. Sui principi che stabiliscono le regole che delimitano i territori profetici dei vari imperi vedere il nostro Capitolo VII. 96 BOLOMEY Henri A., Simple Étude sur l’Apocalypse de Jésus Christ, Yuerdon 1914, p. 171. 93
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CAPITOLO IV
Sarebbe però un errore vedere in questo capitolo VII di Daniele una semplice ripetizione di quanto detto nel capitolo II. Questa parte del capitolo VII serve da prefazione, da premessa, da introduzione alla descrizione di un altro personaggio che sarebbe sorto dall’Impero Romano, a seguito della divisione del suo territorio in regni diversi, dalla quarta bestia a seguito della manifestazione delle corna, cosa che vedremo nelle pagine che seguono.
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Capitolo V DA POTERE RELIGIOSO A POTERE TEMPORALE “Tutti i Padri della Chiesa hanno detto che la IV bestia è l’Impero Romano. Le dieci corna della bestia e le dieci dita della statua sono la divisione dell’Impero Romano in dieci regni. Tutti i Padri hanno detto che il piccolo corno è l’Anticristo, o l’Uomo del peccato... Tutti i Padri hanno detto che l’Anticristo non si sarebbe rivelato nell’Impero Romano, se non dopo la divisione di questo impero. Tutti credevano che sarebbe stato un re teologo che avrebbe regnato a Roma. Tutti hanno detto che l’Anticristo durerà fino al ritorno di Cristo Gesù sulle nuvole del cielo. Questo accordo è bello e eloquente. Bisogna ammirarlo nella sua pienezza e ammirarlo anche nella sua cattolicità. Nella pienezza: sono tutti questi tratti. Nella cattolicità: sono tutti i Padri della Chiesa; sono i Greci, sono i Latini, sono i vescovi e sono i dottori, quelli d’Egitto e quelli della Gallia; quelli di Gerusalemme e quelli di Cartagine, quelli dell’Arabia e quelli di Roma; quelli che hanno visto i discepoli di S. Giovanni, e quelli che hanno già sentito suonare la tromba dei Goti” Louis Gaussen.1 “Vi parlo di un dogma prezioso e sacro per i nostri padri, ma troppo negletto e spesso pure sconosciuto nelle nostre chiese, benché Dio ci abbia dato, per apprezzare il valore, molte ragioni nuove che i nostri padri non avevano... Io potrei mostrarvi che questa dottrina, continuamente professata nella Chiesa di Dio da più di 1200 anni, non fu considerata... solo nei tempi di rilassamento e d’incredulità” Louis Gaussen.2
Introduzione Una particolarità della profezia è quella di attirare l’attenzione del lettore sui momenti in cui la rivelazione si compie nella storia. 1
GAUSSEN Louis, Daniel le prophète, vol. III, Paris 1849, pp. 149,150. GAUSSEN Louis, L’Antichrist ou le souverain Pontificat dévoilé dans l’Ecriture. Conferenza tenuta all’apertura dell’anno accademico dell’Università di Ginevra nel 1843; ed. Dammarie-les-Lys 1947, pp. 8,9. 2
CAPITOLO V
La quarta monarchia universale viene messa da Daniele in particolare rilievo perché in essa si concentra la potenza del mondo nella sua rivolta, nella sua inimicizia con Dio. Questo impero è molto importante perché in esso sorge la figura dell’uomo, del potere, che incarna il peccato. “La quarta bestia era spaventevole, terribile e straordinariamente forte; aveva dei denti grandi di ferro; divorava e calpestava il resto coi piedi; era diversa da tutte le bestie che l’avevano preceduta, e aveva dieci corna, ed ecco che un altro piccolo corno spuntò tra quelle, e tre delle prime corna furono divelte dinanzi ad esso”.3 Il piccolo corno è stato identificato con diverse figure che hanno segnato il loro tempo e alcune anche le epoche future. Tutte le spiegazioni date sono sostenute dalla correlazione di alcuni particolari del testo biblico con il potere proposto, ma la totalità dei particolari trova però la realizzazione storica nel potere che ha caratterizzato la storia dell’occidente cristianesimo.
Il piccolo corno non può essere Antioco Epifane IV Questo mostro non viene nominato perché viene presentato come una macchina “con denti di ferro”. Già questo tratto è sufficiente per demolire l’identificazione di questo regno con la monarchia greca fondata da Alessandro Magno, perché questo impero non si distinse in maniera specifica da quelli che l’avevano preceduto; del resto, al capitolo VIII di Daniele esso viene rappresentato da un capro che si contrappone a un montone. La forza straordinaria della quarta bestia non permette di vedere né l’insieme delle monarchie sorte dalla divisione dell’impero di Alessandro, né una di esse, come il regno di Siria dei Seleucidi, perché questi regni non avranno la stessa potenza che ha avuto l’Impero Greco-Macedone, precisa Daniele stesso.4
3
Daniele 7:7,8. Vedere La Bible Annotée, Ancien Testament - Les prophètes, t. II, Daniel, Neuchâtel, p. 288. Vedere Daniele 8:21,22.
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DA POTERE RELIGIOSO A POTERE TEMPORALE
L’esegesi razionale identifica la quarta bestia con l’impero e la dinastia seleucida,5 e l’undicesimo corno con Antioco Epifane IV (215-163 a.C., re di Siria dal 175 a.C.), dice che le dieci corna “rappresentano i dieci re seleucidi...: Alessandro Magno, Seleuco I, Antioco I Sotere, Antioco II, Seleuco III Cerauno Sotere, Antioco III il Grande, Seleuco IV Filopatore, Antioco figlio di Seleuco IV, Demetrio I ... Il piccolo corno è Antioco Epifane IV che fa scomparire tre corna e cioè probabilmente Seleuco IV Filopatore, assassinato da Eliodoro, Antioco figlio di Seleuco, assassinato da Andronico (169 a.C.), e Demetrio I”.6 Coloro che sostengono questa spiegazione non tengono in nessun conto il testo biblico. Sarebbe bene che si domandassero come mai le sette corna (compagne del piccolo corno) restino ancora “sulla testa” della quarta bestia dal momento che i predecessori di Antioco erano di già morti. Le corna che li rappresentano sarebbero dovute cadere successivamente uno dopo l’altro, di modo che non ne sarebbero rimaste che tre, le quali sarebbero cadute davanti ad Antioco... Chiaramente, secondo il testo, le dieci corna esistono simultaneamente; l’undicesimo sorge, cresce in mezzo ad esse e ne abbatte tre. Le altre continuano a esistere... Il piccolo corno coesiste con le dieci corna; esso si pone “tra loro, in mezzo a loro”. Ora Antioco (che sarebbe rappresentato dal piccolo corno) non sorge in mezzo agli altri re di Siria; viene solamente dopo di loro. Antioco non sorge in mezzo ai re (le dieci corna coesistono con l’undicesimo, il quale abbatte o sradica solamente tre dei suoi compagni)... Tutte le corna sono dei re-regni... Le dieci corna indicano dieci re (monarchie)... Come si vuole che questa descrizione si accordi con la storia di Antioco Epifane?”.7 Un corno indica un regno, una dinastia, un susseguirsi di re che occupano lo stesso trono, può indicare il re (persona) solo nel momento in cui esso rappresenta il regno. Quindi un altro corno, che spunta, indica un altro regno (una dinastia di re) che sorge.
Il piccolo corno e altri errori di identificazione Il piccolo corno è stato identificato con Maometto dal papa Innocenzo III.8 Hanno fatto la stessa supposizione anche Lutero9 e Melantone.10 5
A critica di questa spiegazione vedere il nostro Capitolo IV, in particolare la nota n. 64 e Appendice n. 4. Questa spiegazione ha anche radici lontane. L’identificazione con Antioco Epifane è stata proposta per la prima volta dal neoplatonico Porfirio per contrastare il cristianesimo (Già Gerolamo lo aveva refutato, MIGNE, P.L., XXV, col. 530,531,1101 “Invano Porfirio ha supposto che questo piccolo corno, che si eleva dopo i primi dieci, potrebbe essere Antioco Epifane”). Il pensiero di Porfirio è stato adottato da Policronius (vedere B.Otto BARDENHEWER, Freiburg, 1879, pp. 77,78). Vedere Appendice n. 2 e Appendice n. 5. Antioco Epifane è stato visto come tipo dell’Anticristo da: G. BERNINI, pp. 216,226-228; L. BERTHOLDT, p. 429; S. CAHEN, La Bible, vol. XVII, ed. 1843, p. 36; H. CLEAVER, pp. 194,195; L. GAUTIER, vol. II, ed. 1906, p. 282; ed. 1914, p. 222; ed. 1939, p. 223; E. HAAG, p. 129; M.J. LAGRANGE, Judaisme, pp. 65,66; J. LIMKE, Disser.; H. VENEMA, VIII Diss., pp. 403-460; G. LUZZI, pp. 251, 297,300,301; K. MARTI, Daniel, p. 51; J.F.H. MEINHOLD, Das Buch, p. 299; J. de MENASCE, Daniel, pp. 58,61; T. NOELDEKE, p. 325; Ch. PIEPENBRING, p. 713; H. PINTO, Opera, p. 124; A. POLANUS, p. 587; N.W. PORTEOUS, Daniel, p. 107; B. RIGAUX, p. 164; R. ROLLOCK, Genève 1610, pp. 309,319,330,332-335; AA.VV., Sagrada Biblia, vol. II, Madrid 1957, p. 1595; E.B. SANFORD, p. 240; C.C. STEEN (ALAPIDE), 1622, p. 67; J. STEINMANN, p. 116; G. VIDAL, p. 64; A. WESTPHAL, Dictionn., vol. I, pp. 1042,1043; Traduzione ecumenica della Bibbia, Antico Testamento, ed. francese 1975, p. 1699. 6 VATTIONI Francesco, La Sacra Bibbia - l’Antico Testamento, vol. II, Daniele, ed. Marietti, Torino 1964, p. 1087. 7 FABRE d’ENVIER Jules, Le livre du Prophète Daniel, t. II, Paris 1890, pp. 619,624,623,622,619. 8 Innocenzo II, MIGNE, P.L., CCXVII, col. 324-325. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO V
“Questa quarta bestia è evidentemente l’Impero Romano che si eleva dopo l’Impero Greco, e fu molto più esteso e potente di questi tre imperi che l’avevano preceduto. Holzhauser... pensa che questo quarto impero sia quello di Maometto. Noi non possiamo ammettere questo, neppure come semplice ipotesi; bisognerebbe in questo caso sopprimere, o non vedere da nessuna parte l’Impero Romano, che ha tuttavia avuto il più grande posto nel mondo”.11 La caratteristica della quarta monarchia è quella di dare origine a dieci regni, cosa che non avvenne con l’Islam e inoltre, dal punto di vista della profezia, come vedremo nel nostro Capitolo VII - Perché la Riforma non è sorta nei paesi latini, il territorio dell’Islam fa parte della terza monarchia, quella greco-macedone. Altri autori,12 e lo stesso abate J. Fabre d’Envieu, hanno visto il piccolo corno come un tipo dell’Anticristo finale.13 Altri commentatori vedono in questo potere un personaggio storico. Il Maestro A.F. Vaucher così elenca: Giulio Cesare,14 Nerone,15 Diocleziano,16 Galero,17 Napoleone I.18 Inoltre è stato identificato con il Comunismo19 e con un ipotetico anticristo a venire.20
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LUTHER Martin, Works, vol. II, 2, Weimar 1960, p. 13. MELANCHTON Philip, In Daniel proph. comm. eiusdem in Hier. proph. vaticinia, argumentum, Basel 1543, pp. 7072; Genève 1555, pp. 122,359. 11 NICOLAS Anedée, Conjectures sur les Âges de l’Eglise et les derniers temps, 2a ed., Paris 1881, p. 199. Vedere HUNTINGFORD Edwad, A Harmony of the Chronology Prophecies of Daniel, London 1895, p. 40 ha refutato questa posizione. 12 J.A. BATTENFIELD – Ph.Y. PENDLETON, p. 142; J. DRACH, Comment. vol. II, pp. 7,9; M. GEIER, Operum.., II, 2, Amsterdam 1696, p. 202; E. HUIT, p. 187; T. MÉMAIN, L’Apocalypse, 1898, pp. 66-70; SCHELLENECKER (SELNECCERUS) N., Die Propheten, fol. 434; V. STRIGEL, pp. 108-112; H.J. SVANING I, Comment., p. 67;. 13 J. Fabre d’Envieu, o.c., p. 692-695. 14 Luis de ALCAZAR, In Vetus Testamentus partes quas respicit Apoc., Lyon 1631, fol. 278. 15 COLVER Nathaniel, The Prophecies of Daniel,literally fulfilled, Boston 1843, p. 96. 16 BARCELLONA Antonio, Parafrasi dei libri dei profeti, t. IV, Venezia 1828, p. 96. 17 KERKHERDERE Jan-Gerard aveva adottato l’ipotesi di Antioco in Prodromus Danielicum, Louv. 1711, p. 350, proponendo poi l’imperatore romano Galero in De Monarchia Romae paganae, Louvain 1727, p. 30. 18 ALBRECHT Christian, Das Buch der Prophetem Daniel und Haggai, Saint Gall 1840, p. 37. 19 CLARET Y CLARÁ Antoine-Maria, La época presente considerada come probabilmente la última del mondo, Barcellona 1868, p. 56. 20 Interpretazione adottata da diversi autori cattolici e protestanti. BENOIT de Pierre, pp. 47,48; W.E. BIEDERWOLF, The Millennium..., pp. 208,209; A.E. BLOOMFIELD, The End, pp. 108-129; D. CAMPBELL, The Jugement, p. 174; F. DUESTERWALD, pp. 131-145; J. FABRE d’ENVIEU, p. 682: “Il piccolo corno sorge in mezzo alla dieci corna della quarta bestia, rappresenta non Antioco Epifane, ma un anticristo che apparirà alla fine dei tempi”. L. GERBI, p. 198; F. GODET, 3a ed., p. 342; J.N. GORTNER, Daniel., p. 106; E. HUNTINGFORD, A Harmony, pp. 64-65; K.F.I. KEIL, The Prophet, p. 283; S. LIMBACH, Eine, p. 104; A. LONGLEY, p. 60; J. MALDONADO, p. 687; G.S. MENOCHIO, ed. 1630, p. 318, ed. 1758, p. 128, ed. 1768, p. 248; W.G. MOOREHEAD, Outline, p. 286; L.W. MUNHALL, pp. 161-163; F. OGARA, p. 243-253; R. PACHE, Notes, p. 78; K. PELLICANUS, Comm. bibl., vol. III, Zürigo 1533, fol. 224; J. PHILIP, p. 106; J. PHILLIPS, p. 171; H. PINTO, In Daniel, 1583 fol. 120a; SOLA Y MESTRE, pp. 381,392-396; W.C. STEVENS, p. 97; Tommaso d’Aquino, vol. XIX, ed. 1660, p. 29; S.P. TREGELLES, Remarks, 5a ed., p. 82; N. WEST, p. 73; G. WILLIAMS, The Student’s ..., 5a ed., pp. 623,624; G.D. YOUNG, The Bible..., vol. II, 1960, p. 273. In questa ipotesi si potrebbero elencare anche Cirillo di Gerusalemme, traduzione di Faivre vol. I, pp. 119-123; Ippolito di Roma, ed. Lefèvre, vol. IV, XIV, pp. 288,289; Gerolamo, MIGNE, P.L., XXV, col. 531 che per forza di cose dovevano vedere questo potere nel futuro e prima del ritorno di Gesù. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. 10
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DA POTERE RELIGIOSO A POTERE TEMPORALE
Non riteniamo che sia necessario confutare ognuna di queste spiegazioni che non tengono conto di tutte le caratteristiche precisate dal testo biblico che consideriamo nella spiegazione che segue.
Il piccolo corno e l’interpretazione storica Il brano con il quale Daniele esprime il suo interesse per la quarta bestia e l’azione dell’undicesimo corno è eloquente: “Queste quattro grandi bestie, sono quattro re che sorgeranno dalla terra; poi i santi dell’Altissimo riceveranno il Regno e lo possederanno per sempre, d’eternità in eternità. Allora desiderai sapere la verità intorno alla quarta bestia, che era diversa da tutte le altre, straordinariamente terribile che aveva i denti di ferro e le unghie di rame, che divorava, sbranava e calpestava il resto con i piedi, e intorno alle dieci corna che aveva in capo, e intorno all’altro corno che spuntava, e davanti al quale tre erano cadute: a quel corno che aveva degli occhi, e una bocca proferenti cose grandi e che appariva maggiore dalle altre corna. Io guardai, e quello stesso corno faceva guerra ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo che i santi possederono il regno. Ed egli (l’angelo) mi parlò così: “La quarta bestia è un quarto regno sulla terra, che differirà da tutti i regni, divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà. Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; e dopo quelli, ne sorgerà un altro, che sarà diverso dai precedenti e abbatterà tre re. Egli proferirà parole contro l’Altissimo, ridurrà allo stremo i santi dell’Altissimo e penserà di mutare i tempi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà distrutto e annientato per sempre”.21 Le dieci corna o i dieci regni, con il piccolo corno che ne abbatte tre, sono la continuazione della quarta monarchia e non fanno che uno stesso regno con essa, che deve durare fino a quando il Regno sarà dato al popolo di Dio. Questa visione storica era stata talmente ben capita che la Chiesa primitiva attendeva il potere del piccolo corno e lo considerava l’Anticristo.
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CAPITOLO V
Anticristo è una parola greca composta dalla preposizione “anti” e dal nome Cristo. La preposizione anti in greco ha principalmente due significati: “contro” dando quindi l’idea di avversario, e “al posto di”. “Quindi significa un vice-Cristo, o un falso-Cristo (senso adottato dalla versione Siriaca), o tutti e due contemporaneamente. Come la parola antipapa non indica semplicemente un nemico del papa, come avrebbe potuto essere un imperatore germanico ghibellino, ma qualcuno che si sostituisce al papa legittimo, ricevendone gli onori ed esercitandone le funzioni”22; così Anticristo è colui che è al posto di Cristo, un vice Cristo, colui che sostituisce Cristo, o l’avversario di Cristo, come lo definisce l’apostolo Paolo. L’attesa di questo personaggio era molto sentita nei primi secoli della nostra era, perché Daniele ne aveva descritta l’azione in forma esplicita e chiara. Le sue precisazioni hanno permesso una identificazione permanente nel corso dei secoli. Come abbiamo detto sopra, in diversi modi si è voluto identificare il piccolo corno di Daniele VII, ma la spiegazione storica identifica il “piccolo corno” col Vescovo di Roma. Le caratteristiche così complete e precise permettono di affermare che il profeta ha descritto la teocrazia del Medio Evo che vive nei nostri giorni, la cui crescita attuale di influenza e di vitalità fa credere che essa si prolungherà fino al momento del prossimo ritorno del Signore. Questa interpretazione non è arbitraria e motivata da spirito di parte. La chiarezza del testo biblico, come vedremo, ci obbliga a riproporla. È assolutamente impossibile dare una spiegazione diversa e, come scrive L. Gaussen, questa identificazione è stata costantemente professata nella Chiesa di Dio e non viene considerata solamente nei tempi di rilassamento e d’incredulità, come nella nostra epoca. Possiamo dire che questa sia la spiegazione classica protestante dalla Riforma, ma è ad essa precedente ed è la sola a rispondere a tutte le caratteristiche del testo di Daniele.23
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ELLIOTT Edward-Bishop, Horae Apocalypticae, t. III, 5a ed., London 1862, p. 105. Alcuni esempi: J. ABBADIE, pp. 456-537; J.H. ALSTED, Trifolium, t. I, p. 104; Anonimo, The Scheme ..., pp. 34-43; J. BENSON, Honly Bible, p. 700; J.W. BIRCHMORE, p. 35; H.E. BROOKE, The Great Words ..., p. 38; H. BULLINGER, Von Antichrist ..., ed. 1541, p. 64; W. BURNET, pp. 87,88; P.L.E. BURNIER, pp. 341,342; E.P. CACHEMAILLE, Daniel’s, ed. 1888, pp. 34,35; An Explan., ed. 1911, p. 43; The first, p. 103; T.W. CHRISTIE, The Book of Revelation, osserva che questo 11o corno non è né Antioco, p. 32, né il maomettanesimo, p. 33, ma il papato, p. 39; J. CUMMINGS, Explicat., ed. 1854, pp. 120-161; K.A. DAECHSEL, ed. 1901, pp. 851-853; N.S. FOLSOM - J. TRUAR, A Diss., p. 58; H. GUINNESS, Div., p. 322; H. HABERSHON, Diss., pp. 304,343,389-419; Hist., p. 302; T.W. HASKINS, Is the Papacy ..., p. 36; H.W. LOWELL p. 32; W. LOWTH, vol. I 1726, p. 67; 1822, p. 339; Ch.P. MILES, vol. II, p. 130; T. PARKER, p. 15; M. POOLE, ed. 1968, p. 831; M.F. ROOS, pp. 154-184; P. TAGLIALATELA, ed. 1902, ed. 1908; M.C. TREVILIAN, ed. 1858, pp. 90128, 401; J. WILSON, Daniel, pp. 177-207; T. ZOUCH, pp. 46-53. L’interpretazione è stata contrastata da John-Henry NEWMAN, The protestant. Idea of Antichrist British Critic and Quarterly Theological Revelation, ottobre 1840, pp. 391-440; riprodotta in Essays critique and History, vol. II, 1871, 1901, pp. 112-185. Il cattolico George Steward HITCHCOCK, The Beasts and the Little Horn, London 1911, 1912, p. 4, constatava con soddisfazione che questa teoria era abbandonata dai protestanti. Essa è però ancora mantenuta da qualche autore. Vedere Ch. BOUTFLOWER, p. 83; W.B. DAWSON, The Time..., pp. 72-96; H.N. SARGENT, The Marvels ..., pp. 128,158166. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. 23
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Da questo testo di Daniele scaturisce una radiografia del potere che ha caratterizzato la storia occidentale, con 15 caratteristiche, che noi porremo in un ordine che, pur non seguendo sempre quello del testo biblico, non lo altera. Questo capitolo della Parola di Dio risplende soprattutto della forza e della speranza di coloro che hanno creduto in secoli difficili e sono stati vincitori grazie alla loro fede.
Le 15 caratteristiche del potere religioso che divenne potere temporale 1. Una monarchia “Nel linguaggio della visione, cosa è un corno, se non un regno, un re, un susseguirsi di re? “Un altro corno”24 è dunque evidente che, come i primi dieci re, è una potenza territoriale e politica”.25 “Questo piccolo corno rappresenta un re e, per conseguenza, una monarchia che si innalza nel mezzo dei dieci stati contemporanei e simultaneamente scaturiti dallo stesso grande impero”.26 2. Sua natura Questo corno però è “diverso dai precedenti”27. Legifera nel campo della religione. “Lo Spirito Santo dichiara che egli sarà contemporaneamente potenza temporale e spirituale; - temporale: è un corno; - spirituale: questo corno è diverso dai primi: ha degli occhi e una bocca, bestemmia, perseguita i santi, pretende di cambiare la legge divina; pronuncia grandi parole, guida il mondo”.28 “La Chiesa di Roma è una potenza contemporaneamente spirituale e temporale. Che essa possegga un territorio o che non abbia che un palazzo per dominare, la Chiesa di Roma è uno stato... La sua istituzione, come essa ce la espone, l’investe dell’autorità civile e politica su tutto l’universo. È perché è una potenza spirituale che è una potenza temporale. È perché le anime le sono effettivamente sottomesse ch’essa intraprende la sottomissione dei corpi”.29 “Noi siamo così indotti a vedere nel piccolo corno del capitolo VII, che si innalza in mezzo alla quarta e ultima monarchia, il personaggio o il potere designato da S. Paolo come “l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’empio””.30 24
Daniele 7:8. L. Gaussen, o.c., t. III, p. 5. Confr. Daniele 7:8,24. 26 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 683. 27 Daniele 7:24. 28 L. Gaussen, o.c., t. III, p. 309; Confr. Daniele 7:24,25. 29 FRANCE Anatole, L’Eglise et la République, Paris 1904, pp. 7,8; cit. da VUILLEUMIER Jean, Les prophéties de Daniel, Genève 1906, p. 136. 25
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3. Sua posizione geografica ““Ed ecco un altro piccolo corno saliva tra esse”.31 Tra esse, cioè, tra le prime dieci... Ecco cosa vi indica con la più perfetta precisione in quale parte del mondo ha dovuto elevarsi questa potenza temporale coronata dal diadema dei re, teologo, nemico di Dio e del suo nome, della sua parola e del suo popolo. Dove spunta il corno, se non sulla testa imperiale della quarta bestia? E cosa vuole dire questo emblema, se non che questo re teologo, in quanto temporale, dovrà apparire, non solamente nel territorio dei Latini e fra i dieci re, ma ancora come traendo la sua esistenza dal potere degli imperatori romani?”.32 “Si tratta in effetti... d’un Anticristo che deve apparire in mezzo ai regni formati dalle macerie dell’Impero Romano (quale) continuazione di questo impero”.33 Non era forse Roma il punto centrale dell’impero latino?
4. Epoca della sua apparizione “Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da quel regno; e, dopo quelli, ne sorgerà un altro, che sarà diverso dai precedenti”.34 Le invasioni barbariche avvennero tra la fine del V e l’inizio del VI secolo come abbiamo esposto nel capitolo precedente. “I Padri della Chiesa (Giustino, Ireneo, Lattanzio, Gerolamo, Agostino, Crisostomo) non si sbagliarono dunque quando credevano che il “piccolo corno” apparirebbe dopo la divisione dell’Impero Romano in dieci regni”.35 Cirillo, vescovo di Gerusalemme, verso il 348 scriveva: “L’Anticristo apparirà quando i destini di Roma saranno compiuti... Sui resti di questo impero si eleveranno dieci re che regneranno forse in diversi luoghi, tuttavia nello stesso tempo. A questi dieci re succederà l’Anticristo”.36 Gerolamo nel 407 scriveva nel suo Commentario su Daniele: “Diciamo quello che hanno insegnato e trasmesso tutti gli scrittori ecclesiastici, cioè che alla fine dei secoli, quando verrà la distruzione dell’Impero dei Romani, dieci re si divideranno tra
30 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 685. Confr. 2 Tessalonicesi 2:1-10. Ricordiamo che questo abate pensava a questo corno come un tipo dell’Anticristo finale, o.c., pp.692-695. 31 Daniele 7:8. 32 L. Gaussen, o.c., t. III, p. 6. 33 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. Il, p. 688. 34 Daniele 7:24,8. 35 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 679. I Padri della Chiesa, convinti ancora che il Cristo dovesse ritornare e non avendo compreso la nozione storica del tempo profetico, credevano che le corna-re fossero delle persone fisiche e non delle dinastie, dei regni. 36 Cirillo di Gerusalemme, Catechesi, XVI, 12. Vedere riferimento precedente.
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loro il mondo romano, e un undicesimo re, più piccolo, sorgerà in mezzo a loro, prevarrà su tre dei dieci primi”.37 Col 476 l’impero d’Occidente cade, ma inizia una nuova storia d’Italia, inizia una nuova storia dell’impero latino. “Nel caos che seguì il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, nella tormenta delle grandi migrazioni che minacciarono di portare via tutto, il papa rappresentava l’autorità più alta, quella che, sola, restava in piedi in Occidente e che i cataclismi, lontano dal diminuire, ingrandivano e fortificavano. I Romani provavano un bisogno imperioso di avere un punto di appoggio stabile: da questo si spiegano i loro sforzi a non tralasciare nulla per conservare e accrescere questa autorità”.38 “Certo è che, col sacco dato dai Vandali, l’antica Roma è caduta, la nuova già comincia a sorgere, facendo prova d’una grandezza diversa, ma non meno ammirabile. La gloria del Campidoglio non esiste più, ma comincia quella del Vaticano”.39 5. Sue dimensioni territoriali “Ecco un altro piccolo corno”.40 “Come potenza temporale, come principe coronato, doveva essere notevolmente piccolo tra tutti gli altri. Come potenza politica, è il più piccolo dei sovrani dell’impero”.41 Il territorio degli stati pontifici non ha mai superato, anche nella sua massima estensione, il terzo dell’Italia. Comprendeva: la città di Roma e la campagna che la circondava, chiamata ducato di Roma; a questo territorio si aggiungevano: l’Umbria, le Marche, la Pentapoli in Romagna, il ducato di Urbino e quello di Ferrara. Ancora oggi “il papa è un sovrano. Regna sopra uno Stato riconosciuto da tutti gli stati... la sovranità del Papa è illustrata da un certo numero di fatti, fra cui la presenza, presso di lui, di 47 missioni diplomatiche straniere. Il papa, per la natura specifica della sua sovranità, gode di un rango a parte rispetto agli altri capi di Stato, siano essi re o primi cittadini d’una Repubblica. Riceve i loro omaggi e restituisce tali onori soltanto per tramite di un cardinale”.42 Una delle caratteristiche di uno stato è quello di battere moneta e 105 papi, incominciando dal 731 con Gregorio III (731-741), l’hanno fatto. A tale proposito il Lessico Ecclesiastico Illustrato dice: “La zecca pontificia di Roma è la più illustre del mondo; e la sua importanza deriva soprattutto dai grandi artisti che vi hanno lasciato dei veri capolavori. Le monete papali sono parte delle prove indiscutibili della potenza millenaria del papato, di questa istituzione grandiosa
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Gerolamo, Commentario su Daniele, MIGNE, P.L., 25,1884, col. 531. Vedere riferimento n. 35. SCHMÜRER Gustave, L’Eglise et la civilisation au Moyen Âge, Paris 1933, p. 131. 39 VILLARI Pasquale, Le invasioni barbariche in Italia, Milano 1901, p. 117. 40 Daniele 7:8. 41 L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 7,309. Confr. Daniele 7:8. 42 ORMESSON Wladimir de, Il Papato, ed. Paoline, Catania 1958, pp. 155,156. Il numero delle Missioni Diplomatiche straniere è aumentato. 38
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che domina la storia e che la divina Provvidenza collocò e conserva in mezzo all’Italia, educatrice feconda dei popoli”.43 Le monete papali sono state “emesse dai sommi pontefici come sovrani temporali (e) le iscrizioni delle monete più antiche recano il nome di S. Pietro o della vecchia formula SPQR”,44 Senatus Populus Que Romanus, formula tipica dell’Impero Romano. 6. Sua crescita graduale Sia dal punto di vista spirituale che politico questo potere acquista potenza gradualmente. Roma esercitava un’influenza spirituale, grazie al suo spirito latino di affrontare i problemi senza perdersi nelle speculazioni del pensiero come avveniva nell’Oriente. “La Chiesa di Roma, situata nel centro dell’orbe romano, eccelleva per ricchezza; i molti cristiani che vi confluivano da ogni parte della terra vi portavano pure molti beni, basti pensare che Marcione, un armatore del Ponto e figlio di un vescovo, diventato poi eretico, le regalò 200.000 sesterzi”.45 Il primo diacono della chiesa di Roma, ancora prima dell’epoca costantiniana, amministrava un grosso patrimonio. Questa chiesa già elogiata da Paolo46 per la sua generosità è esaltata da Dionigi in una lettera al vescovo romano Sotere (155-174): “Fin dai primordi avete la consuetudine di beneficiare in vario modo i fratelli e di mandare soccorsi a molte chiese. Voi amministrate il necessario ai fratelli che sono nelle miniere”.47 L’influenza della Chiesa di Roma cresceva gradualmente anche perché era in quella città che le prime reazioni imperiali nei confronti del cristianesimo si manifestavano e diversi personaggi influenti della cristianità venivano portati a Roma per essere martirizzati. Da una parte la Chiesa di Roma, che risiedeva nella sede dei Cesari, nei momenti di persecuzione, ha subito le prime rappresaglie suscitando profonda ammirazione nelle altre comunità sparse nell’impero, dall’altra la Chiesa, essendo anche la più vicina alla corte imperiale, ha goduto, in tempo di tolleranza religiosa, dei vantaggi dalla conversione degli alti funzionari della corte. È anche per questo motivo che il Sinodo di Sardica (343-344) sancì che ogni supplica al governo civile di Roma passasse tramite il vescovo romano. Tutte le strade partivano da Roma e giungevano a Roma. La presenza di fedeli provenienti da ogni parte permetteva alla Chiesa romana di riflettere la dottrina della cristianità, sia quella fedele agli insegnamenti apostolici, sia, in misura sempre maggiore, quella apostata. 43 44 45 46 47
Lessico Ecclesiastico Illustrato, vol. III, pp. 590,591. Dizionario Ecclesiastico, vol. II, Torino 1955, p. 1036. SALVONI Fausto, Da Pietro al Papato, ed. Lanterna, Genova 1970, p. 234. Romani 15:14. Eusebio, Histoire Ecclesiastique, vol. IV, 23; 10; vol. VII, 6; cit. da F. Salvoni, idem, p. 244.
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A questo si aggiunga l’abilità di alcuni vescovi nell’estendere la loro influenza nelle controversie religiose e nel riuscire gradualmente a sostituire la figura dell’imperatore che aveva spostato la sede imperiale da Roma a Costantinopoli. Le Grand Larousse Universel du XIX siècle riassume: “Molto umili all’origine, unicamente occupati a proporre le dottrine religiose, morali e democratiche del Nazareno, i vescovi di Roma non giocarono alcun ruolo nello Stato fino al momento in cui Costantino, dopo avere proclamato il cristianesimo religione dell’impero, fece di Costantinopoli la nuova capitale del mondo romano. La Chiesa, fino a quel momento perseguitata, entra in una sfera nuova e l’ora non è lontana in cui essa inizierà a perseguitare a sua volta. Il vescovo di Roma, forte dell’appoggio dell’imperatore, vuole accrescere la sua influenza sulle masse, di cui è il difensore naturale. Le invasioni barbariche aumentano ancora l’influenza del papato e dei vescovi. Davanti ai flutti che sommersero l’Impero (romano) del V secolo, i capi della Chiesa s’impadronirono degli ultimi resti del potere civile...”.48 “L’intervento del vescovo di Roma, in occasione delle invasioni barbariche del V secolo che si riversarono sull’Italia, rappresenta nella storia del potere temporale una data decisiva”.49 “Ormai il problema si imponeva in maniera categorica. Poiché l’impero non poteva scomparire, poiché era una maniera di essere del mondo, necessario, superiore agli accidenti storici, bisognava integrarlo con i nuovi venuti, come un innesto che viene assimilato con la sostanza stessa di un albero. La Chiesa, che è ormai il tronco di questo albero, è la sola che può adempiere questa funzione. Ma essa potrà farlo solo dopo essersi liberata da un grave impedimento. Questo impedimento era di ordine religioso. Per un caso deplorevole, la maggior parte dei Barbari, nel momento in cui si installavano nell’impero, erano già battezzati (tranne i Franchi e gli AngloSassoni, rimasti pagani), non nella grande Chiesa cattolica romana, ma secondo la fede ariana”.50 “La caduta dell’impero d’Occidente ha permesso lo stabilimento di una decina di Stati barbaro-latini; queste nazioni di origine germanica e professanti l’arianesimo, occupavano tutto il territorio nel quale si doveva innalzare l’undicesimo re”.51
7. Tre regni cadono, vengono sradicati davanti al suo sorgere Per fare spazio a questo re teologo il testo di Daniele dice che “tre corna”, cioè tre regni, tre popoli barbari che si sono installati sul territorio dell’Impero Romano “furono divelti”, “caddero davanti a lui” ed esso “ne abbatterà o abbasserà tre”52. Questi regni-dinastie devono essere sradicati dal territorio dell’impero latino prima o 48 Art. Papauté, in Grand Larousse Universel du XIX siècle, t. XII, p. 138. Riteniamo corretto precisare che Costantino concesse la libertà religiosa, convocò il concilio di Nicea, ma fu l’imperatore Teodosio che proclamò il cristianesimo religione di stato. 49 HOMO Léon, De la Rome païenne à la Rome chrétienne, Paris 1950, p. 290. 50 ROPS Daniel, Storia della Chiesa di Cristo, vol. II, La Chiesa del tempo dei barbari, Torino 1972, pp. 112, 113. 51 VAUCHER Alfred Félix, L’Antichrist, Collonges sous Salève 1972, p. 12. 52 Daniele 7:8,20,24 (per il versetto 4 confr. 4:37); 5:22,19.
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in concomitanza col sorgere del Papato. Essi cadono a causa sua, o per motivi che coinvolgono la sua religione e i suoi interessi. Siccome il testo di Daniele dice “abbatterà o abbasserà tre re”, alcuni hanno trovato un problema nell’identificare le corna abbattute e le hanno ravvisate in dei repersone che il vescovo di Roma ha personalmente umiliato, ma Daniele dice anche che queste corna non saranno sradicate da lui, ma che saranno “divelte dinanzi a lui” e “davanti a lui” per favorirne la crescita. Ciò che Daniele vuole dire è che questi reregni impediscono per motivi vari il sorgere e il manifestarsi del re teologo. Dalla scomparsa di questi regni il corno-diverso deve trarre grandi vantaggi. I commentatori non sono stati unanimi nell’identificare i tre popoli barbarici,53 ma riteniamo che l’interpretazione che vede nelle tre corna gli Eruli, i Vandali e gli Ostrogoti sia la migliore.54 Primo corno sradicato: gli Eruli
Gli Eruli di fede ariana, governati da Odoacre, si stabilirono in Roma nel 476. “Il regno di Odoacre era limitato quasi esclusivamente all’Italia, (con la sua presenza) evitava quelle grosse guerre che dissanguavano le popolazioni e quindi il regno di Odoacre fu per qualche tempo come un periodo di sosta alle patite calamità... La vita politica del popolo italiano può dirsi spenta del tutto. Con tanta maggiore energia si svolgeva quindi in esso la vita religiosa, alla cui testa si trovava il Papa”. Intanto, prosegue il Villari nella sua opera, in Oriente c’era lotta tra i Nestoriani, i quali dicevano che la Vergine era madre di Cristo Gesù, solo in quanto uomo, ed i Monofisiti, i quali sostenevano che la natura umana e divina di Gesù erano una sola e medesima cosa. L’imperatore Zenone, dopo aver ripreso con l’aiuto degli Ortodossi il trono, cercava una via di mezzo nelle dispute per conciliare Ortodossi e Monofisiti. “Ma Roma non ammise mai queste vie di mezzo, né ammise mai che l’imperatore decidesse le dispute religiose”. In questa lotta, papa “Simplicio (468-483), sostenuto dagli italiani, dimostrò al solito una tenacia veramente romana, mantenendo l’antagonismo fra Oriente e Occidente, il che riusciva a vantaggio di Odoacre” che, sostenendolo, cercava di staccarsi ed essere meno dipendente da Costantinopoli. Inoltre “il papa era allora moralmente, e non solo moralmente, il personaggio più potente d’Italia. Se Odoacre, come ariano, si fosse messo in aperta opposizione con 53
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Goti, Eruli, Ostrogoti: J.P. BRISSET, p. 59; Eruli, Ostrogoti, Longobardi: J. ABBADIE, p. 466; anonimo The Scheme of ..., pp. 36-42; AA.VV., Bible The Comprensive, p. 931; È. BROOKE, p. 16; W. BURNET, Essay, pp. 87,88; W. DIGBY, A Treatise, pp. 73,74; FABER, A Dissert., 2a ed., vol. I, 1807, pp. XXXV,183; J. FRY, The 2o, t. II, 1822, pp. 15-19; L. GAUSSEN, vol. II, p. 174; vol. III, p. 26,310; W. HALES, A new ..., vol. II, 1, p. 537; Ch.D. MAITLAND, A brief ..., p. 19; - Eruli, Esarcato di Ravenna, Longobardi: H.W. LOWELL, pp. 52,53; - Vandali, Ostrogoti, Longobardi: E.P. CACHEMAILLE, 1911, p. 46; - Vandali, Ostrogoti, Alemanni: J. CUMMINGS, 1854, pp. 159,160; - Ostrogoti, Vandali, Burgundi: A.E. HATCH, 1913, p. 107; - Esarcato di Ravenna, Longobardi, Stato di Roma: FABER G.S., The Sacred ..., p. 183. Per i titoli completi di queste opere vedere la Bibliografia. 54 D. FORD, p. 152; E. FROOM, vol. I, pp. 397, 514,515; Seventh Day Adventist Bible Commentary, vol. IV, pp. 826,827; N.N. WHITING, 1843, pp. 24,25.
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lui, questi gli avrebbe facilmente potuto sollevare contro tutto il paese e rendergli impossibile il reggersi a lungo in Italia. Ma finché durava la lotta religiosa fra Roma e Costantinopoli, il Papa e Odoacre si trovavano dal comune interesse spinti a sostenersi vicendevolmente”. Quando Simplicio muore (2 marzo 483) Odoacre riesce a far eleggere il suo favorito Felice II che continuava nell’ortodossia. Con questa azione “Odoacre fece allora un passo falso, dal quale non tardò molto a sentire le conseguenze... Non era un imperatore, ma un re barbaro ed un ariano. Non poteva quindi sperare che la chiesa romana, sempre gelosa delle proprie prerogative, avrebbe mai potuto approvare il suo procedere” anche se il nome gli era stato suggerito dal defunto pontefice. Sebbene il dissenso tra Oriente ed Occidente “era tutto a vantaggio di Odoacre, l’essersi egli ingerito nella elezione papale aveva seminato nella Chiesa romana il germe pericoloso d’una profonda diffidenza verso di lui” che divenne così un personaggio scomodo. Intanto in Oriente l’imperatore Zenone e Teodorico, re degli Ostrogoti, sono legati da comuni interessi. Teodorico desiderava occupare il territorio degli Eruli e governare in Italia in nome di Zenone. All’imperatore faceva comodo allontanare dall’Oriente gli Ostrogoti che gli davano preoccupazioni e oneri, e in Occidente gli avrebbero messo a tacere Odoacre che si era reso insopportabile con il suo fare da sovrano indipendente. Inoltre aveva da parte del barbaro Ostrogoto una promessa di fedeltà. “A tutto ciò si aggiungeva (a favore di Teodorico) che la discordia già cominciata tra Odoacre ed il Papa aveva indebolito e reso quindi assai meno temibile il primo”. Odoacre viene sconfitto la prima volta sull’Isonzo presso Aquileia il 28 agosto 489, il mese dopo sull’Adige presso Verona, ripiega quindi al Sud cercando di assicurarsi le spalle nell’Italia meridionale. “Roma gli chiude le porte in faccia e le popolazioni italiane gli cominciano a manifestare avversione, in parte per la lotta da lui recentemente sostenuta con la Chiesa, in parte per le spoliazioni in numero sempre maggiore da lui fatte negli ultimi anni, sia per crescenti bisogni, sia per la poco regolare amministrazione”. “E di tutto ciò la Chiesa aveva saputo approfittare, per eccitare contro di lui le moltitudini, tanto che poco dopo si parlò addirittura d’una generale cospirazione, di una specie di Vespro siciliano organizzato contro di lui dal clero. (Il primo agosto 490 Odoacre viene nuovamente sconfitto sull’Adda). A favore di Teodorico erano l’autorità dell’impero e della Chiesa, nonché le popolazioni insorte”. Odoacre si rifugiò a Ravenna dove subì un assedio di tre anni e nel febbraio del 493 cedette. Dopo aver consegnato il figlio come ostaggio, il 27 febbraio “l’accordo della resa era definitivamente concluso, per mezzo dell’arcivescovo di Ravenna. Altra prova anche questa della straordinaria importanza assunta allora dal clero e quindi dalla Chiesa in tutti gli affari di maggiore gravità”.55 Odoacre venne ucciso il 15 marzo dopo essere stato invitato ad un solenne banchetto. Nel 493 disparve il primo corno: gli Eruli vennero sradicati dal suolo dell’Impero Romano latino. 55
P. Villari, o.c., pp. 132,133,134-136,140,143-144,145. Quando la profezia diventa storia
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Secondo corno sradicato: i Vandali
I Vandali nel 409 occuparono la Spagna e si stabilirono nel 439 nel nord Africa, occupando la Sardegna, la Corsica e più parti della Sicilia, secondo il trattato del 442. “I Vandali avevano abbandonato il cattolicesimo per l’arianesimo, quando si stabilirono in Spagna e poi in Africa; ma Giustino arrestò la loro violenza ereticale distruggendo il loro impero (534)”.56 Nel 533 da Costantinopoli partì una flotta guidata dal generale Belisario. Egli “si presentò in Africa non come un conquistatore, ma come un liberatore dei cattolici, dei Romani, del clero e dei proprietari, tutti ugualmente oppressi dai Vandali, eretici, stranieri e barbari... Il risultato più notevole della guerra fu che i Vandali, dopo avere portato tanto terrore, tante rovine nell’impero, scomparvero per sempre dalla storia, senza che più se ne sentisse parlare... Molti di essi furono mandati ai confini dell’impero, verso la Persia; non pochi vennero incorporati nell’esercito di Belisario, ed alcuni furono ammessi addirittura a far parte della sua guardia. Quelli che, per conto proprio, rimasero in Africa, ebbero confiscati i beni, e furono cacciati dalle loro chiese, messi in carcere o fatti schiavi”.57
Terzo corno sradicato: gli Ostrogoti o Goti
Scrive il Villari: “La questione religiosa, che aveva in Italia una straordinaria importanza... (fu) causa non ultima della rovina del regno ostrogoto (che aveva sostituito quello degli Eruli). Sebbene ariano, Teodorico era stato lungamente in buona armonia col Papa, favorendolo nel conflitto religioso, che tra Roma e Costantinopoli, da lungo tempo continuava assai aspro”. A papa Gelasio succedeva Anastasio II (496-498) alla morte del quale c’erano due pretendenti: Lorenzo e Simmaco. Teodorico interveniva prudentemente per mantenere l’ordine, non influiva sulle elezioni, ma era soddisfatto della nomina di Simmaco in quanto meno dispotico. Si iniziava la costruzione del Vaticano e Roma sembrava fiorire di nuovo. Alla morte dell’imperatore Anastasio (omonimo del papa deceduto) succedeva Giustino la cui politica era diretta dal nipote Giustiniano, abile e ortodosso. Si esaltavano le dottrine ortodosse e iniziava in Oriente un periodo di intolleranza per gli eretici che venivano perseguitati con soddisfazione del Papa. In Occidente, se all’inizio la situazione sembrava buona, “ben presto tutto si volge a danno di Teodorico, il quale era ariano e non poteva andare a lungo d’accordo con un papa e con un imperatore, che, essendo ambedue ortodossi, dovevano trovarsi, come ben presto si trovarono, uniti contro di lui.
56 57
REY Jules, Saint Nicolas, Paris 1898, p. 9. P. Villari, o.c., pp. 182,183.
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Verso il 524 l’imperatore Giustino cominciò a perseguitare gli Ariani... Teodorico fu quindi costretto a reagire, perseguitando i Cattolici, e si trovò subito in urto col Papa, eccitando lo scontento delle popolazioni... (Qualche anno dopo sul trono pontificio si trovò) Giovanni I (523-526), che si mostrò lieto anch’esso che l’imperatore perseguitasse gli Ariani, ciò spinse il furore di Teodorico fino al parossismo. Egli, nonostante la viva resistenza, costrinse il Papa a partire per Costantinopoli, pretendendo che andasse colà a difendere la causa degli Ariani,... altrimenti minacciava severe rappresaglie. Il Papa assai di mala voglia partì per l’Oriente, e fu accolto con grande entusiasmo (prima volta che un pontefice romano compariva a Costantinopoli). Ottenne tutto quello che domandò nell’interesse del cattolicesimo; nulla però, com’era naturale, ottenne, né gl’importava ottenere, a favore degli Ariani. Lo sdegno di Teodorico fu tale che, quando Giovanni tornò, lo chiuse in carcere (a Ravenna), dove il 25 maggio 526 morì. Ed ora il re volle, per propria sicurezza, ingerirsi nelle elezioni del nuovo papa, indicando colui che fu poi eletto col nome di Felice III (526-530). Tutto questo destò d’ogni parte uno straordinario e universale malcontento contro di lui”58 anche se il governo di Teodorico era stato pieno di civiltà e di gloria, presentando un’Italia molto unita. L’imperatore, dopo avere neutralizzato i Vandali in Africa nel 534, si preoccupava dell’Italia, dove inviava Belisario con un esiguo esercito di 7.500 persone, mentre si combattevano i Goti in Dalmazia per dividere le loro forze. “Ma nonostante il valore personale (di Belisario), i suoi infiniti accorgimenti, la sua capacità strategica, egli non avrebbe mai potuto fare quello che fece, con le poche sue genti, per quanto valorose, se non avesse avuto il favore e la cooperazione dei Romani, ai quali, con molta accortezza seppe presentarsi fin dal principio, come uno che veniva a liberarli dal giogo barbarico e dalla persecuzione ariana, ed anche come un restauratore dell’antica grandezza romana”.59 Belisario, alla testa dei suoi, entrò in Roma “dove fu clamorosamente accolto”, ma per Roma iniziò un assedio, da parte dei Goti, che durò oltre un anno, dal marzo del 537 al marzo del 538; tuttavia i Goti non prevalsero. Nel 553 Narsete, successore di Belisario, nella battaglia sul monte Sant’Angelo sconfisse definitivamente gli Ostrogoti. Molti di loro passarono le Alpi, raggiunsero i Franchi nel Nord Italia, cercando di indurli ad attaccare Bisanzio.
58
Idem, pp. 160,164,165,169,170. Siccome Teodorico si era urtato contro il corno nascente, novantasette giorni dopo la morte di papa Giovanni, lui stesso morì e “più d’una leggenda s’andò formando intorno ad essa. Procopio racconta che, trovandosi Teodorico ad un banchetto, gli fu portato un grosso pesce, il quale, digrignando i denti e rivolgendo minacciosamente gli occhi, pareva che assumesse le sembianze di Simmaco. Spaventato da ciò il re si sentì preso da brividi che lo costrinsero a mettersi a letto, dove non vi furono panni che bastassero a riscaldarlo, ed il 30 agosto 526, in età di settantadue anni, fu condotto a morte da una forte dissenteria. Un’altra leggenda, narrata assai più tardi nei Dialoghi di Gregorio Magno, racconta che un collettore di tasse, passando per l’isola di Lipari, vi trovò un eremita che subito esclamò: “È morto Teodorico!”. “Come mai rispose l’altro, se non è molto che io lo lasciai in buona salute?”. “Eppure, soggiunge l’eremita, io l’ho visto or ora passare colle mani legate, fra papa Giovanni I e Simmaco, ed essere gettato nel cratere del vulcano di Lipari”” idem. 59 Idem, pp. 184,185. “Giustiniano succedendo a suo zio nel 527, all’età di 40 anni ereditò i suoi sentimenti religiosi. Si pose qual difensore dell’ortodossia poco apprezzata dai re barbari dell’Occidente i quali sono quasi tutti ariani. Nelle sue imprese contro i Vandali e i Goti, c’è di già un po’ dello spirito delle crociate” LOT Ferdinando, La fin du monde antique et le début du Moyen Âge, Paris 1927, p. 299. Quando la profezia diventa storia
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Il terzo corno cadeva, e sebbene la Penisola passasse un periodo difficile anche a causa della cattiva amministrazione bizantina, il papa poteva iniziare a costruire a suo modo la grandezza di Roma. La conversione al cattolicesimo di Roma da parte di Clodoveo, re dei Franchi (496), il cui paganesimo non era stato intaccato dall’arianesimo, e le sue vittorie di espansione sugli ariani Burgundi, Visigoti e Alemanni, dava via libera al cattolicesimo. Grazie a lui “verso il 540, in meno di mezzo secolo, l’arianesimo era praticamente scomparso dall’impero d’Occidente senza lasciare tracce”. 60 Così riassume questo periodo il Maestro Vaucher: “L’Impero Romano d’Occidente disparve: Eruli, Vandali e Ostrogoti spazzati via; gli altri popoli barbarici, passati dall’arianesimo al cattolicesimo; tale è la situazione verso la metà del VI secolo, nel momento in cui stava per sorgere l’undicesimo re annunciato da Daniele. Il potere imperiale, che non voleva dividere con nessuno i suoi diritti sovrani è relegato in Oriente. I barbari di professione ariana, che si erano istallati in Italia e nell’Africa del nord, usurpando il potere imperiale senza osare assumersi il titolo, sono stati sterminati. Il posto è libero”.61 “Fino al VI secolo il papato offre due aspetti. Da Lino (67-76) fino a Melchiade (311-314), secondo le parole dell’Apostolo, i papi compirono il loro apostolato resistendo fino al sangue. Da Melchiade fino a Gregorio il Grande (590-604), gettarono le basi del diritto scritto della Chiesa e oppressero gli eretici... I primi sono apostoli martiri, i secondi apostoli-legislatori ... Quando la monarchia cristiana è fondata, quando è passata dallo stato di fatto allo stato di potere, essa si modifica, cioè aggiunge all’aspetto religioso quello politico. I papi che sono stati apostoli legislatori, ora diventano sovrani”.62 60
CHELINI J., Histoire religieuse de l’Occident Mediéval, Paris 1968, p. 36. A.F. Vaucher, o.c., p. 12. 62 BEAFORT Comte de, Histoire des Papes, vol. I, p. 325; cit. J. Vuilleumier, o.c., p. 136. Vogliamo qui riportare la critica a questa interpretazione ormai tradizionale fatta dall’amico prof. Jean FLORJ, Recherches et Contacts, organo degli studenti avventisti di lingua francese, n. 6, maggio 1969, pp. 2-20. Pur non condividendo tutte le osservazioni, riteniamo che sia una critica interessante e porti anche un contributo nella spiegazione dello sviluppo del potere papale. Sebbene gli Eruli e gli Ostrogoti potevano influenzare lo sviluppo politico del papato, non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda i Vandali che erano in Africa. La scelta di questo corno-regno sembra almeno molto contestabile. Inoltre nel VI secolo, 538, il potere politico del papato è ancora insignificante. Teodorico, a capo degli Ostrogoti, iniziò la conquista dal Nord Italia, vincendo gli Eruli, per conto proprio e non per conto ed interesse del papa. Nella campagna di Belisario, in Africa del Nord, dal 530 al 534, il papa non ebbe alcun ruolo. Giustiniano, imperatore d’Oriente, ordinò questa riconquista in Occidente per dei motivi di gloria personale e di politica imperiale e non per conto o interesse del papa. Il papa quindi non può essere considerato l’autore dell’abbattimento di questo regno-corno. Inoltre il territorio dei Vandali, Nord Africa, dal VII secolo fu conquistato dagli Arabi e uscì per sempre dall’orbita del cristianesimo. L’ariano Odoacre venne sostituito dall’ariano Teodorico e quindi il papato guadagnò poco. L’abbattimento dei Vandali fu vantaggiosa per le popolazioni cattoliche, ma anche qui il potere politico del papa non ha guadagnato molto. Il testo di Daniele mette in risalto la lotta sul piano del potere politico del papato e non su quello della vita dei cristiani. Anche dopo la partenza di Teodorico, Giustiniano sostenne sempre il principio del cesaropapismo e considerava il papa come uno strumento per trasmettere la sua volontà. Il cattolicesimo per contro ebbe dei veri grandi vantaggi con il re dei Franchi. É in questa direzione che bisogna guardare. Clodoveo battezzato nel 496 o nel 506 divenne da quel momento il campione della causa cattolica in 61
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Occidente. Fu lui con le sue vittorie del 507 sui Visigoti d’Aquitania, del 532-534 sui Burgundi e del 636 sugli Ostrogoti di Provenza che fece definitivamente pendere la bilancia dalla parte del cattolicesimo. La vittoria su questi regni ariani portò alla cattolicità vantaggi maggiori di quella riportata su Eruli, Vandali e Ostrogoti di Roma. Inoltre già dal V secolo l’autorità del vescovo di Roma in Occidente non era contestata, anche se c’erano i cristiani ariani. Già nel 445, un decreto di Valentiniano ordinò di considerare come legge tutto ciò che veniva sancito dall’autorità del seggio apostolico. Lo stesso Oriente riconosceva a Roma un primato d’onore. Sul piano temporale in quel tempo il papato non guadagnava nulla, anche se dei papi come Damaso e Gelasio avevano affermato la superiorità del potere spirituale a quello temporale: l’autoritas dei papi, affermava Gelasio nel 494, è superiore alla potestas dei re. In germe c’erano le fondamenta della teocrazia pontificia, ma era ancora pura teoria. La potenza politica del papato in quel tempo era inesistente per alcune ragioni: a) dopo la sconfitta di Odoacre e di Teodorico, Roma venne minacciata dal 568 dai Longobardi, i quali anche se diventarono cattolici nel 600, pensavano ancora di fare papa un vescovo longobardo. b) L’Italia del Nord e Roma sono terre dell’impero d’Oriente. Roma aveva come appoggio Belisario, quando questo gli venne offerto, per contrastare gli Ostrogoti e i Vandali. Questo appoggio però era equivoco perché: quando Bisanzio era forte, confermava la sua autorità su Roma, ostacolando la sua indipendenza politica; quando era debole non gli era di aiuto. c) Il papato, non avendo nessuna base territoriale, non esercitava un potere temporale. La terra è alla base stessa dell’economia e del potere giuridico o politico. Fu nella metà dell’VIII secolo che il papato si liberò dell’influenza bizantina, si volse verso i Franchi, per ottenere da loro protezione, aiuto e territori. La potenza politico-temporale dei papi nacque in quel momento. I tre re che vennero abbattuti furono: il merovingio Childerico III (754), Astolfo il Longobardo (755) e Desiderio il Longobardo (774). Primo corno abbattuto: Clodoveo. Dopo la vittoria di Carlo Martello sugli Arabi a Poitiers nel 732, il papa Gregorio III gli manda dei doni e delle lettere importanti per avere la sua alleanza allo scopo di contrastare i minacciosi Longobardi. Carlo, occupato contro i saraceni, aveva bisogno dell’alleanza dei Longobardi. Il suo successore, il papa Zaccaria, fece la pace con loro anche se fu di breve durata perché il re Astolfo si fece ben presto minaccioso. Nel 751 Astolfo conquistò l’esarcato di Ravenna e si preparava a far pagare tributi a Roma. Zaccaria chiese l’appoggio a Pipino il Breve che aveva il potere, ma non il titolo di re che era del debole merovingio Childerico. Pipino rispose all’invito di Roma facendo una domanda: Bisogna chiamare re chi ha il potere o colui che non ce l’ha? Il papa rispose accettando l’usurpazione di Pipino e dando origine a una serie di avvenimenti molto importanti: 1. Nel 751 il legato pontificio di Bonifacio consacrava re Pipino, conferendo alla cerimonia un prestigio quasi sacerdotale. Il re diventava l’unto di Dio, novello Davide. 2. Nel 754 il papa Stefano riconfermava il gesto estendendolo a tutta la famiglia e scomunicava tutti coloro che avrebbero rifiutato di riconoscere Pipino come il re scelto da Dio. 3. Pipino con l’aureola conferitagli dal papa, patrizio dei romani, abbatteva il legittimo re relegandolo nell’abbazia di Saint Bertin a finire i suoi giorni. Si compie l’alleanza del trono con l’altare. Secondo corno abbattuto: Astolfo. Pipino scese in Italia nel 755 e nel 756 per riportare Astolfo alla ragione e prendergli una parte del suo territorio. Lo destituì nominandogli come successore Desiderio che prometteva di essere più docile. Nel 754 Pipino aveva promesso al papa di restituirgli dei territori. Con la restituzione dei territori, il sovrano accettava il documento della falsa donazione di Costantino. Nello stesso anno il papa veniva accolto da Pipino a Ponthion ed il sovrano camminava davanti al vescovo di Roma tenendo le briglia del cavallo facendogli da scudiero, esprimendo così di considerarsi vassallo del papa, come attestava la falsa donazione. Pipino si comportava secondo le norme previste dalle Decretali di Costantino e così riconosceva giusto che i pontefici “ottengano da noi (sovrani, imperatori) una potenza sovrana superiore a quella che possiede quaggiù la nostra benevola Sovranità imperiale”. Le pretese pontificie venivano così ad essere confermate. Costantino inoltre decretava che “il pontefice avrà il primato sulle quattro principali sedi di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli, e così anche su tutte le altre chiese di Dio nell’universo intero”. La preminenza del papa in Occidente era sottintesa, ma le false decretali elevavano il papa alla direzione assoluta ed universale della chiesa. Costantino dichiarava che: “Affinché il prestigio del pontificato non diminuisca, ma al contrario sia ancora più risplendente della dignità dell’Impero... noi concediamo ed abbandoniamo al beato Silvestro nostro padre, papa universale, non soltanto il nostro palazzo del Laterano, ma anche la città di Roma e tutte le province e città dell’Italia e delle regioni occidentali, perché egli e i suoi successori le posseggano” PACARE, La Théocratie, Paris 1957, p. 232.
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8. Sua apparenza straordinaria “Daniele ci dice che “appariva maggiore delle altre corna”, la sua apparenza era più grande di quella dei suoi compagni. Ma nello stesso tempo, come potenza temporale, come corno o principe coronato, doveva essere notevolmente piccolo tra tutti gli altri”. 63 Gli abati Crampon e Fabre d’Envieu così commentano: “Un piccolo corno: potenza piccola, d’apparenza, ma nella quale sembra concentrarsi tutta la forza della quarta bestia e della sua ostilità contro Dio”. “Questa espressione (piccolo corno) indica una potenza debole alle sue origini, ma che si ingrandì e si rese terribile. Sembra che in essa si concentri tutta la cattiveria della quarta bestia (Impero Romano e Stati che vi si riallaccino). Questo piccolo corno designa l’uomo del peccato nel quale si riprodurrà tutta l’ostilità del quarto impero contro il Messia e contro la sua Chiesa”.64
In occasione della prima venuta in Italia Pipino restituiva al papa una striscia del territorio che costeggia l’Adriatico a partire dalla frangia meridionale del Veneto, che comprendeva Ravenna e la Pentapoli, cioè Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona. Con questa donazione gli storici riconoscono che si costituiva “con questi territori con Roma e il suo ducato attraverso l’Italia centrale, uno Stato pontificio; questa manifesta usurpazione commessa a detrimento dell’Impero, avvenne senza che il papa denunciasse ufficialmente la sua subordinanza nei confronti del Basileus” GANSHOF F., Histoire des relations internationales, t. I, 3a ed., Paris 1964, p. 22. Terzo corno abbattuto: Desiderio Pipino non aveva soddisfatto a tutte le richieste del papa. Non aveva voluto o potuto dargli tutti i territori. Inoltre il re Desiderio non fu fedele ai patti e tentò di porre sul trono pontificio una sua creatura, il prete Filippo. Le case regnanti dei Franchi e dei Longobardi si imparentarono. Nel 770 Carlo (che diventerà Carlomagno) sposò la figlia del re longobardo, mentre il figlio del re longobardo sposò la figlia Gisella di Pipino. Desiderio, forte di questa unione, invase gli stati del papa Stefano III che morì alla fine del gennaio 772. Adriano, il nuovo papa, si rivolse senza speranze a Carlomagno, il quale rispose all’appello ripudiando la moglie nell’aprile del 772, scendendo in Italia e sconfiggendo le armate longobarde. Il re vinto fu fatto prigioniero e la corona dei Longobardi passò sulla testa del re dei Franchi. Sbarazzandosi di questo regno il papa riaveva le città di Parma, Modena, Mantova, l’esarcato di Ravenna, il Veneto, l’Istria, la Corsica, i ducati di Spoleto e di Benevento. Sebbene l’autorità di Carlomagno rendesse quella restituzione, in quel tempo, più teorica che reale, essa attestava che il papa era signore di quelle terre conservandole, anche se non tutte, fino al 1870. A partire da questa epoca Roma si separava definitivamente dall’Oriente e si collocava come sovrana d’Occidente. Da allora Roma incarna “il mistero dell’iniquità”, cioè l’utilizzazione della potenza religiosa per fini politici. Critica: Questa critica si appoggia su un equivoco. Daniele 7:24 dice: “abbatterà tre re”. Il sostantivo re non si riferisce a dei re-persone, ma a dei re-regni. Non bisogna negligere che nel versetto 23 la quarta bestia viene chiamata “un quarto regno”, mentre al versetto 17 i quattro grandi animali che rappresentano altrettanti imperi sono chiamati “quattro re”, e ciò dimostra che nel linguaggio di Daniele re è sinonimo di regno. Inoltre, nei versetti 8 e 20 è detto che sono tre le corna che cadranno davanti all’undicesimo. Se quest’ultimo corno raffigura una successione di re-pontefici, le dieci, e per conseguenza le tre corna che ne fanno parte, non possono simboleggiare che dei regni, e non delle persone. Lo stesso significato lo abbiamo anche in Daniele 8:23 e 11:36. Pertanto delle tre corna sradicate (versetti 8 e 20), “Daniele non dice che saranno sradicate da lui; dice dinanzi a lui, o piuttosto davanti al quale tre erano cadute” L. Gaussen, o.c., t. III, p. 12. Dobbiamo però riconoscere che l’espressione del verso 24 può creare un equivoco, quando dice: “abbatte tre re”. 63 L. Gaussen, o.c., t. III, p. 7, confr. p. 313; Daniele 7:20. 64 CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, vol. V, Daniel, Paris 1900, p. 687; J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 583.
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DA POTERE RELIGIOSO A POTERE TEMPORALE
Ricordiamo il pensiero di A. France: “La Chiesa di Roma è una potenza contemporaneamente spirituale e temporale. Che possieda un territorio o che non abbia che un palazzo per dominare, la Chiesa di Roma è uno Stato... La sua istituzione, come essa ce la espone, l’investe dell’autorità civile e politica su tutto l’universo. È perché è un potere spirituale che è una potenza temporale. É perché le anime le sono effettivamente sottomesse ch’essa intraprende la sottomissione dei corpi”.65 La storia ci presenta in una forma chiara la superiorità del papa nei confronti degli imperatori: il suo disporre della loro corona; l’uso della sua arma segreta: la scomunica. La dottrina della superiorità papale nei confronti degli imperatori, diversi sovrani la dovettero subire amaramente. Nel Manuale Canonico della De Curia Romana, stampato da Pio X, articolo II si legge: “I principi, i re, gli imperatori, i preti, i vescovi, i metropolitani, i patriarchi, i cardinali, in una parola tutti sono tenuti, per obbligo divino, a rendere obbedienza al Pontefice di Roma... Così grandi sono la dignità e l’eccellenza del pontefice romano, che esse sorpassano l’intelligenza umana, e che egli non sembra essere semplicemente un uomo, ma in qualche modo Dio (quasi Deus) e il Vicario di Dio”.66 Questo corno ha una superiorità incontrastata nell’aspetto sfarzoso della sua persona, nell’incoronamento, nelle festività, nei cortei, nelle cerimonie pubbliche, negli edifici, nei monumenti, nei palazzi, nelle città, nei sepolcri. La presenza della Chiesa domina in una forma incontestata. Sotto l’aspetto spirituale ha ripreso lo splendore, facendo rivivere l’antico impero. Quale re occidentale si è fatto portare sulle spalle dagli uomini ed è attorniato dalle penne di pavone? A quale sovrano ci si prostra davanti e si bacia la pantofola sulla quale c’è la croce del Cristo strumentalizzata? Su una medaglia di Adriano VI, nella quale viene rappresentato incoronato dai suoi cardinali, è scritto: “Quem crenat, adorant!” (essi adorano colui che creano). A Venezia in un quadro viene rappresentato Federico Barbarossa prostrato davanti al papa Alessandro III che tiene il suo piede sulla spalla dell’imperatore il cui scettro è gettato a terra; sotto è scritto: “Federicus supplex adorat, fidem et oboedientiam pollicitus!” (Federico supplicante adora avendo promesso fede e obbedienza). “Venite, adoremus!” dicono i cardinali recandosi da lui. Il canonico Zizelin non temeva di chiamarlo: “Dominum Deum nostrum papam”. Monsignor Meunier, vescovo di Evreux, dedica a sua santità Pio X una poesia dove è scrive tra le altre cose: “O papa ben amato... Voi al quale noi diciamo come a Dio: “Nostro Padre!””.67 “Il papa è di tanta autorità e potestà che può anche modificare le leggi divine”.68 65
A. France, o.c., pp. 7,8. Sacerdote CAPELLO Felix M., De Curia Romana, Fridericus Puoted, Pontificales Bibliopola Romae, 1911; cit. da VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse, Dammarie-les-Lys 1938, pp. 212,224. 67 Semaine religieuse de Paris, 22 settembre 1906, pp. 395,395; cit. da idem, p. 224. 68 FERRARIS F.L., Prompta Biblioteca - Tomus Quintus. 66
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CAPITOLO V
Questa sua apparenza di grandezza universale viene proposta nella formula dell’incoronamento con il triregno: “Eccoti la tiara ornata delle tre corone: sappi di essere il Padre dei principi e dei re: il Redentore di tutta la terra; il Vicario di nostro Signore Gesù Cristo Salvatore, a cui solo è dovuto onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen”.69 69
Cit. da F. Salvoni, o.c., p. 316. La cerimonia dell’incoronazione, simbolo dell’autorità temporale dei papi, è stata soppressa nell’agosto 1978 da papa Giovanni Paolo I, per mettersi in sintonia con i tempi, che vogliono un papa più pastore, ma soprattutto perché di fatto l’autorità temporale è stata soppressa dal 20 settembre 1870, con il crollo dello Stato pontificio. Con la rinuncia all’incoronazione, il papato ha messo fine alla sua politica temporale del passato. La politica papale, sia nell’applicare una dopo l’altra le tre corone, sia nel sopprimere il Triregno, è stata quella di agire quando i fatti che l’hanno motivata già da lungo tempo si erano realizzati. La stessa politica la Chiesa l’ha usata anche nel campo delle sue dottrine e dogmi, codificando ciò che il tempo aveva di già reso normativo. Il Triregno papale ci può aiutare a meglio capire l’espressione di Daniele che, pur essendo piccolo il corno, “sembrava maggiore degli altri” sul piano temporale. La prima corona fu posta da papa Leone III (795-816) con la vittoria definitiva dei Franchi sul regno longobardo (775), con la conseguente creazione dello Stato Pontificio e Sacro Romano Impero nella notte di Natale dell’800, ponendo fine all’ormai agonizzante cesaropapismo bizantino in occidente per creare quello francese. Ma gli imperatori Carolingi, volendo manifestare la loro superiorità al vescovo di Roma con la legge Constitutio Romana dell’824, pretendevano che “l’elezione del papa fosse seguita dal giuramento di fedeltà dell’eletto all’Imperatore”. I papi reagirono. Giovanni XII (955-964) per impedire che Berengardo, duca d’Ivrea, unificasse l’Italia sotto di lui, chiamò in suo aiuto il re tedesco Ottone I incoronandolo imperatore il 2 febbraio 962. Con questa elezione Roma creava il cesaropapismo alemanno. Ma lo stesso Ottone I, una volta nominato imperatore, si richiamò alla costituzione di Lotario dell’824. Nel 1075, Gregorio VII (1073-1085), non accettando questa situazione, promulgò il Dictatus Papae con il quale affermava “con termini fino ad allora mai usati: - “Solo il papa può usare le insegne imperiali. - Il papa è l’unica persona a cui i principi devono baciare il piede. - Con il suo consenso e autorizzazione, è lecito ai sudditi accusare i loro superiori. - Il papa può sciogliere i sudditi dal giuramento di fedeltà fatto ai sovrani indegni”” F. Salvoni, o.c., pp. 305, 306. A queste pretese papali gli imperatori Enrico IV, Federico Barbarossa, Federico II di Svevia reagirono subendo le scomuniche. Dopo la morte di Federico II, nel 1250, la corona imperiale dagli Alemanni passava a Rodolfo d’Asburgo che veniva eletto ad Aquisgrana il 24 ottobre 1273. Il papa Urbano IV diede il regno delle due Sicilie come feudo a Carlo duca d’Angiò e conte di Provenza, fratello del re di Francia, nel 1264, con il patto che si riconoscesse vassallo della Chiesa e non unisse mai quella corona con altre (poteva diventare re di Francia). Era giunto così il tempo di mettere la seconda corona sulla tiara papale. Bonifacio VIII (1294-1303) fu consacrato vescovo di Roma il 23 gennaio 1295, “venne incoronato con una splendidissima tiara a doppia corona... Carlo II re di Napoli (d’Angiò) e figlio di Carlo Martello, re eletto d’Ungheria, entrambi con la corona in testa, tennero le briglie del bianco cavallo sul quale, dopo la funzione religiosa, il papa fece la trionfale cavalcata fino alla Basilica di S. Giovanni in Laterano” SABA e CASTIGLIONI, Storia dei Papi, vol. II, Torino 1966, p. 5. Questa tiara a doppia corona, anziché significare il duplice potere: spirituale e temporale, raffigurava la sua autorità sul cesaropapismo francese prima, tedesco poi. Bonifacio VIII si preoccupò di difendere con tutte le sue forze alcuni dei risultati più importanti, maturati nei secoli immediatamente precedenti, quali l’autonomia del mondo ecclesiastico nell’ambito dello stato (la cosiddetta libertas ecclesiae, con privilegi per il clero, quali l’esenzione dalla milizia, dalle tasse, dai tribunali civili, ecc.) e poi il potere del papa su tutti i potenti della terra (Enciclopedia Europea, Vol. II, 1976, p. 453). Con la bolla Unam Sanctam del 18 novembre 1302, affermava che il potere spirituale era superiore a quello temporale e che questo doveva essere guidato da quello. I due poteri: “spirituale e civile” sono in mano alla chiesa. (F. Salvoni, o.c., p. 387). Questo papa si impegnò fortemente a subordinare il potere imperiale a quello religioso, creare la Chiesa imperiale. Benedetto XII (1335-1342), in contrasto con Ludovico il Bavaro, re di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1328 al 1347, promulgò una bolla con la quale invitava i principi a passare a nuove elezioni. Ludovico veniva scomunicato da papa Clemente VI (1342-1352). Carlo IV fu nominato re di Germania e imperatore prestando giuramento al papa e il 26 novembre 1346 si faceva incoronare a Bonn.
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DA POTERE RELIGIOSO A POTERE TEMPORALE
“Innocenzo III sentenziava che la potenza papale sta a quella dell’imperatore o del re come il sole sta alla luna, la quale dal primo riceve la sua luce. Essa è ciò che l’anima è per il corpo, il quale non è se non l’umile servitore dell’anima. Le due spade (di Luca XXII:38), sono il simbolo del potere spirituale e temporale; appartengono entrambe al papa: l’una è amministrata personalmente da lui, l’altra dai principi, ma sotto la direzione del papa. Il concilio Vaticano I, colla definizione dell’infallibilità, ha consacrato, come articolo di fede cattolica romana, il diritto dei papi di deporre i principi”.70 Il piccolo corno papale, sorto in mezzo alle dieci corna, le domina sembrando più grande.
9. Sua chiaroveggenza eccezionale “Aveva degli occhi simili a occhi d’uomo”.71 “Questi occhi rappresentano una abilità straordinaria, piena di artifici e di genio; o meglio ancora, una sorveglianza sovrana, universale che si arroga sulla Chiesa...”.72 Il cattolico L.F. Hartman osserva: “La parola “uomo” è qui usata in senso spregiativo per fare contrasto con Dio”.73 Isaac Newton nel suo commentario scriveva: “Degli occhi, e soprattutto degli occhi su un corno, sono il simbolo, non tanto della capacità di vedere, ma dell’ufficio di vedere, cioè del compito, della dignità di sorvegliare o d’episcopo; poiché presso i Greci episcopos (vescovo) significa un uomo che, d’ufficio, ha gli occhi sugli altri, un sorvegliante, un ispettore. Quale emblema più convenevole avrebbe potuto scegliere lo Spirito Santo, per l’ufficio di un vescovo, degli occhi, e per quello di un re vescovo, un corno con degli occhi...”. Newton ha pensato che con questi occhi del piccolo corno, lo Spirito Santo ha voluto indicare che il (corno) re (diverso) teologo si presenterà al mondo come un vescovo per eccellenza, un sorvegliante dei sorveglianti; “vescovo, profeta e re”, dice Newton: “Re per il suo corno, vescovo (cioè vescovo dei vescovi) per i suoi occhi, profeta per la sua bocca”. 74 “Da 1200 anni, ciò che fa dominare Roma è questa chiaroveggenza sovrumana, questa abilità secolare di cui gli occhi sono l’emblema: è questa vigilanza che esercita sulla terra tramite i suoi preti, i suoi ordini religiosi, quali i Gesuiti, per i suoi profeti apostolici e soprattutto per le sue confessioni; è questo occhio penetrante sempre aperto e che non dorme mai, è questa conoscenza consumata che essa ha delle debolezze umane, per lei il confessionale è la grande scuola da 800 anni”.75 Sebbene quest’opera di supremazia del papa sui principi sia stata portata a termine da Clemente VI, il primo onore del Triregno andò a Bendetto XII, come viene presentato sulla sua tomba. 70 DOELLINGER Ignazio, Il papato dalle origini fino al 1870, Mendrisio 1914, pp. 119,124. 71 Daniele 7:8. 72 L. Gaussen, o.c., t. III, p. 19; Daniele 7:8,20. 73 HARTMAN Luis F., Daniel, in Grande Commentario Biblico Queriniana, ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 585. Poi aggiunge: “L’intera frase si basa su Isaia 37:23 che è rivolto al re di Babilonia”. 74 NEWTON Sir Isaac, Ad Danielis prophetae vaticinia observat, Amsterdam 1737, (opera postuma); cit. da L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 17,18. 75 L. Gaussen, L’Antichrist ou le souv. Pontif., p. 20. Quando la profezia diventa storia
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La confessione resa obbligatoria dal Concilio del Laterano 1215, canone 2 fu per il poeta italiano Gabriele Rossetti uno “spionaggio organizzato”. “Il formalismo odioso di spionaggio, una specie di polizia regolarizzata destinata a tenere il registro della vita intima degli individui e delle famiglie... É stata una delle più pericolose invenzioni concepite dal genio dell’oppressione sull’umanità”.76 É questa sua chiaroveggenza e abilità nel tutto vedere e giudicare che ha mantenuto la Chiesa alle corti durante i secoli passati e la mantiene oggi al tavolo dei grandi consigli.
10. Suo linguaggio “Una bocca che proferiva grandi cose”, “proferiva cose grandi”. “Egli proferì parole contro l’Altissimo”.77 Questo corno con gli occhi e una bocca “non sarà dunque un uomo ordinario, ma un posseduto, che ha qualcosa di umano e una potenza demoniaca”.78 “Daniele è confuso dall’audacia del suo linguaggio contro i re, contro il Cristo, contro i santi, contro Dio stesso... Questa piccola bocca proferirà delle grandi parole che riempiranno di terrore e di scandalo tutta la scena della visione... Ecco la caratteristica che, più di tutto il resto forse, aveva colpito Daniele: questa audacia, questa bocca fragorosa, queste enormi parole, grandi di minaccia e di omicidio, di orgoglio e di maledizione, nei confronti degli uomini, dei re, della Chiesa, della terra; del cielo, che dirò, del Dio del cielo... Questa bocca ha riempito il mondo del rumore delle sue grandi parole. Parole di condanna, di fuoco, per ordinare delle spedizioni e delle guerre di sterminio. Gli altri dieci re potevano essere idolatri e cattivi, ma questo bestemmia; fa direttamente la guerra al suo Signore e al suo Dio; le sue parole si elevano fino al cielo e oltraggiano il suo sovrano”.79 “Il vescovo di Bitonto, Cornelio Musso, predicando a Roma sul testo dell’epistola di S. Paolo ai Romani, ebbe a dire: “Noi dobbiamo accettare quanto dice il papa come 76
ROUSSET Ernest, Un coup d’oeil sur la mentalité catholique en France, 1905, p. 47; cit. da VAUCHER Alfred Félix, Supplément à L’Histoire du Salut, 3a ed., Collonges-sous-Salève 1969, p. 80. Un esempio significativo è quello di Luigi XIV il grande, re di Francia, che vivendo in un legame incestuoso con la cognata, moglie di suo fratello, confessa questo peccato, che tutti conoscevano, al celebre prete gesuita Lachaise. Questi, da gesuita, fece finta di provare orrore e, quale punizione d’un peccato mortale così grave, impose alla coscienza ingannata del re cristianissimo, del primogenito della Chiesa, l’obbligo di fare un’opera di straordinaria pietà per l’esaltazione della santa Chiesa cattolica e per l’estirpazione dell’eresia: la revoca dell’editto di Nantes. In una lettera che Lachaise inviò al suo collega Peters, gesuita confessore di Giacomo II re d’Inghilterra, gli spiega quanto da lui fatto invitandolo a usare misure simili nei confronti dell’ultimo Stuart alfine di potere finalmente giungere a schiacciare il protestantesimo nelle isole britanniche. Vedere DIGBY Rev. W., Courte explication des sceaux et des trompettes de l’Apocalypse, Toulouse 1839, p. 90. 77 Daniele 7:8,20,25. 78 BENOIT Pierre de, Le prophète Daniel, Paris 1941, p. 47. Il protestante K. Auberlen, in un tempo di forte contrapposizione, esprime il seguente accostamento: “Questi tratti rappresentano ciò che il serpente promette agli uomini come prezzo della loro ribellione al comandamento di Dio: “I vostri occhi si apriranno e sarete come Dio”. Ecco la promessa di Satana (il parlare di Satana), essa si compie nell’Anticristo: potere di grande cultura intellettuale, ma con un cuore di opposizione aperta al Dio vivente e che giunge alla propria divinazione” AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 57; confr. Genesi 3:5. 79 L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 57,23,310,327.
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DA POTERE RELIGIOSO A POTERE TEMPORALE
se uscisse dalla stessa bocca di Dio. Nelle cose divine noi lo teniamo in luogo di Dio...”. Paolo IV (1555-1559) aveva proclamato con particolare solennità e veramente ex cathedra la sua bolla Cum ex apostolatus officio. L’aveva maturata col consiglio dei suoi cardinali, ai quali l’aveva fatta firmare, ed “in virtù della pienezza del suo potere apostolico” definiva tra l’altro questa proposizione: “Nella sua qualità di Pontifex maximus, rappresentante di Dio in terra, ha la pienezza del potere sui popoli e sui regni; e giudica ed in questo mondo non può essere giudicato da nessuno””.80 J. Vuilleumier riporta che nel 1533 un dottore della Sorbona, Guy Furbity, chiamato a Ginevra per combattere la Riforma, faceva la dichiarazione seguente: “Un sacerdote che consacra gli elementi della Cena è al di sopra della Vergine, poiché essa non ha dato la vita a Gesù Cristo che una volta sola, mentre il sacerdote la crea tutti i giorni, tanto spesso quanto egli lo voglia... Ah! Il sacerdote!... Non bisognerebbe solamente salutarlo, bisognerebbe inginocchiarsi e prostrarsi davanti a lui” e Le Messager du Très-Saint Sacrament, di Montréal, dicembre 1912, pubblicava un poema con questi due versi: “... degli uomini rivestiti di grazia sovrumana Parlano, e Dio subito si fa obbediente... ”. “Prodigiosa ubriachezza d’orgoglio... quale vertigine! Tutti i giorni, portare Dio sull’altare e farsi obbedire da Dio!... Colui che ogni giorno compie questo miracolo come lo potremo chiamare? Dio? Non sarebbe abbastanza”.81 Per la Sacra Scrittura attribuire alle creature delle prerogative esclusivamente divine, è bestemmiare. Nei commentari pontifici, edizione approvata da Gregorio XIII, si legge: “È una opinione eretica pensare che Dio il papa (sic) non abbia potuto decidere come ha fatto”. Nel concilio del Laterano aperto nel 1512, Ia sessione, la Chiesa prostrata in lacrime ai piedi del papa l’implora chiamandolo Dio sulla terra. Bellarmino, teologo molto apprezzato a Roma, diceva: “Le anime semplici, diritte, devono ritenere questo che il papa è in qualche modo Dio, ed egli ha ogni potere nei cieli e sulla terra. Egli può fare tutto quello che è necessario per condurre le anime in paradiso”. Pio IX che ha anatemizzato le Società Bibliche che avevano lo scopo di diffondere la Bibbia e ha applicato a sé le dichiarazioni del Signore: “Io sono il cammino, la verità e la vita”, e lo fece in una allocuzione solenne in risposta ad una ambasciata del 1866, si è poi dichiarato infallibile nel 1870. Questo parlare non è finito. Papa Giovanni XXIII, invitando i fratelli separati a rientrare sotto la sua egemonia, diceva che bisognava formare “un solo ovile con un solo pastore”. Il papa attribuiva a sé la figura di pastore mentre Gesù la riferiva alla sua persona.
80 81
I. Doellinger, o.c., pp. 310,311,312. MICHELET J., Histoire de la Révolution Française, prefazione; cit. da J. Vuilleumier, o.c., p. 229. Quando la profezia diventa storia
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“Bisogna notare bene l’esattezza con la quale il papato risponde a questa descrizione profetica”.82 11. Sua intolleranza “E quello faceva guerra ai santi e aveva il sopravvento... i santi saranno dati nelle sue mani”.83 Questa guerra in cosa consiste?... Prima di tutto, non è un incidente nella sua lunga vita; è al contrario, per lui, qualche cosa di sistematico; è la sua attività, è il suo diritto; è una guerra legalizzata: “I santi gli saranno dati nelle mani” è scritto. Secondo punto, non è una guerra di parole solamente contro i santi; è una guerra di sterminio. Distruggerà i santi dell’Altissimo... Terzo, è una guerra sovranamente empia; poiché essa si fa contro Dio, contro il suo libro e contro il suo popolo... Quarto, è una guerra orribilmente lunga... Quinto, è una guerra vittoriosa, poiché è scritto di questo nemico di Dio, che “gli fu dato di fare guerra ai santi e di vincerli”... Sesto, infine, è una guerra ecclesiastica; poiché il boia è sì la bestia, o il potere secolare; ma l’istigatore, il vero omicida, è il piccolo corno”.84 Chi sono i santi? “I santi dell’Altissimo sono coloro che sono chiamati a fare parte del regno o del popolo messianico, i discepoli del Messia... i santi dell’Altissimo o, più brevemente, i santi non sono né i Giudei né i convertiti d’Israele al millennio, ma i membri dell’alleanza procurata dal Figlio dell’uomo o dal Messia. Il popolo dei Santi deve essere la Chiesa, regno di Dio composto dagli Israeliti e dai Gentili che avranno riconosciuto il Messia”85, sono tutti coloro che avevano il torto di seguire la Parola di Cristo. Nelle Decretali di Gregorio I (590-604) leggiamo: “Le potenze secolari giudicheranno di sterminare tutti gli eretici condannati dalla Chiesa, in caso contrario esse saranno chiamate anateme”.86 Il papa Lucio III (1181-1185) promulgò questo editto: “Per abolire la malignità di diverse eresie che si sono ormai innalzate da tempo in diverse parti del mondo, è molto convenevole che il potere confidato alla Chiesa si risvegli, alfine che, con l’aiuto ed il concorso della forza imperiale, l’insolenza e l’affronto degli eretici, nei loro perfidi dissensi siano schiacciati, e che la verità della semplicità cattolica, che brilla nella santa chiesa, si dimostri pura e libera dalle abominazioni delle loro false dottrine. È perciò sostenuta dalla presenza e dal potere del nostro carissimo figlio 82 83 84 85 86
BROOKE Henry E., The great Words of the Little Horn, London 1870, p. 31. Daniele 7:21,25. L. Gaussen, o.c., III, pp. 323,324; confr. Daniele 7:21,25. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 604, 613; vedere Daniele 9:27. Cit. da REY Jules, L’Apocalypse, Tramelan-dessus, 1937, p. 54.
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Federico (Barbarossa), illustrissimo imperatore dei romani... e il comune avviso e consiglio dei nostri fratelli e altri patriarchi, arcivescovi e principi... noi condanniamo ogni specie d’eresia, con qualunque nome essa sia chiamata. Più specialmente, noi dichiariamo che i Catari, i Patarini e coloro che si chiamano i Poveri di Lione (Valdesi), i Passegeni, gli Arnoldini dimorino sotto l’eterno anatema. E perché alcuni, sotto una apparenza di pietà, ma avendo rinnegata la fede, come dice l’apostolo, si arrogano l’autorità di predicare... noi racchiudiamo, sotto la stessa sentenza di eterno anatema tutti coloro che, avendo ricevuto la diffida, o non essendo inviati, pretendono tuttavia di predicare pubblicamente o in privato, senza l’autorizzazione della sede apostolica o dei vescovi delle loro rispettive diocesi; come anche tutti coloro che non temono di mantenere o d’insegnare... delle opinioni diverse da quelle che la santa chiesa di Roma predica e osserva..., (la bolla dichiara in seguito che coloro che, assecondando in qualunque cosa questi eretici, saranno assoggettati allo stesso anatema). Noi decretiamo... che chiunque sarà notoriamente convinto di questi errori, se è un chierico... sarà dimesso immediatamente da ogni prerogativa d’ordine ecclesiastico e che essendo così spogliato da ogni ufficio e beneficio, sarà abbandonato al potere secolare, per essere punito secondo il demerito...; se è un laico... noi ordiniamo che sia abbandonato alla sentenza del giudice secolare, per ricevere la punizione convenevole, secondo la qualità dell’offesa. (La bolla continua con questo tono) Il vescovo che non sarà accorto nel mettere una barriera all’eresia sarà sospeso per tre anni dalla sua dignità e dalla sua amministrazione episcopale; ed ogni vescovo farà lui stesso, o la farà fare da altri, una esatta ricerca degli eretici nella sua diocesi, una o due volte l’anno. (Poi conclude) Noi ordiniamo, inoltre, che tutti i conti, baroni, governatori e consoli della città e degli altri posti, in seguito all’avviso dei rispettivi arcivescovi e dei vescovi, promettano sotto giuramento in tutti questi articoli e tutte le volte che saranno richiesti, che assisteranno potentemente ed efficacemente la Chiesa contro gli eretici e i loro complici; e si sforzeranno fedelmente, secondo il loro ufficio e potere, di eseguire gli statuti ecclesiastici e imperiali concernenti le materie qui menzionate. Se alcuni di questi rifiutano di osservare ciò saranno privati dei loro onori e incarichi, e dichiarati incapaci di riceverne altri; inoltre, essi saranno avvolti nella sentenza di scomunica, e i loro beni confiscati all’uso della Chiesa. E se qualche città rifiuta di accordare obbedienza a queste costituzioni, ...noi ordiniamo che essa sia esclusa da ogni commercio con le altre città e privata della dignità episcopale...”.87 Scrive il vescovo Doellinger: “Tutti coloro che hanno finito la loro vita sul rogo, tutti quelli che furono condotti al patibolo dovettero la loro condanna al papa o ad un incarico generale o speciale della Santa Sede. Cominciò Lucio III nel 1183 facendo bruciare numerosi eretici nelle Fiandre dall’arcivescovo di Reims suo legato, e l’esempio fu imitato poi per lunghi secoli con logica implacabile. I papi di quel tempo ordinarono un numero di esecuzioni capitali forse maggiore di quello voluto da un sovrano laico qualsiasi”.88 Nel XIII secolo una crociata fu predicata nel nome del papa dai monaci di Citeaux contro gli Albigesi del Mezzogiorno della Francia; il primo effetto fu il risultato del 87 88
Cit. da GUERS Émile, Histoire abrégée de l’Eglise, ed. 1850, pp. 272-275. I. Doellinger, o.c., pp. 195,194. Quando la profezia diventa storia
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sacco di Béziers e quello di Carcassonne 1215, 1226. Béziers presa d’assedio fu poi saccheggiata e data alle fiamme e nel massacro perirono 200.000 abitanti. Gregorio IX (1227-1241), volendo rialzare la causa delle crociate, in una sua bolla del 1234 diceva: “La disciplina d’una penitenza regolare avrebbe talmente abbattuto diversi peccatori, che non avrebbero avuto il coraggio di iniziarla; ma la guerra è un mezzo abbreviato di scaricare gli uomini della loro colpevolezza e di ristabilirli nel favore divino. Se essi muoiono per la strada l’intenzione sarà presa per il fatto, e molti, in questo modo, possono essere coronati senza avere combattuto”.89 “La Costituzione di Benedetto XI (1303-1304), citata dal Calderini, dimostra come in virtù di un privilegio di Clemente IV (1265-1268), gli inquisitori fossero “absoluti a poena et a culpa” (assolti dalla pena e dalla colpa) in grazia del papa, accordando loro tutti i favori spirituali ed i privilegi attribuiti ai crociati. Inoltre, già fin dal 1231, Gregorio IX, nelle istruzioni impartite ai domenicani di Germania, aveva concesso un’indulgenza di 20 giorni a coloro che li avrebbero assistiti nell’impresa di perseguire gli eretici. L’indulgenza plenaria a coloro che in queste lotte trovassero la morte. Il cardinale Albizzi, dimostra come anche gli inquisitori spagnoli tenessero dal papa tutta la loro potenza; essi erano delegati del papa”.90 Nel 1295 papa Bonifacio VIII (1295-1303) crea il vescovado di Pamiers alle dipendenze di quello di Tolosa per combattere più da vicino l’eresia valdese e catara ancora fiorente in quelle regioni. Nel 1317 Jacques Fournier è nominato vescovo di Pamiers. Nel suo zelo contro gli eretici userà i metodi dei suoi predecessori pur di inseguire ogni eretico. Tutti i mezzi gli sono leciti. Assolda degli spioni che conoscevano le abitudini degli albigesi, e, facendosi passare per dei credenti catari, cercavano di guadagnare la loro fiducia per poi denunciarli. Tale energia nella lotta contro l’eresia darà al vescovo onori e gloria. Il papa Giovanni XXII (1316-1334) a diverse riprese gli invia le sue felicitazioni e incoraggiamenti nominandolo poi cardinale nel dicembre del 1327. Il 13 dicembre del 1334 i cardinali lo nomineranno successore di Giovanni XXII, che prenderà il nome di Benedetto XII e regnerà dal 1335 al 1342.91 L’Enciclopedia Cattolica alla voce ”Inquisizione” dice: “La procedura inquisitoriale è conosciuta nei suoi minimi particolari, grazie ai manuali redatti da Nicola Eymeier, Bernardo Gui e altri. Sospetti, denunce, accuse, la stessa voce pubblica, bastavano all’inquisitore per citare a comparire dinanzi a sé le persone compromesse, o farle trarre in arresto, sia dalle autorità civili, che dai propri dipendenti... Esistevano vari mezzi per costringere l’imputato a confessare: il regime della prigione stretta, che comportava il digiuno, la privazione del sonno, la prigionia nelle segrete, i ceppi ai piedi e le catene ai polsi, e tormenti anche più crudeli. Se recalcitrava, il detenuto era sottoposto alla tortura, ossia al cavalletto, alla corda, ai carboni ardenti, o al supplizio dello stivaletto. Tuttavia bisognava evitare sempre la mutilazione e il pericolo di morte. In forza del decreto “Si adversus” (II, X, V, 7) 89
É. Guers, o.c., p. 208. I. Doellinger, o.c., p. 193. 91 Benedetto XII è il terzo papa di Avignone. Il periodo avignonese non cambia in nulla la visione d’insieme del piccolo corno. 90
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l’avvocato o il notaio che prestavano il concorso del loro ufficio a un fautore di eresia, si esponevano alla perdita dell’ufficio e incorrevano nell’infamia. Di conseguenza gli imputati restavano indifesi... Se l’eretico si ostinava a rifiutare la ritrattazione dei suoi errori o se ricadeva dopo averli abiurati, l’inquisitore (religiosi domenicani e francescani si distinsero per il loro ardente zelo) lo abbandonava al braccio secolare, pregandolo di risparmiare al colpevole la mutilazione e la morte. In pratica però questa raccomandazione non aveva effetto; solo preservava il giudice dall’irregolarità, in cui sarebbe incorso, con il partecipare a una sentenza capitale. Se la corte laica di giustizia non avesse dato alle fiamme l’impenitente o il recidivo, sarebbe stata passibile di scomunica, in quanto favoriva l’eresia. Condotto al luogo del supplizio, se il condannato dichiarava di pentirsi e di rinnegare i suoi errori, il tribunale lo restituiva all’inquisitore... Il pentito doveva denunciare, verosimilmente senza alcuna costrizione fisica, i suoi complici e abiurare una per una le sue eresie. Per castigo era condannato alla prigione perpetua... Il recidivo che si convertiva all’ultima ora otteneva solo la grazia di ricevere i Sacramenti della Penitenza e della Eucarestia, prima di morire sul rogo... Tra le pene inflitte agli eretici che abiuravano i loro errori, sembra che quella della reclusione fosse la più largamente adoperata dagli inquisitori. Il regime penitenziario variava a seconda dei casi e dei luoghi: la “prigione larga” escludeva i ferri e le segrete, penalità riservata ai condannati alla “prigione stretta” o alla “prigione strettissima”... In qualunque caso i detenuti non ricevevano altro cibo che “il pane del dolore e l’acqua della tribolazione””.92 Negli schemi con i quali si doveva eseguire l’interrogatorio si insisteva “di parlare sempre con una dolcezza esemplare al pervenuto, mentre gli si bruciavano i piedi unti di lardo di porco nel richaud, o gli si rompevano le braccia con il supplizio della corda”.93 Lo storico Lecky scrive: “In ogni prigione si trovavano accanto il crocifisso e la ruota, in quasi ogni paese l’abolizione della tortura fu alla fine conseguita da un movimento che la Chiesa osteggiava e da uomini che essa malediva... Quasi tutta l’Europa per molti secoli fu inondata di sangue, che veniva sparso sotto la diretta istigazione e con piena approvazione delle autorità ecclesiastiche. Quando consideriamo tutte queste cose, non facciamo certo una esagerazione dicendo che la Chiesa Romana ha inflitto una maggiore quantità di sofferenze immeritate di qualsiasi altra religione che mai sia esistita nell’umanità”.94 Sebbene la Chiesa avesse orrore del sangue, ed era per questo che consegnava le sue vittime al braccio secolare, “a Roma, sotto Pio V (1566-1572), c’è tutti i giorni qualche infelice o bruciato, o impiccato, o decapitato - scriveva nel 1568 Tobie Eglino - tutte le prigioni sono affollate; si è obbligati a costruirne delle nuove; e questa città immensa non ha abbastanza segrete per la folla di persone pie che vengono arrestate continuamente”.95 Nel Direttorium Inquisitorum, pubblicato a Roma nel 1584, sotto Gregorio XIII, è detto: “Un eretico merita il fuoco. Per l’Evangelo, i canoni, la legge civile e il 92
Enciclopedia Cattolica, t. VII, Città del Vaticano, col. 44-46. QUINET Edgard, Œuvres complètes, t. III, Les Jésuites, Paris 1857, p. 225. 94 LECKY Wuilliam, History of the Rise and influence of the Spirit of Rationalism in Europe, t. I, pp. 33; t. Il, pp. 32,38; cit. da NISBET Roberto, Ma il Vangelo non dice così, 15a ed., ed. Claudiana, Torino 1965, pp. 159,160. 95 Mac’CRIE, Histoire de la Réforme en Italie, p. 304; lettera a Henri Bullinger, cit. L. Gaussen, o.c., t. II, p. 223. 93
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costume, gli eretici devono essere bruciati... Ognuno può attaccare coloro che sono ribelli alla Chiesa, spogliarli delle loro ricchezze e ucciderli, bruciare le loro case e le loro città. Gli eretici devono essere scoperti, e allontanati dai loro errori o altrimenti sterminati”.96 A Parigi, nella notte di S. Bartolomeo del 24 agosto 1572, 70.000 furono i morti, e la testa dell’ammiraglio Colony, fedelissimo suddito della corona, fu inviata a Roma. Come Salomè, la bellissima figliola di Erodiada, aveva domandato ad Erode la testa di Giovanni Battista per consegnarla alla madre, così a Roma giunse quella dell’Ugonotto, consegnata dalla diletta figlia francese. “La Chiesa, nella notte di S. Bartolomeo, aveva armato il braccio dei cospiratori reali. Davanti al fatto compiuto, i suoi rappresentanti mostrarono una gioia indicibile. Quando la notizia pervenne a Roma, Pio V era morto dal mese di maggio. Gregorio XIII, suo successore, celebrò il massacro facendo tirare il cannone del castello Sant’Angelo, accendendo dei fuochi di gioia in Roma, e pubblicando un giubileo per tutti i popoli; fece fare dal Vasari, per la sala detta dei re, tre quadri rappresentanti un avvenimento così felice, fece battere una medaglia il cui rovescio rappresenta il papa stesso e l’altra faccia un angelo che tiene in una mano la croce, e nell’altra una spada che trafigge i nemici appena vinti”.97 “Nello spazio di trenta anni (che seguirono) 39 principi, 158 conti, 234 baroni, 147.518 nobili, 760.000 persone del popolo sono stati uccisi”.98 I papi stessi hanno creato delle organizzazioni per sopprimere gli eretici. La Congregazione per la propaganda della fede fondata nel 1622 dal papa gesuita Alessandro Ludovisi (Gregorio XV, 1621-1623) venne perfezionata nel 1650 da G. B. Panfili (Innocenzo X, 1644-1655) in Congregatio de propaganda fide et Extirpandis haereticis.99 L’Enciclica del 29 aprile 1848 affermava di aborrire la guerra, l’anno dopo la Chiesa offriva l’indulgenza plenaria in articolo mortis a tutti i feriti e infermi francesi che versassero il sangue per la difesa del territorio della santa Sede. È impossibile raccontare ciò che Roma ha fatto e ha autorizzato in 16 secoli di storia. I re della terra hanno fatto morire migliaia di uomini per le loro guerre, Roma, oltre ad aver fatto morire i santi, è stata la causa e l’istigatrice delle altre guerre che hanno causato altrettanti martiri, perché costretti a guerreggiare. E la storia non è finita. È negli anni ‘80 che il Vaticano ha abolito la pena di morte nel suo Stato. Ma la sofferenza del popolo di Dio non è stata vissuta inutilmente. La sua testimonianza è stata un seme di libertà che crediamo sia germogliato anche nell’intimo di questo potere che lo ha oppresso e che ora si presenta con modi diversi 96
Directorium Inquisitorium, pp. 176,177,212; cit. da J. Rey, o.c., p. 53. VIÉNOT John, Histoire de la Réforme Française des Origines à l’Edit de Nantes, Paris 1924, vol. I p. 421, in nota. Noi dobbiamo la descrizione a un gesuita che indica nettamente che la medaglia è destinata a rappresentare la carneficina di Parigi, lanienam horribilem; carneficina, aggiunge lui, che Dio aveva consigliato e per la quale aveva prestato la sua assistenza. Confr. Numismt. pontific. Roman. a Phil. Bonnani, soc. Jesu, t. I, p. 525, Romae 1699. 98 EDWARD, History of the redemption; cit. L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 226,227. 99 COMBA Ernesto, Storia dei Valdesi, Torino 1923, p. 127. 97
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difendendo i principi della libertà e del rispetto di chi al nome di Dio crede diversamente. 12. Suo attentato contro la Legge divina “Penserà di mutare i tempi e la legge”.100 La versione rabbinica traduce: “Avrà la pretesa di cambiare le solennità e la legge”. “Il potere che doveva pronunciare parole arroganti contro l’Altissimo e opprimere i santi dell’Altissimo doveva anche pretendere di poter manipolare i tempi e la legge. Evidentemente, se si tratta qui dei tempi e delle leggi umane, l’accusa sarebbe senza importanza, paragonata a ciò che precede”.101 L’abate Crampon in nota traduce: “I tempi e la legge, le osservanze religiose e i comandamenti della legge”. L’abate J. Fabre d’Envieu scriveva: “Con la parola zimmin, tempo, si deve intendere, qui, tempi fissati per delle feste, per cerimonie religiose o politiche. La legge, dat, qui menzionata, è evidentemente la legge religiosa, la religione. L’Anticristo vorrà cambiare i tempi destinati, consacrati alle feste, e la legge, cioè la religione del popolo messianico”.102 “I tempi di festa: è il senso dell’originale; la parola designa i giorni festivi”.103
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Daniele 7:26. SPICER William Ambrose, I tempi odierni alla luce della profezia, London 1917, p. 152. 102 L’abate J. Fabre d’Envieu continua dicendo: “Maometto ha cambiato i giorni di festa e la legge: egli ha trasferito l’osservanza del settimo giorno al venerdì, stabilì altre feste e pubblicò il Corano”, poi aggiunge presentando ciò che si è fatto in Francia nel 1792, al tempo della tirannide giacobina “dove il culto cattolico fu proibito e il computo del tempo modificato con l’introduzione di un nuovo calendario” o.c., t. II, p. 625. Diversi autori cattolici hanno visto nell’anticristo Maometto che ha cambiato il giorno di sabato con il giorno di venerdì. Il citato abate, che ha fatto un’opera monumentale, dopo aver insistito a più riprese col dire che questo potere sarebbe sorto in mezzo alle dieci corna, scrive: “La tradizione ha sempre mantenuto la tesi a seguito della quale il piccolo corno rappresenta un Anticristo, un personaggio della Chiesa messianica, che sorgerà in mezzo alle potenze (le 10 corna) uscite dal quarto impero o dall’Impero Romano. Questo insegnamento è basato sul testo stesso del libro di Daniele” idem, pp. 619,620. Prima di Maometto il cambiamento del sabato lo aveva già fatto la Chiesa cattolica. Questa spiegazione che vede in Maometto l’autore del cambiamento del riposo sabbatico è stata pensata da studiosi ebraici, creduta da protestanti e sostenuta da autori cattolici, alcuni dei quali hanno scritto: “Maometto non ha egli preteso di cambiare i tempi e cambiare i giorni consacrati dalla religione, e trasferendo specialmente il significato del settimo giorno?” L.E. RONDET, La Sainte Bible, t. 16, 4a ed., p. 125. “Maometto non ha pretesto cambiare i tempi... trasferendo soprattutto la santificazione del settimo giorno?” DECHAMPS Victor Auguste Isidoro, La Divinité de Jésus Christ ou le Christ et les Antechrists, vol. II, 2a ed., 1861, p. 356. Vedere anche: REMUZAT Hyacinthe Marie, Lettre d’un Chanoine à un de ses amis sur la proximité de la fin du monde, Marsiglia 1833, pp. 41-43; edizioni precedenti: 1786, 1819, altre edizioni Avignon 1835; il prete italiano CAPPELLETTI Giuseppe, Sulla fine del Mondo, 2a ed., Verona 1860, p. 20. Per i protestante c’è stato GEIER Martin (1614-1680), Praelectiones in Danielem prophetam, Leipzing 1667, p. 578. Il rabbino Menasseh ben Joseph ben Israel, Piedra gloriosa o de la estatua de Nebuchadnesar, Amsterdam 1655, pp. 225,226, pur non condividendolo, citava Isaac Abarbanel che riconosceva nel piccolo corno di Daniele 7 il papato e diceva: ““Fa la guerra ai santi, cioè al Popolo d’Israele cambiando i sabati” vi vede Maometto che ha cambiato il sabato” A.F. Vaucher, L’Antichrist, p. 14. 103 GUERS Émile, Israel aux derniers jours, Genève 1856, p. 76. 101
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Il rabbino Isac Abarbanel (1435-1508) riconosceva nel papato il piccolo corno che “fa la guerra ai santi, cioè al popolo d’Israele, cambiando i sabati”.104 Al grande riformatore Melantone si attribuiscono, a commento di “cambia i tempi e la legge", le parole: “Essi hanno rimpiazzato il sabato con la domenica”.105 L. Gaussen commentava: “Penserà di cambiare i tempi e la legge: i tempi, cioè i sabati del Signore; poiché prescriverà a tale riguardo ai popoli di osservare degli anni o dei giorni che pretendono santi, delle tradizioni e delle ordinanze che la parola del Signore non ha per nulla autorizzati; e la legge... nello stile della Scrittura la legge non è solamente il Decalogo, né solamente il Pentateuco; è la Bibbia... Egli pretenderà non solamente di cambiare qualche legge divina, ma stabilire altre regole di fede al posto di quelle Scritture del Dio vivente e vero; tenterà di imporrere le sue tradizioni umane e i suoi comandamenti d’uomo, introdurre dei nuovi libri nella Bibbia, autorizzare ciò che essa condanna e condannare ciò che essa autorizza! In una parola, dice Daniele, “penserà di cambiare i tempi e la legge!” - Follia di un verme di terra!!”106 Ci troviamo di fronte a un passo biblico così ricco e profondo, nel quale si concentra tutta l’azione satanica nello svilire e alterare tutto ciò che Dio ha ordinato e prescritto per il progresso morale e il bene dell’uomo. La legge con i suoi comandamenti viene alterata, modificata, cambiata, e così anche sarà del messaggio biblico con le sue dottrine. “Dice Graziano: come il Cristo in terra fu sottomesso alla legge mentre della legge era maestro, così il papa si eleva al di sopra di tutte le leggi della Chiesa: egli può servirsene come vuole perché egli è il solo che dia forza alle leggi. Questa divenne presto, grazie principalmente all’influenza di Graziano, la dottrina regnante della curia; tanto che il papa Eugenio IV, nel 1439, anche dopo i grandi concili riformatori, rispose al re Carlo VII che invocava le leggi della Chiesa essere assolutamente ridicolo opporre al papa le leggi della Chiesa quando questi poteva a suo piacere farle, sospenderle, mutarle o annullarle”.107 Roma aveva così ben esercitato la sua influenza che Federico Augusto, re di Polonia, nel suo atto di abiura diceva: “Io professo che per quanto possa essere un decreto fatto e proclamato dai papi, che esso sia o no basato sulla Parola di Dio, è di
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Menasseh ben Joseph ben Israel, o.c., p. 222; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 14. JOYE George, The Exposition of Daniel the Prophet, Genève 1545, p. 119; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 14. 106 L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 328, 329. 107 I. Doellinger, o.c., p. 112. Graziano è il canonista che ha scritto il Decretum Gratiani (1140) vasta compilazione di diritto canonico. “Il papa, nella sua qualità di signore supremo, fa le leggi, ma può anche abrogarle o in casi speciali sospenderle. Soltanto lui può dispensare dalle norme in vigore, siano esse canoni dei concili ovvero ordinanze pontificali. I canonisti hanno anche sorpassato il limite assegnato abitualmente al papa (il papa non poteva dispensare da un comandamento divino) e ciò si è verificato specialmente, dopo che Innocenzo III, dichiarando che il pontefice a suo piacimento poteva sciogliere i legami del matrimonio e quelli ancora più sacri del vescovo con la sua diocesi, aveva aperto la via all’idea che la dispensa delle leggi divine, di alcune per lo meno, rientrasse nella sfera del potere papale. Non appena il papa promulgava qualche nuova legge, la curia faceva il calcolo del guadagno che avrebbe avuto dalle nuove dispense da questa rese necessarie e senza dubbio il pensiero di questo commercio delle dispense ha concorso non poco alla creazione di molte nuove leggi” Idem, pp. 127,128. 105
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origine divina e deve come tale essere rispettato dai credenti più altamente di un comandamento del Dio vivente”.108 L’opera compiuta nei confronti del Decalogo109 è stata così radicale che nella mente dei credenti non suscita reazioni e teologi cattolici, protestanti ed evangelici da secoli la giustificano mediante ragionamenti che vorrebbero trovare nelle Scritture il consenso. Ma sempre il passare da una generazione all’altra ha assistito alla testimonianza di uomini, donne, giovani e bambini, pochi, a volte forse emarginati, che hanno considerato la Legge di Dio con rispetto e fedeltà perché creduta come espressione dell’amore di Dio. Non hanno forse creato un movimento di opinione, ma hanno testimoniato che il “così dice l’Eterno” è superiore al pensiero e alle tradizioni degli uomini.
13. Durata della sua supremazia “Un tempo, dei tempi e la metà di un tempo”.110 L’espressione iddan in aramaico significa: tempo, stagione, “periodo la cui lunghezza non è determinata. Può essere una settimana, un mese, un anno, o qualsiasi altro spazio di tempo”.111 108
Cit. da J. Vuilleumier, Les proph. ..., pp. 158,159. Vedere il nostro Capitolo III. 110 Daniele 7:25. Riportiamo le considerazioni di un autore protestante contemporaneo che prende in considerazioni i periodi profetici di Daniele. RENDTORFF Rolf, Introduzione all’Antico Testamento, ed. Claudiana, Torino 1990, a pp. 361,362, dopo aver scritto che Daniele riporta, nei capitoli 3 e 6, “leggende di martiri” p. 360, del piccolo corno e della durata della sua supremazia scrive: “Qui l’interpretazione storica è ovvia (sic): si parla di Antioco IV (Epifane), che profanò nel 168 a.C. l’altare dei sacrifici del tempio di Gerusalemme, provocando fra l’altro la rivolta dei Maccabei.- I dati temporali sulla durata dell’oppressione presentano qualche difficoltà. Secondo 7:25, le intromissioni del culto durano “un tempo, (due) tempi e un mezzo tempo”, cioè probabilmente tre anni e mezzo; con ciò concordano l’indicazione: “una mezza settimana (di anni)” (9:27) e quella di 12:7; “un tempo di culto (mo’ed), (due) tempi di culto e mezzo”. Un computo simile risulta probabilmente da 8:14, dove si parla di “2300 sere e mattine” che potrebbero essere intese come indicazione di 1150 giorni, cioè più di tre anni, comunque un po’ meno di tre e mezzo. In 12:11 si parla di 1290 giorni, al versetto 12 (come correzione?) di 1335 giorni. Secondo 1 Maccabei 4:52 e seg. (confrontato con 1:59) l’altare fu però nuovamente consacrato esattamente tre anni dopo la profanazione. I termini di cui sopra sono dunque troppo lunghi. Sono stati scritti prima di questo evento? Oppure i tre anni e mezzo indicano una grandezza miticoindeterminata? Se così fosse la “correzione” di 12:12 sarebbe ancora più difficilmente comprensibile. Essenzialmente più difficile ancora è rispondere alla domanda su che cosa si intenda in 9:24 e seg. con le settanta settimane (di anni), presentate come interpretazione dei settanta anni predetti da Geremia (versetto 2, confr. Geremia 25:11 e seg.; 29:10). Vi sono qui computi di vario tipo, che tentano di trovare un riferimento alla storia contemporanea per i 7 per 70 (=490) anni. Anche qui, tuttavia, rimangono interrogativi di fondo: si tratta di calcoli che prevedono il futuro? Oppure di un vaticinium ex eventu che guarda retrospettivamente? I calcoli sono indirizzati al ripristino dell’altare degli olocausti oppure, al di là di questo fatto, alla fine del mondo?”. Lasciamo al lettore le considerazioni sullo smarrimento di questo teologo, e di altri, anche professori universitari che non accettano un testo biblico per quello che nella sua bellezza e grandezza voglia dire. 111 La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 293. JONSSON C. Olof, I Tempi dei Gentili - La Profezia senza fine dei Testimoni di Geova, ed. Dehoniane, Roma 1987, p. 207,208, fa notare che la stessa espressione in Daniele 4:16,23,25,32 è resa come “anni” in un manoscritto della versione greca della LXX del IX secolo. Giuseppe Flavio accetta questa lettura in Antichità X:x,6. Questa lettura di tempi in Daniele 4 non fu condivisa dai primi cristiani i quali preferivano la versione greca di Teodozione (II secolo) la quale traduce l’aramaico con la parola greca kairoi, tempi. Nella Preghiera del re Nabonedo, I secolo d.C., trovata a Qumran, versione distorta del racconto di Daniele, dice che il monarca fu colpito “per sette anni” da un brutto 109
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Comparando questo periodo con altri testi biblici si deve dare la durata di un anno a questa espressione “tempo”. Un tempo corrisponde ad un anno, il plurale dei tempi corrisponde a due anni. “Si suppone giustamente che il plurale sta per il duale, dunque un tempo dei (=2) tempi, e la metà d’un tempo”.112 Questo plurale che corrisponde al doppio è sostenuto dal fatto che poiché “l’aramaico non ha il duale, come fa notare Aben-Ezra, questo numero si confonde con il plurale”.113 Questo periodo di “tre tempi e mezzo”, viene presentata sette volte114 negli scritti apocalittici, tre volte con la stessa formula: due in Daniele una in Apocalisse,115 due volte con la formula quarantadue mesi (=3 anni e mezzo x 12 mesi) in Apocalisse116 e due volte con l’espressione 1260 giorni (=42 mesi x 30 giorni) in Apocalisse.117 Che queste espressioni siano sinonime ed indichino lo stesso periodo storico è evidente dal testo. Giovanni in Apocalisse XIII presenta il suo mostro che sale dal mare con le stesse caratteristiche del piccolo corno di Daniele VII118 indicando con quarantadue mesi ciò che Daniele presentava con tre anni e mezzo. Nel capitolo XII Giovanni presenta la donna che fugge nel deserto, quale soggetto principale della sua visione, per sottrarsi all’azione del dragone e indica il tempo di questa permanenza con l’espressione tre tempi e mezzo e 1260 giorni.119 malanno nell’oasi di Teima. Ippolito nel III secolo dice che la parola “tempo”, del capitolo 4, è ravvisata da alcuni con il significato di una delle quattro stagioni dell’anno. Teodoreto nel V secolo notava che nell’antichità i Babilonesi e i Persiani conoscevano soltanto due stagioni annuali, come pure facevano gli Ebrei in quanto nella Bibbia non c’è riferimento alla primavera e all’autunno, ma soltanto all’estate e all’inverno. In questa prospettiva le “sette stagioni” della follia di Nebucadnetsar equivarrebbero a tre anni e mezzo. La parola aramaica iddan significa “tempo, periodo, stagione” e può essere riferita a periodi di tempo di varia lunghezza e non indica quindi un periodo fisso. È il contesto che di volta in volta stabilisce il significato. Sebbene si debba condividere il pensiero che i sette tempi di Daniele 4 non abbiano nulla a che vedere con i tre tempi e mezzo del capitolo 7, riteniamo sia pretestuosa l’affermazione: “Se si potesse dimostrare che l’espressione “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo” in Daniele capitolo 7 versetto 25 significhi tre anni e mezzo (il che è dubbio!)…” Idem, p. 209. La critica di C.O. Jonsson è povera di argomentazione perché in Daniele 7 è evidente che la parola iddan, tempo, ha significato di anno. L’evidenza è dimostrata dal fatto, come riportiamo anche più sotto, che i passi paralleli del libro di Daniele (12:7) e dell’Apocalisse (11:2,3; 12:6,14; 13:5), non solo indicano lo stesso periodo con espressioni diverse, ma utilizzano la stessa parola tempo di 7:25 (Apocalisse 12:14; Daniele 12:7). 112 ALLO Ernest (in religione Bernard Marie), S. Jean - l’Apocalypse, 2a ed., Paris 1921, p. 143; 3a ed. 1933, p. 162. 113 GALLÉ A.F., Daniel, Paris 1900, p. 84; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 14. 114 Il numero 7 ha valore di perfezione. 115 Daniele 7:25; 12:7; Apocalisse 12:14. 116 Apocalisse 11:2; 13:5. 117 Apocalisse 12:6; 11:4. 118 Vedere il nostro Capitolo IX. 119 Come abbiamo rilevato nell’Appendice n. 12 la Bibbia non usa l’espressione giorni in riferimento a un periodo di tempo che superi due mesi. Solo una volta riporta 150 giorni. La parola mese solo una volta raggiunge il tempo di un anno. Per giorno: Numeri 20:29; Deuteronomio 34:8 (30 giorni); Levitico 12:4 (33 giorni); Genesi 7:14; 50:3; Esodo 24:18; Numeri 13:25; 14:34; Deuteronomio 9:18, 25; 1 Samuele 17:16; 1Re 19:8 Matteo 4:2 (40 giorni); Levitico 23:16 (50 giorni). In Genesi 7:24 abbiamo l’unico testo che presenta un periodo che potrebbe essere calcolato, per la sua durata, con l’espressione 5 mesi, ma dice 150 giorni. Questo modo di esprimere la durata della permanenza delle acque del diluvio sulla terra dà l’idea di un conteggio che giorno dopo giorno veniva registrato, simile a quello che i militari di leva hanno per contare le albe che li separano dal congedo. Per mese: Genesi 11:39 (2 mesi); Luca 1:56; Atti 7:20; 19:8; 20:3; 28:11 (3 mesi); Giovanni 4:35 (4 mesi); Luca 1:24 (5 mesi); 1 Samuele 1:6 (7 mesi) ; Daniele 4:29 (12 mesi). Quando lo scrittore sacro presenta un tempo che supera l’anno utilizza la parola anno come abbiamo in due testi: Atti 18:11 (1 anno e 6 mesi); Giacomo 5:17 (3 anni e 6 mesi); e 1 Samuele 27:7 (7 anni e 6 mesi). Naturalmente la parola anno non è quella presentata da Daniele “tempo”.
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Alla dimostrazione del parallelismo dei testi si deve aggiungere che la vita del piccolo corno va dal suo sorgere fino a quando i santi riceveranno il regno, quindi ha una vita millenaria e che i tre anni e mezzo, cioè 1260 anni, presentano solo il periodo della sua supremazia e della opera nefanda. A ciò possiamo aggiungere che con questo linguaggio profetico, dove le nazioni sono rappresentate da animali, la durata del tempo è espressa in termini crittografici in cui un giorno corrisponde a un anno solare. “I tempi di cui parla Daniele sono degli anni, ma degli anni profetici, composti di 360 giorni profetici di cui ognuno rappresenta un anno... Per conservare l’armonia delle figure in queste visioni della notte, bisognava, poiché ognuno dei quattro imperi è rappresentato da una bestia, che la loro durata coincidesse anche con la vita di una bestia... (Inoltre) Era utile alla Chiesa di Dio conoscere troppo in anticipo la data precisa di questi tristi avvenimenti. Senza questa precauzione, la lunghezza dei tempi l’avrebbe esposta o ad addormentarsi, o a scoraggiarsi. Bisognava dunque avere un linguaggio che non gli permettesse di comprendere troppo presto le grandi epoche profetiche della santa Scrittura”.120 Questo principio di un giorno-anno con prospettiva profetica è formulato nel libro di Ezechiele: “Conterai gli anni della loro iniquità in un numero pari a quello di quei giorni... t’ingiungo un giorno per un anno”.121 “Che un giorno nella profezia corrisponda a un anno, è ciò che hanno riconosciuto i principali esegeti della Riforma”.122 Uno studioso del XVIII secolo ha potuto dire: “Tutti sanno che un giorno è un anno nello stile profetico”.123 Il Maestro Vaucher scrive: “Innumerevoli autori
I passi biblici che indicano periodi di tempo di 1260, 1290, 1335 giorni, 42 mesi, 2300 sere e mattine, presentando un tempo che supera l’anno, crediamo che intenzionalmente vogliano indicare un tempo simbolico la cui chiave di lettura è offerta dal testo biblico nel suo contesto immediato, che descrive cose, avvenimenti che si protraggono e portano in un tempo lontano e nelle dichiarazioni di Numeri 4:5,6 e di Ezechiele 14:34. 120 L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 74,78,79. 121 Ezechiele 4:5,6; vedere Numeri 14:34 122 DAWSON Bell William, Solar and Lunar Cycles implied in the prophetical Numbers in the Book of Daniel, Transactions of the Royal Soc. of Canada, 2a series, Xl, III, Ottawa, 1905, p. 51; Cit. da A.F. Vaucher, idem, p. 9. “Cipriano, Prospero, Ticonio, Primasio e altri, dai tempi più lontani, avevano pensato che questi tre anni e mezzo potevano ben indicare degli anni profetici e che i 1260 giorni potrebbero ben essere 1260 anni” L. Gaussen, o.c., t. III, p. 81,82; Giustino Martire, Ireneo, Origene, Tertulliano, Gerolamo, Agostino, Crisostomo, Lattanzio hanno creduto che questo periodo dovesse essere compreso in senso letterale, cioè tre anni e mezzo. 1260 giorni/anni “Sono serviti di base ai calcoli di Saadia ben Joseph (882-942), autore di un commentario inedito sul libro di Daniele conservato alla Biblioteca Bodléienne d’Oxford (ms. Opp. add. Qu 154. Vedere Hermann SPIEGEL, Saadia al-Fajjûmi’s arabische Danielversion, Berlin 1906. Essa ha attirato l’attenzione dell’abate Gioacchino da Fiore e dei suoi numerosi discepoli. Vedere Giovanni dei Gioacchini (verso 1130-1202), Concordia Vetris et Novi Testamenti, Venezia 1519, fol. 134,135. Vedere anche il commentario pseudo-gioacchino Supper Esaiam prophetam, Venezia 1517, fol.33; Super Hieremiam prophetam, Venezia 1525, fol. 45. Innumerevoli autori giudei, cattolici, protestanti hanno riconosciuto i 1260 giorni come altrettanti anni, pur differenziandosi sulla data di partenza e di arrivo” VAUCHER Alfred Félix, Les Prophéties Apocalyptiques et leur Interprétation, ed. Fides, Collonges-sous-Salève 1972, p. 9. L’abate Gioacchino da Fiore è stato il primo cristiano a dare ai 1260 giorni il valore di anni. In Expositio super Apocal., (Venezia 1527, fol. 131,145,157,165) stabilisce il principio mentre in Concordia Veteris ac Novi Test., (Venezia 1519, II,I,16, fol. 12 e V,15, fol. 67,118, fol. 134,135) la regola è applicata a questo numero. 123 COURT Antoine de GEBELIN, Le monde primitif, VIII, Paris 1781, p. 90; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 8. Quando la profezia diventa storia
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ebrei, cattolici, protestanti, hanno riconosciuto i 1260 giorni come tanti anni”.124 Le Roy Edwin Froom menziona circa duecento autori che si sono serviti del principio giorno-anno nelle interpretazioni delle profezie cifrate di Daniele e dell’Apocalisse.125 Sebbene ci sia questa uniformità di spiegazione,126 crediamo di poter dire che non tutti sono unanimi nel fissare la data di inizio e quella di scadenza. 14. Inizio e fine della sua supremazia Numerose sono le date di inizio e quindi della fine della supremazia papale che gli studiosi hanno creduto di identificare.127 Ecco le principali: 124
A. Vaucher, idem, p. 9; vedere nostro Capitolo XI, pp. 450-459 e Appendice n. 12. FROOM Le Roy Edwin, The Prophetic Faith of Our Fathers, vol. I-IV, Washington 1950, 1948, 1946, 1954. 126 C.O. Jonsson, o.c., p. 19-23, che ha militato per numerosi anni nelle file dei Testimoni di Geova nel dimostrare, con una ricca documentazione, la non sostenibilità del sistema portante sul quale si appoggia la Società Torre di Guardia, contesta il principio giorno-anno. Questo principio ha però le sue origini nel mondo ebraico prima di Cristo ed è stato adottato, per la prima volta, in relazione al testo biblico, da Vittorino nel IV secolo d.C. e diventando regola, per molti studiosi cristiani, dopo l’XI secolo. Riteniamo che le critiche di C.O. Jonsson al principio giorno-anno non siano sostenibili perché non si può negare la validità di una regola ermeneutica per il fatto che essa sia stata utilizzata arbitrariamente dai propri ex confratelli per fini di opportunità denominazionale e da altri studiosi commettendo degli errori. Vedere Appendice n. 12. 127 445-1785: G.S. FABER, Sacr. Cal., pp. 122,123; 450-1710: P. JURIEU, vol. II, p. 33; 455-1715: W. BURNET, pp. 104-128, 166; G. BURTON, pp. 264,272,360,364; 476-1735: J.C. SEITZ, Ausfürlicher ..., p. 28; Apocalypses ..., pp. 43,44; 476-1736: P. ALLIX, De Messiae ..., p. 28; 507/508-1767/1768: J.CUMMINGS, Explanation ..., p. 150; 512-1772: L. TAYLOR, An Essay, 2a ed., p. 86; 513-1773: R. WATKINSON, p. 7; 519-1770: E. HEMENWAY, The Voice of God, p. 4; 528/33-1789/93: J. THOMAS, Elpis ..., 4a ed., p. 320-323; 531-1791: E.B. ELLIOTT, 5a ed., IV diagramma accanto alla p. 240; 532-1792: W.N. PILE, pp. 12,13; HATCH, pp. 107,133; J.A. WYLIE, pp. 186,187; 533-1792: E. IRVING, The proph...., vol. II, 1870, pp. 651-660; R.Benton SEELEY, Atlas ..., pp. 9,17; 533-1793: W. DIGBY, A treatise ..., Dublin 1831, pp. 26,39; J.H. FRERE, The Great Continental ..., p. 109; J. O. TUDOR, 6 Lectures .., p. 72; A.R. FAUSSET, Signs of ..., p. 50; 536-1796: Anonimo, Antichrist, pp. 8,10,12,13,33; 538-1798: Anonimo, Wiews of the ..., Boston 1842; C. EDWARDSON, Facts ..., Nashv. 1943, pp. 42-48; W. MILLER, Diss. ..., Boston 1842; E. KING, Remarks, pp. 16-18; N.N. WHITING, La voix, p. 21,23,25; 553-1813: J. FRY, Observ., p. 377; 587-1847: S. KENT, The disp., p. 105; 587-1848: R. FLEMING, Apocalyptical, p. 18; 590-1850: W.H. TRENWITH, The Time, p. 33; 600-1860: K. THEURER, p. 224 604-1864: T. STEPHEN, A briel..., pp. 25-31,263; J. THOMAS, Eureka, t. II, 1866, p. 607; 606-1866: J.F. BERG, Prophecy ..., p. 55-80; G.S. FABER, A Dissert. ..., ed. 1807, 1820, 1824,1828; The Sacred ..., vol. I, p. 136; Bible (The Comprehensive), 931; J.I. HOLMES, vol. I, p. 323; vol. II, pp. 440-443; A. PELET, p. 35; J. WILSON, Daniel, pp. 204,205; 606-1866: W. WINGATE, pp. 13,20,36,91; 607-1866: A.R. FAUSSET, idem; 608-1868: J. THOMAS, idem; W. WINGATE, idem. 610-1870: J.P. BRISSET, pp. 62-64, 71; 613-1873: M. GEIER, Opera, t. II, p. 202; 620-1860: W. HALES, p. 521; 125
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a) 607. L’imperatore Foca nomina il papa Bonifacio III vescovo universale
Nel 607 l’imperatore Foca concedeva al vescovo di Roma Bonifacio III il titolo di Vescovo Universale, che già precedentemente l’imperatore Maurizio nel 595 aveva conferito al vescovo di Costantinopoli, Giovanni il Digiunatore. Aggiungendo 1260 anni al 607 si arriva nel 1867 quando Garibaldi, dopo aver vinto le truppe papali, vicino a Monterotondo, non riuscì a sottrarre Roma al papa per l’intervento dell’esercito francese. L’intervento di questo esercito è visto come segno di debolezza della forza papale. Non condividiamo questa tesi per il fatto che il papato nel corso dei secoli ha sempre fatto affidamento sugli eserciti dei re per vincere le sue cause e il 1867 è uno dei tanti esempi. b) 610. L’imperatore Foca dona il Panteon al papa Bonifacio IV
Nel 610 l’imperatore Foca dona al papa Bonifacio IV il Panteon di Roma. “È il primo esempio di tempio pagano trasformato in tempio cristiano”128 che, costruito da Agrippa e consacrato a Giove Ultore per adorare i Cesari, fu consacrato alla vergine Maria ad Martyres. Aggiungendo i 1260 anni al 610 giungiamo nel 1870 anno in cui Roma divenne capitale d’Italia ed il papato perdette il suo potere temporale chiudendosi in Vaticano come volontario prigioniero. Il 1870 è senz’altro la data più importante della storia temporale del papato. Il Governo di Roma per quanto ha fatto sarà messo sotto osservazione dagli stati europei, sollecitati dalle loro popolazioni cattoliche, affinché al suo Vescovo vengano garantiti i suoi diritti di indipendenza. I Patti Lateranensi del 1929 segnano per il Vaticano la sua riemersione dalla crisi. La critica a questo periodo è data dal fatto che l’anno di inizio è in relazione alla crescita religiosa del potere papale e il 1870 si pone dopo lo scadere del periodo profetico più lungo della profezia il quale include tutti gli altri.129
128 129
636-1896: S. di PIETRO, p. 125; 637-1897: J.A. BATTENFIELD and Ph.Y.PENDLETCN, p. 187; 640-1900: K. THEURER, idem; 645-1935: Anonimo, Danielism., p. 55; C.H. LAGRANGE, Concord., 2a ed., 134; 666-1927: J.A. BATTENFIELD and Ph.Y. PENDLETCN, p. 63; 703-1963: Anonimo, Danielism., p. 55; 755-2013: T. ZOUCH, pp. 52,53; 843-2103: C.H. LAGRANGE, idem, p. 114; 607-1870: 1260 anni lunari, T.W. HASKINS, p. 48. Per il titolo delle opere vedere la Bibliografia. Nell’Appendice n. 6 c’è l’elenco degli autori che hanno spiegato i 1260 giorni di Daniele 12:7. MEYNIER Enrico, Storia dei papi, Marchirolo 1968, p. 114. Vedere il nostro Capitolo XIV e Appendice n. 12. Quando la profezia diventa storia
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Inoltre sebbene queste due date (1867-1870) segnino effettivamente un periodo di decadenza del papato, sul piano temporale, non dobbiamo dimenticare che già alla fine del XVIII secolo la Chiesa Romana era stata scossa fortemente.130 Nel 1809, dopo la battaglia di Wagram, con i decreti di Schoenbrunn e di Vienna, l’autorità temporale del papa e gli Stati romani venivano aboliti, e Roma stessa veniva incorporata nella Francia come la seconda città dell’impero. Se il 1870 segna la fine del potere temporale, che di fatto non è mai cessato, segna però anche l’inizio della sua riconquista spirituale con il dogma dell’infallibilità papale promulgato dal Concilio Vaticano I, e segue quello dell’Immacolata Concezione. Sono due dogmi che incideranno fortemente sulla vita della Chiesa negli anni successivi. c) 533 editto di Giustiniano
Altra data come punto di partenza è quella del 533 anno in cui, secondo gli annali di Baronio, Giustiniano emana il suo editto indirizzandolo a papa Giovanni II (533-535) per cercare di sanare i dissapori tra il vescovo di Costantinopoli e quello di Roma. L’editto riporta: “Giustiniano, vittorioso, pio, felice, illustre, trionfante, sempre augusto; a Giovanni, patriarca e santissimo Arcivescovo della città di Roma... Siccome ci siamo sempre sforzati di mantenere l’unità della vostra sede apostolica, e di mantenere le sante chiese di Dio nello stato in cui si trovano oggi, cioè nella pace ed esenti da ogni contrarietà (leggere da ogni dissidenza dogmatica), noi abbiamo impegnato tutti i sacerdoti dell’Oriente a unirsi e a sottomettersi alla vostra santità... quale capo della Chiesa... Noi domandiamo dunque... che la vostra santità approvi tutti coloro che credono a ciò che noi abbiamo esposto qui sopra, e che essa condanni la perfidia di coloro che hanno osato negare la fede legittima... Che la divinità, o santo e religiosissimo Padre, vi dia una lunga vita!”. É. Guers scriveva: “Nel 533, Giustiniano, imperatore d’Oriente, con un decreto celebre registrato nelle leggi dell’impero, dichiara il vescovo di Roma capo della Chiesa di Gesù Cristo”.131 L’anno seguente (534) il papa rispondeva in questi termini (che noi abbreviamo): “Giovanni, vescovo di Roma, al nostro illustrissimo e clementissimo figlio Augusto Giustiniano: oltre agli elogi meritati che si possono fare alla vostra saggezza e alla vostra dolcezza, il più cristiano dei principi, voi vi siete distinto ancora come un astro religioso, per l’amore della fede e della carità. Istruito su ciò che concerne la disciplina ecclesiastica avete conservato la preminenza alla sede di Roma; voi le avete sottomesso ogni cosa, e avete riportato l’unità nella Chiesa... La pace della Chiesa, l’unità della religione, si elevano e conservano la pace a colui che ne è l’autore... Abbiamo appreso... che avete pubblicato un editto indirizzato ai vostri fedeli popoli, dettato dall’amore della fede, e tendente a distruggere gli eretici; il quale è secondo la dottrina apostolica, ed è stato 130 131
Vedere il nostro Capitolo X. É. Guers, o.c., p. 401; confrontare T.W. HASKINS, p. 46.
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confermato dai nostri colleghi e dai nostri fratelli vescovi; noi lo confermiamo con la nostra autorità, perché è conforme alla dottrina apostolica”.132 Fissando quindi come punto di partenza il 533, i 1260 anni scadono nel 1793, anno in cui, a seguito della Rivoluzione francese, la Francia, figlia primogenita della Chiesa, cerca di strapparsi il cuore che palpita per la Santa Sede, abolendo ogni forma di religione, causa di tante guerre, proclamando il culto alla Dea Ragione. Questo modo di vedere è interessante, sia come punto di partenza: editto di Giustiniano, con il quale egli non solo conferma, ma amplia il decreto dell’imperatore Valentiniano del 445 che ordinava a tutti i vescovi d’Occidente di “considerare come legge tutto ciò che sarebbe sanzionato dalla autorità della sede apostolica (romana)”133, sia come punto di arrivo: Rivoluzione Francese. Ma nel 533 solamente uno dei tre regni ariani, quello degli Eruli, era caduto e gli ariani Ostrogoti regnavano proprio in Italia e ostacolavano lo sviluppo del piccolo corno. d) 538 anno della liberazione di Roma dagli Ostrogoti
Preferiamo quindi fissare come data di partenza di questa supremazia papale, quale inizio di una nuova epoca delle monarchie universali, il 538. Il Villari così presenta quel periodo. Nel 537 il bizantino Belisario conquistava Roma ai Goti, aiutato dal diacono Vigilio al quale l’imperatrice Teodora aveva offerto 700 libbre d’oro e la tiara papale a condizione che favorisse il Monofisismo e condannasse il Concilio di Calcedonia che affermava che Cristo è “una persona in due nature”. “Papa Silverio (536-537) figlio di papa Ormisda (514-523) venne da Belisario accusato di volere dare la città ai Goti, e quindi fu deposto. Gli successe Vigilio (537), che tenne, come sempre, una condotta ambigua e mutabile, cominciando col non osservare le promesse fatte all’imperatrice. L’arbitraria deposizione di Silverio, che morì esule nell’isola di Palmarola presso Ponza (21 giugno 538), e la non meno arbitraria elezione di Vigilio seminarono il primo germe di discordia fra Belisario e la Chiesa romana il che fu poi causa di debolezza pel dominio bizantino in Italia”.134 Sul piano politico e sociale gli anni che seguirono il 538 e la scomparsa degli Ostrogoti fecero cadere la Penisola in uno stato di desolazione e di abbandono delle varie attività sia artigiane sia agricole, a tal punto che la miseria e lo spopolamento erano generali. La nuova amministrazione bizantina facendosi sempre più ostile, pesante, insopportabile, portò gli Italiani a vederla con occhio sempre più avverso.
132 Baronio Cesare, Codice Giustiniano - Annales ecclesiastici lib. I, tit. I, vol. VII, anno 533; sez. 12; cit. da J. Vuilleumier, L’Apocalypse, pp. 231,232. 133 LOPEZ R.F., Naissance de l’Europe, Paris 1962, p. 44. 134 P. Villari, o.c., p. 196.
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Con l’espulsione dei Goti dalla capitale, il vescovo di Roma poté liberamente esercitare l’ufficio di Patriarca, divenendo pari ai Vescovi di Gerusalemme, Antiochia, Alessandria (d’Egitto) e Bisanzio, che da tempo erano sedi patriarcali.135 Sul piano religioso, con la morte di papa Silverio, Vigilio fu generalmente riconosciuto e la sua posizione come papa divenne regolare. Il pontificato di Vigilio fu caratterizzato dalla manifestazione della superiorità del vescovo di Roma nei confronti dei Concili. Nelle cose della fede Roma non voleva ammettere né superiori né uguali. L’imperatore per contro “non voleva riconoscere valore definitivo ai decreti dei Sinodi e del Papa, ma solo a quelli del Concilio ecumenico, convocato da lui, che ne sanzionava e promulgava le deliberazioni. A tutto ciò Roma non poteva mai consentire”.136 È durante il pontificato di Vigilio, anche se la sua condotta è stata poco onorevole, che la Chiesa ottiene che il clero sia giudicato dai tribunali ecclesiastici, e che in caso di giudizio ci si possa appellare al vescovo, diventando tribuno della plebe, responsabile della cura degli edifici pubblici e degli acquedotti. Nel 554 gli stessi giudici devono essere eletti dai vescovi, e dai principali cittadini. “Pur tali erano allora la potenza della Chiesa e l’autorità dei papi, che anche in questi anni di debolezza e di patite violenze, si ottennero per essa dall’impero nuove e notevoli concessioni”.137 Con Vigilio inizia un nuovo periodo nella storia dei papi: “Fino al VI secolo tutti i papi sono dichiarati santi nei martirologi. Vigilio (537-555) è il primo di una serie di papi a cui non fu più a lungo concesso quel titolo. Da qui innanzi esso viene conferito con grande parsimonia: i papi, sempre più potentemente immischiati in questioni temporali, non appartengono più alla Chiesa solamente, essi sono uomini di Stato e quindi, in seguito dominatori di Stato”.138 Sebbene Vigilio sia salito al soglio pontificio nel 537, in realtà, come abbiamo detto, è stato riconosciuto universalmente solo dopo la morte di papa Silverio, avvenuta il 21 gennaio 538. “Nella lista ufficiale dei papi pubblicata ogni anno dalla gerarchia cattolica, si legge: “Silverio, papa dal 536 al 538; Vigilio, papa, dal 538 al 555””.139 É preferibile la data del 538 per i seguenti motivi: - l’abbandono di Roma da parte degli Ostrogoti ha dato al Vescovo maggiore libertà e l’editto di Giustiniano del 533 non trova più opposizione; - sebbene Roma passi sotto l’amministrazione bizantina, l’Oriente viene sempre meno sopportato; - inizia di fatto e non più soltanto di diritto la supremazia dei papi nella cristianità occidentale.
135 136 137 138 139
GREGOROVIUS F., Storia della Città di Roma nel Medioevo, vol. II, 1938, pp. 169,171. Idem, pp. 229,230. Idem, pp. 231,232. BERNARD et MONOD, Mediéval Europe, p. 120, cit.; W.F. Spicer, o.c., p 137 J. Vuilleumier, o.c., p. 233.
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Nel 1798, anno in cui scadono i 1260 giorni profetici sommati al 538, Richard Valpy in un sermone, considerando gli avvenimenti di quei mesi e mettendoli in relazione con la profezia, diceva: “Daniele e Giovanni citano il periodo dei 1260 anni che va dallo stabilimento di quel governo alla sua estinzione. Nel 538 fu abolito in Roma il dominio dei Goti e da quel momento il potere pontificio progredì rapidamente fino a diventare, con la sua influenza e la sua autorità, la potenza più estesa dell’Europa. Se questa epoca è accettata, il periodo menzionato dai profeti fissa la distruzione dell’autorità pontificia nel presente anno, poiché il papa è stato costretto a lasciare Roma dall’esercito di Francia”.140 In quell’anno il direttorio della Rivoluzione Francese inviò a Roma il generale Berthier che, alla testa di un forte esercito, occupò la città eterna il 15 febbraio proclamando la repubblica di Roma o Tiburtina. A sua volta il generale veniva nominato liberatore del Campidoglio. Pio VI veniva fatto prigioniero e portato a Valenza dove, dopo un atroce viaggio e un breve soggiorno, morirà.141 D. Simpson nel 1799, (la sua opera veniva pubblicata tre anni dopo la sua morte), dopo aver considerato le date indicate da alcuni studiosi come inizio dei 1260 giorni-anni quali: 606 (da Foca), 666 (numero apocalittico) e 756 (quando il papa divenne un principe temporale) e il tempo di Gregorio I, fa la seguente considerazione: “Vi è motivo, in base al presente stato di cose, di supporre che i 1260 anni profetizzati debbano essere calcolati a partire da un periodo in qualche modo precedente l’inizio del settimo secolo. Per conseguenza l’anno di nostro Signore, 538, si accorda con la caduta del dominio temporale del papa nel 1798”.142 Possiamo anche dire, se non si vogliono fissare delle date precise, che il periodo della supremazia papale dei 1260 anni va dalla prima metà del VI secolo alla fine del XVIII secolo. 15. Quando la sua fine “Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà distrutto e annientato per sempre. E il regno e il dominio e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno”.143 Il testo di Daniele ci permette di precisare:
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VALPY Richard, A Sermon, 1798, p. 10. Riprodotti in Sermons, t. I, London 1811, p. 147. Su questo tornante della storia universale vedere i nostri Capitoli IX e X. 142 SIMPSON David, A Plea for Religion and Sacred Writings: Addresed to the Disciples of Thomas Paine, and Wavering Christians of Every Persuasion, With an appendix, etc., Printed for J. Mawman, London 1802, p. 138. 143 Daniele 7:26,27. 141
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1. per 1260 giorni-anni il piccolo corno avrebbe dominato, ma solamente a seguito del giudizio il dominio gli verrà tolto. 2. “Poi si terrà il giudizio”. Questo giudizio viene descritto nei versetti 9-11. Si compie mentre il piccolo corno esprime la sua arroganza e di lui è detto che “pronuncia parole orgogliose”. Questo giudizio è iniziato a metà del secolo scorso.144 3. In seguito “gli sarà tolto il dominio”. È alla conclusione di questo giudizio che il Signore, il “figlio dell’uomo”, Cristo Gesù, viene insignito della sua regalità “e gli furono dati dominio, gloria e regno”.145 4. Come conseguenza il piccolo corno “verrà distrutto e annientato per sempre” e quindi la bestia che porta il piccolo corno, viene “uccisa, e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco”.146 5. Sarà allora che : “Il regno e il dominio e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno”. Questa dichiarazione ricorda quella del capitolo II:44 dove Daniele dice al re Nabucadnetsar: “L’Iddio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto, e che non passerà sotto la dominazione di un altro popolo, ... esso sussisterà in perpetuo”. Conclusione Concludiamo con L. Gaussen: “Così dunque, eccoci prevenuti da Dio, che... sarebbe dovuto apparire in Occidente, in mezzo ai dieci regni della cattolicità romana, un principe, debole all’inizio come potenza temporale, ma crescendo lentamente con dei progressi impercettibili, e che riceve i suoi primi poteri dall’autorità degli imperatori romani, vigilante, politico, abile quasi fino al miracolo, pretendendo pure forse alla carica episcopale, ed esercitando fino ai nostri giorni, nell’ordine delle cose spirituali, un impero quasi universale tramite l’audacia e l’empietà del suo linguaggio”.147 Queste parole del pastore svizzero mettono in risalto un aspetto della visione profetica; l’altro, il principale, ma senz’altro meno appariscente, più umile, anche perché il Regno di Dio non viene attirando gli sguardi delle persone, è il persistere della speranza, la consapevolezza di avere ascoltato la parola di Dio, il credere e il sentire l’amore di Dio anche nei momenti difficili, di umana disperazione, dove sembra che non ci sia più luce, illuminati però dalla fede nel Dio dell’eternità, anche di fronte al suo silenzio, al trionfo dell’ingiustizia e della violenza, come già era avvenuto al Golgota. Capíta la Parola di Dio, essa ha fatto di persone semplici e preparate una “nuvola” di testimoni che nel deserto di questo mondo, nelle situazioni più difficili, di privazione, di abbandono, di persecuzione, di morte, hanno reso 144 145 146 147
Vedere nostro Capitolo XIII. Daniele 7:13,14. Vedere nostro Capitolo XIII. Daniele 7:11. L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 21,22.
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presente in questo mondo il Regno di Dio nella loro persona in attesa che esso risplenda nella sua forza alla venuta del Signore.
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Capitolo VI L’UOMO DEL PECCATO “Quel giorno non verrà se prima non... sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario” S. Paolo.1 Avversario: greco antikeimenos = colui che si mette al posto di, colui che è contro di. “La parola anticristo, forgiata forse da S. Giovanni, è da comprendersi secondo il doppio senso dell’avverbio “anti” (contro e al posto di): egli è l’avversario e la contraffazione, la scimmia di Cristo” Joseph Bonsirven.2 “Anticristo non è un nemico dichiarato del Cristo, ma qualcuno che si traveste da Cristo al fine di meglio sedurre il suo popolo” Moulton e Howard.3 Il pensiero di S. Gerolamo può essere così riassunto: “Si vede chiaramente: 1. Che la rivolta dell’Anticristo non deve essere un puro anticristianesimo, e una assoluta rinuncia alla religione cristiana, ma una eresia abominevole che prevale nella Chiesa. 2. Che questa eresia si debba stabilire nella Chiesa. 3. Che questo impero anticristiano sarebbe apparso dopo la rovina dell’Impero Romano. 4. Che questa distruzione dell’Impero Romano si sarebbe fatta mediante l’inondazione dei popoli barbari, e allora l’Anticristo sarebbe stato pronto a manifestarsi. 5. Che Roma, la città delle sette montagne, la donna rivestita di porpora seduta sulla grandi acque doveva essere la sede dell’Anticristo. 6. Che già questo impero anticristiano cominciava a Roma mediante l’orgoglio dei suoi vescovi, il lusso della corruzione del suo clero” Pierre Jurieu.4 “Non è difficile stabilire che la parola anticristo, che significa vice-Cristo, è l’equivalente del titolo: vicario 1
2 Tessalonicesi 2:3,4pp. BONSIRVEN Joseph, L’Evangile de Paul, Paris 1948, p. 366; ed. italiana, L’Evangelo di S. Paolo, ed. Paoline, Roma 1963, p. 502. 3 MOULTON - HOWARD, A Grammar of the New Testament Greek, t. II, 1929, p. 297; cit. da VAUCHER Alfred-Félix, L’Antichrist, Collonges-sous-Salève 1972, p. 6. 4 JURIEU Pierre, Préjugés légitimes contre le Papisme, vol. I, Amsterdam 1685, p. 147. 2
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di Cristo. Così, tutte le volte che il papa rivendica il suo titolo di vicario di Cristo, dichiara in faccia al mondo di essere l’Anticristo” Wylie Tames-Aitken.5 “Il vicario di Gesù Cristo: questa espressione, per una coincidenza strana, ha lo stesso significato del nome aborrito dell’Anticristo. Anticristo, all’origi-ne, significava un pro Cristo, o un delegato del Cristo, o un falso Cristo, che usurpa la sua autorità e agisce al suo posto” William Hales.6 “Il Papato è l’abominazione annunciata e se il Papato non fosse stato chiaramente predetto nelle Scritture, o come la colonna della verità o come la personificazione dello spirito più abominevole, esse (le Sacre Scritture) sarebbero al massimo grado d’insufficienza, poiché il Papato è nella storia generale, politica e religiosa, la figura che ha più apparenza e più importanza. Ora, nessun com-mentatore è riuscito un solo istante a mostrare le profezie che annunciano il Papato come la colonna della verità” T. Pierre Brisset.7 “Far disimparare il papa alle persone è più difficile che far loro imparare Cristo” Martin Lutero.8 “Non è il caso di cercare un altro Anticristo; impossibile trovarne uno più grande di questo. Il cristianesimo non potrebbe vedere nello stesso individuo, nella stessa Chiesa, sullo stesso seggio, il ministro di Dio e quello di Satana, il pastore legittimo e il ladro e assassino, il vicario del Cristo e l’Anticristo, il centro dell’unità e la prostituta dell’Apocalisse, la Chiesa di Dio e la sinagoga di Satana” Vittore di S. Maria Sopransi.9
Introduzione È importante essere al chiaro su questo personaggio-potere perché, come scrive il gesuita M. Lacunza: “Sembra non solamente conveniente, ma addirittura necessario, che si abbia l’idea più chiara possibile dell’Anticristo; altrimenti potrebbe succedere che entri nel mondo, che lo si veda con i nostri occhi, che si ascolti la sua voce, che si
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WYLIE James-Aitken, The Papacy is the Antichrist, its History - Dogmas, Genius. and Prospects, Edimburg 1852, p. 12; cit. VAUCHER Félix Alfred, Histoire du Salut, 3a ed., Dammarie les Lys 1951, p. 366. 6 HALES William, A new Analysis of Chronology and Geography History and Prophecy, vol. II, 2a ed., London 1830, p. 505; cit. A.F. Vaucher, idem, pp. 366,367. 7 BRISSET J. Pierre, Les prophéties accomplies, Paris 1906, p. 88. 8 FEBVRE Lucien, Lutero, ed. La Terza, Bari 1969, p. 252. 9 VITTORE di S. Maria Sopransi, Riflessioni sulla Chiesa dei tempi presenti, (Cod. Vat. 13, 134, fol. 6); cit. A.F. Vaucher, idem, p. 43.
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riceva la sua legge e la sua dottrina, che si ammirino le sue opere e i suoi miracoli, senza riconoscere in lui l’Anticristo, senza neppure averne il minimo sospetto”.10 L’apostolo Paolo nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi, scritta verso il 49-50, ricordava loro un suo insegnamento verbale di qualche mese prima. “Nessuno vi tragga in errore in alcuna maniera; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio mostrando se stesso e dicendo che è Dio. Non vi ricordate che quand’ero ancora presso di voi io vi dicevo queste cose? E ora sapete quel che lo ritiene onde egli sia manifestato a suo tempo. Poiché il mistero dell’empietà è già all’opera: soltanto v’è chi ora lo ritiene e lo riterrà finché sia tolto di mezzo. E allora sarà manifestato l’empio... La venuta di quell’empio avrà luogo, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi; e con ogni sorta d’inganno, d’iniquità a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati.… Il Signore Gesù lo (l’empio) distruggerà col soffio della sua bocca, e lo annienterà con l’apparizione della sua venuta”.11 Nel nostro capitolo III abbiamo visto la realizzazione dell’apostasia come era stata annunciata dall’apostolo Paolo, e possiamo dire che con il V secolo la cristianità, nella sua maggioranza, si confondeva con il paganesimo. Il mistero dell’iniquità agiva di già al tempo dell’apostolo: “Chi dice mistero dice una religione... è un mistero perché ha tutte le apparenze di una religione mistica”.12 Questo sistema, già in germe nella Chiesa apostolica, una volta pienamente sviluppato, doveva essere in qualche modo una incarnazione di Satana, del resto si sarebbe manifestato grazie alla sua potenza, e doveva essere una contraffazione del mistero della pietà. “Grande è il mistero della pietà: - Dio, il Dio eterno, nella persona del Cristo, si abbassò fino a diventare uomo. Si può dire anche che il mistero dell’iniquità sia grande: un uomo, un uomo mortale, esalta se stesso prendendo il carattere di vicario
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LACUNZA P. (pseudonimo Ben Ezra), Manuel, Venida del Mesias en gloria y magistad, 2a parte, phén. III. 2 Tessalonicesi 2:3-7,9,10,8. 12 JURIEU Pierre, L’accomplissement des prophéties, Rotterdam, ed. 1686, pp. 70,80. La Babilonia dell’Apocalisse “non è il paganesimo, è il cristianesimo moderno, è questo cristianesimo degenerato sulla fronte del quale le nazioni cercano la croce e non trovano che la parola: Mistero” CLAUDEL Paul, Introduction à l’Apocalypse, Paris 1946, p. 60. 11
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di Cristo, per essere come Dio”13, e viene “predicato tra i cristiani, creduto nella Chiesa e siede nel tempio di Dio”.14 L’apostasia della Chiesa che sfociava nella creazione di questo potere era un insegnamento così fondamentale che l’apostolo Paolo nei tre sabati che rimase a Tessalonica15 ritenne indispensabile istruire i nuovi convertiti su questo argomento, dopo aver dimostrato che il Gesù di Nazaret, morto e risuscitato, era veramente il Salvatore promesso.
Qualcuno e qualcosa ne impedivano la manifestazione In questa figura nemica, secondo l’insegnamento di Paolo, si concentra e si sviluppa ulteriormente l’apostasia della Chiesa. Un ostacolo impediva però la piena manifestazione di questo potere: “Voi sapete quel che lo ritiene - e chi ora lo ritiene”. “Degli esegeti moderni hanno proposto ogni specie di supposizione: un decreto divino, l’esercito degli angeli, l’Evangelo, la Chiesa cristiana, lo Spirito Santo. Scrive il Maestro Vaucher - Se una sola di queste ipotesi avesse un fondamento, non si comprende perché l’autore della seconda lettera ai Tessalonicesi si sia avvolto nel mistero”.16 L’apostolo Paolo usa due espressioni “ciò” che fa ostacolo (to katechon - neutro ), e “colui” o “chi” fa ostacolo (o katechôn - maschile).17 Cioè ci sono due entità, la prima impersonale e la seconda personale che tengono indietro, che trattengono, che impediscono il sorgere di questo avversario. L’abate Béda Rigaux scriveva: “La prima (espressione) (neutro, impersonale) impedisce la parusia dell’uomo del peccato; la seconda (maschile, personale) il pieno sviluppo dell’iniquità, che deve sfociare con la manifestazione dell’empio... In conclusione, ci sembra dunque che katechon e katechôn non indichino due entità distinte, ma una persona o una successione di persone” cioè “l’Impero Romano” quale entità impersonale, neutra, e “l’imperatore” quale entità personale, maschile.18 Questa spiegazione esegetica, poco condivisa oggi tra gli studiosi sia cattolici sia protestanti ed evangelici, è in piena armonia con gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli. Essi spiegavano che l’apparizione di questo potere era impedita dall’Impero Romano (ciò che fa ostacolo) e dall’imperatore (colui che fa ostacolo) e hanno visto in questo personaggio ciò che seicento anni prima di Paolo aveva detto Daniele del piccolo corno. 13
ELLIOTT Edward-Bishop, Résumé du Commentaire sur l’Apocalypse, redatto da DAPPLES A., Lausanne 1875, p.
139. 14
GAUSSEN Louis, Daniel le Prophète, t. III, Paris 1849, p. 100. Atti 17:1-10. 16 VAUCHER Alfred Félix, L’Antichrist, Collonges sous Salève 1960, p. 31. 17 2 Tessaionicesi 2:6,7, il significato ordinario di katecho è: tenere indietro, impedire. 18 RIGAUX Abate P. Béda O.F.M., L’Antichrist et l’opposition au Royaume Messianique dans l’Ancien et le Nouveau Testament, Paris 1932, pp. 297,298. 15
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Come i Padri della Chiesa spiegavano le parole dell’apostolo Paolo Ireneo discepolo di un discepolo dell’apostolo Giovanni è il primo testimone. Egli completa la sua opera destinata a confutare le false scienze a Lione verso il 190, accosta la predicazione di Paolo a quella di Daniele VII, relativa al piccolo corno, prevedendo la sua apparizione alla fine della quarta monarchia, che esisteva al suo tempo.19 Tertulliano nel 197, nella sua Apologetica, rispondendo agli avversari che consideravano i cristiani come i nemici di Roma e di Cesare, diceva: “Ben lontano da essere ciò che voi dite, noi tutti preghiamo per Roma e per i Cesari... Ma voi ci direte che, parlando così, noi non vogliamo che adulare l’imperatore, e per dei voti simulati sottrarci alla persecuzione! O tu, che ci accusi di indifferenza verso la salute di Cesare, esamina le nostre Sante Scritture... Noi non le nascondiamo a nessuno, e ogni sorta di incidente le fanno giungere nelle mani di tutti; tu puoi dunque vedere che esse ci ordinano di pregare pure per i nostri nemici e i nostri persecutori. Ora, chi, più di questi Cesari, per la maestà dei quali noi siamo trascinati davanti ai tribunali, chi, più che i Cesari, è nostro nemico e nostro persecutore? Dio ci dice ugualmente “Pregate ora e ad alta voce per i re, per i principi, per i potenti, affinché tutti dimorino nella pace”. Ma altrove esiste per noi un obbligo più grande ancora di pregare per l’imperatore, per l’impero e per tutti gli interessi di Roma; è che noi sappiamo che la terribile calamità riservata al mondo universale, alla consumazione dei secoli, e le amare sofferenze che minacciano per questa epoca tutte le nazioni della terra, non sono ritardate che per l’esistenza e la conservazione dell’Impero Romano, perché noi vogliamo sfuggire a questi dolori, che domandiamo a Dio di differire il giorno. Ora, pregare così, è impegnarci a prolungare i destini di Roma”.20 Nell’opera Resurrezione della Carne precisa ancora meglio: “Che cosa è questo ostacolo, se non lo Stato Romano, la cui distruzione sparsa tra dieci re introdurrà l’Anticristo?, e allora sarà rivelato l’iniquo”.21 Ippolito vescovo di Roma verso il 250, nel suo commentario su Daniele, a proposito dell’ostacolo, dice la stessa cosa: “Chi sarebbe dunque colui che ritiene fino ad ora, se non la quarta bestia, alla quale succederà il seduttore quando essa sarà stata vinta ed eliminata?”.22 Lattanzio, all’inizio del IV secolo, scriveva: “Non è forse chiaro che, per lo stato stesso delle cose, i tempi del capovolgimento e della rovina non sono poi tanto lontani; se non è che, fin tanto che Roma esisterà noi non avremo niente di simile da temere? Ma quando questa metropoli del mondo sarà caduta, chi può mettere in dubbio che il momento in cui ogni cosa avrà il suo termine non sia già venuto? 19 20 21 22
Ireneo, Contre les Hérétiques, V, 30, 2, Paris 1969; MIGNE, Patristica Greca - P.G., 7, col. 1205. Tertulliano, Apologetica, cap. 31 e 32; cit. L. Gaussen, o.c., t. III, p. 135. Tertulliano, Resurrezione della carne, cap. 24:18,19; ed. UTET, Opere Scelte, 1974, p. 819. Ippolito di Roma, Commentaire sur Daniel, IV, XXI. Quando la profezia diventa storia
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Prostriamoci dunque davanti al Dio del cielo, e domandiamogli, se tuttavia l’esecuzione dei suoi decreti può essere ritardata, che non vediamo arrivare, prima di quanto non pensiamo, l’abominevole tiranno al quale è riservato di tentare questa grande impresa, e di spegnere l’astro brillante la cui perdita comporterà quella del mondo intero”.23 Cirillo di Gerusalemme nel suo catechismo, verso il 348 scriveva, dopo avere detto, come abbiamo già citato, che l’apostasia era di già in atto: “Questo Anticristo già profetizzato verrà quando l’Impero Romano avrà compiuto il suo tempo e sarà vicina la fine del mondo. Sorgeranno insieme dieci imperatori romani e regneranno contemporaneamente in località diverse. Dopo di loro, come l’undicesimo, verrà l’Anticristo, il quale usurperà l’Impero Romano con arti magiche. Umilierà tre degli imperatori ch’erano prima di lui, e sette gli saranno soggetti. Da principio ostenterà clemenza, temperanza e umanità da vero riflessivo e prudente... (ma in seguito, dopo essersi ingrandito) si rivelerà come segnato di tutte le cattiverie della crudeltà e dell’empietà tanto che supererà tutti gli ingiusti e gli empi che ci furono prima di lui. Si mostrerà di animo sanguinario, duro, senza misericordia e versipelle con tutti, ma specialmente con i cristiani. Dopo che avrà osato tali cose per soli 3 anni e 6 mesi sarà sbalzato via dalla seconda venuta dell’unigenito Figlio di Dio, il Salvatore e Signore nostro Cristo, il quale ucciderà l’Anticristo col fiato della sua bocca...”.24 Gerolamo nella sua lettera scritta nel 409 ad Ageruchia, durante l’invasione dei Goti, diceva: “Colui che faceva ostacolo è tolto di mezzo, e voi non capite che l’Anticristo avanza, lui, che il Signore Gesù Cristo ucciderà col soffio della sua bocca”.25 A proposito dell’ostacolo diceva, commentando Geremia XXV (scritto tra il 415420): “Ciò che trattiene è l’Impero Romano; poiché se questo impero non sarà distrutto e tolto dal mondo, secondo il profeta Daniele, l’Anticristo non verrà; se egli (Paolo) si fosse spiegato più chiaramente, avrebbe imprudentemente eccitato la persecuzione contro i cristiani, e la rabbia degl’idolatri contro la Chiesa”.26 Commentando la dichiarazione di Paolo nella sua lettera ad Algasia, alla domanda XI scriveva: “Vuole dire che le nazioni sottomesse all’Impero Romano devono sollevarsi contro di lui, e allora arriverà l’uomo del peccato annunciato dai profeti... Si installerà nel tempio di Dio, sia a Gerusalemme, come qualcuno pensa, sia piuttosto nella Chiesa... L’apostolo insegna che il Cristo non verrà prima che l’Impero Romano non sia desolato e che l’Anticristo non abbia fatto la sua apparizione... L’apostolo non vuole dire chiaramente che l’Impero Romano sarà distrutto. Perché sa che gli imperatori lo credono eterno... Se avesse spinto l’audacia fino a dire apertamente che la distruzione dell’Impero Romano precederebbe la venuta dell’Anticristo, avrebbe potuto offrire un giusto motivo per perseguitare la Chiesa 23 Lattanzio, Institutions divines, VII. cap. 25, MIGNE, Patristica Latina - P.L., 6, 1844, col. 812, 813; confr., cap. 18, col. 794-790. 24 Cirillo di Gerusalemme, La catechesi, XV, XII, ed. Paoline. 25 Idem, CXXIII, 116; MIGNE, P.L., 22, col. 1057. 26 Gerolamo, MIGNE, P.L., 24, col. 872.
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nascente... Bisogna solamente che l’Impero Romano, che ora tiene in suo potere tutte le nazioni, sparisca: allora verrà l’Anticristo”.27 La stessa spiegazione è stata sostenuta da Cipriano, Atanasio, Eusebio di Cesarea, Metodio, Vittorino, Isidoro di Peluse, Teodoreto, Sulpicio Severo,28 Ambrosiaste,29 Œcumenius.30 Crisostomo, in Oriente, nella sua IV omelia sulla nostra epistola, tenuta a Costantinopoli nel 400, diceva: “Ci si potrebbe a buon diritto chiedere il significato di queste parole: e desiderare di sapere in seguito perché Paolo si circonda di una così profonda oscurità. Che cosa significa dunque, ciò che lo ritiene fino a quando egli si manifesti, oppure, ciò che gli impedisce di manifestarsi? Gli uni dicono che è la grazia dello spirito, gli altri pensano che si tratti dell’Impero Romano; io mi colloco tra questi ultimi... Siccome indica la potenza romana, egli (Paolo) ha dovuto parlare in termini indiretti e velati: poiché non voleva suscitare gratuitamente degli odi ed esporsi a dei pericoli inutili. Se egli avesse predetto, in effetti, che in breve tempo sarebbe crollata questa potenza, lo avrebbero immediatamente sterminato come una peste pubblica, e tutti i fedeli con lui, come dei soldati che avessero obbedito ai suoi ordini... quando l’Impero Romano sarà scomparso dalla terra colui che deve venire verrà”.31 Sebbene con la fine del IV secolo si siano affacciate a proposito dell’ostacolo altre spiegazioni, non dobbiamo dimenticare che quanto spiegato era quella conosciuta dai Tessalonicesi e dai primi Padri della Chiesa,32 sia d’Oriente sia d’Occidente, pur non potendo comunicare e leggersi come potrebbe avvenire oggi. Il vescovo François Bovet fa giustamente notare: “Questo accordo dei padri non sembra fissarne il senso? Non suppone almeno una tradizione che conservava il ricordo di ciò che l’apostolo aveva insegnato a viva voce ai Tessalonicesi, e probabilmente alle altre chiese, fondate e visitate da lui?”.33 Osserva H.G. Guinness: “La tradizione spesso è una guida poco sicura. Ma, in questo caso particolare, essa pare meritare la nostra attenzione. Il punto in questione era contemporaneamente importante e semplice; coloro che raccolsero le istruzioni orali dell’apostolo non le potevano dimenticare, o sbagliarsi nel riportarle; e la Chiesa dei tempi successivi non poteva attingere a un’altra sorgente che a quella tradizione, la conoscenza di un fatto comunicato a viva voce solamente, e intenzionalmente 27
Gerolamo, lettera CXXI, MIGNE, P.L., 22, col. 1037. L. Gaussen, o.c., t. III, p. 147. 29 Ambrosiaste, Commentario alla 2a Tessalonicesi; MIGNE, P.L., 17, col. 457. 30 Œcumenius, MIGNE, P.G., 119, col. 119,120. 31 Chrysostome Jean, Œuvres complètes, Paris 1868, pp. 329,330. 32 Agostino, Città di Dio, XX,9 diceva: “Confesso che ignoro completamente ciò che intendeva l’apostolo”, ma poi aggiungeva: “Alcuni credono che l’ostacolo di cui parla Paolo sia l’Impero Romano e che l’apostolo non abbia voluto dirlo apertamente per non essere accusato di augurare il male all’impero che si credeva eterno... Le parole dell’apostolo: “Solo c’è chi attualmente lo trattiene” (significherebbero) chi comanda ora, comandi pure fino a quando non sia tolto di mezzo”. 33 BOVET François, L’Esprit de l’Apocalypse, Paris 1840, p.160. 28
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omesso nella lettera ispirata dell’apostolo. C’è dunque da felicitarsi che la tradizione relativa a questo ostacolo sia così antica e così esplicita, che essa sia in accordo con ciò che noi sappiamo da altri passi biblici, e che non esista una contro tradizione in merito. Da Ireneo, discepolo di un contemporaneo di S. Giovanni, Policarpo, tutti i Padri sono unanimi nell’affermazione dello stesso fatto”.34 Numerosi, ma pochi rispetto alla maggioranza, sono gli esegeti cattolici,35 molto di più i protestanti36 che sostengono ancora questa tradizione. Il sacerdote E. Jacquier dice che “qualunque sia l’interpretazione che si dia al resto della profezia, colui che ritiene l’uomo del peccato sarà sempre l’Impero Romano, o un imperatore romano”37 e il protestante Rochedieu aggiunge che “la supposizione più generalmente ammessa è che Paolo indicasse così l’impero (o l’imperatore) romano, che mediante la sua potente organizzazione opponeva una diga a ogni tentativo che mirava a rimpiazzare il suo potere”.38 Il professore di Scrittura di Toronto J.T. Forestell scrive: “Tra i Padri della Chiesa l’ordine civile dell’Impero Romano fu un candidato favorito del “ciò che trattiene””.39 L’ostacolo sia come impero, sia come imperatore viene tolto in due momenti: - in un primo tempo mediante il trasferimento della sede imperiale da Roma a Costantinopoli; - successivamente mediante la caduta dell’impero nel 476.40 Questo potere si sarebbe “manifestato a suo tempo” diceva Paolo, e questo tempo era già stato precisato da Daniele, al quale l’apostolo si riferisce, e cioè dopo le invasioni barbariche e dopo che tre di queste popolazioni, che si erano installate nell’impero, sarebbero state sradicate in concomitanza alla sua apparizione. L’abate Fabre d’Envieu scriveva: “Noi siamo così indotti a vedere nel piccolo corno di Daniele VII, che s’innalza in mezzo alla quarta e ultima monarchia, il
34
GUINNESS Henri-Grattan, The approaching End of Age viewed in the Light of History Prophecy, and Science, 8a ed., London 1882, p. 165; cit. A.F. Vaucher, L’Histoire..., pp. 357,358; L’Antichrist, p.32. 35 Alcuni nomi: Voste, Toussaint, Calmet, La Chetardie, Rondet, Walmesley, ecc. 36 Di ogni denominazione, sono una legione. Alcuni nomi: Pierre Du Noulin, Graser, Le Gendre; Philipot, Crinsoz, Luzzi, Begg. Philippe De Mornay, Charles Lagrange, Gagner, Bosio, Goguel, ecc. 37 JACQUIER Eugène, Histoire des livres du Nouveau Testament, vol. I, Paris 1903, p. 101; cit. A.F. Vaucher, L’Histoire..., p. 357, L’Antichrist, p. 32. 38 ROCHEDIEU Charles, Guide du lecteur de la Bible, fasc. 1, 2a ed., Genève, p. 16; cit. A.F. Vaucher, L’Histoire..., p. 357; L’Antichrist, p. 33. “Si ammette generalmente che vedeva nella forte organizzazione dell’Impero Romano l’ostacolo che, per il momento, ritardava la manifestazione dell’Anticristo” August THIEBAUD, Dictionnaire de la Bible di Westphal, vol. I, p. 59. 39 Poi aggiunge altre interpretazioni che vengono date: “La preghiera della Chiesa o la predicazione del vangelo sono le interpretazioni popolari tra i moderni; un decreto divino, lo Spirito Santo, l’arcangelo Michele sono state altre interpretazioni proposte (confr. B. Rigaux, o.c., p. 274-279). Ma nel caso che Paolo e i tessalonicesi sapessero cosa fosse, non ce lo dissero” FORESTELL J. Terence C.S.B., Le lettere ai Tessalonicesi, in Grande Commentario Biblico Queriniana, Brescia, 1a ed., 1973; ristampa, 1974, p. 1129. Non ha senso qualsiasi interpretazione dell’ostacolo che non sia l’Impero Romano perché se così fosse questa forza positiva, come in alternativa viene presentata, l’apostolo l’avrebbe dovuta dire con chiarezza in quanto espressione della grazia di Dio. Il fatto che Paolo non lo dica e dia segni di prudenza è chiaramente per non mettere la Chiesa in difficoltà. 40 Vedere HISLOP Alexander, The Light of Prophecy let in the dark place of the Papacy; being an Exposition of 2 Tessaloniciens 2:3-12, Edimburg 1846.
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personaggio o il potere designato come l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’empio... ”.41
Definizione di: uomo del peccato - figlio della perdizione - avversario - empio Questo potere viene chiamato “l’uomo del peccato”, in greco: l’uomo senza legge, senza la legge di Dio42, “cioè, colui che è senza legge, poiché si leverà al di sopra di tutte le leggi divine e umane, pretendendo lui stesso di essere legge sovrana dell’umanità”.43 Daniele aveva detto di lui: “Cercherà di cambiare i tempi e la legge”. L’abate A. Crampon commentava: “L’uomo del peccato, l’uomo nel quale il peccato si è come incarnato, personificato”44 è colui che volontariamente e coscientemente si oppone a quanto detto dal Signore. “Il figlio della perdizione”. Con questa espressione Gesù indicava un suo discepolo che, dopo averlo seguito, lo tradì. Per Paolo quindi questo personaggio non è un incredulo, un giudeo o pagano che sia, ma un falso apostolo di Cristo. E un apostolo non alla maniera di Pietro, Giacomo, Giovanni, ecc., ma alla maniera di Giuda che riconosce in Gesù il Cristo, ma per la sua sete di potere lo tradisce perché vuole fare di lui un mezzo di dominio. Giovanni, nella sua prima epistola, insiste chiamando anticristo dei credenti che poi abbandonano la Chiesa o che, pur rimanendovi, cercano di sedurre i credenti.45 Fu “Berengardo, un monaco benedettino del IX secolo, che suggerì, per primo, che l’anticristo sarebbe un incredulo manifesto, avvocato delle debosce”.46 “Avversario” greco: antikeimenos = colui che è messo al posto di, colui che è contro.
41
FABRE d’ENVIEU Jules, Le livre du Prophète Daniel, t. II, Paris 1890, p. 685. “In S. Paolo almeno una volta anomos (senza legge) riveste chiaramente il senso di “senza la legge mosaica” 1 Corinzi 9:21. Dappertutto altrove anomos e anomai indicano la rivolta contro la legge di Dio” P. Béda Rigaux, o.c., 2a ed., p. 256. 43 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. III, Commentaire aux épîtres de Paul - 2 Thessaloniciens, Lausanne 1875, p. 507. 44 CRAMPON Auguste-Joseph-Théodore, La Sainte Bible, t. VII, 2 Tessaloniciens, imprimatur, Paris 1904, rivista dal gesuita P.J. GRIESBACH, commento a 2:3. 45 1 Giovanni 2:18,22; 2 Giovanni 7. “Se l’apostolo (Giovanni) dice che colui che è un anticristo rinnega il Padre e il Figlio, ciò si spiega con altri passi che mostrano che, nella Chiesa dei professanti, ci possono essere dei dottori che rinnegano il Signore (2 Pietro 2:1). Questo si deve d’altronde intendere in un senso che si accorda con la parola stessa di anticristo. Un anticristo non può rinnegare Dio alla maniera degli atei, ma solamente alla maniera degli gnostici, di cui l’Apostolo parla in questo passo, e di tutti gli altri dottori che, come loro, insegnano una dottrina il cui risultato finale e l’effetto pratico sono in realtà una negazione di Dio” E.B. Elliott, o.c., p. 129. Questo personaggio non nega “l’esistenza di Dio, ma come volendolo personificare, prenderà il suo posto, attribuendosi le sue prerogative, rinnegando il Padre e il Figlio con gli atti piuttosto che con le parole, elevandosi nella Chiesa e rivendicando onori divini” H.G. Guinness, o.c., p. 173; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 368. 46 CONRADI Ludwing Richardi, The impelling Force of Prophetic Truth, London 1932, p. 139; cit. A.F. Vaucher, l’Antichrist, p. 8. Questo pensiero sbagliato, come sovente succede, ha avuto poi più sostenitori di quelli della corretta spiegazione. 42
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Colui che prende il posto del Cristo, il mistero della pietà, è colui che è contro Cristo, incarna e manifesta il mistero dell’iniquità. Da questa espressione di Paolo - antikeimenos, l’apostolo Giovanni conierà, in una parola più esplicita, la parola anti-Cristo, con la quale indica qualcuno che è “contro” Cristo e un falso Cristo che si pone “al posto di” lui. Purtroppo “I padri latini, per ignoranza del greco, hanno finito per perdere di vista la vera portata di questa parola (anticristo), e vi hanno visto sovente quello di un avversario del Cristo; ma i padri greci non si sono mai sbagliati. Tutti vi hanno visto necessariamente, per la natura stessa di questa espressione, un nemico di Cristo, senza dubbio, ma il suo più grande nemico in quanto si dice suo vicario, o che pretende di rimpiazzarlo”.47 Scrive l’abate B. Rigaux: “Il carattere proprio dell’anticristo, nelle lettere giovannee, è di essere cristiano seduttore”.48 Sulla terra tiene il posto di Satana che è l’avversario, che, pur non negando Dio, chiede per sé l’adorazione.49 “L’empio”, colui che incarna il male e, pur parlando di Dio, allontana nel nome di Dio i credenti dal Salvatore. Per spiegare: “la venuta di quell’empio avrà luogo per l’azione efficace di Satana”, Cirillo di Gerusalemme scriveva: “Con queste parole (Paolo) lascia capire che Satana si servirà di lui (empio) come di uno strumento, operando personalmente per mezzo suo”.50 Il vescovo di Lione, Ireneo, discepolo di Policarpo, a sua volta discepolo di Giovanni, scriveva: “Poiché l’Anticristo, dopo aver ricevuto ogni potere dal Diavolo, verrà, non come un re giusto né come sottomesso a Dio e docile alla sua legge, ma come empio e sfrenato, come un apostata, un ingiusto, e un omicida, come un brigante che ricapitola in sé tutta l’apostasia del diavolo”.51 La Commedia di Dante, dopo che il Boccaccio la lesse e la commentò nelle chiese fiorentine, tradendo il suo significato con una spiegazione allegorica, per evitare che venisse bruciata come il De Monarchia, divenne Divina. Crediamo che il padre della lingua italiana, come aveva compreso il pensiero di Giovanni, descrivendo la Chiesa di Roma nelle vesti della donna di Apocalisse XVII che siede sulla bestia e amoreggia con i re della terra52, abbia capito anche quello di Paolo scrivendo, dopo aver udito nell’inferno il grido di Pluto, il maledetto lupo, demone dell’avarizia: “Papè Satàn, papè Satàn, aleppe!”,53 che significa: “Papa è Satana, Papa è Satana, principe (dall’ebraico “aleph”) di questo Inferno” o come spiega il poeta italiano Gabriele Rossetti, che ha dovuto 47 48 49 50 51 52 53
L. Gaussen, o.c., t. III, p. 396 nota. B. Rigaux, o.c., p. 387. 1 Pietro 5:8; Genesi 3:1-6; Luca 4:7. Cirillo di Gerusalemme, o.c. Ireneo, o.c., V, 25, 1, p. 309. Vedere il nostro Capitolo XIX, riferimento n. 1. Dante Alighieri, La Divina Commedia - Inferno, VII,1.
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emigrare in esilio in Inghilterra a causa delle sue opinioni non gradite alla Chiesa di Roma: “Colui che sembra essere il Papa sulla terra, è Satana stesso che regge la sua Chiesa. Colui che sembra essere Satana nell’abisso, è il Papa stesso, diventato il luogotenente del suo padrone. Corpo di Papa con spirito di Satana qui in alto; spirito di Papa con forma di Satana, qui in basso”.54 Abbiamo in queste parole di Dante la natura profonda di questo potere che Paolo nella sua lettera ha saputo intravedere e rivelare.
Si siederà nel tempio di Dio L’apostasia è l’opera con la quale Satana introduce nella Chiesa il mondo pagano e la sua religione. Satana, pur non negando Dio, ha desiderato mettere il suo trono al di sopra di quello dell’Altissimo, dice nel suo cuore di essere dio e opera in modo che il suo rappresentante sulla terra, l’uomo del peccato, animato dalla stessa cieca, folle ambizione, “si sieda nel tempio di Dio dicendo di essere Dio”. Qual è questo tempio di Dio? Ireneo55, nel II secolo, pensava al tempio di Gerusalemme supponendone la ricostruzione, ma la maggioranza degli esegeti hanno visto in questo tempio la Chiesa cristiana. Già Agostino scriveva: “Nel seno della Chiesa, o nella società dei popoli e delle nazioni che il nome del Cristo ha così completamente invaso, il crimine strariperà con il furore che già vediamo in gran parte”.56 Crisostomo, da parte sua, diceva: “Si farà lui stesso adorare al posto di Dio, e troneggerà nel suo tempio, non in quello di Gerusalemme solamente, ma nel tempio della Chiesa universale”.57 Del tempio di Gerusalemme Gesù aveva chiaramente detto che “non sarebbe rimasta pietra sopra pietra” e per il Nuovo Testamento “non c’è altro tempio di Dio
54
ROSSETTI Gabriele, Sullo spirito antipapale che produsse la Riforma, London 1832, pp. 44,57. Ireneo, idem, V, 30, 4; MIGNE, P.G., 7, col. 1207. Idea ripresa ai nostri giorni da diversi commentatori cattolici ed evangelici che si pongono nella prospettiva dell’interpretazione detta futurista. Vedere ad esempio: VIVIEN Louis, L’Apocalypse expliquée par l’Ecriture, Paris 1837, p.88. 56 Agostino, Città di Dio, XX,19. Nella 2 Timoteo 3:1-6, l’Apostolo descrive la corruzione della società cristiana degli ultimi giorni. “Sarà uno straripamento dell’immoralità, ma sotto apparenze di pietà. La descrizione che ne è fatta richiama quella della società pagana, Romani 1, ma con la differenza che questa volta è la cristianità stessa che sarà il teatro di questo stato di cose. L’avvertimento con il quale inizia il versetto 6 “anche costoro schiva”, persone che non devono venire che alla fine dei tempi, è giustificato al versetto 6 con la nota che a questa specie di empi apparterranno di già degli individui attualmente viventi che l’apostolo caratterizza in ciò che segue, e che sono ai suoi occhi i precursori della generazione corrotta degli ultimi tempi” GODET Frédéric, Introduction au Nouveau Testament - les épîtres de S. Paul, t. I, Neuchâtel 1893, pp. 660,661. 57 Crisostomo, IIIa Omelia su 2 Tessalonicesi 2, in Œuvres complètes, ed. Bareille, XIX, Paris 1868, p. 324. 55
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dopo Gesù Cristo se non la Chiesa”.58 Del resto “mai, dopo la morte di Cristo, il tempio di Gerusalemme è stato chiamato dagli apostoli il tempio di Dio”.59 Paolo con la parola ”naos” tempio indica la Chiesa, sia come insieme dei credenti, sia come singolo credente nel cui cuore dimora lo Spirito Santo: “Non sapete voi che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi? Essendo stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare, sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore. E non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che abita in voi? Poiché noi siamo il tempio dell’Iddio vivente”.60 Quindi “Paolo ha visto il tempio spirituale, la casa di Dio in ispirito, la Chiesa”.61 Che questo tempio si riferisca alla Chiesa è ciò che è stato creduto anche durante il Medio Evo. Il cronista inglese Roger de Hoveden, verso il 1200, parlando dell’entrata dell’Anticristo nel tempio di Dio, aggiunge al testo di Paolo questa parafrasi: “cioè nella santa Chiesa”.62 Nel XVII secolo, il pastore P. Jurieu, che dalla Francia si era rifugiato in Olanda, scriveva: “Il tempio di Dio è la Chiesa cristiana stessa, nella quale il trono dell’Anticristo si è innalzato”.63 Nella Chiesa questo avversario si innalza al di sopra di tutto ciò che è oggetto di culto o che si tiene per augusto (greco sebasma = oggetto di culto, corrispondente al latino augusto). All’imperatore (sebasma = augusto) al tempo di Paolo si rendeva un culto e lo si chiamava Dio. Quindi questo potere doveva elevarsi al di sopra di tutti questi semi-dèi, e attribuirsi onori divini, non solamente nell’ambito dell’impero, ma soprattutto nella Chiesa,64 dove siede. Paolo descrive con altre espressioni le parole del profeta Daniele quando diceva di questo potere: aveva una “bocca” e proferiva grandi cose e parole arroganti, bestemmie, giungendo a dire (commenta Paolo) “che egli è Dio”, pretendendo di governare la Chiesa con una scienza infallibile, dispensandola dall’osservanza del decalogo, ritenendo i suoi ordini superiori a quelli della Sacra Scrittura, dichiarando ad ogni creatura che è necessario sottomettersi a lui per essere salvata. A conferma della profezia di Paolo la storia ci testimonia che, per esempio nell’VIII secolo, Gregorio II si vantava davanti all’imperatore d’Oriente che “tutti i re dell’Occidente riverivano il papa come un Dio sulla terra”. Pipino domandò al papa l’autorizzazione per usurpare il trono di Francia. I monarchi d’Occidente consentirono a prestare giuramento “di aderire e di 58
P. Jurieu, Préjugés, t. I, p. 78; confr. Matteo 24:2; Efesi 2:20,22. L. Gaussen, o.c., t. III, p. 98. 60 1 Corinti 3:15; Efesi 2:20; 1 Corinti 3:19; 2 Corinti 6:16. 61 L. Bonnet, o.c., p. 499. 62 HOVEDEN Roger de, The Annals, t. II, London 1853, p. 184; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 29. 63 JURIEU Pierre, Accomplissement des prophéties, t. I, Rotterdam 1689, p. 51. 64 Per una considerazione più completa di come avvenne questo passaggio dal culto all’imperatore pagano al vescovo di Roma, vedere il nostro Capitolo XI. 59
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sottomettersi al papa e alla Chiesa romana”. Giovanni, re d’Inghilterra, cedette la sua corona tra le mani del legato papale, per riceverla poi come un vassallo feudatario del regno di Roma: “Poiché gli è stata data autorità su tutte le tribù, lingue e nazioni”. E.B. Elliott riporta che gli ambasciatori delle due Sicilie, prostrandosi davanti al Papa, dicevano ad alta voce: “Tu sei l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. E il famoso Gerson dichiarava: “Il popolo considera il papa come il solo Dio, che ha ogni potere nel cielo e sulla terra”. Anche dopo la Riforma si trova ancora presso i popoli cattolici una sottomissione simile. Nel 1600 Ravaillac diceva: “Dio era il papa e il papa era Dio”. L’ultimo concilio prima della Riforma aveva sancito la bolla del papa Bonifacio VIII, che racchiudeva la seguente dichiarazione di fede: “Come c’è un solo corpo della Chiesa e della cristianità, così c’è una sola testa cioè il Vicario di Cristo, ed è necessario alla salvezza di ogni essere umano essere sottomesso al potere di Roma”.65
Persona o personificazione L’apostolo Paolo voleva indicare una persona fisica (un individuo) o una persona morale (una collettività, un potere dinastico) o tutte e due contemporaneamente? L’Enciclopedia Cattolica dice: “L’uomo del peccato può dirsi individuale solo in quanto incarna un tipo”.66 Come già abbiamo esposto, i Padri della Chiesa e anche i commentatori più recenti hanno visto nel piccolo corno di Daniele VII l’avversario, l’uomo del peccato di Paolo. Ma in questa identificazione hanno immaginato spesso questo potere, come quello delle altre corna, come un individuo singolo, personale.67 È questo modo di vedere che ha impedito di identificare questo avversario di Cristo nel suo progressivo manifestarsi, sebbene numerose siano le testimonianze di coloro che anche nel Medio Evo vi hanno visto la sede romana. Come già abbiamo avuto modo di dire, per il profeta Daniele, re e regno sono sinonimi, per il fatto che il re è il rappresentante del regno e il regno è rappresentato dal susseguirsi dei suoi re, magistrati, leggi, forze che lo sostengono e lo definiscono come potere. 65 Questa bolla non è mai stata revocata. Vedere E.B. Elliott, o.c., p. 140, 141; vedere DOELLINGER Ignazio, Il Papato dalle origini fino al 1870, Mendrisio 1914, p. 124. 66 Enciclopedia Cattolica, articolo Anticristo, Città del Vaticano, t. I, p. 1438. 67 Il primo a sostenere che si tratti di una persona fisica è stato “il monaco Adson, (De ortu et tempore Antichrist, scritto nel 954, MIGNE, P.L., 101, col. 1289-1298. Vedere P. de CHARLIAC, L’Antéchrist du moine Adson, Paris 1905) in un trattato indirizzato alla regina Gerberge, moglie del re Luigi d’Oltremare, è stato poi ripreso dal gesuita italiano Roberto BELLARMINO, che ha consacrato un trattato all’anticristo nelle sue Disputationes de Controversia, pubblicate a Ingolstadt 1586-1593, a Venezia 1596, a Sedan 1618-1619, a Cologne 1617-1623; dal domenicano spagnolo Tomas MALVENDA, De Antichristo, Roma 1604, Valenza 1621, Lyon 1647; dal gesuita belga Lenaert LEYS o LESSIUS, De Antichristos, Anversa 1611. È stata poi difesa dal francescano belga Rigaux, che afferma: “Immediatamente prima della parusia di Gesù, apparirà un individuo ostile a Dio e agli uomini: l’anticristo” o.c., p. 408” A.F. Vaucher, o.c., p. 33.
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Sia per Daniele, sia per Paolo questo potere sorge quando l’ostacolo viene rimosso, cioè dopo la caduta dell’Impero Romano, e sussiste fino al ritorno di Gesù, con una durata nel tempo di numerosi secoli. Non è perciò possibile pensare, basandoci sulla rivelazione di Dio, che questo potere debba manifestarsi in futuro68 o volere cercare nel passato un personaggio che possa realizzare il testo biblico. Il gesuita cileno M. Lacunza, nella sua opera Venida, consacra oltre cento pagine alla questione di questa figura religiosa e parlando della personificazione scriveva: “Da tutte le caratteristiche date nelle Sacre Scritture, e da altre, non equivoche, che ci apporta il tempo, che si pensa essere il migliore interprete delle profezie, l’anticristo, o controcristo, da cui noi siamo minacciati per i tempi che precedono immediatamente la venuta del Signore, non è nient’altro che un corpo morale, composto d’innumerevoli individui, diversi ma moralmente uniti e animati dallo stesso spirito d’opposizione contro il Signore e contro il suo Cristo”.69 Lo stesso gesuita scriveva che del resto il singolare lo si usa correntemente quando si parla di una collettività: d’un gruppo di persone. Si dice: l’assemblea legifera, la nazione si difende ecc. Nell’epistola agli Ebrei è detto che il sommo sacerdote entra nel santuario. Chi è questo sommo sacerdote? Sono tutti i sacerdoti che compiono questa funzione. Paolo stesso nella sua lettera ai Romani, parlando dell’atteggiamento del mondo ebraico, parla come se si rivolgesse a una persona sola: “... Sprezzi tu le ricchezze della sua benignità... non riconoscendo che la benignità di Dio ti trae a ravvedimento”.70 Delle pietre che formano un palazzo, una cattedrale, una volta che sono assieme, messe al loro posto, non si può più parlare che al singolare, come un tutt’uno: un edificio. Così questo personaggio, considerato individualmente, è una schiera innumerevole ma, formando un’unica lega, compone questa macchina anticristiana, uno stesso corpo chiamato da Paolo “uomo del peccato, figlio della perdizione, avversario” e da Giovanni “anticristo”.71 68 Questa idea di un anticristo individuale che deve ancora venire è stata resa popolare da numerosi autori protestanti di tendenza plimontista (che credono nel rapimento della Chiesa prima del ritorno di Gesù e nel compimento della 70a settimane per quello stesso periodo - Vedere a tale proposito il nostro Capitolo XXII, nota n. 12 e Appendice n. 4. Vedere PEMBER George Hawkins, The Antichrist, London 1886; 2a ed., 1888. 69 M. Lacunza, o.c., 2a parte, phén. III e IV. Per questo gesuita però l’anticristo era rappresentato da quella massa di cattivi cristiani che, sotto l’influenza volteriana, non avrebbero esitato a tagliare i legami che li univano al cristianesimo. 70 Ebrei 9:7; Romani 2:4. 71 LACUNZA Manuel., Nouveau Commentaire des prophéties de Daniel, de l’Apocalypse et les nouveaux cieux et la nouvelle terre, ed. Antomarchi, 1934, pp. 157-159. L’idea dell’anticristo come corpo morale “si trova espressa in un trattato al quale alcuni attribuiscono una origine valdese altri una origine ussita. Traité de Antichrist, testo romano e traduzione francese in PERRIN Jean Paul, Histoire des Vaudois, Genève 1619, pp. 253-295. Riprodotto in MONASTIER Antoine, Histoire de l’Eglise Vaudoise, vol. II, Lausanne - Toulouse 1847, pp. 322-363. Il manoscritto che è scomparso avrebbe portato la data del 1120. Ma i critici moderni assegnano a questo trattato una data più tardiva. “La sua origine ussita era stata supposta da DIEHKOFF, ma GOLL ha il merito di averlo dimostrato. Risale in effetti a Luca di Praga” COMBA Ernesto, Histoire des Vaudois d’Italie, t. I, pp. 266,267. Luca di Praga è nato verso il 1460 e morto nel 1528. Per l’autore di questo trattato, l’anticristo è sinonimo di anticristianesimo. “A seguito della sua definizione, l’anticristo non è una persona, ma una personificazione abbastanza vaga della ribellione ipocrita alla Chiesa di Dio e ai suoi statuti legittimi” Comba E., Idem, p. 267; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 34.
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Nel supplemento de Le Dictionnaire de la Bible del Vigouroux viene confermata questa spiegazione per il fatto che “il Nuovo Testamento non favorisce l’idea di un anticristo personale. Scritturalmente parlando, non vi è anticristo, non ci sono che degli anticristi, dei falsi profeti e dei falsi Messia, essendo ben inteso che quelli degli ultimi tempi potranno avere una malattia più perfida e una potenza più terribile”.72 Quindi questo personaggio, dice il cattolico J. Bonsirven, è “una collettività, ma che può sfociare in una personalità più marcata”.73 Questo modo di vedere era quello del papa Gregorio I, vescovo di Roma (590-640), il cui pensiero è stato riassunto dal giansenista François Jacquemont: “L’Anticristo, secondo questo santo papa, non è solamente un uomo particolare; è una società d’uomini malvagi tra i quali ce n’è uno più terribile di tutti gli altri, che è come la testa del corpo”.74 Calvino scriveva a tale proposito: “Ora egli (Paolo) descrive il re di questa terribile abominazione con la persona di un uomo: poiché questo re non è che uno, benché gli uni succedano agli altri”.75
Il papato ne è la sola realizzazione Che nel papato si abbia il prodotto, la manifestazione del mistero dell’iniquità, è ciò che si è riconosciuto da sempre attraverso i secoli. Oggi non più, sia perché il papato esercita tutta la sua influenza anche in favore dei diritti dei più deboli e dei valori sociali e sia perché, in un clima di pseudo ecumenismo, i protestanti stessi, avendo ammorbidito i loro punti di riferimento biblici, non vedono più ciò che i loro padri hanno visto. Quando Giovanni il Digiunatore, vescovo di Costantinopoli, nel 588 prese il titolo di VESCOVO ECUMENICO o UNIVERSALE, il vescovo di Roma, Pelagio II, respinse vivamente tale pretesa definendola: esecrabile, profana, diabolica. Queste invettive furono riprese da Gregorio I, detto il Grande (590-604), che scriveva una lettera all’imperatore Maurizio nella quale, dopo averlo esaltato per il suo nobile sentimento cristiano, citava Matteo XVI:18,19 che commentava con queste parole: “Ecco dunque! Egli (Pietro) ha le chiavi del Regno; e la potenza di legare e sciogliere gli è stata data. Curare e governare la Chiesa, è questo il suo compito, e tuttavia non è chiamato Apostolo Universale. Ma Giovanni (il digiunatore), questo santo uomo, mio compagno di servizio lavora nel farsi chiamare vescovo universale”. Dopo aver detto che da quelle parti (l’Oriente) sono sorte le varie eresie, aggiungeva: “Ma, lontano dai cristiani questo nome di bestemmia, con il quale si toglie ogni onore agli altri sacerdoti, mentre uno solo se lo arroga follemente! Fu offerto (il titolo) ai vescovi di Roma dal santo concilio di Calcedonia, per onorare S. Pietro, il principe 72
BUZY Denis, art. Antichrist, in Supplement au Dictionnaire de la Bible di Vigouroux, t. I, col. 305. BONSIRVEN Joseph, L’Apocalypse de S. Jean, Paris 1951, p. 232. 74 Anonimo, Avis aux fidèles sur la conduite qu’ils doivent tenir dans les disputes qui affligent l’Eglise, 1796, p. 345; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 36. 75 CALVIN Jean, Commentaire sur toutes les Épîtres de l’Apôtre S. Paul, Genève 1560, p. 600. 73
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degli apostoli; ma nessuno di loro (dei vescovi di Roma) l’ha mai preso, e ha voluto servirsene, per paura che, se questo privilegio era accordato a uno, tutti gli altri fossero privati dell’onore che è loro dovuto... Questo uomo (Giovanni il digiunatore), che disprezza l’obbedienza ai canoni, deve essere umiliato dall’ordine del nostro piissimo Sovrano sì, deve essere castigato, colui che ha fatto una ingiuria alla Chiesa cattolica; colui il cui cuore si è elevato e che cerca di compiacersi da se stesso, adottando un titolo straordinario, che lo eleva al di sopra dell’imperatore!... (poi aggiungeva) Chiunque si eleva sarà abbassato”.76 Questa lettera non ebbe l’effetto sperato e il vescovo successore di Giovanni ne conservò il titolo. Maurizio, imperatore di Costantinopoli, invitò Gregorio I a non fare uno scandalo per “una sofisticheria di stile”. Per “questa sofisticheria di stile” Gregorio rispose all’imperatore: “Io dico senza la minima esitazione che chiunque si chiama il vescovo universale o desidera questo titolo, è, per il suo orgoglio, il precursore dell’anticristo, poiché egli pretende anche di elevarsi al di sopra degli altri. L’errore nel quale cade viene da un orgoglio uguale a quello dell’anticristo, perché, come questo perverso vuole essere considerato elevato al di sopra degli altri uomini, come un Dio, così chiunque desidera essere chiamato solo vescovo si eleva al di sopra degli altri”.77 Una rondine nel firmamento del papato non fa primavera. Se Gregorio I è stato un grande vescovo, non così si può dire dei suoi successori e predecessori. G. Calvino scriveva: “San Gregorio detesta una tale dominazione come esecrabile, piena di sacrilegio, e propria all’anticristo solo. A chi crederemo, al papato che al papa stesso?”.78 Nel 607 Bonifacio III, indipendentemente dal suo predecessore Gregorio I, sollecita per sé, al nuovo imperatore Foca, il titolo di Vescovo Universale. Questo imperatore, che aveva usurpato il trono con l’assassinio di Maurizio, e voleva diminuire l’influenza del vescovo di Costantinopoli, lo spogliò del titolo che portava da diversi anni assegnandolo a Bonifacio III, ponendo così la Chiesa di Roma alla testa di tutte le chiese della cattolicità. 76
Gregorio, Epistole Gregorio Magno, XXXII; cit. da GUERS Émile, Histoire abregée de l’Eglise, Genève 1850, pp. 87-92. A proposito di Matteo 16:18 questo vescovo di Roma diceva: “Perseverate nella vera fede, fondate solidamente la vostra vita sulla roccia della Chiesa, cioè sulla confessione di S. Pietro, il principe degli apostoli”. I papi Felice III (526-530), Nicola I (858-867) e Giovanni VIII (872-882) davano ancora questa spiegazione. Anselmo, arcivescovo di Canterbury, nell’XI secolo, spiegava: “Io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra (che è Gesù e portava così la mano sul petto) io edificherò” Idem, pp. 110,111. Per una interpretazione patristica inviamo il lettore a SALVONI Fausto, Da Pietro al Papato, Genova 1970, pp. 91-98. “Quanti Padri si sono occupati di questi passi (Matteo 16:18; Giovanni 21:18)! Pure nessuno di quelli di cui possediamo tuttora i commentari, Origene, Crisostomo, Ilario, Agostino, Cirillo, Teodoreto, né quelli le cui spiegazioni sono raccolte nelle catene hanno designato, sia pur con una sillaba, il primato di Roma come conseguenza della missione data a Pietro e delle promesse ch’egli aveva ricevuto. Neppure uno fra loro ha interpretato la “pietra” o fondamento sul quale il Cristo vuol edificare la sua Chiesa come un incarico particolarmente conferito a Pietro e, dopo di lui, trasmissibile ereditariamente; essi intendevano con ciò il Cristo stesso o la fede di Pietro confessata in Cristo” I. Doellinger, o.c., pp. 42, 43. 77 Gregorio I, Epistole, libro VII, lettera XXXII; vedere MIGNE, P.L., LXXII, col. 891, 892; cit. da È. Guers, o.c., pp. 92,93; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 39. 78 CALVIN Jean, L’Intérim, 1549, p. 141, ed. latina 1549, p. 116; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 39.
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Gregorio aveva detto tra l’altro: “Come la verità ha scelto, per predicare l’Evangelo, delle persone semplici e povere, l’anticristo, al contrario sceglierà, per compiere la sua opera d’empietà, degli uomini fini, destri, furbi e ripieni della scienza del mondo” e ancora: “Il principe dell’orgoglio è prossimo, e ciò è stupefacente, una schiera di sacerdoti (sacerdotum exercitum), stabiliti per essere dei modelli d’umiltà, ma non pensando che ad elevarsi, diventano i suoi precursori”.79 Ed è così che “il sistema che fu più tardi chiamato “sistema papale” fu respinto con orrore dal migliore e maggiore fra i papi, Gregorio Magno, quando cominciò a manifestarsi e benché in origine non consistesse se non in titoli onorifici. Secondo questo sistema il papa possiede la pienezza del potere; tutti gli altri vescovi non sono che degli assistenti, degli aiuti ch’egli si procura. Ogni altro potere è emanazione del suo proprio ed egli è vescovo di ogni diocesi con la concorrenza del vescovo del luogo. Gregorio, dando questo significato al titolo di “patriarca ecumenico” non sopportò che gli si decretasse un titolo così delittuoso e irriverente”.80 Nel documento le Donazioni di Costantino81 presentato a Pipino re dei Franchi, troviamo per la prima volta, e forse è anche l’unico testo ufficiale, che il Vescovo di Roma viene menzionato col titolo di Vicarius Filii Dei. “Fino al termine del XII secolo il papa fu denominato Vicario di San Pietro ma a partire da Innocenzo III (1198-1216) si preferì il titolo di Vicario di Cristo e l’antica denominazione fu dimenticata... Anticamente si era dato a tutti i vescovi il titolo di rappresentante di Cristo; ma il giorno in cui il papa lo prese esclusivamente per sé, questo titolo significò: Io sono sopra la terra il rappresentante di Dio onnipotente, il mio potere domina dall’alto ogni potenza e barriera terrestre, in me, e solo per mezzo mio, la Chiesa è libera. Secondo la concezione clericale del Medio Evo la Chiesa è libera solamente quando domina tutto e tutti e, in ultima analisi, il papa è, per sé solo, tutta la Chiesa... Il Papato nella forma assunta, appare nell’organismo della Chiesa come
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Cit. da É. Guers, o.c., p. 110. I. Doellinger, o.c., p. 55. 81 Questo documento è da secoli universalmente riconosciuto come un falso. Creato nelle officine Vaticane nel 778 o secondo altri tra il 753,754, presenta il riconoscimento che l’imperatore Costantino avrebbe fatto al vescovo di Roma: “Pietro che è stato stabilito sulla terra quale Vicario del Figlio di Dio, i pontefici che esercitano il principato al suo posto, ottengono, concesso da noi e dal nostro impero una potenza sovrana superiore a quella che possiede qui in basso (sulla terra) la nostra benevola serenità imperiale... Così noi siamo decisi a onorare con il più grande rispetto la potente e sacrosanta Chiesa romana ... Il pontefice (di Roma) avrà il primato sulle quattro principali sedi di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli e anche su tutte le altre Chiese ... Il papa, che al presente è alla testa della sacrosanta Chiesa romana, è il capo più eminente di tutti i sacerdoti del mondo; gli affari concernenti il culto divino, la fede e la stabilità cristiana sono riservati al suo giudizio. Noi decretiamo anche che il nostro venerabile padre, Silvestro (314-335), pontefice supremo, come i suoi successori, porteranno il diadema, cioè la corona d’oro purissimo e di pietre preziose che noi gli abbiamo concessa, prendendola dalla nostra testa. Ma il santissimo papa avendo rifiutato di sovrapporre una corona d’oro a quella della clericatura che portava alla gloria del beato Pietro, abbiamo posto di nostra mano sulla sua fronte sacrissima il phrygium, il cui colore bianco proclama la splendida resurrezione del Signore, e, tenendo le briglie del suo cavallo, gli abbiamo reso, per onore al felice Pietro, il servizio di scudiero... ”. Quest’ultima frase è anacronistica e dimostra l’inautenticità di questo documento. Tenere le briglie e fare il servizio di scudiero è un segno di vassallaggio che si viene a creare diversi secoli dopo l’epoca di Costantino. Altre affermazioni nel testo confermano la sua inautenticità costantiniana. 80
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escrescenza malata e difforme che l’opprime, arresta e decompone la parte migliore delle sue forze, generando a sua volta numerose infermità”.82 Nei confronti di questo avversario numerose furono le voci che si levarono attraverso i secoli. Il Vescovo di Trèves e di Colonia nel IX secolo al papa Nicola I (858-867) rivolgeva queste parole: “Tu ti sei insolentemente preso gioco dei tuoi fratelli e compagni di servizio. L’imperatore immortale ha arricchito la Chiesa, sua Sposa, di doni eterni... Ma tu, come un ladro, tu glieli rapini tutti, come se essi ti appartenessero... Sotto l’abito del pastore, tu fai sentire il lupo; il tuo titolo ci promette un padre, i tuoi fatti ci mostrano un Giove. Ti dici servitore dei servitori83 ma ti sforzi di essere signore dei signori... Noi non riconosciamo per nulla la tua voce; noi non crediamo per nulla alle tue folgori... La città del nostro Dio, della quale siamo cittadini, è più grande della città che i profeti chiamano Babilonia, che usurpa la divinità, che si uguaglia al cielo e si vanta di essere eterna, come se fosse Dio... Essa si glorifica falsamente di non aver mai errato, e di non potere neppure errare”.84 Nello stesso periodo si trovano dichiarazioni con le quali il Papa viene definito ancora più pesantemente. “Claudio, vescovo di Torino, che alcuni citano come il ceppo della setta albigese o valdese, rimproverato di declamare contro il Papa, scriveva di sé: “Non è meraviglia che i membri di Satana parlino di me in tal guisa””.85 Il cardinale Baronius, zelante papista, diceva che “il IX secolo vide sulla cattedra di S. Pietro, trono di Gesù Cristo, degli uomini mostruosi, d’una vita infame, di costumi interamente perduti e d’una turpitudine abominevole” e i papi del X secolo li sorpassarono in infamia. Verso la fine del X secolo Arnaldo, vescovo di Orléans, si pose alla testa dell’episcopato francese per opporsi alle empietà del papato. Promotore di un concilio che si tenne nel monastero di S. Basile, vicino Reims, nel giugno del 991, pronunciò un discorso veemente nel quale si ispirava al passo dell’epistola di Paolo ai Tessalonicesi relativo all’empio. “Quale è questo uomo seduto sul suo trono risplendente nel suo abbigliamento di porpora e d’oro? Se la carità gli fa difetto, e se
82
I. Doellinger, o.c., pp. 121,122,15. Fu Gregorio I a prendere il titolo di “servo dei servi di Dio”. Nella bocca dei suoi successori fu però spesso un nome d’orgoglio. 84 Cit. da É. Guers, o.c., p. 137. 85 Apologeticum prescriptum Claudii Episcopi etc.; cit. da ROSSETTI Gabriele, La Divina Commedia di Dante Alighieri, t. II, Londra 1827, p. 479. Il talento oratorio di questo uomo colpì molto Louis le Débonnaire figlio di Carlomagno, del quale era cappellano. Questo re constatando l’ignoranza della Sacra Scrittura degli italiani del Piemonte, regione che faceva parte del suo regno, gli offrì l’episcopato di Torino che comprendeva Piemonte, Provenza e Delfinato (817). Claudio sosteneva la salvezza per fede, sebbene non volesse una fede disgiunta dalle buone opere. Rifiutava le preghiere per i morti, e suscitò una grande reazione quando volle liberare le chiese dalle abominazioni delle immagini. Insegnava che Dio domanda di portare la croce in senso spirituale e non di portarla in processione. Se si adora la croce allora perché non adorare la stalla, la mangiatoia, le lenzuola, la lancia, la corona di spine ecc.. Vedere É. Guers, o.c., pp. 159-165. 83
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egli non è gonfiato e sostenuto che dalla scienza, è l’Anticristo che si siede nel tempio di Dio, e volendo far credere che egli è Dio”.86 Nel XII secolo, un sacerdote di Autun, Honorius, esclamava: “Guardate questi vescovi e questi cardinali di Roma! Questi degni ministri che circondano il trono della bestia! Essi sono sempre occupati da nuove iniquità e non cessano per nulla di commetterne delle altre”. Concludeva poi tristemente: “Il regno di Dio è finito, e quello dell’Anticristo è incominciato: un nuovo diritto ha rimpiazzato l’antico diritto; la teologia scolastica è uscita dal fondo dell’inferno per soffocare (strangolare) la religione; infine, non c’è più né morale, né dogma, né culto, ed ecco venire gli ultimi tempi annunciati dall’Apocalisse”.87 Del papa Ildebrando, Gregorio VII (1073-1085), si diceva: “Il rabbioso Satanno è stato scatenato (che la potente mano di Dio voglia distruggerlo)”. E il monaco Ramperto Scaknaburgense, nella sua storia scritta nel 1076, diceva di lui: “Satanasso è sbucato dalla prigione e devasta la Chiesa”.88 Riporta il Guers: “Bernard de Clairvaux, l’ecclesiastico più distinto del XII secolo, si lamentava che gli ambiziosi, i fornicatori, gli avari, i simoniaci, i sacrileghi, gli incestuosi, accorressero da tutte le parti a Roma, per ottenere delle dignità clericali, o per mantenersi in quella che possedevano di già. Al papa Eugenio III (11451153) scriveva: “La tua sede è il domicilio dei demoni piuttosto che il parco delle pecore. S. Pietro faceva così? S. Paolo si rallegrava in tal modo?... Chi mi darà prima che io muoia, di vedere la Chiesa di Dio, come essa era negli antichi giorni, quando gli apostoli gettavano le reti per prendere non l’oro o l’argento, ma delle anime? Io mi auguro che tu erediti il linguaggio di colui di cui hai la sede! Che il tuo argento perisca con te! O voce di tuono o voce di grandezza e di forza””. Ancora nel XII secolo Pierre de Blois diceva: “O vana gloria! O ambizione cieca! O fame insaziabile degli onori della terra! come ha prevalso questa esecrabile presunzione che siano i più indegni che ambiscono le dignità... Coloro che dovrebbero essere i vicari degli apostoli e i figli di Pietro sono diventati i compagni di Giuda e i precursori dell’Anticristo e preamboli Anticristi... Coloro che dovrebbero essere le luci del firmamento sono diventati delle macchie nella luna. Il sole è oscurato dal fumo che sorge dal pozzo dell’abisso. Il sale della terra si è reso insipido e la luce del mondo si è cambiata in tenebre... Oggi la compagnia dei preti è la rovina dei popoli...” Fluentius, vescovo di Firenze, predicava che l’Anticristo è venuto nel mondo e che l’Italia lo ha visto nascere. Gioacchino, abate di Calabria, morto nel 1205, insegnava che l’Anticristo era nato negli Stati romani e che si sarebbe elevato perfino sul seggio di Roma.89
86 87 88 89
LECLERCQ H., in HEFELE, Histoire des Conciles, vol. IV, 2, p. 858 nota; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 39. CHAVARD F., Le célibat des prètres et ses conséquences, Genève 1874, pp. 383,384. Concili impressi in Colonia, t. II, anno 1551, p. 814; cit. da G. Rossetti, o.c., p. 479. Cit. da É. Guers, o.c., pp. 213,214,221,239. Quando la profezia diventa storia
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Nel sinodo di Ratisbonne, in Baviera, nell’anno 1241, Eberhard de Truchsen, arcivescovo di Salisbourgo, alzava a sua volta la voce contro il dispotismo romano, ed è al profeta Daniele VII e dalla II Tessalonicesi II che prende in prestito le sue armi: “Da circa 170 anni Ildebrando (Gregorio VII) sotto pretesto della religione, cominciò a gettare le fondamenta dell’impero dell’anticristo... Colui che si chiama il servitore dei servitori vuole essere il Signore dei signori come se egli fosse Dio, e parla magnificamente come se fosse Dio, svolge dei nuovi disegni nel suo cuore, medita di farsi un impero in cui lui solo sia il padrone, cambia le leggi, stabilisce le sue, insozza, guasta, saccheggia, spoglia, imbroglia, uccide: è ciò che fa questo uomo di peccato che si chiama l’anticristo, sulla fronte del quale è scritto questo nome di bestemmia: io sono Dio, io non posso errare. È seduto nel tempio di Dio e domina in lungo e in largo”.90 Robert Grouteheade (Grosseteste), vescovo di Lincoln, dal 1235 al 1253, fu autore di un commentario sull’Apocalisse e identificava l’Anticristo con il papato.91 Seguaci di Gioacchino da Fiore e francescani spirituali, nel XIII e XIV secolo, cercavano l’Anticristo sul trono pontificio, nella persona dell’antipapa.92 Valdesi, Wycliffiti e Ussiti combattevano le pretese papali appoggiandosi sugli scritti di Daniele, di Paolo e dell’Apocalisse.93 In Lutero stesso c’è stata una evoluzione dall’ipotesi, alla convinzione e alla assoluta certezza che il papato fosse l’Anticristo. “Egli aveva emesso questa idea (che le profezie bibliche concernenti l’Anticristo avessero trovato il loro compimento nel papato) come ipotesi l’11 dicembre 1518 in una lettera a un amico intimo (Spalatin cioè Georg Burckhardt, cappellano dell’elettore Federico). Il 13 marzo 1519 scriveva a Spalatin (aggiungendo tra 90 Il discorso ci è stato conservato da Johann THUERMAIER (AVENTINUS) Annal. Boiorum, livre VII, cap. V. Nell’edizione di Bale, 1850, p. 547, vi si trova il passo in latino. JURIEU Pierre, Préjugés légitimes contre le papisme, t. I, Amsterdam 1685, pp. 157-159. 91 Vedere BALE John, Scriptorum ill. Majoris Brit. Catalogus, t. I, Basilea 1557, p. 304. 92 “Roger de Hoveden, nella sua Chronica, redatta a partire dal 1192, ed. William Stubbs, III, London 1870, p. 78, attribuisce all’abate Gioacchino da Fiore la strana opinione secondo la quale l’anticristo sarebbe stato sul punto di occupare il seggio apostolico. Pierre de Jean Olivi, annunciava l’apparizione di due anticristi, di cui l’uno, detto l’anticristo mistico, sarebbe un antipapa. La Chiesa carnale retta da un antipapa non sarebbe che la sinagoga di Satana dalla quale bisognerebbe accelerare l’uscita al fine di prepararsi per la venuta del Cristo. Vedere CALLAEY Jean Baptiste Auguste (in religione Frédégand), Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. XI, col. 987. DOUIE Decima Langworthy, The nature and the effect of the Heresy of the Fraticelli, Manchester 1932, p. 115.
Rinchiuso in una fangosa prigione, nel convento di Figeac, nel 1345, Jean de Roquetaillade si domandava perché Dio aveva permesso che fosse abbandonato in mani di padroni così crudeli. Credette di ricevere una rivelazione: “Mi fu dato di comprendere chiaramente che se ero caduto in una tale prova, era perché dovevo rivelare al mondo l’anticristo, la sua razza e la sua setta” Prologue des Visions, Paris, Biblioteca Nazionale, manoscritto latino 3598, fol. 1” A.F. Vaucher, o.c., p. 44. 93 “Valdesi, Wyclifiti e Ussiti riunirono papi e antipapi in uno stesso rimprovero, e combatterono le pretese papali con l’aiuto delle profezie di Daniele, di Paolo e dell’autore dell’Apocalisse. Vedere il Traité de l’Antichrist, testo e traduzione francese in Jean Paul PERRIN, Histoire des Vaudois, Genève 1619, pp. 253-295; - il trattato di Jean MILICZ, scritto nel 1637, Prophecia et revelatio de Antichristo, ed. Ferdinand Mencik in Sitzungsberichte der Boehm. Gesellsch. Der Wissensch. (Philos., Gesch. U. Philol.), Praga 1890, pp. 328-336; - i trattati sull’anticristo (1389) e sull’abominazione della desolazione (1392) di Matthias JANOW, De regulis veteris et novi testamenti, lib. III, fr. 5, 6, ed. Vlastimil Kybal, Innsbruck 1911, 1913; - Jan HUSS, De anatomia Antichristi, Strasburg 1526” A.F. Vaucher, o.c., p. 44.
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parentesi: “io te lo dico all’orecchio”), che “non so se il papa è l’Anticristo o solamente il suo apostolo, tanto la verità è sfigurata nei suoi decreti”. Il 24 novembre 1520, in una ulteriore lettera a Spalatin, è di già più categorico. Dopo aver letto il trattato di Hutten, che dichiarava apocrifa la donazione di Costantino, esclamava: “La mia angoscia è tale che io sono vicino a non più dubitare che il papa sia veramente l’Anticristo che tutti attendono”. Il 18 agosto 1520, qualche giorno dopo la pubblicazione del Manifesto, scriveva a Lang: “Noi siamo persuasi che il papato è la sede dell’Anticristo vero e autentico”. E l’11 ottobre 1520, dopo aver letto la Bolla che lo minaccia di scomunica, dichiarava a Spalatin: “Ora io sono certo che il papa è l’Anticristo” e infine nel suo scritto del 1521 contro Ambrosius Catharinus, spiegava perché era il papa. Aveva usurpato il potere romano, inventando la donazione di Costantino. È una piaga che Dio ha inviato nella sua collera. Vuole spegnere la luce dell’Evangelo destinata a illuminare il mondo. È dunque l’Anticristo predetto da Daniele, dal Cristo, da S. Pietro, da S. Paolo e dall’Apocalisse”.94 Ciò che Lutero disse confidenzialmente nella sua corrispondenza lo pubblicò nel 1520 nel suo Appello alla Nobiltà Cristiana scrivendo: “Io non posso impedirmi di credere che si potrebbe senza ingiustizia chiamare il papa hominem peccati, l’uomo di peccato”,95 e più lontano lo chiamava Anticristo. Ma è nel 1545 che appare “lo scritto più duro, più feroce che sia uscito dalla penna violenta di Lutero”.96 Il panflet di Lutero aveva per titolo Winder das Papstum su Rom, vom Teufel gestiflet - Il Potere del Papato a Roma è stato costituito dal diavolo. Nel 1603 la Chiesa riformata di Francia, al sinodo Nazionale di Gap, stabilisce una confessione di fede. Uno dei suoi articoli verteva sull’anticristo e “divenne un affare di Stato”. L’articolo diceva: “Poiché il vescovo di Roma, essendosi elevato a monarchia nella cristianità, attribuendosi un dominio su tutte le Chiese e i pastori, si è elevato fino a nominarsi Dio, a voler essere adorato, a vantarsi d’avere ogni potenza in cielo e in terra, a disporre di tutte le cose ecclesiastiche, a decidere degli articoli di fede, ad autorizzare e interpretare a suo piacere le Scritture, a fare traffico delle anime, a dispensare dai voti e dai giuramenti, a ordinare nuovi servizi a Dio; e sotto gli occhi della giustizia, a calpestare l’autorità legittima dei magistrati, togliendo, donando, scambiando i regni: noi crediamo fermamente che è propriamente l’anticristo e il figlio della perdizione, predetto nella parola di Dio, sotto l’emblema del vizio vestito di scarlatto”.97 “Malgrado l’opposizione del re, tutte le chiese accettarono, con una approvazione quasi generale, il decreto del sinodo. Il papa si lamentò vivamente. Il suo nunzio fece a Enrico IV delle lamentele amare; ma la parola era scritta, acclamata”.98 “Il sinodo nazionale della Rochelle, convocato nel 1607 decise che, pur approvando unanimemente l’articolo contestato, e tenendolo conforme a ciò che è 94
STROHL Henri, L’épanouissement de la pensée de Luther, Strasburg 1924, p. 316; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 41. LUTHER Martin, Appel à la Noblesse chrétienne, ed. fr. Felix Kuhn, Paris 1879, pp. 69,82,85; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 41. 96 BUONAIUTI Ernesto, Lutero e la Riforma in Germania, p. 373; cit. A.F. Vaucher, o.c., pp. 41,42. 97 GUILLAUME Adam de FELICE, Histoire des protestants de France, 8a ed., Toulouse 1895, pp. 291,292. 98 PUAUX F., Histoire de la Réformation Française, vol. IV, Paris 1860, p. 277; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 43. 95
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stato annunciato nelle Scritture, consentiva, dietro ordine espresso del principe, a lasciarlo fuori dalla confessione di fede. Per contro, incaricò uno dei suoi membri di provare che l’accusa era giusta, e il pastore Viguier adempì la richiesta della commissione pubblicando un libro intitolato Le théatre de l’Antichrist”.99 Altre confessioni di fede protestanti si sono espresse nello stesso modo. Anche alcuni giansenisti sono giunti alle stesse conclusioni. Per esempio Vittore di S. Maria Sopransi (1739-1804), giansenista, carmelitano scalzo, scriveva nelle sue riflessioni sulla Chiesa dei suoi tempi: “Non c’è posto per cercare un altro Anticristo; impossibile trovarne uno più grande di questo. Il cristianesimo non saprebbe vedere nello stesso individuo, nella stessa Chiesa, sullo stesso seggio, il ministro di Dio e quello di Satana, il pastore legittimo e il ladro e assassino, il vicario del Cristo e l’Anticristo, il centro dell’unità e la prostituta dell’Apocalisse, la Chiesa di Dio e la sinagoga di Satana”.100 Purtroppo oggi “l’interpretazione anti-papale è sulla via di essere abbandonata dagli studiosi protestanti”.101 Scrive il cattolico J.T. Forestell: “Sulla scia di eretici medioevali, i Riformatori hanno identificato l’anticristo con il Papa; tale opinione è abbandonata dalla seria esegesi protestante moderna”.102 Ciò che ci rende perplessi non è l’abbandono di una spiegazione pur anche storica, ma il sostituire una spiegazione, che tiene conto delle espressioni del testo biblico e del patrimonio della Chiesa, con delle supposizioni moderne nelle quali tutti i teologi, sia cattolici sia protestanti, si perdono. Come abbiamo visto, c’è un coro unanime che vede nel papato la realizzazione delle parole di Paolo. Coloro che sono ancora incerti a riallacciarsi alla spiegazione dei padri della Chiesa e quelli che hanno saputo valutare la realtà del loro tempo, possano riflettere sulle parole del cardinale Henry Edward Mannig che, a proposito del cattolicesimo scriveva: “Un sistema come questo è così diverso da tutto ciò che è umano; porta delle note, dei segni, delle impronte di un carattere così evidentemente soprannaturale, che gli uomini vi riconoscono oggi, sia il Cristo, sia l’Anticristo. Non c’è una via di mezzo tra questi due estremi. Non ci sono altre soluzioni al di fuori di questa alternativa: o la Chiesa cattolica è il capolavoro di Satana, o essa è il Regno del Figlio di Dio”.103 Si può forse pensare che queste parole del cardinale facciano eco a quelle del protestante Jacopo Brocardo scritte tre secoli prima: “Il papa è il vicario del Cristo o altrimenti è l’Anticristo”.104
99 100 101
Guillaume A. de Felice, o.c., p. 291. Vittore di S. Maria Sopransi, vedere nota 9. HICHCOCK George-Stewart, The Beasts and the Little Horn, London 1911, 1912, p. 4; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p.
42. 102 103
J.T. Forestell, o.c., p. 1128. MANNING Henry Edward, The Fourfold Sovereignty of God, London 1871, pp. 171,172; cit. A.F. Vaucher, o.c., p.
42. 104
BROCARDO Jacopo, The Revelation of St. John, traduzione di James SANFORO, London 1582, fol. 20.
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Dopo di lui il cardinale Newman diceva la stessa cosa: “Il problema, in realtà, si riassume in questa alternativa: La Chiesa di Roma è la casa di Dio o quella di Satana; nessuna via di mezzo tra queste due posizioni. - Il Cristo ha, si o no, lasciato un rappresentante dopo di lui? - Colui che parla nel nome del Cristo deve essere il suo vero ambasciatore o l’Anticristo; non può essere che l’Anticristo se non c’è ambasciatore designato. Quali che siano i suoi atti, è santissimo o colpevolissimo secondo che ha o che non ha l’autorità voluta. O questi atti sono quelli del Cristo o l’Anticristo ne è l’autore; essi appartengono all’Anticristo se il Cristo non è l’autore. Nessuna via di mezzo tra il vice-Cristo e l’Anticristo. - Storicamente, un ordine sacerdotale costituisce l’essenza della Chiesa; se non è di istituzione divina, costituisce l’essenza dottrinale dell’Anticristo”.105 Ancora più vicino a noi il teologo cattolico tedesco Karl Adam afferma: “Il papato si fonda sulla volontà del Cristo, o l’Anticristo ha trovato in esso una forma storica? Per dei cristiani credenti, solo la luce della rivelazione può risolvere questa questione”.106 La luce della rivelazione presenta questo potere con una radiografia con tratti così distinti che non si lasciano contraffare. Sono l’insieme di questi tratti che ci pongono nell’obbligo morale di riconoscere nel vescovo di Roma la loro piena e completa realizzazione. Del resto il Papato e la sua Chiesa non sono altro che, come ha fatto notare l’accademico francese Wladimir conte d’Ormesson che è stato ambasciatore presso la santa sede per otto anni, il punto d’incontro e di fusione di tutte le correnti spirituali che vengono dall’Asia, dal mondo egiziano, greco, celtico e germanico. “Quel che si chiama la Chiesa romana è una fusione di queste diverse spiritualità”.107 “Tutte le caratteristiche dell’Anticristo si sono più che abbondantemente manifestate nel papato, noi non vediamo per nulla la necessità di cercare altrove la realizzazione della profezia di S. Paolo”.108 L’autore sconosciuto del Trattato valdese sull’Anticristo, dopo aver citato II Tessalonicesi II e aver ricordato che il tempio è la Chiesa, dice: “Se questo ribelle è di già venuto in ogni perfezione, non bisogna più cercarlo”.109
Conclusione L’apostolo Paolo è formale nello spiegarci chi è la potenza spirituale che lo sostiene: “La venuta di quell’empio avrà luogo per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi”.110 105
NEWMAN John Enry, The protestant idea of Antichrist - Essays critical and History, t. II, Basil Montagu Pickering, London 1901, pp. 116,171-173; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 42. 106 ADAM Karl, Vers l’Unité chrétienne, Paris 1949, p. 100; cit. da A.F. Vaucher, o.c., pp. 42,43. 107 ORMESSON Wladimir de, Il Papato, ed. Paoline, Catania 1958, p. 156. 108 ELDIN François, Derniers temps et Avenir éternel du grand œuvre humain d’après l’Apocalypse, Paris 1885, p. 296; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 36. 109 A. Monastier, o.c., p. 333. 110 2 Tessalonicesi 2:9. Quando la profezia diventa storia
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La lunga esistenza del papato sarebbe un enigma per il genere umano se a sostenerla non ci fosse una forza che va oltre l’abilità di chi lo ha incarnato, i falsi documenti e l’opera degli apologeti. L’apostolo Paolo risolve questo enigma affermando che chi sostiene questo potere è Satana. Del resto, la storia della Chiesa di Roma è, parafrasando le parole di Paolo, un intrecciarsi di falsi racconti, false tradizioni, false visioni, falsi titoli, falsi libri, false dottrine e falsi miracoli. Gesù dice di Satana: “Non c’è verità in lui. Quando parla il falso, parla del suo, perché è bugiardo e padre della menzogna”. Quello che si è scritto in questo e nel precedente capitolo è riconosciuto universalmente. Ma una domanda s’impone: Perché questo potere continua ad affascinare e ad essere seguito? L’apostolo Paolo risponde: Non perché gli uomini non conoscano la verità, ma semplicemente perché non “l’amano”. Infatti questa istituzione opera “a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati”. Con rammarico constatiamo che teologi, biblisti, studiosi, sia cattolici che protestanti, conoscono le spiegazioni storiche, secolari, di questi due libri profetici di Daniele e dell’Apocalisse e quanto l’apostolo Paolo scrive nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi e le rifiutano per proporre delle alternative che le giustificano, con il pretesto che il testo non è sufficientemente chiaro o che lo scrittore ispirato ha anche sbagliato.
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Capitolo VII PERCHÉ LA RIFORMA PROTESTANTE NON È SORTA E NON SI È AFFERMATA NEI PAESI LATINI
“Per comprendere bisogna ricordarsi che il territorio “la grande città” comprendeva dieci regni” Edward-Bishop Elliott.
Introduzione Con questo capitolo vorremmo precisare quanto detto in precedenza spiegando quali sono, nella prospettiva profetica, i confini geografici di un impero e quando un impero storicamente entra nel quadro della profezia; ciò ci aiuterebbe a capire: a) perché le nazioni latine, anche a seguito della Riforma protestante, sono rimaste cattoliche; b) perché nell’Apocalisse Giovanni vede sorgere per tre volte la stessa bestia con sette teste e dieci corna che rappresenta lo stesso impero, lo stesso territorio geografico, in tre periodi diversi della sua storia, mentre il profeta Daniele, volendo indicare quattro imperi che si susseguono, con i propri territori, presenta quattro bestie, e l’apostolo, nel presentare un’altra potenza con il suo territorio geografico, distinta da quella del mostro con le sette teste e dieci corna, descrive il sorgere di un’altra bestia con le corna simili a quelle di un agnello. Come abbiamo detto, c’è un perfetto parallelismo tra la statua del capitolo II di Daniele e i quattro animali del capitolo VII. Tramite la statua ci viene presentata la storia dell’umanità o, per meglio precisare, la storia delle nazioni che entrano in rapporto con la Terra Santa, con il popolo di Dio, con la Chiesa, così come un monarca pagano la poteva comprendere nel suo “splendore straordinario”; mentre con gli animali si viene a conoscere la natura intima di queste potenze politiche, così come un profeta ebreo la poteva discernere, e come in realtà sono per il fatto che la natura degli Stati è quella di essere separata dalla Parola di Dio.
I quattro principi che delimitano il territorio geografico di un impero Noi troviamo accenni a questi principi sotto la penna di alcuni commentatori che però non sempre sono stati con essi coerenti. Già Isaac Newton ha scritto in questo senso, ma crediamo sia stato Louis Gaussen che ha saputo stabilire a sistema gli argomenti che permettono di delimitare i confini geografici di ognuna delle quattro monarchie indicate dal profeta Daniele.
CAPITOLO VII
Primo principio: dalla conquista di Gerusalemme I confini vengono delimitati dal momento che una potenza estende il suo dominio su Gerusalemme, il popolo di Dio. “Ognuna delle quattro monarchie che vide Nebucadnetsar, benché avesse avuto un’esistenza anteriore, non fu considerata come facente parte del colosso che dal momento in cui essa s’impadronì del dominio della terra profetica, tramite il sovvertimento della potenza che c’era precedentemente. Non si calcola la monarchia dei Medi e dei Persiani che dal momento in cui essa ha preso il posto dei Babilonesi nell’impero del mondo e nella possessione di Gerusalemme. Non si calcola la monarchia dei Greci che dalle conquiste di Alessandro; e non si considera la monarchia dei Latini che dalla presa di Gerusalemme da parte del grande Pompeo”.1
Secondo principio: i confini sono determinati dalla lingua che in prevalenza viene parlata “Per conoscere il territorio di ogni monarchia, bisogna cercare quale sia la lingua parlata in prevalenza... All’oriente del Tigri si parla il persiano. Tra l’Eufrate ed il Tigri il caldeo. Dall’Eufrate all’Adriatico il greco. Nei paesi delle dieci corna il latino”.2 I confini dell’Impero Romano al Nord-Ovest e al Nord-Est sono segnati dai due fiumi: Reno e Danubio, che segnano anche i confini delle lingue neo-latine con quelle germaniche.
Terzo principio: un territorio non può essere attribuito a più monarchie “Cosa è in effetti una bestia se non un impero? Che cosa rappresenta il suo corpo se non un territorio?... Non si può attribuire ad uno stesso paese più d’una monarchia come suo territorio specifico; ognuna delle quattro bestie aveva il suo proprio corpo; e le conquiste che esse hanno potuto fare di volta in volta al di là di questo ultimo non hanno mai, secondo Daniele, fatto parte dei loro corpi; erano solamente, come è precisato per l’orso persiano, “delle costole in bocca fra i denti”, piuttosto che delle membra del suo corpo. “Le tre costole che l’orso teneva tra i denti - ha detto Newton erano i regni di Lidia, di Babilonia, e d’Egitto”. Queste prede, nella sua gola, non furono dunque mai delle membra del suo corpo. L’Egitto, per esempio, la Siria e 1
GAUSSEN Louis, Daniel le prophète, t. II, Paris 1848, p. 20. Idem, pp 216,217. “Questa ragione è ben fondata; tuttavia, non bisogna tirare tutte le conseguenze con troppo rigore; o bene, in questo caso, bisognerebbe porre i limiti dell’Impero (romano) sulle cime delle Alpi Noriche piuttosto che sulle rive del Danubio altrimenti si dovrebbe escludere dall’Impero, se non l’Ungheria, dove l’uso del latino si è notevolmente conservato, almeno la Baviera dove non si parla che il tedesco” Idem, p. 217.
2
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l’Asia Minore sono successivamente appartenute alle quattro monarchie; ma questi paesi non hanno fatto realmente parte che del corpo della terza bestia”.3
Quarto principio: autorità religiosa “Il territorio proprio alla quarta bestia o Impero Romano è quello che non fece parte delle tre precedenti monarchie. Esso formò più tardi l’Impero d’Occidente, conservando Roma, come sua capitale”.4 Secondo la profezia del capitolo VII, “I dieci regni della quarta monarchia devono essere sottomessi alla corte di Roma”.5 “E così, - scrive il Maestro Vaucher - ai criteri politici e linguistici viene ad aggiungersi un criterio religioso che permette di eliminare i territori in cui la Riforma si è stabilita nazionalmente”.6
Le gambe di ferro della statua tetrametallica di Daniele non rappresentano l’Impero Romano d’Oriente e l’Impero Romano d’Occidente Le gambe di ferro della statua che raffigurano l’Impero Romano non possono per nessun motivo rappresentare l’Impero (greco) Romano di Oriente e l’Impero (latino) Romano d’Occidente. Non ha senso cercare il sorgere di cinque regni, raffigurati dalle cinque dita di ogni piede sul territorio dell’Occidente e su quello dell’Oriente. Questo non si è mai verificato nella storia (ma non è per questo che bisogna spiegare la profezia diversamente). Gli esegeti cattolici e protestanti che hanno sostenuto questa spiegazione si sono dovuti rifugiare nel futuro, dove tutto sarà sempre possibile, immaginando per quel tempo una simile divisione. Nulla però nel testo sacro fa prevedere un tale intervallo che dalla caduta dell’Impero Romano giunga fino al tempo della fine. Le dita fanno seguito ai piedi senza lasso di tempo. Il Gaussen così spiega: “È impossibile rappresentare, nelle due gambe della statua i due Imperi d’Oriente e d’Occidente perché questa divisione in due non avrebbe dovuto cominciare che all’altezza delle caviglie; mentre essa comincia al di sopra delle ginocchia, con l’inizio del ferro. - Il ferro comincia quando l’Impero dei Romani diventa membro della statua al posto dei Greci, prendendo Gerusalemme, 63 a.C.... La divisione dei due Imperi d’Oriente e d’Occidente avvenne quattrocento anni più tardi, sotto Costantino il Grande... Cosa avvenne (però) alla statua al tempo di Costantino il Grande? Il ferro si mescolò con l’argilla all’altezza delle caviglie... Si deve concludere quindi che le due gambe di ferro non rappresentano, come si vuole 3 4 5 6
Idem, pp. 237,214. BRISSET J. Pierre, Les prophéties accomplies, Paris 1906, p. 15. L. Gaussen, o.c., p. 220. VAUCHER Alfred Félix, Notes Bibliographiques sur le livre de Daniel, vol. I, 1982, p. 130, dattiloscritto. Quando la profezia diventa storia
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pretendere, i due Imperi dei Latini e dei Greci... Questo perché questa divisione in due imperi non avvenne che quattrocento anni dopo l’inizio delle gambe di ferro... Se fosse vero che i due territori dei Latini e dei Greci sono rappresentati dalle due gambe... si sarebbe dovuto vedere nella statua il rame trasformarsi in ferro a seguito della conquista di Roma e quindi il rame non ci sarebbe più stato. Il rame rappresenta la terza monarchia il cui territorio è quello di Grecia, Macedonia, Tracia, Asia Minore, Siria e Egitto. L’opinione che suppone che dopo la conquista di Roma non ci sia più rame perché il territorio dell’Impero Greco viene incorporato nei confini geografici della quarta bestia, e che le due gambe rappresentano l’Oriente e l’Occidente è in contrasto con il testo di Daniele stesso che dice che il rame esiste sempre fino alla fine dei tempi (come pure l’argento e l’oro). Secondo Daniele il rame esiste ancora, non solamente dopo la conquista di Roma, ma pure all’epoca più avanzata in cui l’Impero dei Romani sarà distrutto dalla piccola pietra staccata dalla montagna. La Turchia d’Europa, la Grecia, la Tracia, l’Asia Minore, la Siria e l’Egitto che sono il territorio della terza monarchia, sono rappresentati dal rame e mai dal ferro. Quando la pietra colpirà la statua, dice Daniele: “Allora il ferro, l’argilla, il rame, l’argento e l’oro saranno frantumati insieme, e diventeranno come la pula sulle aie d’estate”.7 L’argento è il territorio specifico dei Medo-Persiani che si trova a Oriente del Tigri. Il territorio specifico del rame è tra l’Eufrate e l’Adriatico, e il territorio specifico del ferro è a Occidente dell’Adriatico e del Reno... Daniele parlando delle bestie dice: “Quanto alle rimanenti bestie (le prime tre), era stato tolto loro il potere e la durata della loro vita era stata fissata fino al tempo e ora”.8 Il leone, l’orso e il leopardo hanno perso uno dopo l’altro il loro potere, ma non sono morti, il loro corpo geografico sussiste distinto da quello della quarta bestia. Il celebre I. Newton ha scritto nel quarto capitolo del suo Commentario su Daniele: “I popoli della Caldea e dell’Assiria sono la prima bestia; i popoli della Media e della Persia sono la seconda; le nazioni della Macedonia, della Tracia,
7
Daniele 2:35,45. L. Gaussen, o.c., t. II, p. 209-212,21. Daniele 7:12 versione RINALDI Giovanni, La Sacra Bibbia - Daniele, Torino 1962, p. 106, in nota. C’è chiaramente una differenza di espressione da parte di Daniele per la quarta bestia e le prime tre bestie. Di loro è detto che “il dominio a loro è tolto”, mentre per la quarta: “la bestia fu uccisa”. “Queste parole indicano dunque, per lo meno, una fine violenta e disastrosa. Abbiamo già visto che l’impero dei dieci regni latini deve essere definitivamente infranto dalla piccola pietra che si stacca dalla montagna, ma allora non saranno solamente i dieci regni latini, di ferro e argilla, Stato e Chiesa, che saranno messi in polvere: saranno tutte le altre nazioni della terra profetica: il rame, l’argento e l’oro... Al versetto 12 il profeta ricorda il destino dei tre primi imperi per paragonarli a quello dei Latini... “Quanto alle altre bestie, il dominio fu loro tolto; ma, fu loro concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato” (versione Luzzi). “Il dominio fu anche tolto alle altre bestie” è la traduzione di Lutero; ma sarebbe stato meglio tradurre come Calvino, il verbo al piuccheperfetto e dire: “E il dominio era stato anche tolto alle altre bestie”, poiché è abbastanza evidente che qui Daniele, dopo che ci ha riportato, nel versetto 11, la rovina della quarta monarchia, faccia un ritorno sulle tre prime (monarchie), per ricordarci la durata della loro vita” Idem, t. III, Paris 1848, pp. 66,67,68 (noi abbiamo aggiunto la versione Luzzi). 8
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dell’Asia Minore, della Siria e dell’Egitto sono la terza; e per conseguenza, infine, i popoli che vivono in Europa, a Occidente della Grecia e del Reno, la quarta. Come non cercate il corpo della terza bestia che al di qua dell’Eufrate, non dovete cercare quello della quarta bestia che al di qua della Grecia. E come non ponete la quarta testa del leopardo macedone che al di qua dell’Eufrate, non dovete porre per conseguenza le undici corna della bestia romana che al di qua della Grecia. Quando descrivete i quattro regni nei quali si divise l’Impero Greco-Macedone, non parlate né dei Caldei né dei Persiani. E per questo che quando descrivete gli undici regni nei quali si è diviso l’impero latino, non dovete di conseguenza parlare né dei Greci né di Costantinopoli; poiché quello è il corpo della terza bestia”.9 (A riprova dell’esattezza di questa interpretazione è il fatto che nella statua i metalli restano sempre distinti fra di loro e uno non soppianta mai l’altro facendolo scomparire. Fino al ritorno del Cristo i vari metalli - regni - territori geografici non si confonderanno). Il rame, il ferro, l’argento e l’oro sono sempre esistiti nella statua, benché essi abbiano dominato di volta in volta. Le dieci dita di ferro e di argilla non dovrebbero dunque essere cercate né in Costantinopoli, né nella Persia, né nella Mesopotamia; poiché sarebbe come cercare le dita di una persona nel suo bacino, nel suo petto, nella sua testa. Per conseguenza noi concludiamo che le dieci corna non devono essere cercate che nel territorio dei Latini.10 Come l’Impero Greco passò per due fasi: un periodo d’unità e un periodo di divisione, così l’evoluzione politica e sociale del mondo romano comprende, in una forma analoga, tre periodi: 1o il periodo delle gambe di ferro: è l’era della prosperità, della conquista; 2o il periodo dei piedi in parte di ferro e in parte di argilla: coesistenza di due forze diverse nell’Impero Romano ancora unito; 3o il periodo delle dita in parte di argilla e in parte di ferro: è il periodo delle 10 corna, del capitolo VII, nel quale appare il piccolo corno che verrà alla fine distrutto; esso rappresenta la storia dell’Impero Romano a seguito della sua divisione causata dalle invasioni dei barbari e durerà fino alla fine dei secoli. “Le dieci corna romano-barbariche indicano, in effetti, la continuazione dell’Impero Romano come le quattro corna del becco e le quattro teste del leopardo la continuazione dell’Impero di Alessandro”11 i cui regni hanno dominato sul corpo della terza bestia. Il territorio dell’Impero Romano delle dieci dita e corna non può essere che quello latino perché, come abbiamo detto, il territorio d’Oriente dell’Impero Romano faceva parte del corpo geografico delle altre bestie.
9
NEWTON Isaac, Ad Danielis prophetae vaticinia observat, Amsterdam 1737, p. 22; cit. da L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 213,214. 10 L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 214,215. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. Sul perché l’Inghilterra non faccia parte della terra profetica dei latini e non sia quindi rappresentata da un corno, vedere il nostro Capitolo X, nota n. 89. 11 FABRE ENVIEU Jules de, Le livre du Prophète Daniel, Paris 1890, t. II, pp. 666,667; confr. Daniele 8:8,21; 7:6. Quando la profezia diventa storia
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“Dopo un maturo esame i migliori esegeti sono arrivati a una conclusione evidente: i (dieci) regni (rappresentati dalle dita e dalle corna) appartengono esclusivamente all’Impero d’Occidente”.12 “Le dieci dita raffigurano i dieci regni che si sono formati durante e a seguito delle invasione dei barbari nell’Impero d’Occidente: è il territorio proprio al quarto regno della statua”.13 “Si riconosce come un fatto predetto da Dio, che i dieci regni della quarta monarchia devono essere sottomessi alla corte di Roma e al suo sommo pontefice”. 14 Pierre Jurieu scriveva alla fine del XVII secolo a proposito dell’Apocalisse: “Questo libro intero non è che la parafrasi di ciò che dice Daniele nel VII capitolo delle sue rivelazioni, riguardanti la quarta bestia”15e “secondo me tutta l’Apocalisse è il commentario di ciò che Daniele ha detto in breve della quarta monarchia mondiale, cioè dell’Impero Romano”.16 Ecco perché Giovanni nel suo libro, descrivendo le trasformazioni che avvengono su questo impero latino, presenta una stessa bestia, cioè uno stesso territorio geografico, che appare tre volte nei capitoli XIII prima parte, XI e XVII. Appare tre volte perché descrive le differenti fasi della storia sul territorio dei Latini dopo le invasioni barbariche; ha però sette teste che rappresentano le sette fasi della monarchia universale partendo da Babilonia, riassumendo in sé le caratteristiche delle quattro bestie di Daniele. Quando poi Giovanni vuole presentare un’altra potenza, con il suo corpo geografico distinto dalle precedenti monarchie, presenta un’altra bestia, Apocalisse XIII s.p., che non ha nulla delle precedenti.
Gli Stati latini, pur essendo invasi dai movimenti ereticali e protestanti, rimasero cattolici Prima della Riforma i territori dell’antico Impero Romano pullulavano di eretici, oggi “fratelli separati”, “fratelli”.17 Non c’era un angolo dell’Europa dove non ci fossero i valdesi. “I valdesi, dopo aver talmente inondato la Francia, nel XII secolo, tanto che la religione romana vi aveva perso il suo splendore, passarono in Italia, e s’impadronirono di qualche città della Toscana. Essi erano conosciuti in questo paese sotto il nome di Fraticelli o Fratercoli, cioè piccoli frati... Nella sola Valcamonica, i valdesi italiani avevano dieci scuole mantenute da contribuzioni regolari da tutte le loro società (anno 1229). Oltre alle Chiese che 12 13 14 15 16 17
BIRKS Thomas-Rawson, The four prophetic Empire, London 1844, p. 96. J.P. Brisset, o.c., p. 13. L. Gaussen, o.c., t. II, p. 220. JURIEU Pierre, L’accomplissement des prophéties, t. I, 3a ed., Rotterdam 1689, pp. 65,66. JURIEU Pierre, Apologie pour l’accomplisscment des prophéties, Rotterdam 1687, pp. 30,31. La prima espressione è di Giovannni XXIII e la seconda di Giovanni Paolo II.
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possedevano in Lombardia, ne avevano nella Romagna, a Firenze e nelle valli di Spoleto (1250)... Nel 1280, il loro numero si è considerevolmente accresciuto in Sicilia”.18 Nell’XI secolo i Patari si trovavano a Milano e tenevano le loro riunioni nella strada chiamata Pataria (da cui il loro nome). A Modena si riunivano nei mulini ad acqua. Avevano delle case a Ferrara, Brescia, Viterbo, Verona, Vicenza, Rimini, Romandiola e in molti altri luoghi. Reinerius Saccho, il celebre inquisitore dei valdesi, dice che nel 1259 la Chiesa patarina d’Alba contava oltre cinquecento membri; quella di Concorezzo, più di millecinquecento e quella di Bagnolo circa duecento. Tutte queste comunità eretiche, in tempo di persecuzione, si riunivano in gruppi da 8, 20, 30 persone. In Calabria, nello spazio di dieci anni, verso il 1200, più di 140.000 Albigesi furono messi a morte. Nell’ambito stesso della Chiesa romana sorsero dei movimenti di riforma e delle personalità di prestigio per richiamare la Chiesa ai suoi principi evangelici sia nei costumi sia nella morale.19 In Portogallo, Spagna, Italia, Francia e Germania si attendeva un rinnovamento della Chiesa. “Negli ultimi anni del XV secolo, Roma sembrava la padrona dell’avvenire, e forse lo sarebbe rimasta, se avesse risolutamente, alle soglie stesse del Rinascimento, compiuto essa stessa questa riforma che i popoli reclamavano dal tempo della cattività di Avignone”.20 Nell’opera cattolica di Fliche e Martin a proposito di quest’azione di rinnovamento in seno agli ordini e monasteri della Chiesa cattolica in Francia si legge: “Alla fine dello stesso secolo e all’inizio del XVI, la situazione non è molto cambiata... Se, in tale o talaltro monastero, si constata un certo raddrizzamento, non è la stessa cosa, talvolta, in un monastero molto vicino... Accanto a questi lauri, ci sono anche molte ombre, per molte ragioni: persistenza delle cattive abitudini della corte romana, mancanza di zelo dei governanti per appoggiare fortemente i riformatori, decisioni rimaste lettera morta, procedure troppo spesso giudiziarie e poliziesche della riforma, impressione di cose poco chiare e di disordini”. Per quanto riguarda le opere di rinnovamento in Spagna e in Portogallo è detto: “Esse non hanno semplicemente lo scopo di restaurare le osservanze primitive delle antiche austerità, le discipline neglette. Esse s’ispirano anche ad un potere spirituale apostolico, ed è forse questo che fa la loro originalità e che le distingue dalla riforma in genere, più particolarmente preoccupata, a quanto sembra, di ascetismo e di regolarità”.21 É inutile dire che a questi tentativi di rinnovamento nell’ambito della Chiesa che, nel migliore dei casi, sfociavano in un cambiamento di costumi, della morale o del 18
GUERS Émile, Histoire abrégée de l’Eglise, Toulouse 1850, p. 306. La Riforma protestante ha avuto successo perché alla base c’era un fondamento dogmatico, teologico, dottrinale, cosa che era assente o quasi in quei movimenti all’interno del cattolicesimo che l’hanno preceduto. 20 HALPHEN L. - SAGNAC Ph., Les débuts de l’âge moderne, coll. Peuples et Civilisation, vol. VIII, ed. 1929, p. 154. 21 FLICHE Augustin - MARTIN Victor, Histoire de l’Eglise, t. XV, L’Eglise et la Renaissance, ed. 1951, pp. 299,310. 19
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sentimento religioso, si contrapponevano i numerosi conventi che si sollevavano con violenza espellendo o, nei casi più felici, respingendo i monaci riformatori. “L’odio fu così forte che creò la guerra, guerra giudiziaria a colpi di processi, guerra materiale a colpi di pugnale, guerra dottrinale a colpi di censura o di libelli. La riforma era appena stata fatta in un posto che subito doveva essere rifatta. La riforma religiosa non era che un’operazione di polizia, da interiore e spirituale che avrebbe dovuto essere, essa diventava esteriore e legale; non più una libera adesione delle coscienze rigenerate, ma una costrizione dei poteri coalizzati del sacerdote e del principe”.22 Questa degenerazione della Chiesa “non era causata dal mal vivere, ma dal mal credere”23 Non era sufficiente distruggere gli abusi per realizzarla. Occorreva una riforma nel senso di ritorno alle dottrine della Chiesa primitiva, cioè una riforma della fede e dei dogmi.24
La Riforma protestante La Riforma, non potendo imporsi nei paesi latini per la mancanza di basi dottrinali, ma soprattutto a causa di una situazione politica non in grado di arginare lo strapotere delle autorità ecclesiastiche di Roma, esplose in Germania con Lutero. Questo rinnovamento si estese per tutta l’Europa, dove ebbe varia fortuna. Nella penisola Iberica “Qui la Riforma, fin dal 1526, fu santa, abbondante, eroica, nei palazzi come nelle capanne, nei conventi come nelle scuole, presso i cappellani ed i confessori dell’imperatore Carlo V come presso gli ufficiali dei suoi eserciti. Non importa! bisognò che Roma la soffocasse nelle fiamme con gli innumerevoli e orribili supplizi. Quindici grandi tribunali d’inquisizione in quindici città diverse, lavorando notte e giorno alla ricerca dei martiri, li fecero bruciare vivi in un numero immenso per ordine del papa. “Due mesi più tardi, diceva il grande Inquisitore, alla luce dei roghi di Siviglia e di Valladolid, due mesi dopo sarebbe stato troppo tardi, e la Spagna intera ci sarebbe stata rapita”. Ma non era possibile che questa contrada fosse rapita: la Spagna appartiene al corpo della bestia”.25
22
IMBART de la TOUR P., Les origines de la Réforme, t II, Paris 1909, p. 537. FEBURE M. Lucien, Problème général des causes de la Réforme, in Revue Historique, t. CLXI 1929; cit. Dictionnaire de Théologie Catholique, voce Reforme. 24 In questo senso la Chiesa Romana non si è mai riformata anzi, con il Concilio di Trento “la Chiesa Romana, in effetti, non riformò né la sua tradizione né i suoi dogmi, né la sua organizzazione. La sua politica fu essenzialmente una politica di resistenza, una politica di combattimento contro tutte le innovazioni che erano la caratteristica della Riforma. Che essa (Chiesa) sia uscita dalla prova con delle forze rinnovate, ciò non cambiava niente ai suoi principi né alle regole del suo governo, che essa si gloriava al contrario di mantenere immutate” SÉE Henri, Le XVI siècle, Clio, PUF 1942, p. 235. Al Concilio Vaticano II i Padri Conciliari hanno dovuto firmare un documento prima dei lavori del Concilio che nulla avrebbe modificato della dottrina romana. Vedere il nostro Capitolo III, pp. 196,197, nota n. 262. 25 L. Gaussen, o.c., t. II, p. 221. 23
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In Italia I valdesi, dice lo storico A. Vulliet, “se ne andavano a due a due a visitare i loro fratelli dispersi in tutta Europa, e si assicura che ci fu un tempo in cui essi potevano andare da Cologna a Firenze dormendo ogni notte in una casa di fratelli. Riconoscevano queste case da certi segni particolari”.26 In Italia il pensiero evangelico aveva raggiunto anche Napoli dove dei nobili cavalieri e nobildonne l’accettarono. Siena e Lucca ne furono contaminate. La Calabria pullulava di eretici, in un solo giorno del 1561 ne furono uccisi 180 e il Cavaliere di Napoli, Salvatore Spinello, buon cattolico, “preferiva spopolare il suo paese che tollerare questa peste”. In una lettera inviata da un papista di Calabro al duca Urbino si racconta come questi albigesi venissero prelevati da una casa, sgozzati dal boia, messi su un carro e trasportati ai confini della provincia.27 “Al Nord vi era tutta una catena di città in parte passate alla Riforma, persino nelle loro classi dirigenti: partendo dalle vallate valdesi e dal Piemonte, passando per Pavia, Padova, Modena, Ferrara, Vicenza, Bologna, essa toccava Venezia ove l’eresia si radicò a tal punto da resistere fino al XVII secolo. La Dalmazia era già intaccata. Tremila professori, si diceva, erano passati al luteranesimo e anche qualche inquisitore locale. Se in Italia fosse scoppiato un grande movimento riformatore il papato non poteva contare sul sentimento popolare che gli era sempre stato fedele soltanto a Roma. La causa del cattolicesimo... sarebbe stata perduta”.28 In Italia bastò stabilire l’inquisizione per causare la fuga di molti protestanti29, e con l’avvento al potere di Pio IV la situazione si aggravò. “Soprattutto sotto i papi Paolo III (1534-1549), Giulio III (1550-1555), Paolo IV (1555-1559), Pio IV (1560-1565) e Pio V (1566-1572) la persecuzione fu terribile; Pio IV sorpassò Paolo IV stesso per le crudeltà del suo regno; Pio V li sorpassò tutti e due. “A Roma, sotto Pio V, tutti i giorni c’è qualche infelice che viene bruciato, o impiccato o decapitato, - scriveva nel 1568 Tobie Eglino, - tutte le prigioni sono affollate; si è obbligati a costruirne delle nuove; e questa città immensa non ha abbastanza segrete per la folla di persone pie che vengono arrestate continuamente””.30 “Lo stabilirsi dell’Inquisizione a Roma, dice Pallavicini, salvò il cattolicesimo in Italia”.31
26
VULLIET Adam, Histoire du Moyen-Âge, pp. 124; cit. VUILLEUMIER Jean, Les Prophéties de Daniel et leur Accomplissement Historique, Genève 1906, pp. 340,341. 27 CRESPIN Jean, Histoire des Martirs, t. I, Toulouse, p. 854, la lettera pp. 852,853. 28 LÉONARD Emile G., Storia del Protestantesimo, vol. I, La Riforma, ed. Molino, Milano 1971, pp. 358,359. 29 Un riformatore italiano scriveva a Henri Bullinger nel 1549: “La persecuzione contro i nostri fratelli diventa ogni giorno più violenta. Gli uni sono trascinati alle galere, gli altri condannati al carcere perpetuo. Alcuni, ahimè! hanno abiurato per paura di morire, tanto è difficile confessare coraggiosamente Cristo in mezzo alle torture! Molti sono esiliati assieme alle mogli e ai figli. La maggior parte cerca scampo nella fuga” cit. idem, p. 373,374. 30 Mac’CRIE, Histoire de la Réforme en Italie, p. 304, lettera a Henri Bullinger; cit, da L. Gaussen, o.c., t. II, p. 223; cit. da J. Crespin, o.c. 31 PALLAVICINI, Histoire du Concile de Trente, liv. XIV, ch. 9; cit. L. Gaussen, o.c., t. II, p. 222. Quando la profezia diventa storia
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L’Italia è il cuore del potere di Roma e non può essere quindi conquistata alla Riforma. In Francia In Francia, verso la metà del XVI secolo, la Riforma protestante si era infiltrata in tutti gli strati sociali e, a giudizio di Henry Hauser, nel 1560 era diventata “una religione popolare”. “L’abate Carrière osserva inoltre che “negli infimi gradi della magistratura la dottrina raccoglie innumerevoli adesioni”, tanto che quasi soltanto gli alti prelati e i funzionari, gente legalitaria e prudente, ne erano rimasti indenni... Gli ultimi anni di Francesco I erano stati contrassegnati dal massacro dei valdesi del Lubéron (aprile 1546) e dal supplizio (8/10/1546) di Pierre Leclerc e di tredici fedeli della Chiesa di Meaux; i tre primi anni di regno di Enrico II si distinsero per più di cinquecento sentenze, emanate contro gli eretici della “Camera ardente” creata 1’8 ottobre 1547... Enrico II e i suoi consiglieri, il conestabile di Montmorency e i cardinali di Lorena e di Tournon, avrebbero ben volentieri instaurato l’Inquisizione, se non avessero dovuto fare i conti con l’opposizione degli alti funzionari dello stato. D’altra parte i protestanti sapevano ormai di essere molto numerosi ed erano incoraggiati dalle adesioni di membri dell’alta nobiltà e della famiglia reale”.32 Nelle sere dal 13 al 16 maggio 1558 quattromila ugonotti passeggiavano sulla riva destra della Senna di fronte al Louvre e alle Tuileries cantando salmi con il re di Navarre alla testa. Sembra che agli inizi del 1559 a Saint-Maixent si praticasse il culto pubblicamente. Dal 26 al 29 maggio 1559 si tenne il primo sinodo protestante parigino, con rappresentanti della Normandia e della regione dell’Ovest della Loira. La notte di S. Bartolomeo, 23-24 agosto 1572, fu però “il trionfo degli avversari del suffragio universale” (espressione questa di Douen), e fino alla fine di agosto e i primi di settembre la strage dilagò nelle più importanti città: Meaux, Orléans, La Charité, Lion, Angers, Saumur, Toulouse, Albi, Gaillac, Troyer, Bourges, Romans, e agli inizi di ottobre infuriava ancora a Bordeaux. Nel 1589 Navarre salì al trono di Francia col nome di Enrico IV e, sebbene avesse accettato un’umiliante abiura alla fede protestante, sostenne gli Ugonotti e proclamò l’editto di Nantes il 13 aprile 1598. Con questo editto si accordò la libertà di coscienza e si autorizzò l’esercizio del culto pubblico. L’accesso alla scuola era ammesso a tutti i giovani. I protestanti potevano avere scuole proprie dove avevano la libertà di culto, avevano il diritto di avere cimiteri speciali dove veniva loro proibita la sepoltura nei cimiteri comuni. Lo stesso segreto professionale dei pastori era riconosciuto. Lo stato avrebbe provveduto al mantenimento dei ministri e i protestanti 32
E.G. Léonard, o.c., vol. II, Il Consolidamento, Milano 1971, pp. 140,154, 155. Nella notte del 4/9/1557 in una casa privata in via del Faubourg-Saint-Jacques ci fu una assemblea alla quale parteciparono quattrocento persone. Essendo la casa assediata dalla folla, la maggior parte dei fedeli riuscì a mettersi in salvo grazie ai gentiluomini presenti. Tuttavia furono arrestate centotrenta persone, soprattutto donne che non avevano osato seguire gli altri. Secondo l’Histoire ecclésiastique, vol. I, pp. 98-101, erano quasi tutte “dame e damigelle di grandi famiglie” cit. Idem, p. 157.
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potevano essere ammessi ad ogni impiego o carica con il diritto di alcuni seggi nel consiglio regio. Si accordavano 150 località rifugio, di cui 50 erano posti di sicurezza, 16 posti di matrimonio, con governatori e soldati protestanti pagati dal re, e 80 fortezze private mantenute dai signori. Per il papa fu “il peggiore editto che si potesse immaginare”. L’editto subì delle modifiche. Il culto fu vietato nelle città sedi vescovili e lo stesso re dovette lottare non poco per far sì che i protestanti continuassero a rivestire gli incarichi pubblici. In un documento del XVII secolo, in seguito a un censimento dei protestanti ordinato dal re nel 1598, risultavano 274.000 famiglie (di cui 2468 nobili) e 1.250.000 persone, cifra che poi sarebbe aumentata di un terzo fino al tempo di Richelieu. I protestanti a Parigi potevano essere un ventesimo della popolazione (cioè 15.000 come a Nimes, dove però erano i tre quarti). Il protestantesimo a Parigi si riuniva anche a corte facendo capo alla sorella del re, Caterina di Borbone, e celebrava il culto al Louvre nella sala delle Cariatidi. Dopo l’assassinio del re Enrico IV, 1610, iniziò per i protestanti la rovina, essi vennero ostacolati nella vita familiare e sociale. Il mezzo più coercitivo, anche se fu criticato da qualche ecclesiastico, fu quello dell’alloggio obbligato dei soldati a cui era permessa ogni licenza. Questa forma di sopruso e di violenza indiretta fu già utilizzata nel passato per punire e costringere alla resa le popolazioni che avevano accettato l’eresia valdese, albigese e altre ancora. Nel 1685 iniziarono le restrizioni civili: i protestanti non potevano svolgere la funzione di farmacisti, chirurghi, avvocati, magistrati, librai, tipografi, medici. Non si potevano avere fittavoli protestanti e la sepoltura in cimiteri protestanti era consentita in quelle città in cui il loro culto era ancora ammesso. Il 18 ottobre 1685 il Consiglio superiore con Luigi XIV decretò la revoca dell’Editto di Nantes che Enrico IV aveva dichiarato “perpetuo e irrevocabile” con il “presupposto che in Francia i protestanti non esistevano più”. Sotto Luigi XIV, 400.000 protestanti furono uccisi.33 Spariti i protestanti si demolirono i templi, si vietava il culto in qualsiasi luogo o casa, scomparivano così i superstiti. I ministri venivano allontanati dal regno, tempo quindici giorni. Aiuti ed esenzione dalle tasse a coloro che si convertivano. Le scuole venivano soppresse e i neonati battezzati. I matrimoni protestanti venivano annullati. Ai fedeli protestanti veniva proibito di lasciare il regno, pena la galera per gli uomini e il sequestro del corpo e dei beni per le donne. Un editto del 1686 strappò ai genitori protestanti, non ancora convertiti al cattolicesimo, i figli dai cinque ai sedici anni e venivano consegnati a parenti cattolici o, in caso di impossibilità di pagare una pensione, imprigionati. Ben presto le prigioni furono rigurgitanti di persone d’ambo i sessi e di ogni ceto sociale. Chi poteva cercava la via dell’espatrio. Le sorveglianze di confine di mare e di terra si facevano sempre più rigide con sanzioni sempre più severe per coloro che venivano scoperti. Un milione di protestanti in settant’anni lasciarono il suolo francese per la Germania, la Svizzera, l’Olanda, l’Inghilterra portando il segreto delle loro industrie e l’ingegno della loro attività. Questo esodo forzato spogliò la Francia dei suoi cittadini più capaci, fu una emorragia e la Nazione 33 Cit. da L. Gaussen, o.c., t. II, p. 227. Come Diocleziano ha fatto scrivere sulle medaglie del suo impero “Extinto nomine Christianorum”, Luigi XIV ha fatto scrivere nella legge del suo regno: “Non ci sono più Riformati”.
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si impoverì sotto tutti gli aspetti abbandonata al suo clero che la corrompeva portandola alla Rivoluzione, conseguenza naturale di uno sfacelo religioso. La Francia, facendo parte del territorio latino, non poteva che restare cattolica.
I confini dell’antico Impero Romano delimitarono i territori conquistati alla Riforma I confini dell’Impero Romano erano delimitati, come abbiamo detto, ad Ovest dal Reno (che, salendo verso il Nord, divide l’Europa latina da quella germanica) e a Est dal Danubio. “A destra del Danubio, come a sinistra del Reno, regna il papa; e dall’altra parte la Riforma di Lutero o quella di Calvino. Sul Danubio i montanari del Salzbourg, i cittadini di Linz, e altri ancora, sono cacciati al di là del fiume a causa della loro fede. Sul bel Reno, a partire dalla Svizzera fino al Mare del Nord, a sinistra ci sono gli uomini del papa, e a destra la Riforma; a sinistra, Strasburgo, già (come Ginevra) città libera e riformata, ma sorpresa in piena pace da Luigi XIV, vide rientrare nella sua alta cattedrale le idolatrie del papato. Al di sotto di Strasburgo, sempre sulla riva romana, le città imperiali e libere di Worms e di Spire, le cui cattedrali sono dovute restare al papa malgrado i numerosi riformati di cui esse erano popolate; quella di Mayence ancora, d’Aix-la-Chapelle, di Bonn, di Cologne (di cui invano l’arcivescovo abbracciò l’evangelo nei giorni della Riforma). E sulla riva destra, le città protestanti di Heidelberg e di Francfort-sur-le Mein, quelle del Palatino, quelle della Hesse e di Nassau, quelle di Manheim, di Darmstadt, d’Arnheim, d’Utrecht e di Leyde. La legge della profezia si è realizzata in modo ammirevole nei Paesi Bassi”.34 Paesi Bassi La dimostrazione di questa legge della profezia l’abbiamo particolarmente nei Paesi Bassi che, attraversati dal Reno, si dividono in due parti, una settentrionale e l’altra meridionale. Quella a sud faceva parte del corpo della bestia e non poteva quindi rimanere protestante. Scrive lo storico E. Léonard: “Il luteranesimo aveva fatto nei Paesi Bassi una precoce apparizione con l’agostiniano Jacobus Preapositus, priore del convento di Anversa (1519); ma il clero non aveva tardato a reagire: e il primo luglio 1523 due monaci agostiniani furono suppliziati a Bruxelles. Le persecuzioni, già particolarmente crudeli in quei domini personali di Carlo V, dove egli aveva mano libera, furono codificate da un’ordinanza imperiale (14/10/1529) talmente severa contro gli eretici e persino contro chi era semplicemente trovato in possesso di libri proibiti (essa comminava la decapitazione per gli uomini, il seppellimento da vive per le donne e il rogo per i recidivi) che gli Stati di Fiandra vi si opposero”.35
34 35
L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 229,230. E.G. Léonard, o.c., vol. II, p. 111.
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La notte di S. Bartolomeo (23-24/8/1572) in Fiandra privò della principale collaborazione i Paesi Bassi che subirono devastazioni in molte province da parte delle truppe spagnole. Le lotte in questo paese si susseguirono e dopo la pace di Arras, 17 maggio 1579, delle 17 province conquistate alla Riforma, “una decina di province o signorie meridionali (Sud-Ovest del Reno), si riconciliarono con Filippo II (ritornando sotto la sede di Roma) e le sette province del Nord, con la città di Gand, Ypse, Anversa e Bruges si coalizzarono (e rimasero protestanti)”.36 Qualche mese dopo le città dei Paesi Bassi meridionali in mano ai protestanti, Gand (17/9/1584), Bruxelles (10/3/1585), Anversa (17/8), non lo furono più. In tre anni di guerre ci furono 18.000 morti. Così conclude E. Léonard: “Dei grandi Paesi Bassi indipendenti e uniti in cui il protestantesimo, già saldamente instaurato al nord, avrebbe potuto estendersi al sud in una atmosfera di libertà spirituale, la nazione, ripetutamente scesa in campo, era ormai divisa in due paesi ostili uno all’altro. È vero che un rigido protestantesimo, il calvinismo, aveva trionfato nelle sette Province Unite settentrionali, ma in compenso il protestantesimo, di qualunque tipo, era stato completamente cancellato nelle dieci Province meridionali, dove aveva avuto una così gloriosa e sanguinosa storia. I protestanti ebbero parecchi anni di tempo per andarsene... Quasi tutti i rimasti si fecero cattolici: fedeli al protestantesimo rimasero soltanto alcuni sparuti gruppi di minatori a Dour nel Borinage, e di agricoltori a Horebeke Sainte-Marie, vicino ad Audenarde”.37 Paesi Ungheresi L’altra prova della validità di questo sistema di interpretazione della profezia l’abbiamo nell’altra regione di confine dell’Impero Romano, ad Oriente, sulle rive del Danubio. All’Est la Riforma preparata da Huss e da Girolamo da Praga fu introdotta verso la metà del XV secolo e nel 1570 aveva raggiunto tutte le parrocchie convertendo anche numerosi nobili. Quando il cattolicissimo Ferdinando II d’Asburgo divenne imperatore, il 28 agosto 1619, i cechi affidarono la loro causa a Federico V, incoronato re di Boemia il 4 novembre a Praga, che la difese con scarso impegno. Scrive Léonard: “Bastò un’ora di combattimento, alla Montagna Bianca davanti a Praga (8 novembre 1620), per assicurare una completa vittoria a Ferdinando e al cattolicesimo. La repressione che seguì, ispirata dal legato Carlo Carafa e dai gesuiti, fu diretta progressivamente contro i pastori calvinisti e contro quelli “dell’Unità dei fratelli”, 36
Idem, p. 132. Idem, pp. 133,134. “Nel 1831 il re protestante, Guglielmo Federico, aveva cercato di riprendere sotto uno stesso scettro l’uno o l’altro di questi due paesi; ma dopo quindici anni essi furono nuovamente separati per la rivolta dei belgi, allora il re protestante da loro eletto promise di educare tutti i suoi figli nelle dottrine del papa” L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 230,231.
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che furono pertanto costretti ad abbandonare il paese entro otto giorni (3/6/1621); quindi contro i “difensori della fede” che erano stati a capo della rivolta (giustiziati il 20/6) e infine contro i pastori luterani, prima quelli cechi, poi quelli tedeschi, che erano stati temporaneamente risparmiati in segno di considerazione per l’elettore di Sassonia alleato di Ferdinando. Le stesse calcolate tappe furono seguite nel tentativo di soffocare il corpo protestante: un provvedimento generale del luglio 1624 vietò ai suoi membri tutte le professioni libere, l’industria e il commercio, punì con l’ammenda la mancata presenza alle cerimonie cattoliche, rese obbligatori il catechismo e chiuse gli ospedali ai dissidenti; la legalità dei matrimoni protestanti fu disconosciuta e si dichiararono illegittimi i bambini che ne sarebbero nati. Il 5 febbraio 1627 fu autorizzato “l’uso moderato della forza coercitiva”; il 31 luglio, alla nobiltà, a cui sin dal 1624 erano stati proibiti i matrimoni non cattolici, fu ingiunto di convertirsi o di espatriare (duecento famiglie scelsero la seconda alternativa). Nello stesso anno la Boemia perse il diritto di eleggere i suoi re: come dice Hauser, essa fu “radiata per secoli dalla storia”. I dragoni del governatore imperiale Carlo del Lichtenstein furono più spietati di quanto sarebbero stati in futuro quelli di Louvois; si valutano a circa trentamila i cechi che si rifugiarono all’estero. La vittoria cattolica in Boemia avrebbe potuto preludere alla scomparsa della Riforma in tutta l’Europa orientale. Essa infatti precedette di poco la sua soppressione in alcune località della Slesia... Nell’Ungheria propriamente detta, la posizione del protestantesimo, dal principio del secolo, si era notevolmente indebolita”.38 In quel paese nel 1675 c’erano “250 pastori protestanti. Tolti ai loro greggi, portati a Presburg, oppressi da colpi, trascinati da una prigione all’altra, condannati ai più duri lavori e privati del cibo, la maggior parte morì di stenti; ne restarono 41 che si inviarono nelle galere della Spagna e a Napoli; e il 5 settembre non ne sopravvissero più di 27, quando l’ammiraglio Ruyter, di ritorno dai suoi servizi, ottenne la loro libertà. La Riforma non poté stabilirsi in Ungheria, perché questo paese, almeno nelle sue province a sud del Danubio ed in Budapest sua capitale, apparteneva al corpo della bestia”.39 Il protestantesimo si consolidò però nella Transilvana ed in alcune regioni ungheresi che rimasero come un “masso erratico della Riforma alle soglie dell’Oriente”. Ginevra Qualcuno potrebbe sollevare una obiezione per Ginevra che, pur facendo parte dell’impero latino, fu conquistata alla Riforma. Il Gaussen risponde a questa obiezione dicendo prima di tutto che Ginevra non costituiva un regno e quindi non poteva dare grande fastidio all’impero. Questa repubblica era di “tutte le repubbliche la più inosservata. Ridotta quasi alla cinta delle sue mura, la cinquantesima parte della repubblica degli svizzeri, era appena considerata alleata. Le truppe degli svizzeri furono costantemente, sia in Francia, sia in Spagna, sia in Italia, il sostegno della tirannia romana e la bandiera federale era 38 39
E.G. Léonard, o.c., pp. 261-263. L. Gaussen, o.c., t. II, p. 221.
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stata loro inviata dal papa. Roma ne aveva riconosciuto i servizi confidando loro il titolo di “difensori della fede”, come al re di Francia quello di “cristianissimo”, al re del Portogallo quello di “fedelissimo”, al re di Spagna quello di “cattolicissimo”. Ginevra era nell’impero di Roma... una isola in questo mare delle nazioni; un’oasi in questo deserto, una lucciola in queste tenebre. L’insetto ha un bel risplendere sotto l’erba sul ciglio della strada, gli si può anche sorridere passando ma non si può non dire che sia notte nella campagna. - Tale dunque era Ginevra: una lucciola nella notte dell’impero, in mezzo a dieci popoli irritati e a dieci re in ogni istante desiderosi di schiacciarla sotto i loro piedi. Ma ahimè! l’obiezione non si deve più fare: i Ginevrini vi hanno messo ordine, si sono suicidati. Nel 1815, dopo essere stati per trecento anni uno Stato riformato, hanno volontariamente abdicato a questo glorioso privilegio. E nel tempo in cui neppure uno dei loro concittadini apparteneva a Roma, il primo uso che hanno fatto della loro indipendenza, da quando Dio gliel’ha resa, è stato quello di chiedere un vescovo al pontefice romano, e di vendergli, come Esaù, il loro diritto di primogenitura in cambio di sette o otto poveri villaggi, facendo allora un patto con lui, mettendo la sua bolla in latino nelle loro leggi40, e concludendo questo atto lamentevole con questa frase più lamentevole ancora: “Il nostro interesse ben inteso ci obbliga!!!”. Così facendo i Ginevrini hanno sacrificato il loro dovere all’interesse”.41 Conclusione Giovanni, nell’Apocalisse, ci presenta una bestia che appare tre volte, il cui corpo geografico forma la “grande città”, l’impero latino, con dieci piazze, dieci regni, dieci corna, il cui trono è a Roma. Oltre i confini di questa grande città gli sforzi di Roma per estendere e mantenere la propria egemonia non hanno avuto la stessa efficacia: “Nel regno di Svezia, nel regno di Norvegia, nel regno di Danimarca, nel regno di Prussia, nel regno di Sassonia, nel regno di Hannover, nel regno di Olanda, nel regno di Wurtemberg e nei regni di Scozia e d’Inghilterra”42 il cattolicesimo non è diventato la religione dello stato. Questi Stati si possono alleare, intendere ed essere favorevoli a Roma, senza per questo diventare nazioni cattoliche.
40
Tomo V, Recueil des Lois, p. 317. L. Gaussen, o.c., pp. 232,233. 42 Idem, p. 229. “La regina Vittoria, mentre gli arcivescovi la incoronavano, prestò questo giuramento: “Io, Vittoria, professo, attesto e dichiaro che l’invocazione e l’adorazione della Vergine Maria o di ogni altro Santo, e il sacrificio della messa come vengono praticati oggi nella Chiesa di Roma, sono atti superstiziosi e idolatri”” Idem, p. 231. Vedere nota n. 10. 41
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Capitolo VIII LA CHIESA DI DIO ATTRAVERSO I SECOLI Il capitolo XII di Apocalisse presenta la realizzazione della promessa contenuta in Genesi III:15, cioè la progenie della donna che vince il serpente. Giovanni, in una rappresentazione figurata, descrive la storia della lotta tra il bene e il male, l’uno e l’altro incarnati in due istituzioni rivali. “... Daniele e S. Giovanni hanno avuto la missione di servire da torcia al popolo di Dio per i tempi privati di rivelazione durante i quali (la Chiesa) è abbandonata tra le mani dei gentili. Daniele doveva illuminare la via delle intelligenze d’Israele durante i cinque secoli di tenebre che separavano la cattività dalla prima venuta di Cristo e dalla distruzione di Gerusalemme per opera dei Romani. Così pure l’Apocalisse di S. Giovanni è stata data ai santi della nuova alleanza per essere una stella che guidi il loro pellegrinaggio dalla prima venuta di Cristo fino al momento in cui Egli ritornerà per stabilire sulla terra il suo regno di gloria. Senza dubbio questa ultima epoca è pure compresa nella profezia di Daniele ed è ciò che spiega perché l’Apocalisse di S. Giovanni deve necessariamente riallacciarsi nella forma più stretta a questi capitoli di Daniele” Karl Auberlen.1 “Il settimo e l’ottavo capitolo di Daniele dovrebbero essere letti come un commentario del dragone dell’Apocalisse, e anche della Bestia del capitolo XIII” M. Kiddle. “Tutto il libro dell’Apocalisse, ma partico-larmente il capitolo XII, mostra come la storia della salvezza del passato sia messa in relazione con gli avvenimenti del presente e dell’avvenire” Oscar Cullmann.2 “Il capitolo XII dell’Apocalisse è sempre stato considerato come il centro e la chiave dell’intero libro” Pierre Prigent.3 1
AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 93. CULMANN Oscar, Heil als Geschichte, J.C.B. Mohr, Tübingue 1965, p. 64; cit. da BRÜTSCH Charles, La Clartée de l’Apocalypse, 5a ed., Genève 1966, p. 199. 3 PRIGENT Pierre, Apocalypse l2 - Histoire de 1’exégèse, Tübingue 1959, p. 1. 2
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Introduzione Il testo dell’Apocalisse che va dall’inizio del capitolo XII alla fine del capitolo XIV corrisponde a quanto molti hanno indicato come la chiave di volta di tutto il libro. I capitoli “XII, XIII e XIV formano un tutto” scriveva J.N.Darby,4 e J.B. Rossier: “Io non esito a dire che colui che ha l’intelligenza di questi tre capitoli possiede il nocciolo e la sostanza di tutta la Bibbia e, in particolare, la chiave di tutti gli avvenimenti che, sotto i nostri occhi, tendono così rapidamente verso la consumazione del mistero dell’iniquità in questo povero mondo”.5 Questi capitoli servono da introduzione alla seconda parte dell’Apocalisse. Qui ci sono le sette mistiche figure: il sole che veste la donna; il dragone rosso che la perseguita dopo aver fallito con la sua progenie; l’Uomo-bambino che vincitore sale in cielo; la Bestia che sale dal mare che incarna l’opera del dragone; la bestia che sale dalla terra che opera di supporto alla prima bestia; l’Agnello sul Monte Sion con i salvati; e il Figlio di Dio sulle nuvole che viene a raccogliere gli eletti. Riteniamo che sia importante sottolineare che questo capitolo dell’Apocalisse e i due che seguono sviluppano lo stessa tema di Daniele VIII:10-14: la guerra al popolo di Dio, l’opposizione alla legge della verità, colpire il Santuario celeste dove il Signore opera per la salvezza degli uomini. Se nel primo capitolo, prima parte dell’Apocalisse, Giovanni presenta il Re e il suo regno promesso, ora noi abbiamo nel capitolo XII la regina di questo regno, la Chiesa. Il capitolo XII dell’Apocalisse è un vero gioiello profetico ed ha impressionato in tutti i tempi le menti indagatrici della Parola di Dio per sapere in quale momento della storia si trovavano, in rapporto alla realizzazione del Regno di Dio. Questo capitolo è la storia della Chiesa, sposa mistica di Dio, madre e progenie di Gesù Cristo e dei fedeli, vista e rivelata in anticipo in quattro quadri successivi.
Primo quadro: la Donna “Poi apparve un gran segno nel cielo: una donna rivestita dal sole con la luna sotto i piedi, e sul capo una corona di dodici stelle. Ella era incinta, e gridava nelle doglie tormentose del parto”.6
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DARBY John-Nelson, Notes sur l’Apocalypse, 2a ed., Genève 1850, p. 61. ROSSIER J.B., Études sur l’Apocalypse, t. II, Lausanne 1850, p. 1. Apocalisse 12:1,2.
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Chi non rappresenta La vergine Maria
Di questa donna con la luna sotto i piedi e con una corona di dodici stelle in capo si è scritto, nell’Enciclica Ad diem Illum del 2 febbraio 1904, sotto la guida di papa Pio X: “Nessuno ignora che questa Donna rappresenta la Vergine Maria che partorì verginalmente il nostro capo... San Giovanni vide dunque la santissima madre di Dio gioire dell’eterna beatitudine e tuttavia in travaglio d’un misterioso parto. Di quale parto? Del nostro certamente”. Nella Bolla di Dogmatizzazione Munificentissimus Deus del 1o novembre 1950 è scritto: “I dottori scolastici videro indicata l’Assunzione della Vergine madre di Dio non solamente in diverse figure dell’Antico Testamento ma ugualmente in questa Donna vestita di sole che Giovanni contempla nell’isola di Patmo” (art. 27), la bolla non entra poi in problemi di esegesi.7 Sebbene nella spiegazione del testo de La Bibbia della Marietti il teologo, Antonio Romeo, cerchi ancora di sostenere questa possibilità e nelle ricorrenze annuali del 15 agosto si legga tutt’oggi questo brano, numerosi teologi cattolici riconoscono che il senso dei termini del testo biblico esclude categoricamente ogni interpretazione che riguardi Maria. Chi vuole vedere in questa donna Maria spiega i dolori del parto in senso figurato: preoccupazioni quotidiane, sofferenze morali causatele dalla morte di Gesù, tormenti interiori dall’annunciazione fino alla sua ascensione. In altre parole, chi interpreta vedendo letteralmente nella donna una persona reale, passa poi a spiegare in senso figurato tutto il resto, non tenendo così conto delle regole fondamentali dell’ermeneutica. La Bibbia di Gerusalemme, dopo aver detto: “La donna rappresenta il popolo santo dei tempi messianici, quindi la Chiesa in lotta”, aggiunge: “Forse Giovanni pensa anche a Maria nuova Eva, la figlia di Sion che ha dato vita al Messia”. La stessa Bibbia, versione francese, precisa: “Questo sembra dubbioso”. Del resto “i teologi che oggi si occupano della Vergine Maria hanno qualche volta tentato di dire più di quanto sia scritto e sollecitato in favore di questa spiegazione dei testi della Sacra Scrittura... Una volta per tutte, bisognerebbe riconoscere... che la sola esegesi incontestabile è quella che vi tratteggia la Chiesa” così sostiene il cattolico André Feuillet,8 o come dice Alfred Läpple: “Quand’anche a causa della nascita del Messia, si sia potuto dapprima pensare a Maria, Madre di Gesù, la presente frase “la donna fugge nel deserto” - allo stato attuale dell’ermeneutica - non permette più una interpretazione mariologica”9 tanto è vero che nei documenti editi dal Concilio
7 8 9
Cit. C. Brütsch, o.c., p. 202. FEUILLET André, L’Apocalypse - état de la question, Paris 1963, p. 96. LÄPPLE Alfred, L’Apocalisse, ed. Paoline, 1962, p. 151. Quando la profezia diventa storia
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Vaticano II, i testi mariologici, in particolare il capitolo VIII del De Ecclesia, non si riferiscono all’Apocalisse. Del resto l’abate A. Crampon scriveva: “Così i Padri e gli interpreti cattolici sono quasi unanimi nel riconoscere in questa donna un simbolo della Chiesa”.10 “Già nel 1957 uno studioso italiano11 esaminando 89 commentatori post-tridentini dell’Apocalisse, tutti cattolici, ne trovò soltanto due che identificavano direttamente la donna con Maria”.12
Il soggiorno prolungato nel deserto è fra l’altro in opposizione col dogma dell’assunzione corporale della vergine. “La donna che fugge nel deserto. È facile scorgere sotto questa immagine l’allegoria della Chiesa militante in mezzo alle persecuzioni che Satana le ha suscitato contro” Manuel Biblique ad uso dei seminaristi ad opera di VIGOUROUX, BACUZ e BRASSAC, vol. IV, L’Apocalypse, p. 741. 10 CRAMPON Auguste-Joseph-Théodore, La Sainte Bible, t. VII, l’Apocalypse, rivista dal gesuita PIFFARD P.A., Paris 1904, p. 471. Possiamo tracciare il seguente elenco dei primi dieci secoli sull’identificazione della donna. È stata identificata con la Chiesa da: - Ippolito di Roma (III secolo); Pseudo Cipriano; Vittorino di Pattau; Metodio (312); Gerolamo (347-420); Ticonio teologo donatista IV secolo; Agostino (354-430) la identifica con la città di Dio; Andrea, arcivescovo di Cesarea (563-613); Pseudo Agostino o S. Cesario d’Arles V, VI secolo; Primasio, vescovo di Adrumette (Africa) (†550560); Gregorio il Grande, VII secolo; Beda il venerabile, del monastero di Jarrow (Inghilterra) (672-735); Beato di Liebana, monaco benedettino spagnolo, (in uno scritto del 776-786); Bruno di Segni (1049-1123), scrive il suo commentario nel 1080, fu consigliere di papa Vittore III, Urbano II, legato di Gregorio VII in Francia, vescovo di Segni e infine monaco. È stata identificata con Maria, figura della Chiesa, da: - Quovultdeus, vescovo di Cartagine dal 437 (†445); Cassiodoro (†583); Ambroise Autpert (o Alberto) che scrive verso il 758-767, dipende molto da Ticonio; Vittorino ha due spiegazioni: Maria tipo della Chiesa genera Cristo, la Chiesa genera il corpo di Cristo; Alcuino (735-804), teologo di Carlomagno, riassume il pensiero di Ambrogio. Anche Haymon d’Auxerre (†circa 860) segue Ambrogio. È stata vista come Maria, madre di Gesù da: - Œcumenius (VI secolo) il deserto è stato l’Egitto. I due suoi predecessori sono stati: Epifanio ed Efrem (306-372) di cui si conoscono delle allusioni; Areta (850-932 circa), vescovo di Cesarea, cita senza difficoltà Andrea vescovo di Cesarea e Œcumenius. Vedere P. Prigent, o.c., pp. 3-30. 11 TRABUCCO A., La donna ravvolta nel sole - Apocalisse 12 - nell’esegesi cattolica post-tridentina, Roma 1957. 12 CORSANI Bruno, L’Apocalisse, guida alla lettura, ed. Claudiana, Torino 1987, p. 108. D’ARAGON Jean Louis, teologo cattolico, professore del Collegio dell’Immacolata Concezione di Montreal, Canada, pur riconoscendo che non sia possibile identificare la donna con Maria, conclude la sua esposizione giustificandola. Scrive: “Molti degli antichi commentatori la identificano con la Chiesa; nel Medio Evo era diffusa l’opinione che essa rappresentava Maria, la Madre di Gesù. Gli esegeti moderni hanno generalmente adottato la prima interpretazione, apportando alcune modifiche. Negli anni recenti parecchi cattolici hanno preso le difese dell’interpretazione mariana. Numerosi dettagli contestuali tuttavia mal si adattano a questa spiegazione. Per esempio, ci è difficile immaginare che Maria sia giunta al massimo delle sofferenze nei dolori del parto, che sia stata inseguita nel deserto dopo la nascita di suo figlio o che infine sia stata perseguitata attraverso gli altri suoi figli (v. 17). L’accento posto sulla persecuzione della donna è veramente appropriato solo se essa simboleggia la Chiesa, che viene continuamente presentata nel libro come oppressa dalle forze del male, ed è tuttavia protetta da Dio. Inoltre l’immagine di una donna è comune nell’antica letteratura profana orientale e anche nella Bibbia come simbolo di un popolo, di una nazione, o una città. Molto meglio, pertanto, è ravvisare nella donna il popolo di Dio, il vero Israele del Vecchio e del Nuovo Testamento. L’Apocalisse (e il cristianesimo primitivo in generale) non fece alcuna chiara distinzione tra Israele e la Chiesa. Il Messia proviene dal popolo delle 12 tribù (v. 5); questo stesso popolo, guidato dai 12 apostoli, è la madre di coloro che credono in Cristo (v. 17; Isaia 54:1-3; Galati 4:27) e soffre in essi a causa della sua fede in Gesù.- Questa interpretazione comunque non esclude necessariamente qualsiasi riferimento a Maria; è del tutto possibile che Giovanni abbia scritto da una duplice prospettiva, individuale (dove? nda) e collettiva, implicante sia il popolo di Dio, la Chiesa, sia Maria” L’Apocalisse, in Grande Commentario Biblico Queriniana, ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 1457.
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Nell’identificazione della donna con Maria, non si può non riconoscere l’influenza che ha avuto l’evolversi del dogma dell’assunta attraverso i secoli che fu proclamato solamente nel 1950. Miti e divinità femminili pagane
Una corrente di pensiero in ambito cristiano, non considerando la Parola di Dio come rivelazione dell’Eterno, come il suo entrare nella storia per comunicare agli uomini i suoi insegnamenti, scambia il pensiero del tempo per rivelazione del Signore. Così per diversi studiosi moderni, sembra sia “un pensiero generale che una storia pagana presti delle immagini a questa sezione. Diversi antichi miti (egiziani, babilonesi, ecc.) descrivono un mostro che aspetta la nascita di un bambino per subito divorarlo. Nonostante tutto il bambino nasce e fugge; in alcuni casi uccide il mostro. Questa storia faceva parte della cultura dell’ambiente in cui Giovanni viveva. Non è difficile supporre che egli abbia adattato parte di questo mito ad uso cristiano, perché i sogni e le visioni sono spesso costruiti da elementi già esistenti nella mente. Le leggende greche che riguardano la nascita di Apollo dicono che sua madre Letona era inseguita da un serpente Pitone quando essa era incinta. Pitone sapeva che era destinato ad essere ucciso dal figlio di Letona. Posidone, dio del mare, andò in aiuto a Letona portandola nell’isola di Delo, dove fece nascere Apollo”. 13 Questo modo di fare teologia non è sostenibile. Si legge infatti in Anchor Bible: “Sembra improbabile che un libro come questo dell’Apocalisse, che contrasta fortemente l’idolatria, debba utilizzare dei simboli pagani per sostenere la comunità fedele”. 14 Siamo quindi d’accordo con l’affermazione di Hengstenberg: “Lo scrittore dell’Apocalisse vive interamente nella sacra Scrittura”.15 Del resto “la teoria che la donna sia una dea solare non è solo non provata... L’intera visione, in tutti i suoi complessi dettagli, può facilmente essere illustrata da altre fonti, tutte dell’ambiente giudaico”. 16 13
GLASSON Thomas Francis, The Revelation of John. The Cambridge Bible Commentary on the New English Bible, ed. P.R. Ackroyd, A.R.C. Leaney, J. Packer, Cambridge 1965, pp. 72,73. 14 FORD J. Massyngberde, Revelation, in The Anchor Bible, New York 1975, p. 188. Il cattolico J.L. d’Aragon tenta di conciliare le due influenze: pagana ed ebraica, che riteniamo non giustificabile proprio per i particolare che pone in evidenza. Scrive: “Era credenza diffusa nel mondo antico che sarebbe nato un salvatore-re. Questa aspettativa è attestata dall’India a Roma, principalmente sotto la forma di un mito; spiccano tra queste narrazioni quelle di Babilonia, dell’Egitto e della Grecia. La dea che doveva generare il salvatore era perseguitata da un orribile mostro, una personificazione del male. Protetta in modo straordinario, essa poté partorire in un luogo sicuro, e il bimbo uccise ben presto il mostro maligno, recando in tal modo la felicità al mondo. Sembra impossibile sostenere che l’Apocalisse non sia stata minimamente influenzata da questo mito popolare; con ogni probabilità Giovanni mutuò da esso alcuni dettagli. Ma certamente egli non fu direttamente influenzato dal mondo pagano che tanto aborriva; più probabilmente ha usato una versione giudaica epurata del racconto (dipendente da Genesi 3:15?). Scrivendo per le chiese dell’Asia, potrebbe aver utilizzato dei dettagli tratti da un mito loro familiare, al fine di proclamare il vero Salvatore e la certezza della sua vittoria. Si notino anche le seguenti differenze tra questo episodio e il mito pagano: il bimbo non distrugge immediatamente il mostro maligno. Egli viene rapito in cielo dove regna con Dio; la nostra attenzione viene appuntata non su di lui ma piuttosto sulla donna, che rimane esposta all’odio del dragone anche dopo l’intronizzazione del figlio” o.c., p. 1457. 15 HENGSTENBERG E.W., The Revelation of St. John, trad. Patrick FAIRBAIRN, vol. I, Edimburgh 1851, p. 52. Quando la profezia diventa storia
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Farrer protesta contro questa supposizione che un autore biblico si rifaccia a dei miti pagani, sostenendo che Giovanni avrebbe avuto sufficienti riferimenti agli insegnamenti dell’Antico Testamento.17 Kiddle fa notare che “Giovanni non stava modellando la sua storia cristiana riformulando un mito pagano”.18 L’apostolo descrive la rivelazione ricevuta utilizzando il linguaggio del ricco bagaglio avuto in eredità dai padri, che risale all’origine della storia. Anche gli altri popoli hanno alle loro origini questo patrimonio così ricco e vero, ma nel loro allontanarsi da Dio, hanno adattato le realtà originarie ai loro culti solari trasformandoli così in miti che mantengono un nocciolo comune ma che vengono impoveriti con gli errori delle nuove credenze. “Nessuna nuova immagine viene introdotta in questa visione. Quella che viene utilizzata la si può trovare in altre Scritture. Della venuta del Cristo per distruggere Satana se ne parla, in un modo simile e con una immagine che illustra questo testo, sin dall’inizio della Bibbia, immediatamente dopo la caduta dell’uomo. “Io metterò inimicizia fra te e la donna e tra il tuo seme e il seme di lei; egli ti schiaccerà la testa e tu le ferirai il calcagno”. Qui abbiamo una chiara illustrazione dei principali attori di questa allegoria. La donna dalla quale Cristo sarebbe nato e Satana suo nemico”.19
Rappresenta il popolo di Dio Più risaliamo nel tempo più troviamo un accordo unanime tra i commentatori d’Occidente e d’Oriente nel vedere in questa donna il popolo di Dio, la Chiesa dei santi, la sposa di Gesù Cristo, pura e senza macchia, come per esempio insegnava Metodio; quindi per nulla la Vergine come vuole da qualche tempo l’insegnamento della Chiesa Romana. Vittorino di Pattau, tra i primi interpreti latini dell’Apocalisse, scriveva a tale proposito: “È l’antica Chiesa dei padri e dei profeti, dei santi e degli apostoli... è la Chiesa che comprende tutta l’economia della salvezza, economia unica, che comincia dai patriarchi e termina con la Parusia”.20 “Questa donna quindi non rappresenta né Israele senza la Chiesa, né la Chiesa senza Israele, ma l’assemblea dei credenti tanto della nuova quanto dell’antica alleanza, che ha vinto il paganesimo e che è il divino candelabro del mondo”21 la luce dell’umanità. 16
CARRINGTON Philip, The Meaning of the Revelation of St. John, in International Critical Commentary, vol. I, Edimburgh 1920, p. 203. 17 FARRER Austin, A Rebirth of Images, London 1949, p. 7. 18 KIDDLE M., The Revelation of St John, London 1940, p. 216. 19 HUNTINGFORD Edward, The Apocalypse, London 1881, p. 134. 20 Vittorino di Pattau, citato da BONSIRVEN Giuseppe, L’Apocalisse di S. Giovanni, Roma 1958, p. 204. 21 K. Auberlen o.c., p. 241. E. Bosio nel suo Commentario all’Apocalisse di Giovanni scrive: “I1 popolo di Dio nella sua vasta unità, l’Israele di Dio che abbraccia i credenti nel Cristo venturo ed i credenti nel Cristo venuto. L’Apocalisse non fa differenza tra i credenti israeliti ed etnici. La Chiesa cristiana è la continuazione sotto forma non nazionale ma più vasta, del popolo di Dio antico” BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 86.
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LA CHIESA DI DIO ATTRAVERSO I SECOLI
È il popolo di Dio che prepara la venuta del Salvatore, che vive durante la fondazione del Suo regno spirituale, e che attende il Suo ritorno per il compimento della Sua opera. La “donna” nel testo sacro, nel linguaggio figurato è il simbolo costante del popolo di Dio. Si trova questa rappresentazione dalla Genesi all’Apocalisse, e la relazione esistente tra questa donna e il suo Dio è espressa con un linguaggio sentimentale. Nel Pentateuco l’infedeltà d’Israele nei confronti dell’Eterno, per seguire gli altri dèi, è chiamata fornicazione22 e Dio viene presentato con sentimenti di gelosia.23 Nei profeti questo simbolo è utilizzato con frequenza. Le diverse relazioni dell’Eterno con il suo popolo sono rappresentate con l’immagine del fidanzamento, del matrimonio, dell’adulterio, del divorzio e della vedovanza.24 Nel Nuovo Testamento si ha lo stesso linguaggio: Giovanni Battista chiama Gesù lo sposo, Gesù si dà lo stesso titolo, e Paolo fidanza i credenti al Cristo.25 Il pastore A. Reymond giustamente fa notare: “Nel linguaggio della profezia i credenti, considerati come individui, sono chiamati figli e figlie di Sion; il Nuovo Testamento li chiama figli di Dio; e se si tratta dell’insieme di questi, si usa l’espressione: la donna o la posterità della donna”.26 Questa espressione ha la sua origine nell’Eden, a seguito del peccato.27 “Poi apparve un gran segno nel cielo”. Questo “grande” portento che Giovanni vede nel cielo è tale perché la Chiesa militante, che descrive, è di già circonfusa della gloria e perfezione futura. “Nel cielo”. Il cielo è il luogo spirituale dei figli di Dio, è il luogo da dove discendono le benedizioni divine; è il luogo della vita spirituale, la residenza dei figli di Dio28 e non un luogo geografico. La Chiesa militante è di già in cielo nella sua prospettiva finale. “Una donna rivestita dal sole”. Il sole è preso nella Scrittura come l’emblema dell’Eterno, è la faccia raggiante del Signore. La donna rivestita dal sole rappresenta la Chiesa rivestita della pienezza della grazia e della vita dell’Eterno. È la Chiesa nel suo splendore, a seguito della
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Esodo 34:15; Levitico 17:7; 20:5,6; Deuteronomio 31:16. Esodo 20:4. 24 Isaia 50:1; 54:1,5; 62:4,5; Geremia 2:2,20,23-25; 3:1; Ezechiele 16 e 23; Osea 2:20. 25 Giovanni Battista, Giovanni 3:29; Gesù, Matteo 9:15; Paolo, 2 Corinzi 11:2; Efesi 5:23-32. 26 REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanne 1904, p. 258. 27 Genesi 3:15. Sul significato messianico di questo testo vedere p. 63, nota n. 11. “Secondo il testo ebraico sarà la discendenza della donna a schiacciare la testa del serpente. La LXX, che traduce con un maschile, lascia supporre che la vittoria sarà opera di uno dei discendenti della donna. La Vulgata traduce con un femminile (ipsa) e apre la porta all’interpretazione mariologica del versetto” SKA Jean Louis S.I., Il Canone ebraico e il Canone cristiano dell’Antico Testamento, in La Civiltà Cattolica, n. 3, 1997, p. 213, nota n. 1. 28 Efesi 2:6; Filippesi 3:20; Colossesi 3:1-3. 23
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realizzazione dell’Emanuele: Dio con noi, con la sua Chiesa.29 Questo sole è la luce abbagliante della rivelazione cristiana. “La donna appare rivestita dal sole, perché essa è nel mondo la depositaria della celeste luce della rivelazione; essa è in grande ciò che è in dettaglio ogni Chiesa particolare, una luce, un candelabro, di modo che si possa dire che la donna rivestita dal sole non è altro che l’insieme dei candelabri del capitolo I”30 dell’Apocalisse. La Chiesa non ha altro scopo nel mondo che quello di essere la sua luce, o meglio di fare risplendere la grazia, cioè la luce ricevuta. “Con la luna sotto i piedi”. Non accettando l’opinione che vede nella luna il simbolo dei beni passeggeri e che la donna disprezza i miraggi temporali,31 i commentatori si dividono in due gruppi: gli uni vi vedono le speculazioni filosofiche ed il paganesimo in genere; gli altri la rivelazione dell’Antico Testamento. Se il sole indica la luce diretta data dal Cristo e che avvolge la Chiesa della sua grazia, è logico vedere nella luna la luce riflessa che annuncia il Salvatore e sulla quale la Chiesa si basa per affermare che nel Gesù di Nazareth l’umanità è stata visitata dal suo Creatore. Pensiamo comunque che queste due spiegazioni non si escludano a vicenda per il fatto che la Rivelazione antica, i cui frammenti si ritrovano dispersi in tutte le religioni anteriori al cristianesimo, sommati assieme, si ritrovano nella religione israelitica, il cui pallido chiarore era nella notte del paganesimo il riflesso anticipato del Messia che doveva venire. Essa “aveva illuminato l’antica Chiesa d’una luce riflessa mediante le sue istituzioni e i suoi tipi, mentre la Chiesa del Nuovo Testamento, rivestita dal sole, tiene tutto questo sotto i piedi”,32 non in segno di disprezzo, ma come fondamenta di promesse sulle quali si appoggia. “E sul capo una corona di dodici stelle”.33 29
Salmo 84:11; Malachia 4:1-3; Apocalisse 1:16; 1 Timoteo 6:16; Giovanni 1:9; Giacomo 1:17. K. Auberlen, o.c., pp. 238, 239; vedere Apocalisse 1:12. L’apostolo riprende l’abbigliamento della donna in Apocalisse 14:5 quando presenta i santi che hanno dei vestiti splendenti. Romani 8:1; Colossesi 2:10; Efesi 1:3. 31 MAÎTRE Joseph, La prophétie des papes attribuée à S. Malachie, Paris Beaune 1901, p. 380. 32 GAUSSEN Louis, Daniel le Prophète, t. III, Paris 1849, p. 245. 33 Riteniamo opportuno rilevare che la “Corona di dodici stelle” in campo azzurro della bandiera dell’Unione Europea è ripresa dalla bandiera della Vergine che si riallaccia, impropriamente, al testo biblico. Riporta il sacerdote Pierre Caillon “che nel mese di agosto 1987 si trovava per caso davanti al Carmelo di Lisieux. Un signore gli si avvicinò e gli disse: “Io sono di Strasburgo. Sono io quello che hanno incaricato di disegnare la bandiera d’Europa. Ispirato da Dio, ho avuto l’idea di una bandiera blu sulla quale si staccano le dodici stelle della Medaglia Miracolosa di rue du Bac (è il centro dell’apparizione mariana del 1830, è uno dei luoghi più importanti. In seguito a quelle apparizioni si sono coniate le medagliette della Vergine che vengono distribuite in tutto il mondo). Di modo che la bandiera d’Europa e la bandiera della Madonna abbiano fondo blu, e dodici stelle (Apocalisse 12). Vi dico questo, padre, portate sul petto la piccola croce dell’armata azzurra. La bandiera d’Europa è stata adottata nel modo più ufficiale possibile. Tutte le nazioni d’Europa hanno votato. Gli inglesi esitavano. Nessuno sapeva da dove veniva questa idea. Alla fine tutti hanno firmato”. Mentre mi raccontava tutto ciò, il disegnatore della bandiera, che era profondamente cristiano, era pieno di gioia. È un vero miracolo che questa bandiera sia nata da una tale ispirazione mariana. Tutti coloro che conoscono rue du Bac, vedendo questa bandiera vi aggiungeranno, con il pensiero e con il cuore, nel mezzo di quel fondo blu, la Regina del Paradiso, che era Regina di Francia e diventa Regina d’Europa” Pierre CAILLON, Notre Dame des Temps Nouveaux, n. 1-1989; siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. È significativo il fatto che il Consiglio d’Europa nacque il 5 maggio 1949 e che il giorno in cui si 30
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La corona è il segno della vittoria. La Chiesa viene raffigurata di già pervenuta alla regalità non per la sua propria forza, ma per quella della potenza celeste che l’avvolge con la sua luce. Il numero dodici ricorda le dodici tribù d’Israele, e i dodici apostoli che sono gli eredi spirituali dei figli di Giacobbe, fondatori e continuatori del nuovo Israele. È il segno dell’antico patto che continua rinnovato nel nuovo, raffigurato nella sua perfezione. Nel momento storico in cui si passa dalla vecchia alla nuova alleanza questi simboli ci descrivono la grande unità che esiste tra i due patti e la loro continuità storica e organica attraverso i secoli. “Ella era incinta e gridava nelle doglie tormentose del parto”. I dolori del parto che Giovanni qui descrive sono quelli che menzionerà più avanti parlando della nascita di Gesù34 ma sono anche le tribolazioni sopportate dalla Chiesa di Cristo durante il ministero del Signore sulla terra e quello degli apostoli e dei testimoni di ogni tempo, pur di far accettare, o meglio, dare alla luce la nuova speranza, il vero Liberatore. L’apostolo Paolo scrive ai Galati: “Figlioli miei, per i quali io sono di nuovo in doglie, finché Cristo sia formato in voi”, e ai Corinzi ricorda: “Sono io che vi ho generati in Cristo, mediante l’Evangelo”.35 Diceva nel III secolo Ippolito di Roma: “Essa prova i dolori tormentosi del parto, perché la Chiesa non cessa di generare dal suo cuore il Verbo, che è perseguitato in questo mondo dagli infedeli” e Berengario nell’XI secolo: “La donna è la Chiesa, che grida per la predicazione e che genera con il battesimo”.36 Concludendo questo primo quadro, diciamo che questi due versetti presentano il passato, il presente e il futuro della Chiesa, usando una forma retorica che anticipa i fatti del futuro per una più chiara comprensione del tutto.
Secondo quadro: il dragone “E apparve un altro segno nel cielo; ed ecco un grande dragone rosso che aveva sette teste e dieci corna, e sulle teste sette diademi. E la sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le gettò sulla terra. E il dragone si fermò davanti alla donna che stava per partorire, al fine di divorarne il figlio quando l’avrebbe partorito. Ed ella partorì un figlio maschio che ha da reggere tutte le nazioni
accordarono per la scelta della bandiera fu l’8 dicembre 1955. Marchal, fautore dell’unificazione europea, disse: “Ma sembra proprio la bandiera dell’Immacolata!”. Riportato da Pietro MANTERO, Il grande libro delle profezie, Udine 1994, p. 107. 34 Apocalisse 12:4,5. 35 Galati 4:19; 1 Corinzi 4:15. 36 Mge BOVET François de, L’Esprit de l’Apocalypse, Paris 1840, pp. 42, 776. Quando la profezia diventa storia
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con verga di ferro; e il figlio di lei fu rapito presso a Dio ed al suo trono”.37 Al gran segno nel cielo raffigurante il popolo di Dio, si contrappone un altro segno: quello del dragone rosso, la potenza dell’avversario, “il serpente antico che è chiamato diavolo e Satana il seduttore di tutto il mondo” di cui è “principe”, “omicida fin dal principio”, “dio di questo secolo”.38 La sua coda trascinava la terza parte delle stelle del cielo e le gettò sulla terra.39 Queste stelle sono gli esseri celesti che ancor prima della creazione dell’uomo, accettando il suo inganno, si ribellarono a Dio e furono gettati sulla terra.40 Dopo la creazione dell’uomo Satana ha inculcato nel suo cuore il dubbio nei confronti di Dio, dividendolo dal suo Creatore. Come principe di questo mondo ha cercato in ogni tempo di sopprimere i figli di Dio, incominciando da Abele il giusto, ad opera di Caino, continuando poi tramite l’Egitto, Babilonia, la Medo-Persia, la Grecia e l’Impero Romano nelle sue varie fasi.41 Nella Donna vediamo lo strumento di Dio che è la Chiesa, il sale della terra, nel Dragone abbiamo lo strumento di Satana che è il potere sia religioso sia politico nella sua opposizione a Dio. La società civile, senza l’evangelo, agisce secondo dei sentimenti feroci e, tramite la forza, impone la sua volontà, non a caso si presenta di colore rosso sangue; perché disgiunta da Dio vuole godere dei frutti della conoscenza per un benessere terreno, materiale. Il conflitto millenario fra Dio, che agisce tramite la sua Chiesa, e Satana, che agisce tramite il potere non rigenerato, è presentato in questo capitolo XII dell’Apocalisse. Il conflitto primitivo che si è svolto nell’Eden tra la donna e il rappresentante di Satana, il serpente, è in questo capitolo ripreso nella sua maturità. La donna, nella Genesi, era innocente e ignara delle insidie del tentatore, anche se era stata avvertita, qui non è più un personaggio ingenuo, ma è diventata consapevole alla scuola dell’amore di Dio, non cammina più tra gli alberi e i fiori, ma fra gli astri del cielo. In lei s’incarna la causa della verità e della giustizia, riflette la gloria di Dio, è circondata da luce e da esperienza, garanzia della sua vittoria nella lotta finale. Analogamente, al posto del serpente viene presentato un drago e ciò significa che Satana pure ha esteso i suoi poteri a quasi tutta la terra e si presenta nella sua perfezione malefica. 37
Apocalisse 12:3-5. Apocalisse 12 9; Giovanni 12:31; 14:30; 16:11; 8:44; Luca 4:6,7; 2 Corinzi 4:4. 39 In questo testo crediamo che si debba riconoscere il linguaggio di Daniele 8:10, con la differenza che mentre il profeta di Babilonia indicava nelle “stelle” le guide spirituali del popolo di Dio che il suo nemico getterà dal cielo sulla terra per calpestarle, Giovanni presenta le “stelle” come esponenti seguaci del dragone, almeno questa è la nostra comprensione. L’Avversario trascina con sé nella sua caduta un terzo degli esseri dalle corti celesti. Giovanni ha però utilizzato il simbolo della stella, come i rappresentanti del popolo di Dio, quando descrive la corona di dodici stelle. 40 Giuda 6. Alcuni commentatori hanno visto in queste stelle le autorità d’Israele rovesciate dall’Impero Romano, altri i dirigenti cristiani messi a morte dall’autorità romana. Il versetto 9 sembra sostenere meglio quanto esponiamo. 41 Genesi 3:1-5; 4:6,7; 1 Giovanni 3:11,12; Esodo 1:13-16, 5:2; 14:10,11; Daniele 1:2; 6:1-17; Ester 3:8-14; Daniele 11; 7:21,25; Apocalisse 13:7; 17:13,14. 38
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Sua incarnazione religiosa Questo drago rappresenta il paganesimo ostile al popolo di Dio. È rosso. Lo scrittore protestante scozzese A. Hislop scriveva: “La parola tradotta con rosso significa propriamente colore di fuoco.42 Dragone rosso significa dunque dragone di fuoco o serpente di fuoco. Esattamente lo stesso che, nella prima forma di idolatria, sotto il patronato di Nimrod,43 apparve nell’antichità. Il serpente di fuoco nella pianura di Scinear sembra essere stato il grande oggetto di culto... L’apostasia iniziò presso i figli di Noè col culto del fuoco, e ciò, sotto il simbolo di un serpente... Tutta l’antichità indica Nimrod come colui che iniziò il culto del fuoco... Il sole, grande sorgente di luce e di calore, era adorato sotto il nome di Baal... Come il sole nel cielo era il grande oggetto di culto, così il fuoco veniva adorato quale suo rappresentante sulla terra... Così come per il sole, il grande dio del fuoco, il serpente ebbe anche il suo culto e si identificò con lui... In Egitto uno dei simboli più comuni del sole o del dio sole è un disco circondato dal serpente”.44 Dai segni geroglifici egiziani si nota che, dai tempi più antichi, il potere sovrano presso i pagani era rappresentato dal doppio segno del sole e del dragone, e spesso, nei geroglifici, il segno del sole che raffigurava il faraone era attraversato dal segno del dragone.45 “Come il sole era il grande luminare del mondo fisico, così il serpente era considerato come il grande luminare del mondo spirituale, che dava all’umanità la conoscenza del bene e del male”.46 Il serpente, che si presenta come un dragone nella sua perfezione, cioè con sette teste, rappresenta una mistificazione della potenza di Dio, infatti nell’antichità gli si attribuiva qualcosa della natura divina: “Sembra il più spirituale di tutti i rettili: è della natura del fuoco; poiché ostenta una agilità incredibile, e si muove per il semplice effetto della sua volontà senza il soccorso delle mani e dei piedi. Inoltre vive molto tempo e ha la virtù di rinnovare la sua giovinezza”.47 Per questa sua ultima caratteristica il serpente era preso nell’antichità come simbolo dell’immortalità. Il dragone nell’Apocalisse riassume in sé i culti al sole ed al fuoco divoratore, a lui venivano “sacrificate vittime umane, e principalmente
42 Vedere la traduzione interconfessionale in lingua corrente, La Parola del Signore - il Nuovo Testamento, ed. LDC-ABU. 43 Nimrod, nipote di Noè, discendente di Cam (Genesi 10:8,10-12; 1 Cronache 1:10), primo sovrano potente sulla terra. Il suo dominio si stabilì nella pianura di Scinear (Babilonia) Babel, Erec, Accad... poi conquistò il paese di Assur e vi costruì Ninive e altre città. È all’origine della civiltà assiro-babilonese. Secondo Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche I,4, quando Dio diede ordine ai figli di Noè di disperdersi sulla terra, Nimrod fu il promotore della costruzione della torre di Babel per mettersi al riparo da un nuovo diluvio e acquistare fama e potenza. Vedere Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, A. WESTPHAL, t. II, p. 213. 44 HISLOP Alexander, Les Deux Babylones, 1a ed. francese, 1886, Paris 1972, pp. 342,343,344. 45 L. Gaussen, o.c., t. III, p. 408, nota d. 46 A. Hislop, o.c., pp. 343,344. 47 Idem, p. 345.
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bambini, ... quale padre di tutti gli dèi babilonesi”.48 Era la divinità adorata dai Druidi in Gran Bretagna ed era chiamato altrove Baal, o Moloc. La vera sede di questa forma di culto era a Babilonia, ma dopo la morte di Beltsatsar e l’espulsione da questa città del clero caldeo ad opera dei Medo Persiani, si spostò a Pergamo, dove per diversi secoli fu “il trono di Satana” e dove il culto ad Esculapio, nella forma del serpente, ebbe degli eccessi incredibili. Più tardi, da Pergamo la sede si spostò a Roma, nuovo “trono” di Satana.49 Nella capitale dell’Impero Romano, tra le numerose divinità, due erano principalmente oggetto di culto: “il fuoco eterno che bruciava sempre nel tempio di Vesta, e il serpente sacro di Epidauro. Nella Roma pagana questi culti del fuoco e del serpente erano qualche volta separati, qualche volta confusi. Il fuoco di Vesta era considerato uno dei principali protettori dell’Impero, si diceva portato da Enea da Troia”50 e alle Vestali era affidato il compito di mantenerlo sempre acceso. “Il serpente di Epidauro, che i Romani adoravano quanto il fuoco, era considerato come una divina rappresentazione di Esculapio, figlio del sole... o il sole incarnato”.51 Questo dio, nella forma di serpente, era stato portato a Roma a causa di una epidemia, “fu solennemente consacrato come dio protettore dei Romani” e così, “il serpente che rappresentava il sole come divinità incarnata, ...il serpente di fuoco, divenne quasi universale”.52
Sua incarnazione politica L’espressione dragone la troviamo solamente nell’Apocalisse, nella versione greca dei LXX traduce il termine ebraico tannim, plurale di tan. In alcuni passi questo termine si attribuisce a “Faraone re d’Egitto, gran coccodrillo... ”.53 “Il dragone figurava fra le insegne militari degli Assiri. Ciro lo fa adottare dai Medi e dai Persiani... Non c’è dubbio che lo stendardo del dragone o serpente presso gli Assiri e i Persiani si riferisca al culto del fuoco, poiché il culto del fuoco e del serpente erano mescolati insieme in questi paesi”.54 Verso la fine del III secolo, inizio del IV dell’era cristiana, il dragone rappresentava il potere assoluto degli imperatori romani e, sotto gli imperatori di Bisanzio, ogni centuria aveva per insegna il dragone, diventato celebre quanto lo stemma delle aquile. Ammiano Marcellino, contemporaneo dell’imperatore Giuliano, diceva: “Il dragone era ricoperto da un manto di porpora; lo si portava sulla cima di una picca arricchita d’oro e di pietre preziose; apriva al vento una larga gola, per 48 49 50 51 52 53 54
Idem, p. 351. Apocalisse 2:13; 13:2. Idem, p. 357. Idem, p. 358. Idem, p. 359. Ezechiele 29:3; 32:2; Salmo 74:14. La parola stessa Faraone significa “sole”. A. Hislop, o.c., p. 481.
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riceverne il soffio e poiché era cava fischiava allora come se fosse stato vivente e irritato, mentre la sua coda flottava in aria, ondulando a diverse riprese”.55 Questo dragone rosso alla testa dell’esercito romano era un oggetto di culto e veniva adorato, così come era avvenuto nell’Assiria e nella Medo-Persia. L’emblema del dragone degli stendardi romani passò sulle monete papali, coniate sotto il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585). Quel dragone, dice l’abate Joseph Maître, ricorda quello delle favole dove vegliava a guardia del vello d’oro o dei pomi del giardino dell’Esperidi. Due di quelle medaglie, in particolare, portano al margine la parola Vigilata. Un’altra Gregorei, dal greco gregoreo che significa vegliare.56 In un’altra medaglia il dragone alato viene posto alla porta della vigna del Signore. Su un’altra il dragone alato domina al di sopra del mondo e simboleggia la sollecitudine universale del pontefice con la scritta Pro cunctis (per tutti).57 Per rappresentare meglio il nuovo Vicario di Cristo, che esercita dappertutto la sua azione benefica, la medaglia porta la scritta Desertis semina terris - semina le terre deserte - e presenta un carro, trainato nel cielo da due draghi, che spande sulla terra la buona semenza. E siccome il nuovo dragone porporato faceva il bello e brutto tempo, sua “santità” Gregorio XIII, come guida e direttore illuminato della Chiesa e del mondo, viene raffigurato da un drago in forma di timone e la medaglia porta le parole: Optime regitur - è governata ottimamente.58 Giovanni vede il grande dragone nel momento storico dell’Impero Romano in antagonismo con la Chiesa di Dio.59 Con questo dragone a sette teste e dieci corna l’apostolo ci presenta qui “una incarnazione dello spirito delle tenebre per la guerra che voleva fare alla Chiesa di Dio nell’impero dei Latini”60. Questo potere è già installato, non sorge dal mare, o dall’abisso61, è di già insediato nel secolo apostolico quando la Chiesa prende vita e prima che fugga nel deserto. “È il principe di questo mondo che si è impadronito di tutta la potenza dell’impero pagano di Roma”62, attraverso il quale Satana, per interposta persona, compie la sua opera distruttrice. Questo dragone è la contraffazione di Cristo e F. de Rougemont spiegava: “Le teste sono in numero di sette come l’Agnello ha sette corna sulla sua testa unica63, ed esse sono tanti imperi64. L’Agnello non ha che un solo e unico regno, che è eterno; quelli di Satana periscono e si susseguono gli uni agli altri... I sette imperi (le sette 55
Ammiano Marcellino, Storia degli imperatori romani, Libro XVI, 10; cit. da L. Gaussen, o.c., t. III, p. 253. Daniele aveva detto che questo potere “aveva degli occhi simili ad occhi d’uomo” Daniele 7:8. 57 Daniele aveva scritto che questo regno, sebbene “piccolo”, “appariva maggiore degli altri” Daniele 7:8,20. 58 J. Maître, o.c., pp. 492, 493. 59 Vedere BURNIER Pierre Louis Étienne, Études élémentaires et progressives de la parole de Dieu, vol. VII, Lausanne 1852, p. 475. 60 L. Gaussen, o.c., t. III, p. 252. 61 Apocalisse 13:1; 11:7; 17:8. 62 J.N. Darby, o.c., p. 121. 63 Apocalisse 5:6. Le sette corna sono l’immagine della forza perfetta, i sette occhi quelli della vigilanza e dell’onniscienza. 64 Nel nostro Capitolo XIX spieghiamo come le sette teste rappresentano sette imperi universali a partire da Babilonia. 56
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teste) di Satana sono le monarchie universali che egli ha fondato e affermato sulla terra dal giorno in cui lo scettro profetico del mondo è stato rotto da Nebucadnetsar tra le mani del discendente di Davide, Sedechia. Sono gli imperi dei Caldei (I testa), dei Persiani (II testa), dei Macedoni (III testa) e dei Romani (IV testa); il II Impero Romano (che va dallo smembramento di Roma a seguito delle invasioni barbariche fino alla Rivoluzione Francese, V testa), lo Stato dell’era rivoluzionaria (VI testa, che va dal periodo della Rivoluzione Francese al nostro tempo) e un settimo (VII testa) che l’avvenire farà conoscere (futura confederazione degli Stati europei dell’Impero Romano che si metteranno sotto le direttive di Roma). Le dieci corna senza diadema sono i dieci regni secondari che costituiscono i tre ultimi imperi (teste), e che sono i vassalli dell’uomo del peccato”.65 Il Rosselet, nell’aiutarci a comprendere meglio il momento storico a cui si riferisce questo secondo quadro, fa notare: “Abbiamo qui prospettata Roma imperiale e pagana... Questo impero doveva venire diviso, più tardi, in dieci regni (le 10 corna), ma al tempo dell’apparizione del dragone i dieci regni erano ancora futuri, e perciò le corna non sono (come al capitolo seguente) coronate da diademi”.66 In conclusione, questo dragone rappresenta religiosamente e politicamente la rivolta dell’umanità nei confronti di Dio elevando a culto la propria speculazione filosofica, il proprio sentimento religioso e la propria politica. Rifiuta la Rivelazione di Dio e di conseguenza non può che agire animata dall’Avversario. Il dragone si fermò davanti alla donna al fine di divorarle il “figlio maschio” che, una volta nato, ha da reggere la terra con verga di ferro.
Il Figlio maschio “E il dragone si fermò davanti alla donna che stava per partorire, alfine di divorarne il figlio maschio, che ha da reggere tutte le nazioni con la verga di ferro”.67 I commentatori da sempre hanno visto nel figlio maschio il Messia, Gesù. A quale momento della storia si riferiscono le parole: “ella partorì”? Alcuni commentatori pensano alla nascita di Cristo a Betlemme, come annunciato dal profeta Michea.68 Il tentativo del dragone di divorarlo sarebbe stata l’azione di Erode con la sua strage degli innocenti, e tutti gli sforzi di Satana nell’ostacolarlo durante il suo ministero. Altri pensano alla risurrezione del Cristo quando l’Impero Romano era in agguato al sepolcro, dopo averlo sigillato, per impedire la manifestazione della sua potenza. 65 ROUGEMONT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, Neuchâtel 1866, pp. 257,258. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. 66 ROSSELET D’IVERNOIS Gustave Adolphe, L’Apocalypse et l’histoire, t. II, Paris 1878, p. 180. 67 Apocalisse 12:5. 68 Michea 5:1,2; Matteo 2:6.
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Le parole che il figlio maschio “ha da reggere tutte le nazioni con la verga di ferro” si rifanno al Salmo II che annuncia il Re-Messia, Cristo Gesù, contro il quale i principi della terra si sarebbero coalizzati, ma l’Eterno ride di loro perché è a Lui che ha dato lo scettro. È in occasione della resurrezione che Gesù viene dichiarato “figlio di Dio con potenza” e viene generato dal Padre, realizzando il Salmo II, come spiega l’apostolo Paolo.69 “Questa resurrezione è il compimento di tutte le promesse relative alla redenzione del mondo”.70 “Il Figlio di Dio era diventato figlio di Davide tramite la nascita; è elevato alla sua vita gloriosa di Figlio di Dio tramite la resurrezione, che è come una nuova nascita. Tramite il secondo di questi atti, si libera dal manto giudeo e davidico di cui si era rivestito con il primo, per realizzare il ruolo di Messia giudeo, ed entra nel modo di esistere conforme alla sua essenza. Cessa di essere servitore della circoncisione per diventare Signore universale”.71 Gesù non è salito al cielo per mettersi al riparo dai colpi dell’Avversario, che ha sconfitto in ogni incontro avuto faccia a faccia, ma l’uomo-Dio, ponendosi a sedere alla destra dell’Eterno, in virtù della forza che gli è stata data dal Padre in cielo e in terra, governa la Chiesa tramite il suo Spirito. In questa nascita crediamo si debba vedere sia l’incarnazione sia l’ascensione di Gesù; entrambe le spiegazioni si completano. Si passa dalla nascita alla resurrezione, non accennando alla sua vita, alla morte perché esse formano un tutt’uno. L’Evangelo è una introduzione alla morte e il venerdì santo, apparente fallimento dal punto di vista umano, è la vittoria di Dio col Figlio sul principe di questo mondo, la resurrezione ne è la dimostrazione gloriosa.72 Qui c’è l’evento del Cristo, anche se la croce non è espressamente nominata, ne è però implicata. La nascita del Messia era il preludio alla sua morte che sfociava nella resurrezione-ascensione, trionfo della verità sulla menzogna, del bene sul male, della vita sulla morte facendo del suo sacrificio il mezzo con il quale il Padre esprime la volontà di salvare l’umanità. Con questa ascesa al cielo del Figlio della donna abbiamo un’altra panoramica della storia del mondo. Grazie alla sua vittoria la speranza diventa certezza. Non dobbiamo meravigliarci che si passi dalla nascita alla resurrezione perché, scrive il protestante J. Jeremias: “Una delle caratteristiche del linguaggio semitico consiste nel non menzionare che l’inizio e la fine di una azione, senza prendere in considerazione il tempo intermedio”.73 Il cattolico J.L. d’Aragon esprime lo stesso pensiero: “Passando sotto silenzio l’intera vita di Cristo, persino la sua passione, Giovanni la sintetizza nei suoi due poli estremi: la nascita e la gloriosa ascensione.
69
Romani 1:4; Atti 13:33. BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. II, Les actes des Apôtres, Lausanne 1885, p. 406. 71 GODET Frédéric, Commentaire sur l’épître aux Romains, t. I, 3a ed., Neuchâtel 1968, p. 181. Vedere Romani 15:8; 1:4. 72 Ebrei 2:14; Colossesi 2:15; Atti 2:21-36. 73 JEREMIAS J., Die Gleichnisse Jesu, p. 110; cit. da C. Brütsch, o.c., p. 207. 70
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Questi due eventi sono sufficienti per mostrare che malgrado la sua vigilanza l’odio del dragone non riuscì a concludere nulla”.74 In questa dichiarazione dell’Apocalisse noi abbiamo ancora una volta riassunta la natura di Cristo. Dal punto di vista divino Gesù è Figlio di Dio, è l’Emanuele; dal punto di vista umano egli è figlio della Chiesa, dell’umanità, della donna.75 Tra Gesù e il popolo di Dio vi è uno stretto legame di parentela. Nella Genesi viene promesso quale posterità della donna ed è quindi perfettamente logico e naturale che qui venga presentato come figlio della Chiesa. “La nascita del bambino maschio non ha portato alcun cambiamento essenziale nella condizione dei fedeli sulla terra. Si sarebbe voluto vedere la Chiesa trasportata nelle alte sfere della gloria... Il Messia è glorioso, ma la sua Chiesa dimora, dopo come prima, di fronte a tutto l’odio del principe di questo mondo... ed è in uno stato più triste che mai”.76 Per evitare terribili persecuzioni sulla terra “la donna fuggì nel deserto dove ha un luogo preparato da Dio, affinché vi sia nutrita per milleduecentosessanta giorni”.77 Giovanni, preoccupato di presentare l’azione del dragone nei confronti della donna, anticipa subito quello che svilupperà con più parole poi. Infatti il versetto 6 è una parentesi che apre nel suo discorso, a seguito della nascita e resurrezione di Gesù Cristo. Questa parentesi vuole assicurare il lettore che la Chiesa non è abbandonata al suo nemico.
Terzo quadro: battaglia in cielo “E vi fu battaglia in cielo: Michele e i suoi angeli combatterono col dragone, e il dragone e i suoi angeli combatterono, ma non vinsero, e il luogo loro non fu più trovato in cielo. E il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato Diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù; fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati gli angeli suoi. Ed io udii una gran voce nel cielo che diceva: “Ora è venuta la salvezza e la potenza ed il regno dell’Iddio nostro, e la potestà del suo Cristo, perché è stato gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, che li accusava dinanzi all’Iddio nostro, giorno e notte. Ma essi l’hanno vinto a cagione del sangue dell’Agnello e a cagione della parola della loro testimonianza; e non hanno amata la loro vita, anzi l’hanno 74 75 76 77
J.L. d’Aragon, o.c., p. 1458. Galati 4:4; Genesi 3:15. K. Auberlen o.c., p. 242. Apocalisse 12:6.
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esposta alla morte. Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi - Guai a voi o terra, o mare! Perché il diavolo è disceso a voi con gran furore, sapendo di non aver che breve tempo””.78 Prima di parlare della battaglia che il testo ci presenta identifichiamo l’essere contro cui Satana deve combattere.
Michele Questo personaggio viene menzionato per la prima volta dal profeta Daniele e il suo nome Mi-ka-el significa: “Chi è simile a Dio?”, domanda con la quale indica la sua prerogativa essenziale e rivendica a sé la posizione di unico Dio. È il “principe più importante dell’esercito di Dio” è “il gran capo, il difensore dei figlioli del tuo popolo”, è “l’arcangelo”79 capo delle schiere celesti. Nella letteratura giudaica abbiamo più riferimenti a Micael rispetto al testo biblico. Essa lo pone alla destra di Dio, fa di lui il guardiano dei segreti divini, il detentore dei libri celesti e soprattutto uno dei principali attori della tragedia escatologica: suonerà la tromba del giudizio, giudicherà gli angeli decaduti e sarà il vincitore delle potenze nemiche di Dio. Con Gabriele e Raffaele ha annunciato ad Abramo la nascita di suo figlio ed è lui che ha parlato a Mosè nel pruno ardente. Il misericordioso Micael compie l’opera di avvocato e d’intercessione, di sommo sacerdote e condottiero delle anime giuste.80 Questo personaggio non è altro che Cristo Gesù stesso, l’Angelo del Patto, “l’immagine dell’invisibile Iddio, il primogenito di ogni creatura... poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della deità”.81 Già Ticonio, Beda e Bullinger hanno identificato Micael con Gesù. La descrizione che fa Daniele è la stessa di quella di Giovanni nell’Apocalisse: Daniele scrive: “Ecco un uomo, vestito di lino, con attorno ai fianchi una cintura d’oro d’Ufaz. Il suo volto era come un crisolito, la sua faccia aveva l’aspetto della
Giovanni scrive: “... somigliava a un figlio d’uomo, vestito d’una veste lunga fino ai piedi e cinto d’una cintura d’oro all’altezza del petto. E il suo corpo e i suoi capelli erano
78
Apocalisse 12:7-12. Daniele 10:13, traduzione letterale. Altri traducono, come il Luzzi “uno dei primi capi”. Daniele 12:1; Giuda 9; vedere Zaccaria 3:2. La seconda persona della Divinità si presenta agli angeli come arcangelo, per poter meglio stabilire una relazione con questi essere celesti ed essere nei loro confronti il tipo al quale tendere per la pienezza del loro sviluppo. Nella sua relazione con gli umani si presenta come Figlio dell’uomo, l’uomo nella sua pienezza, ed esprime in questo modo l’ideale che l’umanità deve raggiungere. 80 Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, A. Westphal, t. II, p. 163. 81 Colossesi 1:15; 2:9. 79
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folgore, i suoi occhi erano come fiamme di fuoco, le sue braccia e i suoi piedi parevano terso rame, e il suono della sua voce era come il rumore di una moltitudine”.82
bianchi come candida lana, come neve; e i suoi occhi erano come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi erano simili a terso rame, arroventato in una fornace; e la sua voce era come la voce di molte acque”.83
Battaglia in cielo Michele, Cristo Gesù, combatte col dragone. Quale battaglia è questa? Alcuni pensano si tratti della battaglia originaria tra Dio e Lucifero, tipicamente descritta sia dal profeta Isaia sia dal profeta Ezechiele84. Pur riconoscendo che questa descrizione risponde perfettamente a ciò che è accaduto in cielo in quel diabolico giorno in cui il mistero dell’iniquità è sbocciato, tenendo conto però del contesto: la storia della Chiesa, dobbiamo dire che si tratta di fatti avvenuti tra la resurrezione di Gesù e la sua ascensione. Infatti in occasione della sua ascensione, Gesù dirà ai discepoli: “Ogni potestà mi è stata data in cielo e in terra e in ogni luogo”85. Questo allontanamento di Satana dal cielo è la diretta conseguenza del ministero di Cristo sulla terra e della sua ascensione. “Il racconto della donna che fugge nel deserto è sospeso dall’inserimento di questo passo. Potremmo avere una chiara indicazione dell’ansietà dello scrittore sacro che allaccia questa guerra in cielo con il nato e il suo rapimento del bambino-uomo? Il bambino-uomo è nato per vincere. Il dragone è il suo nemico, e i poteri del nemico non sono confinati alla sola storia materiale del mondo; è anche un potere nel mondo spirituale; ma il bambino-uomo è interamente un conquistatore. Il suo rapimento in cielo è l’annuncio che là nel più alto, è riconosciuto vincitore; e la sua vittoria è sopra il potere del dragone, il vecchio serpente, la cui testa è ammaccata per ora”. 86 “Tutto ciò che Giovanni vede nel cielo è la controparte della realtà terrena. Quando si è avuta la vittoria in cielo, Cristo sulla terra era in croce. Essendo parte della realtà terrestre, non può allo stesso tempo essere parte del simbolismo celeste. Il coro celeste spiega che la reale vittoria la si è avuta con il sangue dell’Agnello.
82
Daniele 10:5.6. Vogliamo qui riportare il commento di F. de Rougemont e dell’abate J. Fabre d’Envieu: “Egli vide tutto ad un tratto davanti a sé, non il Dio del Sinai che scuoteva il cielo e la terra e folgorava i suoi nemici, ma il Sommo Sacerdote, il cui avvicinamento lo riempie di indicibile terrore che Dio solo può procurare sull’uomo. Questa apparizione era per Daniele piena di insegnamenti. Riconobbe certamente in questo Dio-uomo il figlio dell’uomo che, nella visione delle quattro bestie,... aveva ottenuto lo scettro eterno del mondo senza combattere” F. de Rougemont de, o.c., p. 32, 33; “Questo Essere che appare qui, sotto una forma umana, agli occhi rapiti del profeta, e che egli designa con la semplice parola un Uomo, è il Messia, cioè l’eroe divino, che è sempre la figura centrale del libro” di Daniele, J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1336, come del resto lo è anche per l’Apocalisse. 83 Apocalisse 1:12-16. 84 Isaia 14:12-14; Ezechiele 28:1,19. 85 Matteo 28:18. 86 CARPENTER W. Boyd, The Revelation of St. John the Divine, ed. C.J. Ellicott, London, s.d., p. 160 (p. 510)
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Quindi la vittoria celeste di Micael è semplicemente la controparte della realtà terrena della croce”. 87 Il Signore stesso dà il miglior commentario su questo testo dell’Apocalisse. Quando i suoi discepoli ritornarono con gioia a causa del loro trionfo sui demoni, Gesù esclamò: “Io vedevo Satana cadere come un fulmine dal cielo”. E più tardi, il giorno prima del Golgota, nel consacrarsi al Padre, annunciava la sua morte e le sue conseguenze: “Ora avviene il giudizio di questo mondo, ora sarà cacciato fuori il principe di questo mondo”.88 K. Auberlain così scriveva: “Un avvenimento considerevole si è compiuto nel cielo a seguito dell’ascensione del Signore: il diavolo ne è stato precipitato dopo una lotta che, pur svoltasi nel mondo invisibile, non ha meno, per il suo esito, una importanza capitale per gli abitanti della terra. Questa espulsione di Satana fuori dal cielo non è altro che il giudizio del principe di questo mondo. È il coronamento dell’opera di colui che è venuto per distruggere le opere del diavolo... La resurrezione e l’ascensione del Signore sono state un vero trionfo, trionfo pubblico e solenne, su tutte le potenze della morte e delle tenebre”89, perché “il suo (di Satana) luogo non fu più trovato in cielo”. Per ben comprendere la portata di questa vittoria dobbiamo fare un passo indietro. Lucifero, questo cherubino che poneva il sigillo alla creazione ha, un certo momento, concepito il folle desiderio di essere come Dio, e ha accusato Dio di opprimere, mediante la sua Legge, la libertà delle creature. Allontanato dal Cielo come abitante, Satana vi poteva però avere accesso e ne approfittava per accusare gli uomini della terra di temere, rispettare Dio per interesse, come fece per Giobbe, di rivendicare per loro la sentenza di morte per il fatto che sono peccatori. Questa opera di accusa la compiva “dinanzi all’Iddio nostro notte e giorno”90. L’uomo, creato a seguito dell’originale rivolta di Lucifero, fu fatto ad “immagine di Dio”, cioè doveva stare di fronte a Dio al fine di celebrare la sua gloria e far conoscere “ai principati e alle potestà, nei luoghi celesti... la sua infinitamente varia sapienza”. Doveva essere il campione del suo Signore nel dimostrare all’universo intero l’amore, la giustizia e la santità dell’Eterno. In seguito alle seduzioni dell’Avversario, l’uomo, al quale Dio aveva confidato il dominio sul creato, non ebbe fiducia nell’Eterno.91
87
CAIRD G.B., The Revelation of St. John the Divine, in International Critical Commentary, London 1966, pp. 153,154. 88 Luca 10:18; Giovanni 12:31. 89 K. Auberlain, o.c., pp. 250,251; confr. Giovanni 12:31; 1 Pietro 3:22. 90 Isaia 14:12-14; Giobbe 1:6-10; Zaccaria 3:2. In quest’ultimo passo si presenta l’azione di Gesù nella persona dell’Angelo dell’Eterno, che è l’Eterno stesso, che difende il sacerdote Giosuè dalle accuse dell’Avversario davanti al trono di Dio. 91 “Ma che potevano le astuzie, le vittorie stesse di Satana contro i piani della sovrana saggezza? La defezione dell’umanità, capolavoro dell’abilità diabolica, ha fatto dimostrare in una forma più eclatante la bellezza del piano di Dio. Quando la profezia diventa storia
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Satana anziché prendersi la responsabilità, iniziò ad accusarlo al fine di perderlo completamente. Il suo zelo accusatore è rivolto particolarmente nei confronti di coloro che dicono di essere figli di Dio e di amarlo. Dio, per farci comprendere la natura di questa battaglia, ci ha fatto pervenire l’esperienza di Giobbe92. Satana accusa Giobbe di amare Dio per interesse, di servirlo per un secondo fine; in altre parole, per Satana, “Dio è circondato da cortigiani, non da amici e i cortigiani di Dio sono poi suoi (di Satana) servitori... Satana dubita che Dio sia riuscito a creare un amore nel cuore dell’uomo, scommette che sulla terra non esiste un uomo che ami Dio e che quindi gli appartenga veramente”93. Dubita che esista un uomo che possa amare Dio per quello che è e non per i vantaggi che gli possono derivare. Il patriarca Giobbe è la figura di colui che deve venire e il suo dramma è l’agonia di Cristo. “Dio prende la grande inverosimile decisione di venire egli stesso a rispondere e a far tacere l’Accusatore. Questo è avvenuto a Natale. Dio manda il suo Figlio unigenito nel mondo. Egli stesso viene a prendere il posto di Giobbe. Viene ad essere Giobbe. È facile seguire il parallelismo delle due storie: Gesù deve subito misurarsi con Satana nel deserto, Satana farà di tutto per tentarlo con la parola di Dio, per fargli apprezzare i vantaggi della sua posizione. L’interesse che gli può venire dall’essere Figlio di Dio. Ma Gesù rifiuta di trarre profitto dalla sua qualità di Servitore di Dio. Tuttavia la prova che il suo servizio è gratuito è ancora lungi dall’essere data. Gesù toccherà prima il successo del suo ministero, godrà dell’autorità del suo insegnamento, della potenza della sua azione sui malati, sui poveri, sui peccatori. Vivrà prima il periodo della prosperità di Giobbe, periodo in cui A causa del peccato dell’uomo, Satana è rimasto senza dubbio il padrone di questa terra; ha anzi guadagnato un agente in più. Colui che gli doveva togliere l’impero è diventato il suo alleato, il suo schiavo; e quale inaridimento ha inflitto al suo infelice prigioniero? Quali pesanti catene l’hanno caricato? L’idolatria con le sue vergognose pratiche, la guerra con i suoi sanguinosi orrori, la morte con le sue inspiegabili angosce, il peccato sopra tutto con le sue infamie e i suoi rimorsi, ecco i monumenti del potere di Satana sull’umanità, i trionfi della sua vittoria sulla nostra terra. Che fa Dio? Schiacciare nel suo furore il suo avversario e il nostro? Ciò non significherebbe vincerlo. Per vincere, in una lotta come questa, bisogna confondere, e confondere è mostrare di essere non il più forte, ma il migliore. Guardate questo umile bambino coricato in una mangiatoia! Ecco il nuovo campione che Dio si è scelto e con il quale marcia contro il principe di questo mondo. Satana, creatura, aveva aspirato all’autonomia e alla gloria d’un Dio; Dio stacca dal suo proprio essere una persona misteriosa, un altro se stesso, che, spogliandosi volontariamente dello stato divino, si riduce alla dipendenza e infermità della creatura. L’arcangelo si era fatto Dio, il Figlio di Dio diventa uomo; il Verbo si fa carne. Sotto la forma della vita umana più umile, realizza questa sottomissione assoluta a Dio alla quale si erano sottratti sia l’arcangelo orgoglioso sia il primo uomo. Satana sente questa volta nell’umanità un punto che resiste, accorre. Comprende che il suo potere è minacciato. Come aveva prevalso una volta in Eden, nel giardino dell’abbondanza, spera di vincere ora nel deserto, con il mezzo della privazione. Ma il suo calcolo è sventato; ha incontrato il suo vincitore. Gesù resta fermo, malgrado tutti i suoi suggerimenti e le sue offerte; persiste a riferirsi unicamente a Dio; a Dio, per la conservazione del suo essere fisico; a Dio, per i mezzi con i quali stabilire il suo regno qui sulla terra; a Dio, per l’ora in cui dovrà fare i suoi miracoli. Tutto il seguito del suo ministero non è che la conferma di questa dipendenza senza riserva di cui ha così fatto voto nel deserto. E dopo che ha consumato la sua opera espiatoria si è coronato e installato come il nuovo sovrano della terra. È il vero cambiamento di dinastia sulla terra (Giovanni 12:31); il mondo passa ad un altro padrone. Satana è destituito, e la sua sovranità trasmessa a Gesù Cristo. Gesù la trasmette a sua volta all’umanità, alla sua famiglia, nel nome della quale ha lottato, obbedito, vinto” GODET Frédéric, Études bibliques, vol. I, 4a ed., Neuchâtel 1889, pp. 27,28. 92 Giobbe 1:9,10 93 PURY Roland de, Giobbe, l’uomo in rivolta, ed. Claudiana, Torino 1962, p. 11.
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non risulta che il Servitore serva il suo Signore per nulla. Satana allora si accanirà contro di lui per cercare di carpirgli nella sofferenza quanto non ha potuto ottenere nel tempo buono, calcolando che non vorrà servire fino alla fine un Dio che lo opprime ingiustamente”.94 Più Gesù si avvicina a Gerusalemme più acuto si fa il combattimento. La voce di Pietro sulla strada di Cesarea esprime il pensiero dell’Avversario: “Se tu sei il Figlio di Dio, se sei il Servitore fedele la tua vita non finirà male, per te c’è tutto da guadagnare nell’essere fedele a Dio”.95 “La prova continua e Gesù conoscerà, durante la Settimana Santa, l’avvilimento, l’abbandono e l’angoscia di Giobbe. Potrà dire a sua volta: “Iddio mi dà in balia degli empi, eppure le mie mani non commisero mai violenza”. Tutta l’abominazione del mondo si riversa sul servitore sfigurato. Inchiodato alla croce un’ultima volta la voce del Tentatore: “Se sei Figlio di Dio scendi giù di croce, affinché noi vediamo e crediamo”. “Se no perché sarebbe Figlio di Dio e perché avrebbe servito Dio? Se Dio non lo libera, evidentemente non è il giusto, è un peccatore, un impostore, oppure il suo Dio non esiste”... I farisei con soddisfazione, gli apostoli con disperazione, giungono a queste tristi considerazioni (non si guadagna nulla a servire il Padre di Gesù), finché Gesù respira, Satana spera ancora. Finché l’agonia si prolunga può sempre dire a Dio: “Aspetta, non resisterà fino alla fine; sta calcolando che, grazie a te, tutto può cambiare ancora a suo vantaggio; per questo resiste. Ma se lo lasci andare fino in fondo se lo lasci morire come l’ultimo dei malviventi, allora cederà. Non potrà restarti fedele fino alla morte. Per nulla! Una tale fede, una tale speranza, un tale amore nella disperazione non esistono sulla terra. Il suo ultimo pensiero sarà per me, con esso scenderà dalla croce esaudendo tutti i suoi amici e tutti i miei amici. E mi darà ragione”. Così fintanto che Gesù non è spirato, fintanto che la prova non è stata totale, l’accusa è continua; finché Gesù respira, Satana respira”.96 “Può mantenere la verità della sua requisitoria, può affermare che non c’è un solo uomo che preferisca Dio alla sua propria vita. Satana diceva all’Eterno: “Pelle per pelle! L’uomo dà tutto quello che possiede per la sua vita; ma stendi un po’ la tua mano, toccagli le ossa e la carne, e vedrai se non ti rinnegherà in faccia”. Finché Gesù respira Satana può vincere, può avere ragione”.97 “La prova deve continuare, più incomprensibile, più dura e più radicale di quanto non lo sia stata per Giobbe. E mentre Dio tace, mentre trionfano la menzogna, l’ingiustizia, la malvagità, Gesù, dal fondo dell’abisso e delle tenebre, grida: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” riassumendo in questa sola invocazione tutto il lamento e la protesta di Giobbe e mettendosi, allo stesso tempo, nelle mani di Colui che lo abbandonava. “Io so che il mio Redentore vive - il mio Testimone è in cielo, il mio garante è nei luoghi altissimi” (diceva Giobbe). - “Padre nelle tue mani rimetto il mio spirito (rimetto la mia causa) ” (diceva Gesù). Nessuna 94 95 96 97
Idem, pp. 65,66. Vedere Giobbe 29:7-17. Vedere Matteo 16:21,22. Idem, p. 67. PURY Roland de, Ton Dieu règne, Neuchâtel 1949, p. 22. Confr. Giobbe 2:4,5. Quando la profezia diventa storia
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risposta. Nulla avviene, ... Dio tace e Gesù muore. Si compie l’irreparabile... per l’Accusatore, che stavolta non ha più niente da dire. La dimostrazione è fatta: tutto il ministero di Gesù, tutta l’obbedienza del Servitore sono stati vissuti per niente. Lo confermerà la Resurrezione. Sta ad attestare che quell’uomo è stato fedele fino alla morte, senza secondo fine, per puro amore verso colui che lo abbandonava. Dimostrerà che Gesù è il vero Giobbe che ha fatto mentire per noi tutti l’Accusatore e lo ha fatto precipitare; che il servizio gratuito di quell’uomo può essere ricompensato con la gioia del Regno; diciamo piuttosto: può essere tradotto in termini di eternità, perché la sua Signoria è su tutte le cose: “Dio ha fatto Signore colui che voi avete messo a morte”. L’impero del mondo appartiene d’ora in poi all’Agnello immacolato”98. “Il grido del Salvatore morente fu il rintocco funebre di Satana”99. “Nell’istante in cui Gesù spira, in cui annienta se stesso, l’Accusatore è precipitato, poiché la sua requisitoria è falsa”.100 L’Accusatore è menzionato solo dopo che è stato gettato giù a seguito del messianico trionfo. L’espulsione del dragone dal cielo è il risultato dell’Espiazione. Ciò che si realizzava nel santuario israelitico trova il suo compimento nella storia. “Ed io udii una gran voce nel cielo che diceva: “Ora è venuta la salvezza e la potenza ed il regno dell’Iddio nostro, e la potestà del suo Cristo””.101 Siamo qui nel cuore dell’intera Apocalisse. I versetti 10-12 sono quelli centrali di tutto il libro. Sono la dossologia dell’Apocalisse. Ci sono 205 versetti prima e 207 dopo. “Questa gran voce che ascoltiamo nell’Apocalisse non è che l’eco nell’eternità del grido che Gesù manda spirando. Satana è vinto attraverso il sangue dell’Agnello. Con la sua morte, Gesù smentisce l’Accusatore. È venuto per questo, per smentire Satana e poter diventare così davanti alla faccia del Padre il nostro avvocato (soccorritore). Poiché Gesù ci può difendere (non che la nostra causa sia difendibile, essa è perduta), ma perché della nostra causa perduta, egli ha fatto la sua propria causa, perché ci attribuisce la sua morte, la sua vittoria su Satana, la sua obbedienza. (Negli abiti sacerdotali di Michele) parla in nostro favore. Parla di noi come di Lui. Afferma che tutto ciò che ha fatto, siamo noi che l’abbiamo fatto. Pretende che tutto ciò che lui è stato lo siamo anche noi. “Io santifico me stesso per loro””.102 Davanti al trono della grazia non c’è più l’Accusatore. Cristo, avendo vinto il principe di questo mondo, da ora in avanti lui solo, il difensore, l’angelo dell’Eterno, 98 99 100 101 102
Idem, Giobbe..., pp. 67,68. Vedere Giobbe 19:25; 16:19; Luca 23:46. WHITE Ellen, Il gran conflitto, Firenze 1977, p. 367. R. de Pury, Ton Dieu…, p. 22. Apocalisse 12:10. R. de Pury, Ton Dieu..., pp. 22, 23.
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che è Mi-ka-el, ha diritto di Parola. Coloro che sono il tralcio nella vite hanno la loro vita con Cristo in Dio, rigenerati dalla sua grazia, hanno la loro residenza nel cielo. La vittoria di Cristo è diventata la nostra vittoria: “Essi l’hanno vinto per la Parola della loro testimonianza”. “Se noi confessiamo che il nostro Dio non è un distributore di medaglie d’oro o di privilegi, ma che egli è sulla croce, spogliato di tutto, al limite della sua debolezza, incapace di accordarci qualcosa, se il nostro Signore non è veramente che un Agnello immolato, un condannato a morte, non è più possibile che sia il suo denaro, la sua potenza che noi vogliamo. L’agnello immolato, Gesù sulla croce, solamente a lui noi andiamo. Non è che lui stesso e nient’altro. Ed è per niente, cioè per l’amore di lui che noi lo serviamo, e non per dei vantaggi. Coloro che rendono testimonianza al crocifisso, che affermano sinceramente di appartenere a questo miserabile, Satana non può più pretendere che lo facciano per avere una bella situazione e ricevere dei favori”.103 “Chi vorrà servire un Dio crocifisso? A chi può servire un Dio crocifisso? Non diventa forse un Dio inutile ed inutilizzabile?... Dio non ci lascia più nulla e non ha più nulla. Quando siamo davanti alla croce, davanti a un Signore spogliato di tutto come Giobbe e noi stessi siamo spogliati di tutto come lui, non può nascere ed esistere tra lui e noi che quel rapporto puro da persona a persona, quella relazione assolutamente gratuita che è l’amore. Sulla croce Dio non dà altro che se stesso e non ci domanda altro che noi stessi”.104 “Che affare si fa nel compromettersi con colui che muore come un criminale. (Satana non può pretendere che essi lo facciano per qualche interesse). L’Accusatore è confuso dalla testimonianza che gli uomini rendono all’Agnello. Non può dire più nulla. Non ha nessun potere su loro. Essi hanno vinto Satana, non solamente per il sangue dell’Agnello, perché sanno che Gesù l’ha vinto, ma l’hanno vinto doppiamente, osando testimoniare che il Dio di ogni grazia e di ogni benedizione era per loro in questo uomo agonizzante e maledetto. Dappertutto dove si testimonia che Gesù è l’Agnello di Dio la grande voce risuona”.105 La vittoria di Cristo continua quindi nei suoi fratelli i quali raccontano al mondo l’amore del Padre e testimoniano di ciò che la Parola di Dio ha dato a loro. Per questa Parola, per questo Dio che non ha nulla da dare se non se stesso, i credenti “non hanno amato la loro vita, ma l’hanno esposta alla morte”. Amando il Creatore dell’Universo il credente è un cittadino del Regno dei cieli, pregusta il domani e cerca di riprodurre nel presente i valori dell’eternità. È uno straniero in questo mondo e la storia del Popolo di Dio attraverso i secoli lo conferma. La Chiesa di Dio fugge nel deserto dove può vivere l’amore del Padre, ma lo vive nella sofferenza, nelle privazioni, dove l’onore e la gloria di essere figli di Dio è “nella valle dell’ombra della morte”. È lì che la Chiesa serve il suo Dio per niente, per 103 104 105
Idem, p. 24. R. de Pury, Giobbe..., pp. 69, 70. R. de Pury, Ton Dieu, p. 24. Quando la profezia diventa storia
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amore, e quindi viene perseguitata dall’altra chiesa che non ha accettato il Dio crocifisso anche se lo insegna, ma il dio tentatore che crea la parodia del regno di Dio su questa terra, presentandosi nello sfarzo, nella ricchezza e nello splendore di questo mondo, rivestita di bisso e di scarlatto ricercando il potere nel nome dell’Eterno. “Perciò rallegratevi, o cieli, e voi che abitate in essi. Guai a voi, o terra, o mare! Perché il diavolo è disceso a voi con gran furore, sapendo di non avere che breve tempo”.106 L’Avversario è stato “gettato” giù. L’espressione greca ballo ha un valore giuridico, punitivo107, è una espulsione dalla comunità.108 “Il diavolo, che ha perso la partita per l’eternità, s’accanirà sempre di più sugli uomini, che sa vulnerabili. Il verbo “è disceso” al posto del termine “è stato precipitato” serve di avvertimento: con tutti i mezzi il diavolo cercherà, quale opportunista matricolato, di girare il passivo (precipitato) in attivo (disceso), la sconfitta celeste in offensiva terrestre. Il “breve tempo” che gli resta ancora corrisponde al “tempo delle nazioni”... “Vana collera” quella di Satana, in verità! Anche se gli ultimi colpi di raspa della bestia incalzata sono terribili... il suo dominio non è più che una “pelle di zigrino”. Nella misura in cui la sua rabbia lacera la creazione, accelera controcuore l’avvento del Regno. Il “guai alla terra” non è dunque da considerare come una maledizione, ma come una messa in guardia, destinata a renderci vigilanti. È come un comunicato di vittoria trasmesso per radio a una unità di truppe ancora circondate dal nemico, nello stesso tempo in cui le munizioni sono paracadutate per liberare gli accerchiati”.109 “Guai a voi, o terra o mare!” è l’invito ancora pressante che Dio rivolge all’umanità per richiamarla a sé alfine di farla rinunciare al suo diritto di cittadinanza sulla terra per porlo nel cielo. Il male che colpirà la terra, quale ultima reazione di Satana, aiuterà ancora una volta la Chiesa per l’incontro finale con il suo Liberatore.
Quarto quadro: La Chiesa di Dio attraverso i secoli e sua caratteristica nel tempo della fine “E quando il dragone si vide gettato sulla terra, perseguitò la donna che aveva partorito il figlio maschio. Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila affinché se ne volasse nel deserto, nel suo 106 107 108 109
Apocalisse 12:12. Matteo 3:10; 5:29; 13:42; Apocalisse 2:10. Matteo 13:48; Giovanni 15:6. C. Brütsch, o.c., pp. 211, 212.
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luogo, dove è nutrita un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo - milleduecentosessanta giorni - lungi dalla presenza del serpente. E il serpente gettò dalla sua bocca, dietro alla donna, dell’acqua a guisa di fiumana, per farla portare via dalla fiumana. Ma la terra soccorse la donna; e la terra aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il dragone aveva gettato fuori dalla propria bocca. E il dragone si adirò contro la donna e andò a far guerra col rimanente della progenie d’essa, che serba i comandamenti di Dio e ritiene la testimonianza di Gesù”.110 La Chiesa, popolo di Dio, è costantemente la dimostrazione del miracolo di Dio. Essa non può contare su se stessa per vivere; essa può vivere solamente del dono dello Spirito Santo perché la Chiesa non ha altra ragione e altro scopo che di essere disponibile all’azione di Dio. Finché la Chiesa dei primi secoli non si compromette col paganesimo essa viene perseguitata dal dragone, nella veste del potere dei cesari. Quando, compromettendosi, ricerca l’onore e la potenza in Costantino, il suo protettore, le leggi dello stato diventano le sue leggi, e le sue leggi diventano amate dallo stato; quando i suoi interessi si identificano con quelli dello stato, il mondo entra nella Chiesa, il paganesimo viene battezzato cristianesimo e la Roma cristiana prende il posto della Roma imperiale. I papi salgono sul trono dei cesari e i calici di legno, come diceva Savonarola, diventano d’oro. “Dopo i primi secoli di fede eroica e di pura dottrina, la vittoria del cristianesimo introduceva nella Chiesa il mondo, e cominciava la decadenza della fede. La crescente potenza del papato, gli sviluppi del dogma e della disciplina capovolgevano rapidamente la Chiesa nel suo contrario: la Chiesa di Cristo diventava la Chiesa dell’Anticristo; e la storia del “vero” cristianesimo si ridusse al filo d’oro dei testimoni dell’Evangelo, che nelle “tenebre” della Chiesa papale non erano mai completamente mancati”.111 “Il dragone pagano, o l’imperatore romano, non cessa minimamente di perseguitare la donna o la Chiesa di Gesù dopo la vittoria del cristianesimo; diventa capo della Chiesa cattolica e continua le sue persecuzioni contro i discepoli di Gesù, queste persecuzioni giungono fino alla morte... La personalità del dragone sulla terra è l’imperatore romano, che è nello stesso tempo sacerdote o sommo pontefice... Nessuno può ignorare che gli imperatori romani, dopo la loro conversione al cristianesimo, continuarono nel nome del vero Dio a perseguitare i santi del Sovrano e incatenare la libertà di pensare e soprattutto la libertà di parlare; fino a che il papato prese il loro posto e perseguitò nel suo proprio nome”112.
110 111 112
Apocalisse 12:13,14, 6, 15-17. MIEGGE Giovanni, Protestantesimo e spiritualismo, ed. Claudiana, Torino, p. 9. BRISSET J. Pierre, Les prophéties accomplies (Daniel et Apocalypse), Paris 1906, pp. 193,194,195,197. Quando la profezia diventa storia
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In contrapposizione alla chiesa opulenta che domina, quale rappresentante visibile del dragone, Dio dà alla sua Chiesa “le due ali della grande aquila affinché se ne volasse nel deserto”. Questa immagine è presa dall’Esodo e dal Deuteronomio,113 dove Yahvè, dopo aver liberato Israele dall’Egitto, è descritto nell’azione di portare il suo popolo attraverso il deserto verso la terra promessa come l’aquila porta i suoi piccini. La Chiesa è così debole che non ha neppure la forza di fuggire con i propri mezzi. In un momento come quello, al limite della proprie possibilità, Dio interviene, come nel passato sulle rive del Mar Rosso, e la Chiesa, protetta dal braccio potente dell’Eterno, è portata sulle ali della fede e della speranza, trova un rifugio nel deserto dove vive in marcia verso la terra promessa: la Canaan celeste.
La donna nel deserto Il “deserto” è il rifugio tradizionale dei perseguitati dell’Antico Testamento, è l’eremo, è il luogo isolato, è ogni luogo incolto e inabitato dove la vita è difficile, ma dove ugualmente si può condurre il proprio bestiame e farvi delle colonie. Israele ha pellegrinato nel deserto per quarant’anni con i propri armenti, Giovanni Battista risiedeva nel deserto, cioè in luoghi inabitati. Il Mezzogiorno della Francia, le lande, gli altipiani sterili delle Cevenne, la Crau della Provenza, le lande della regione di lingua d’oc possono essere considerati dei deserti114 e possiamo aggiungere le Valli Valdesi del Piemonte, le località isolate del Nord, Centro e del Sud Italia, della Spagna, di altri Paesi che costituivano il territorio dell’impero dei latini sul quale domina da Roma il sostituto dei Cesari. Il deserto non è altro che il complesso dei luoghi resi sacri dalla sofferenza dei rifugiati datisi alla macchia per sfuggire alle persecuzioni. È il luogo in cui la Chiesa, malgrado creda a degli errori, è resa santa dalla grazia di Dio perché ama questa grazia, ricerca la fedeltà, fa dell’Eterno il suo Signore, non perché l’ha fatta grande, importante, affermata e potente, ma semplicemente perché ha accettato di essere da lui visitata, creduto alla sua Parola e ha fatto del Regno della promessa la sua speranza, la sua forza. Desidera la giustizia, la fraternità. Il deserto è il luogo in cui malgrado i silenzi e le difficoltà scorge la mano protettrice del Signore, coglie il mistero di Dio, comprende il senso della storia, della vita. Il Dictionnaire Larousse illustrato all’articolo “deserto” dice: “Nome dato dai protestanti del XVII secolo all’altopiano incolto e pietroso che si estende al NordOvest di Nîmes... Dopo la revoca dell’editto di Nantes del 1685, un certo numero di protestanti continuò a celebrare il proprio culto in segreto nei boschi, nelle caverne, 113 Esodo 19:4; Deuteronomio 32:11. Non sempre tenendo conto del testo biblico la storia ci riporta altre identificazione: le braccia di Cristo in croce, Ippolito; i due sogni di Giuseppe, marito di Maria, Oecumenio; i due testamenti, Ticonio, Primasio e Andrea; l’amore di Dio e del prossimo, Bonaventura; la saggezza e l’amore di Dio, Gioacchino da Fiore e Galatinus; il doppio colonnato del Bernini, in Piazza S. Pietro, P. Claudel. 114 Vedere Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, A. Westphal, t. I, p. 282.
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nelle montagne, nei luoghi inabitati e di difficile accesso. Queste riunioni ricevevano il nome di chiese o di assemblee del deserto. Esse durarono, attraverso mille vicissitudini, dal 1685 al 1792”. I pastori di quelle Chiese, scrive A. Borrel, avevano il titolo di: “pastori del deserto”; i loro sinodi: “i sinodi del deserto”; gli atti di questi sinodi, gli atti di battesimo e di matrimonio erano intestati: “Dal Deserto”, e rivestiti di un sigillo che rappresentava una donna con gli occhi al cielo, con la scritta: “Il trionfo dei fedeli sotto la croce”. Questa Chiesa aveva ancora un secondo sigillo raffigurante una barca con un albero che stava per essere inghiottita dalle onde; la sua vela era piegata e i marinai in preghiera gridavano: “Salvaci Signore noi periamo!”. Si legge negli atti di un processo verbale di un interrogatorio di un pastore ugonotto davanti a un consigliere del re: - In quale luogo avete battezzato ed amministrato la cena? - In piena campagna o nel deserto. - Cosa intendete voi per Deserto? - Dei luoghi appartati o inabitati nei quali si riuniscono i fedeli. Antoine Court, pastore della Chiesa del deserto, scriveva in quel tempo: “Eccoci ridotti a un piccolo numero di eletti, amati dal cielo, che non vogliono abbandonare la loro patria, né rinunciare alla loro religione, e che perseguitati, se ne fuggono nel deserto. Si manda dietro a loro un fiume di truppe per farli perire; ma la guerra che sorge subito dopo, obbliga l’intruso a richiamare i suoi soldati, per opporli ai suoi nemici; la terra si aprì per molti. È così i fedeli che percorrevano i boschi e i deserti gustavano un po’ di rilassamento”.115 Nei secoli del Medio Evo i valdesi d’Italia e di Francia venivano chiamati: l’“Israele delle Alpi” e la Bibbia stampata a loro spese a Serrière presso Neuchâtel, “La Bibbia d’Olivetani”, porta queste parole significative: “Le Alpi 1530”. Calvino, scrivendo al re francese nella speranza di salvare dalle fiamme qualche fedele del Signore diceva: “La causa di Cristo è oggi talmente lacerata e calpestata nel vostro regno, che sembra senza speranza... La verità... è nascosta, seppellita... La povera Chiesa è scalzata da bandi, consumata da morti crudeli, e talmente spaventata da minacce e terrori che non osa pronunciare parola... Ah! Quante volte la Chiesa è stata eclissata, senza forma! ...Le montagne, i boschi, i laghi, le prigioni, i deserti, le caverne,... sparsi e nascosti... è là che i profeti, essendosi ritirati, hanno profetizzato”.116 Philippe de Mornay, consigliere di Stato di Enrico IV e governatore di Saumur, nella prefazione della sua opera dice al lettore: “Tu chiedi dunque in tutti questi secoli dove pascolava la nostra Chiesa...Ascolta ti prego, san Giovanni l’evangelista disse che questa donna, la Chiesa, perseguitata dal Dragone, si salvò nel deserto, in una solitudine, dove Dio le aveva preparato il suo luogo, dove essa fu nutrita, custodita, per 1260 giorni, giorni profetici; un tempo certo, ma abbastanza lungo. Non c’è
115 116
BORREL A., Biografie de Antoine Court, Toulouse 1863, p. 52, vedere pp. 161-165. Cit. da J. Vuilleumier o.c., p. 1931, p. 202. Quando la profezia diventa storia
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dunque possibilità di cercarla, di pensarla nel Papato, in questa luce mondana, in mezzo a questo fasto e al lusso”.117 È meraviglioso constatare come la Chiesa, alla luce della profezia, abbia preso coscienza della realtà del suo tempo, e questo libro, l’Apocalisse, le è servito da guida e da incoraggiamento. Infatti “l’Apocalisse è... il libro della Chiesa nella prova, è in mezzo all’afflizione che essa lo comprende meglio e lo sa meglio apprezzare”.118 Questa espressione “deserto” ritorna nell’introduzione dell’opera monumentale di Jean Michelet quando scrive: “So bene che la migliore parte di queste grandi distruzioni non possono più essere raccontate. Essi (gli inquisitori) hanno bruciato i libri, bruciato gli uomini, ribruciato le ossa calcificate, gettato la cenere... Perlomeno il deserto racconta, e il deserto di lingua d’oc, e le solitudini delle alpi, e le montagne disabitate della Boemia, tanti altri luoghi dove gli uomini sono spariti, dove la terra è diventata per sempre sterile, dove la natura dopo l’uomo sembra essa stessa sterminata”.119 Questa Chiesa apparentemente abbandonata a se stessa, sebbene abbia subìto in parte l’apostasia dei primi secoli, ha saputo ugualmente riscoprire e vivere numerose verità dell’evangelo, “ha vinto a cagione del sangue dell’Agnello e cagione della parola della sua testimonianza; e non ha amato la sua vita, ma l’ha esposta alla morte”. La sua opposizione a Roma le ha permesso di mantenere e tramandare la fiaccola della verità. Lutero, a una delegazione di Fratelli Uniti che gli aveva ridato ardore nella sua opera, scriveva nel 1523: “Ho ben voluto rendervi la testimonianza che voi siete più vicini alla purezza dell’Evangelo di tutti coloro che io ho potuto conoscere. Noi non concepiamo ancora bene come voi siate pervenuti a stabilire e a mantenere la professione d’una dottrina così santa e una vita così cristiana, come vi dipingono i vostri. Presso di noi non è la stessa cosa; le cose sono ancora lontane dalla loro maturazione e non avanzano che molto lentamente; ma pregate per noi... ”.120 La donna fuggita nel deserto viene “nutrita per milleduecentosessanta giorni”, per “un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo” o quarantadue mesi. In questo periodo, come dice Daniele e lo stesso Giovanni, non solo si perseguiterà la Chiesa, ma si penserà di cambiare la Legge di Dio. È il periodo, come abbiamo detto,121 in cui il dragone svolge la sua azione diabolica tramite la supremazia papale, è il periodo della V testa sia del serpente sia della bestia che va dal VI secolo, (538 d.C.) alla fine del XVIII secolo (1798).
Difficoltà a riconoscere l’evidenza
117 118 119 120 121
MORNAY Philippe de, Le Mystère d’iniquité, c’est-à-dire l’Histoire de la Papauté, Saumur 1611, p.5. A. Reymond, o.c., t. I, p. 34. MICHELET J., Histoire de la Révolution française, t. I, prefazione, p. LII. LUTERO Martino, cit. da GUERS Émile, Histoire abregée de l’Eglise, Toulouse 1850, pp. 593,594. Vedere il nostro Capitolo V.
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Innumerevoli autori ebrei, cattolici, protestanti hanno riconosciuto in questi termini criptografici dei 1260 giorni altrettanti anni solari. Alcuni autori cattolici, come per Daniele così per l’Apocalisse, hanno saputo molto bene spiegare alcune parti del testo, ma il voto di ubbidienza e la piena sottomissione a Roma hanno impedito loro di dire tutta la verità e di spiegare con la stessa acutezza le altri parti. Nel 1867 l’abate M. J. Michel, a conclusione dell’avvertimento che introduce la sua opera, scriveva: “Del resto, pieno di una filiale e rispettosa sottomissione all’autorità dalla quale deriva ogni coscienza cattolica, noi teniamo a dichiarare che condanniamo e riproviamo ogni proposizione e ogni interpretazione che riproverebbero e condannerebbero in questa opera la santa chiesa cattolica, apostolica romana, e il suo capo venerato, giudice infallibile della fede”. Commentando poi il periodo che la donna, la Chiesa, passa nel deserto scrive: “Questo numero 1260 giorni si deve intendere naturalmente per il periodo nel quale la verità cattolica trionfa ed è ricevuta dalle coscienze dei principi e dei popoli; essa è compresa tra lo stabilimento cristiano fondato da Costantino nel IV secolo e la guerra infelice che ha definitivamente dato il libero esame inteso nel senso della Riforma e della filosofia del diritto che sono la negazione formale della legislazione e delle istituzioni cattoliche”.122 L’avvocato cattolico Amédée Nicolas a questa spiegazione pone la seguente domanda: “Come può (J. Michel) conciliare questa alta supremazia con lo stato della persecuzione o dell’abbandono durante i 1260 anni, che vede nei 1260 giorni del capitolo XII versetto 6?”.123 O, in altre parole, se accettiamo questa spiegazione come possiamo continuare a rimanere cattolici? Il magistrato Anatole Chauffard critica Michel scrivendo: “È questo un punto di vista sovranamente illogico” perché, “cosa incredibile, il periodo con il quale san Giovanni ha voluto rappresentare l’estrema potenza dell’Anticristo sarebbe quello nel quale regna incontestato il cristianesimo, i 1260 anni portano alla Riforma o piuttosto al periodo della filosofia, la quale sarebbe l’estrema conseguenza del protestantesimo”.124 Considera quindi il lavoro dell’abate Michel, che vede nella donna la Chiesa romana, un lavoro di alta speculazione perché: “Quando si passa dalle sue alte speculazioni all’interpretazione di dettaglio nei testi del capitolo XII, si riconoscono una serie di anomalie tali che scaturisce chiaramente che questo capitolo è stato compreso solo nel suo insieme anziché nei suoi dettagli”. Questa critica all’abate Michel che vede nei 1260 giorni degli anni, e l’impossibilità di spiegare in un modo soddisfacente tutto il testo di Giovanni, è data dal fatto che i commentatori cattolici partono da un presupposto che impedisce la piena obiettività e lucidità nel comprendere la Parola di Dio.
122
MICHEL M. J., Histoire du bien et du mal dépuis Jésus Christ jusqu’à la fin des temps d’après la Révélation de S. Jean, Lyon 1867, pp. XVI,262,263, siamo noi che abbiamo precisato il testo mettendolo in corsivo. 123 NICOLAS Amédée, Conjectures sur les âges de l’Eglise et les derniers temps, 2ª ed., Paris 1881, p. 54. 124 CHAUFFARD Anatole, L’Apocalypse et son interprétation historique, t. I, 2ª ed., Paris 1899, pp. 458,459. Quando la profezia diventa storia
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Chauffard così introduce il suo lavoro sull’Apocalisse: “Mettiamo la nostra unica felicità e la nostra felicità suprema nella professione più intera della fede cattolica, noi consideriamo come un dovere, terminando questo sommario generale sull’oggetto e lo scopo del presente studio, di proclamare qui pubblicamente che noi intendiamo restare nella più umile e nella più assoluta sottomissione all’autorità della Chiesa e agli insegnamenti emanati dalla chiara infallibilità di Pietro. Se dunque potesse esservi in questo scritto la minima parola che fosse giudicata non essere in perfetto accordo con questi insegnamenti, noi la ritrattiamo fin da questo momento”.125 Con queste premesse le conclusioni non possono essere obiettive. Gli esegeti cattolici nel capitolo XII di Apocalisse non possono che trovare delle naturali difficoltà, perché vogliono attribuire alla Chiesa che ha perseguitato e ucciso le sofferenze che ha fatto subire. Malgrado queste critiche, l’abate Joseph Maître è costretto dal testo biblico a vedere nella donna la Chiesa e scrive: “Roma pagana è stata distrutta dai barbari, ma al suo posto si eleva una Roma cristiana, da dove la vita divina si spande attraverso il mondo. La Chiesa vi sarà mantenuta, conservata e rispettata durante 1260 giorni, durata simbolica che deve forse essere interpretata con un numero uguale d’anni a partire dal trionfo della società cristiana e dal suo stabilimento nella santa città”.126 L’abate Th. Mémain, dal canto suo, dà questa spiegazione: “Questa donna è la Chiesa già esistente prima di Gesù Cristo, nel popolo ebraico, e che, dopo la venuta di Gesù Cristo continuerà la sua missione redentrice fra gli uomini... Dio dà alla sua Chiesa le due ali della grande aquila. Queste grandi ali, ben determinate dalla ripetizione dell’articolo greco, ton, è l’aquila romana... Dio dà in seguito alla Chiesa, dopo la conversione di Costantino, un luogo preparato per lei, dove essa resterà protetta dal serpente, durante i 1260 giorni (profetici). Questo luogo è la Roma cristiana, che doveva elevarsi sulle rovine della Roma pagana... Il serpente, vedendo la Chiesa protetta dalla potenza imperiale, scatena contro essa il flutto delle grandi invasioni, ma la terra assorbe queste invasioni, cioè il flutto degli invasori passa senza sommergere la Chiesa e che, mediante la loro fusione con i popoli invasi, gli invasori diventano essi stessi dei popoli cristiani”.127 Con queste spiegazioni, questi abili abati trasformano l’umiliazione della Chiesa, che deve fuggire nel deserto, nel suo trionfo e fanno dire alla Bibbia l’opposto di quello che essa afferma.128 125
Idem, pp. 456,XXIV,XXV, siamo noi che abbiamo precisato il testo mettendolo in corsivo. J. Maître, o.c., pp. 382,383. 127 MÉMAIN Théophile, L’Apocalypse de saint Jean et le septième chapitre de Daniel avec leur interprétation, Paris 1898, pp. 34,36,37,45. 128 I Testimoni di Geova che sostengono il principio giorno/anno, in questo testo lo ribadiscono e poi, per motivi apologetici denominazionali, lo negano. “Questo significa che ciascun “tempo” corrisponde a 360 giorni o a dodici mesi di trenta giorni ciascuno. Ciò mostra che questi tre anni e mezzo sono profetici (sic! Se questo periodo è letterale non può essere precisato con profetico)”. In nota precisano: “Poiché tre “tempi” e mezzo sono uguali a 1260 giorni, sette (2x3½) “tempi” sono uguali a 2520 giorni… o 2520 anni”. Poi presentano questo periodo in tre anni e mezzo letterali dal 13,14 aprile 1919 al 4,5 ottobre 1922. Watchtower, Quindi è finito il mistero di Dio, USA, 1971, pp. 315,316. 126
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Il dragone getta dell’acqua dalla sua bocca Verso questa donna che si rifugia nel deserto il dragone “Gettò dalla sua bocca... dell’acqua a guisa di fiume, per farla portare via dalla fiumana”.129 Quest’acqua che esce dalla bocca presenta una doppia illustrazione: a) le dispute130 con le quali Roma ha cercato di aggirare la mente dei perseguitati e le dottrine con cui ha cambiato quelle apostoliche e i comandamenti di Dio; b) gli eserciti131 con i quali ha cercato di sopprimere questi fedeli del deserto. La violenza delle persecuzioni diceva Ticonio; l’inquisizione, scriveva Croly nel XVII secolo, le armate cattoliche spiegava nel secolo scorso il de Rougemont.
La terra soccorre la donna “Ma la terra soccorse la donna; e la terra aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il dragone aveva gettato fuori dalla sua bocca”.132 Questa terra che permette alla donna di credere nella libertà della sua coscienza e fa sì che il dragone non la possa più colpire sono quei territori che, come abbiamo visto nel nostro Capitolo VII - Perché la Riforma non è sorta nei paesi latini, erano al di là dei confini dell’impero dei cesari e non furono sottomessi alla giurisdizione ecclesiastica della corte romana, anche se nel corso dei secoli ne furono spesso influenzati e a volte al suo servizio. Si tratta quindi degli Stati protestanti che nel XVI e XVII secolo servirono di rifugio ai figli di Dio perseguitati: Svizzera, Paesi Bassi a Est del Reno, Germania, Inghilterra. “I popoli e gli Stati protestanti”, diceva il de Rougemont. I Paesi della vecchia Europa, anche se non sottomessi alla corte papale, dopo la Riforma diventarono a loro volta clericali e fecero subire l’intolleranza a chi non accettava la religione di stato. Ma in quel tempo un nuovo mondo diventò il rifugio di quegli uomini: l’America. Malgrado tutte le sue contraddizioni, questo immenso Paese al di là dell’Oceano Atlantico fu la terra verso la quale andarono molti di coloro che in Europa non potevano più vivere secondo la loro coscienza. Si sottraevano così alla guerra, alla 129 130 131 132
Apocalisse 12:15. Proverbi 18:4; 15:28. Isaia 8:6,7; Geremia 46:7; Ezechiele 26:3; Nahum 1: 8. Apocalisse 12:16. Quando la profezia diventa storia
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fame e all’oppressione dei persecutori. A migliaia si stabilirono nella Nuova Inghilterra. Nella dichiarazione di indipendenza i fondatori della Repubblica del Nuovo Mondo affermano: “Tutti gli uomini sono stati creati uguali e tutti sono stati dotati dal loro Creatore di determinati diritti inalienabili fra cui la vita, la libertà e la ricerca della felicità”. “Nessuna formalità o credenza di carattere religioso potrà essere richiesta come qualifica per un qualsiasi ufficio di pubblica responsabilità negli Stati Uniti”. “Il congresso non voterà nessuna legge relativa allo stabilimento di una religione o al divieto del libero esercizio di essa”. Sarà su questa “terra”, continente, che si sorgerà la seconda bestia di Apocalisse XIII, il falso profeta. Il rimanente della donna, sue caratteristiche, sua identificazione “E il dragone si adirò contro la donna e andò a far guerra col rimanente della progenie d’essa, che serba i comandamenti di Dio e ritiene la testimonianza di Gesù”.133 Quando Giovanni presenta il rimanente della progenie della donna che serba i comandamenti di Dio e ritiene la testimonianza di Gesù “sembra accennare ad una distinzione da fare tra figli genuini e pii della Chiesa di Dio e figli spurii che porteranno bensì il nome di Cristiani e faranno parte della Chiesa visibile, ma non avranno né fede del cuore in Cristo, né condotta cristiana. Non a questi figli degeneri, suoi alleati segreti, muoverà guerra il serpente, bensì alle comunità e agli individui che si manterranno fedeli all’Evangelo”.134 In quel tempo difficile “il rimanente” della progenie manifesterà chiaramente la sua alleanza con Dio nella lotta finale contro il male. La progenie della donna è la parte terminale, la parte finale della storia della Chiesa, è il popolo di Dio degli ultimi tempi che si prepara ad incontrare il suo Signore che viene e al quale è affidato il messaggio dell’ultimo invito rivolto all’umanità.135 La donna genera la sua progenie dopo il tempo del deserto, e dopo che essa ha trovato il suo rifugio nel nuovo continente. Il suo rimanente al ritorno di Gesù che vive nella grazia del Signore e per la sua grazia sarà un popolo santo, interamente purificato, vincitore del peccato e rifletterà l’immagine del Cristo, perché “il residuo d’Israele non commetterà iniquità, non dirà menzogna, né si troverà nella sua bocca lingua ingannatrice”, sarà una “Chiesa gloriosa, senza macchia, senza ruga o cosa alcuna simile... santa ed irreprensibile”, tramite lei Dio dichiarerà al mondo la sua gloria e a lei dirà: “Sorgi, risplendi perché la tua luce è giunta, e la gloria dell’Eterno
133 134 135
Apocalisse 12:17. E. Bosio, o.c. , p. 90. Apocalisse 18:1 e seg.
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si è levata su te! Poiché, ecco, le tenebre coprono la terra, e una fitta oscurità avvolge i popoli: ma su te si leva l’Eterno e la sua gloria appare su te”.136 Questo rimanente, generato da quelle denominazioni, da quelle Chiese che durante i secoli bui del Medio Evo sono state fedeli alle verità da loro comprese e hanno saputo mantenere alto il loro candelabro, si presenta al mondo con due caratteristiche, affinché possa essere chiaramente identificabile: a) “serba i comandamenti di Dio”; li accetta come si trovano scritti nel decalogo, crede che con Gesù essi non sono stati modificati, che facevano parte della predicazione apostolica e la cui osservanza è la dimostrazione dell’avvenuta liberazione;137 b) “ritiene la testimonianza di Gesù”, che “è lo spirito di profezia”.138 Cioè accetta l’insegnamento dei profeti e da essi si fa condurre, accetta la testimonianza che gli apostoli danno di Cristo e, a sua volta, ripropone con franchezza, senza lasciarsi coinvolgere dalle vane ideologie del presente secolo, l’unica salvezza e liberazione per il mondo che è giunto alla sua fine, il ritorno del grande Iddio e Salvatore Cristo Gesù e la gratuità della sua salvezza mediante la fede, affinché nessuno si glori. È con l’azione di testimonianza di questo rimanente che la storia della Chiesa giungerà al suo termine. Nell’Eden Dio disse a Satana: “Io metterò inimicizia fra te e la donna, fra la tua progenie e la progenie di lei, questa progenie ti schiaccerà il capo, e tu le ferirai il calcagno”. Il capitolo XII di Apocalisse ha sviluppato ampiamente questa promessa di vittoria, questa lotta millenaria tra la Chiesa, progenie della donna, e Satana. Nella progenie della donna la Chiesa ha trovato il suo campione in Cristo Gesù. Il serpente è stato vinto, ma a sua volta la Chiesa stessa, nella persona del “rimanente”, deve manifestare il suo trionfo perché: “l’Iddio della pace triterà tosto Satana sotto i loro piedi”139. Anche per questa progenie ci sarà il Getsemani e la strada del Golgota prima della gloria di Pasqua, sarà il tempo di distretta della crisi finale. Riteniamo che la realtà storica di questa dichiarazione dell’Apocalisse s’incarni nella Chiesa Cristiana Avventista del VII giorno, generata nel secolo scorso dalle varie denominazioni140 sulla terra che ha soccorso la donna. Questa progenie ha preso forma allo scadere del più lungo periodo profetico della Bibbia,141 ereditando dalla cristianità tutte quelle verità bibliche rimaste vive attraverso i secoli. In questa progenie si è manifestato e ha preso forma il vero ecumenismo: uomini e donne uniti tra di loro, perché uniti prima di tutto a Cristo e costantemente disposti a lasciarsi guidare dalla sua Parola. 136 137 138 139 140 141
Sofonia 3:13; Efesi 5:26; Isaia 60:1,2. Matteo 5:17,18; 1 Corinzi 7:19; Romani 3:31; Giacomo 2:20. Apocalisse 19:10. Romani 16:20. Metodisti, episcopali, battisti, battisti del 7o giorno, congregazionalisti, ecc. Daniele 8:14; vedere i nostri Capitoli XI e XIV. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO VIII
Il dragone non ha ancora iniziato a fare pienamente guerra al rimanente di questa progenie, ma questo periodo di relativa calma è la bonaccia che precede la tempesta perché Satana sta preparando un piano grandioso ed universale, non tollerando che la grazia di Dio possa manifestare la sua pienezza nella Chiesa che abita ancora in questo mondo sul quale rivendica la signoria.
Conclusione “E il dragone si fermò sulla riva del mare”.142 “Quanto ai mezzi con i quali Satana farà ricorso per nuocere a questo residuo, il capitolo XIII ci darà la descrizione completa. Attendendo che si avvicini il gran giorno dell’epilogo delle sue forze e dell’abbondanza delle sue risorse, il dragone si tiene sulla sabbia del mare, al limite dei due mondi (mare e terra) dal quale sorgeranno le due creazioni diaboliche del suo genio inventivo, poiché brucia dal desiderio di vedere le diverse scene del dramma che si svolgerà sotto i suoi occhi, del quale nulla gli deve sfuggire, vuole essere presente al più piccolo degli avvenimenti e dirigere invisibilmente, secondo l’andamento delle circostanze, le sue milizie infernali. In conclusione, installato ai primi posti, è con una soddisfazione profonda, una gioia intima e un orgoglio colossale che la sua opera abominevole sarà da quel momento l’oggetto delle sue preoccupazioni e della sua contemplazione prolungata”.143
142 Apocalisse 12:18. Ticonio ha pensato che la sabbia rappresentasse la moltitudine degli eretici, Galatinus l’ha identificata con chi non è veramente cristiano né veramente infedele, Ribeira con la folla degli empi.. 143 A. Reymond o.c., t. I, pp. 312,313. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi.
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Quando la profezia diventa storia
Capitolo IX IL PAPA DEPORTATO “Il Vaticano Bernhart.1
trono
del
mondo”
Joseph
“Io dedico questo libro - Le Vatican contre l’Europe - ai Signori delegati dell’UNESCO, organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, le scienze e la cultura al servizio della pace. Possa apportare il suo contributo ai loro lavori, nell’inchiesta approfondita che essi svolgono sulle cause permanenti di conflitto nel mondo” Edmond Paris.2
Introduzione Il capitolo XII dell’Apocalisse ha presentato la guerra che il dragone ha dichiarato ad oltranza alla sposa di Cristo. Nel capitolo XIII Giovanni ci presenta due bestie. Esse sono gli strumenti che Satana impiega per compiere la sua opera. Sono i suoi ausiliari nei quali s’incarna per meglio mistificare la sua azione. La prima bestia, quella che noi esamineremo, è la principale, la prima di rango e d’importanza, la prima che entra in azione e che è chiamata semplicemente bestia.3 “E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, e sulle corna dieci diademi, e sulle teste nomi di bestemmia. E la bestia che io vidi era simile a un leopardo e i suoi piedi erano come di orso, e la sua bocca come bocca di leone”.4 “Il termine “bestia” stigmatizza la creatura decaduta e pervertita perché assoggettata al “principe di questo mondo””.5 Questa bestia con sette teste rappresenta il potere dell’uomo che aspira a prendere il posto di Dio, al quale appartiene il numero 7, segno della perfezione. “Ha sette teste e dieci corna, come il dragone, principe di questo mondo, essa ne è di conseguenza l’immagine ed il vicario… Come fedele immagine del dragone, deve rappresentare non un impero particolare, l’impero
1 2 3 4 5
BERNHART Joseph, Le Vatican, trône du monde, Paris 1930. PARIS Edmond, Le Vatican contre l’Europe, Paris 1969, dedica. Per la seconda bestia vedere il nostro Capitolo XV. Apocalisse 13:1-2. BRÜTSCH Charles, La Clarté de l’Apocalypse, Genève 1966, p. 221.
CAPITOLO IX
romano, per esempio, come si è pensato diverse volte, ma l’insieme delle potenze terrene”.6 Questo capitolo XIII dell’Apocalisse riassume il capitolo VII di Daniele, il quale è un parallelo del capitolo II. Daniele, presentando i diversi regni in un’unica statua con diversi metalli, ci vuole semplicemente insegnare “che le rivoluzioni degli imperi, per quanto importanti possano sembrare ai nostri occhi, non hanno agli occhi di Dio che un’importanza molto relativa. La caduta di una monarchia terrena, subito rimpiazzata da un’altra, non è un elemento capitale per la profezia. La profezia non considera il regno delle potenze del mondo che come un solo e stesso fatto. La sola vera rivoluzione è quella che rovescerà le potenze definitivamente una volta per tutte”.7 In questa bestia dell’Apocalisse abbiamo rappresentato lo stesso insegnamento. Infatti tutta la storia dell’umanità, dalla torre di Babele, non è che uno sforzo costante e continuo nel creare, da parte dell’uomo che ha lasciato il suo Creatore e rifiuta il dialogo con lui, un sistema che non è mai perfettamente riuscito: la creazione di una monarchia universale e duratura che possa realizzare le antiche parole: “Facciamoci una città e una torre la cui cima giunga fino al cielo, e acquistiamoci fama, onde non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra”.8 L’abate A. Crampon scriveva: “Le quattro bestie di Daniele rappresentano ognuna un impero, quella dell’Apocalisse, che riunisce in sé i tratti di tutte le altre, deve necessariamente rappresentare l’insieme di questi imperi ed essere il simbolo della potenza politica, della forza materiale degli stati, messi al servizio del dragone, per opprimere i servitori di Dio… Per conseguenza la bestia di Apocalisse, che rappresenta in generale la potenza politica ostile a Dio, può anche rappresentare e, di fatto, rappresenta diverse volte la potenza o la persona stessa dell’Anticristo”.9
Il potere che ha dominato attraverso i secoli secondo l’Apocalisse “E vidi salire dal mare una bestia. La bestia che io vidi era simile a un leopardo e i suoi piedi erano come di orso, e la sua bocca come bocca di leone”.10 Come abbiamo spiegato nel nostro Capitolo IV, Come Dio vede la storia, Giovanni con l’espressione “salire dal mare” vuole dire che è a seguito di guerre, spostamenti di eserciti, invasioni di popoli, disordini politici, che si viene a creare un nuovo impero o meglio, per l’Apocalisse, una mutazione profonda dello stesso impero.
6 7 8 9 10
REYMOND Antoine, L’Apocalypse, vol. I, Lausanne 1904, p. 323. AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, pp. 49,50. Genesi 11:4. CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. VII, L’Apocalypse, Paris 1904, p. 475. Apocalisse 13:1,2.
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IL PAPA DEPORTATO
Daniele menziona il sorgere degli imperi in forma cronologica rispetto al suo tempo: il leone (Babilonia), l’orso (Medo-Persia), il leopardo (Grecia), e infine la bestia innominabile (Roma) con le dieci corna, ma non incoronate. Per Giovanni queste monarchie sono di già passate ed “è per questa ragione che… le menziona in senso inverso a quello di Daniele. Giovanni le menziona senza aggiungere nessun dettaglio, perché vede la storicità delle forze passate del governo dei gentili. Il corpo delle prime tre bestie è là, poiché, per il momento, le tre prime monarchie sono lasciate da parte. Queste tre prime monarchie di Daniele sono state messe alla prova e hanno fatto il loro tempo. Esse tuttavia esistono agli occhi di Dio, e per conseguenza nella visione della prima bestia dell’Apocalisse”.11 “Aveva dieci corna e sette teste e sulle corna dieci diademi”.12 “Sette teste, che raffigurano sette imperi e dieci corna, che portano dei diademi, perché esse rappresentano anche dei re o degli imperi. Queste corna sono tutte poste sulla stessa testa, perché Daniele ci insegna che l’ultimo dei quattro imperi deve dare nascita a dieci regni”.13 Questi regni hanno il diadema della regalità, perché iniziano a regnare quando Giovanni è invitato a considerare questa bestia che esce dal mare. “Al tempo in cui la visione situa S. Giovanni, la bestia ha le sue corone sulle dieci corna della bestia romana. Queste corna sono i regni simultanei che si sono perpetuati attraverso diverse trasformazioni fino ai nostri giorni”.14 Le sette teste, come quella del dragone, rappresentano le sette fasi della monarchia universale da Babilonia fino alla prossima confederazione degli stati europei. “Il dragone le diede la propria potenza e il proprio trono e grande podestà”.15 Il trono di Satana, come abbiamo spiegato nel capitolo XI, aveva la sua sede primitiva, con il culto alla persona del re, all’est dell’Eufrate, in Oriente, a Babilonia. Poi è stato spostato verso l’Occidente, stabilendosi per alcuni secoli nell’Asia Minore, a Pergamo, per poi trasferirsi in pianta stabile a Roma.16 L’espressione: “Il dragone diede alla bestia il proprio trono”, indica il momento in cui l’Impero Romano non si presenta più nella sua forma pagana; sul trono di Roma si cambia il cesare. Indica il tempo in cui Costantino sposta la sede dell’impero, da Roma a Costantinopoli, lasciando che il trono di Satana sia occupato da qualcuno che incarni meglio le sue ambizioni di essere simile a Dio, mascherandosi, per 11 12 13 14 15 16
ROSSIER J.B., Étude sur l’Apocalypse, t. II, Lausanne 1850, p. 48. Apocalisse 13:1. A. Crampon, Idem. ROUGEMONT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, Neuchâtel 1866, p. 270. Apocalisse 13:2. Babilonia: Daniele 3; 6; Isaia 14:12-14; Pergamo: Apocalisse 2:13; Roma: Apocalisse 13:2. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO IX
raggiungere il suo scopo, a differenza dei re pagani, che avevano espresso la loro ambizione nel nome delle loro divinità, col nome di Gesù Cristo. Già l’apostolo Paolo, come abbiamo visto, aveva esposto questo insegnamento. Per lui quando Roma fosse caduta, allora si sarebbe manifestato l’empio la cui venuta si sarebbe realizzata mediante l’azione efficace di Satana17. Paolo, nella sua lettera ai Tessalonicesi, presenta la cosa nel suo aspetto religioso, Giovanni pone l’accento più sull’aspetto politico. Di questa bestia consideriamo le seguenti caratteristiche: - sale dal mare; - riceve potenza e il trono dal dragone; - ha sette teste; - ha dieci diademi sulle corna. Questi particolari ci permettono di indicare in quale momento della storia, sul territorio dell’impero latino, si presenta questa bestia o meglio si ha un cambiamento nella storia di Roma. Il primo particolare presenta che il nuovo potere sorge a seguito di guerre e dallo spostamento di popoli. Il secondo particolare attesta che la sede del nuovo impero è quella precedente, Roma, con il trono però occupato da un nuovo personaggio. Il terzo particolare, le sette teste, raffigura i sette imperi universali che hanno caratterizzato la storia del vicino Oriente e il bacino Mediterraneo dai tempi di Babilonia. Il quarto particolare ci aiuta a capire che l’impero latino, emergendo dalle invasioni barbariche, è ora diviso in diversi regni che esercitano la loro regalità. Come abbiamo esposto nel nostro Capitolo VII - Perché la Riforma non è sorta nei paesi latini, ogni bestia con il suo corpo rappresenta un territorio geografico specifico. Questo ci permette di capire perché Daniele, nella visione della statua, vede solo quattro imperi, con mutazioni successive nella quarta monarchia, mentre qui Giovanni descrive una bestia con sette teste, cioè sette imperi. Essendo sempre lo stesso il territorio geografico, teatro delle tre ultime fasi degli imperi terreni, Daniele non vede più sorgere dopo Roma altre bestie, mentre Giovanni vede ritornare per tre volte lo stesso mostro.18
17 18
2 Tessalonicesi 2:9. Apocalisse 13; 11; 17.
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IL PAPA DEPORTATO
Identificazione storica del potere che sorse dopo che la Roma dei Cesari cambia sede e l’Impero Romano si trasforma nel mare delle invasioni barbariche “La bestia è contemporaneamente l’impero e il capo dell’impero, il personaggio che lo riassume, e può dire: l’impero è mio”.19 Daniele Rops scriveva nella sua opera Storia della Chiesa di Cristo: “Verso la fine del V secolo, questo secolo svolta, qual era la situazione? Anzitutto materialmente: abbiamo detto un mosaico di Stati barbari… Molto più importante ancora: al crollo sopravvive l’idea di unità propria dei secoli di Roma, quell’ideale cantato ancora nel 417 dal buon gallo Rutilio Namaziano: “Di tante nazioni, tu, o Roma, hai fatto una sola patria, e di ciò che era il mondo una sola città”. Si conserva la nostalgia delle epoche felici in cui l’Occidente era uno… Tutto spinge dunque gli uomini di questo tempo a idealizzare la grande immagine; per gli antichi romani essa era il segno della tradizionale superiorità e per i cristiani è il pegno dell’avvenire, di un avvenire in cui la Roma battezzata, sostituendo la Roma pagana moribonda, assumerà lo stesso compito unificatore”.20 Il cardinale Manning riconosce il trasferimento dell’autorità dalla Roma pagana a quella cristiana scrivendo: “L’abbandono di Roma (da parte dei cesari), fu la liberazione dei pontefici (che ereditarono il trono del dragone) … La provvidenza di Dio permise l’invasione e la desolazione dell’Italia da parte dei Goti, dei Longobardi e degli Ungheresi in maniera da cancellare le ultime vestigia dell’impero; e allora i pontefici vennero ad essere i soli depositari dell’ordine, della pace, della legge e della sicurezza… In Roma s’era formata una potenza che imperava assai di più sulla volontà e sulla ragione dell’uomo, del dispotismo di ferro dell’impero… Tale potenza interiore e soprannaturale, dispiegantesi sulle nazioni e sui cuori, emanava da un centro e s’incarnava in una persona: il vescovo di Roma. La mareggiata che aveva spazzato tutti gli altri poteri diede maggior rilievo e più preminenza alla suprema autorità dei Vicari di Gesù Cristo”.21 L’ambasciatore francese presso la santa sede, W. d’Ormesson, da parte sua scriveva: “Sul piano storico il Papa è l’erede (al trono) dei pontefici romani e questo titolo interessa sia l’antico impero di Roma, sia l’era cristiana. Per una lenta sostituzione avvenuta dopo Costantino, il Papato a poco a poco occupò i vuoti che la decadenza e il crollo dell’impero avevano creato. Dopo le tenebre delle invasioni barbariche, una Roma cristiana rinasceva dalle ceneri della Roma pagana. In un certo senso è il Papa che diviene capo di questo impero. Tale potenza storica è stata fissata in numerosi riti e nello splendore dei monumenti”.22 19
GUERS Émile, Histoire abrégée de l’Eglise, Toulouse 1850, p. 617. ROPS Daniel, Storia della Chiesa di Cristo, vol. II, La Chiesa dal tempo dei Barbari, Torino 1962, pp. 110,112. 21 MANNING, The temporal Power of the Vicar of Jesus Christ, London 1871, pp. 28,29; cit. da MAGGIOLINI Mario, in Segni dei Tempi, n. 3, 1966, p. 52. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. 22 ORMESSON Wladimir de, Il papato, ed. Paoline, Catania 1958, p. 156. 20
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CAPITOLO IX
E lo storico politico P. Villari, dopo aver presentato l’abbandono di Roma da parte di Costantino con le sue molteplici conseguenze, dice che “il vescovo (di Roma) volle essere non solo il successore di san Pietro, ma anche di Romolo e di Remo, di Cesare e di Augusto, formando un impero religioso non meno vasto, non meno potente e più solido di quello politico, che ormai minacciava rovina”.23 Scrive P. Fedele: “Nella universale catastrofe la Chiesa era rimasta salda: essa sola nella rovina degli ordini antichi per la sua forte costituzione, per la sua organizzazione sapientemente modellata su quella dell’impero, per la sua potenza economica, non fu travolta. Quanto più il mondo romano si andava disgregando, tanto più si rafforzava nella sua compagine l’organismo della Chiesa romana. Attributo questo, che ha un significato profondo. Romana la Chiesa non soltanto perché ha in Roma il suo centro, ma anche perché la Romanità minacciata politicamente e nazionalmente dal germanesimo, si stringe intorno al capo della Chiesa, come al suo capo naturale. Fra il turbinio delle invasioni germaniche, Leone Magno, primo dei pontefici che si possano chiamare grandi nel Medio Evo, afferma solennemente il concetto imperiale della Chiesa. “Esulta, Roma, esclama il pontefice… città sacerdotale e regia; la sacra sede di Pietro ti pone alla testa del mondo per esercitare con l’opera della religione ancor più vasta autorità di quella che tu avesti con la dominazione terrena”. Così viene affermato il concetto dell’eredità dell’Impero passata alla Chiesa”.24 “Il capo che regna a Roma e che si chiama il vicario di Cristo ed il santissimo Padre, fu per la sua autorità spirituale il cemento che unì in uno (impero, la quinta testa della nostra bestia) i dieci regni divisi sulla terra dell’impero”.25 “Il vescovo di Roma, per la crescita graduale della sua autorità spirituale sui re e i popoli della cristianità, riuscì a padroneggiare sempre di più i Barbari e, sotto la sua influenza, l’impero ricoprì in Occidente, a scapito dell’unità politica, una unità morale e religiosa di cui era, lui, a Roma, il principe e il centro”.26 Questa bestia rappresenta l’Impero Romano nella fase papale. E “qui appare, o meglio riappare, l’Impero Romano, non più sotto forma antica e prettamente pagana, ma sotto la forma medioevale, cristiana e pagana ad un tempo. Da Costantino in poi, la religione del mondo civile è una sintesi di ellenismo e di giudaismo.27 Questa religione ha assunto la forma di una teocrazia, il che costituisce ad un tempo una retrocessione verso forme di governo antiquate e superate (giudaismo e paganesimo), e un’audace anticipazione (tentativo prematuro per instaurare il futuro regno di Cristo
23
VILLARI Pasquale, Le invasioni barbariche in Italia, Milano 1901, p. 33. FEDELE Pietro, La tradizione di Roma, in PICOTTI G.B. - VIOLANTE C., Lineamenti di Storia Antica, per la classe di collegamento degli istituti, ed. La Scuola, Brescia 1968, pp. 338,339. 25 ROSSELET D’IVERNOIS Adolphe, L’Apocalypse et l’Histoire, t. II, Paris 1878, p. 198. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto messo tra parentesi. 26 HENRIQUET Alexander, L’Apocalypse, Paris 1873, p. 161. 27 Come abbiamo già citato: “Il Papato è il punto d’incontro e di fusione delle correnti spirituali venute dal mondo ebraico, dall’Asia, dal mondo egiziano, dal mondo greco, dal mondo celtico, dal mondo germanico” W. D’Ormesson, o.c., p. 156. 24
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sulla terra, mediante l’alleanza del trono e dell’altare). Anacronismo sempre e da qualunque lato si guardi. L’Europa medioevale, organizzata teocraticamente, appare al profeta come logica continuazione del romano impero che i barbari scompaginarono, senza per questo distruggerne l’idea e la realtà storica”.28 Papa Leone I in un suo sermone, dopo aver esaltato la grandezza dell’antica Roma, proseguiva dicendo: “Esulta, Roma, città sacerdotale e regale. La sede sacra di Pietro ti pone alla testa del mondo per esercitare con l’aiuto della religione un’autorità ancora più vasta di quella che avevi con l’autorità terrena”.29 E affinché questa autorità trovasse la sua esecuzione sull’antico impero dei Latini, Roma papale ha assorbito l’antica amministrazione. Per ben dimostrare come la Roma sedicente cristiana del Medio Evo sia succeduta alla Roma pagana dell’antichità, diamo ancora la parola a degli studiosi, senza però pretendere di solidarizzarli con la nostra interpretazione di questo capitolo. “La parte occidentale della Chiesa cristiana, dominata da Roma e penetrata dallo spirito romano, è diventata un potente organismo in cui il vescovo di Roma ha preso la successione dell’impero decadente: ruolo che l’evoluzione storica non ha messo alla portata di alcun vescovo d’Oriente… I Barbari d’Occidente sono stati incorporati dalla Chiesa romana nell’impero che essi avevano conquistato; il prestigio di questo impero li ha dominati tramite la Chiesa di cui avevano accettato la fede; e nonostante la restaurazione del titolo imperiale in Carlomagno e negli imperatori germanici, il vero erede della potenza romana fu il papa, tramite il quale si è mantenuta, finché è durata, l’unità del cristianesimo occidentale. I vescovi di Roma hanno assunto, in una larghissima misura, la direzione suprema dei popoli sorti dall’impero d’Occidente; essi l’hanno fatto, in qualità di vicari di Cristo, imperatore celeste; e, sotto il titolo di sommo pontefice, che era appartenuto agli imperatori dell’antica Roma, sono stati i capi della feudalità cristiana. Così sussistette una coscienza cattolica romana, cioè la coscienza religiosa dell’Impero Romano convertito al Cristo, perpetuata dalla chiesa che aveva battezzato le nazioni barbariche”.30 “L’Impero Romano soccombette nel V secolo, sotto la spinta della sua propria debolezza e delle invasioni barbariche; ciò che restava di autenticamente romano si rifugiò nella Chiesa romana, la fede ortodossa, per opposizione all’arianesimo, la civilizzazione e il diritto. Tuttavia, i capi barbari non osavano presentarsi come cesari romani e installarsi sul trono, oramai non occupato, dell’impero; essi fondarono i loro diversi stati nelle province. In queste condizioni, il vescovo di Roma appariva come il guardiano del passato e il rifugio dell’avvenire; dappertutto nelle province occupate dai barbari, pure in quelle che già avevano rivendicato gelosamente la loro indipendenza nei 28 29 30
VAUCHER Alfred Félix, Les prophéties Apocalyptiques et leurs interprétation, Collonges sous Salève 1973. Papa Leone I, Sermon., LXXXII, 2; cit. da É. Guers, o.c., p. 288. LOISY Alfred, La religion, Paris 1917, pp. 140,142; cit. da A.F. Vaucher, o.c., pp. 40,41. Quando la profezia diventa storia
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confronti di Roma, preti e laici guardavano ora verso lui. Tutto ciò che i Barbari e gli Ariani avevano lasciato sussistere di romano nelle province - e ciò era considerevole ancora - fu clericalizzato, e posto così sotto la protezione del vescovo di Roma, il primo dei Romani da quando non ci furono più imperatori. Ora, nel V secolo, Roma vide passare sulla sede episcopale degli uomini capaci di discernere i segni dei tempi, e di metterli a profitto. La Chiesa romana si pose insidiosamente al posto dell’Impero Romano; infatti questo si continua in essa; non è sparito, è solamente trasformato. E quando noi affermiamo, cosa vera ancora oggi, che la Chiesa romana non è altro che il vecchio Impero Romano consacrato dall’Evangelo, non è una nota spirituale, è la constatazione d’un fatto storico e la caratteristica più esatta e più feconda di questa Chiesa. Ancora oggi essa governa i popoli, i suoi papi regnano come Traiano e Marco Aurelio; al posto di Romolo e Remo, si sono messi Pietro e Paolo; al posto dei proconsoli gli arcivescovi e i vescovi; le legioni sono rimpiazzate dalle truppe di preti e di monaci, e la guardia pretoriana dai gesuiti. Fino nei dettagli, fino nei vestiti stessi, si fa sentire l’azione permanente dell’antico impero e delle sue istituzioni. Non è una Chiesa simile alle comunità protestanti o alle Chiese nazionali dell’Oriente, è una creazione politica grandiosa tanto quanto un impero universale, perché è la continuazione dell’Impero Romano. Il papa che s’intitola re e pontifex maximus è il successore di Cesare. Tutta penetrata di spirito romano del III e IV secolo, la Chiesa ha restaurato, nella sua propria costituzione, l’Impero Romano. Dopo il VII e VIII secolo, i patrioti cattolici di Roma e dell’Italia non l’hanno mai compreso diversamente”.31 Questa sostituzione della Chiesa all’antica Roma fu tale che “l’autocrazia militare della Roma pagana s’introdusse pezzo per pezzo nella Chiesa cristiana, fino a che la sua organizzazione religiosa fosse diventata la copia esatta dell’organizzazione politica. Il vescovo di Roma divenne a poco a poco nella Chiesa ciò che era stato il Cesare nell’impero. Il papato nacque dalla copia del cesarismo”.32 Il filosofo Tommaso Campanella nel suo I0 discorso ai Principi d’Italia, nel 1607, diceva: “Tramite la Chiesa l’Italia si mantenne signora dell’Universo perché la religione armata e ricca non ha potenza che la possa vincere… Ci resta questa gloria nel papato ed è tanto grande che tutti i principi cristiani baciano i piedi al nostro principe, il che non facevano all’imperatore romano; egli pone e depone tutti i principi, e dà leggi all’universo, ed è a capo della monarchia terrena e seggio della scuola di Dio, e quanto hanno tutti i principi a lui è soggetto, almeno indirettamente in temporale come è direttamente in spirituale del che dissi assai nella Monarchia del Messia” e aggiungeva nel IX discorso: “Il papa mantiene le ragioni di tutti i principi, essendo legislatore comune e padre del cristianesimo, talché, per esser di autorità 31
Von HARNACK Carl Gustav Adolf, L’essence du Christianisme, Paris 1907, pp. 299,301; cit. A F. Vaucher, o.c., p.
41. 32
FROMMEL Gaston, Études religeuses et sociales, 2a ed., Saint-Blaise 1908, p. 296.
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grandissima ché le sue parole sono tenute parole di Dio, non potrà nessun principe sollevarsi contro l’altro, se egli non è dal Papa aiutato dichiarando la sua guerra esser giusta”.33 L’Apocalisse dice: “Le fu data potestà sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione”. La rappresentazione figurata di questo potere da parte di Giovanni è eloquente. “Il giudizio che porta sul papato scaturisce dal fatto che per rappresentare questa copia del cesarismo romano si serve dell’immagine di una bestia, come per ben far notare che se il mondo romano ha adottato ufficialmente il cristianesimo, la sua natura intima non è cambiata. La monarchia terrestre resta animale dopo come prima di Costantino. Questo giudizio scaturisce ancora meglio da un dettaglio: sulle teste della bestia Giovanni ha visto dei nomi di bestemmia”34, cioè il suo carattere religioso, rivendicando “titoli ed onori divini” o “titoli e delle pretese che attentano alla gloria di Dio”.35 L’abate Crampon commenta: “La bestia, da qui (versetto 4) alla fine del capitolo, indica l’impero e la persona dell’Anticristo. Sul culto d’adorazione che si farà tributare, vedere 2 Tessalonicesi II:4. L’azione della bestia descritta qui (versetto 5), è assolutamente conforme a quella che Daniele ci rivela nell’ultimo corno (della quarta bestia); c’è dunque identità evidente tra le due profezie”.36 Già Ireneo, discepolo di Policarpo, che era stato discepolo di Giovanni l’apostolo, nel II secolo, identifica il “piccolo corno” di Daniele VII con “l’uomo del peccato” di Paolo nella lettera ai Tessalonicesi, con la prima bestia di Apocalisse XIII.
Linguaggio, persecuzione e durata della supremazia del papato “E le fu data una bocca che proferiva parole arroganti e bestemmie e le fu data potestà di agire per quarantadue mesi. Ed essa aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome e il suo tabernacolo e quelli che abitano in cielo. E le fu dato di far guerra ai santi e di vincerli; e le fu data potestà sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione”.37 La bestia di Apocalisse XIII ripropone in termini evidenti le caratteristiche che hanno distinto il piccolo corno di Daniele VII quale continuatore dell’Impero Romano.
33 34 35 36 37
CAMPANELLA Tommaso, Discorsi ai principi d’Italia, Torino 1945, pp. 95-97, 152. A.F. Vaucher, o.c., p. 43 (vedere Apocalisse 13:1). GAUSSEN Louis, Daniel le prophète, t. III, Paris 1848, p. 272. A. Crampon, o.c., pp. 476,477, confr. Daniele 7:24-26. Apocalisse 13:5-7. Quando la profezia diventa storia
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Apocalisse XIII:5 “Le fu data una bocca che proferiva parole arroganti”.
Daniele VII:8 “Bocca che proferiva grandi cose”.
Il papa Adriano IV nel XII secolo scriveva ai vescovi della Germania: “È grazie a noi papi che l’imperatore regna, tutto ciò che egli ha lo riceve da noi, è in nostro potere di dare la regalità a chi vogliamo, perché noi siamo stati stabiliti da Dio al di sopra delle nazioni e dei regni per distruggere e sradicare, costruire e piantare”.38 Nel Codex S. Ecclesiae Romanae del 1893 è scritto: “Quando egli fa un concordato con il capo di uno Stato politico, questo concordato non è per nulla un contratto sinallagmatico e uguale per le due parti. Il principe è tenuto a conformarsi perché il suo dovere di cristiano è d’obbedire alla Santa Sede. Ma il Papa, accettando un Concordato, fa una concessione puramente graziosa e sempre revocabile dal momento che questa concessione può tornare a detrimento della Chiesa, o semplicemente cessa d’avere per essa una qualche utilità”.39 E questo la Chiesa l’ha sempre fatto attraverso i secoli. Apocalisse XIII:5,6 “Le fu data una bocca che proferiva... bestemmie.... Aprì la bocca per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome”.
Daniele VII:25 “Parole contro l’Altissimo”.
Queste bestemmie non sono solamente delle diatribe anticristiane, come le si intendono pronunciare in un momento di perdita di lucidità mentale o intercalare di chi non sa parlare, “ma si tratta della tentazione di edificare una religione e di parlare come Dio”.40 Il teologo cattolico J.L. D’Aragon osserva: “Nomi di bestemmia: Assegnare titoli divini all’imperatore era, per i giudei e i cristiani, una attribuzione indebita e blasfema”.41 Quanto ancora più grave è assegnare titoli divini al vescovo di Roma che si presenta non nel nome di un dio pagano ma di Gesù Cristo. I titoli che il papa si è attribuito e ha accettato compiacente che gli venissero dati sono: - Il Santo Padre, titolo che Gesù dà al Padre42, spesso per il papa si va più lontano e lo si chiama: Santissimo Padre; 38
Cit. da A. Reymond, o.c., p. 339. PEZZANI, Codex Ecclesiae Romanae, 1893, canone 33. 40 THIELICKE Helmut, Fragen an das Christentum, p. 182; cit. da Ch. Brütsch, o.c., p. 222. 41 D’ARAGON Jean Louis, L’Apocalisse, in Grande Commentario Biblico Queriniana, ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 1459. 42 Giovanni 17:1. 39
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Quando la profezia diventa storia
IL PAPA DEPORTATO
- Sommo Pontefice, è il titolo che si dà a Gesù nell’epistola agli Ebrei43; - Capo della Chiesa, titolo che l’apostolo Paolo dà a Gesù44; - Leone della Tribù di Giuda, titolo che l’Apocalisse attribuisce a Gesù45; - la lettera di credenziali che il papa Martino V diede al suo ambasciatore a Costantinopoli, portava questa scritta: “Il santissimo e felicissimo, che è l’arbitro del cielo e il signore della terra, il successore di S. Pietro, l’unto del Signore, il padrone dell’universo, il padre dei re, la luce del mondo”; - il vescovo di Angoulême scriveva ai suoi diocesani in occasione dell’elezione di Pio X: “Noi non vediamo nell’eletto che il papa cioè Pietro, cioè il Cristo stesso, ciò vuol dire che il nostro cuore non vuole vedere nient’altro che il supremo depositario della potenza divina”46; - Vicario di Cristo, ne è il titolo per eccellenza, e Gesù lo attribuisce allo Spirito Santo47. - Perdona i peccati, qualità riservata a Dio48; - Vescovo Universale, titolo che tutti i vescovi di Roma ebbero dopo Gregorio Magno, il quale però scriveva: “Questo titolo è diabolico, è un nome di bestemmia, inventato dal primo apostata, il diavolo… L’Anticristo, alla sua venuta, s’arrogherà tale titolo”. A Gesù solo viene attribuito il titolo di “sommo Pastore”.49 La lista potrebbe essere allungata. Apocalisse XIII:6 “Aprì la bocca per bestemmiare contro il tabernacolo e quelli che abitano in cielo”.
Daniele VIII:11 “Si elevò anzi fino al capo di quell’esercito, gli tolse il continuo, e il luogo del suo santuario fu abbattuto”.
È importante notare che la parola ”tabernacolo”, in greco skene, più che rappresentare il popolo di Dio, ricorda il tempio celeste. In effetti Giovanni fa una distinzione molto netta tra il tabernacolo e i santi (la Chiesa). È dunque il santuario celeste che sarà profanato con la sua parola e le sue dottrine. Il sacrificio unico della croce la Chiesa lo sostituisce con la messa, ripetizione costante e continua, in forma incruenta (ma sempre sacrificio), di quanto avvenuto al Golgota.50 Alla salvezza completa per grazia, la Chiesa, come le religioni di tutti i tempi, insegna la salvezza mediante le opere.
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Ebrei 5:5; 8:1; 9:11. Efesi 1:26. Apocalisse 5:5. È stato portato da Leone X e XIII. VUILLEUMIER Jean, Les prophéties de Daniel, Genève 1906, p. 152. Giovanni 16:7, 8; 15:26; 14:26. Marco 2:5-7. 1 Pietro 5:4. Vedere Appendice n. 6. Quando la profezia diventa storia
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Nel 1434 introduce in forma ufficiale, perché ormai accettato universalmente, il Purgatorio, dove le anime si conquistano, con il merito della sofferenza, della purificazione, il paradiso.51 Ancor prima di questo insegnamento il cristianesimo, che aveva perso la sua purezza iniziale, aveva rimpiazzato gli dèi dell’Olimpo con i suoi eroi, sostituendo l’unico mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo,52 con l’azione di una folla immensa di santi che essendo defunti che la Bibbia definisce demoni,53 i quali hanno il compito di placare l’ira di Dio. Questa dottrina purtroppo continua ancor oggi nella Chiesa con la canonizzazione di uomini e donne che diventano fonti anche di ricchezza. La persona del Cristo risorto non è più il centro della salvezza. Nel santuario celeste Giovanni aveva scorto l’arca del patto che conteneva i dieci comandamenti.54 Questo potere terreno nel suo linguaggio contro il tabernacolo, cambia la Legge di Dio come Daniele aveva detto: “Tenterà di cambiare i tempi e la legge”. Apocalisse XIII:7 “E le fu dato di far guerra ai santi e di vincerli”.
Daniele VII:21,25 “Faceva guerra ai santi e aveva il sopravvento… ridurrà allo stremo i santi dell’Altissimo”.
“Questa bestia non ha un messaggio vero da portare; essa non può che diffamare. Non ha nessuna missione storica positiva, non può che distruggere. È per questo che la guerra è per lei un mezzo d’azione indispensabile tanto quanto le bestemmie. Siccome la calunnia nei confronti dei santi non serve a nulla, non le rimane altro che partire in guerra contro di loro… ”.55 “Una dittatura di carattere religioso sarebbe la peggiore di tutte le dittature, perché appunto ti prenderebbe dal di dentro invadendo la stessa coscienza” così si esprimeva padre don Maria Turoldo nell’articolo: È giusto battezzare un bambino quando non può capire.56 “Nel 1864 il gesuita Gerbard Schneemann espose nella Civiltà Cattolica, organo del suo ordine, che è convenevole e necessario alla Chiesa ridurre i non sottomessi tramite i castighi… I papi attuali pensano del Santo Uffizio esattamente ciò che ne pensavano i loro predecessori Innocenzo III e Paolo III”.57 51
Nella bolla di Clemente VI in occasione del Giubileo del 1350 si legge: “Quanto all’anima liberata dal purgatorio noi diamo l’incarico agli angeli di introdurla nella gloria del paradiso” A. Reymond o.c., t. I, p. 340. Lutero diceva nel 1516: “Il papa è troppo crudele se, avendo in realtà il potere di liberare le anime dal Purgatorio, non concede gratis alle anime sofferenti quello che dispensa in cambio di danaro ai privilegiati” FEBVRE Lucien, Martin Lutero, ed. Laterza, Bari 1966, p. 80. 52 2 Timoteo 2:5; Atti 4:12. 53 1 Timoteo 4:1. 54 Apocalisse 11:19. 55 LILJE Hanns, L’Apocalypse; le dernier livre de la Bible, Paris 1959, p. 193. 56 TUROLDO don Maria, È giusto far battezzare un bambino… , in La Domenica del Corriere, 7.8.1975, p. 9. 57 FRANCE Anatole, L’Eglise et la République, 1904, pp. 11,12; cit. J. Vuilleumier o.c., p. 157.
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Negando la realtà storica, il vescovo Luigi Barbero scriveva: “Chi cerca di coinvolgere la responsabilità della Chiesa Romana è un ignorante o un bugiardo. Chi oserà parlare di intolleranza cattolica? La letteratura fiorita intorno all’Inquisizione è fantasia spesso da romanzo e una testimonianza di ignoranza e di menzogna. Ma già! Tutto serve alla calunnia, è sempre stata l’arma dei disonesti”.58 Ma, affinché non si dimentichi, la Chiesa stessa ha messo una lapide sul palazzo del comune di Lugo di Romagna nella quale è scritto: “Andrea Relencini qui bruciato dalla Santa Romana Inquisizione insegni che la Chiesa non tollera ombra di libertà”. Il Papa Pio IX nel suo Sillabus del 1864, articolo 54, dichiarava, a conferma del passato, “La Chiesa non deve mai essere separata dal potere civile, la Chiesa ha il diritto di impiegare la costrizione corporale”. E nella sua Enciclica del 5 agosto 1854 aveva scritto: “Le dottrine assurde erronee, stravaganti, favorevoli alla libertà di coscienza, sono un errore pestilenziale, una peste delle più riprovevoli per uno Stato”. Nella Enciclica dell’8 dicembre 1864 “anatemizza quelli che negano alla Chiesa il diritto di servirsi della forza”. “Vincere non significa qui (nel testo di Giovanni) convincere, guadagnare alla propria causa, ma distruggere fisicamente”.59 Apocalisse XIII:5 “Le fu data potestà di agire per quarantadue mesi”.
Daniele VII.25 Dominerà “per un tempo dei tempi e la metà d’un tempo”.
Questo periodo viene ancora menzionato da Giovanni in Apocalisse quando dice che la donna fuggì dal deserto per milleduecentosessanta giorni. È il periodo dell’intolleranza del Dragone, nelle vesti del papato. Periodo che inizia, come abbiamo presentato nel nostro Capitolo V, nel 538 e finisce alla fine del XVIII secolo, 1798. Riassumiamo quanto abbiamo detto con le parole di Onorio, sacerdote di Autun, pronunciate verso il 1120: “Riguardate questi cardinali e vescovi di Roma! Questi degni ministri che circondano il trono della Bestia! Essi sono sempre occupati da nuove iniquità e non cessano per nulla di commettere crimini. Non solamente questi infami si abbandonano con i giovani diaconi ad ogni sorta di depravazioni; ma ancora vogliono obbligare il clero delle province a imitarli. Così in tutte le Chiese, i preti trascurano il servizio divino, contaminano il sacerdozio con le loro impurità, imbrogliano il popolo con la loro ipocrisia, rinnegano Dio con le loro opere, diventano lo scandalo delle nazioni e forgiano una rete di iniquità per asservire gli uomini. Sono dei ciechi che si precipitano nell’abisso e coinvolgono con loro i semplici che li seguono”.60
58 59 60
BARBERO Luigi, Difendi la tua fede, Torino 1952, p. 67. C. Brütsch, o.c., p. 225. CHAVARD F., Célibat des prètres et ses conséquensec, Genéve 1874, p. 383. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO IX
La ferita mortale “Io vidi una delle sue teste come ferita a morte”.61 Quale è questa testa ferita a morte? Questa testa che verrà poi guarita non può che rappresentare una delle sette fasi della storia universale che viene eclissata, ferita mortalmente per un certo tempo, nel quale perde la sua influenza, per riacquistarla poi. Giovanni presenta questa testa ferita perché è una situazione anomala che si viene a creare nella storia dell’umanità, secondo l’ottica profetica. Non è una potenza che finisce la sua egemonia per sempre con il tempo a lei designato, come per Babilonia (I testa), Medo-Persia (II testa), Grecia (III testa) e Roma pagana (IV testa) che, sebbene vinte e ora nel passato, agli occhi di Dio esistono ancora e quindi non vengono rappresentate neppure con le teste morte. Questa testa dovrebbe essere la sesta. Le quattro teste della monarchia universale (Babilonia, Medo-Persia, Grecia, Roma) non sono mai state presentate ferite. Questa testa ferita deve essere una delle tre teste successive. La V testa presenta quella della supremazia papale nel Medio Evo e ha esercitato il suo potere, come diceva anche Daniele, per 1260 anni. Questa testa pur perdendo il potere continuerà a sussistere fino alla fine, tempo in cui guarirà, riprendendo dominio sul mondo per compiere le sue ultime azioni, prima che sia colpita dal giudizio di Dio e vinta dall’apparizione del Cristo. Per questo motivo si è pensato che la testa ferita sia la quinta, ma in considerazione del fatto che durante questa quinta testa il papato ha occupato il trono del dragone, ha ricevuto potenza e ha manifestato per secoli: supremazia, vitalità, splendore, autorità, dominio, riteniamo che sia meglio pensare che la testa ferita sia la sesta che corrisponde al periodo nel quale il papato ha perso quanto aveva nel passato ed il cui inizio è stato segnato dall’imprigionamento e dall’esilio di Pio VI. Il tempo in cui questa testa viene ferita è alla fine dei quarantadue mesi, ultimi anni del XVIII secolo, e crediamo quindi che corrisponda al periodo storico che segue, caratterizzato dai principi di uguaglianza, di libertà, di giustizia, di democrazia, ideali che negli ultimi due secoli hanno caratterizzato il pensiero della vecchia Europa e che la Chiesa di Roma ha avversato. È alla fine di questa testa, del sesto periodo della storia universale, che la ferità, l’eclissi del potere papale, sarà guarita iniziando una nuova fase della storia dell’Europa. Nel tempo della Rivoluzione francese si pubblicano i diritti dell’uomo e del cittadino, si proclama la libertà di coscienza e di pensiero. Gli enciclopedisti disseminano per tutta l’Europa, oltre lo scetticismo, il seme dell’indipendenza ciò che 61
Apocalisse 13:3.
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avrebbe dovuto creare l’Evangelo, se non fosse stato strumentalizzato dalla bestia. È a causa di questo rinnovamento ideologico e sociale che la bestia è stata ferita mortalmente. Quando il 4 maggio 1789 in Nôtre Dame a Versaille la cerimonia pomposa inaugurerà i lavori dell’Assemblea che si sarebbe tenuta il giorno dopo, inaugurerà piuttosto una crisi religiosa che darà scosse così violente al potere della Chiesa in Francia da far temere vicina la sua distruzione totale62. “Il primo attacco portato dalla Rivoluzione alla sovranità pontificia è dovuto alla Costituzione che, il 14 settembre 1791, vota un decreto che incorpora alla Francia la città di Avignone e il Comtat Venaissein. Questa violazione flagrante del diritto internazionale stupisce le cancellerie di tutte le potenze che vi vedono con ragione il preludio ad altre spoliazioni. Nel 1793 il culto cattolico viene abolito in Francia e quando nel 1797 Pio VI si ammala gravemente, Napoleone dà ordine che dopo la sua morte non sarebbe stato eletto nessun successore. Per lui il Papato doveva essere abolito. Il 3 febbraio 1796, il Direttorio invia il generale Bonaparte ad “andare a Roma, per spegnervi la fiaccola del fanatismo. Due anni dopo, sotto il vano pretesto d’un moto, al quale il governo pontificio è estraneo, il generale Berthier, alla testa di un gruppo di quindicimila uomini, invade Roma, il 10 febbraio 1798, proclama la Repubblica Romana, viene nominato liberatore del Campidoglio, arresta il Papa Pio VI, e lo conduce in esilio a Valenza63, dopo aver fatto un viaggio estenuante in condizioni fisiche impossibili con dei soggiorni più o meno prolungati in diverse città d’Italia: Viterbo, Siena, Firenze, Maschero, Bologna, Modena, Torino. Da Susa a Briazon, a causa delle sue peggiorate condizioni fisiche, viene portato in portantina attraverso il valico innevato, a Grenoble, e poi a Valenza. Tramite il suo segretario di Stato, monsignor Odescalchi, fa pervenire a tutte le corti europee un’energica protesta, riportando le circostanze, l’ingiusta invasione degli Stati Pontifici e gli indegni trattamenti inflitti dal Direttorio. “Era naturale che il papa nella sua angustia si rivolgesse alle Corti cattoliche, per ottenere con la loro mediazione un miglioramento della sua situazione deplorevole così dannosa anche per il bene della Chiesa (si trovava in quel tempo a Siena). Anche l’avvenire dello Stato della Chiesa e il destino dei cardinali, accanto alla sicurezza per la futura elezione papale, gli procurarono naturalmente grandi preoccupazioni. Egli pertanto descrisse in lunghi memoriali ai sovrani cattolici, da cui attendeva aiuto, quanto opprimente fosse la sua condizione. Egli però non ottenne per risposta che belle parole, concludenti con le scuse, che per allora, per riguardo a quel fattore incalcolabile che era la Francia, non si poteva far nulla. Solo il governo portoghese si spinse alquanto più avanti, ordinando pubbliche preghiere per il papa”.64 62
Vedere ROPS Daniel, Storia della Chiesa di Cristo, t. V,2, La Chiesa della Rivoluzione, Torino 1966, p. 7. Vedere MOURRET F., La Papauté, in Bibliothèque Catholique des Sciences Religeuses, Paris 1929, pp. 50,52. C’è un problema storico nei confronti del generale Berthier che vogliamo solamente menzionare. Morì a Bamberca precipitando da una finestra del Palazzo Vescovile. Fu un omicidio, un suicidio o un incidente? 64 PASTOR Luigi, Storia dei Papi, vol. XVI, Roma 1934, p. 651. 63
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Il 5 giugno del 1798 Francis Wrangham, professore al Magdalene College di Cambridge e arcivescovo di York, pronuncia un importante sermone dal titolo: Roma è caduta. Si ispira ad Apocalisse XIV:8 e applica alla caduta di Roma Apocalisse XVI:17,18: “È fatto. E si fece un gran terremoto...” e ora, nel 1798, dichiara: “Quale protestante non si rallegra all’udire che quei tuoni alla fine sono silenziosi, tuoni che si erano fatti udire durante un lungo periodo nel quale il Vaticano aveva per così dire sconvolto l’Europa minando la fedeltà dei sudditi e sbalzando i principi dai loro troni? Quale amante della pace non esulta sapendo che quei fulmini che così spesso scossero il simbolico ulivo della cristianità sono per sempre cessati? Dobbiamo noi, che ardentemente desideriamo l’adempimento delle profezie, piangere sulla loro realizzazione?”.65 Il 13 agosto 1798, Richard Valpy predicando un sermone basato sul testo di Matteo XXIV:44 dal titolo “Anche voi siate pronti”, davanti alle associazioni di lettere, espose gli importanti eventi della primavera di Roma come adempimento della conclusione del periodo profetico dei 1260 anni. Tale sermone venne poi pubblicato dalle associazioni davanti alle quali era stato predicato. “Fra le profezie che debbono avere suscitato la vostra attenzione, vi sono quelle relative al presente stato di Roma. Se con tutti i commentatori protestanti noi vediamo il pontefice romano rappresentato sotto gli emblemi figurativi usati dall’autore dell’Apocalisse, oltre che dalla descrizione fatta dall’apostolo Paolo, saremo colpiti dal letterale adempimento della profezia. Daniele e Giovanni citano il periodo dei 1260 anni che va dallo stabilimento di quel governo alla sua estinzione. Nel 538 fu abolito in Roma il dominio dei Goti66 e da quel tempo il potere pontificio andò sempre più crescendo fino a diventare in Europa il dominio più esteso. Se questa epoca è accettata, il periodo menzionato dai profeti fissa la distruzione dell’autorità pontificia all’anno nel quale il papa fu costretto a lasciare Roma dall’esercito di Francia”.67 Charles Daubeny, in un discorso dal titolo: La Caduta di Roma Papale, pronunciato nello stesso anno, enfatizza il ritorno del Signore presentando il compimento ultimo della profezia come assicurata da quanto si è compiuto recentemente. “Il potere papale è stato a lungo sul punto di declinare. Esso subì una irrecuperabile ferita all’epoca della Riforma protestante. Da allora andò sempre più declinando fino a raggiungere una insignificante preparazione per la sua estinzione finale. Quell’evento sta ora verificandosi, evento nel quale tutte le nazioni sono più o meno coinvolte. Nell’adempimento di una importante profezia che rispecchia il progresso del regno di Cristo sulla terra, quale nazione può disinteressarsi? Noi 65
WRANGHAM Francis, Rome is Fallen! A Sermon… 1798, Wilson, Spence and Mawman, York 1798, pp. 19,12. Sempre R. Valpy nel suo sermone precisa più avanti: “Nel 538 i Goti furono cacciati da Roma ed a quel tempo Vigilio, con i suoi intrighi segreti con l’astuta Teodora, venne promosso alla dignità papale, che egli acquistò con 200 libre d’oro, prova inequivocabile del carattere dell’uomo del peccato. Durante il pontificato di Vigilio le pretese dei successori di San Pietro cominciarono ad essere apertamente affermate e poco dopo la loro supremazia venne riconosciuta pubblicamente. Fu allora che il papa assunse il titolo di Vicario di Gesù Cristo... Allora anche il celibato (ecclesiastico) venne imposto. L’uso dell’acqua santa fu pubblicamente raccomandata da Vigilio nel 538” VALPY Richard, A Sermon Preached August 13, 1798, in Sermons Preached on Public Occasion. With Notes, and an Appendix, vol. I, Sold by Longman, London 1811, p. 258. 67 Idem, pp. 146,167. 66
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abbiamo visto quella nazione i cui precedenti sovrani molto contribuirono all’elevazione del trono pontificio, usata ora come il più immediato strumento nella mano di Dio per abbattere il proprio idolo che era stato eretto nel tempio”.68 Nel 1798 si pubblica lo scritto di Edward King nel quale leggiamo: “Il potere papale a Roma un tempo era considerato così terribile e dominatore da non prendere fine! Ma soffermiamoci un momento: Non era questa fine predetta nelle sacre profezie per la fine dei 1260 anni? Non fu predetta da Daniele per la fine di un tempo, dei tempi e la metà di un tempo? Ed ora vediamo, ascoltiamo e comprendiamo. Questo è l’anno 1798. Proprio 1260 anni fa, all’inizio dell’anno 538, Belisario mise fine all’impero e al dominio dei Goti a Roma. Egli entrò trionfante in Roma il 10 del precedente dicembre in nome di Giustianiano imperatore di oriente. A nessun potere a Roma si poteva dire “dominatore della terra” eccetto al Pontificio Potere Ecclesiastico”.69 David Simpson, in un’opera apparsa tre anni dopo la sua morte, nel 1802, scrivendo sui mutamenti profetizzati che si erano realizzati e su come le nazioni che “per così tanto tempo avevano dato appoggio alla bestia” si sarebbero ribellate “alla bestia e usato dei mezzi per la sua distruzione” si chiedeva: “Questa parte della profezia non può adempiersi attualmente? Tutte le potenze cattoliche non hanno forse abbandonato sua santità di Roma nel momento del suo maggiore bisogno. Non c’è colui che, fino a poco tempo prima faceva tremare l’intera Europa al tuonare della sua voce, diventando un essere debole come tutti gli altri uomini? Gli artigli della bestia non sono stati tagliati e i suoi denti strappati per modo che essa non possa più né graffiare, né mordere? Non è già ai nostri giorni e sotto i nostri occhi privata del suo dominio temporale?” e alla pagina precedente si era chiesto: “Non vi sono abbastanza predizioni che si stanno realizzando sotto i nostri occhi? Non sembra che questi 1260 anni siano sul punto di spirare?”.70 Giovanni, nell’Apocalisse, contemplando questi avvenimenti scrive: “Se uno ha orecchio ascolti. Se uno mena in cattività andrà in cattività; se uno uccide con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada”.71 68
DAUMBENY Charles, The Fall of Papal Rome, T. Cadell, Jun., and W. Davis, London 1798, pp. 26,27,30. KING Edward, Remarks on the Signs of the Time, London 1798; ristampa di Jas. Humpherys, Philadelphia 1799, pp. 18,19. 70 SIMPSON David, A Plea for Religion and Sacred Writings: Addresed to the Disciples of Thomas Paine, and Wavering Christians of Every Persuasion, With an appendix, etc., Printed for J. Mawman, London 1802, p. 165, 164,165. 71 Apocalisse 13:9,10. “Le traduzioni correnti seguono il Sinaiticus e le antiche versioni latine.... Il testo potrebbe servire di avvertimento alla Chiesa, affinché essa non s’armi per difendersi, conformandosi così alla parola di Gesù: “Tutti quelli che prendono la spada, periscono per la spada” (Matteo 26:52). L’obiezione che si oppone a questa lettura deriva dal fatto che né all’epoca di Giovanni, né nell’Apocalisse, i santi sono nella prospettiva di immaginare una eventuale vittoria di fronte alle forze colossali che pesano su loro. Perché avrebbero bisogno di essere prevenuti dal pericolo di un simile tentativo? Certi manoscritti applicano le due sentenze ai persecutori e aggiungono il verbo: condurre (apayei), alla prima frase. “Se qualcuno conduce in cattività, egli andrà in cattività”. La frase vorrebbe indicare che i persecutori subiranno la stessa sorte che avranno fatto subire ai santi. In attesa, i santi sono chiamati alla pazienza e alla perseveranza. 69
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Il papato che per secoli aveva gettato in prigione migliaia di individui, ora è lui a prendere la via dell’esilio e della prigione, realizzando così la profezia. Queste parole, pur annunciando la rovina del persecutore, sono di incoraggiamento ai perseguitati. Però questi ultimi vi devono trovare un serio avvertimento a non usare le sue stesse armi di chi li ha perseguitati per combatterlo, bensì le armi a loro legittime: la perseveranza nella Parola di Dio e la fede. Queste armi sono solide perché si fondano sul trionfo della giustizia divina. Il 29 agosto 1799 Pio VI muore a Valenza, dopo essere stato rinchiuso nel Castello della città, il 14 luglio. “Il cittadino Jean-Louis Charveau, ufficiale municipale del Comune di Valenza, constatò il decesso “del detto Giovanni Angelo Braschi, esercitante la professione di Pontefice”, mandò a Parigi un rapporto in cui, atteggiandosi a profeta, annunciava che il defunto Papa sarebbe certamente stato l’ultimo. E, a giudizio umano, quel guardaciurma sembrava avesse ragione”.72 Il padre P.A. Bosio, nella sua Storia Universale della Chiesa da Gesù Cristo a Pio X, scriveva: “Alla morte di Pio VI molti credettero che con lui si spegnesse e cadesse nella tomba il papato”.73
Infine, seguendo il codice Alessandrinus, certi interpreti vedono nelle due proposizioni il carattere inesorabile delle disgrazie che vengono sui santi. Il secondo verbo essendo cambiato in un infinito passivo, dà questa traduzione: “Se qualcuno deve andare in cattività, che vada in cattività. Se qualcuno debba perire per la spada, che perisca per la spada”. L’appello alla perseveranza trova qui il suo posto. Se questa ultima lettura ha il favore di certi esegeti, è perché essa si armonizza con le parole di Geremia 15:2. Alla preghiera di Geremia per il suo popolo, Dio risponde con la negazione. Il popolo di Gerusalemme deve essere scacciato da davanti alla sua faccia. E se il popolo domanda: “Dove ce ne andremo?”. In un’ironia mordace Yahwé risponde: “Alla morte, i destinati alla morte; alla spada, i destinati alla spada; alla fame, i destinati alla fame; alla cattività i destinati alla cattività”. Con molta evidenza il vocabolario dell’Apocalisse 13:10 è quello di Geremia 15:2. Il cristiano deve attendere l’esilio e la morte. È la loro parte, non devono stupirsi. E.P. PRIGENT giustifica questo dicendo: “Partecipa al martirio di Cristo”, L’Apocalypse de Saint Jean, Delachaux et Niestlé, Lausanne, Paris 1981, p. 207. Certo, l’Antico Testamento è fondamentale per conoscere l’Apocalisse, e il riferimento a Geremia non deve essere negletto. Ma la dipendenza non è servile. Se il vocabolario è indubbiamente lo stesso, il contesto è radicalmente differente. Questa differenza deve avere un significato nell’interpretazione di Apocalisse 13:10. La differenza deve fare appello all’attenzione del lettore attento. In Geremia 15, le parole si rivolgono al popolo infedele. In Apocalisse 13, esse sono per il popolo santo. In Geremia 15, esse costituiscono un giudizio. Fare di un giudizio di Dio una sentenza sui santi e metterla in relazione con Apocalisse 13 sarebbe contrario al favore accordato ai giusti nell’Apocalisse. Esso giustificherebbe, in qualche modo, sia l’azione della prima bestia (versetto 7), e soprattutto della seconda (versetto 15) che si esercita sui fedeli. Quest’ultima fa uccidere (apoktantosin, il verbo è lo stesso che al versetto 10) coloro che non adorano l’immagine della bestia. Infine, comparando Geremia 15 e Apocalisse 13, non bisogna negligere la differenza delle parole e dei modi verbali. Geremia si esprime con l’imperativo mentre Giovanni introduce una eventualità. Apocalisse 13:10 non è una forma giuridica, e si basa non sui santi, ma sui persecutori. Non sopprime la realtà di ciò che attende i santi, ma non fa ricadere l’origine su Dio. Al contrario, garantisce la giustizia finale e incoraggia così i santi alla perseveranza. Noi crediamo quindi che questo versetto denunci a suo modo l’azione del falso profeta, che sotto il pretesto di servire Dio farà perire i santi. È per questo che colui che ha delle orecchie deve capire. Al di là dei prodigi, al di là delle seduzioni, la bestia si tradisce da sola con i suoi atti di violenza. È prigioniera del suo linguaggio e della sua propria natura. Finalmente, la parola di Gesù rimane: “Li riconoscerete dai loro frutti” (Matteo 7:16,17). Essi non sono che violenza” LEHMANN Richard, Le faux Prophète et l’image de la Bête, in AA.VV., Études sur l’Apocalypse, vol. I, Institut Adventiste du Salève, 1988, pp. 180,181. 72 D. Rops, o.c., p. 95. 73 BOSIO P.A., Storia Universale della Chiesa da Gesù Cristo a Pio X, vol. II, Novara 1903, p. 240.
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Ma il testo dell’Apocalisse parla di “ferita mortale” e non di morte definitiva; Daniele diceva che sarebbe durato fino al tempo del giudizio e poi i santi riceveranno il Regno. “La morte di Pio VI ha in un certo modo impresso il sigillo alla gloria della filosofia dell’età nuova, così scriveva Le Currier universel (la Gazzetta di Parigi) nel suo necrologio dell’8 settembre 1799. Già si credeva di poter tenere sul papato discorsi funebri, di poter celebrare allegramente la sua fine perpetua. I nemici della Chiesa erano pieni di giubilo perché la coccarda era sulla tiara papale, gli stendardi della democrazia sventolavano sul sepolcro pontificio e il cadavere dell’esiliato riposava in terra non consacrata. La capitale della cristianità era diventata preda della rivoluzione, i più alti dignitari della Chiesa dispersi a tutti i venti”.74 Ma ugualmente viene eletto il nuovo Papa: Pio VII. Quando Pio VI veniva arrestato, diceva al generale Bertier: “... Voi potete bruciare e distruggere le abitazioni dei vivi e le tombe dei morti: ma la religione è eterna; essa esisterà dopo voi, come esisteva prima di voi, e il suo regno si perpetuerà fino alla fine dei secoli”. Il Conclave per la nomina del successore di Pio VI non poté tenersi a Roma, sebbene i soldati francesi avessero già abbandonato la città. I lavori si svolsero a Venezia, nel monastero di S. Giorgio. Dopo 104 giorni, durante i quali i cardinali non s’accordarono, fu eletto, il 14 marzo 1800, Gregorio Luigi Barnaba Chiaramonti, vescovo di Cesena e si fece chiamare Pio VII. Ai cardinali che l’avevano eletto rivolse un discorso nel quale diceva: “Una grave ferita ha certamente ricevuto in questi ultimi anni il sacerdozio.- Questa piaga poi cotanto acerba riputeremo noi che sia stata permessa da Dio nella Chiesa senza un ammirabile consiglio della sua provvidenza?...”.75 Quando Napoleone volle essere consacrato imperatore dal Papa, non fece come Carlomagno che si recò a Roma, ma ordinò che il Papa andasse a Parigi, dove il 2 dicembre 1804 celebrava la cerimonia. Così facendo il papato fu agli ordini di Buonaparte e tutta la potenza della Chiesa venne elargita per consacrare la potenza materiale dell’impero. Nel 1806 Napoleone mise fine a ciò che era rimasto del Sacro Romano Impero obbligando l’imperatore di Germania a deporre il titolo di augusto, di Cesare e quello di re dei Romani, per prendere solamente quello d’imperatore d’Austria. Nel 1811 Napoleone nominerà suo figlio re di Roma. Nel febbraio 1808 il generale Miollis arresta brutalmente Pio VII a Roma infliggendogli barbari trattamenti a Savona durante il viaggio del suo esilio.
74
L. Pastor, o.c., p. 677. MISTRALI Franco, La Roma dei Papi o i Misteri del Vaticano, vol. IV, ed. Libreria Francesco Saverio, Milano 1862. Siamo noi che abbiamo messo in evidenza il testo. Per il testo in latino vedere Bullarii Romani - continuatio Summorum Pontificum Benedicti XIV, Clementis XIII, Clementis XIV, Pii VI, Pii VII, Leonis XII, Pii VIII, t. VII, Paris I, Pii VII, Prati in Tipographia Aldina, Pius VII Anno Primo. 75
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Nel 1809, dopo la battaglia di Wagram, Napoleone, con i decreti di Schoenbrunn e di Vienna, abolì l’autorità temporale del papa e gli stati romani, facendo di Roma la seconda città del suo impero. La decadenza del papato è tale che nel 1832 Gregorio XVI constatava ancora: “La sede di S. Pietro è scossa. I legami di unità si rilassano di giorno in giorno. La Chiesa è abbandonata all’odio dei popoli”.76 Durante il pontificato di Pio IX Victor Hugo compose la seguente poesia: “I vivi sotto il cielo tremano, soffrono e piangono la virtù, la ragione e la saggezza muoiono; Il crimine è incoronato L’uomo raccoglie qui ciò che laggiù semina. Mastai, Mastai, Pio chiamato nono: Avvicinati, sfortunato!… Ora il mondo ti ha visto, tu il santo, tu l’augusto Dire al crimine: coraggio! e la porta del giusto Ha tremato sui suoi cardini Cane del gregge, tu fosti un lupo come gli altri! O re, i suoi attentati amnistiavano i vostri; Così bene papa romano, Che oggi nello scompiglio e nell’inquietudine Non un riparo lontano, non una certezza Resta al genere umano”.77 Nel 1839 il reverendo W. Digby alla luce della profezia, considerando la situazione del suo tempo, scriveva: “So che si obietta che il papato è attualmente un nemico indebolito dalla vecchiaia, e caduto nell’ultima decrepitudine: che la giovane incredulità,78 generata dalle dottrine mostruose ch’egli ha insegnato, deve essere nel momento attuale l’oggetto della nostra guerra offensiva e difensiva; io protesto formalmente contro queste due affermazioni: il papato non è morto, non sonnecchia. Privato in parte, ma in parte soltanto, del potere di perseguitare, è diventato più accorto (scaltro) e più attivo, per sedurre le anime degli uomini e per allontanarli dai sentieri della salvezza; non sono che troppo numerose le prove di queste affermazioni”.79 Già subito dopo la ferita mortale nel 1799 G.G. Thube scriveva: “La bestia ha ricevuto una ferita mortale. Apocalisse XIII:12. La ferita fu provocata dalla spada. La cosa fu attuata dai francesi che spada alla mano bandirono da Roma il papa e i suoi cardinali, dissolvendo gli stati pontifici e costituendo una cosiddetta repubblica romana. La presente condizione del papato è questa: esso ha ricevuto una ferita inferta dalla spada, ma è tuttora vivo. Per quanto tempo durerà questa situazione e sotto qual 76 77 78 79
Estratto da DEFRANSE Jean et LARAN Michel, Histoire, Le monde de 1848 à 1914, Paris 1970, p. 234. HUGO Victor, La vision de Dante, cit. idem, p. 235. È la corrente filosofica sorta alla fine del XVIII secolo con Voltaire e i vari enciclopedisti. DIGBY W., Courte explication des sceaux et des trompettes de l’Apocalypse, Toulouse 1839, p. IV.
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forma non può essere stabilito con certezza. La ferita mortale guarirà però non sappiamo se questo richiederà molto o poco tempo; neppure sappiamo in che modo e attraverso quale processo la cosa si realizzerà”.80
Annuncio della sua guarigione “E la sua piaga mortale fu sanata: e tutta la terra meravigliata andò dietro la bestia… E tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato, l’adoreranno… E adoreranno il dragone perché aveva dato il potere alla bestia”.81 L’apostolo Giovanni presenta la guarigione della testa ferita a morte. “È per anticipazione che la ferita mortale e la sua guarigione sono messe in testa al quadro… La cronologia di questa ferita risulta dal testo stesso: la bestia, succedendo al dragone, riceve da lui come eredità la sua potenza, il suo trono e una grande autorità: da qui una gloriosa carriera che non può coincidere con una ferita mortale alla testa; questa ferita non può dunque avvenire che alla fine del lungo periodo durante il quale l’autorità della bestia è universale”.82 Il papato non è morto alla fin del XVIII secolo, è stato solo mortalmente ferito. Ha dato grandi segni di vitalità nel 1870 con i dogmi dell’immacolata concezione e della sua infallibilità. Nel momento in cui perdeva, con Roma capitale d’Italia, la sovranità territoriale, spogliato dei suoi territori, cessava quasi di essere un regno, rivendicava il suo dominio sui popoli. La politica svolta dai papi ha fatto sentire la loro presenza nel gioco delle grandi potenze, non più con l’autorità del Medio Evo, perché era ancora ferito, ma con un’azione svolta dietro le quinte, creando le dittature europee e cercando poi di influenzare la politica mondiale con le sue parole di pace a difesa dei diritti e della libertà dell’uomo. 80
THUBE Christian Gottlob, Anleitung zum richtigen Verstande der Offenbarung Johannis, Schwerin und Wismar, Bödner 1799, pp. 123,124. 81 Apocalisse 13:3 s. p., 8,4. 82 VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse, 1938, pp. 206,207. Diversamente dalla nostra spiegazione L. Gaussen vide nella ferita mortale la vittoria di Odoacre del 476 che abolì in Occidente la dignità imperiale facendosi nominare re d’Italia. La piaga mortale guarì quando nel 537 Giustiniano e i suoi generali Belisario e Narsete ristabilirono l’autorità dell’Impero in Italia per qualche tempo con la guarigione definitiva nell’800 quando Carlomagno fu proclamato in Roma dal papa “imperatore e sempre augusto e re dei Romani” o.c., t. III, p. 274. É. Guers accettò questa spiegazione e scriveva: “Così fu in qualche modo rinnovata, nella persona di questo principe, la dignità imperiale, abolita in Occidente da tre secoli” o.c., p. 133. Il sacro romano impero che si è creato con Carlomagno non è la guarigione dell’antico Impero Romano. Questo modo di vedere non crediamo che sia accettabile perché questa bestia di Apocalisse 13 sorge dalle acque delle invasioni barbariche. Questo nuovo impero papale che si estende sul territorio dei latini ha come trono l’antica sede del dragone: Roma. Carlo Magno e tutti coloro che hanno continuato l’impero hanno avuto come sedi altre città. I vari regni d’Europa, le corna incoronate, sono le “piazze della grande città che è Babilonia” il cui trono è sempre a Roma Quando la profezia diventa storia
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La sua guarigione porterà molti a seguirlo e ad accettare il suo dominio ma inginocchiandosi davanti a lui, non adoreranno il Dio del cielo. “La terra meravigliata andò dietro alla bestia”.83 “Solamente l’apostasia generale della cristianità spiega questo fenomeno”.84 L’omaggio universale futuro è anticipato oggi dai principali esponenti del mondo cristiano e politico. Il papa non è adorato dalla beghina, ma da cardinali e vescovi. “Tutti i cardinali vennero ad inginocchiarsi davanti a lui per rendergli omaggio, il che si chiama ufficialmente la prima adorazione e che consiste nel baciare successivamente piede, mano e guancia del nostro papa”.85 Questa cerimonia che non ha nulla di evangelico non è più praticata nel nostro tempo, ma la venerazione della persona continua in una forma più in sintonia con una società laica. Tutti l’adoreranno, dice il testo biblico, tranne coloro i cui nomi, secondo la preconoscenza di Dio che non è un suo atto di determinismo arbitrario nel destinare gli uni alla salvezza e gli altri alla distruzione, sono scritti nel libro della vita e dell’Agnello.
Conclusione Concludiamo questo capitolo ricordando le parole del nostalgico Jean Carrière: “È a Roma, dunque, che bisogna come Goethe, cercare il segreto dell’intelligenza serena. Poiché Roma è la chiave della storia ed essa offre agli spiriti inquieti, in un quadro visibile, questa estensione immensa del passato e questa perpetuità della vita sempre rinascente per cui nasce in noi la virtù suprema della pazienza. Essa è la città di noi tutti occidentali; essa è la città veramente infinita: la patria ideale di tutti coloro che, nell’opera dell’uomo, vogliono vedere uno sforzo verso l’eternità”.86 Roma ha affascinato e affascina. Il suo richiamo è oggi ancora più forte per chi è alla ricerca di valori. Roma li sa esprimere! La terza via che sostiene sul piano economico tra la necessità di produrre, avere capitali e il diritto dei più deboli è un strada che deve essere seguita per il presente ed il domani della società. Sul piano etico il papato è la sola voce forte di chi non sa farsi sentire. Sul piano religioso è la sola autorità che viene presa in considerazione e riesce a riunire ancora le masse. Il suo invito ad “aprire le porte a Cristo” ripropone con forza ad una società stanca, disorientata, alla ricerca del bene, della solidarietà e della giustizia. La Chiesa cattolica può contare su uomini di grande talenti e capacità, su donne che hanno consacrato la propria vita al prossimo, su istituzioni impegnate per sostenere il prossimo, su un’opera considerevole a sostegno della giustizia e della dignità umana. 83 84 85 86
Apocalisse 13:3. BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 94. Quadrivio di Roma del 26-2-1939. CARRIÈRE Jean, Le Pape, Paris 1924, pp. 11,12.
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La Chiesa del Signore, i veri credenti nella Parola di Dio, sono orientati verso questi valori. I frutti di Roma si presentano bene, sembrano buoni e il consenso non può che essere generale.87 Di fronte ad una espansione continua di un potere che si presenta con un volto diverso, in una società per la quale ciò che ha valore è ciò che rende, realizzato nel rispetto degli altri, in un tempo in cui si è poveri di dialettica teologica e sul piano religioso tutto è relativo, opinabile e deve essere modernizzato, per le sfide che la società deve affrontare, la Chiesa del Signore può perdersi. “La terra meravigliata - per come questo potere ha saputo recuperare il passato e proporsi per il bene della società - seguì” il papato, scrive l’apostolo Giovanni. Oggi Roma si presenta in un modo nuovo. È la voce della giustizia, della solidarietà, della difesa dell’ambiente, della vita del rispetto della dignità dell’uomo. È la memoria storica, non di chi non vuole dimenticare le brutture, le contraddizione e le miserie del passato, ma di chi crede nei profeti dell’Eterno e valuta il presente alla luce della rivelazione di Dio, che fa prendere le distanza, pur nel rispetto di chi pensa diversamente. Continuare ad essere impopolare, essere contro corrente, essere la voce del profeta che ricorda alla società “così ha detto il Signore!” è quanto il capitolo XIII dell’Apocalisse crediamo voglia dire a chi assiste alle “meraviglie” dell’ascesi del vescovo di Roma di fine secolo e inizio terzo millennio.
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Quando l’onorevole Umberto Bossi ha rivolto delle accuse a questo potere, criticabili sul piano della forma e per la brevità delle parole, tutte le forze politiche non solo di destra, di centro, ma anche di sinistra, crediamo per la prima volta nella storia, hanno fatto quadrato attorno al Vescovo di Roma. Quando la profezia diventa storia
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Capitolo X LA PROFEZIA E LA RIVOLUZIONE FRANCESE «Nel capitolo XI dell’Apocalisse noi siamo... in piena allegoria. Gerusalemme è la manifestazione esteriore del regno di Dio sotto la nuova alleanza; ciò che noi chiamiamo Chiesa visibile, quando diventa infedele crocifigge di nuovo il Signore della gloria e diventa simile all’Egitto idolatra o come Sodoma corrotta» Henri de Perrot.1 «Siamo pertanto condotti a vedere qui raffigurate, sotto diversi simboli tolti dal culto e dalla storia d’Israele, le sorti liete e tristi della Chiesa visibile del Nuovo Patto» Enrico Bosio.2 «Ci fu qualcosa di più odioso dei supplizi. Voglio dire i disprezzi, le brutalità, gli oltraggi verso le convinzioni. Si davano otto giorni a una popolazione per convertirsi: dopo di che la sciabola. Si rideva di queste anime dopo averle fiaccate. Il duca di Noailles scrive a Louvois: “I1 numero dei religionari di questa provincia è di 240.000. Io credo che alla fine del mese tutto sarà finito”. Mai un simile cinismo nella persecuzione. L’ateismo doveva uscire da lì: Bayle ebbe il merito di annunciarlo per primo. Luigi XIV, Louvois, Tellier (gesuita, confessore del re) estirparono Dio.... I1 XVIII secolo continuò a massacrare, a impiccare, a strangolare, per divertimento... Così il Terrore è stato l’alleato fatale della storia di Francia» Edgard Quinet.
Introduzione «“L’undicesimo capitolo dell’Apocalisse è contemporaneamente conclusione e introduzione”.3 Esso conclude la prima metà del libro ma introduce la seconda. Le chiavi per la comprensione dei capitoli XII-XXII sono qui annunciate: l’attacco alla Chiesa, come la proclamazione del vangelo durante la crisi finale, il sorgere dell’Anticristo dallo stato di apparente morte, la reale salvezza, l’ultima rivendicazione dei credenti e la loro introduzione nel regno eterno di gloria a seguito 1 2 3
PERROT Henri de, Le voyant de Patmos, Lausanne 1902, p. 126. BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 78.
PRESTON Ronald H. - HANSON Anthony, The Revelation of St. John the Divine, London 1949, p. 87; cit. FORD Desmond, Crisis !, A Commentary on the Book of Revelation, vol. II, Newcastle 1982, p. 480.
del giudizio su coloro che rigettano l’evangelo. Tutti questi elementi sono qui rappresentati. A causa della sua importanza, questo capitolo è come una chiave del resto del libro, del quale è anche un sommario».4 «Questo capitolo è stato spesso considerato il più difficile del libro.5 Josef Ernst caratterizza questo capitolo come appartenente al più buio e alla più difficile porzione della Scrittura6, ma, come dice Caird, una fedele interpretazione dei suoi simboli in armonia con i legittimi principi di esegesi dà il suo significato “libero da ogni specie di ambiguità”7».8 In Apocalisse XI abbiamo i temi dei due capitoli che seguono. - I due testimoni, vestiti di sacco, operano- La donna fugge nel deserto per 1260 giorni, per 1260 giorni, XI:3. tre anni e mezzo, XII:6,14. - I due testimoni profetizzano - Il falso profeta profetizza - Dalla bocca dei due testimoni può uscire- La bestia che sale dalla terra fa scendere un fuoco per distruggere i propri nemici, fuoco dal cielo e fa uccidere quelli che non XI:5. accettano la sua autorità nel fare adorare l’immagine della prima bestia, XIII:13,15. - I nemici di Dio calpesteranno la santa città- La bestia domina per 42 mesi e fa guerra a quelli che appartengono al Signore, per 42 mesi, XI:3. XIII:7. - I due testimoni vengono uccisi alla fine del- Il falso profeta favorisce la guarigione della 1260 giorni e ritornano in vita dopo 3 giorni ferita mortale della bestia e dà uno spirito all’immagine della bestia, XIII:5,15. e mezzo, XI:9,11.
Si misura la fedeltà della Chiesa «Poi mi fu data una canna simile ad una verga; e mi fu detto: levati e misura il tempio di Dio e l’altare e novera quelli che vi adorano; ma tralascia il cortile che è fuori del tempio, e non lo misurare, perché esso è stato dato ai 4
D. Ford, Idem, p. 480.
5
«Il Capitolo 11 è anche uno dei più difficili e il più importante dell’intera Apocalisse... con molto rispetto questo capitolo è la chiave per il tema centrale dello scritto di Giovanni...» KIDDLE M., The Revelation of St. John - The Moffat New Testament Commentary, Hodder & Stoughton, London 1944, p. 174. «Il capitolo è straordinariamente difficile da interpretare, e le più diverse soluzioni sono state proposte» MORRIS Leon, The Revelation of St. John, London 1969, p. 144. La difficoltà della comprensione di questo capitolo è data da un presupposto teologico: il ritorno in Palestina degli ebrei, la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, la celebrazione del culto levitico. 6
ERNST Josef, Die Eshatologischen Gegenspieler in der Scriften des Neuen Testament, p. 124; cit. D. Ford, o.c., p.
785. 7
CAIRD G.B., The Revelation of St. John the Divine, in International Critical Commentary, New Yor, London 1966, p. 133,134. 8 D. Ford, o.c., p. 480.
Gentili, e questi calpesteranno la santa città per quarantadue mesi». 9 Giovanni ripresenta il linguaggio del profeta Daniele, riportato nel cuore del suo libro, quando descrive nel capitolo VIII:10-14 il piccolo corno che, divenuto estremamente grande, attacca il Santuario e perseguita gli adoratori che seguono il capo dell’esercito.10 Dal capitolo X dell’Apocalisse c’è un costante richiamo alle visioni del profeta dell’esilio. Numerosissimi sono gli interpreti antichi, medioevali e moderni,11 che hanno capito che questo misurare si riferisce non al tempio di Gerusalemme, che era stato distrutto nel 70 d.C., ma all’edificio spirituale che è la Chiesa cristiana che, pur vivendo sulla terra, ha la sua origine e dimora in cielo.12 9 10 11 12
Daniele 11:1,2. Daniele 8:10-14. Bossuet, Allo, Mede, Elliott, Bosio, Bullinger, ecc..
Colossesi 3:1-3; Filippesi 2:20. Il capitolo 11 di Apocalisse non vuole in nessun modo presentare il ristabilimento d’Israele e la sua conversione. Il dispensazionalista J.F. Walvoord scrive: «Il Tempio qui è ciò che esisterà nel tempo della grande tribolazione. Originariamente costruito per l’adorazione dei Giudei e il rinnovamento dei loro antichi sacrifici, durante la grande tribolazione sarà profanato e diventerà la casa di un idolo del dominatore del mondo...» John F. WALVOORD, The Revelation of Jesus Christ, Chicago 1966, p. 176. Preston e Hanson correttamente criticano questa posizione dicendo: «Nel suo libro “il tempio” può solo significare una cosa: il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto. Esso quindi significa “il tempio del corpo”, e questo corpo è il corpo di Cristo, la Chiesa cristiana. È una credenza che si fonda sul Nuovo Testamento; confr. Marco 14:57,58; Giovanni 2:19-21;1 Corinzi 6:19,20». «Giovanni vede in questa città il tempio di Dio, un tempio differente da quello dell’antica economia, poiché non ha né cortile, né altare degli olocausti, ma solamente il santuario con l’altare dei profumi. È dunque un tempio nuovo, in cui entrano gli adoratori in ispirito e in verità e non la massa del popolo... Il cortile non fa parte del tempio, come al tempo del Signore, esso si confonde con la città, e condivide la sua sorte» REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. II, Lausanne 1904, p. 238. «Non è assolutamente necessario che qui Giovanni incorpori la teoria di un oracolo di un profeta ebreo, pronunciata durante l’assedio del 70 d.C., con riferimento alla corte interna del tempio. Caird dice che c’è stato un considerevole numero di studiosi che hanno sostenuto questa idea, ma egli aggiunge, a dispetto dell’importanza dei suoi sostenitori, questa teoria deve essere giudicata improbabile, inutile ed assurda: improbabile, perché, una volta che la corte esterna sia stata presa dall’esercito di Tito, neppure il più fanatico rabbioso avrebbe supposto che il santuario sarebbe stato occupato per tre anni e mezzo senza che venisse profanato; inutile, perché qualunque cosa queste parole vorrebbero dire a un ipotetico zelota, certamente significano qualcosa di molto ben diverso da quello presentato da Giovanni dopo venticinque anni dall’assedio; e assurdo, perché a causa della assunzione sottolineata, Giovanni vuole dire che debba essere presa in senso figurato a meno che alcuni abbiano previsto l’uso del senso letterale. In realtà è troppo difficile sostenere che in un libro nel quale tutte le cose sono espresse in simboli, gli ultimi avvenimenti del tempio e della santa città potrebbero indicare il tempio materiale e la Gerusalemme terrestre. Se Giovanni avesse voluto parlare di loro avrebbe trovato qualche immagine per trasmettere questo significato senza venire meno all’inconsistenza del letteralismo. Ma Giovanni vede i Giudei come la sinagoga di Satana e non aveva nessun interesse a preservare le loro istituzioni religiose» G.B. Caird, o.c., p. 131. «Il significato d’insieme del capitolo è cristiano. In particolare, la preservazione parziale del tempio di Gerusalemme, di cui Gesù aveva annunciato la rovina totale, non è da interpretare, come è stato fatto, in un senso giudaico. Il linguaggio simbolico utilizzato implica un senso cristiano. A seguito di Swete, Allo, Lohmeyer, Charles, Wikenhauser, ecc., crediamo inoltre che il tempio di Gerusalemme, di cui doveva essere risparmiata la parte interiore con “coloro che vi adorano”, non può essere qui che una figura e non dovrebbe essere presa nel senso letterale. È impossibile farlo se Giovanni scrive dopo l’anno 70. E anche, supponendo che il brano sia anteriore a questa data, come l’autore dell’Apocalisse avrebbe potuto confrontarsi con le parole di Gesù che parlando del tempio disse: “Non
«Giovanni riceve da un angelo l’ordine di misurare le dimensioni del naos, o tempio interno, simbolo della Chiesa invisibile o della vera Chiesa di Dio; ma deve tralasciare i porticati esterni perché questa porzione visibile dei luoghi sacri è abbandonata alle nazioni che calpesteranno la santa città per 42 mesi».13 Il santuario propriamente detto era tipologicamente formato da un luogo santo e dal luogo santissimo, nel luogo santo c’era l’altare dei profumi, che Giovanni menziona, segno delle preghiere degli adoratori le quali riempiono il luogo santissimo. Questi adoratori sono di tutte le condizioni sociali e di ogni popolo perché, sotto la nuova alleanza, tutti sono sacerdoti.14 Affinché il veggente di Patmo possa compiere la sua opera gli viene data una “canna”, chiamata altrove «cordicella per misurare», (oggi chiamata “agrimensore”, misura di 10 metri), simbolo della regola morale, perché è tramite essa che vengono misurati gli adoratori che sono stati risuscitati spiritualmente in Cristo Gesù e hanno la loro residenza nel cielo. Questa canna è il simbolo della Legge, le dieci parole, segno della verità, scritte col dito di Dio.15 Questa legge, oltre a rilevare il peccato, mostra i veri figli di Dio. La canna, antico strumento di misura, qui simboleggia la giustizia di Dio, che giudica ogni azione. L’Apostolo, nel «contare le persone che adorano nel Santuario»16 e che lavorano all’altare dei profumi, compie un’opera di giudizio iniziandola nella casa di Dio.17 L’opera di Giovanni consiste nel tracciare una linea di separazione, di demarcazione tra coloro che, invitati alle nozze dell’Agnello, presenti nella sala del festino, hanno l’abito della giustificazione per fede, e coloro che, pur presenti, non l’hanno indossato.18 «Ciò vuol dire che nel momento in cui in cielo inizia il giudizio dei giusti, ogni anima che desidera essere trovata preparata è chiamata a pesare il suo credere e le sue opere alla bilancia del santuario, in altre parole a confrontare scrupolosamente la sua fede e la sua vita con la legge di Dio e l’Evangelo».19 «Il cortile esterno è considerato come profano ed è l’emblema dell’Israele carnale, della Chiesa visibile invasa e corrotta dal mondo nella gran maggioranza dei suoi membri, i quali non adorano Dio in spirito e verità, non sono più il popolo santo che serve il Signore, non sono più “la santa città” ove Dio è glorificato; ma sono la città calpestata dai Gentili, la Chiesa mondanizzata. Trascinati dallo spirito d’apostasia e di
resterà pietra sopra pietra che non sarà distrutta...”?» FEUILLET André, Essai d’Interprétation du Chapitre XI de l’Apocalypse, in New Testament Studies, vol. IV, 1958, p. 184,185. 13 14 15 16 17 18 19
GAUSSEN Louis, Daniel le Prophète, t. III, Paris 1894, p. 230. Apocalisse 5:8; 7:3; 1 Pietro 2:9. Deuteronomio 4:13; Romani 2:20; Esodo 31:18. Versione: Parola del Signore, Nuovo Testamento. 1 Pietro 4:17. Matteo 22:11-13. VUILLEUMIER Jean, L’Apocalisse, Dammarie-les-Lys 1938, p. 159; vedere il nostro Capitolo XIII.
empietà questi falsi cristiani giungeranno a perseguitare i veri credenti e a farli morire».20 Il cortile esterno, nel tempio di Gerusalemme, era il luogo dove si recavano sia i Giudei sia i pagani per motivi anche non inerenti al culto. Questo cortile esterno, al tempo di Erode, era un luogo commerciale. Nella visione di Giovanni questo luogo raffigura l’Israele secondo la carne che ha l’apparenza del popolo di Dio, ma non lo è in realtà. Nel cortile interno c’era l’altare degli olocausti, lì si recavano i veri adoratori dell’Eterno. «Il cortile di fuori raffigura i cristiani in apparenza»21 cioè la cristianità corrotta. A Giovanni viene ordinato: «Lascialo fuori dal tempio», l’espressione greca significa: «Gettalo fuori», indica il rigetto che vota alla distruzione,22 perché si «sono abbandonati allo spirito dell’errore e di superstizione».23 Il cortile quindi «è stato lasciato per i nemici di Dio»24 che si trovano al di là della linea di demarcazione. Quanto Daniele ha visto e udito nella visione del capitolo VIII:13, come opera del piccolo corno, che compie le sue azioni proprio nei confronti del santuario che calpesta e degli adoratori dell’Eterno che fa cadere a terra, Giovanni lo ha descritto qui nei primi due versetti, come già l’apostolo Paolo aveva espresso nella 2 Tessalonicesi II:4.25 Apocalisse XI:1-14, che noi consideriamo in questo nostro capitolo, con il calpestamento del santuario, l’opposizione agli adoratori di Dio e la vittoria su di loro richiama Daniele VIII:10; mentre la seconda parte XI:15-19, che presenta la lode a Dio, al tempo del suono della VII tromba, «perché ha preso in mano il suo gran potere, ed ha assunto il regno» richiama Daniele VIII:14 dove viene detto che il santuario sarà rivendicato, cioè rivalutato, e Giovanni vede l’arca nel tempio aperto del cielo proprio al tempo della sentenza dei giusti e dei malvagi. In Apocalisse VI:9-11 il sangue dei martiri che sono sotto l’altare, perseguitati ed oppressi durante la supremazia secolare papale invocano l’Eterno chiedendogli: «Fino 20
E. Bosio, o.c., p. 79. «Il cortile del tempio non deve essere misurato dall’apostolo, perché è abbandonato ai Gentili. Non si tratta qui della Terra santa, abbandonata ai Maomettani, ma delle moltitudini cristianizzate più o meno pagane, che non bisogna confondere con la vera Chiesa di Cristo» H. de Perrot, o.c., p. 126, che è il tempio. La fedele città di Dio, Gerusalemme, simbolo del popolo di Dio, la Chiesa, è diventata Sodoma ed Egitto e poi viene descritta come Babilonia. «La città che nel Salmo 48:2 è chiamata “la gioiosa città dell’intera terra” è diventata come le tradizionali infedeli città del Vecchio Testamento, perché ha crocifisso il suo Signore» R.H. Preston - A. Hanson, o.c., p. 90. 21 JURIEU Pierre, L’accomplissement des prophéties, t. II, Rotterdam 1686, p 156. 22
BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, L’Apocalypse, Lausanne 1905, p. 394; vedere Matteo 8:12; Giovanni 6:37.
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P. Jurieu, o.c., p. 157. Versione La Parola del Signore.
«L’idea di calpestare, distruggere, disprezzare si trova nel Salmo 79:1; Isaia 63:18; 1 Maccabei 4:60; 2 Maccabei 8:2. Ma il testo che influenza questo versetto è quello di Daniele 8:13,14, che predice che il santuario sarà calpestato per 2300 sere e mattine e allora sarà ristabilito nelle sue proprie funzioni» J. Massyngberde FORD, Revelation, in The Anchor Bible, New York 1975, p. 170.
a quando, o nostro Signore che sei santo e verace, non fai tu giudizio e non vendichi il nostro sangue...». Queste parole corrispondono a quanto lo stesso Daniele ha udito in cielo e che riporta sempre nel suo capitolo VIII: «Fino a quando durerà... la ribellione che produce la desolazione abbandonando il luogo santo e l’esercito (gli adoratori) ad essere calpestato?».26 Giovanni con altre espressioni esprime la stessa triste realtà quando scrive: «Calpesteranno la santa città per quarantadue mesi». Il popolo di Dio calpestato Per 42 mesi i nemici di Dio calpesteranno la “santa città”, non la Gerusalemme della Palestina, ma la Gerusalemme militante, la città mistica, la Chiesa di Dio che si contrappone ai cristiani apostati raffigurati da «la grande città», Babilonia. Questo periodo profetico è quello che è già stato considerato nei nostri Capitoli V, VIII e IX nei quali il popolo di Dio è contrastato in tutta l’Europa e si rifugia nel deserto per essere poi soccorso dalla terra, il nuovo continente al di là dell’oceano Atlantico. Le sofferenze sono state insopportabili, numerose e senza fine. I fedeli sono stati calpestati. L’infedeltà, Babilonia, ha vinto.
La testimonianza millenaria dei due testimoni «E io darò ai miei due testimoni di profetare, ed essi profeteranno per 1260 giorni, vestiti di cilicio. Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno nel cospetto del Signore della terra».27 «La specificazione cronologica, 1260 giorni o 42 mesi o un tempo dei tempi e la metà di un tempo, sono coniate sullo schema di Daniele VII:25; XII:7 e delimitano un periodo di durissima tribolazione: l’epoca del predominio dell’anticristo».28 Il cilicio, o sacco, come vestito, in Oriente, è la manifestazione di una profonda tristezza. Il Medio Evo è stato per la vera Chiesa di Dio, e quindi per il Vangelo di Gesù Cristo, un periodo di sofferenza e di dolore. Durante questo periodo i due testimoni sono relegati e trovano rifugio nel deserto.29 Tre forme per indicare lo stesso periodo; in realtà due diversi modi di contare nella profezia, una con la rivoluzione dell’astro della notte (42 mesi) per indicare le tenebre della Chiesa di Roma durante questo periodo; l’altro, con la rivoluzione del sole, descrive il cammino della vera Chiesa, alla luce «del sole di Giustizia».30 26 27 28 29 30
Daniele 8:13,14. Apocalisse 11:3,4. LÄPPLE Alfred, L’Apocalisse, ed. Paoline, 1969, p. 141. Apocalisse 12:14. Malachia 4:2.
Camminando nelle tenebre si adora, come mediatrice tra Dio e l’uomo, la Vergine Maria, regina del cielo, rappresentata dalla luna, o Astarte,31 Venere, Iside, la Grande Madre. «Noi abbiamo qui un tipo esatto dell’apostasia del Medio Evo: fu un ritorno virtuale alla religione del paganesimo, nascosto sotto la maschera d’una professione cristiana».32
I due testimoni: Antico e Nuovo Testamento Chi sono questi due testimoni che hanno compiuto l’opera di Dio durante i 42 mesi di tenebre della supremazia papale? Scartiamo l’ipotesi nominativa che vede le persone di Elia ed Enoc, assunti in cielo; Geremia ed Enoc; Elia e Mosè; Giosuè e Caleb; Mosè ed Aronne; Elia ed Eliseo; Zorobabele ed Hesua; Pietro e Paolo; i due figli di Zebedeo: Giacomo e Giovanni o i primi due martiri: Stefano e Giacomo. C. Brütsch ricorda che per Alessandro Minorita i due testimoni furono il papa Silvestro e Mena, patriarca di Costantinopoli. Dei commentatori del XVII secolo vi hanno riconosciuto Lutero e Melantone. Crinsoz de Bionnes, nel secolo successivo, li ha identificati con la confessione riformata e sua sorella luterana. La chiave di lettura di questo capitolo è allegorica.33 In questo brano dell’Apocalisse, Giovanni usa lo stesso linguaggio del capitolo IV del profeta Zaccaria. I due testimoni, come i due ulivi, sono la personificazione della Parola di Dio, il candelabro rappresenta il popolo di Dio, la luce delle nazioni in attesa che si levi il sole di giustizia; l’olio è lo Spirito di Dio. Questi due testimoni che profetizzano, che parlano da parte del Signore, sono l’Antico e il Nuovo Testamento, la Legge e i profeti, «la Parola vivente di Dio» come già avevano interpretato Ticonio, Agostino, Gerolamo nel IV secolo e Primasio nel VI.. Quest’opera di testimonianza veniva svolta dai vari cristiani che protestavano nella cristianità cattolica, nel nome di Gesù Cristo, contro le varie forme di idolatria. Questi due testimoni rivestiti di sacco svolgono la loro opera in mezzo al lutto, al cordoglio, alla persecuzione, al dolore e nell’amarezza. La loro luce deve risplendere nel territorio dei Latini nel tempo in cui i papi, i re, i concili e i vescovi, che detenevano il potere, erano uniti per proibire la lettura della Bibbia sotto pena di durissimi castighi. 31
Geremia 7:18.
32
DIGBY W., Courte explication des sceaux et des trompettes de l’Apocalypse, Toulouse 1839, pp. 66,67, nota dell’editore.
33
Se letteralmente i due testimoni raffigurano delle persone fisiche, come Mosè ed Elia, Giosuè e Zarobabele, a cosa corrisponde il rallegrarsi degli uomini, dei popoli, delle tribù, lingue e nazioni? «La nostra conclusione a proposito della città conferma quanto noi abbiamo detto nei confronti dei testimoni. Se i testimoni fossero state due persone cristiane, la città nella quale essi vengono uccisi sarebbe dovuta essere una città nel ristretto senso letterale. Ma questa ipotesi porta, come abbiamo visto, a reductio ad absurdum» KIDDLE, o.c., p. 138.
Concludiamo questa parte introduttiva del testo dell’Apostolo con delle osservazioni di L. Morris: «Mi sembra importante che l’intera sezione (1-3) sia presa simbolicamente. È sufficientemente chiaro che il santuario del versetto 1 sia simbolico, anche se diversi commentatori prendono i due testimoni e la santa città letteralmente. Con questa spiegazione le difficoltà si moltiplicano. Ma sono poche le difficoltà quando vediamo tutto come simbolico e una coerente idea emerge. Giovanni ha già usato il simbolismo delle lampade per presentare la chiesa o parte di essa... Ciò che Giovanni sta facendo è tracciare la funzione della testimonianza della chiesa. La sua lotta sarà dura, ma il suo futuro trionfo è sicuro».34 Il tempio di Dio, la santa città, i due testimoni, i due alberi di olivo e i candelabri sono tutti simboli della testimonianza che la Chiesa ha reso nell’umiliazione dei 1260 anni.
La Parola di Dio dall’aurora al crepuscolo
Erano passati i tempi in cui si insegnava ad amare la Sacra Scrittura. Nella Chiesa primitiva i laici erano invitati a conoscere la Bibbia. I padri della Chiesa si dichiararono in maniera inequivocabile, come dimostrano i loro scritti, in favore della lettura e dello studio della Sacra Scrittura. Clemente di Roma raccomandava, intorno all’anno 100: «Leggete assiduamente le Sacre Scritture; abbiate una buona conoscenza della Parola di Dio, conservatela in voi per poterla ricordare». Policarpo (morto verso il 155), capo della chiesa di Smirne: «Ho la ferma certezza che voi siate ben fondati nella Sacra Scrittura». Clemente di Alessandria (150-215): «La Parola divina non è una luce segreta, essa è per tutti: affrettatevi dunque ad accettarla per la vostra salvezza». Tertulliano di Cartagine (160-220): «Dio ci ha dato la Scrittura perché possiamo conoscere in modo più completo e profondo sia lui, sia la sua volontà». Origene (185-254): «Volesse Iddio che tutti investigassimo le Scritture com’è scritto!». «Stolti e ciechi sono coloro che non riconoscono come la lettura della Bibbia risvegli grandi e degni concetti». «Ci auguriamo che tutti siano solleciti nell’ascoltare la Parola di Dio non solo in chiesa ma anche nelle proprie case, e che giorno e notte pongano mente alla legge del Signore, poiché Cristo è vicino a chi lo cerca». Attanasio il Grande (295-373): « Per la nostra salvezza abbiamo la Sacra Scrittura... Questo libro è la sorgente della salvezza perché chi ha sete possa dissetarsi alle sue rivelazioni; infatti, solo in essa si trovano gli ammaestramenti per giungere alla vita eterna. Nessuno cerchi di aggiungervi o di togliervi qualcosa!».
34
MORRIS Leon, The Revelation of St. John, London 1969, pp. 144,145.
Crisostomo (354-407): «Voi credete che la lettura delle Sacre Scritture appartenga soltanto ai monaci, ma essa è più necessaria a voi che a loro, perché coloro che vivono nel mondo dove non mancano le lotte quotidiane, hanno maggiormente bisogno di salvezza. È perciò grave e dannoso credere che le Sacre Scritture siano inutili... questo è quanto insinua il maligno. Ecco quello che dice l’apostolo Paolo: “Ogni Scrittura è... utile ad insegnare”, e voi non volete nemmeno toccare l’Evangelo, quando esso viene porto alle vostre mani impure!... Perché disprezzare la Sacra Scrittura? Questo modo di pensare è del Diavolo, che vuole impedirci di guardare nel tesoro per trarne un ricco beneficio». Geronimo (347-420): «Devi leggere con molta attenzione le Sacre Scritture; esse dovrebbero essere quasi sempre nelle tue mani». Agostino (354-430): «Commetteremmo un grosso sbaglio se non volessimo leggere quanto è stato scritto per noi». «Con l’aiuto di Dio e con tutte le vostre forze, fate in modo che nelle vostre case si legga con diligenza la Sacra Scrittura». Gregorio il Grande (verso il 600): «Che cos’è la Sacra Scrittura se non una lettera dell’onnipotente Iddio alle sue creature? Se un re terreno vi scrivesse, non avreste pace e non vi concedereste riposo prima di aver letto il suo scritto. Il Signore del cielo e della terra ha dato una lettera importante per la vostra vita, e voi non siete ansiosi di leggerla?».35 Durante il Medio Evo, purtroppo però, si assiste ad un attacco violento alla diffusione del testo sacro. Alcuni esempi. Il concilio di Tolosa, in Francia, 1229 canone n. 14, impose: «Noi proibiamo che si permetta ai laici d’avere dei libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, a meno che qualcuno non desideri, per devozione, possedere un salterio (libro dei Salmi) o un breviario per il servizio divino, o le ore della beata Vergine. Ma noi proibiamo molto rigorosamente d’avere in lingua volgare pure i libri di cui sopra». Lo stesso Concilio, oltre a stabilire il tribunale d’inquisizione, tracciava un programma d’azione: «Si distruggeranno interamente perfino le case, i più umili rifugi e anche i ripari sotterranei degli uomini convinti di possedere le Scritture. Li si inseguirà fino nelle foreste e negli antri della terra. Si punirà severamente pure chiunque darà loro asilo». Il Concilio di Tarascona, in Spagna, canone 2, del 1232 decretava: «Noi abbiamo deciso che nessuno deve possedere i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento in lingua romana (si chiamavano lingua romana le lingue derivanti dal latino), e se qualcuno li possiede, ch’egli li consegni negli otto giorni successivi alla promulgazione di questo decreto, al vescovo del posto affinché essi siano bruciati, in mancanza di ciò, ch’egli sia del clero o laico, sarà tenuto sospetto di eresia finché sia liberato da ogni sospetto».36 35 36
cit. WHITE Ellen, I1 Gran Conflitto, Firenze 1977, in appendice, p. 505. Vedere LORTSCH D., La Bible en France, Paris 1910, pp. 12-16, 21-27.
Un decreto del Parlamento di Parigi, Francia, del 5 febbraio 1526, bandito a suon di tromba agli incroci della città, proibiva il possesso e la vendita del Nuovo Testamento tradotto in francese. Nel 1528 il vescovo di Chambéry, Francia, scriveva al papa: «Vostra santità saprà che questa detestabile eresia ci viene addosso da tutte le parti per mezzo dei porta-libri. La nostra diocesi sarebbe stata interamente pervertita se il duca non avesse fatto decapitare dodici signori che seminavano questo Evangelo. Malgrado ciò non mancano dei chiacchieroni che leggono questi libri e non vogliono cedere a nessuna somma di denaro».37 Nel 1534 Etienne de la Forge, ricco mercante della rue Saint-Martin, per il fatto di aver pubblicato l’evangelo a sue spese, fu appeso e poi bruciato al cimitero S. Jean di Parigi, Francia, il 13 novembre. La stessa sorte colpì diverse altre persone nello stesso periodo. Spesso sulla stessa piazza dei villaggi e delle città francesi si facevano due roghi, su uno si bruciava l’eretico, colui che cercava di introdurre in una città, in un paese, la Bibbia e sull’altro i libri stessi confiscati. Un «decreto reale del 24 aprile 1729 ordinava che tutti i manoscritti, catechismi, sermoni, preghiere e altri libri ad uso della religione riformata, di qualsiasi denominazione potessero essere, sarebbero ricercati nelle case, presi, depositati presso i comandi militari e bruciati in loro presenza. Il più grande autodafé di questo genere si ebbe a Beaucaire».38 Nel 1730 il cardinale Fleury inviava a Nîmes, in Francia, l’intendente Bernage: era il 6 giugno. Questi scriveva che nel primo giorno di mercato sulla piazza pubblica sarebbero stati bruciati quattrocento volumi consistenti in Bibbie, Testamenti, Salmi, libri di preghiere, catechismi.
La conseguenza del rigetto della Parola di Dio A questi due testimoni Dio aveva dato un potere particolare: «E se alcuno li vuole offendere, esce dalla loro bocca un fuoco che divora i loro nemici; e se alcuno li vuole offendere bisogna ch’egli sia ucciso in questa maniera. Essi hanno il potere di chiudere il cielo onde non cada pioggia durante i giorni della loro profezia; e hanno potestà sulle acque di convertirle in sangue, potestà di percuotere la terra di qualunque piaga, quante volte vorranno».39
37 38 39
Idem. BORREL A., Antoine Court, Toulouse 1863, pp. 147,148. Apocalisse 11:5,6.
Con questo linguaggio Giovanni riflette la sua cultura e anche la sua educazione ebraica. Questa dichiarazione ci permette di aprire una parentesi per fare una considerazione sul come interpretare, spiegare la storia. Gli elementi che sono alla base di un trattato di storia che presenta l’evoluzione umana sono: l’aspetto economico, l’attività di coloro che detengono il potere, le problematiche sociali, le ideologie politiche, a volte anche le spiccate personalità del momento, le masse guidate da chi le ha sapute cavalcare. Gli annali della storia sembra che la presentino come dipendente dalla volontà e dalle prodezze degli uomini. A questi elementi validi, che hanno la loro ragione, computabili anche con dati statistici, documentabili, il testo biblico ne aggiunge un altro, forse opinabile, apparentemente poco misurabile, ma altrettanto reale e coinvolgente: la dimensione verticale dell’uomo, il rapporto uomo-Dio. Questo modo di fare storia esce dagli schemi della nostra formazione, può portare facilmente a demonizzare il presente, il passato, il futuro ed essere causa di errori e di integralismi, ma riteniamo che si debba riconoscere che questo aspetto sia un elemento importante, in quanto fondamentale nell’economia del vero bene dell’uomo. Tutte le rivoluzioni hanno avuto al centro la concezione che l’uomo aveva di sé. La vera comprensione della natura dell’uomo, il suo valore, che non è solo economico, avallato da un supporto etico e filosofico, è dato dalla rivelazione. Al di fuori della Parola di Dio, e spesse volte in contrasto con essa, l’uomo ha cercato delle scorciatoie e ha creato i mausolei che la storia ha disseminato nelle pianure e sui monti del nostro mondo. «Nell’opera della creazione era scopo di Dio che la terra fosse abitata da esseri la cui esistenza fosse una benedizione per loro stessi, per i loro simili e risultasse all’onore suo. Chi vuole può beneficiare di questo piano».40 Fin dalla prima pagina della Bibbia, dopo aver detto che tutto «era molto buono», il male, la sofferenza è entrata in questo mondo, perché l’uomo non ha avuto fiducia nel suo Creatore e ha prestato l’orecchio all’accusatore. Da quel momento, non accettando la Parola di Dio come guida della propria vita, come indirizzo al bene, l’uomo si scopre nudo e perde il suo equilibrio: ha paura di Dio, si nasconde, vede nella donna e nel suo Creatore la causa dei suoi mali. Da allora l’uomo ha percorso altre strade, le sue, pur riconoscendo Dio, ma ha bisogno d’una guarigione esistenziale per accettare la sua parola. Come conseguenza della frattura tra l’uomo e Dio la terra avrebbe prodotto spine e triboli, il lavoro che sarebbe stato elemento di sviluppo delle capacità dell’uomo, lo avrebbe fatto vivere con il sudore della propria fronte e la donna avrebbe fiorito nella sofferenza.41 Dio ha rivelato nella sua Parola i principi che sarebbero dovuti essere alla base della prosperità della nazione. Quando Dio costituisce Israele come popolo gli pone 40 41
WHITE Ellen, Principi di educazione cristiana, ed. AdV, Firenze 1978, p. 143. Genesi 1:31; 3:6-19.
davanti due indirizzi: una vita in conformità alla sua presenza in mezzo al popolo, alla sua legge, all’accettazione della sua parola e una vita vissuta, usando una espressione di Paolo, «secondo l’andazzo di questo mondo».42 La prima avrebbe fatto sì che Israele sarebbe stato eccelso, in una posizione di privilegio rispetto alle altre nazioni, avrebbe avuto del bene sia nelle città, sia nelle campagne, sarebbe stato una testimonianza per i popoli vicini della potenza di Dio. Il rifiuto della sua parola, l’infedeltà, l’allontanamento da essa avrebbe causato sofferenza, deportazione «e fra quelle nazioni non avrebbe avuto requie, e non vi sarebbe stato per lui luogo di riposo,... un cuore tremante, degli occhi che si spegneranno e un’anima languente».43 Nel testo sacro noi assistiamo a una vita tranquilla, nel benessere e nella prosperità, quando Israele è fedele a Dio, in difficoltà quando dimentica l’Eterno e segue le divinità cananee. Per richiamarlo da questa situazione e liberarlo, il Signore suscita dei giudici, dei profeti, che compiono un’opera di ravvedimento nella vita del popolo. Gli storici sono propensi a spiegare i cambiamenti che avvengono nella vita quotidiana mettendoli in relazione a situazioni economiche, ambientali migliori, ed emigrazione e programmi di conquiste di altri popoli. Realtà storiche concrete, ma dietro a questi fenomeni c’è la realtà del bene e del male che germoglia sulla terra i propri frutti. A Mosè l’Eterno diede «il potere di cambiare le acque in sangue e di colpire la terra di ogni specie di piaga, ogni volta che lo volle» perché Faraone impediva la libertà al popolo di Dio. Alle piaghe d’Egitto gli storici, questo è il loro compito, cercano delle giustificazioni ambientali, la Parola del Signore presenta Dio che interviene nella storia. Gedeone libera le tribù del Sud dall’invasione dei Madianiti. Non combatte. Trecento uomini scelti compiono un’azione di disturbo. Precedentemente però, il popolo che aveva alzato altari a Baal e ad Astarte la «regina del cielo», il testo biblico presenta il rigetto di queste divinità solari da parte del popolo.44 Quando Israele era pressato a sud dall’Egitto e a nord dall’Assiria o da Babilonia, la sua sicurezza non dipendeva dall’alleanza che poteva fare con una potenza o l’altra, appoggiandosi sui cavalli di razza, perché forti, e confidando nei carri di guerra, perché numerosi, ma nel guardare al Santo d’Israele, nel cercare l’Eterno.45 Quando Sennacherib, re d’Assiria, assediò Gerusalemme per conquistarla, il testo biblico ci dice che gli ebrei vennero liberati a seguito della parola del profeta perché c’era stato un ritorno del popolo a Dio, la storia assira parla di un complotto di corte che obbliga il re a ritornare a casa. Sono prospettive diverse che spiegano la storia e crediamo che entrambe debbano essere prese in considerazione.
42
Efesi 2: 2.
43
Deuteronomio 28:65. I capitoli 28 e 30 di Deuteronomio vengono intitolati benedizioni e maledizioni, promesse e minacce.
44 45
Giudici 6,7. Isaia 31:1.
Al tempo del re Acab, quando il popolo, pur riconoscendo la realtà dell’Eterno, si prostrava davanti a Baal, il dio del sole, al profeta Elia Dio diede «il potere di chiudere il cielo, affinché non cadesse alcuna pioggia» e ci fu carestia nel paese per tre anni e mezzo a causa della siccità.46 Giovanni fa riferimento a quanto riporta il primo capitolo del secondo libro dei Re sul «fuoco che divora i loro nemici». Degli uomini mandati per arrestare Elia vengono inceneriti in seguito alla parola del profeta. La Bible Annotée spiega: «Se l’ordine del profeta fosse stato un suo atto di vendetta personale, Dio non lo avrebbe realizzato. Ma venendo per prendere l’uomo di Dio per portarlo prigioniero come un criminale, era Dio stesso che volevano colpire, e in mezzo a questo popolo che lo dimenticava, Dio aveva punito severamente questo oltraggio e rivendica con forza il suo onore calpestato».47 Gesù guardando Gerusalemme «pianse su lei, dicendo: “Oh se tu pure avessi conosciuto in questo giorno quello che è per la tua pace!».48 «Il Salvatore si interruppe, e non disse quale sarebbe stata la condizione di Gerusalemme se avesse accettato l’aiuto che il Signore desiderava offrirle: il dono del suo amato Figliolo. Se Gerusalemme avesse conosciuto ciò che era suo privilegio conoscere e avesse fatto attenzione alla luce che il cielo le aveva mandato, sarebbe potuta avanzare nella piena prosperità, come regina dei regni, libera nella forza di Dio. Allora non vi sarebbe stato alcun soldato straniero alle sue porte, e nessuna bandiera romana avrebbe sventolato sulle sue mura. Il Figlio di Dio vide il glorioso destino di Gerusalemme se avesse accettato il suo Redentore. Vide che avrebbe potuto essere guarita dalle sue terribili malattie, liberata dalla sua schiavitù e stabilita come grande metropoli della terra. Dalle sue mura la colomba della pace sarebbe volata verso tutte le nazioni. Gerusalemme sarebbe diventata il diadema glorioso del mondo intero. Ma quello splendido quadro si dissolse davanti agli occhi del Salvatore. Egli vide Gerusalemme qual era: soggiogata dai romani, disapprovata da Dio, minacciata dai suoi giudizi. E continuò il suo lamento interrotto: “Ma ora è nascosto agli occhi tuoi. Poiché verranno su te dei giorni, nei quali i tuoi nemici ti faranno attorno delle trincee, e ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; e atterreranno te e i tuoi figli dentro di te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra, perché tu non hai conosciuto il tempo nel quale sei stata visitata”».49 Questo modo di vedere la storia dalla prospettiva del rapporto uomo-Dio è senza altro più complesso, difficile, perché non sempre è possibile all’uomo conoscere la realtà profonda delle cose. L’uomo, come il profeta Samuele che cercava nella casa di Isai il nuovo re d’Israele, per poterlo consacrare da parte dell’Eterno, guarda all’apparenza, Dio al cuore50. È in questa prospettiva che l’uomo dovrebbe operare. Non tanto per ergersi giudice del fratello, ma compagno. Questa prospettiva di lettura della storia è anche resa più difficile dal fatto che il rapporto causa ed effetto non è 46 47 48 49 50
Giacomo 5:17,18; 1 Re 17:1. La Bible Annotée, Ancien Testament, t. IV, Les Livres Historiques - 2 Re, Neuchâtel 1894, pp. 120,121. Luca 19:42. WHITE Ellen, La Speranza dell’Uomo, ed. AdV, Firenze 1978, pp. 408-409. Vedere Luca 19:43,44. 1 Samuele 16:7.
sempre così immediato. La grazia di Dio, la sua volontà di ricominciare è senza limiti. «Il sole splende sui giusti e sugli ingiusti» diceva il Signore e quindi tra il bene e il male non c’è un territorio neutro e il bene e il male coesistono nella stessa realtà. Non si può neppure dire che dove c’è il benessere e la prosperità c’è fedeltà al Signore e dove c’è la miseria e la sofferenza c’è la ribellione a Dio. Gli adoratori dell’Eterno non sono nell’Occidente ricco ed opportunista e i cattivi nei Paesi del Sud dove come in quelli del Nord c’è fame, disperazione e malattia. È nel considerare la storia nella prospettiva della Parola di Dio che l’uomo scopre il suo vero senso e la sua spiegazione. Troppi mali sono la conseguenza del fatto che la Parola di Dio non è solo assente, ma rigettata. La storia ci documenta che molte volte, troppe, la fede è stata imposta. I risultati sono stati nefasti. Una delle tentazioni che Gesù ha avuto è quella di trasformare le pietre in pane per conquistare il mondo al Regno di Dio. Il Signore ha vinto la tentazione, non facendo il miracolo, evitando di fare degli uomini dei cortigiani del suo Regno e di avere delle persone che hanno interesse a mangiare con lui. In occasione dell’ultima cena annuncerà la sua morte, ma gli apostoli sono da lui considerati amici, non solo perché egli è disposto a morire per amore, ma perché anche loro amano Gesù, quando hanno capito di seguirlo per niente, cioè per amore. A Nebucadnetsar, re di Babilonia, per evitare la minaccia di essere sospeso dal regnare per un certo tempo, Dio disse: «Poni fine ai tuoi peccati con la giustizia, e alle tue iniquità con la compassione verso gli afflitti; forse la tua prosperità potrà essere prolungata».51 Occorre capire che è «la giustizia (che) innalza una nazione», che il trono, la democrazia, il governo sono resi stabili con la giustizia e con la bontà.52 Gesù, nel sermone sul monte, presenta la realtà della Chiesa come «sale della terra».53 La sua funzione è quella sì di dare sapore, senso a questo mondo, ma anche di preservarlo dal male, conservarlo, dare tempo all’uomo affinché si converta, trovi e torni a Dio. Nell’impero latino e anche nei paesi limitrofi, nel tempo in cui l’opposizione alla Parola di Dio e a coloro che la sostenevano si faceva più violenta, si ebbero delle conseguenze sociali amare. Taine chiama il X secolo (secolo in cui si inizia l’opposizione alla Bibbia) «una epoca di disordini e di devastazione universale». Il colera, la peste nera54 e la fame colpirono una dopo l’altra l’Austria, la Germania, l’Italia, la Francia, la Svizzera e l’Inghilterra. Henri Dacremont, parlando del XIV e XV secolo, scrive: «Quale prodigioso accumulo di disordini, di decadenze, di miserie, di massacri. È la decadenza rapida,
51 52 53 54
Daniele 4:27. Proverbi 14:34; 16:21; 20:28. Matteo 5:13. La Bibbia ha numerose norme igienico sanitarie che, applicate, avrebbero potuto evitare le epidemie.
impazzita come tutte le decadenze, la decadenza di tutto, la rovina delle istituzioni... La società intera si sfascia perché la sua ora è arrivata».55 La Spagna, scrive A. Vulliet: «Così potente, così terribile alla fine del XVI secolo, era rapidamente degenerata. Questo stato che sotto Carlo V e Filippo II, aveva aspirato apertamente al dominio universale, si vide, dai venti milioni di abitanti, ridotto a sei milioni. Sotto Carlo II, aveva in tutto l’esercito 20.000 pessimi soldati... La potente padrona delle ricche miniere del Perù e del Messico aprì dei prestiti e non trovarono neppure un ducato di credito.... Riunendo e combinando le loro forze, l’assolutismo cattolico e il dispotismo regale erano riusciti, mediante l’Inquisizione, a eliminare dal suolo della Spagna ogni movimento in favore della libertà religiosa e di indipendenza del pensiero. Il piccolo numero di protestanti che si erano manifestati, erano stati torturati e bruciati con sistemi di raffinata crudeltà nei solenni autodafé dati alla presenza della corte e del clero. Ma questo trionfo era stato pagato all’esterno, con la perdita dell’Olanda e del Portogallo; all’interno, con il soffocamento di ogni vita intellettuale e morale e di ogni libertà. Non uno scrittore, non un pensatore, non un uomo di Stato; la fame e i monaci si estendevano come una lebbra su tutto il paese. “La morte - dice M. Mignet - era penetrata dappertutto nella nazione con la distruzione di queste libertà; nel governo con la distruzione della propria marina, dei suoi eserciti, delle sue finanze; nella proprietà con la cessazione del lavoro; nella popolazione con l’inazione e la povertà”.».56 Come abbiamo già riferito, un milione di protestanti nel XVII secolo lasciarono la Francia per la Germania, Svizzera, Olanda, Inghilterra portando il segreto delle loro industrie e l’ingegno delle loro attività. Questo ha pesato sull’economia difficile della nazione. Nei secoli che hanno preceduto la Rivoluzione francese, crediamo di potere dire, che non ci sia stata generazione che non abbia assistito alla tragedia di uomini che lasciavano le loro terre per altri Paesi. Questa nazione era l’Egitto spirituale. La Francia, docile al potere di Roma, si era gloriata nel sostenere le esigenze papali sopprimendo l’eresia, estirpando gli Albigesi e perseguitando i Valdesi. Nel XVI secolo la Riforma restituì con forza quel vangelo che per secoli era stato oppresso e in Francia fu accolto dal popolo, dai borghesi, dai nobili, da principi e principesse. Margherita d’Angoulême, figlia di Francesco I, come la sorella di Enrico IV, lo fece predicare al Louvre. Ma alla istigazione del clero, la corte e il popolo si sollevarono contro la nuova fede che poneva sempre più profonde le sue radici. La notte di S. Bartolomeo, il terrore dei Dragoni, la revoca dell’editto di Nantes portarono la nazione nell’abisso. «Dopo la revoca dell’editto di Nantes - 1685 -, solo la Chiesa cattolica possedeva degli edifici religiosi per celebrare il servizio divino, mentre gli ugonotti (calvinisti) dovevano trovare dei ripari nelle contrade nascoste e inaccessibili delle Cevenne. Nessuna legge proteggeva i protestanti, i cui beni potevano essere confiscati dai dragoni di sua maestà il re, su semplice denuncia. Dal momento che erano scoperti 55 56
DECREMENT Henri, Gerson, Paris 1931; cit. J. Vuilleumier, o.c., p. 164. VULLIET A., Histoire Moderne, ed. rivista, Lausanne 1877, p. 297; cit. Idem, p. 165.
cadevano sotto la vendetta della legge. Né la loro nascita, né il loro matrimonio erano riconosciuti; tutte le carriere pubbliche erano a loro proibite e i loro figli erano considerati come appartenenti alla Chiesa cattolica. Signora assoluta, la Chiesa aveva in mano lo stato civile del regno, e se per avventura qualche mente illuminata voleva pubblicare un libro che denunciasse la sua condotta o solamente disapprovasse i suoi modi di procedere, l’autore doveva prendere la strada per l’Olanda. L’istruzione dei giovani era quasi interamente nelle sue mani, e nessun insegnamento poteva essere dato se non era fatto sotto il suo controllo. Da lei dipendeva il pensiero e l’anima di tutti i sudditi del re. Per sovvenire ai suoi bisogni, il clero disponeva di immensi beni e rendite diverse che la rendevano proprietaria di una parte sostanziale del regno. Questi beni gli provenivano da doni diversi, ma essi erano anche stati accaparrati dal terrore al momento dell’allontanamento dei sudditi indesiderati, come gli Ugonotti e gli Ebrei. Questo triste stato di cose che faceva la “fornicazione” dei due poteri oppressori, trovò un apologista geniale nella persona di Bossuet, “l’aquila di Meaux”, che espose in un linguaggio immortale, destinato all’educazione di un principe, le massime del doppio dispotismo, che sarà la causa diretta dell’anarchia rivoluzionaria».57 Scriveva Edmond de Pressansé: «Benché redatto dal suo genio più grandioso, era fatto per essere destinato come il testamento di Luigi XIV... Il libro di Bossuet è l’apoteosi dell’antico regime e dei suoi peggiori abusi. Il re vi appariva simile a un dio, la cui vista rallegra i suoi sudditi come il sole, le cui indiscusse volontà dovevano essere ricevute in ginocchio; è vero, un dio che assomiglia a quelli di Omero, esposto a tutte le passioni dei mortali, e inclini a soccombervi... Non c’è alcun diritto di fronte al diritto regale; mi sbaglio, c’è il diritto del sacerdote per il quale solo Bossuet fa sentire un alto reclamo. Tutti i beni della nazione appartengono al re, eccetto quello dei leviti, dei quali non se ne deve occupare ad eccezione che per farli aumentare. Un re che comprenda bene questi doveri non si accontenta di aprire i suoi tesori alla Chiesa per arricchirla, ricordandoci ch’essa ha orrore del sangue, ma che essa ne ha tuttavia bisogno, egli gli presta la sua clava o piuttosto la volge contro i suoi nemici, li caccia e li immola per la più grande gloria di Dio, come alla revoca dell’editto di Nantes; l’eresia non è tollerata nel felice paese che egli governa. “Coloro che non vogliono soffrire che il principe usi dei rigori in materia di religione, perché la religione deve essere libera, sono in un empio errore”. Bossuet ricorda il giuramento fatto dal re cristianissimo nel giorno del suo incoronamento, e l’impegno solenne che ha preso di sterminare l’eresia. Arriva così a questo doppio risultato di fare odiare insieme la monarchia ed il cristianesimo, e di preparare sicuramente la più pericolosa rivoluzione».58
57 58
GROSS Charles, La Femme et la Bête - 2 Conferences sur le chapitre 17 de l’Apocalypse, Metz, senza data, p. 26. PRESSANSÉ Edmond de, L’Eglise et la Révolution Française, ed. Fischbacher, Paris 1890; cit. C. Gross, idem..
La conseguenza di queste nefandezze è quella di un paese economicamente destinato alla fame. Per 100 anni (1733-1817) in Francia i prezzi hanno una crescita incontrollata, soprattutto dei prodotti alimentari.59 Sul piano etico Joseph de Maîstre scriveva: «Che mi si mostri un altro paese al mondo in cui si vedano, in così breve spazio di tempo, i nomi dei più illustri figurare nei processi più scandalosi, in cui il rapimento, lo stupro, il furto, il falso, la prostituzione, fanno rimanere i tribunali stupiti, e fremere le ombre degli antichi valorosi... Io potrei riempire venti pagine di prove della manifesta corruzione e dell’avvilimento infelice troppo generale che regnava in Francia al momento della Rivoluzione».60 Lo storico A. Vulliet scriveva che quella fu una «epoca di demoralizzazione profonda e di scandalosa incredulità. L’esempio era partito dalla Francia, e da nessuna parte il disordine morale si mostrò così grande. Ma il contagio si sparse tuttavia in tutto l’Occidente, preparando le terribili calamità che dovevano affliggere l’Europa verso la fine del XVIII secolo».61 «L’immoralità di Sodoma, ai giorni di Lot, venne ripetuta in Francia, specialmente nella sua capitale. La grossolana idolatria dell’Egitto, con le sue tenebre proverbiali, fu trovata nuovamente nella Francia moderna. Come gli Ebrei rigettarono la parola di Dio spiegata dai profeti, si separarono dal cielo e crocifissero il loro Signore, così la Francia ripeté lo stesso peccato e di nuovo crocifisse il Figlio di Dio».62 59
«Tenendo conto dei calcoli di Ernest Labrousse, condotti su ventiquattro derrate o merci, e assegnando l’indice 100 al ciclo di base 1726-41, la media del rialzo di lunga durata è del 45% per il periodo 1771-89 e giunge al 65% negli anni 1785-89. L’aumento è molto ineguale a seconda dei prodotti, considerevole per le derrate alimentari più che per i manufatti, per i cereali più che per la carne: tratti caratteristici di una economia rimasta essenzialmente agricola; i cereali occupavano allora un posto rilevante nel bilancio delle classi popolari e di poco aumentava la loro produzione, mentre assai rapidamente cresceva la popolazione e non poteva verificarsi l’intervento concorrenziale dei grani stranieri. Per il periodo 1785-89 l’incremento dei prezzi raggiunse il 66% per il frumento, il 71% per la segale, il 67% per la carne; la legna da ardere batte tutti i record: 91%.- Al di sotto della media si tengono i tessili (stoffe di lana: 29%) e il ferro (30%). - Nel 1789... porta l’aumento del grano al 127%, mentre quello della segale tocca il 136%. - Il massimo stagionale coincide con la prima quindicina di luglio: l’aumento del frumento raggiunge il 150%, quello della segale il 165%» SOBOUL Albert, La Rivoluzione francese, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma 1991, p. 26.
60 61 62
MAÎSTRE J. de, Mélanges inédits, p. 109, in nota p. 21; cit. J. Vuilleumier, o.c., p. 170. A. Vulliet, o.c., pp. 350, 351; cit. idem.
HASKELL Stephanel Nelson, See of Patmos, p. 201. Tra le cause della crisi de l’Ancien Régime in Francia alla fine del XVIII secolo più che la componente religioso/morale, a critica della nostra spiegazione del testo biblico, si preferisce vedere, oltre allo sviluppo del grande commercio, l’apparizione della grande industria che non poteva più tollerare una struttura politica e amministrativa ormai anacronistica, l’illuminismo, la politica fiscale del governo, la rivoluzione reazionaria-aristocratica del 1787, l’incremento demografico e l’aumento dei prezzi, dovuto anche all’inflazione monetaria a causa della scoperta delle miniere d’argento in Messico. Sebbene queste osservazioni siano valide, non dobbiamo però sottovalutare l’ottica con la quale la profezia biblica illumina la storia, nella quale la religione e la morale giocano un ruolo importante. Per la storia universale del mondo, Israele è stato un piccolo popolo di pastori, che ha avuto il suo apogeo, sempre limitato, al tempo di Salomone, ma tutto il messaggio biblico gravita attorno a questa nazione. Che la situazione economica della Francia non fosse peggiore di quella di altri Paesi, come il meridione d’Italia o di Spagna, è un fatto. Ma ciò non sminuisce la tesi (anche se non possiamo fornire una verifica, perché la storia non la offre), secondo la quale, come lascia intravedere il testo biblico, se la nazione Francia avesse fatto tesoro della possibilità che ha avuto di conformarsi agli insegnamenti della Rivelazione, la sua storia sarebbe potuta essere diversa
«Se di tutte le rivoluzioni, la Rivoluzione francese è stata la più sanguinosa, è perché la storia di Francia è quella che ha lasciato accumulare le maggiori iniquità. Il furore è stato più violento, là dove la pazienza era stata più lunga».63
Una nuova era per l’Europa: la bestia sale dall’abisso «E quando avranno compiuta la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà. E i loro corpi morti giaceranno sulla piazza della gran città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signore loro è stato crocifisso».64 «Notiamo la cronologia degli avvenimenti: i due testimoni “saranno uccisi quando essi avranno compiuto la loro testimonianza”, cioè alla fine dei milleduecentossessanta giorni profetici».65 I due testimoni: l’Antico e il Nuovo Testamento subiranno questa azione rapida, violenta, terribile verso la fine del XVIII secolo. Chi compirà questa azione empia? La bestia che sale dall’abisso. Per la prima volta Giovanni presenta questo animale, che descriverà con più particolari nei capitoli XIII e XVII e che menzionerà poi a diverse riprese con l’espressione «bestia».66 La bestia indica nel linguaggio di Daniele e nell’Apocalisse un regno, un impero, un potere politico o politico-religioso in un periodo della storia. La bestia per la sua natura raffigura il potere dell’uomo mancante del vero legame spirituale con Dio e che a lui si oppone. Essa è il risultato visivo dell’azione invisibile del principe di questo mondo che è Satana, raffigurato nell’emblema del dragone. Come in Daniele la bestia perseguita i santi perché la loro adorazione non è per lei, così qui è vittoriosa per 1260 giorni, calpestando sotto i piedi i fedeli che nel santuario adorano Dio. Così entrambe le visioni di Daniele e di Giovanni riportano lo stesso insegnamento. La bestia in Apocalisse rappresenta il potere romano che continua sul territorio dell’antico impero latino, nelle fasi successive alle invasioni barbariche che ne ruppero la compagine.
e senz’altro più proficua per lei e per il mondo. La Bibbia offre numerosi riferimenti alla prosperità ed al benessere sociale raggiunto grazie all’accettazione dei suoi insegnamenti. La possibilità di una riforma religiosa che ha avuto la Francia, non l’ha avuta né l’Italia, né tanto meno il suo mezzogiorno, né la Spagna che con la sua Inquisizione ha soffocato nel sangue ogni scoperta di verità. Vedere il nostro Capitolo VII. 63 64 65 66
C. Gross, o.c., p. 27. Apocalisse 11:7,8. L. Bonnet, o.c., p. 396.
Giovanni usa l’espressione la “bestia” e non “una bestia”, perché si riferisce a qualcosa di ben noto anche se la descrive poi. Con l’articolo «la» unito alla parola bestia, l’apostolo fa capire che questo potere non è qualcosa di generico, ma di ben precisato, conosciuto, anche se la sua descrizione verrà fatta nei capitoli successivi.
Al capitolo XIII ci viene descritta che sale dal mare. Come abbiamo spiegato, essa rappresenta l’Impero Romano sotto la guida del potere papale, le cui azioni erano di già state descritte dal profeta Daniele. Questo potere della bestia, la V testa, sarebbe durato per 1260 anni, poi avrebbe ricevuto la ferita mortale; non sarebbe morta, ma alla ferita sarebbe seguita la guarigione. La bestia sale dal mare, cioè a seguito delle invasioni barbariche e delle guerre che ne sono derivate. Le acque rappresentano i popoli.67 In questo capitolo XI la bestia sale dall’abisso. La parola «abisso» nella Bibbia ha principalmente un doppio significato: a - indica un luogo devastato, desolato, di disordine, di disorganizzazione, di inabitabilità;68 b - il soggiorno penoso dei demoni, di Satana, di modo che chi esce dall’abisso deve portare un carattere eminentemente empio.69 Questa bestia, a differenza di quella del capitolo XIII che sale dal mare, cioè dalla moltitudine delle nazioni agitate dalle guerre, dagli spostamenti degli eserciti, invece di essere un risultato naturale dei conflitti tra i popoli, sorge dall’abisso cioè da uno squilibrio sociale, politico, religioso, purtroppo sempre con spargimento di sangue (è una bestia), continuando ad essere uguale a se stessa; manifestandosi con la forza, l’oppressione e l’ingiustizia. La Francia, alla fine del XVIII secolo, al tempo della Rivoluzione francese, era ridotta ad un abisso sia socialmente sia religiosamente. Quale fu il numero delle vittime che seguì la revoca dell’Editto di Nantes? Forse non lo si saprà mai. Ma «l’emigrazione tolse alla Francia circa 500.000 protestanti, 1.580 pastori, 2.300 operai, 1.500 nobili. Lo stato ed il clero si appropriarono di diciassette milioni di proprietà confiscate ai loro legittimi proprietari, cacciati dal paese dei loro padri. Le conseguenze di questa emigrazione furono deplorevoli per la Francia. La prosperità fu d’un colpo sospesa, poiché i protestanti avevano quasi tutto il monopolio del commercio e dell’industria. Per contro, essi arricchirono le contrade che offrirono asilo, e diventarono i promotori della loro prosperità».70 Dopo le guerre rovinose di Luigi XIV e il secolo licenzioso della reggenza di Luigi XV la nazione francese era caduta nell’abisso. Il popolo era nella fame: «La nobiltà era piena di debiti... i paesani in certe province mancavano di tutto, pure della paglia per dormire, quelli che abitavano alle frontiere emigravano all’estero, molte parti del territorio erano incolte e deserte... Nella provincia di Rouen (capitale della Normandia), su 700.000 abitanti, 650.000 avevano per letto un mazzo di paglia. I paesani in certe province ritornarono allo stato selvaggio: vivendo molto spesso di erba e di radici come le bestie». «In quel tempo la nobiltà e la corte vivevano in un lusso insensato. Il duca di Orléans, per esempio ritirava 11.500.000 libbre di censo, 67 68 69 70
Apocalisse 17:15. Genesi 1:2; Proverbi 8:27; Ezechiele 26:19; Giobbe 12:24; 26:7. Luca 8:31; Romani 10:7. BONNEFON D., Histoire de l’Eglise, Bonhours et Cie, Paris, p. 373.
una sola cortigiana costò 36 milioni a Luigi XV e in un anno (1751), la casa reale, senza contare la corte, divorò 68 milioni». La Pompadour e il re stesso, non si facevano illusioni, si stordivano rispondendo “Aprè moi le deluge - Dopo di me il diluvio”. «Il sale della terra» scomparve e quello che rimase non era sufficiente ad impedire la putrefazione sociale. La principessa Palatine diceva nel 1722 che non credeva che a Parigi, sia tra gli ecclesiastici sia tra i laici, ci fossero cento persone che avessero la vera fede o che credessero pure nel nostro Signore. La fede disparve, l’incredulità e lo scetticismo trionfò. I filosofi e gli enciclopedisti: Montesquieu, Voltaire. Diderot, d’Alembert, d’Holbach, Rousseau sparsero le loro massime di incredulità, quale conseguenza logica che condannava una concezione di vita che nel nome dell’Eterno non aveva rispettato l’uomo, il capolavoro della creazione di Dio. Questa nazione era corrotta nei costumi, Giovanni la chiama Sodoma. Nel XVIII secolo per il bel mondo la vita era come un carnevale, libera e sguaiata. A differenza di Venezia dove questa festa durava sei mesi, in Francia era permanente: tutto l’anno. Giovanni dice che la Bestia sale dall’abisso, ucciderà i due testimoni i cui corpi rimarranno su una «piazza della grande città» che è identificata più avanti con «la decima parte della città».71 Elliott nel secolo scorso scriveva: «Per comprendere, bisogna ricordarsi che il territorio chiamato la grande città comprendeva precisamente dieci regni. La decima parte della città doveva essere uno di questi regni». La «piazza della grande città, che spiritualmente (nel senso spirituale, cioè conforme allo spirito della profezia, deve essere inteso simbolicamente o conformemente allo spirito che anima la grande città) si chiama Sodoma ed Egitto». Il nome di Sodoma ricorda l’immoralità e la licenziosità. I profeti dell’Antico Testamento hanno chiamato Gerusalemme Sodoma72 quando non si atteneva alla Parola di Dio. Il nome Egitto ricorda l’incredulità, la non accettazione della parola di Dio per continuare a seguire la propria religione, l’opposizione assoluta a Dio e al suo popolo che si deve disprezzare, angustiare e ridurre in schiavitù; il potere che non riconosce l’Eterno, ma accetta l’idolo della propria ragione. Ricorda la nazione che anticamente, per bocca del suo faraone, dichiarò: «Chi è l’Eterno perché io debba obbedire alla sua voce... Io non conosco l’Eterno».73 Questa piazza è una «decima parte della città», è un regno, corrisponde ad un corno della bestia, che cade nell’epoca in cui questa sale dall’abisso e i due testimoni vengono uccisi.74
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Apocalisse 11:13. Isaia 1:9,10; Ezechiele 16:16-19; Geremia 23:14. Esodo 5:2.
«Le dieci parti della città sono una allusione ai dieci re neopagani, sorti dall’impero dei Cesari» ROUGEMONT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, Neuchâtel 1866, p. 248.
L’impero latino in seguito alle invasioni barbariche, è stato suddiviso in diversi regni che sono rappresentati in Apocalisse e dal profeta Daniele dalle dieci corna sulla testa della bestia. L’insieme di questi regni costituiscono la «grande città» che è chiamata Babilonia. Questa «grande città» ha diverse piazze, una decina, tante quante sono le corna e indicano le diverse nazioni. Il trono, la sede di questo impero si trova a Roma. La «grande città» nella quale «il Signore loro è stato crocifisso», non è Gerusalemme, perché essa «mai è stata chiamata la grande città».75 In questo capitolo XI di Apocalisse, dove tutto è allegorico, la crocifissione del Cristo deve essere intesa come la sua identificazione con coloro che sono perseguitati a causa dell’Evangelo. «Tutte le volte che avete fatto queste cose ad uno dei più piccoli dei miei fanciulli, è a me che voi l’avete fatto». Gesù chiese a colui che diventerà l’apostolo Paolo: «Saulo, Saulo perché mi perseguiti?»; perché aveva fatto molto male «ai santi in Gerusalemme».76 La lotta tra la monarchia universale e il cristianesimo ha per teatro, in questo capitolo, la decima parte della città, una piazza della simbolica «grande città» che è «Babilonia la grande», la rivale della «nuova Gerusalemme». Questa piazza, decima parte dell’Impero Romano, del dominio di Babilonia, è identificata con la terra di Francia.
Dalla prima metà del 1600 studiosi protestanti annunciano che alla fine del XVIII secolo ci sarebbe stato in Francia uno sconvolgimento sociale politico - la Rivoluzione francese - che si sarebbe ripercosso sul papato Towers Joseph, predicatore come ministro Unitariono e dal 1792 bibliotecario della libreria di William, nel 1796 nella sua opera, Illustrations of Prophecy77, faceva un elenco di autori, che da oltre un secolo a cinque anni prima, avevano annunciato, basandosi su Daniele e l’Apocalisse, “Una Rivoluzione in Francia” e “Il Rovesciamento del Potere Papale, e della Tirannia Ecclesiastica”. Il Froom78 così sintetizza: il teologo protestante inglese Th. Brightman79 nel 164480, Durham nel 1660, il pastore anglicano inglese Joseph Mede nel 1663, H. More81 nel 1680, Thomas Goodwin82 nel 1683, il pastore riformato francese esule in Olanda Pierre 75 76 77
P. Jureu, o.c., t. I, p. 51. Matteo 25:40; Atti 9:7,13. TOWERS Joseph Lomas, Illustrations of Prophecy, London 1796.
78
FROOM Edwin Le Roy, The Prophetic Faith of our Fathers, vol. II, Review and Herald, Washington D.C., 1948, pp. 723,724.
79
BRIGHTMAN Thomas, The Workes of That Famous, Reverend, and Learned Divine, Mr. Tho. Brightman, London 1644. 80 81 82
L’anno indica la data della pubblicazione o di quando hanno sostenuto il pensiero che esponiamo. MORE Henry, A plan and continued exposition or Divine Vision of the prophet Daniele, London 1681.
GOODWIN Thomas, The French Revolution Foreseen, in 1639. Extracts From an Exposition of the Revelation, by an Eminent Divine of Both Universities, in the Beginning of the Last Century, London 1796.
Jurieu83 nel 1687, Cradock nel 1696, il pastore anglicano scozzese Robert Fleming84 nel 1701, l’astronomo battista inglese William Whiston85 nel 1706, Waple nel 1715, il teologo riformato olandese Kempe Vitringa86 nel 1719, Ch. Daubuz87 nel 1720, Robertson nel 1730, Pyle nel 1735, Lowman nel 1745, il vescovo anglicano Thomas Newton nel 1748, e Johnson nel 1794. Il vescovo anglicano Thomas Newton alcuni anni prima che il papa venisse deportato prigioniero in Francia scriveva: «Come i re di Francia hanno notevolmente contribuito alla sua ascesa, non è impossibile né improbabile che prima o poi siano essi i principali autori della sua distruzione».88 Nel 1639, 140 anni prima, Thomas Goodwin nella sua opera intitolata French Revolution Foreseen, scriveva: «Per decima parte della città intendo (come anche prima di me ha sostenuto Mons. Brightman) una decima parte dell’Europa»; aggiunge: «Qui la città (come è detto diverse volte in questo libro dell’Apocalisse) indica l’estensione giuridica di Roma, alla quale erano stati assegnati questi dieci regni europei. Il terremoto è qui così spiegato: “Un potente scuotimento con l’alterazione dell’aspetto delle cose (civili ed ecclesiastiche) si verificherà nella decima parte della città e accompagnerà la resurrezione dei testimoni» e precisa: «Così quel regno (Francia) ..., dovrebbe avere l’onore di dare l’ultimo grande colpo nella rovina di Roma».89 Dal momento che la profezia ci colloca in un preciso momento storico, fine XVIII secolo, se consideriamo la situazione politica dei regni latini, ci rendiamo conto che essi mantenevano un relativo status quo tranne la Francia la quale era protagonista della più grande rivoluzione che abbia influenzato e preparato il mondo moderno. Il celebre polemista, ministro protestante, Pierre Jurieu sosteneva di già nel XVII secolo, cento anni prima che si realizzasse storicamente la profezia, che quanto descritto in questo XI capitolo dell’Apocalisse riguardasse la Francia. Alcuni prima di lui avevano visto nella guerra fatta ai due testimoni la persecuzione religiosa del Medio Evo, ma Jurieu è probabilmente il primo che applica la «piazza» di questa città, dell’antico Impero Romano, alla Francia, paese dal quale emigra per rifugiarsi in Olanda a causa dell’intolleranza religiosa. Nel 1686 ad Amsterdam, 103 anni prima della Rivoluzione francese, il pastore riformato francese rifugiato in Olanda Pierre Jurieu, scriveva: «La città è l’impero di Babilonia e anticristiano» e dopo avere 83
JURIEU Pierre, The Accomplissement of the Scripture Prophecies, or the Approaching Deliverance of the Church, London 1687.
84
FLEMING Robert, Discours on Several Subjects. The First Containing a New Account of the Rise and Fall of the Papacy..., London 1701.
85
WHISTON William, An Essay on the Revelation of Saint John, So Far as Coucerns the Past and Present Times, University Press, Cambrige 1706. 86 87
VITRINGA Campegius, Anacrisis Apocalypseos Johannis Apostoli, Amsterdam 1719. DAUBUZ Charles, A Perpetual Commentary on the Revelation of St. John, London 1720.
88
NEWTON Thomas, Dissertation on the Prophecies, vol. III, 2a ed., London 1786, p. 308; cit. da Le Roy E. Froom, o.c., vol. II, pp, 724. 89
T. Goodwin, o.c., pp. 6,7; (vedere anche pp. 13,14), pp. 7,13.
considerato che questa piazza non può essere l’Inghilterra90 aggiungeva: «Io non 90
Non pochi sono coloro che, spiegando questo capitolo nella sua prospettiva storico-profetica, hanno identificato questa decima parte della città, questo regno che cade, con l’Inghilterra. J.P. Brisset scriveva: «La città è il territorio proprio della quarta bestia (di Daniele), la decima parte che cade è l’Inghilterra che si distaccò dal papato nel 1447. Era una delle corna della bestia a dieci corna». Giustifica questa spiegazione perché: «La profezia non dice che i popoli del Nord si separarono da Roma al tempo della Riforma, poiché sono al di fuori della terra profetica, essi non facevano parte dell’Impero dei Cesari» BRISSET Pierre J., Les prophéties accomplies, Paris 1906, p. 188. Questo modo di vedere l’Inghilterra facente parte del territorio dei Latini non è sostenibile per almeno cinque ragioni. Nell’esporre queste motivazioni riportiamo quanto ha scritto L. Gaussen, o.c., t. II, pp. 216-219,231. «Prima ragione. L’Inghilterra non apparteneva all’Impero Romani quando le gambe di ferro succedettero alle cosce di rame, cioè quando i Romani divennero la quarta monarchia con la presa di Gerusalemme; neppure trentatré anni più tardi, quando Cesare Augusto fondò la sua dinastia imperiale e diede delle nuove forme al governo di Roma. Orazio, nel suo tempo, ne faceva un altro mondo: Et penitus, et penitus toto divisos ab orbe Britamnos. L’Inghilterra non fu conquistata che sotto il regno di Claudio, nell’anno 43 d.C., cioè 106 anni dopo che l’impero delle gambe di ferro era cominciato nella statua... Seconda ragione. La lingua che vi si parla deriva dal gotico e non dal latino... Terza ragione. Questo paese, non solamente non apparteneva ancora all’Impero dei Romani quando questo divenne la quarta monarchia; ma, ciò che è ancora più significativo è che questo regno, dopo essere stato conquistato da Roma, si staccava per sempre ancora prima che le dieci corna si venissero a formare. All’inizio del V secolo, la Gran Bretagna fu solennemente dichiarata dagli imperatori stessi di Roma non più appartenente al loro impero d’Occidente. Onorio, con un atto ufficiale, faceva sapere a tutte le municipalità di questa isola che, non potendole più proteggere, le scioglieva dal loro giuramento di fedeltà (di obbedienza a Roma) e le separava legalmente dall’Impero Romano. È da notare che questa separazione fu la più perfetta che si possa concepire, poiché essa si compì nel diritto come di fatto. «L’Indipendenza della Gran Bretagna - scrive lo storico Gibbon - fu ben presto confermata da Onorio stesso, l’imperatore legittimo d’Occidente; e le sue lettere indirizzate alle trentatré grandi città della Bretagna potevano essere considerate come una abdicazione assoluta e solenne degli esercizi e dei diritti della sovranità». Gibbon pone questo atto importante nell’anno 409. «I Romani cominciarono a evacuare l’isola nel 410 e da allora la Britannia venne invasa da Angli, Sassoni e Juti provenienti dal continente» Enciclopedia Europea, vol. II. voce Britannia, p. 580. «Le leggi d’Inghilterra - dice ancora Gibbon - sono sassoni e non romane. E quando Giustiniano diede il suo codice immortale che è stato nominato “la ragione pubblica dei Romani” e che fissa il diritto in tutte le province d’Europa, d’Asia, e più tardi d’Africa, e lo fece proclamare in tutte le feste solenni alle porte di tutte le chiese, già da vent’anni la Gran Bretagna era separata dal corpo dell’Impero. Così, all’epoca in cui spuntarono le dieci corna, non c’era più la Gran Bretagna nell’Impero Romano. Questo paese, al di là del mare, senza dubbio era stato per un tempo posseduto dai Romani, come la Dacia al di là del Danubio, o come qualche parte della Germania al di là del Reno. Era per loro una conquista estranea; era una costola nella gola del mostro, non era un membro del suo corpo. Un corno poteva sorgere in Inghilterra sulla testa della bestia, quando questo paese non era membro del suo corpo e non era più neppure fra i denti? Una quarta ragione è che la Gran Bretagna, una volta liberata dai Romani nel 409, non si costituì in un regno, ma rimase divisa quarant’anni in altrettante piccole repubbliche quanti erano i suoi municipi (se ne contavano trentatré). Ancor più! Gli Anglo-Sassoni, dopo quarant’anni, anziché formare un solo regno, come si è supposto, ne formarono otto che più tardi si ridussero a sette. Sarebbe stato necessario che al posto di un corno per l’Inghilterra, questi commentatori (che vedono in questo paese uno dei regni dello smembramento dell’impero) ne avessero contati sette, e che al posto di dieci nell’Impero, ne avessero contati sedici. Non fu che nel nono secolo, nell’823, che un solo regno si formò sotto Egbert. Questa ragione sola sarebbe sufficiente per la nostra tesi, ma ce ne è ancora una quinta non meno persuasiva. Quinta ragione. (Ragione religiosa: l’Inghilterra è un paese protestante) i dieci regni della quarta monarchia devono essere sottomessi alla corte di Roma e al suo sommo pontefice... Da ciò si conclude che gli Inglesi non formarono mai uno delle dieci corna, e che la Gran Bretagna non appartiene alla terra profetica, perché essa si è nazionalmente liberata dal dominio del papa. Essa potrebbe essere papista, benché al di fuori del territorio geografico della quarta bestia; ma non potrebbe essere nazionalmente protestante, stando al di dentro. Il regno d’Inghilterra, non appartenendo all’impero della bestia, non fu mai uno delle dieci corna ». La Gran Bretagna, pur non facendo parte del territorio geografico della quarta bestia, fino al XV secolo fu sotto l’autorità religiosa del vescovo di Roma. Giovanni scrive che «la decima parte della città cade», cioè cambia il suo regime allo scadere dei 1260 anni, quindi alla fine del XVIII secolo. Due secoli e mezzo di intervallo sono troppi nel quadro delle profezie cronologiche.
posso impedirmi di credere che questo ha un particolare riferimento alla Francia, che è sicuramente oggi la più eminente delle province dell’Impero del papa. Il suo re si chiama il primo figlio della Chiesa, il re cristianissimo, cioè molto papista, come si dice nella lingua di Roma. Sono i re di Francia che hanno fatto grandi i Papi per la loro liberalità. È lo stato dell’Europa che oggi è il più florido. E in una parola, la piazza della grande città. E io credo che è particolarmente in Francia che i due Testimoni devono restare morti; cioè che la professione della vera religione deve essere interamente abolita... La verità sarà messa a morte, ma essa non sarà sepolta. La sepoltura è qualcosa che va al di là della morte, essa è sempre messa in relazione con la corruzione e la distruzione totale».91 L’anno successivo, 1687, un altro pastore riformato francese, anche lui esule in Olanda, Jacques Philipot pubblicava ad Amsterdam Eclarcissements sur l’Apocalypse de S. Jean, nel quale scriveva: «Siccome il re di Francia fece di tutto per accrescere la gloria del papato, sarà il re di Francia a contribuire più di ogni altro alla sua rovina». Quest’opera veniva scritta un secolo prima della Rivoluzione francese. Philipot concludeva il suo manoscritto nell’agosto del 1685, due giorni prima dell’arrivo dei dragoni che gli distrussero la casa e solo il manoscritto si salvò dal saccheggio. Lo confrontò con gli scritti dell’insigne P. Jurieu e si compiacque di trovarvi il suo consenso. Sosteneva che il “terremoto” sarebbe stato simbolico e non letterale. «È cosa certa che “terremoto” nelle Scritture significa grandi cambiamenti che avvengono nella nazione» e aggiungeva: «Ci sarà un sorprendente cambiamento in Francia» - un cambiamento del quale «l’intero mondo sarà contento, tranne il clero, i monaci e i gesuiti.- Ci si può chiedere quali siano le ragioni in base alle quali io credo sia la Francia - e non un altro regno - ad essere indicata da questa decima parte della città che cadrà in seguito al terremoto. Le mie ragioni sono queste: per prima cosa prendo per concesso che la città qui menzionata sia Babilonia, cioè l’impero papale, la chiesa di Roma, l’impero dell’Anticristo. Questo è stato provato. In secondo luogo prendo per scontato che la Francia sia una delle dieci corna, uno dei dieci stati che dovevano formarsi, secondo Daniele, sulle macerie dell’Impero Romano e che, secondo san Giovanni, sarebbe sorto con la bestia, cioè con l’Impero Papale. Questo risulta evidente dalla storia. La monarchia francese come del resto tutti gli stati vicini, fu stabilita sulle rovine dell’Impero Romano e andò crescendo nello stesso tempo come il vescovo di Roma. In terzo luogo, prendo per concesso che la Francia è parte della grande città e cioè dell’Impero papale». 92 91
P. Jurieu, o.c., t. II, pp. 191,266,175,176. P. Jurieu aggiungeva: «Quale è la decima parte della città che deve cadere? Non ci possono essere dubbi: si tratta della Francia. Questo regno costituisce la parte più consistente delle dieci corna o stati che un tempo costituirono la grande città babilonese. Essa cadde. Ciò significa che la monarchia francese sarà ricostituita: essa può essere umiliata. - Chi deve dare inizio a questa ultima rivolta? Molto probabilmente la Francia; non la Spagna immersa nella superstizione e si trova sotto la tirannia del clero oggi più di prima. Non l’imperatore che nelle cose temporali è soggetto al papa e permette che nei suoi stati insegni l’arcivescovo di Strigonia, che il papa gli possa togliere la corona imperiale. Non può essere nessun altro paese se non la Francia che già da tempo aveva cominciato a sottrarsi al giogo di Roma. - Siccome la decima parte della città che deve cadere è Francia, ciò mi fa credere che la morte dei due testimoni abbia una particolare relazione con questo regno» Idem, ed. inglese pp. 265,266,267.
92
PHILIPOT Jacques Philipos, Eclarcissements sur l’Apocalypse de S. Jean, Amsterdam 1687, pp. 208,209.
Drue Cressener, professore all’Università di Cambridge nel 1689, nella sua opera The Judgements of God Upon the Roman Catholich Church - Il Giudizio di Dio sulla Chiesa Cattolica Romana, dopo aver fissato l’inizio del regno della bestia o del piccolo corno di Daniele, pone lo scadere del suo dominio alla fine dei 1260 anni. Scriveva: «La prima apparizione della bestia era al tempo dell’imperatore Giustiniano che governava dall’Impero d’Oriente. Da quel momento fino al 1800 ci sono circa 1260 anni». Dopo aver criticato le date che fanno iniziare il periodo profetico prima che la città di Roma venisse liberata dal potere dei Goti da parte del generale Belisario, precisava: «Perché se l’inizio della bestia era al tempo del recupero dell’autorità di Roma da parte di Giustiniano, la fine non può avvenire che poco prima dell’anno 1800».93 Anche Lord Chesterfield nel 1753 presagiva l’inizio di una grande rivoluzione in Francia.94
Studiosi contemporanei alla Rivoluzione francese e degli anni successivi sono consapevoli di vivere la realizzazione della profezia In questa sezione presenteremo alcuni esempi di credenti che colsero nel loro tempo il compiersi della parola di Dio. James Bicheno, ministro di culto dissidente ed insegnante a Newberry in Berkshire e a Londra fu autore di numerose opere tra cui I Segni dei Tempi; o abbattimento della tirannia papale in Francia, preludio della distruzione del papato e del suo dispotismo, pubblicata per la prima volta nel 1793, ebbe una ristampa americana nel 1794 e la sesta edizione nel 1808. Nel suo scritto considerava i tremendi giudizi inflitti dai rivoluzionari francese al papato come una retribuzione per la sua secolare persecuzione dei santi.95 Il 28 febbraio 1794 Joseph Priestley nella sua predica, dopo aver citato Sir Isaac Newton, Whiston, e Clarke, sostenendo che l’infedeltà papale avrebbe messo fine alla propria tirannia, diceva: «Questo grande evento rappresentato dall’ultima rivoluzione in Francia appare a me, come anche a molti altri, essere l’adempimento probabile delle parole di Apocalisse XI:13. Un terremoto, come ho osservato, può rappresentare un grande sconvolgimento e rivoluzione negli stati, e poiché i domini papali erano 93
CRESSENER Drue, The Judgements of God Upon the Roman Catholich Church - Suppositions and Theoremus, Printed for Richard Chiswell, London 1689, pp. 309,312; cit. E. Froom, o.c., p. 596. Non condividiamo il pensiero di questo autore, come di molti altri, quando mette in parallelo nella sua opera, le trombe, i sigilli e le ultime piaghe. Riteniamo però utile segnalare che questo autore, come molti altri, già metteva in relazione le piaghe con la futura caduta di Roma. 94 95
E. Froom, o.c., vol. II, p. 731.
BICHENO James, The Signs of the Times; or the Overthrow of the Papal Tyranny in France, the Prelude of Destruction to Popery and Despotism; but of Peace to Mankind. A New Edition With... an Appendix, Containing Thoughts on the Fall of the Papal Government; ... with a Symbolical Vocabulary, for the Illustration of the Prophetic Style, London 1799, pp. 10-13. Questo autore data l’inizio dei 1260, 1290 e 1335 anni dal 529 quando venne pubblicato per la prima volta il Codice di Giustiniano. Questi periodi scadono rispettivamente nel 1789, 1819 e 1864.
divisi in dieci parti, una delle quali, la principale di esse, era la Francia, essa è giustamente chiamata una decima parte della città, o della mistica Babilonia. È cosa notevole che i re di Francia furono tra quelli che diedero ai papi il loro potere temporale e la posizione che ora occupano fra i principi del mondo».96 Su Missionary Magazine di Londra il 24 luglio 1795 appaiono due articoli di George Bell. Nel primo afferma che l’Anticristo sorge nell’Impero Romano occidentale non prima del 407, non può sorgere che dopo il «sovvertimento del governo imperiale di Roma», e «questo ostacolo viene rimosso nell’anno 476» sotto Augustolo. Allora i re Goti scelsero Ravenna come sede del loro governo e rimasero in Italia dal 476 al 553, ma «persero il governo di Roma nell’anno 537». Conclude: «Se questa è una giusta applicazione degli eventi della profezia, allora l’Anticristo sorse nel 537 o al massimo nell’anno 553. Sussiste per 42 mesi, o 1260 giorni profetici, cioè 1260 anni, (Apocalisse XIII:5); conseguentemente noi possiamo prevedere la sua caduta nell’anno 1797, o 1813».97 Nel secondo articolo si concentra sulla data di Giustiniano quando il suo esercito comandato dal generale Belisario si avvicinò a Roma, la quale aprì le sue porte nel dicembre del 537, segnando così il trasferimento dell’imperatore romano a Costantinopoli e i Goti a Ravenna. Bell dice che il pontefice è lasciato, per così dire, «come il principale governatore di Roma». Il terremoto annunciato da Giovanni «significa rivoluzione», e la Francia come «uno dei dieci regni sotto il dominio di Roma sarebbe caduto o si sarebbe ribellato alla sua giurisdizione» e aggiunge: «Non abbiamo noi un buon argomento per sperare che l’adempimento delle profezie, relative al levarsi dei testimoni ed alla caduta dell’Anticristo siano vicini, imminenti?».98 La scossa causata dalla Rivoluzione francese, spinse la Chiesa protestante a ritornare alle Scritture. Così nel periodico Missionary Magazine, edito ad Amburgo nel 1796, venne affermato: «Col generale consenso della profezia, il Regno dell’Anticristo si avvia verso la fine.- Questo verrà ad appianare la via in vista dell’abbattimento di ogni sistema mediante il quale è stato sostenuto l’impero dell’iniquità e dell’errore. Esso verrà sostituito dall’età della ragione e dalla verità».99 In un articolo apparso in London Baptist Annual Register, scritto da un ecclesiastico americano, la cui lettera di accompagnamento datava 31 marzo 1798, prima che la notizia dell’imprigionamento del papa fosse conosciuta sia in Inghilterra che in America, si legge: «Lettera sulla profezia con particolare riferimento alla caduta di Roma per mano dei francesi.- Noi non siamo in grado di poter fissare accuratamente il significato di quelle profezie che stanno per adempiersi, come potremo fare tra alcuni anni. Però io non posso fare a meno di pensare che Roma cadrà nelle mani dei francesi e che il papa sarà privato di tutti i suoi domini temporali, cioè presto egli cesserà di essere una bestia... Io mi aspetto che tutto ciò sia vicino, 96
PRIESTLEY Joseph, The Present State of Europe Compared with the Ancien Prophecies; A Sermon, preached February 28, 1794, J. Johnson, London 1794, pp. 25-27.
97 98 99
BELL Geroge, in Missionary Magazine, London, vol. IV, pp. 54,55. Idem, p. 09,99,104. Missionary Magazine, vol. I, Edimburg, p. 185.
imminente e che forse si realizzerà prima che questa lettera giunga in Gran Bretagna. Il papa, privato dei suoi beni temporali altro non sarà che un falso profeta, e allora suonerà la seconda tromba».100 L’editore scriveva a commento: «Le congetture relative al rapido crollo del papato civile, si sono realizzate in modo notevole. Esse si sono realizzate pochi giorni prima che scrivesse, sebbene non potesse saperlo. Molti prevedono che le attuali condizioni dell’Europa siano intese a produrre, e produrranno, la rovina del papa e dei turchi e di tutti i governi anticristiani che li sostengono».101 Nel 1798 Richar Duppa pubblicò un’opera dal titolo: Breve resoconto della sovversione del governo papale, nella quale scrive: «Fu scritto con la più stretta aderenza alla verità. I fatti sono ricordati da uno che fu testimone degli eventi. Dopo un periodo di nove anni nessuna parte è stata invalidata».102 Il 5 giugno del 1798 Francis Wrangham, professore al Magdalene College di Cambridge e arcivescovo di York, pronunciava un importante sermone dal titolo Roma è caduta. Si ispirava ad Apocalisse XIV:8 e applicava il testo di Apocalisse XVI:17,18 alla caduta di Roma e diceva: «È fatto. E si fece un gran terremoto...» e ora, nel 1798: «Quale protestante non si rallegra all’udire che quei tuoni alla fine sono silenziosi, tuoni che si erano fatti udire durante un lungo periodo nel quale il Vaticano aveva per così dire sconvolto l’Europa minando la fedeltà dei sudditi e sbalzando i principi dai loro troni? Quale amante della pace non esulta sapendo che quei fulmini che così spesso scossero il simbolico ulivo della cristianità, sono per sempre cessati? Dobbiamo noi, che ardentemente desideriamo l’adempimento delle profezie, piangere sulla loro realizzazione?».103 Il 13 agosto 1798, quindici giorni prima della morte di Pio VI deportato in Francia a Valenza, Richard Valpy predicando un sermone basato sul testo di Matteo XXIV:44 dal titolo Anche voi siate pronti, davanti alle associazioni di lettere, espose gli importanti eventi della primavera di Roma come adempimento della conclusione del periodo profetico dei 1260 anni. Tale sermone venne poi pubblicato dalle associazioni davanti alle quali era stato predicato. «Fra le profezie che debbono avere suscitato la vostra attenzione, vi sono quelle relative al presente stato di Roma. Se con tutti i commentatori protestanti noi vediamo il pontefice romano rappresentato sotto gli emblemi figurativi usati dall’autore dell’Apocalisse, oltre che dalla descrizione fatta dall’apostolo Paolo, saremo colpiti dal letterale adempimento della profezia. Daniele 100
Baptist Annual Register, gennaio 1799, p. 144. Il corsivo è dell’autore. Cit. da Le Roy. E. Froom, o.c., vol. II, p.
744. 101
Idem, p. 146. Un altro contributo nella stessa pubblicazione afferma il suo convincimento che la decima parte della città significa «una delle dieci divisioni della grande città babilonese... o regno d’Europa» che corrisponde alla Francia. Lo scrittore conclude dicendo: «Gli uomini siano abbastanza saggi per vedere quello che Dio sta facendo. La generale insensibilità della Chiesa di Cristo mi allarma più d’ogni altra cosa» Idem, p. 147. 102
DUPPA Richard, A Brief account of the subversion of the Papal Government, 1798, 3a ed. John Murray, London 1807, prefazione.
103
WRANGHAM Francis, Rome is Fallen! A Sermon, 1798, Wilson, Spence and Mawman, York 1798, pp. 19,12. Pur condividendo il pensiero dell’autore non accettiamo i testi biblici citati che hanno una realizzazione futura.
e Giovanni citano il periodo dei 1260 anni che va dallo stabilimento di quel governo alla sua estinzione. Nel 538 fu abolito in Roma il dominio dei Goti104 e da quel tempo il potere pontificio andò sempre più crescendo fino a diventare in Europa il dominio più esteso. Se questa epoca è accettata, il periodo menzionato dai profeti fissa la distruzione dell’autorità pontificia all’anno nel quale il papa fu costretto a lasciare Roma dall’esercito di Francia».105 Nello stesso anno Edward King scriveva: «Il potere papale a Roma un tempo era considerato così terribile e dominatore da non prendere fine! Ma soffermiamoci un momento: Non era questa fine predetta nelle sacre profezie per la fine dei 1260 anni? Non fu predetta da Daniele per la fine di un tempo, dei tempi e la metà di un tempo? Ed ora vediamo, ascoltiamo e comprendiamo. Questo è l’anno 1798. Proprio 1260 anni fa all’inizio dell’anno 538, Belisario mise fine all’impero e al dominio dei Goti a Roma. Egli entrò trionfante in Roma il 10 del precedente dicembre in nome di Giustianiano imperatore di oriente. A nessun potere a Roma si poteva dire “dominatore della terra” eccetto al Pontificio Potere Ecclesiastico».106 Charles Daubeny, in un discorso dal titolo La Caduta di Roma Papale, anche questo pronunciato nello stesso anno, 1798, enfatizzava il ritorno del Signore presentando il compimento ultimo della profezia come assicurata da quanto si era compiuto recentemente. «Il potere papale è stato a lungo sul punto di declinare. Esso subì una irrecuperabile ferita all’epoca della Riforma protestante. Da allora andò sempre più declinando fino a raggiungere una insignificante preparazione per la sua estinzione finale. Quell’evento sta ora verificandosi, evento nel quale tutte le nazioni sono più o meno coinvolte. Nell’adempimento di una importante profezia che rispecchia il progresso del regno di Cristo sulla terra, quale nazione può disinteressarsi? Noi abbiamo visto quella nazione, i cui precedenti sovrani molto contribuirono all’elevazione del trono pontificio, usata ora come il più immediato strumento nella mano di Dio per abbattere il proprio idolo che era stato eretto nel tempio».107 Nel 1802, tre anni dopo la morte di David Simpson, si stampava la sua opera nella quale si legge: «Non è particolarmente notevole quale potente conferma della veridicità delle Scritture che i 1260 anni scadono nell’attuale anno 1798 e iniziarono nell’anno 538, quando Belisario pose fine all’Impero dei Goti a Roma non lasciandovi altro potere se non quello del vescovo di quella metropoli? Leggete 104
Sempre R. Valpy nel suo sermone precisa più avanti: «Nel 538 i Goti furono cacciati da Roma e in quel tempo, a seguito dei suoi intrighi segreti con l’astuta Teodora, a Vigilio fu promessa la dignità papale, che acquistò con 200 libre d’oro, prova inequivocabile del carattere dell’“uomo del peccato”. Durante il pontificato di Vigilio le pretese dei successori di San Pietro cominciarono ad essere apertamente affermate e poco dopo la loro supremazia venne riconosciuta pubblicamente. Fu allora che il papa assunse il titolo di Vicario di Gesù Cristo... Allora anche il celibato (ecclesiastico) venne imposto. L’uso dell’acqua santa fu pubblicamente raccomandata da Vigilio nel 538» VALPY Richard, A Sermon Preached August 13, 1798, in Sermons Preached on Public Occasion. With Notes, and an Appendix, vol. I, Sold by Longman, London 1811, p. 258. 105
Idem, pp. 146,167.
106
KING Edward, Remarks on the Signs of the Time, London 1798; ristampa di Jas. Humpherys, Philadelphia 1799, pp. 18,19.
107
DAUBENY Charles, The Fall of Papal Rome, T. Cadell, Jun., and W. Davis, London 1798, pp. 26,27,30.
queste cose nelle Scritture profetiche paragonandole col presente stato dell’Europa e allora, ripeto, non potrete negare la verità della rivelazione divina. Aprite gli occhi e guardate queste cose adempiersi in faccia al mondo intero. Quanto sta succedendo non si compie in un angolo». Nella pagina precedente si era chiesto: «Non vi sono abbastanza predizioni che si stanno realizzando sotto i nostri occhi? Non sembra che questi 1260 anni siano sul punto di spirare?».108
Nel terremoto della Rivoluzione settemila nomi furono soppressi «In quell’ora si fece un gran terremoto, e la decima parte della città cadde, e settemila persone furono uccise nel terremoto: e il rimanente fu spaventato e dette gloria all’Iddio del cielo».109 J. Vuilleumier sintetizza come segue quanto già estesamente abbiamo riportato sopra: «Quest’ultimo quadro riassume tutto l’aspetto politico di questa immemorabile tragedia. Si abbraccia in un colpo d’occhio “l’immensa commozione” (Michelet) che, a dire di Lamartine, fece della Francia “un vasto cimitero... Fucilate a Tolone, mitragliate a Lione, annegamenti a Nantes, ghigliottina a Parigi, imprigionamenti, denunce, sequestri, terrore dappertutto, la Francia sembrava una nazione conquistata e devastata da una di quelle grandi invasioni di popoli che spazzavano vie le vecchie civiltà alla caduta dell’Impero Romano... Il re fu ucciso. Tutti i troni tremarono; tutti i popoli indietreggiarono di stupore e di orrore davanti a questo sacrilegio della regalità”.110 La decima parte della città cadde. Espressione lapidaria che riassume tutto ciò che si è visto con una meravigliosa brevità: una decima parte della cristianità, uno dei suoi dieci regni, quello che occupa la terra magnifica dei Galli, stramazzò al suolo, politicamente, economicamente, moralmente, religiosamente. E tutto questo, per aver sconosciuto e bandito i Due Testimoni che avrebbero potuto fare della sua storia un susseguirsi incomparabile di Gesta Dei per Francos!».111 Chi sono le settemila persone che perirono? Le versioni che adottano le varianti del manoscritto Vaticanus traducono: «Perirono nel terremoto settemila nomi d’uomini», o: «settemila titoli d’uomini perirono».112 «Si afferma che i titoli della nobiltà aboliti dai diversi governi rivoluzionari, dal 1789 al 1797, si elevano alla cifra approssimativa di settemila».113 108
SIMPSON David, A Plea for Religion and Sacred Writings: Addresed to the Disciples of Thomas Paine, and Wavering Christians of Every Persuasion, With an appendix, etc., Printed for J. Mawman, London 1802, p. 166.
109 110 111
Apocalisse 11:13. LAMARTINE, Histoire des Girondins, t. VI, Capolago, p. 28; cit. J. Vuilleumier, o.c., p. 182. J. Vuilleumier, o.c., 182,183.
112
Vedere: The Greek New Testament, Edited by Kurt Aland, Mathew Black, Carlo M. Martini, ecc. in cooperazione con l’Institute for New Testament Textual Research, 2a ed, United Bible Societies. Vedere il manoscritto Vaticanus.
113
J. Vuilleumier, o.c., p. 183.
Uccisione e resurrezione dei due testimoni Uccisione dei due testimoni «E quando avranno compiuta la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso muoverà loro guerra e li vincerà e li ucciderà. E i loro corpi morti giaceranno sulla piazza della gran città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il Signore loro è stato crocifisso. E gli uomini dei vari popoli e tribù e lingue e nazioni vedranno i loro (dei due testimoni) corpi morti per tre giorni e mezzo, e non lasceranno che i loro corpi morti siano posti in un sepolcro».114 Dall’abisso sorge la bestia, quale inizio di una nuova era dove la funzione dello Stato, la politica, dovrebbe orientare la società verso orizzonti migliori rispetto al passato. Al tempo della Rivoluzione francese, un momento di transizione, in un desiderio di rinnovarsi, di cambiare, di migliorare, con l’acqua sporca si gettò via anche il bambino: i due Testimoni, che già avevano subito dure vessazioni e profonde violenze, che avrebbero dovuto salvaguardare il Paese e operare in favore del bene del mondo, furono considerati la causa di tanta ingiustizia e miseria intellettuale e vennero uccisi. La Rivoluzione ebbe come motto LIBERTÉ, EGALITÉ, FRATERNITÉ. Inizia, su una piazza dell’impero latino, una nuova fase della storia, la sesta, ed è rappresentata da una delle sette teste della bestia, e darà nel tempo alle nazioni europee dei governi democratici. Il giro di pagina della storia avviene in modo drammatico, dall’abisso: «Il popolo francese si erge in un movimento di collera brutale. Esasperato, accecato, simile ad una bestia selvaggia attanagliata dalla fame, si ripercuote sul clero, sulla nobiltà, sul trono. Rovescia tutto davanti a lui. Non fa distinzione tra religione della Bibbia e quella di Roma, confondendo la libertà con il libertinaggio, innocenti e colpevoli, calpesta i comandamenti di Dio e le prescrizioni degli uomini, la fede nel Creatore e la fede nella creatura, le barriere della superstizione e quelle della morale».115 Il silenzio della testimonianza della Chiesa può essere sì motivo di rallegramento per una parte degli abitanti del mondo, ma la conseguenza è quella del terrore causata da un gran terremoto.
114 115
Apocalisse 11:7-9. J. Vuilleumier, o.c., p. 172.
Il testo biblico pone la morte dei due testimoni alla fine della loro testimonianza quando finisce un’era della storia dell’Europa e ne inizia un’altra. Studiosi come Elliott e Barnes hanno storicizzato questo testo nel tempo che ha preceduto la Riforma e hanno messo in relazione la resurrezione dei testimoni nella Riforma stessa. Guinness scriveva: «L’inquisizione ha continuato la sua opera di persecuzione con i suoi 44 inquisitori generali fino al 1820, quando finalmente cessò. Ma come prima del Concilio Laterano del 1514 i testimoni avevano testimoniato in Francia, Spagna, Piemonte, Italia e Boemia, mediante la spada, la tortura, il rogo sono stati resi al silenzio. In Inghilterra i Lollardi furono estinti. In quel tempo (1514) nessuno era rimasto per testimoniare la verità del Nuovo Testamento. L’oratore della sessione, che salì sul pulpito, si rivolse all’assemblea dei membri del Concilio Laterano, con una memorabile esclamazione di trionfo: “È finita la resistenza alla regola del papa e alla religione; non ci sono più oppositori». 116 Tre anni e mezzo dopo, il 31 ottobre 1517, Lutero affiggeva le sue tesi a Wittemberg. «La voce di un oscuro monaco attraversò l’Europa, come un potente tuono; svegliando gli uomini dal sonno dei secoli e scuotendo dalle sue fondamenta il dominio usurpatore del Romanismo. In Lutero e nei Riformatori risorsero dalla morte i testimoni trucidati a causa della verità dell’evangelo, stando in piedi davanti a Roma e davanti al mondo».117 Nel XIX secolo questo capitolo XI di Apocalisse è stato applicato al tempo della Rivoluzione francese e crediamo che corrisponda meglio al senso della rivelazione. I due testimoni saranno colpiti su una piazza della grande città, dove rimarranno uccisi per tre anni e mezzo suscitando grande stupore. «Sulla piazza della grande città», nel Regno di Francia, «durante il Terrore, la religione cristiana è stata abolita dai capi della Nazione, e sostituita con il culto della Ragione».118 Un calendario che rompe con la tradizione cristiana è votato il 5 agosto 1793. Il 7 novembre l’ateismo è ufficialmente proclamato. Il 10 novembre il culto alla Ragione, la cui dea viene rappresentata sotto l’immagine di una attrice dell’Opera, è inaugurato e osannato alla Convenzione e a Notre-Dame. Il 30 brumaio119 del II anno della repubblica (20 novembre 1793), la Convenzione abolisce ogni forma di culto; e tutto viene fatto con bande, canti e danze. «Il 3 frimaio dell’anno secondo (24 novembre 1793) il Comune di Parigi votò la seguente delibera: Poiché il popolo di Parigi ha dichiarato di non riconoscere nessun’altra religione se non quella della Verità e della Ragione, il Consiglio generale del comune ordina: 116
GUINNESS H. Grattan, History Unveiling Prophecy, New York 1905, p. 111 Idem, p. 115. 118 ROSSELET d’IVERNOIS Gustave-Adolphe, L’Apocalypse et l’Histoire, t. II, Paris 1878, p. 173. 117
119
2o mese del calendario rivoluzionario, dal 23 ottobre al 21 novembre.
Che tutti i sacerdoti e i ministri di qualsiasi religione siano ritenuti responsabili di tutti i disturbi derivanti da opinioni religiose. Che chiunque chiederà l’apertura di una chiesa o di un tempio venga arrestato».120 Il cristianesimo è finalmente abolito. I due testimoni vengono uccisi sulla piazza dello Stato di Francia. «Chi è l’Eterno perché lo si obbedisca? Io non lo conosco». Si è confuso il cristianesimo con la caricatura che ne ha dato il papato. J. Vuilleumier così descrive quella pagina di storia. L’oratore Dubois proclama: «“La ragione ha una grande vittoria sul fanatismo, una religione di orrore e di sangue è annientata; dopo diciotto secoli essa non ha causato che dei mali alla terra, e la si nomina divina... Le guerre dei crociati, dei Valdesi, degli Albigesi, i Vespri siciliani, il massacro della San Bartolomeo, ecco la sua opera, ecco i suoi trionfi: che sparisca dalla superficie della terra, e la felicità rinascerà; gli uomini non saranno più che un popolo di fratelli e di amici. Questo giorno non è lontano, io oso predirlo... Noi giuriamo (tutti alzino la mano) di non aver altro culto che quello della Ragione, della Libertà, dell’Uguaglianza, della Repubblica!” Un grido unanime parte da tutti gli angoli della sala: “Lo giuriamo! Viva la Repubblica!” Il discorso e il giuramento sono accolti con il trasporto di una gioia universale. Il presidente dice: “In un istante, voi fate entrare nel nulla diciotto secoli di errori... L’assemblea riceva il vostro giuramento nel nome della patria”. Tutte le voci: “Noi lo manterremo”».121 Il Club del Museo aveva annunciato alla Convenzione che i cittadini di questa sezione hanno fatto giustizia di tutti i libri della superstizione e della menzogna. Breviari, libri di preghiere, Antichi e Nuovi Testamenti hanno espiato nel grande fuoco le follie che essi hanno fatto commettere al genere umano. A Lione, dopo aver fatto bere del vino ad un asino, in parodia della santa cena, gli si fa trainare una Bibbia attraverso le strade. Durante questa mascherata empia, si adora un convenzionale morto per la causa, poi si conduce in processione l’asino incappucciato da una mitria, e si brucia in seguito un Evangelo e un crocifisso. Nel suo numero del 1° frimaio,122 Le Moniteur pubblicava una lettera di Rochefort nella quale si leggeva: «Ieri, giorno della Decade, si sono cancellate le ultime tracce degli onori superstiziosi: un grande rogo elevato sulla piazza portava in stendardo un gran numero di immagini e di quadri prelevati dalle chiese. I1 pubblico ha coperto il rogo con 5 o 6.000 volumi in mezzo a canti della repubblica. I libri piovevano da tutte le parti e perfino gli Ebrei che abbiamo in questa città sono venuti solennemente portando i loro e rinunciando così alla ridicola attesa del Messia. La massa dei libri portati è stata tale che il fuoco acceso non era ancora spento alle dieci di questa mattina. È così che gli abitanti di Rochefort hanno terminato lo spogliamento delle 120
AULARD François Victor Alphonse, The Franch Revolution, a Political History (1789-1804), vol. III, tradotto da Bernard MIALL, sulla 3a ed., New York 1910, p. 161. 121 122
Gazzetta Nazionale o Moniteur del 14 novembre 1793; cit. J. Vuilleumier, o.c., pp. 173,174. 3o mese del calendario rivoluzionario, dal 21 novembre al 20 dicembre.
loro vecchie superstizioni e da un mese sono i primi che hanno dato l’esempio a tutta la Francia». Nel dipartimento del Nord dappertutto si chiudono le chiese, si bruciano i confessionali e i santi, si fanno delle palle di cannone con i libri di liturgia sacra. Tutti i cittadini gridano: «Ci si sbattezza in massa. I preti bruciano le loro lettere di sacerdozio. A Nantes, dei roghi sulla piazza pubblica bruciano le statue, le immagini, i libri sacri... Il delirio e il furore sembravano aver afferrato il popolo. Questo inebriamento portava le masse ai più odiosi eccessi contro i templi, gli altari, le immagini del vecchio culto e pure contro i sepolcri dei re. Si assistette alle profanazioni e alle devastazioni dei templi, alla dispersione dei fedeli, all’imprigionamento e al martirio dei preti che preferivano la morte alla apostasia».123 La reazione contro la cattolicità coinvolse tutti i culti. Di fronte a questa azione irresponsabile ed irragionevole, delle voci meravigliate si levarono in Europa facendo sentire il proprio sdegno per condannare l’azione empia che avrebbe causato la decomposizione della società. Lavater, predicatore di Zurigo, dopo aver detto che nessuna nazione aveva così beffato impunemente la religione, sconcertato grida: «O Francia! Esempio senza esempi, non ci servirai tu di avvertimento. Non ci insegnerai tu a quale livello può scendere un popolo che - credendo di aver raggiunto le sommità del progresso blasfema il giuramento, la coscienza e la religione?». Burke, uomo di Stato inglese, qualificava ciò che avveniva in Francia una: «Epidemia di fanatismo ateo», «furore maligno», e vi vedeva una «ulcera che avrebbe generato la corruzione dei costumi e la decomposizione della società».124
Rallegramenti per la loro morte
«E gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti avranno tormentato gli abitanti della terra».125 In contrapposizione alle voci di protesta una folla di indifferenti e di deliranti giubilarono, applaudendo gli spettacoli sacrileghi che incoraggiarono la Francia nella sua incredulità, come Giovanni aveva scritto.
123
Lamartine, o.c.; cit. da J. Vuilleumier, o.c., pp. 174,175.
124
Revolution Almanac 1794, pp. 25-39. Works, vol. V, p. 140; vol. VII, pp. 40,169,170; cit. J. Vuilleumier, o.c., pp. 175, 176. 125
Apocalisse 11:10.
«I professori tedeschi si estasiavano davanti... a questa canaglia parassita... Tutto il fango dell’Europa si solleva e tende verso Parigi per un movimento di affinità» constatava J. de Maîstre.126 La Francia cessò di essere un sostegno papale e fino alla rivoluzione russa fu la sola nazione che, per un voto unanime del proprio governo, abbia decretato l’inesistenza di Dio.
Resurrezione dei due testimoni dopo tre anni e mezzo «In capo ai tre giorni e mezzo uno spirito di vita procedente da Dio entrò in loro, ed essi si drizzarono in piè e grande spavento cadde su quelli che li videro. Ed essi udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: “Salite qua”. Ed essi salirono al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro».127 «Tutti gli antichi Padri della Chiesa hanno riconosciuto che questi tre giorni e mezzo dovevano essere degli anni; e si richiamano espressamente, per questo senso, alla regola di Mosè e di Ezechiele».128 A «tutti i Padri della Chiesa» fanno eccezione, come dice Elliott, Andreas e Bede.129 Il pastore P. Jurieu aveva spiegato più di 100 anni prima del realizzarsi di questi avvenimenti: «La verità sarà messa a morte, ma non sarà seppellita. Il seppellimento è uno stadio successivo alla morte, è sempre unita con la corruzione e la distruzione totale».130 In un’altra sua opera scriveva: «Vale a dire: dopo un breve intervallo in cui verranno oppressi quelli che professano la verità, Dio susciterà nuovi predicatori, comunicherà un nuovo zelo alle anime addormentate, tanto che la verità, ritenuta morta, riapparirà più vivente che mai; e salirà in cielo. Immagine, questa, tolta dall’ascensione di Gesù Cristo, come quelle della morte e della crocifissione dei testimoni sono tolte dalla morte e crocifissione di Gesù Cristo».131 Questa morte sarebbe durata tre giorni e mezzo, cioè tre anni e mezzo. La Francia stessa non poté sopportare per molto le dure conseguenze della sua rivolta contro Dio e la sua Parola. La famiglia si sgretolava e la società scricchiolava sulle sue basi. A questa vista, il popolo fu preso da un santo spavento e si fermò bruscamente nella sua marcia folle verso la rovina. Nel mese di maggio 1797, al consiglio dei Cinquecento, diversi oratori avevano deplorato la demoralizzazione e il 126 127 128 129 130 131
J. de Maîstre, o.c.; cit. J. Vuilleumier, o.c., p. 176. Apocalisse 11:11,12. L. Gaussen, o.c., t. III, p 341. ELLIOTT Edward-Bishop, Horae Apocalypticae, t. III, 3a ed., p. 236; cit., idem, p. 411, nota c. P. Jurieu, o.c., t. II. JURIEU Pierre, Préjugés légitimes contre le papisme, t. I, Amsterdam 1685, p. 99.
brigantaggio che si spandeva dappertutto. Una commissione fu incaricata di preparare una «nuova legge sui culti». Il sabato 17 giugno, in risposta a dei «reclami venuti da tutte le parti», Camille Jordan, quale presidente, domandò di presentare il suo rapporto. Invitato a farlo nello stesso momento, l’oratore ricordò che «l’opinione pubblica sollecitava da diverso tempo una revisione delle leggi che vertevano sui culti e sui loro ministri». Cominciò a esaltare la necessità della religione per assicurare la felicità e la prosperità di un popolo, e citò, in favore della sua tesi, gli ultimi quattro anni. «La fede in Dio, disse, è per lo Stato una garanzia d’ordine e di stabilità che le migliori leggi sono incapaci di sostenere». Attribuì «i crimini che poco prima dilaniavano l’impero» alla scomparsa della Legge divina nei cuori. Gridò: «Il pensiero di proscrivere tutti i culti in Francia è un pensiero empio... esso è condannato da questa assemblea». Poi proclamò solennemente, di fronte alla nazione e al mondo intero, il ristabilimento della religione: «Che tutti i nostri concittadini siano dunque oggi pienamente rassicurati: che tutti, cattolici, protestanti, coloro che hanno giurato o che non hanno giurato, sappiano che è la volontà del legislatore, come augurio della legge, che essi seguano in libertà la religione che il loro cuore ha scelto. Io rinnovo a loro, nel vostro nome, la promessa sacra: Tutti i culti siano liberi in Francia».132 Il decreto della Convenzione che proibiva in Francia tutti i culti era stato promulgato il 30 brumaio del II anno della Repubblica, cioè il 20 novembre 1793. Un periodo di tre anni e mezzo ci pone al 20 maggio 1797. In quel mese si nominò una Commissione che preparasse una nuova legge sui culti. Camille Jordan proclamò la restaurazione dei culti a nome del Corpo Legislativo il 17 giugno 1797.133
132
J. Vuilleumier, o.c., pp. 176,177. Già CRESSENER Drue (1638-1718) nella sua opera The Judgements of God Upon the Roman Catholick Church Suppositions and Theoremus, Printed for Richard Chiswell, London 1689, un secolo prima aveva previsto questa evoluzione degli avvenimenti scriveva: «Teorema n. 21: “Le piazze della grande Città (Apocalisse XI) sono la Dominazione di Babilonia”. Conseguenza n. 1: “La decima parte della città è la decima parte della dominazione di Babilonia”. Conseguenza n. 2: “La decima parte della città è uno dei dieci regni, che era dato alla bestia”. Teorema n. 25: “L’uccisione dei Testimoni è la feroce persecuzione della Chiesa, e quasi la fine della bestia”. Teorema n. 27: “I tre giorni e mezzo, versetto 9, sono minimo tre anni e mezzo”. Teorema 28: “L’espressione ‘i corpi morti dei testimoni’, non può avere un significato letterale”; perciò (Conseguenza n. 2) “l’uccisione dei testimoni non è un generale massacro dei protestanti,” ma può essere (Teorema n. 29) la “soppressione della vera religione, in tutte le parti della giurisdizione della bestia”. Teorema n. 32: “La resurrezione dei testimoni è la rinascita della vera religione in alcuni dei domini della Chiesa romana dove essa è stata soppressa” - e questa resurrezione “non è ancora avvenuta”.» Cit. da E. Froom, o.c., vol. II, pp. 594,595. 133
Questo nostro modo di spiegare il testo biblico ha fatto sorgere alcune obiezioni perché, secondo le parole di Giovanni di Apocalisse 11:7, i due testimoni vengono uccisi dalla bestia dopo aver «compiuto la loro testimonianza» cioè dopo i 1260 anni, versetto 3. Quindi dopo il 1798, anno in cui il papato riceve la ferita mortale e viene deportato prigioniero in Francia e non prima, nel 1797. Si può supporre che per la Francia i due testimoni avessero già compiuto il loro mandato al tempo della Rivoluzione e che quindi non avrebbero avuto una ulteriore possibilità di successo. Inoltre la Rivoluzione francese, sebbene abbia una data storica, indica un’epoca. Alla fine del XVIII secolo c’è un cambiamento epocale. Le date hanno valore indicativo, come la Rivoluzione è stato il detonatore di un passaggio di un’era ad un’altra. Il nostro Capitolo V, p. 256 e seg., presenta diverse date per l’inizio e la fine dei 1260 giorni profetici. Il 1798 è quella più accreditata presso i commentatori.
Erano passati 3 anni, 6 mesi e 78 giorni.134 Crediamo che la parola di Dio abbia avuto il suo compimento. La Dea Ragione, l’idolo di questo mondo, ha fallito. «L’uomo non vive di solo pane, ma di ogni Parola che proviene dalla bocca di Dio». La religione riprende a vivere in Francia. Rallegramenti per la loro resurrezione
«Ed essi udirono una gran voce dal cielo che diceva loro: Salite qua. Ed essi salirono al cielo nella nuvola, e i loro nemici li videro».135 «Salite qua. Ed essi salirono al cielo». È un’espressione eloquente con la quale Giovanni indica il risorgere della fede, il trionfo della Parola di Dio e l’eternità per coloro che in un mondo in rivolta hanno posto la loro fiducia nell’Eterno. Il secolo XIX viene chiamato il secolo della Bibbia e delle Missioni. Tra il 1792 e 1822 nacquero le Società Bibliche, piccoli e grandi, sia in Francia sia in Europa. Tra le più importanti indichiamo: nel 1818, la Società Biblica Protestante di Parigi; nel 1820, La Società Biblica Britannica e Forestiera aprì a Parigi la sua agenzia e il ministro della Pubblica Istruzione, nel 1831, fece richiesta di 20.000 copie del Nuovo Testamento; l’anno successivo i membri del Consiglio reale comandarono 40.000 Nuovi Testamenti per distribuirli nelle scuole di sedici dipartimenti. L’elenco dell’ascesa dei Testimoni può essere allungato. Limitiamoci a dire che oggi la Bibbia è tradotta in tutte le lingue e in moltissimi dialetti e il numero delle copie stampate è incalcolabile.
Conseguenze della Rivoluzione francese È un fatto per gli storici che la Rivoluzione francese segnò una svolta e un cambiamento importante di era nella storia. Pone fine - con le guerre di Napoleone che seguirono fino alla sua definitiva sconfitta di Waterloo nel 1815 - ad un periodo piuttosto lungo di relazioni difficili tra le nazioni europee. L’ordine che si era costituito in Europa termina e si ha una svolta radicale nel pensiero sia politico, sia religioso. Lo storico Palmer nella prefazione dell’opera di G. Lefebre, The Coming of the French Revolution affermava: «Ancora oggi, a metà del ventesimo secolo, nonostante tutto quello che è avvenuto di uomini che non sono ancora vecchi, e anche ... in 134
BANHOLZER, Explication de l’Apocalypse, pp. 66, 67. Conta questo periodo dal novembre 1793 al giugno del 1795. 135
Apocalisse 11:12.
America e in altre parti del mondo, nelle quali le nazioni europee non godono più di una posizione di privilegio, si può affermare che la Rivoluzione francese, che si colloca sul finire del diciottesimo secolo, costituì la svolta verso la civiltà moderna».136 A. Soboul, conclude la sua opera, La Rivoluzione francese. con le seguenti parole: «La Rivoluzione francese si pone da allora nel cuore stesso della storia del mondo contemporaneo, all’incrocio di diverse correnti sociali e politiche che hanno diviso le nazioni e le dividono ancora. Figlia dell’entusiasmo, essa infiamma gli uomini con il ricordo delle lotte per la libertà e per l’indipendenza nonché per il suo sogno di uguaglianza fraterna, o suscita invece il loro odio. Figlia dei Lumi, essa attira su di sé gli attacchi concentrati del privilegio e della tradizione o seduce l’intelligenza con il suo immenso sforzo per organizzare la società su basi razionali. Tuttora ammirata o tuttora temuta, la grande Rivoluzione rimane sempre viva e attuale nella coscienza degli uomini».137 Durante la Rivoluzione francese per la prima volta negli annali della storia una assemblea legislativa, nel nome della ragione, ha dichiarato l’inesistenza di Dio, abolito la verità religiosa e il culto divino, cambiato la settimana. Come ogni follia umana produce i suoi frutti, così nel XX secolo la storia assiste ad un altro tentativo che avrà una durata molto più lunga nel tempo, oltre settanta anni, di abolizione delle fede. Così è successo anche in Russia, come reazione a un sistema religioso, che sosteneva il potere politico e da esso era sostenuto, godendo privilegi ed onori a discapito di un popolo diseredato e dominato.
Conclusione Questa pagina di storia che, all’insegna della LIBERATÉ, EGALITÉ, FRATERNITÉ, ha dato all’Europa un nuovo volto, non ha però soddisfatto le esigenze più profonde dell’uomo. Allo scadere dei milleduecentosessanta giorni, al tempo della ferita mortale del papato che segna la sua temporanea decadenza, sul territorio dell’impero latino una nuova fase politica deve caratterizzare l’Europa: la bestia sale dall’abisso. Con questo termine si entra nella VI era della storia illuminata dalla profezia. È notevole constatare che l’Eterno ha rivelato un tornante della storia del nostro pianeta e degli uomini l’hanno compresa più di un secolo prima. La stessa Rivelazione, Apocalisse XVII, ci presenta l’ultima fase della storia universale del territorio dei latini con la bestia che sale nuovamente dall’abisso, cioè da una situazione di catastrofe e di squilibrio sociale simile a quella che ha preceduto la Rivoluzione francese. La Parola del Signore, malgrado gli spaventi che il futuro ci 136
PALMER R.R., prefazione a: LEFEBRE Georges, The Coming of the French Revolution, New York, Vintage 1947, p.
V. 137
A. Soboul, o.c., p. 492.
può paventare, continua ad essere motivo di speranza. Nel sapere che il Signore ha tutto previsto può rasserenare i credenti. Le fasi ultime della storia, rivelate in Apocalisse XVII, avranno dei risvolti ancora più drammatici di quelli del XVIII secolo. Se la Rivoluzione francese ci presenta le pagine tragiche dell’Europa alla fine del XVIII secolo, la storia della VII testa della bestia ha delle conseguenze ancora più gravi, più cariche di drammaticità; violenza, angoscia degli uomini. È la situazione drammatica che precede il trionfo della verità, l’intervento definitivo di Dio nella storia. La messa a fine della ribellione dell’umanità nei confronti dell’Eterno. Sarà una situazione senza precedenti, difficile da immaginare e da descrivere anche perché la Bibbia non ha tanto la funzione di presentarci in anticipo i dettagli della tragedia umana, quanto quella di assicurare al Popolo di Dio che anche in quel momento il Signore è presente e la speranza non verrà meno in chi ha posto la sua fiducia nel «così ha detto l’Eterno». Se i due testimoni di Apocalisse XI hanno «il potere di percuotere la terra con qualunque piaga, quante volte vorranno»,138 e la profezia ci presenta la Rivoluzione francese come conseguenza di una opposizione secolare alla Parola di Dio e ai fedeli del Signore, cosa avverrà alla fine dei tempi quando la bestia raggiungerà la pienezza nella sua opposizione all’Eterno e i governi dell’Europa avranno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia. Guerreggeranno con l’Agnello e l’Agnello li vincerà. E allora le nazioni europee odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda, e mangeranno le sue carni e la consumeranno col fuoco139 e le piaghe, le ultime cadranno sulla terra? In relazione a quel tempo Daniele aveva scritto: «Sarà un tempo di angoscia, quale non se ne ebbe mai da quando esistono nazioni fino a quell’epoca».140 Il Dio della Bibbia è un Dio vivente e si presenta definendosi con queste parole: «Io, io sono l’Eterno, e fuori di me non v’è salvatore. Io ho annunciato, salvato, predetto, e non è stato un Dio che fosse tra voi; e voi me ne siete testimoni, dice l’Eterno: lo sono Iddio. - Confidati nell’Eterno e fai il bene. Non sarai confuso nel tempo dell’avversità, e sarai saziato nel tempo della fame».141
138 139 140 141
Apocalisse 11:6. Apocalisse 17:13-16. Daniele 12:1. Isaia 43:11,12; Salmo 37:3,19.
Capitolo XI ORIGINI E SVILUPPO DEL PONTEFICE MASSIMO «Tu dicevi in cuor tuo: eleverò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio,... salirò sulla sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo» Isaia.1 «Il tuo cuore si è fatto altero, e tu dici: “Io sono un 2 dio! Io sto sopra un trono di Dio”... » Ezechiele. «Tra le diverse forme delle religioni antiche, quella che colpisce di più è forse l’adorazione all’imperatore» abate E. Beurlier.3 «Poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversano, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo che egli è Dio» S. Paolo.4 «Sulle rovine sanguinanti di Bellona e di Marte Un pontefice è seduto sul trono dei Cesari; Dei preti fortunati calpestano con piede tranquillo, Le tombe dei Catoni e la cenere d’Emilio. Il trono è sull’altare, e l’assoluto potere Mette nelle stesse mani lo scettro e il turibolo» Voltaire.
Introduzione Introduciamo la spiegazione del capitolo VIII del libro di Daniele con questa osservazione dell’abate A. Crampon: «La visione presentata in questo capitolo si riallaccia strettamente alla visione del capitolo precedente, che essa sviluppa e chiarisce. Tra le due si pone un intervallo di due anni circa».5 Il capitolo VIII di Daniele è di grande importanza. In esso c’è il testo chiave di tutto il libro ed è collocato proprio nel cuore di questo capitolo. «Dopo duemilatrecento sere e mattine il santuario sarà restaurato nella sua giusta 1 2 3 4 5
Isaia 14:12-14. Ezechiele 28:2. BEURLIER abate E., Le culte imperial son histoire et son organisation, Paris 1891, p. 1. 2 Tessalonicesi 2:3,4. CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. V, Daniel, 1900, nota.
condizione» versetto 14. In questo versetto troviamo per la prima volta il termine ebraico nisdaq (il niph’al forma di sadaq) che gli studiosi associano all’idea di “rivendicazione”, attribuendogli il valore di essere il termine più importante del libro. Questa parola è in relazione con giudizio e giustizia. Lo stesso nome di Daniele abbraccia lo stesso verbo di questo testo ed il verbo stesso è legato ad ogni capitolo del libro, sia storico che escatologico. Daniele significa: “Dio è giudice” e le pagine del libro possono dire che sono una elaborazione del nome del profeta. Il libro inizia con il giudizio di Dio sull’apostasia del suo popolo e si conclude con il giudizio del re malvagio della Babilonia del tempo della fine che attraverso i secoli si è incarnato nei poteri e personaggi che si sono susseguiti.
Quadro profetico «Il terzo anno del regno del re Belsatsar, io, Daniele, ebbi una visione, dopo quella che avevo avuta al principio del regno.6 Ero in visione; e, mentre guardavo, ero a Susan, la residenza reale, che è nella provincia di Elam7; e, nella visione, mi trovavo presso il fiume Ulai. Alzai gli occhi, guardai, ed ecco, ritto davanti al fiume, un montone che aveva due corna; e le due corna erano alte, ma una era più alta dell’altra, e la più alta veniva sull’ultima. Vidi il montone che cozzava a occidente, a settentrione e a mezzogiorno; nessuna bestia gli poteva tenere fronte e non c’era nessuno che la potesse liberare dalla sua potenza; esso faceva quel che voleva e diventò grande. E come io stavo considerando questo, ecco venire dall’occidente un capro, che percorreva tutta la superficie della terra senza toccare il suolo; e questo capro aveva un corno cospicuo fra i suoi occhi. Esso venne fino al montone dalle due corna che avevo visto ritto davanti al fiume e gli si avventò contro, nel furore della sua forza. E lo vidi giungere vicino al montone, pieno di rabbia contro di lui, investirlo, e spezzargli le due corna; il montone non ebbe la forza di 6
7
La data di questa visione viene indicata nel: - 552: P. RIESSLER, Daniel, Wien 1902, p. XI; - 548-547: G.H. HASEL, Andrews University Sem. St., XV, 2, autunno 1977, p. 167; - 538: W.C. SCROGGIE, 1953, p. 420; J. VUILLEUMIER, Daniel, p. 193 che la presenta come anche l’anno della presa di Babilonia da parte di Ciro, che è avvenuta però nel 539. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia.
«Giuseppe, Antichità Giudaiche, X, XI, dice che Daniele aveva costruito a Susa (è così che riporta il manoscritto di Gerolamo, che ha citato questo passo e non a Ecbatana, come riportano quelli stampati), in forma di castello, un edificio celebre, che esisteva ancora al suo tempo e che serviva di luogo di sepoltura al re di Persia e dei Parti. Giuseppe aggiunge che ancora al suo tempo la guardia era affidata a dei Giudei... Ponendo questa città presso Elam, Daniele si esprimeva molto correttamente secondo il linguaggio usato alla corte di Babilonia al tempo di Beltsatsar» FABRE d’ENVIEU Jules, Le livre du prophète Daniel, t. II, Paris 1890, pp. 780,781. Teodoreto pensava che Daniele fosse trasportato a Susa nello spirito. Idem p. 783.
tenergli fronte, e il capro lo atterrò e lo calpestò; e non ci fu nessuno che potesse liberare il montone dalla sua potenza. Il capro diventò sommamente grande; ma, quando fu potente, il suo gran corno si spezzò; e, in luogo di quello, sorsero quattro corna cospicue, verso i quattro venti del cielo... E udii la voce d’un uomo in mezzo all’Ulai, che gridò e disse: "Gabriele8, spiega a colui la visione". Ed esso venne presso al luogo dove io stavo; alla sua venuta io fui spaventato, e caddi sulla mia faccia; ma egli mi disse: "Il montone con due corna che hai veduto rappresenta i re di Media e di Persia. Il capro peloso è il re di Grecia9; e il gran corno fra i suoi due occhi è il primo re. Quanto al corno spezzato, al cui posto ne sono sorti quattro, questi sono quattro regni che sorgeranno da questa nazione, ma non con la stessa sua potenza».10 Come abbiamo detto, il capitolo VIII riepiloga il precedente con la sola differenza del momento d’inizio.11 Daniele VII Leone orso leopardo bestia innominata piccolo corno giudizio nei cieli bestie distrutte nel fuoco
Daniele VIII Babilonia Medo-Persia Grecia Roma pagana e papale Roma papale
capro montone piccolo corno idem purificazione del santuario corno spezzato senza opera di mano. Il corno pur essendo presentato con delle varianti, per la sua origine, svolge però la stessa opera anche se descritta con particolari diversi. Daniele VII versetto 20 maggiore dei precedenti
Daniele VIII versetto 9 divenne molto grande
8
Il nome di questo angelo appare nell’Antico Testamento, qui e nel capitolo 9:21. Il Nuovo Testamento riporta la sua apparizione in occasione dell’annuncio della natività del Battista (Luca 1:26-31). 9
Javan è il nome del figlio di Japhet (Genesi 10:2), antenato dei Greci. Presso gli Ebrei e i Greci Javan indica gli Ioni. Con Javan «gli antichi popoli orientali comprendevano tutti i regni e tutti i popoli ellenici» A. Crampon, o.c., nota. «Il montone e il capro tra gli animali domestici presentano lo stesso contrasto che c’è tra l’orso e il leopardo (capitolo 7) tra gli animali selvatici. L’uno è pesante e massiccio, l’altro è agile e focoso» La Bible Annotée, Ancien Testament - Les Prophètes, t. II, Daniele, p. 296. Esistono monete con il montone che rappresenta la Persia e con il capro ad emblema della Grecia (SPICER W.A., Tempi odierni alla luce della profezia, London 1917, p. 205). 10 11
Daniele 8:1-8,16,17,20-22.
In questo capitolo non si parla di Babilonia perché questo impero era giunto alla sua fine e stava cedendo il posto alla potenza che la seguiva. Inoltre si può pensare che strategicamente la conquista di Babilonia da parte di Ciro sia iniziata con la campagna militare contro la Lidia nel 547 a.C. (Vedere YOUNG Cuylrt, The Early History of de Mede and the Persians and the archaemenid Empire to the Death of Cambyse, Press University, Cambridges 1988, p. 36.
versetto 25 parole contro l’Altissimo versetto 25 cambia tempi e legge versetto 25 perseguiterà i santi versetto 26 sarà sterminato
versetti 11,25 auto esaltazione versetto 13 calpesterà la verità versetto 10 calpesterà l’esercito del cielo versetto 26 sarà distrutto senza opera umana (vedere anche II:45; VII:26)
Sebbene il capitolo VIII riepiloghi i precedenti esso, però, è anche il preludio di quelli che seguono, i quali dipendono da lui e sono a lui collegati. Le rivelazioni dei capitoli X-XII sono la spiegazione di questo in tempi diversi, perché il profeta non ha potuto sopportare l’interpretazione a seguito del malessere causatogli dalla visione rivelatrice (versetto 27). Infatti dopo il capitolo VIII Daniele non ha più delle nuove visioni, ma la presenza dell’angelo, inviatogli da Cristo Gesù, come avverrà più tardi per Giovanni nell’Apocalisse I:1, con lo scopo di entrare nei dettagli del capitolo VIII, come è precisato in IX:23; X:1,14. Anche dopo questi interventi Daniele non comprenderà tutti i dettagli, i quali, però, nel tempo della fine saranno capiti (XII:10,3,4,). Dal capitolo IX in poi il testo di Daniele ha un valore letterale non essendoci più delle visioni simboliche. Subito dopo il testo di VIII:14 abbiamo le parole di Cristo: «Spiega a costui la visione» 16. Tutto ciò che segue fino alla fine del libro è la spiegazione della visione di questo capitolo.
Daniele VIII - versetto 16 spiega la visione;
Daniele IX-XII - IX:21-23 sono venuto a darti intendimento della visione; - IX:26 distruggerà il santuario; - IX:26 l’unto sarà soppresso;
- versetto 11 santuario abbattuto; - versetto 11 si eleverà contro il Principe dei principi; - versetto 2 ero sulla riva; - versetti 3,20 vidi un montone; - versetti 5,21 vidi un capro, il re diJavan; - versetti 8,22 quattro corna; -
X:4; XII:5 ero sulla riva; XI:2 re di Persia; XI:3 un re potente;
XI:4 il suo regno sarà rotto e diviso ai quattro venti; - versetto 9 uscì un piccolo corno che- XI:30 verranno le navi di Kittim; divenne sommamente grande; - versetto 9 santuario fu abbattuto; - XI:31 profanerà il santuario; - versetti 10,24 distruggerà il popolo dei- XI:35 dei savi saranno abbattuti; santi; - versetto 25 a motivo della sua astuzia- XI:36 il re agirà a suo talento, si farà prosperare la frode, si inorgoglirà... esalterà, si magnificherà al di sopra di insorgerà contro il principe dei principi; ogni dio e proferirà cose inaudite contro Dio; - versetto 17 questa visione concerne il- XI:40 e al tempo della fine; tempo della fine; - versetto 25 sarà infranto senza opera di- XI:45 giungerà la sua fine; mano; - versetto 26 la visione è vera; - XI:2 ti farò conoscere la verità;
- versetto 26 tieni segreta la visione perché- XII:4 tieni nascoste queste parole e sigilla si riferisce al tempo della fine. il libro fino al tempo della fine. Non solo il capitolo VIII è il seme dei capitoli IX-XII, ma è anche il seme dal quale fiorisce tutta l’escatologia del Nuovo Testamento. Non può essere enfatizzato a sufficienza il testo di VIII:14 perché esso assomma i temi dell’intero libro. Il Regno di Dio è introdotto dal giudizio il quale per primo rivendicherà coloro che finora sono stati oppressi e dispersi. I capitoli storici di Daniele presentano le conseguenze del giudizio/intervento del cielo. È probabilmente a questo capitolo VIII con il suo ampliamento in IX:24-27, che si riferisce l’apostolo Pietro quando scrive: «Gli angeli desiderano riguardare ben addentro».12Del resto dal capitolo VIII, ma già nel capitolo VII, il coinvolgimento degli angeli ed il loro interesse per il piano della salvezza non è mai stato così messo in risalto dagli altri scritti sacri. Il tema di tutto questo brano di Pietro è la salvezza e la sua realizzazione nel tempo. Per noi che viviamo nel «tempo della fine» questa profezia è di particolare importanza perché a noi è dato il privilegio di poterla comprendere nella sua pienezza.13 Non pochi sono gli studiosi che pongono in relazione «l’abominazione che causa la desolazione» di Matteo XXIV:15 con il testo di Daniele VIII:13, ampliato in IX:27, XI:31, XII:11. Per questi studiosi le parole di Gesù devono avere una doppia realizzazione: quella già avvenuta nel 70 d.C., al tempo della distruzione di Gerusalemme, e nel futuro. Questa seconda applicazione, che per noi esula dalla struttura del discorso di Gesù riportato nei sinottici, è sostenuta dalla prospettiva escatologica del sermone stesso. Pur non condividendo il percorso, ci sembra interessante la conclusione e può essere armonizzata con 2 Tessalonicesi II:4 le cui parole l’apostolo Paolo riprende da Daniele XI:36. Sebbene l’insegnamento dell’apostolo si sia realizzato nel corso dei secoli, la manifestazione dell’uomo del peccato avrà un’ulteriore e più ampia e completa manifestazione poco prima della sua definitiva distruzione. Naturalmente quel tempo sarà anche di grande distretta per la Chiesa e per difenderla «sorgerà Micael, il gran capo, il difensore dei figli del tuo popolo».14 Medo-Persia Il montone con le due corna rappresenta la potenza medo-persiana. «Sotto questa figura è rappresentato lo spirito guardiano del regno persiano nel libro sacro del Bundehesch. Il re persiano in guerra portava ugualmente al posto del diadema una testa di montone».15
12 13 14 15
2 Pietro 1:12. Daniele 12:4. Daniele 12:2. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 296.
«Il corno più alto rappresentava i Persiani che, dopo essere stati per molto tempo subordinati ai Medi, acquisirono la preponderanza»16 sempre però costituendo un unico impero, un unico potere che la visione rappresenta con un unico animale. «Il montone colpiva con le sue corna gli stati dell’Ovest (Lidia, Asia Minore, Babilonia, e le isole della Grecia), del Nord (Armenia, Coichide, i paesi del Caspio, la Battriana, la Scizia), e del Sud (Egitto, Etiopia, Libia). Il montone non colpiva verso l’Est. Gli voltava il dorso e guardava verso l’Occidente».17 «Non colpisce che i tre lati, sia perché le spedizioni persiane nella parte orientale non hanno avuto nessuna conquista importante e duratura, sia perché il montone è rappresentato come proveniente dall’Oriente e rivolto verso l’Occidente».18 Quando Daniele aveva la visione il capro attaccava la Lidia. Divenne grande, faceva quello che voleva finché sulla scena profetica e nella realtà storica non apparve «un giovane capro, la potenza greca, rappresentata da Alessandro Magno, che oltrepassava, come in volo, tutta la distesa dei paesi che separano la Grecia dalla Persia».19
Grecia Questo capro è la potenza greca20 che nella visione precedente era stata raffigurata dal leopardo con le quattro ali d’uccello, viene da un punto geografico ben preciso: dall’Occidente. Il grande corno corrisponde alla fase iniziale di questo impero, quando il regno era unito sotto il suo fondatore Alessandro il Grande e la sua famiglia e, dopo la sua morte, dai suoi successori immediati. Duecento anni dopo che Daniele ebbe la visione, la storia confermerà la precisa descrizione del profeta.
Alcune date: 334 a.C. attacca l’Impero Persiano e conquista l’Asia Minore; 333 attacca la Siria e l’esercito persiano, condotto dallo stesso re Dario III, viene distrutto; 332 prende Tiro, occupa la Palestina21 e i Persiani vengono esclusi dal bacino Mediterraneo; 331 insegue lo sfortunato Dario, respinge le offerte di pace, attraversa l’Eufrate, passa il Tigri, per la terza volta stermina l’esercito persiano ad Arbela e raggiunge la Meda; 16
A. Crampon, o.c., nota su Daniele 8:3; vedere La Bible Annotée, Idem.
17
J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 794. «Questi tre attacchi corrispondono alle tre costole nella gola dell’orso, al capitolo 7:5» A. Crampon, o.c., nota. 18 19 20 21
La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 296. A. Crampon, o.c., nota su Daniele 8:5. Vedere La Bible Annotée, idem. Daniele 8:21.
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XI, 337 racconta che Alessandro visita Gerusalemme la quale le apre le porte e i capi giudei gli mostrano il passo di questo capitolo.
330
328
prende una dopo l’altra le grandi capitali dell’Oriente: Babilonia, Susa, Persepoli, Pasargade, Ecbatana, si spinge verso le montagne limitrofe del Mar Caspio, facendo con il suo esercito una media di 60/70 chilometri al giorno; raggiunge l’Afganistan. Costruisce una grande flotta, discende l’Indo, fino all’Oceano per poi ritornare a Babilonia dove muore.
Dopo 12 anni di conquiste, a 32 anni, moriva a Babilonia lasciando l’impero con problemi all’interno per la successione. Prima di morire aveva detto ai suoi 34 generali: «Voi mi farete dei funerali sanguinosi... ». Infatti nella lotta che seguì la sua famiglia fu massacrata. Per qualche tempo, sotto la reggenza prima dell’uno poi dell’altro dei generali, governarono il fratello Filippo Arideo e il figlio postumo di Alessandro Magno, Alessandro II, sua moglie Rossana, la madre Olimpia e nel 308 la sorella Tessalonica. Ma poi tutti quanti perirono. E così il «gran corno cospicuo» che il capro aveva fra gli occhi, cioè la stirpe del Macedone, di Alessandro il Grande, venne spezzata.
Nel 306 a.C. alcuni generali presero il titolo di re, ma dopo la battaglia di Isso, in Frigia, nel 301 a.C., l’impero fu diviso in quattro regni indipendenti con qualche frammento trascurabile. L’angelo aveva detto a Daniele, spiegando la visione, che sarebbero sorti dopo di lui quattro regni, situati verso i quattro punti cardinali, che però «non apparterranno alla sua progenie e non avranno la sua stessa potenza».22 «I regni dei diadochi non uguagliarono mai quello del loro fondatore».23 L’abate Fabre d’Envieu commenta: «L’Impero di Alessandro o l’Impero Greco fu continuato sotto la forma di quattro regni greci. Gli Stati del conquistatore formarono quattro monarchie situate verso i quattro punti cardinali: all’Est il regno di Siria con Babilonia e le altre contrade orientali (dinastia Seleucida); al Nord il regno d’Asia con la Tracia (dinastia di Lisimaco); al Sud il regno d’Egitto con la Fenicia e la Palestina (dinastia Tolomaica); all’Ovest il regno della Macedonia e della Grecia (dinastia di Cassandro)».24 Fin qui l’accordo tra i diversi interpreti è pressoché totale.
Quinto corno «E dall’una d’esse uscì un piccolo corno, che diventò molto grande verso mezzogiorno, verso levante, e verso il paese splendido». 25
22 23
Daniele 11:4; 8:22. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 839.
24
Idem, p. 798. The Seventh-Day Adventist Bible Commentary (SDABC) vol. IV, Review and Herald Publishing Association, Washington D.C. 1955, p. 822 così riassume: «Tolomeo ebbe l’Egitto con la Palestina e parte della Siria; Cassandro ebbe la Macedonia con la sovranità nominale sulla Grecia; Lisimaco ebbe la Tracia e una buona parte dell’Asia Minore; e Seleuco ebbe il resto di ciò ch’era stato l’Impero Greco, cioè‚ una parte dell’Asia Minore, il Nord della Siria, la Mesopotamia e l’Est».
25
Daniele 8:9. Da questo testo cessa l’accordo tra gli interpreti.
Prima di continuare nella descrizione dell’opera di questa potenza, vediamo ciò che l’angelo dice sul momento della sua apparizione storica. «E alla fine del loro regno (del regno dei quattro diadochi) quando i ribelli avranno colmato la misura della loro ribellione, sorgerà un re dall’aspetto feroce, ed esperto in stratagemmi».26 J. Fabre d’Envieu precisa: «Il loro regno si riferisce ai regni continuatori dell’impero di Alessandro». 27 Il quinto corno dovrebbe quindi manifestarsi alla fine dei diadochi.
Diverse spiegazioni per identificare il quinto corno Presentiamo 7 spiegazioni, di cui la prima è un errore che non tiene conto oggettivamente del testo biblico. Anche le tre successive sono dei tentativi di spiegazione del testo. La V e la VI sono accettabili nelle conclusioni, come identificazione del potere che il corno raffigura, ma risentono della difficoltà che il testo biblico presenta nello spiegare il suo sorgere. Nell’ultima spiegazione crediamo di potere spiegare il testo di Daniele con tutte le sue implicazioni riguardo al momento del suo sorgere.
1. Antioco Epifane IV, re seleucida La spiegazione che risale a Giuseppe Flavio,28 che vede in questa nuova potenza Antioco IV Epifane, undicesimo dei ventisei re che si sono succeduti sul trono dei Seleucidi di Siria, che regnò per 11 anni, dal 176 al 164 a.C., è stata seguita da diversi
26 27 28
Daniele 8:23. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 839.
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, X, XI, 7. DELCOR Mathias, Studi sull’Apocalittica, Paideia editrice, Brescia 1987, pp. 277,278 di Giuseppe Flavio riporta: «Il grande corno…. Indicava il primo re, dopo la sua morte, e la spartizione tra loro, del suo impero. Sarebbe sorto fra loro un re che avrebbe fatto guerra al popolo giudaico e alla sua legge, distrutto la sua forma di governo, saccheggiato il Tempio e interrotto i sacrifici per tre anni». A questo punto della sua composizione lo storico giudeo identifica questo re con Antioco Epifane: «È, infatti, questo che il nostro popolo dovette subire da parte di Antioco Epifane, come Daniele aveva previsto e di cui molti anni prima aveva descritto il compimento». In maniera assai sorprendente aggiunge: «Similmente Daniele ha scritto a proposito della supremazia dei Romani e del modo con cui si sarebbero impadroniti di Gerusalemme e avrebbero devastato il Tempio» Antichità Giudaiche, X, 273-276, p. 277. Quest’ultima frase è considerata dai critici una glossa ed è in questo caso esagerata» A. SCHLATTER, Die Theologie des Judentums nach de Bericht des Josephus, Hildesheim 1975, ristampa ed. 1932, p. 217. Questa frase è omessa nella versione latina e la si attribuisce a Crisostomo, ma è considerata autentica dal traduttore RALPH Marcus, per il motivo che si trova nel contesto di Daniele 11-12 che le fonti rabbiniche ritenevano che la profezia parlasse anche della conquista romana e quindi non c’è nessun motivo di pensare che egli avrebbe potuto omettere qui i Romani. Vedere M. Delcor, o.c., p. 278.
Padri della Chiesa tra cui Ippolito, Gerolamo,29 Crisostomo. Questa convinzione è tale che «la versione siriaca ha inserito qui, nel testo siriaco, le parole Antioco Epifane».30 Sebbene sia esagerato dire, come scrive l’abate Fabre d’Envieu: «Tutti i critici riconoscono, del resto, che questa profezia fu realizzata ai tempi di Antioco Epifane»31 o, come asserisce La Bible Annotée di Neuchâtel: «Tutti sono d’accordo nel vedere qui Antioco Epifane»32 e G.L. Archer afferma : «Non si può quindi porre in dubbio che il piccolo corno del capitolo VIII deve alludere a un comandante dell’impero greco, vale a dire ad Antioco Epifane»33 è comunque «impossibile scrive il Maestro Vaucher - redigere una lista completa dei sostenitori di questa posizione».34 La critica a questo modo di interpretare scaturisce dal testo stesso perché: «Questa visione concerne il tempo della fine», frase che «è sempre impiegata in senso escatologico e si riferisce in maniera chiara alla venuta del Regno»35 di Cristo o, come spiega Ludwing Dennefeld in La Sainte Bible di Pirot: «L’ultimo periodo della storia del mondo che precederà lo stabilimento del regno di Dio».36 29
Vedere nota n. 48, p. 410.
30
BARNES Albert, Notes on the Book of Daniel, New York 1853, p. 344; cit. da VAUCHER Alfred Félix, Le Jugement, Collonges sous Salève 1968, p. 16. Numerose versioni hanno aggiunto in nota il nome di Antioco Epifane. Alcuni esempi: la traduzione ecumenica The Bible; The Berkeley versione in lingua inglese moderna, Grand Rapids 1959; The Amplified Bible, Grand Rapids 1965, pone Antioco tra virgolette in nota a 8:9 e specifica: «Questo corno (versetti 9-12) non deve essere confuso con il piccolo corno del capitolo 7. Questo annuncia Antioco Epifane che esce dalla Siria, una delle quattro dinastie tra le quali fu diviso l’impero di Alessandro e divenne un grande conquistatore. Profanò il tempio e perseguitò i Giudei». Lo stesso pensiero lo si trova espresso in termini simili in tutte le Bibbie, edizione italiana, francese, spagnola, inglese che hanno delle note. Si arriva anche a scrivere in nota al testo di 8:9, Parola del Signore la Bibbia, in lingua corrente: «Vedere 7:25 e nota», dove si legge: «L’undicesimo re (versetto 24) potrebbe essere Antioco IV Epifane (175-164 a.C.) che perseguitò gli Ebrei in modo crudele fino a proibire loro di celebrare il Sabato e le feste del calendario». Nella Sacra Bibbia, ed. Salani, annotata dall’abate Giuseppe RICCIOTTI leggiamo: «Corno piccolo: simbolo di Antioco IV Epifane (vedere 7:8», dove si legge: «Un altro corno piccolo, simbolo del re della dinastia dei Seleucidi che fu grande persecutore dei Giudei, cioè Antioco IV Epifane». Questa identificazione con Antioco nel capitolo 7 e 8 è stata fatta anche da I. ASINOV, pp. 605-610, 611, per i capitolo 7 e 11, pp. 614 e 618,619; CORNHILL Carl Heinrich (The Prophets of Israel Popular sketches from Old Testament History, Chicago 1895, p. 383), arriva ad affermare: Antioco «forma il soggetto speciale ed essenziale del libro»; CURTIS A.L., A Dict., p. 552-556; T.A. DERESER, pp. 112-135; G. DIODATI, I Commenti ..., p. 842,844; Amos Kidder FISKE, pp. 382,383; H. HOEPFL, p. 568; G.H. KENNEDY, pp. 456,473; C.F. KENT, Sermons, pp. 437-442; A. MERTENS, pp. 73,74; É. OSTY, pp. 367,368; SCHLATTER, Introduction, pp. 321,322. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia. 31 32
J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 779. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 297.
33
ARCHER Gleason Leonard, La Parola del Signore, Introduzione all’Antico Testamento, ed. Voce della Bibbia, Modena 1972, p. 474. 34 VAUCHER Alfred Félix, Notes bibliographiques sur le livre de Daniel, vol. I, 1982, p. 192, dattiloscritto. 35 36
CHARLES Robert Henry, A critical and Axegetical Commentary on the Book of Daniel, Oxford 1991, p. 394.
DENNEFELD Ludwing, La Sainte Bible, vol. VIII, ed Pirot, Paris 1946, p 684. L’espressione «tempo della fine» è caratteristica del profeta Daniele che la propone cinque volte: 8:17,19; 11:35,40; 12:4,9. Queste parole sono messe in relazione con un tempo lontano da Daniele, nel quale si compiono i periodi profetici (8:14,17; 7:25;12:7); con la comprensione di certe rivelazioni del libro stesso, in particolare con il santuario celeste (8:17; 12:4); con un modo di vivere dei credenti (12:9,10); con il giudizio di Dio sul re orgoglioso; con le ultime sue azioni militari (11:40). Esso giunge alla finale liberazione dei santi e alla resurrezione dei morti (12:1,2) e di Daniele stesso (12:13). Il tempo non indica il momento della fine ma una periodo di tempo. Questa frase racchiude in sé una successione di avvenimenti che sfociano nel compimento ultimo della parola di Dio. Questa espressione non è mai messa in relazione con la prima venuta di Cristo Gesù. Questa espressione tipica di Daniele crediamo che possa essere completata con un’altra espressione classica dei profeti: «l’ultimo giorno» be’acharith hayyamim, che il testo biblico ripropone per quattordici volte. Questa
Il corno stesso «sarà infranto senza opera di mano» cioè al ritorno di Cristo Gesù, simboleggiato dalla pietra «che senza opera di mano»37 frantumerà la dominazione degli uomini su questa terra per stabilirvi il proprio regno. Questo corno sussisterà fino al tempo della fine e «il Signore Gesù stesso lo distruggerà col soffio della sua bocca, e lo annienterà con l’apparizione della sua venuta».38 La simbologia del linguaggio non permette una spiegazione in favore di Antioco. Il celebre Isacco Newton, nel 1700, faceva notare: «Non è molto giudizioso che alcuni abbiano preso questo ultimo corno per Antioco Epifane. Il corno d’una bestia non è mai preso per un semplice individuo; esso significa sempre un nuovo regno».39 Le due corna del montone raffigurano i Medi e i Persiani. «Il primo corno cospicuo (del capro peloso) era il regno di Alessandro Magno e della sua famiglia».40 «Il primo grande corno non indica Alessandro stesso, ma piuttosto il regno di Alessandro, per tutto il tempo che fu rappresentato da lui, da suo fratello, e dai due suoi figli»,41 e le quattro corna che sorgono alla fine della sua dinastia, i quattro regni dei diadochi che espressione viene però tradotta con significati diversi: «nei giorni a venire», «in futuro», «nei giorni che verranno», «nell’ultimo giorno» Genesi 49:1; Numeri 24:14; Deuteronomio 4:30; 31:29; Isaia 2:2; Osea 3:5; Michea 4:1; Geremia 23:20; 30:24; 48:47; 49:39; Ezechiele 38:16; Daniele 2:28; 10:14. La parola ebraica ‘achar significa “dopo”, “poi” e non “ultimo” o “fine” la cui espressione ebraica è qets (Amos 8:2; Ezechiele 7:2; Daniele 8:19; 11:27). Questa indica il futuro e anche l’immediato futuro (Genesi 49:1; Numeri 24:14; 2 Samuele 8:2) o il tempo dell’esilio in Assiria e Babilonia (Deuteronomio 4:30; 31:29; Geremia 23:20; 30:24), l’epoca messianica e/o il tempo futuro (Isaia 2:2; Michea 4:1; Osea 3:5; Ezechiele 38:16; Daniele 2:28; 10:14). Il contesto è ciò che ci permette di capire a cosa si riferisca l’espressione. Anche in Daniele questa espressione non indica specificatamente il tempo dell’era cristiana (Daniele 2:28,44,45; 10:14), ma indica semplicemente il tempo futuro. Nel Nuovo Testamento l’espressione ha un tipico carattere cristologico ed è messa in relazione alla prima venuta di Gesù e la sua missione (Atti 2:17: Ebrei 1,2; Giacomo 5:3; 2 Pietro 3:3) e con la crescente difficoltà che incontrerà la Chiesa fino alla seconda venuta di Gesù (2 Timoteo 3:1; 1 Timoteo 4:1). L’èra del vecchio patto giunge alla fine con la croce del Cristo che è il «compimento» suntelaia delle età (Ebrei 9:26). La Chiesa comincia a esistere «alla fine (ta tale) dei tempi» 1 Corinzi 10:11. Per il Nuovo Testamento «l’ultimo giorno» è iniziato con l’incarnazione del Figlio di Dio, quando si è compiuta «la pienezza dei tempi - to pleroma tou chronou» Galati 4:4. La frase «all’ultimo giorno» si riferisce agli eventi finali (Giovanni 6:39,40,44,54; 11:24) e al giudizio finale degli increduli (Giovanni 12:48; vedere 1 Pietro 1:5). Con l’espressione «ultima ora» eschate hora (1 Giovanni 2:18), che si trova unicamente sotto la penna di Giovanni, l’apostolo parla di una eresia che vive la Chiesa del suo tempo, 90-100 d.C., e pone i credenti dell’Asia Minore nell’“ora” escatologica della decisione finale. Per Daniele «il tempo della fine» indica un periodo di tempo determinato, stabilito da Dio e costituisce la fase finale dell’èra cristiana, dopo i periodi profetici indicati nei suoi scritti e mai il tempo della prima venuta di Cristo. Questa espressione può essere messa in relazione con quella dell’«ultimo giorno» per quanto riguarda le fasi finali della storia. Con un solenne giuramento, che è un chiaro riferimento a Daniele 12:7, in Apocalisse 10:6 si dichiara che «non c’è più tempo - chronos» cioè non si è giunti alla fine della storia, ma alla fine dei periodi profetici indicati da Daniele. L’angelo che appare a Giovanni nello splendore del celeste Messia ha in mano un piccolo libro (Apocalisse 10:2), quello di Daniele, che è stato sigillato e di cui, nella metà del XIX secolo, quando si realizza questa visione apocalittica, si avrà una piena comprensione. Nel tempo profetico della fine questa profezia di Daniele viene annunciata a «molti popoli, nazioni, lingue e re» Apocalisse 10:11; vedere 14:6-12, la conoscenza di ciò che era stato sigillato. Questo movimento mondiale realizza la figura di Elia (Malachia 4:5). (Vedere il nostro Capitolo XIV). Vedere LaRONDELLE Hans K, The Time of End and the Last Day, in Journal of the Adventist Theological Society, vol. II, n. 2, 1991, pp. 28-34. 37 38 39
Daniele 2:34,45. 2 Tessalonicesi 2:8. NEWTON Isacco, Observation upon the Prophecies of Daniel, London 1831, p. 137.
40
NEWTON Thomas, Dissertation on the Prophecies which have remarkably been fulfilled and at this time are fulfilling in the world, t. II, 7a ed., London 1896, p. 49. 41
Idem, t. II, ed., 1758, pp. 32,33; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 16.
abbiamo presentato sopra. Isacco Newton continua dicendo: «Ora il regno di Antioco era un antico regno. Antioco regnava su uno delle quattro corna, mentre il piccolo corno costituiva un quinto (regno) con i suoi propri re».42 Il regno di Antioco «non era che la continuazione di uno delle quattro corna; non lo si può dunque considerare come un quinto corno che sorge tra le quattro; il piccolo corno, con ogni evidenza, è qualche potere diverso e distinto dalle quattro prime corna».43 W. Whittla constata: «Più esaminiamo attentamente la storia di Antioco tale e quale ci viene data dagli scritti dei Maccabei e dagli autori, più acquistiamo la certezza che, qualunque sia il potere rappresentato da questo piccolo corno, esso non risponde ad Antioco Epifane. Gli argomenti avanzati in favore di questa opinione sembrano tutti fondati su delle analogie superficiali o di debole rassomiglianza. Le corna in Daniele non rappresentano mai dei personaggi, ma sempre dei regni. Il regno di Antioco era uno di quelli che erano già rappresentati da uno delle corna».44 Théodore Crinsoz, nel 1729, scriveva: «Non bisogna vedere in questo piccolo corno che sorge da uno delle quattro corna Antioco Epifane re di Siria; poiché, se lo Spirito Santo avesse voluto parlare qui di questo principe persecutore, non lo avrebbe rappresentato con un piccolo corno che sorge da uno delle quattro corna, ma piuttosto con uno delle quattro corna. Il motivo è che le quattro corna non rappresentano quattro persone solamente, ma quattro regni o quattro dinastie di re che hanno regnato in quattro diversi regni. Epifane non s’ingrandì per nulla verso la Palestina. In effetti egli la possedeva di già dal momento della sua incoronazione, e ben lontano dall’affermarvi la sua autorità, ridusse i Giudei alla necessità di prendere le armi contro lui, e Giuda Maccabeo riportò sulle sue truppe delle gloriose vittorie».45 Mons. Ronald Knox nella traduzione dell’Antico Testamento dalla Vulgata latina, pubblicata a New York nel 1950, una nota del testo confessa: «La descrizione di Antioco Epifane non è per nulla riconoscibile».
Lo stesso testo biblico contrasta con questa spiegazione ormai generalizzata. La versione di Mons. S. Garofalo, commentata da P. Giovanni Rinaldi, traduce: il montone (Medo-Persia) a seguito delle sue conquiste «divenne grande», «il caprone (la Grecia) divenne assai grande», e il piccolo corno «si ingrandì enormemente» oltremisura, ancora di più del capro. Antioco Epifane era un re il cui regno assieme a quello dei diadochi formava il territorio geografico dell’«assai grande» impero grecomacedone. In questa potenza che si ingrandì enormemente si è quindi costretti, dal testo, a vedere un altro potere. Del resto la figura storica di «Antioco non ha compiuto
42 43 44
I. Newton, o.c., p. 137. T. Newton, Dissertation ..., t. II, 5a ed., London 1858, p. 54. WHITTLA William, Sir Isaac Newton Daniele and the Apocalypse, with an introductory Study, London 1922, p.
111. 45
CRINSOZ Théodore, Essai sur l’Apocalypse, avec des éclaircissements sur les prophéties de Daniel qui regardent les derniers temps, Genève 1729, pp. 384,385.
i sensi della profezia, che appartiene ancora, come l’ha detto Gabriele (e che ha confermato il nostro Signore, Matteo XXIV:6,14), al tempo della fine».46 Il testo di Daniele ci proibisce questa interpretazione. Il quinto corno sorge, come abbiamo precisato sopra «alla fine del loro regno» specifica il versetto 23. Antioco IV Epifane è stato l’ottavo di una dinastia di 26 re. Si manifestò ben prima della fine. Concludiamo queste osservazione con il Seventh-Day Adventist Bible Commentary: «Le quattro corna del capro (VIII:8) erano dei regni (versetto 22); ci si può dunque attendere che il piccolo corno sia lui stesso un re. Antioco non è che un re del regno seleucida, dunque una parte di un corno, non un altro corno completo. L’avanzata di Antioco in Egitto si concluse con una umiliazione inflittagli dai Romani. I suoi successi in Palestina non furono duraturi, e la sua conquista verso l’Est fu interrotta con la sua morte. La sua politica che tendeva ad imporre l’ellenismo fallì totalmente, e non ebbe nessuna prosperità (versetto 12). In oltre, Antioco non giunge al tempo della fine (versetto 23). Non si è elevato contro il Principe dei principi (versetto 25)».47
2. Antioco Epifane IV tipo dell’anticristo futuro e dell’Islam In considerazione del fatto che quasi all’unanimità gli studiosi vedono in questo corno il re seleucida e che qualche espressione di Daniele trovi la sua realizzazione in questo re della Siria, degli studiosi hanno pensato che Antioco fosse un tipo dell’anticristo finale. Frédéric de Rougement, convinto che «tutti i tratti di questo quadro profetico si riferiscano esattamente al re di Siria, Antioco l’Illustre», pur tuttavia aggiunge: «Antioco è il tipo dell’anticristo finale».48 Anche i Riformatori Lutero e Melantone lo hanno creduto.49 Scrive Wintle Thomas: «Nella spiegazione di questa visione, mi sono riferito alle usurpazioni d’Antioco per il senso primario dei saccheggi compiuti dal piccolo corno; tuttavia, nello stesso tempo, numerose volte ho fatto capire che diversi dettagli importanti della visione favorivano l’opinione di coloro che cercano il compimento 46
NEWELL Philip Rutherford, Daniel, Chicago 1951, p. 141,142.
47
The Sevent-Day Adventist Bible Commentary - SDABC, vol. IV, pp. 846,847. ROUGEMONT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, précédée d’une brève interprétation des prophéties de Daniel, Neuchâtel 1866, pp. 26,27. Vedere anche: AUBERLEN Karl-Auguste, Le prophète Daniel et l’Apocalypse, 1880, pp. 74,75; Pierre de BENOIT, pp. 56,57; W.E. BIEDERWOLF, The second, 1972, p. 214; C.P. CASPARI, Populaire, p. 129; A.R. FAUSSET, A Commentary, vol. IV, p. 426; G. GALBIATI, p. 99; J.N. GORTNER, Daniel, pp. 127,128; W. KELLY, Notes, p. 152; G.R. KING, p. 135; H.C. LEUPOLD, pp. 344-368, 437; PACHE René‚ Notes sur le prophète Daniel, Vennes sur Lausanne, 946, pp. 87,88; J.D. PENTECOST, Things..., p. 145; J. PHILIP, pp. 109-115; H. PRIDEAUX, pp. 440-443; T. ROBINSON, pp. 162-179; W.C. SCROGGIE, The Unfolding ..., vol. I, p. 424; A. THIÉBAUT, art. Antéchrist, in Dictionn., vol. I, p. 59; M.M. WILSON, p. 398; L.J. WOOD, p. 212; G.D. YOUNG, Daniel’s..., p. 274. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia. Gerolamo che aveva respinto l’identificazione del piccolo corno del capitolo 7 con Antioco, proposto da Porfirio (Daniele, MIGNE, P.L., 25, 1865, col. 530,531), accetta le vedute del filosofo neoplatonico per il capitolo 8 (col. 536), aggiungendo tuttavia (col. 537): «La maggior parte dei nostri commentatori applicano questo passo all’anticristo e pensano che ciò che ha compiuto Antioco è un tipo di ciò che si compirà con l’anticristo». 48
49
Vedere: Commentaire sur le livre des Révélations du prophète Daniele, di MELANCHTON, seguito dalla Explication de Martin LUTHER sur les mêmes prophéties, tradotto da CALVIN Jean, Genève 1555; pp. 136-137 per Melantone; pp. 360,361 per Lutero.
nei tempi più lontani, sotto la gerarchia papale, cioè la dominazione dell’Anticristo. Penso che lo spirito di profezia prevedesse le due applicazioni».50 C’è chi ha anche pensato che Antioco fosse un tipo della religione di Maometto.51 Si è anche supposto che Antioco fosse il tipo sia del papato52 sia dell’Islam.53 Ma tutte queste spiegazioni sono altrettanto insostenibili, sia per i numerosi secoli che trascorrono fra la caduta dei regni dei diadochi e il sorgere di Maometto, sia perché questa potenza politico-religiosa non entra nella profezia di Daniele, per il fatto che sorge al di fuori dell’Impero greco-macedone. L’Arabia non fu conquistata da Alessandro. Non possiamo condividere questo modo di spiegare il testo di Daniele perché le profezie apocalittiche, come abbiamo detto, hanno un valore cronologico e si realizzano una sola volta nella storia.
3. L’anticristo finale Si è anche pensato che questo quinto corno, come l’undicesimo del capitolo VII, si riferisca ad un ipotetico anticristo futuro.
Il testo biblico però non lascia un vuoto di numerosi secoli tra il passato, la divisione dell’Impero Greco e il lontano futuro. Per questa ragione questa tesi la riteniamo non accettabile. «Del resto come potrebbe sorgere un personaggio futuro da uno dei quattro regni ellenistici che hanno cessato di esiste da così tanti secoli?» si chiede il maestro Vaucher.54
4. L’Islam Diversi autori hanno creduto di identificare il quinto corno con l’Islam, quale anticristo d’Oriente, in contrapposizione all’anticristo d’Occidente del capitolo VII.55 50
WINTLE Thomas, Daniele, Oxford 1792, pp. 147,148. BENOIT Pierre de, Le prophète Daniel, Paris 1941, pp. 46-
58. 51 52
PICKETT Leander Lycurgus - WIMBERLY Charles Franklin, Who is the Beast?, Lousville Ky 1919, pp. 61-73,93. N. SCHELLENECKER, Die ..., vol. I, f. 436r.
53
McHARDIE E., The Midnight Cry, London 1883, pp. 304-307; L.L. Pickett - C.F. Wimberly, o.c., pp. 61-75,93; G.H. PATCH, 1921, p. 113. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. 54
A.F. Vaucher, L’Antichrist, p. 18. Gli autori cattolici che hanno avuto questo pensiero sono: RIBERA, Apocalypse, Anversa 1594, p. 339, a proposito di Apocalisse 13:5; Pierre LACHÈZE, Les temps de la fin, Paris 1841; Le Retour de Juifs, Paris 1846, p. 359. I protestanti sono: L. BARBEY, Essais, pp. 285-289; B.W. NEWTON, Prospects of the ten Kingdoms, 2a ed., pp. 193-195; GAUDIBERT, Court examen, 2a ed., pp. 17,18.
55
Jephet ibn Ali Kalei, A Commentary on the book of Daniel, ed. Margoliouth, Oxford 1889, pp. 41,43; BIRCHMORE J.W. p. 41; E.P. CACHEMAILLE, Daniel’s, 1888, p. 36; D. CAMPBELL, Illustr...., 2a ed., pp. 71,73-80; W.B. DAWSON, The Time, London 1926, pp. 72-74; DIGBY William, Courte Explication Historique des Sceaux et des Trompettes de l’Apocalypse, Toulouse 1839, p. 46; ELLIOTT Edward Bishop, Horae Apocalyptique, ou Commentary on the Apocalypse, t. III, 5a ed, London 1847, pp. 423-447; J. FRY, pp. 36-41; L. GAUSSEN nelle lezioni inedite sul capitolo 8
Questo quinto corno, che nella sua crescita progressiva avrebbe dovuto estendersi sull’Egitto, sulla Siria e sulla Giudea, doveva dunque sorgere nella parte nord occidentale di queste nazioni. Questa potenza deve essere occidentale perché essa si spande verso l’Oriente e alla fine dei successori di Alessandro.56 Anche se l’Islam conquisterà quelle aere geografiche, non è sorto in quei Paesi. «Maometto è un arabo e non un macedone. Non si può neppure pretendere che la sua patria sia stata incorporata all’Impero greco o siriano, e questo impero era distrutto da sette secoli quando apparve il falso profeta» osserva F. de Rougemont.57 Vedere le osservazioni della sezione b).
5. Il papato Alcuni autori colpiti da alcune assomiglianze esistenti tra l’undicesimo corno del capitolo settimo e questo quinto corno58 hanno riconosciuto in questo potere il papato come Daniele aveva già descritto.59 Scrive il Crinzos: «Il capo dell’esercito dei cieli è Dio stesso, che è il Re dei re e il Signore dei signori. I pontefici romani si sono elevati contro lui in diverse maniere attribuendosi delle cose che si addicono solo a Dio, autorizzando la superbia e l’idolatria, perseguitando i veri cristiani. Hanno fatto cessare il profumo continuo
di Daniele; GIRDLESTONE W.E., pp. 38-46; GUERS Émile, Histoire abrégée de l’Eglise de Jésus Christ, t. I, Genève 1832, 386-390; HABERSHON, An Histor., p. 289; W. HARPER, pp. 21-23; IRVING Edward, Babylon and Infidelity foredoomed of God, 2a ed., Glasgow 1826, p. 207; J.G. MURPHY, The Book ..., 1884, 1885, pp. 143-151; G.G. RUPERT, Thw Gathering, 1903, pp. 44,45; J. TANNER, 1898, pp. 511-516. Per il titolo delle opere vedere la Bibliografia. 56
Daniele 8:9,23. Questa interpretazione (quinto corno Islam) è stata refutata da: T.R. BIRKS, The two ..., 2a ed., pp. VI,178,179; W. EMMERSON, God’s ..., 1950, p. 190; T. ZOUCH, 1880, pp. 138-162. 57
F. de Rougemont, o.c., p. 27.
58
Daniele 7Daniele 8- «Faceva guerra ... ridurrà allo stremo i santi dell’Altissimo - e i santi saranno dati nelle sue mani» 21,25.- «S’ingrandì, fino a raggiungere l’esercito del cielo; fece cadere in terra parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò. In piena pace distruggerà molta gente» 10,25.- «Appariva maggiore delle corna» 20.- «Diventò molto grande» 9.- «Proferirà parole contro l’Altissimo» 25.- «S’elevò fino al capo dell’esercito, gli tolse il continuo» 11.- «Per bestemmiare contro Dio, e il suo tabernacolo e quelli che abitano in cielo» Apocalisse 13:6.«Il santuario fu abbattuto» 11.- «Penserà di cambiare i tempi e la legge» 25.- «Gettò a terra la verità» 12.- «Guardai a motivo delle parole orgogliose che il corno proferiva; guardai, finché la bestia non fu uccisa, e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà distrutto ed annientato per sempre» 11,26.- «Sarà infranto senz’opera di mano» 25. 59
Anonimo, Éclaircissements ..., pp. 3-9,14; J.P. BRISSET, pp. 38,39; CALVINO Jean, The Pope confounded and his kingdom exposed, in a divine opening of Daniel VIII: 23-25, traduzione di Henry COLE, London 1836; DAWSON William Bel, The Time is at Hand, London 1926, pp. 72-74; GUINNESS Henry Grattan, Light for the last Day, ed. Cachemaille, p. 21; KEITH Alexander, The Signs of the Times, vol. I, 5a ed., Edinburg 1834, p. 35; KERKHERDERE Jan Gerard, Prodromus Danielicum, Louvain 1711, pp. 350,353; MADROLLE Antoine, La grande Apostasie dans le lieu saint, Paris 1850, p. 48; Mrs. Cora MARTIN, World History in prophecy Outlines. The Book of Daniel and the Revelation, Madison, Tennesse, 1941, p. 46; PAYRAUBE, Essai, 2a ed., Genève 1866, pp. 65-71; RIBERT G.G., The Inspired History of the Nations, II, 1903, pp. 44,45; THURMAN William Carr, The Sealed Book of Daniel opened, 3a ed., Philadelphia 1864, p. 124,285,286. Vedere nota n. 30, p. 407.
delle lodi e delle preghiere, che doveva essere offerto a Dio solo, hanno profanato e sporcato il santuario, cioè la Chiesa con mille false devozioni».60 Sebbene possiamo condividere le conclusioni di questa identificazione essa però non spiega il grande intervallo di tempo tra le monarchie macedoni e questo potere.
6. Roma Questa spiegazione è vera, come punto di arrivo. Essa è stata sostenuta da alcuni studiosi,61 e la spiegazione che viene data crea delle difficoltà. Si è detto che, sebbene Roma abbia conquistato la Grecia, essa viene a sua volta conquistata dalla cultura, dalla civiltà ellenica, e quindi sembra che sorga dalla Grecia. A Daniele sembra che il corno venga da uno delle corna, perché questo quinto potere viene geograficamente dal di là della Grecia ed entra nella prospettiva profetica iniziando il suo impero con la conquista della Grecia.
Jephet ibn Hali, che visse a Gerusalemme nella seconda metà del X secolo il cui commentario su Daniele è stato pubblicato nel 1889, rilevava che per il quarto regno di Daniele II:40 il profeta non aveva detto un altro regno, come l’aveva fatto al versetto precedente per il secondo e terzo, «perché‚ i Greci sono i fondatori del regno di Roma».62 Thomas Newton scriveva: «Quale regno ha potuto elevarsi quando sussistevano ancora i quattro regni dell’Impero Greco e ha potuto arrivare a un certo grado di potenza e autorità, se non i Romani? Il primo grande corno era il regno di Alessandro e della sua famiglia. Le quattro corna erano i quattro regni della stessa nazione, ma non della sua famiglia; e ciò non significa che questo ultimo regno, quello del piccolo corno, non doveva appartenere alla stessa nazione? Dunque il carattere generale si adatta soprattutto ai Romani».63 E aggiunge: «Quando i Romani si stabilirono prima in Grecia, divennero un corno del capro. È da questo corno che uscirono, furono all’inizio un piccolo corno, ma finirono per sostituirsi alle altre corna. Partendo dalla Grecia estesero le loro conquiste ed invasero le altre parti dell’impero del capro».64 G. Price scriveva: «Si tratta di un potere interamente distinto da questi quattro benché‚ all’origine, lo si abbia potuto considerare come uscente da uno di essi. Diventa in realtà un quinto corno, un regno indipendente e distinto di ciascuno dei quattro, da quel momento è l’unico potere di cui si occupa la profezia. Ciò implica il 60
CRINSOZ Théodore, L’esprit de Bionnens sur l’Apocalypse et le prophète Daniel, ed. J. Astier, Privas 1798, p. 337; vedere, Essai sur l’Apocalypse avec des éclarcissements sur les prophéties de Daniel, Genève 1729, pp. 385,386. Stesso pensiero in S. LEE, The events and time, 1851, pp. 5,6; 1859, pp. 201-223; J. LITCH, Proph. Expos., pp. 143,144; M. LUTHER, Ad Librum ...; T. PARKER, pp. 35-39. Per il titolo delle opere vedere la Bibliografia. 61
A.J. FERRIS, p. 208; W. HALES, A new ..., p. 492; G.C.A. HARLESS, Bible..., p. 33; T.W. HASKINS, p. 37; T.H. HORNE, p. 191; C.L. LOYS de CHÉSEAUX, Harmonie..., pp. 32-34; G. MONTAGUE, The Time ..., pp. 397-399; R. PHILLIPS, On Daniel’s..., 15-35; J. ROBINSON, p. 11; J. SMITH, p. 177; J.T. WHEELER, Complete..., p. 275; H. WOOD, The Revelation, pp. 378-380. Al seguito di W. MILLER, Evidence..., p. 42, tutti gli autori avventisti. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. 62
Jephet ibn Hali, vedere MARGOLIOUTH Samuele a Oxford 1889, p. 13.
63
T. Newton, o.c., vol. I, 5a ed., p. 53,55.
64
T. Newton, o.c., II, 5a ed., p. 55; Idem , 7a ed., p. 50.
fatto che questo quinto corno, oltre a succedere ai diadochi, eredi di Alessandro, li assorbe tutti e ciò caratterizza bene Roma. - Poiché‚ l’Impero Greco è sempre considerato come un impero universale, e poiché si attribuisce ad Alessandro di aver pianto perché non aveva più nulla da conquistare, lo Stato di Roma che sorgeva doveva necessariamente uscire da qualche parte del regno di Alessandro».65 R. H. Graves sosteneva che questo corno raffigurava «la dominazione di Roma nell’Est».66 Bellah C.G. spiega: «Sappiamo che Roma fece la conquista della Macedonia nel 168 a.C. e ne fece una parte del suo impero. È da quella regione che essa si estese verso le altre conquiste. È per questo motivo che Daniele vide uscire Roma dal corno macedone del capro. La sua supremazia cominciò con la conquista della Macedonia, uno delle quattro corna».67 In contrapposizione a questo pensiero e a completamento, C. Bollman scrisse: «È impossibile ammettere, come qualche volta si è supposto, che Roma sia uscita dal corno macedone del capro peloso unicamente per il fatto che appaia alla vista del profeta con il simbolo di un corno che inaugura una carriera di conquiste dopo la battaglia di Pidna, 168 a.C., ma piuttosto come padrona della civiltà mondiale... Etnologicamente i fondatori dell’Impero Romano sono sorti dallo stesso ceppo dei Greci... Dal punto di vista della profezia, Roma era strettamente legata alla Grecia, sia politicamente sia geograficamente».68 Questo pensiero potrebbe essere anche avallato dal fatto che Kittim indica l’Occidente e quindi viene identificato sia con la Grecia sia con Roma. Per F.L. Sharp: «La storia antica di Roma attesta il fatto che la nazione romana è di origine greca».69 David Riemens, scriveva: «Crediamo che l’Apocalisse ci dia la soluzione (del problema). In effetti, la prima bestia del capitolo XIII ci viene presentata come simile a un leopardo. I simboli impiegati qui (leone, orso, leopardo) ci rinviano al libro di Daniele. Poiché è soprattutto l’insieme del potere papale che è rappresentato qui dal leopardo (la Grecia), ci sembra che la Bibbia spieghi qui Daniele VIII».70
65
PRICE George-Mac Cready, The Greatest of the Prophets, Mountain View 1955, pp. 166,167. In Signes des Temps del 1982 si legge: «Ci si può domandare perché Roma, simboleggiata da una bestia distinta… nel capitolo 7…, appare qui come una escrescenza dell’Impero Greco. Ma quando si misura fino a che punto la potenza romana si sia ispirata e impregnata della cultura greca… si comprende perché la Bibbia abbia presentato Roma come essendo il prolungamento della Grecia… Se, sul piano culturale e religioso, Roma fu l’erede diretto dell’ellenismo, la Roma papale fu in molti aspetti l’erede della potenza imperiale romana» A l’écoute de la Bible, Guide de l’étude de la Bible, 1982, pp. 278,279. 66
GRAVES Richard-Hastings, Daniel’s great period of 2300 days discovered and determined in a dissertation on the latter part of the vision of the ram and the he-goat, London 1854, p. 24. 67 68
BELLAH Charles Greeley, The Hero of Babylon, Montain View 1940, p. 154. BOLLMAN Calvino P., Review and Herald, 20.10.1932, pp. 988,989; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 20.
69
SHARP F.L., Antiochus or Rome? A Defence of the La Bible Doctrine of the 2300 days of Daniel 8:14, Auckland, s.d, p. 18; cit. A.F. Vaucher, o.c. p. 21.
70
Citato A.F. Vaucher, o.c., p. 21.
7. Roma pagana e cristiana nella continuità del “Pontifex Maximus” Questa spiegazione vede nel Cesare pagano e nel Vescovo di Roma gli eredi e i continuatori della figura divina del Pontifex Maximus sorto in Babilonia e poi espresso nelle monarchie orientali e occidentali. Questo modo di capire il testo biblico ci sembra tenga conto del: - rapporto tra il quinto corno e l’Impero Greco-Macedone; - momento storico dell’apparizione del quinto corno.
Rapporto del piccolo grande corno con il capro greco-macedone 1. Rapporto tra il quinto corno e l’Impero Greco-Macedone Il problema di questo testo di Daniele è nello spiegare come il piccolo grande corno possa sorgere da uno delle corna del capro dell’antico impero macedone. Le spiegazioni precedenti ne sono la prova. Essendo questo particolare un problema importante, si è tentato anche di eliminarlo dicendo che il corno non viene da uno delle quattro corna, ma da uno dei quattro venti presentati nel versetto precedente: «E dall’uno d’essi (venti) uscì un piccolo corno».71 La parola “hem” = essi e il verbo “yasa” = uscire sono al maschile nel testo ebraico, benché i masoreti abbiano messo il verbo al femminile (yaseah) in margine al testo. Questa identificazione che il corno non sorge da uno delle quattro corna, ma da uno dei quattro venti è stato pensato da diversi studiosi avventisti e anche prima del costituirsi della Chiesa avventista. Un collaboratore di William Miller, S. Bliss sosteneva: «Il piccolo corno doveva sorgere, o provenire dalla direzione di uno dei quattro venti del cielo».72 L.T. Cunningham scriveva: «Daniele VII disse che vide i quattro venti soffiare sul grande mare, dal quale sorsero le quattro bestie. Dall’Occidente, dalla stessa regione dalla quale sorse la quarta bestia, sorse questo piccolo corno, che ingrandì smisuratamente, poiché le due (potenze) sono identiche. Roma cominciò le sue conquiste fuori dal territorio greco, essendo situata all’Ovest della Grecia. È da questo punto della rosa dei venti che essa è uscita».73 Anche The Seventh Day Bible Commentary sostiene questa spiegazione che questo corno sarebbe dovuto sorgere da uno dei quattro venti del cielo e la giustifica dicendo: «I commentatori che applicano al piccolo corno del versetto 9 Roma non riescono a spiegare in un modo soddisfacente come Roma possa essere rappresentata uscendo da una delle divisioni dell’impero di Alessandro. Se loro si riferisce a venti, ogni difficoltà sparisce. In questo modo il testo dice semplicemente che un nuovo
71 72 73
Daniele 8:9. BLISS Sylvester, Inconsistences of Colver’s literal fulfilment of Daniel’s Prophecies, Boston 1852, p. 31.
CUNNINGHAM L.T., La Bible exegesis and impending judgment as unfolding the design of God, New Upper Falls, Massachusset, 1892, pp. 269,270.
potere viene da uno dei quattro punti dell’orizzonte.74 Roma viene dall’Occidente. Nella spiegazione data dei simboli della visione, Roma viene presentata come uscente “al tempo della fine dal loro regno”.75 Questo versetto non parla che del tempo in cui doveva sorgere il piccolo corno e non indica la località, mentre il versetto 9 menziona la sua situazione geografica.- Dal momento che la visione del capitolo VIII è parallela a quanto tratteggiato nei capitoli II e VII, e che in queste due prime visioni Roma è il potere che segue la Grecia, è ragionevole pensare che il potere rappresentato dal corno del versetto 9 si applichi ugualmente a Roma. Questa interpretazione è confermata dal fatto che giustamente Roma risponde ai dettagli contenuti nella visione. Il piccolo corno rappresenta Roma nelle sue due fasi, pagana e papale. Daniele ha prima di tutto visto Roma nella sua fase pagana, imperiale, che guerreggia contro il popolo ebraico e i primi cristiani, poi nella sua fase papale, continuando fino ai nostri giorni ed oltre, combattendo contro la vera Chiesa».76 Questa spiegazione avrebbe lo scopo di presentare il nuovo corno senza farlo sorgere dal territorio delle corna del diviso Impero Greco. Presenta il corno come una nuova potenza della quale non si presenta il territorio geografico di provenienza e non presenta neppure il corpo della bestia dalla quale proviene. Viene da uno dei quattro punti cardinali,77 dall’Ovest se si considera che le prime due monarchie sono orientali
74
DOUKHAN Jacques, Le soupir de la Terre, Étude prophétique du livre de Daniel, ed. Vie et Santé, Dammarie les Lys 1993, p. 178, scrive: «“Quattro venti del cielo” v. 8. Questa espressione ci rinvia al capitolo 7 in cui è utilizzata per indicare le quattro direzioni dalle quali fanno irruzione i quattro animali (7:2). Il piccolo corno sembra dunque sorgere da una di queste direzioni, e non dalle corna come le nostre traduzioni sembrano lasciare intendere. È evidente che un corno non sorge da un altro corno ma dalla testa dell’animale. Inoltre, nel libro di Daniele, un nuovo corno che appare a seguito di altre corna comporta sempre la caduta di quelle che lo precedono (7:8; 8:8)».
75
Daniele 9:23.
76
SDABC, vol. IV - Daniel, p. 841. Il pensiero di SHEA William H., Selected Studies on Prophetic Interpretation, Washington D.C., pp. 42,43; ed. francese, p. 49,50, che sostiene questa spiegazione considerando il genere dei sostantivi e dei pronomi, può essere così riassunto: «Quattro corna (femminile)... quattro venti (femminile) dei cieli (maschile plurale)... Dall’una (femminile) di loro (maschile)...». Esaminando con cura la concordanza di generi, noi abbiamo un’unica possibilità. Il pronome «esse» non può essere riferito alle corna, perché in ebraico «corna» sono al femminile e «esse» è al maschile. «Esse» non può che riferirsi ai «cieli» che, in ebraico, sono al maschile plurale. «L’una» non può riportarsi che ai «venti» poiché in ebraico, entrambe, sono al femminile. Noi possiamo dunque parafrasare così il versetto 9: «Da uno dei venti dei cieli uscì un corno» RODRIGUEZ Angel Manuel, Le Sanctuaire et sa purification, in Servirs, n. 2, 1995, p. 40. «“Dall’una di esse” v. 9 presenta in effetti una anomalia che non si rileva nelle nostre traduzioni. Letteralmente si dovrebbe rendere: “Da una (f) di loro (m)”. Questa irregolarità suggerisce un rapporto con la frase precedente: “i quattro venti (f) del cielo (m)”. Noi abbiamo qui a che fare con un genere stilistico corrente nella poesia ebraica: un parallelismo grammaticale che si doppia al bisogno di una corrispondenza di rima (testo Masoretico). Da una (f) di loro (m): ahat mehem - venti (f) del cielo (m): ruhot hashamaim (8:8,9)» J. Doukhan, o.c., p. 178,179. Precisa però VASSALLO Giampiero: «L’accordo nel chiasmo tra un numero e un nome non è valido che per le cifre da tre a dieci; le cifre uno e due si accordano in genere con il nome. Così, questo accordo è possibile alla fine del versetto 8 per la cifra quattro, ma impossibile grammaticalmente all’inizio del versetto 9 per la cifra uno. È dunque unicamente grazie all’argomento del parallelismo della poesia ebraica che si può giustificare questo errore grammaticale. Si può notare tuttavia che non ci troviamo in un testo poetico, ma profetico (narrativo, nda.). Pensiamo inoltre che Daniele abbia volontariamente effettuato questo errore grammaticale, allo scopo di dirigere il lettore sugli antecedenti venti al posto delle corna, giustamente al fine di evitare di considerare che il piccolo corno sorga da uno delle quattro che lo hanno preceduto!» Daniel 8 et la justification du sanctuaire, Collonges sous Salève 1997, p. 5, dattiloscritto. Perché dover ricorrere a pensare ad un errore grammaticale nel testo, quando il brano può essere spiegato correttamente in maniera diversa? 77
Ci si chiede se questo modo di spiegare il testo biblico non voglia supporre che questo quinto corno (del capitolo 8) sia il piccolo corno della quarta bestia di Daniele 7.
e la terza e la quarta sono occidentali. La LXX traduce il versetto 9 dicendo che il corno s’ingrandì verso l’Est, verso il Sud e verso il Nord. Viene dunque dall’Ovest, cioè da Roma.78 Alcuni studiosi hanno criticato l’aspetto debole di questa posizione sostenuta da diversi autori avventisti.79 Scrive il maestro Vaucher: «È difficile fare uscire un corno (un regno) dal vento. È vero che il versetto 8 dice che, a seguito della rottura del grande corno, quattro corna importanti si elevarono verso i quattro venti del cielo. Ma benché i venti siano menzionati alla fine del versetto, è evidente che il soggetto della frase sono le corna. È dunque più naturale fare uscire il piccolo corno del versetto 9 da uno delle quattro corna del versetto 8, tanto più che in diversi manoscritti troviamo esse, al femminile; che la parola (articolo) una (achath) è femminile nel testo ebraico, e che se si conservasse il maschile per hem (essi), ciò permetterebbe, dal punto di vista puramente grammaticale, di collegare questa parola al vento, che in ebraico può essere sia al maschile sia al femminile, nulla impedisce di supporre che il profeta abbia utilizzato la parola al maschile per hem e per il verbo yasa (uscire) pensando al regno (maschile) rappresentato dal corno. Inoltre c’è da considerare che diversi manoscritti hanno la parola hem al femminile (esse), in accordo con la parola achath (una), ugualmente al femminile. In queste condizioni è preferibile adottare la traduzione data in tutte le versioni: “Da una di esse”, cioè il piccolo corno esce da uno delle quattro corna precedenti».80
«Daniele dice (7:2) che vide i quattro venti soffiare sul mar grande, dal quale sorsero quattro bestie. Dall’Occidente, dalla stessa regione dalla quale sorse la quarta bestia, uscì questo piccolo corno, che si fece grande smisuratamente, poiché i due sono identici. - Roma cominciò le sue conquiste al di fuori del territorio greco, essendo situata a Ovest della Grecia. È da questo punto della rosa dei venti che essa è uscita» Cunningham L.T., o.c., pp. 269,270, 78
Septuaginta Id est Vetus Testamentum Graece iuxta LXX interpretes, edit A. Rahlfs, edito nova, 2 vol., Stuttgart 1935, Daniele 8:9. «Questa relazione tra il piccolo corno e i quattro venti del cielo indica che il posto in cui sorge il piccolo corno è quello di uno dei quattro animali del capitoo 7, più precisamente il quarto, che l’autore ha volontariamente passato sotto silenzio nel capitolo 8. La ragione di questa omissione è semplice: l’autore vuole limitarsi unicamente ai regni rappresentati dal montone e dal capro» J. Doukhan, o.c., p. 179. 79
COMTE Jules D., Quelques réflexions au sujet du chapitre 8 de Daniel, tel qu’il est interprété par les Adventistes du 7e Jour, opuscolo di 14 pagine, senza luogo né data di stampa. KELLOGG Moses Eastman, An Examination of the 1844 time theory, Battle Creek, Michigan, 1907, p. 72; KOLVOORD John, The prophecy of Daniel 8 - The Vision of the Evenings and the Mornings Battle Creek, Michigan, 1907. RUPERT G.G., The Gathering of the Nations to Armageddon, 3a ed., Britton, Oklaoma, 1903; RUPERT G.G., Time, Tradition and Truth, 3a ed., 1914. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. 80
A.F. Vaucher, o.c., p. 20. Proponiamo alcune versioni: Il quinto corno proviene da uno dei venti: - La Bibbia Sistoclementina: «…quattro corna volte ai quattro venti del cielo. Da uno di questi scappò fuori un piccolo corno che s’ingrandì…». In nota: il piccolo corno è Antioco Epifane… - La Sacra Bibbia, Mons. Antonio Martini: «… nacquero quattro corna … volte ai quattro venti del cielo. E da uno di questi scappò fuori un piccolo corno». “Questi”, in nota: «Dal regno di Siria uscì Antioco Epifane». - La Bibbia ed. Salani: «... e quattro altre corna spuntarono sotto di esso, verso i quattro venti del cielo. Da uno di questi uscì un altro piccolo corno...». La nota dell’abate Giuseppe Ricciotti (le quattro corna = i Diadochi; piccolo corno = Antioco), crediamo contraddica la traduzione, nella quale l’aggettivo dimostrativo plurale «questi» si dovrebbe riferire ai venti e non alle corna per le quali avrebbe dovuto usare: queste o quelle.
Abbiamo quindi: - versetto 8: «sorsero quattro (f) corna (f) cospicue, verso i quattro venti (m-f-plur.) dei cieli (m-plur)» - versetto 9: «e dall’una (f) di essi/e (m - molti manoscritti f) uscì un piccolo corno». Come risulta evidente dal testo, il soggetto principale della visione è costituito dalle quattro corna. Il menzionare i venti è un aspetto secondario, è il complemento di luogo della preposizione principale. Se con le parole del versetto 9 il profeta voleva riferirsi al complemento di luogo, i venti, e non al soggetto della frase precedente, le corna, le regole grammaticali e di sintassi avrebbero chiesto a Daniele una precisazione. Questa evidenza grammaticale ci permette di sostenere che il profeta, pur avendo presentato i venti del cielo, si riferisce al soggetto del versetto precedente. Questo modo di vedere il testo biblico è stato ben compreso dagli autori de The New English Bible - La Nuova Bibbia Inglese81, i quali hanno così tradotto: «Al suo posto sorsero verso le quattro direzioni del cielo quattro corna prominenti. Dall’uno di esse sorse un piccolo corno». The Good News Bible, traduce: «Da uno di quelle quattro corna crebbe un piccolo corno...». La Sainte Bible tradotta in francese corrente del 1991 riporta: «Al suo posto, quattro altre corna impressionanti spuntarono, orientate verso i quattro angoli dell’orizzonte. Dall’uno di esse, il più piccolo, uscì un nuovo - La Bibbia di Gerusalemme; La Sacra Bibbia, ed. SEI; La Bibbia nuovissima versione dai testi originali s. Paolo; La Bibbia TOB: «... verso i quattro venti del cielo, e da uno di quelli…». - Card. Ferraris: «... e quattro altre corna spuntarono sotto di esso, verso i quattro venti del cielo. E da uno di essi uscì un altro corno piccolo che s’ingrandì... ». - La Nuova Diodati: «... al suo posto spuntarono quattro corna cospicue, verso i quattro venti del cielo. Da uno di questi uscì un piccolo corno...». - Luzzi - nuova riveduta: «... al suo posto spuntarono quattro grandi corna verso i quattro venti del cielo. Da uno di essi uscì un piccolo corno..». Queste versioni presentano il piccolo corno che esce dai venti, però poi quando c’è la nota si presenta il re Antioco Epifane, quale quinto corno che sorge dal regno Seleucida, uno dei quattro corni. Ricordiamo che i venti sono il complemento di luogo della crescita delle corna. Il soggetto del versetto 9 dovrebbe fare quindi riferimento al soggetto del versetto 8 che sono le corna. Il quinto corno proviene dalle corna - La Bibbia Concordata, ed. A. Mondadori, Milano 1968, 2a e 3a ed.,1969: «… spuntarono quattro corna cospicue, in direzione dei quattro venti del cielo. Da uno di essi, dal più piccolo, spuntò un corno…». - La Parola del Signore: «... sorsero altre quattro grosse corna rivolte verso i quattro angoli dell’orizzonte. Da uno di essi, il più piccolo, spuntò un nuovo corno...». In queste versioni l’aggettivo maschile «piccolo», che nelle altre versioni è riferito al corno nascente, non ha senso che sia riferito ai venti del cielo, angoli dell’orizzonte e crediamo quindi si riferisca a uno delle quattro corna (femminile), quello seleucida. Ci permettiamo pensare che queste traduzioni possano essere viziata dalla spiegazione che viene data: il piccolo corno è Antioco. Le tre versioni che seguono sono precise e non lasciano equivoci: - Diodati: «... in luogo di quello sorsero altre quattro corna ritorte, verso i quattro venti del cielo. E dall’uno di esse uscì un piccolo corno...». - Luzzi: «... sorsero quattro corna cospicue, verso i quattro venti del cielo. E dall’una d’esse uscì un piccolo corno...». - La Bibbia ed. Paoline: «... e in suo luogo ne sorsero quattro, verso i quattro venti del cielo. Or, da uno di quelli, dal piccolo, uscì fuori un altro corno». Come abbiamo già detto, a causa della spiegazione che viene data, che tranne qualche eccezione, come la nostra, si identifica il corno nascente con Antioco Epifane, è normale pensare che questo corno sorga da uno delle quattro corna precedenti e non dai quattro punti cardinali. Riconosciamo che questo pensiero radicato, possa influenzare la traduzione. 81
The New English Bible, Oxford 1970.
corno».82 La Bibbia Concordata nel 1968 così traduceva: «In sua vece spuntarono quattro corna cospicue, in direzione dei quattro venti del cielo. Da uno di essi, dal più piccolo, spuntò un corno...».83 A queste osservazioni possiamo aggiungere: l’espressione che le quattro corna si diramarono «verso i quattro venti del cielo» non vuole dire che salirono verso il cielo, ma che i loro territori geografici si estesero verso i punti cardinali, e non dai punti cardinali, ma da uno dei territori che raffiguravano queste corna sorse il quinto corno.
2. Momento storico dell’apparizione del quinto corno La storia di questi quattro regni sorti dalla divisione dell’impero di Alessandro fu caratterizzata da continue sommosse, guerre all’interno e all’esterno. A poco a poco questo impero macedone passò sotto il dominio di Roma. Nel 168 a.C. la Macedonia venne conquistata dai Romani e nel 146 a.C. diventò Provincia romana; nel 145 a.C. fu la volta della Grecia col nome di Acaia. I Seleucidi mantennero il loro regno sulla Siria fino al 63 a.C. e l’Egitto venne annesso, come proprietà personale dell’imperatore, nell’anno 30, dopo che Ottaviano Augusto vinse Antonio, amante della seducente Cleopatra, nella famosa battaglia di Azio del 31 a.C.
Questi regni caddero, finirono, dice il testo biblico, perché colmarono la misura della loro ribellione, cioè del loro peccato. Come Babilonia passò sotto la dominazione dei Medo-Persiani, a causa della sua corruzione morale,84 così i regni ellenici vennero scalzati nel momento culminante della loro licenziosità, del loro crimine e della loro corruzione. Lo storico F. Laurent così riassume gli ultimi anni degli ultimi due regni dell’Impero Greco: «La storia degli ultimi Seleucidi può riassumersi in qualche parola: discordia, patricidi e dissolutezze... I Tolomei, tanto quanto i Seleucidi, si distinsero per la loro condotta, la loro vigliaccheria, la loro imbecillità, i loro terribili piaceri... Gli omicidi e l’incesto erano la vita comune della famiglia reale».85 Questo quinto corno sarebbe dovuto quindi sorgere dopo il 31 a.C. (alla fine del loro regno), diventando grande verso mezzogiorno, verso levante e verso il Paese splendido, che non è altro che la Palestina. Questo corno rappresenta un re politico e religioso, la cui azione si svolge prettamente sul terreno religioso. Lo stesso abate J. Fabre d’Envieu e quasi tutti i commentatori, anche se non seguono la nostra spiegazione, riconoscono che «questo re è descritto sotto i tratti analoghi a quelli dell’Anticristo del capitolo VII».86
82 83 84 85 86
La Sainte Bible, con i libri Deuterocanonici, francese corrente, ABU, 1991. La Sacra Bibbia Concordata, ed. A. Mondadori, 1968. Vedere Daniele 5. LAURENT F., Histoire du droit des gens et des relations internationales, t. III, 2a ed., Bruxelles 1862, pp. 153,156. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 774.
Come abbiamo visto, diversi studiosi hanno identificato questo corno con Roma. La spiegazione che noi daremo segue la tesi di Pedro de Felipe.87 Essa ci sembra che tenga conto al meglio del testo biblico stabilendo il sorgere di questo quinto regno solamente dopo la caduta dei diadochi. Roma, come potenza imperiale, sorge molto tempo prima. Questo corno non può essere solamente l’Impero Romano pagano, perché questo potere giunge fino al tempo della fine. Non può essere neppure solamente Roma papale, come hanno spiegato diversi esegeti, per il fatto che questa sorge diversi secoli dopo la caduta dell’Impero Greco macedone, e per lo stesso motivo non può essere neppure l’Islam. Questo corno rappresenta la potenza di Roma pagana che continua sotto le vesti della potenza cristiana nella figura del Pontefice massimo che, pagano o/e cristiano, è motivo di adorazione. «C’è una differenza tra il piccolo corno del capitolo VII e quello del capitolo VIII. Il primo rappresenta Roma papale, mentre il secondo rappresenta Roma in tutte le fasi della sua storia, la fase pagana e la fase papale»,88 sotto il suo aspetto prettamente religioso; e ciò spiegherebbe perché viene descritta dall’emblema del corno e non da un animale, come nel capitolo precedente. Il capitolo VIII di Daniele amplia e precisa meglio l’origine del piccolo corno del capitolo VII e del perché esso è per natura «diverso» dalle altre dieci corna e nello stesso tempo perché esso riassume in sé tutta la potenza e la brutalità della quarta bestia. «Questa visione (del capitolo VIII) è chiaramente parallela alla precedente e completa anche la prima visione dei quattro imperi del capitolo II».89 È chiaro dal testo biblico «che il piccolo corno del capitolo VIII giochi il ruolo combinato sia della quarta bestia sia del piccolo corno del capitolo VII».90 Questo corno è la figura dell’imperatore romano divinizzata che giunge fino al nostro tempo, culto che sorge non sul territorio dei Latini, ma su quello dell’Impero Greco, da uno delle quattro corna. Nella sua crescita in origine, questo corno si annette il Mezzogiorno, cioè l’Egitto, quando Ottaviano, di ritorno dalla Siria, vi entra con il suo esercito nel 30 a.C. Dopo il Mezzogiorno s’ingrandisce verso levante, e la storia ci dice che «al principio dell’anno 21 a.C. Augusto... cominciò una ispezione generale verso l’Oriente. In Asia esercitò, contro i Parti, una tale pressione militare e diplomatica che obbligò il re Fraates a restituire, a Tiberio, le insegne di Crasso (20 a.C.); la propaganda presenta questo successo come la realizzazione dell’Impero universale».91 Nel 6 d.C. Augusto diede la Giudea, «il paese splendido», a un procuratore. 3. Origine e sviluppo del culto all’imperatore romano pagano prima e al vescovo di Roma poi 87
FeLIPE del REY Pedro de, La identificacion del Cuerno Pequeno de Daniel 8, Madrid 1970, ciclostilato. Edizione ampliata del mémoire presentato al Seminaire Adventiste de Collonges sous Salève, Identification de la petite corne de Daniel 8 - de son origine à 476, Collonges sous Salève, aprile 1969, dattiloscritto.
88 89 90 91
WAGGONER Joseph Harevey, D’Eden en Eden, Étude scripture et pratique, Bâle 1889, p. 148. L. Dennefeld, o.c., p. 681. FORREST CONTRELL Raymond, Beyond tomorrow, 1962, p. 151. PICARD G. Charles, Auguste et Neron, le secret de l’Empire, Paris 1962, pp. 18,22.
Il profeta Daniele veniva quindi posto a considerare il sorgere della potenza romana, potenza che sussiste fino ai nostri giorni, sotto l’aspetto del culto all’imperatore di Roma, culto che sorse da principio su uno dei regni delle quattro corna. «Tra le diverse forme delle religioni antiche, quella che colpisce di più è forse l’adorazione dell’imperatore».92 È questa abominazione che, con il cristianesimo, raggiunge il suo apogeo. Se questa empietà prima si manifestava nel mondo pagano, nel nome delle varie divinità, successivamente è continuata nella Chiesa di Cristo nel nome dell’Eterno. Per comprendere bene questo dobbiamo risalire molto nel tempo e vedere come l’imperatore-dio fosse un agente dell’Avversario. Infatti questo culto della creatura trova la sua origine in Satana che volle essere «simile all’Altissimo» trasmettendo questo sentimento nell’uomo quando disse ad Eva: «Sarete come Dio».93 Il profeta Daniele nella sua rivelazione presenta questa realtà incarnata nel re di Babilonia Nebucadnetsar cercò di farsi adorare sotto l’emblema di una statua d’oro, davanti alla quale i figli di Dio, gli amici di Daniele, non si inginocchiarono. Sebbene il libro apocrifo di Giuditta, del II secolo a.C., riporti dei fatti storici imprecisi e non realizzati, si legge che il generale Oloferne «aveva ricevuto da Nabuccodonosor l’ordine di distruggere tutti gli dèi della terra. I popoli e le tribù del mondo dovevano adorare soltanto Nabuccodonosor. In tutte le lingue dovevano invocarlo come l’unico Dio» e gli fa dire: «Non esiste nessun altro Dio all’infuori di Nabuccodonosor».94 L’ambizione umana continuò nella corte caldea e fu la causa, secondo il profeta Isaia, della sua caduta.95 Dario, re dei Medi e dei Persiani, dopo aver conquistato Babilonia, emanò un decreto, dietro suggerimento dei suoi consiglieri, con il quale faceva conoscere che nessun altro dio all’infuori di lui doveva ricevere qualsivoglia richiesta, cioè essere pregato, adorato per lo spazio di trenta giorni: «Rivolgerà qualche richiesta a qualsivoglia dio o uomo tranne che a te, o re, ... ».96 La Bible Annotée commenta: «Adorare il re, secondo le idee religiose dei Persiani, non era cosa empia, al contrario. Gli autori antichi testimoniano che il re persiano era riverito come “figlio” e “immagine degli dèi”, e pure come “dio”. Era la stessa cosa presso gli Egiziani, gli Etiopi; si sa che Alessandro il Grande ebbe in Egitto gli onori divini». 97 L’abate Beurlier scriveva: «Gli Egiziani veneravano nei loro re le incarnazioni successive di Ra, il sole, il più grande degli dèi. I re persiani erano adorati dai loro sudditi. Alessandro non poteva essere inferiore nei confronti di coloro che aveva vinto e che voleva sostituire. Così si fece proclamare figlio di Zeus dall’oracolo di Ammon, e adorato dagli abitanti dell’Asia. La sua ambizione fu completamente soddisfatta solo nel giorno in cui i suoi compatrioti e le città della Grecia riconobbero 92 93 94 95 96 97
E. Beurlieri, o.c., p. 1. Isaia 14:12-14; Genesi 3:5. Giuditta 3:8; 6:2. Daniele 3; Isaia 14:12-14. Daniele 6:7. La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 280
la sua divinità. Essi lo fecero di malavoglia, ma infine cedettero, e dei decreti solenni salutarono in Alessandro l’uguale dei più grandi dèi. La divinità di Alessandro restò popolare dopo la sua morte, e il suo culto rimase ancora per molto tempo dopo la conquista dei rimasugli del suo impero dalla potenza romana... I Tolomei ereditarono dei titoli dai Faraoni. Essi furono, come loro, figli di Ra, e, nei templi della religione egiziana, furono associati agli dei del paese... Con dei mezzi un po’ diversi i Seleucidi arrivarono agli stessi risultati. Essi portarono secondo i loro desideri il titolo di Salvatore e quello di Dio... Ecco ciò che i Romani trovarono stabilito quando si appropriarono di queste regioni... Era dunque naturale che il giorno in cui alla repubblica fosse successa una monarchia, il principe avrebbe trovato, da parte dei popoli greci, la stessa premura all’adorazione».98 Alla morte di Alessandro, Lisimaco eresse l’acropoli di Pergamo e vi depose 9000 talenti la cui custodia fu affidata a Filotero (283-263 a.C.) il quale, alla morte di Lisimaco, si appropriò del tesoro e fondò una dinastia indipendente. A questo regno aderirono la Misia, la Lidia, la Caira, la Panfilia e la Frigia. Con Eumenes II questo regno raggiunse l’apice del suo splendore e Attalo III Filometore (138-133) lo mantenne con l’appoggio dei Romani, i quali lo ereditarono nel 133 a.C. facendone una provincia romana nel l29 a.C. col nome di Asia Propria, mantenendo come capitale Pergamo. I re di questo regno erano considerati come delle divinità. La devozione a questi re continuò nel culto ai Cesari romani quando eressero sopra l’acropoli il primo tempio della storia alla dea Roma e al dio Augusto, nel 29 a.C. Prima di Ottaviano Augusto, Giulio Cesare aveva cercato di creare in Roma una monarchia simile a quella dei regni ellenici. I pugnali di Bruto e Cassio posero fine alla sua impresa. Sebbene Ottaviano Augusto si presentasse a Roma «e ai Romani nella toga repubblicana, il mondo, e soprattutto l’Oriente, lo vedeva rivestito dal manto di porpora di Alessandro».99 Era riservato in Roma, e adorato nelle province, ma la monarchia di tipo ellenico doveva con il tempo conquistare la capitale stessa. Nell’anno 27 a.C. il Senato attribuì ad Augusto il nome di dio, conferendo alla sua persona un carattere sacro. Nel 26 a.C. la propaganda al culto dell’imperatore uscì da Pergamo e creò in Spagna, a Tarragona, un nuovo centro di adorazione. «Nell’anno 12 a.C. - ultima delle grandi tappe - alla morte di Lepido, Augusto si fece nominare Sommo Pontefice. Questo atto risuscitò, a profitto dell’imperatore, l’antica unione del trono e dell’altare rotta con la caduta dei re, e lo costituì, sotto una forma visibile, capo ufficiale della religione romana».100 Il sistema pontificio che Numa Pompilio creò a Roma nel VI secolo a.C. il cui presidente controllava tutti i riti religiosi pubblici o privati del popolo romano, «non era che un germoglio del grande sistema babilonese primitivo».101 98 99 100 101
E. Beurlier, o.c., p. 3,4. LIETZMANN H., Histoire de l’Eglise ancienne, Paris 1950, p. 176. HOMO Léon, De la Rome païenne à la Rome chrétienne, Paris 1950, p. 41. HISLOP Alexandre, Les Deux Babylones, Paris, ed. 1972, p. 364.
L’istituzione vera d’un culto imperiale per Roma e per l’Italia data l’anno 8 a.C. Quando Augusto morì nel 14 d.C. la sua opera era definitivamente stabilita. «Se durante il primo secolo della nostra era il culto all’imperatore vivente incontrò ancora un certo numero di ostacoli, se quello dell’imperatore morto suscitò qualche reticenza e qualche sarcasmo, ... con gli Antoniani (nome dato agli imperatori romani: Nerva, Traiano, Adriano, Antonio, Marco Aurelio, Verus e Commodio, che imperarono dal 96 al 192) l’uno e l’altro furono accettati da tutti... D’ora in avanti il culto imperiale fu parte integrante della religione... Tale è l’apporto di Augusto e della sua opera alla religione romana».102 Parlando della fedeltà della Chiesa di Pergamo alla fine del I secolo, Giovanni nell’Apocalisse scrive: «Io conosco dove tu abiti cioè là dove è il trono di Satana».103 Era a causa del culto all’imperatore romano, la cui origine è proprio nella città di Pergamo, che i cristiani furono perseguitati perché rifiutavano di rendere il loro omaggio a Domiziano (81-96), che esigeva l’adorazione come “signore e dio”. Oscar Cullmann fa notare: «Il culto all’imperatore era il punto in cui lo Stato romano superava i suoi limiti, in cui si erigeva per così dire ad istituzione divina, al fine di dominare anche sulle anime dei suoi sudditi... Rifiutare di offrire i sacrifici all’immagine dell’imperatore e di pronunciare Kyrios Kaiser (Signore Cesare) comportava d’ufficio la condanna a morte».104 «La... religione solare rinforzava il carattere divino dell’autorità imperiale... Le religioni solari e le teorie astrologiche orientali tendevano a fare del sovrano l’emanazione e il rappresentante sulla terra del Sole... Il sincretismo religioso ha il suo centro nella capitale».105 Quando gli imperatori dopo Costantino divennero cristiani non rinunceranno al titolo di Pontefice Massimo o Sommo Pontefice. «Il Principe è rimasto Pontefice Massimo, cioè capo religioso della città di Roma».106 «Esattamente come il Pontefice Massimo del passato, egli si sentì chiamato, nella sua qualità di Imperatore divino, a essere sulla terra l’organo visibile della divinità».107 «La conversione108 di Costantino avrebbe dovuto comportare l’abolizione del culto imperiale»109 ma, scrivono Brehier e Batiffol: «Non solamente Costantino non ha 102 103 104 105 106 107 108
GORGE M. - MORTIER R., Histoire générale des Religions, Paris 1948, p. 374. Apocalisse 2:13. CULLMANN Oscar, Dieu et César, Neuchâtel 1936, pp. 83,84. L. Home, o.c., pp. 153,154,157. PALANQUE Jean-Rémy, De Costantin à Charlemagne à travers le chaos barbare, Paris 1959, p. 14. RAHNER Hugo, L’Eglise et l’Etat dans le christianisme primitif, Paris 1964, p. 71.
Possiamo asserire che Costantino non si è mai convertito. C’è stata una evoluzione religiosa che è la conseguenza di una necessità contingente ed un adattamento ai tempi. Anche il segno, a forma di croce, che ha fatto dipingere sugli scudi, se lo vogliamo vedere in chiave prettamente cristiana esso è un atto di propiziazione di una divinità che non faceva ancora parte del Panteon e che, malgrado la persecuzione subita dai suoi fedeli, aveva fatto crescere il numero degli adepti in tutto l’impero. Di questo segno Will DURANT, Historia de la Civilisation, Simon - Schuster, Inc. New York, scrive: «Negli eserciti di Costantino la croce non avrebbe potuto offendere gli adoratori di Mitra (i pagani) perché per molto tempo avevano combattuto sotto lo stendardo mitraico della croce di luce». È quindi più corretto parlare di evoluzione di Costantino e di inversione di marcia della politica di Roma nei confronti del cristianesimo.
abolito il culto all’imperatore, ma lo ha messo in onore con il cristianesimo ed è riuscito a farlo accettare dalla Chiesa... Costantino ha mantenuto, sembra, quasi tutte le pratiche e gli usi dell’antico culto imperiale». È lui il primo Sommo Pontefice della Chiesa. «Non rifiuta il nimbo, simbolo della divinità che appare sulle monete imperiali sotto gli Antoniani». Il rifiuto all’adorazione della immagine imperiale, offesa di Lesa Maestà, aveva causato molti martiri. Nel 328 Costantino fece innalzare la sua statua nel Foro, in una mano tiene la lancia, nell’altra il globo sormontato dalla croce. L’inaugurazione di questa statua dette origine a delle feste solenni, e, molto tempo dopo la morte di Costantino, essa era ancora in grande venerazione».110 «Gli imperatori cristiani... hanno in realtà posseduto un carattere sacro ben più importante di quello degli imperatori pagani candidati alla divinità, dopo la morte. La migliore prova è fornita dalla persistenza, nell’impero cristiano, del culto imperiale. Durante più di un secolo, l’adorazione resta la regola assoluta, che consiste nel prostrarsi davanti alla Maestà imperiale, baciare il panno della sua porpora, vestia regis, la stoffa sacra, inginocchiarsi davanti al trono».111 «A Costantino morto si rende l’omaggio piegando il ginocchio... è il rito di adorazione che era d’etichetta alla corte imperiale dal tempo di Diocleziano».112 Per i pagani, l’imperatore dopo la sua morte diventava divus (divino), questo status corrisponde per i cristiani a quello di beato.113 Per questo motivo in Oriente Costantino è elevato al rango dei santi. La Chiesa greca, il 21 maggio, celebra la festa del «glorioso sovrano, coronato da Dio...».114 Il cattolico F. Mourret dichiara che, quando Costantino trasferì la sede dell’impero da Roma a Costantinopoli, nel 329: «Qualunque sia stata la sua intenzione personale, lasciò che il Papa occupasse più liberamente e più ostensibilmente il primo posto nella città di Roma... Il Pontefice (allora vescovo) era ormai incaricato della gestione e manutenzione di acquedotti, ponti e mura; era il protettore legale di chiunque ricevesse vessazioni dai giudici; il giorno del combattimento, egli deve essere il primo sulle roccheforti. “Il Papa, dice Ernest Lavisse, è fin da quel momento il vero padrone di Roma”».115 Nel 378 l’imperatore Graziano rinunciò al titolo di Pontefice Massimo, nello stesso tempo, mentre in Oriente lo Stato cerca di assorbire la Chiesa, in Occidente, Roma, dal 382, affermava il primato della sua sede mettendo le basi della teocrazia pontificia. Ciò che distingue Costantino dagli altri imperatori che lo hanno preceduto non è la sua conversione, ma la sua politica, che è stata poi seguita costantemente dai suoi successori. 109 110 111 112 113 114 115
LEBRETON Jules, Les origines du dogme de la Trinité, 1919, p. 13. BREHIER Louis René - BATIFFOL Pierre, La survivance du culte impérial romain, Paris 1920, pp. 17,27,39. MESLIN Michel, Le christianisme dans l’empire romain, Paris 1970, p. 111. L.R. Brehier et P. Batiffol, o.c., p. 40. J. Lebreton, o.c., p. 17. Vedere FLICHE Augustine - MARTIN Victor, Histoire de l’Eglise, t. I, pp. 29,30. MOURRET F., La papauté‚ Paris 1929, pp. 24-26.
Hans Kueng scrive: «L’insigne vescovo giurista Leone, per primo si fregiò del titolo spettante al sommo sacerdote pagano, Pontifex Maximus»116, e Nino Lo Bello precisa che «nell’anno 440 il titolo di Pontifex Maximus fu trasferito al papa Leone Io».117 Nel 533 l’imperatore Giustiniano, per motivi politici, riconosceva al vescovo di Roma il primo posto nella cristianità e al vescovo di Costantinopoli, Nuova Roma, quello di secondo. Il teologo protestante Harnack scriveva: «La Chiesa romana scivolò insediandosi al posto dell’Impero Romano, in effetti, questo continuò in essa; non è sparito, si è solo trasformato».118 Lo storico Ferdinando Lot, riportando una dichiarazione di Harnack, scrive: «Il papa - Pontefice Massimo - è succeduto a Cesare, il Papa è l’Imperatore».119 Il cattolico Wladimir d’Ormesson, accademico francese e ambasciatore per otto anni presso la santa sede, scrive: «Sul piano storico il Papa è l’erede dei Pontefici Romani e questo titolo interessa sia l’antico Impero di Roma sia l’era cristiana».120 Purtroppo oggi, come confessano Brehier e Batiffol: «Nessuno è stupito di vedere il titolo di Pontefice Massimo dato ai successori di S. Pietro».121 «Una forma di governo, ispirata dall’assolutismo più brutale mai esistito, s’impose ad una istituzione (la Chiesa) che aveva avuto per privilegio e per scopo la libertà e la denominazione pagana restò attaccata con ironia al frontespizio dell’edificio cristiano: Pontifex Maximus!»122 Con il papato il culto all’uomo, all’imperatore, «il mistero dell’iniquità», come scrive l’apostolo Paolo, raggiunge la sua pienezza e la potenza religiosa viene impiegata per fini politici. L’apostasia predetta dall’apostolo si compie e il presunto successore di Pietro diventa: «l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo che egli è Dio».123 A Montecitorio c’è l’obelisco di granito rosso, di 80 piedi d’altezza che il grande Sesostri, del tempo di Abramo, si fece costruire per la sua Ierapoli. Dopo sedici secoli, Augusto lo fece portare a Roma e su un lato vi fece scolpire: «Il divino augusto, Pontefice Massimo, l’anno XIV del suo regno» mentre sull’altro ‘sua santità’ Benedetto XIV, successore del I pontefice romano, vi fece incidere: «Benedetto XIV, Pontefice Massimo, l’anno XVIII del suo regno»; più tardi Pio VI vi scolpiva: «Pio sesto Pontefice Massimo». La stessa cosa è per l’obelisco di Piazza del Popolo. Nel 116 117 118 119 120 121 122 123
KUENG Hans, L’infallibilità, ed. Mondadori, Milano 1977, p. 81. Lo BELLO Nino, The Vatican Empire, New York 1968, p. 75. HARNACK Carl Gustav Adolf, L’essence du christianisme, Paris 1907, pp. 299,300. LOT Ferdinando, La fin du monde antique et le début du Moyen Âge, Paris 1927, p. 60. ORMENSON Wladimir de, Il Papato, ed. Paoline, Catania 1958, p. 156. Brehier L.R. et Batiffol P., o.c., p. 27. LANFREY P., Histoire politique des papes, Paris 1860, p. 16. 2 Tessalonicesi 2:3 up,4.
Campidoglio, sulla statua di Antonio, è scritto: «Antonio, Dio, figlio di Dio, Pontefice Massimo», e sopra, a conferma della continuazione del potere: «Paolo III Pontefice Massimo». Nel Foro romano, sull’arco di trionfo del crudele imperatore Settimio Severo, lo stesso vi faceva scrivere il suo nome seguito dalla dicitura: «Pontefice Massimo», più tardi Pio VII vi pose il proprio nome con lo stesso titolo. Questo potere che incarna l’ambizione diabolica della creatura di essere come Dio, Daniele dice che «non agirà per forza sua» e Paolo precisa che la venuta di questo potere nella Chiesa si manifesterà mediante l’azione efficace di Satana.
L’opera svolta dal Pontifex Maximus «S’ingrandì, fino a giungere all’esercito del cielo; fece cadere in terra parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò. S’elevo anzi fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio perpetuo, e il luogo del suo santuario fu abbattuto. L’esercito gli fu dato in mano col sacrificio perpetuo a motivo della ribellione; e il corno gettò a terra la verità, e prosperò nelle sue imprese. Poi udii un santo che parlava; e un altro santo disse a quello che parlava: “Fino a quando durerà la visione del sacrificio continuo e la ribellione che produce la desolazione, abbandonando il luogo santo e l’esercito ad esser calpestati?” Egli mi disse: “Fino a duemilatrecento sere e mattine; poi il santuario sarà purificato”». Nella spiegazione Gabriele dice: «Questa visione concerne il tempo della fine», «concerne quello che avverrà nell’ultimo tempo dell’indignazione», «poiché si tratta del tempo fissato per la fine», e «a motivo della sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani; s’inorgoglirà in cuor suo, e in piena pace distruggerà molta gente; insorgerà contro il principe dei principi, ma sarà infranto, senza opera di mano. E la visione delle sere e delle mattine, di cui è stato parlato, è vera. Tu tieni segreta la visione, perché si riferisce ad un tempo lontano».124 Questo potere compie un’opera che nessun altro regno prima di lui, in questo capitolo VIII, e nella storia aveva fatto. Gli orizzonti di queste potenze che l’hanno preceduto avevano mire espansionistiche geografiche orizzontali. Il piccolo corno ha una trasformazione radicale nel suo bisogno di potere. Passa dalle sue conquiste militari a quelle prettamente religiose, verticali. Incarna il programma di Lucifero: «Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio... sarò simile
124
Daniele 8:10-14,17,19,25.
all’Altissimo».125 Questa «potenza politica e religiosa lancia un attacco militare contro il centro stesso dell’universo, il santuario celeste».126
1. Contro l’esercito del cielo «S’ingrandì fino a giungere all’esercito del cielo; fece cadere in terra parte di quell’esercito e delle stelle, e le calpestò... distruggerà... il popolo dei santi... e in piena pace distruggerà molta gente».127 L’esercito del cielo, come spiega l’angelo, è la gente, il popolo di Dio - Israele prima, la Chiesa poi di cui fanno parte gli adoratori dell’Eterno sulla terra128- che, non riconoscendo il sommo pontefice come Signore, viene soppresso. Le stelle sono i suoi capi129, i suoi principali esponenti. È un esercito speciale, di santi, raffigurati con delle stelle che brillano in un mondo pagano. La guerra del corno, cioè, del sommo pontefice, nei confronti di questo esercito è svolta in «piena pace», non è quindi una guerra tradizionale. Di conoscenza universale sono le persecuzioni che la Chiesa cristiana ha subito nei primi secoli per non avere condisceso al culto stabilito dall’imperatore. Quando il sommo pontefice cambia religione, da pagano diventa cristiano, esercita la stessa intolleranza nei confronti di coloro che non accettano la religione costituita. «Il riconoscimento del 313 d.C. della libertà religiosa... (a opera di Costantino) pone il Cristianesimo in situazione di uguaglianza nei confronti delle altre religioni ed è il primo passo per la sua trasformazione in religione ufficiale dell’impero in virtù dell’editto di Tessalonica del 380. A partire da Teodosio l’impero si trasforma in uno stato confessionale: la religione è imposta dal pubblico potere ai suoi sudditi, fino a proibire il paganesimo, chiudere e distruggere i suoi templi, perseguitare la gerarchia ecc..».130 125 126 127 128 129 130
Isaia 14:12-14. A.M. Rodriguez, o.c., p. 41. Daniele 8:10,24,25. Esodo 6:26; 7:4; Daniele 12:3; 1 Maccabei 1:24; 1 Pietro 2:9,10; Apocalisse 14:12. Apocalisse 1:20; 2:1.
ARTOLA M., Textes fundamentales para la Historia, Salamanca 1968, p. 15. «Un grande numero di testi giuridici completarono quelli di Graziano e di Valentiniano II, colpirono gli idolatri, interdicendo loro una dopo l’altra tutte le manifestazioni, anche private, delle loro convinzioni, e poi proibendo queste stesse convinzioni. La legge (329) proibì non solo d’immolare vittime e di consultarne le viscere, ma anche d’accendere lampade, di alimentare una fiamma, di bruciare l’incenso o di appendere alla propria porta corone in onore degli dèi. I templi furono chiusi dalla polizia. Nelle campagne si diede la caccia alle antiche tradizioni di culto, alzare un altare con un rialzo di terriccio e d’erba o intrecciare striscioline ai rami degli alberi divenivano delitti. Anche nella propria casa, nell’intimità di quel focolare che i vecchi romani consideravano sacro, venerare i Lari o parlare dei Penati, bruciare un boccone di pane o versare una libagione di vino furono cose proibite. Ogni casa in cui sarà stato bruciato l’incenso sarà proprietà del fisco» ROPS Daniel, Storia della Chiesa del Cristo, vol. I, La Chiesa degli Apostoli e dei martiri, Torino 1961, pp. 580,581. «I ministri dei culti e gli altri ierofanti furono nel 396 spogliati dei loro ultimi privilegi, nel 408 fu vietato l’ingresso nell’Amministrazione del “Palazzo” a tutti i “nemici” della fede dell’Impero» Idem, vol. II, La Chiesa nel tempo dei barbari, Torino 1972, p. 78.
Chi quindi non riconosceva la religione dell’imperatore veniva messo al bando. La persecuzione divenne più terribile, senza confronti, quando alla carica di sommo pontefice salì il vescovo di Roma. In quel tempo gli eretici, nell’impero cristiano, erano colpevoli di adorare il Signore secondo la loro coscienza illuminata dalla luce che ricevevano dai frammenti della Sacra Scrittura. Per loro si costituì il tribunale dell’inquisizione. Esce dai quadri del nostro lavoro, anche se a diverse riprese ne abbiamo accennato, la descrizione della carità fraterna della santità che sedeva a Roma. La comparazione che J. Michelet fa tra il Terrore della Rivoluzione francese e il terrore religioso nel Medio Evo, crediamo che sia più che sufficiente: «Che il Terrore della Rivoluzione si guardi bene dal confrontarsi con l’inquisizione. Che esso non si vanti mai d’avere, nei suoi due o tre anni, reso al vecchio sistema ciò che esso ci fece in seicento anni!... Quanto l’inquisizione avrebbe diritto di ridere!... Che cosa sono i dodicimila ghigliottinati dell’uno davanti a quei milioni d’uomini sgozzati, impiccati, rotti... La sola Inquisizione in una delle province della Spagna stabilì un monumento autentico che in sedici anni essa bruciò ventimila uomini... La storia dirà che nel suo momento feroce, la Rivoluzione temette di aggravare la morte, che essa addolcì i suppliziati, allontanò la mano dell’uomo, inventò una macchina per abbreviare il dolore. Essa dirà anche che la Chiesa del Medio Evo si esaurì in invenzioni per aumentare la sofferenza, per renderla pungente, penetrante, che essa trovò delle arti squisite di tortura, dei mezzi ingegnosi per fare sì che, senza morire, si assaporasse per molto tempo la morte...».131 Quando il dr. Nussbaum, segretario generale protestante dell’Associazione Internazionale per la Libertà Religiosa, chiese a papa Pio XII, alla fine di una conversazione che era durata più d’una ora: «Avrei piacere di sapere quale sarebbe il vostro atteggiamento se ci fosse nel mondo uno Stato che vi fosse interamente devoto, a un punto tale che non farebbe nulla senza la vostra approvazione. Ci dareste in quel caso la libertà religiosa?» Il papa ebbe una risposta immediata: «Voi sapete bene, mio caro dottore, che noi crediamo di avere la verità. Noi non potremo accordare all’errore gli stessi diritti che alla verità».132 Ci auguriamo che non si debba ancora verificare quanto il gesuita Joseph Keating scriveva: «Debbo ricordare che la possibilità di adoperare la costrizione fisica, anche in forma più mite da parte della Chiesa, dipende dalle circostanze, se cioè si trova in un ambiente in cui questa costrizione è considerata come cosa naturale dall’opinione pubblica e un dovere da parte dell’autorità».133 Il profeta Daniele aveva scritto che questa manifestazione visibile dell’Avversario «non agirà per forza sua», perché sul piano esecutivo sarà il potere secolare ad eseguire le sue sentenze. E la storia ci documenta assai ampiamente ciò che Tommaso d’Acquino scriveva: «Se ancora l’eretico viene trovato pertinace, la Chiesa, 131
MICHELET Jean, Histoire de la Révolution Française, t. I, prefazione, p. XLIX,L.
132
Articolo pastore STAHLER, L’Annuaire protestant du 1961 e nel giornale Le Protestant de Genève; cit. da HOFFET Frédéric, Politique Romaine et démission des protestants, Paris 1962, p. 64. 133
KEATING Joseph, Does the Catholic Churck persecute, p. 23; cit. da NISBET Roberto, Ma il vangelo non dice così, Torino, ed. 15a, 1965, p. 161.
disperando della conversione di lui, provvede alla salute degli altri, separandolo dalla Chiesa per sentenza di scomunica, e appresso lo abbandona al giudizio secolare onde sia sterminato mediante la morte».134
2. Contro il Capo dell’esercito «Si elevò fino al capo di quell’esercito».135 Non contento di colpire il popolo di Dio, il piccolo corno esprime il suo orgoglio, la sua ribellione contro il capo/principe. Il capo di questo esercito non può essere né un sacerdote, né un principe, né qualsiasi persona fisica. Il capo dell’esercito è il Dio degli eserciti. L’espressione che segue: «Il suo santuario», fa ancora pensare a Dio stesso136 che è il «Principe dei principi», come Daniele specifica più avanti e che chiama anche capo del popolo: Micael “vostro principe”, cioè il principe del popolo di Dio. L’impegno di “Micael, il grande principe”, in favore del suo popolo è descritto in Daniele XII:1-3,137 che secoli prima si presentò a Giosuè come «il capo dell’esercito dell’Eterno» e dal quale ricevette l’adorazione.138 Questo capo è «l’angelo dell’alleanza», «l’angelo della faccia»,139 è Colui che nel Nuovo Testamento è chiamato arcangelo140 e incarnandosi si presenta nella persona di Gesù Cristo, è l’Emanuele, Dio con noi e viene adorato, è il «Principe della Pace» e «Principe dei popoli».141 Nel capitolo seguente sarà presentato come l’Unto-Capo142 il quale incarnerà la funzione regale e sacerdotale. Nel libro di Daniele la parola “principe” sar indica abitualmente un essere celeste.143 È dunque normale considerare che voglia dire la stessa cosa qui. Gli evangeli sono unanimi nel riconoscere che la responsabilità giuridica della morte di Cristo fu dei Romani, nella persona di Ponzio Pilato. Le autorità giudaiche si limitarono a denunciare Gesù e accusarlo ricordando a Pilato che esse non potevano uccidere nessuno.144 Del resto «la tradizione penale giudaica non ammetteva (almeno nel secolo di Augusto) che quattro generi di pene capitali, tutte però meno obbrobriose della crocifissione: la spada, la corda, il fuoco e la lapidazione». Questo elenco è di 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143
S. Tommaso, Summae Theologicae Minutae; cit. da Italia Evangelica, 4.2.1888. Daniele 8:11. Vedere La Bible Annotée, o.c., t. Il, e A. Crampon, o.c.. Daniele 10:13,21; 12:1. Giosuè 5:13-15. Malachia 3:1; Isaia 63:9. Giuda 9; 1 Tessalonicesi 4:16. Giovanni 20:28; Atti 7:59; Filippesi 2:10,11; Isaia 9:5; 55:4. Daniele 9:25. Vedere il nostro Capitolo II, p. 87 e seg..
Daniele 8:25; 10:13,20,21; 12:8. Solo con qualche eccezione, come noi, gli interpreti identificano questo brano (8:9-14) con Antioco Epifane e sostengono che il principe sia il sommo sacerdote Onia ucciso nel 171 a.C.. Ma la parola «principe degli eserciti» non indica mai nell’Antico Testamento un sacerdote o un personaggio terreno. 144 Giovanni 18:31.
Giuseppe Flavio.145 I Romani invece nelle Province, per i reati contro l’ordine pubblico, usavano la croce.146 In questo elevarsi del corno contro il Principe dei principi, il Figlio di Dio, Daniele riassume tutta l’azione che il sommo pontefice, pagano prima, cristiano poi, ma sempre romano, ha avuto nei confronti di Cristo e della sua opera. All’origine della Chiesa, la lettera agli Ebrei presenta Gesù, dopo la sua morte e resurrezione, come «sommo sacerdote, che si è posto a sedere alla destra del trono della Maestà dei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore e non un uomo ha eretto - ond’è che può anche salvare appieno quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, vivendo egli sempre per intercedere per loro».147 È nei confronti del Signore che compie questa opera in favore dell’umanità e della sua Chiesa che il piccolo corno combatte. G. Hasel fa notare che il verbo dell’espressione «s’ingrandì fino al Principe dell’esercito» «esprime l’idea che (questa) potenza si attribuisce con arroganza delle prerogative che non appartengono a nessun altro che al “Principe dell’esercito”».148
3. Al Capo di questo esercito toglie il «continuo» «Gli tolse il sacrificio continuo». Il piccolo corno, sebbene sulla terra abbia soppresso l’Unto dell’Eterno, non è riuscito né a vincerlo né tanto meno a distruggerlo. Ora che il Signore è salito in cielo, nel suo santuario, cerca di togliergli il tamid, il “continuo”. Letteralmente: «e a lui fu tolta la perpetuità». Nel testo ebraico non c’è il termine sacrificio, ma solamente la parola “perpetuo” o, come altri traducono, continuo, quotidiano, perenne149 quale «traduzione della 145
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, 16, 10, 5, 117.
146
«Quintino Varo, Legato della Siria dall’anno 6 all’anno 4 a.C., aveva messo in croce 2.000 giudei ribelli, proprio nella città santa. Al tempo di Gesù tutti ancora ricordavano il fatto atroce» BORGONCINI DUCA Mons. F., Le LXX settimane di Daniele e le date Messianiche, Padova 1951, p. 309. 147
Ebrei 8:1,2; 7:25.
148
HASEL Gerhard F. La petite corne, les saints et le sanctuaire en Daniel 8, in AA.VV., Prophétie et Eschatologie, Collonges sous Salève 1982, p. 210. 149 ed. Diodati, Paoline, Salani. Questa espressione ha avuto diverse applicazioni, nel nostro lavoro presentiamo la terza: 1. Culto pagano. È una idea bizzarra introdotta da MILLER William, Evidences, 1836, pp. 56,60,61,71; 1838, p. 75,80,81; 1842, pp. 40,55. J. LITCH, Proph. Expos., vol. I, p. 127; C. FRENCH, The Midnight Cry, 18 novembre 1842, p. 4; J.N. ANDREWS, The Sanctuary, 2a ed., 1872, pp. 33-39; U. SMITH, Daniel, Battle Creek 1885, p. 32; J.G. LAMSON, The 11o chapter, p. 20, 2a ed., p. 60; J.G. MATTESON, Prophecies, p. 376,378,408; O.A. JOHNSON, The Daily; J. VUILLEUMIER lo spiega diversamente nel suo commentario, pp. 213,214, ma riabilita questa posizione in Les Signes des Temps, aprile 1927, p. 14 e in Future unrolled, 1928, pp. 116,117; N.J. WALDORF, The Vicar...; H.A. WASHBURN, Lessons..., pp. 53,54; J.S. WASHBURN, The Fruit..., pp. 53,54; J.S. WHITE, Bible, p. 127; Redemer, p. 127. 2. Culto Israelita. Anonimo, in Adven. Herald, 3/3/1849, p. 36; D. ARNOLD, in Present Truth, ed. J.S. White, Oswego, New York, marzo 1850, pp. 59,60; F.H. BERICK, The Great Crisis, Lowell 1854, p. 82; A. CLARKE, The Honly Bible, p. 598; J. CUMMINGS, Explan., pp. 3,7; M. GRANT, Divine, p. 6: il continuo è stato soppresso nel 70 d.C.
parola ebraica “tamid”, che è impiegata come aggettivo nelle espressioni pane perpetuo,150 lampada continua,151 fuoco sacro sull’altare dei sacrifici152 e olocausto.153 Come avverbio, il tamid, indica il servizio sacerdotale davanti all’arca dell’Alleanza.154 Impiegato come sostantivo solo nel libro di Daniele,155 e non ricorre altrove nell’Antico Testamento, il continuo indica l’insieme del servizio divino, in cui il sacrificio era la parte più appariscente, fondamentale, e che non poteva essere offerto che nel tempio di Gerusalemme».156 «Questa parola è abitualmente impiegata per indicare la permanenza del rito mosaico attraverso la storia della nazione ebraica».157 «Indica tutte le cerimonie giornaliere del culto levitico, e specialmente l’olocausto che si offriva alla mattina e alla sera e nel quale si concentrava il culto».158 «La parola (tamid - perpetuo) comprende tutto ciò che è permanente nei servizi sacri del culto divino».159 Il “continuo” è l’insieme del servizio del santuario che nel Nuovo Patto indica tutto ciò che si riferisce al vero culto celebrato in spirito e verità. All’adorazione dell’Eterno questo culto ha in Cristo Gesù l’unico mediatore, sacerdote, il quale svolge la sua opera nel santuario celeste, opera che era stata rappresentata
3. Culto cristiano. Il sacrificio perpetuo, la predicazione evangelica soppressa dal papato: N. von AMSDORF, Fünf..., f. 7: J.P. BRISSET, p. 39; P. JURIEU, Accompl., I, 1686, p. 233: il vero servizio di Dio; Mrs. MARTIN CORSA, The two System, pp. 27-31; gli avventisti CONRADI, Whoso, pp. 27-30; B.L. HOUSE, pp. 219-223; W.W. PRESCOTT, The Daily, G.M. PRICE, The greatest, pp. 172,172; F.A. VAUCHER, L’Antichrist, p. 23, 2a ed., pp. 21,22; M.C. WILCOX in Signs of the Times, 12 marzo 1912, p. 7; 19 marzo, p. 6. 4. Fusione della n. 2 e 3. T.W.H. CHRISTIE, p. 35; W. EMMERSON, p. 200; C.H. LAGRANGE, Leçons, vol. I, 2a ed., pp. 65,68: lettera al re Alberto I: il sacrificio del Cristo sostituito dalla messa. MELANTONE, 1543, pp. 92,93: il vero culto abolito da Antioco IV e dal papato; J. VUILLEUMIER, Daniel, pp. 213-215; Ch.H.H. WRIGHT, Daniel, 1906, p. 136; Daniel and his proph., p. 178; J.A. WYLIE, p. 173; SDABC, vol. IV, p. 843. 150 151 152
Numeri 4:7; Levitico 24:8. Esodo 27:20; Levitico 24:2. Levitico 6:13; 6:6 in ebraico.
153
Quindici volte in Numeri 28 e 29. In Daniele 9:21 il profeta menziona «l’oblazione della sera». Se nel nostro testo 8:11-13 e 11:31; 12:11 Daniele avesse voluto riferirsi al sacrificio che veniva fatto alla sera e al mattino, parte del continuo, avrebbe utilizzato l’espressione tecnica «olocausto continuo - olath haththamît» tipica della terminologia del santuario. Ci sembra quindi evidente che Daniele con l’espressione thamid abbia voluto indicare una cosa diversa, l’insieme del servizio nel santuario, il culto all’Eterno.
154
1 Cronache 16:37.
155
Daniele 8:11,12,13; 11:31 e 12:11. Nell’Antico Testamento è impiegato come avverbio o come aggettivo. È utilizzato 26 volte come aggettivo qualificativo a proposito dell’olocausto, pane di presentazione, offerta di farina, feste, ecc. Poiché il tamid qualifica generalmente il sacrificio o l’olocausto nelle traduzioni si è pensato che questi sostantivi fossero sottintesi. Sarebbe più corretto tradurre questo sostantivo con “servizio” piuttosto che con sacrificio.
156
VUILLEUMIER Jean, Daniel le Prophète, Genève 1906, pp. 213,214.
157
GIRDLESTONE Robert Baker, Syntetic of the Old Testament, 3a ed., London 1897, p. 314; cit. F. A.F. Vaucher, o.c., p. 23 158
La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 298. Se questa espressione tamid la si vuole riferire ai doppi olocausti del mattino e della sera non è ammissibile pensare che i 2300 tamid corrispondano a 1150 giorni. Non è il sacrificio del mattino o della sera che costituiscono il tamid, ma entrambi i sacrifici con i servizi della giornata sono il tamid. 159
298.
KEIL Karl Friedrich Johann, Biblical Commentary on the Prophet Daniel, trad. EASTON M.G., Edinburg 1884, p.
tipologicamente nel servizio che veniva svolto nella tenda di convegno prima, nel tempio di Gerusalemme dopo. Il piccolo corno ha tolto al Principe dei principi, cioè a Cristo Gesù, il continuo, cioè ha usurpato la sua opera sacerdotale. «Arrogandosi l’opera del Principe, il piccolo corno rende la mediazione del Principe inefficace per coloro che sostengono le aspirazioni politiche e religiose del piccolo corno».160 «L’impero anticristiano ha abolito il servizio continuo, perché ha distrutto il vero servizio di Dio, e i sacrifici delle preghiere pure, mischiandole con il culto delle creature, l’invocazione dei santi e delle sante (il culto alla vergine che svolge un ruolo fondamentale nella cristianità di Roma), l’adorazione delle immagini e delle reliquie, e stabilendovi un nuovo sacrificio continuo (la messa), al posto del vero sacrificio (compiuto da Cristo Gesù)».161 Questo potere prendendo il posto di Gesù morto e risuscitato, si è arrogato il diritto di offrire sacrifici per i vivi e per i morti e così, con la celebrazione della messa, toglie a Cristo l’unico grande e irripetibile sacrificio di salvezza compiuto sul Golgota. L’abolizione di questo continuo è la soppressione della predicazione dell’Evangelo e della fede in Gesù. Il papa, facendosi eleggere Vicario di Dio, prendeva il posto di Cristo e assumeva la funzione di sommo sacerdote o di pontefice massimo. Questa pretesa del Vescovo di Roma non fu però in forma assoluta, ma nella misura in cui il potere umano glielo permetteva o accondiscendeva a simile pretesa. La Chiesa, rimasta fedele alla parola di Dio, si è sottratta a questo potere.
4. Abbatte il santuario «Il luogo del suo santuario fu abbattuto». Il sostantivo “luogo” - makôn, tradotto con stanza dal Diodati, “fondamento” dalla Concordata e da G. Bernini, omesso dalla TOB, ha significato di dimora, luogo, fondamento. Su 17 volte che viene utilizzato nell’Antico Testamento, 16 volte è utilizzato in un contesto cultuale, in 7 passi come luogo della dimora, santuario di Dio in cielo,162 3 volte alla dimora di Dio sulla terra sia come tenda sia come tempio costruito da Salomone163 e 2 volte è associato al trono celeste, dove si dice che «giustizia ed equità sono le basi (makôn) del suo trono».164 160
A.M. Rodriguez, o.c., p. 43.
161
JURIEU Pierre, Accomplissement des Prophéties, t. I, Rotterdam 1686, p. 233. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto messo tra parentesi. 162 163 164
1 Re 8:39; Esodo 15:17. Esodo 15:17; 1 Re 8:13; 2 Cronache 6:2.
Salmo 89:14 (15 in ebraico); 97:2. «Il soggetto dell’ultima frase di questo versetto è la parola “luogo” e non la parola “santuario”. L’interpretazione che nella parola “luogo” makon vede il “luogo” dei sacrifici quotidiani, cioè “l’altare del sacrificio” (vedere HARTMAN L.F. - DI LELLA A.A, The Book of Daniel, Garden City 1978, p. 236), non si appoggia su nessuna base, perché la parola non è mai utilizzata in questo senso nella Bibbia ebraica. La maggioranza delle volte questo termine è impiegato nell’Antico Testamento per indicare la dimora di Dio che è nel cielo (1 Re 8:39,43,49; 2 Cronache 6:30,33,39; Isaia 18:4; Salmo 33:14) o sulla terra (1 Re 8:13; 2 Cronache 6:2); in quest’ultimo caso può indicare la sua montagna o il Monte Sion (Esodo 15:17; Isaia 4:5). La parola può così rinviare precisamente al “posto” del trono di Dio (Salmo 89:14(15); 97:2) o al “posto” (Ezechiele 2:68) o al “fondamento” (vedere “fondazione delle terra” Salmo 104:5) sulla quale si pone il tempio. La combinazione “il luogo del suo santuario” appare nell’Antico
«In 140 passi biblici la parola santuario è impiegata per indicare il tabernacolo mosaico sostituito più tardi dal tempio di Gerusalemme».165 Coloro che spiegano che questo corno sarebbe stato Antioco IV Epifane urtano contro la realtà storica e quei passi del libro dei Maccabei che citano a sostegno della loro tesi dimostrano il contrario. Questo re seleucida non «abbatté» il santuario. Il tempio di Gerusalemme rimase intatto sebbene lo avesse profanato e avesse fatto molto soffrire il popolo ebraico del quale uccise numerosi uomini, donne e bambini.166 L’abbattimento del santuario, oltre a riferirsi alla distruzione del tempio di Gerusalemme, avvenuta nel 70 d.C., ad opera di Tito,167 sulle cui rovine si poneva la statua di Giove Capitolino e si celebrava il culto all’imperatore (si collocava la statua di Venus - Astarte sul Calvario), riguarda la realtà trascendentale del Tempio. Il santuario israelitico era tipo del santuario celeste,168 la vera realtà del santuario è quindi nel cielo. Con la morte di Gesù, la sua resurrezione ed ascensione, tutto ciò che tipologicamente veniva effettuato nel tempio di Gerusalemme come l’agnello Testamento solo nel nostro testo di Daniele 8:11, con il termine miqdas, che ha il significato di “santuario” (è il significato maggiore dell’Antico Testamento, 74 volte: Esodo 25:8; Levitico 12:4; 19:30; 20:3; 21:12; 26:2,31; Numeri 3:38; 18:1; 19:20. Restrittivamente significa anche “altare” in Levitico 16:33, “utensili sacri” in Numeri 10:21, “luogo santissimo” in Levitico 16:33 e “doni santi” Numeri 18:29), come nel resto del libro di Daniele (9:17). Bisogna notare che miqdas può indicare il santuario/tempio di Dio sulla terra, ma anche il suo santuario nel cielo (Salmo 68:35(36); 96:6; 78:69; Geremia 17:12) o i due contemporaneamente (Salmo 96:6). Sulla base di queste considerazioni filologiche e terminologiche, noi tiriamo la seguente conclusione: ci sono buoni motivi per pensare che l’accento particolare del versetto 11c riguardi la dimora cosmica. Il “piccolo corno” sviluppa nuovamente la sua attività contro Dio facendo perdere il significato al luogo celeste del santuario dove il Cristo compie un ministero in favore del suo popolo. La dimora cosmica del rovesciamento del santuario sottolinea la realtà dell’azione portata contro il ministero celeste del Cristo mediante lo stabilimento di un sistema rivale di mediazione. Questo sistema toglie l’attenzione degli umani dall’opera del grande sacerdote compiuta dal Cristo nella sua intercessione, e li priva così delle benedizioni del suo ministero nelle corti celesti» G.H. Hasel, o.c., p. 215. 165
VAUCHER Alfred Félix, Le Jugement, p. 24.
166
«Antioco... nell’anno 143 (170 a.C.), marciò contro Israele e giunse a Gerusalemme con grandi forze. Entrò insolentemente nel santuario, prese l’altare d’oro, il candelabro con tutti i suoi utensili; la mensa della presentazione, le coppe della libagione, le tazze, i turiboli d’oro, il velo, le corone e l’ornamento d’oro sulla facciata del tempio, asportandone tutti i fregi. Prese l’argento, l’oro e gli oggetti preziosi, i tesori nascosti che trovò e, portando via tutto, se ne ritornò in patria. Fece strage di uomini e parlò con burbanzosa arroganza. In Israele vi fu gran lutto in ogni luogo... Due anni dopo, il re mandò il Misarca nelle città di Giuda e giunse a Gerusalemme con grandi forze... Saccheggiò la città, le appiccò il fuoco, poi distrusse le case e le mura di cinta tutto all’intorno... Quindi fortificarono la città di Davide con un massiccio e solido muro munito di torri poderose e divenne la loro cittadella. Vi stabilirono gente perversa, uomini iniqui, che in essa presero dimora... E quella guarnigione divenne un grande laccio, fu una insidia continua per il tempio, un nemico perverso per tutto Israele. Sparsero sangue innocente intorno al tempio e lo profanarono. Per causa di costoro fuggirono gli abitanti di Gerusalemme e la città divenne una colonna di stranieri, anzi la città stessa diventò straniera per i suoi figli che l’abbandonarono. Il tempio fu lasciato vuoto come un deserto, le sue feste si volsero in lutto, i suoi Sabati in obbrobrio, il suo onore in disprezzo... Nel giorno quindicesimo del mese di Casleu dell’anno 145 (168 a.C.) Antioco fece erigere un abominevole idolo sull’altare stesso degli olocausti e si costruirono altari in tutte le città di Giuda all’intorno... I libri della legge che trovavano, li strappavano e li bruciavano. E chiunque fosse trovato col libro del Testamento, o avesse dimostrato attaccamento alla legge, veniva messo a morte secondo l’editto del re... Il 25 del mese si facevano sacrifici sull’altare, che era stato costruito sopra quello degli olocausti» 1 Maccabei 1:20-25,29-31,33,34,35,sp-39,54,56,57,59; versione Paoline. 167
Tito sebbene cercasse all’ultimo momento, ad incendio avvenuto, di impedire la distruzione del Santuario, qualche tempo prima parlando con i suoi ufficiali, stimava che, distruggendo il tempio, avrebbe abolito la religione dei Giudei e dei Cristiani per il fatto che provenivano, dallo stesso ceppo e non si amalgamavano con le religioni del tempo. Vedere ALLARD P., Histoire des persécutions, vol. I, Paris 1911, p. 88. 168
Ebrei 8:5; Esodo 25:40; 26:30.
immolato sull’altare, ha trovato il suo antitipo nell’Agnello che toglie i peccati del mondo immolato sull’altare del Golgota. L’opera del sacerdozio israelitico, che raffigurava l’azione del mediatore celeste, cessa la sua funzione tipologica con l’opera che il Cristo compie in cielo. La distruzione del tempio di Gerusalemme è la conseguenza del rifiuto d’Israele del suo vero Liberatore. Tito, nel 70 d.C., abolisce un cerimoniale che non doveva più essere continuato. Già quarant’anni prima il significato del sacrificio era stato realizzato. Quando l’angelo riprenderà più tardi la spiegazione di una parte del periodo che viene indicato in questa visione, dirà che il Messia, dopo aver messo fine al peccato, espiato l’iniquità, avrebbe fatto cessare i sacrifici e le oblazioni e avrebbe unto un luogo santissimo,169 riferendosi appunto all’inaugurazione della sua opera sacerdotale nel santuario celeste, dal momento della sua ascensione, sedendosi o stando in piedi alla destra di Dio.170 Il tempio qui menzionato, piuttosto che indicare quello di Gerusalemme, si riferisce al vero santuario celeste, del quale il Pontefice Massimo ha abolito il luogo, cioè ha privato la Chiesa dell’insegnamento della salvezza che esso rappresenta, luogo nel quale Gesù opera per la rigenerazione dei credenti e, come mediatore, unisce la terra al cielo. Il Pontifex Maximus si è impossessato illegalmente di questo ministero, togliendo la persona del Signore alla vista dei credenti. Ciò è stato fatto dopo aver tolto al capo del popolo di Dio il continuo.171 «Il luogo del suo santuario fu abbattuto». «Daniele VIII:11 dice che, come risultato dell’azione del potere del piccolo corno, il tempio celeste fu “gettato giù” o “portato in basso” sulla terra. Ciò significa che il ministero che veniva svolto in quel tempio era presentato agli abitanti della terra sotto il controllo di un potere terreno. Ma il tempio celeste non veniva gettato letteralmente o fisicamente sulla terra; esso appariva gettato giù agli occhi degli uomini. Così anche la profanazione del tempio, in XI:31 è stata eseguita da questo stesso potere».172 Daniele, descrivendo il piccolo corno, presenta la progressività del suo sviluppo e della sua opera: «Diventò molto grande verso mezzogiorno, verso levante, e verso il paese splendido. S’ingrandì fino a giungere all’esercito del cielo... S’elevò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio perpetuo e il luogo del suo santuario fu abbattuto».173
5. L’esercito gli è stato dato con il perpetuo a causa della ribellione
169 170 171 172 173
Daniele 9:24,26,27. Atti 2:33; 3:31; 7:56; Romani 8:34. Vedere nota n. 149,153,155,201. SHEA William H., Bible Amplified, p. 204.
Il prof. G. F. Hasel osserva: «La traduzione letterale “... e il luogo del suo santuario fu rovesciato”. Certe versioni o certi interpreti abbreviano la frase e traducono: “... il santuario fu abbattuto” o modificano il verbo rendendolo per “dissacrato” (PLÖGER), “insozzato” (HARTMAN - DI LELLA), “profanato” (H.L. GINSBERG). Questi tentativi testimoniano l’intenzione di armonizzare il testo con l’interpretazione di Antioco con un cambiamento di soggetto, sostituendo “santuario” con “luogo”, e con l’introduzione di un nuovo verbo» o.c., p. 214.
«L’esercito gli fu dato in mano con il sacrificio perpetuo a motivo della ribellione». Questo versetto presenta delle difficoltà perché il testo ebraico è un po’ oscuro. Due spiegazioni. La prima. Alcuni hanno pensato che l’esercito del cielo, il popolo di Dio, a causa della propria infedeltà all’evangelo, sia stato afferrato, dominato, perseguitato dal piccolo corno e quindi punito perché si è ribellato al Signore. L’opera del piccolo corno è stata possibile a causa della ribellione, dell’apostasia dall’evangelo da parte del popolo di Dio. É l’abbandono del puro evangelo che ha esposto il popolo di Dio alla sofferenza. Se la Chiesa dei primi secoli fosse rimasta fedele alla parola rivelata avrebbe potuto emarginare l’azione del Pontefice Massimo impedendogli di spadroneggiare ponendosi a sedere «nel tempio di Dio» che è la Chiesa.
Ma nulla in tutto il testo di Daniele, e anche nel capitolo precedente, lascia intravedere che le sofferenze dei credenti siano la conseguenza, la punizione del loro peccato. La seconda. La traduzione del Bernini174: «Una milizia fu incaricata del sacrificio perpetuo sacrilego». A.M. Rodriguez spiega: «Ciò che il testo sembra voglia dire è che, dal momento che il piccolo corno si è impossessato del “perpetuo”, ha immediatamente posto un esercito per dominarlo ed amministrarlo. Una traduzione plausibile: “Un esercito sarà posto sul perpetuo in un atto di ribellione”».175 Il piccolo corno, dopo aver tolto alla vista dei credenti il Cristo nella sua opera sacerdotale, il “perpetuo”, sostituisce al suo ministero un nuovo culto, con nuovi riti e sacrifici e un “esercito” di persone ecclesiastiche (preti, monaci e suore) che gli contrappongono un’“armata” di mediatori e mediatrici, santi e protettrici. Il Pontifex Maximus crea questo nuovo culto e nel nome di Cristo, ma esso è sacrilego, crea la ribellione, è apostata. Il testo sembra voler dire che l’opera compiuta contro il ministero sacerdotale di Cristo Gesù: la “vera” adorazione dei credenti, l’insegnamento della parola di Dio, il santuario celeste, e contro l’esercito del cielo esprime lo spirito di ribellione di questo corno, la cui anima è quella dell’Avversario, dice l’apostolo Paolo. La parola «ribellione» in ebraico peshac è una delle espressioni più forti che l’Antico Testamento utilizza per indicare il peccato, cioè un attacco contro la sovranità di Dio. «Chi commette un peshac non si ribella e non si eleva semplicemente contro Yahvé; rompe con lui, s’impadronisce di ciò che gli appartiene, lo deruba e lo imbroglia».176
6. Getta a terra la «verità» 174
BERNINI Giuseppe, Daniele, ed. Paoline, 1977, p. 236. L’abate J. Fabre d’Envieu traduce: «E un esercito sarà posto presso al (sacrificio) perpetuo per il crimine» e commenta: «Il veggente può avere davanti a lui lo spettacolo del culto pagano introdotto nel luogo santo. Poiché l’empio non si accontenta di distruggere il sacerdozio del tempio e togliere a Dio il sacrificio perpetuo. Stabilì un altro corpo di sacerdoti; di modo che una “zebae” pagana rimpiazzò l’esercito del cielo e fece offrire dei sacrifici impuri» o.c., t. II, p. 804.
175 176
A.M. Rodriguez, o.c., p. 45.
KNIERM R., Pechac Verbrechen, in Theologisches Handwörterbuch zum Alten Testament, vol. 2, Munich 1976, col. 493; cit. Idem.
«E il corno gettò a terra la verità e prosperò nelle sue imprese». Questa espressione riassumerebbe l’opera del piccolo corno. La verità gettata a terra è l’idolatria sostituita all’adorazione del vero Dio, è la verità sull’evangelo, l’opera che Dio ha compiuto e vuole continuare a compiere per la salvezza, per richiamare l’umanità a sé, è la volontà di Dio. Tutto questo viene gettato a terra, considerato nullo, disprezzato.177 La parola verità nella Bibbia è messa in relazione con la sana dottrina, con la parola di Dio, con la legge dell’Eterno.178 Daniele la usa in relazione alla rivelazione che riceve dall’Eterno.179 Essa indicherebbe quindi la rivelazione di Dio nel suo insieme. «La nozione filosofica di verità è assente dalla mente ebraica. In ebraico è vero ciò che è conforme alla legge. Così un buon numero di commentatori ebraici, fra i quali Ibn Ezra, Rachi, Metsoudath David, hanno compreso il nostro passo nel senso del rigetto della legge. “Esso (il piccolo corno) annullerà la legge (Tora) e l’osservanza dei comandamenti”180».181 Due autori cattolici così spiegano: «La verità “emet”, cioè la vera religione, il culto al vero Dio, la legge mosaica; la religione rivelata nella Legge e nei Profeti sarà abbassata, gettata a terra, umiliata».182 La “verità”, la legge, la vera religione; queste cose appena credibili, il corno riuscirà a fare».183 Il 7 marzo del 321 il sommo pontefice, l’imperatore Costantino, emana la prima legge sull’osservanza della domenica quale giorno di riposo: «Nel giorno venerabile del sole, che i magistrati e gli abitanti delle città si riposino, e che tutte le officine siano chiuse... ». «La conservazione del vecchio nome pagano di dies solis per indicare la festa settimanale cristiana è dovuta in gran parte all’unione di sentimenti pagani e cristiani... Il decreto con il quale si è regolarizzata l’osservanza (del primo giorno della settimana) ha segnato un’era nuova nella storia del giorno del Signore. Egli (Costantino) intendeva, in questo modo, mettere in accordo le religioni dell’impero sotto una istituzione comune».184 Con il tempo, vari concili, che furono la voce ufficiale della Chiesa, stabilirono la stessa cosa. E così dai tempi del primo pontefice della Chiesa, Costantino,185 il culto cristiano si mimetizzerà nel culto pagano. «Roma pagana aveva i suoi cortei trionfali; Roma cristiana le sue processioni; Giove ha fatto il posto a Cristo, ma il quadro è rimasto lo stesso ed è il Foro».186 177 178 179 180 181 182 183 184 185
Malachia 2:5-8. Salmo 119:142. Daniele 8:26; 10:1,21; 11:2. Commentaire de Ibn Ezra, 8:12, in Miqraoth Gdoloth, 1959; pure per Rachi e Metsoudath David. DOUKHAN Jacques, Aux Portes de l’Espérance, ed. Vie et Santé, Dammarie les Lys 1983, p. 73. J. Fabre d’Envieu, o.c., p. 804. A. Crampon, o.c., nota STANLEY Artur Feurhyn, A Histoiry of the Eastern Church, New York 1884, p. 184.
L’imperatore ha indetto il Concilio di Nicea nel 325 e lo ha presieduto senza essere un cristiano, ma era il Pontifex Maximus.
L’apostasia predetta dall’apostolo Paolo si è compiuta, la Chiesa cristiana da apostolica diventa imperiale e poi papale. Del resto il papato incarna lo spirito del cessato impero romano. Le parole che l’angelo dice a Daniele di questo potere: «A motivo della sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani», ispirano quelle dell’apostolo Paolo quando, descrivendo le sue azioni, dirà che le compirà: «Con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi; e con ogni sorta d’inganno, d’iniquità».187 Ma ringraziamo il Signore che attraverso quei secoli bui si sono mantenuti, disseminati qua e là, seppure non nella luce completa dell’Evangelo primitivo, gli adoratori di Dio, costituendo il filone d’oro del Medio Evo. Agli eretici: valdesi, albigesi, catari, patarini; ai vari Huss, Girolamo da Praga, Savonarola, per la loro fedeltà a quanto compreso dalla parola di Dio, il Signore diceva: «Soltanto, quel che avete tenetelo fermamente finché io venga».188 Nel XVI secolo scoppia la Riforma protestante e le verità bibliche riscoperte danno nuovo splendore all’Evangelo. Purtroppo l’opera dei grandi riformatori non fu completa. Nel 1519 al grande Lutero il dottore cattolico Eck faceva notare la sua contraddizione nel pretendere di appoggiarsi esclusivamente alla Bibbia: «La Chiesa (gli diceva) senza un solo passo della Scrittura, e senza nessun dubbio guidata dallo Spirito Santo ha, di sua propria potenza, trasferito il giorno di riposo dal sabato alla domenica... Se voi lasciate la Chiesa (romana) per la sola Scrittura, siete forzati d’osservare con gli ebrei il sabato solennizzato dal principio del mondo». 189 Col tempo le Chiese della Riforma caddero nel sistema della Chiesa romana ed esse stesse si posero a chiese nazionali. Quando i puritani d’Inghilterra furono costretti a lasciare la loro patria a causa dell’intolleranza della Chiesa anglicana, trasferendosi in Olanda, si dichiararono liberi servitori dell’Eterno e s’impegnarono a «camminare insieme in tutte le vie che Dio aveva e avrebbe ancora fatto conoscere».190 Questo era il vero spirito della Riforma, il principio vitale del Protestantesimo che i pellegrini portarono con sé quando lasciarono l’Olanda per stabilirsi nel Nuovo Mondo. Giovanni Robinson, loro pastore, nel discorso di addio agli esuli disse: «Se Dio dovesse rivelarvi altre verità tramite strumenti di sua scelta, siate pronti ad accettarle con la stessa prontezza con la quale voi accettereste ogni nuova luce che vi giungesse per mezzo del mio ministero, perché io sono persuaso che Egli farà scaturire dalla sua parola altre verità e altre luci. Da parte mia, non potrò mai deplorare abbastanza lo stato delle chiese riformate: esse sono giunte ad un punto statico in materia di religione e ricusano di compiere fosse pure un solo passo oltre a quelli fatti dalle loro guide spirituali. Infatti, non è possibile indurre i luterani a fare un passo in più rispetto a Lutero... I calvinisti, lo sapete benissimo, rimangono ancorati dove li lasciò Calvino, il grande uomo di Dio. Egli 186 187 188 189 190
213.
L. Homo, o.c., p. 244. 2 Tessalonicesi 2:9,10. Apocalisse 2:25. ECK dr., Encliridion, 1533, pp. 78,79; cit. da VUILLEUMIER Jean, Le jour de repos à travers les âges, p. 152. BROWN John Aquila, The Pilgrim Fathers, p. 74; cit. WHITE Ellen, Il gran conflitto, ed. AdV, Firenze 1977, p.
non poteva vedere e conoscere tutto. È una realtà che addolora, perché sebbene quegli uomini (i riformatori) fossero per il loro tempo delle lampade ardenti e risplendenti, non furono, né del resto lo potevano essere, in condizione di sviscerare l’intero consiglio di Dio. Se essi vivessero oggi, accetterebbero le nuove luci con lo stesso slancio col quale accettarono la luce allora».191 Lo scrittore protestante francese del secolo scorso, Agènor conte de Gasparin, diceva, parlando della Riforma: «Il suo grande torto è stato quello di restare incompleta. Essa ha indicato il cammino, più che l’abbia percorso; o piuttosto essa lo ha segnato, ma non è arrivata... arrivare al punto di partenza o avanzare abbastanza per raggiungere il cristianesimo apostolico questo è il compito che ci è riservato».192 Fino a quando Signore aspetteremo questa luce completa? Il sommo pontefice ha prosperato nelle sue imprese. La sua opera è continuata a crescere fino in cielo vincendo e opprimendo gli oppositori, ma la sua conquista, le sue seduzioni, la sua opera fuorviante non ha una durata permanente, assicura il testo biblico.
«Fino a quando?» Il piccolo corno ha operato per contrapporsi alla realtà celeste, essere come Dio, alterare, togliere al Cristo la sua opera di mediazione, di rappresentante dei credenti, la vera adorazione, distruggere il cuore dell’universo, il santuario celeste alla conoscenza della Chiesa sulla terra e c’è riuscito in una certa misura. Ma il Signore nel cielo opera affinché le porte dell’Ades non prevalgano sulla sua Chiesa. Daniele vede ed ode un dialogo tra due esseri celesti, due angeli che sono in cielo e scrive:
«Poi vidi un santo che parlava; e un altro santo disse a quello che parlava: “Fino a quando la visione, il continuo, la trasgressione desolatrice per cui il santuario e l’esercito saranno calpestati?”»193
191 192 193
Cit. E. White, o.c., p. 214. GASPAREN Agénor de, Les écoles du doute et l’école de la foi, Genève 1853, p. CII.
Daniele 8:13, traduzione letterale. Il rabbino CHOURAQUI André, nella Bible de la Pléide, ed. 1975 traduce: «Fino a quando durerà la visione, il sacrificio perpetuo e l’iniquità devastatrice, il santuario abbandonato e l’esercito calpestato sotto i piedi?». Il santo che parlava è stato identificato con diverse figure: - un angelo: CRAMPON A., nota; - Gabriele: TROCHON Th., p. 195; VUILLEUMIER J., p. 2389; - Dio Padre: FABRE d’ENVIEU J., vol. II, pp. 806-808; - Michele: GINSBERG H.L., The Jewish..., vol. I, p. 38; - il Figlio di Dio: WINTLE T., Daniel, 1836, pp. 138,139. Chi lo interroga è stato identificato con: - il Figlio di Dio: FABRE d’ENVIEU J., vol. II, p. 806; - un angelo: sembra la spiegazione più naturale; vedere però Th.TROCHON, p. 195. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia.
La maggior parte delle traduzioni e dei commentatori hanno pensato che la “visione” si riporti unicamente al continuo e, più che tradurre il testo, lo hanno interpretato. La versione greca permette questa traduzione: «Fino a quando (dureranno) la visione mostrata, il sacrificio tolto di mezzo e l’iniquità che devasta, il santuario abbandonato e l’esercito calpestato sotto i piedi?»194 Se si traduce fedelmente il testo ebraico come ha fatto la versione greca dei LXX e la Vulgata, e diverse versioni come La Parola del Signore che riporta: «a) Quanto dureranno gli avvenimenti annunciati in questa visione? b) Per quanto tempo sarà abolito il sacrificio quotidiano, c) trionferà l’iniquità, d) il santuario e e) gli essere celesti saranno calpestati?»: il nostro passo racchiude chiaramente cinque domande: «Fino a quando durerà: - la visione, - il continuo, - il peccato che produce la desolazione, - i luoghi santi (o il santuario) abbandonati e calpestati, - l’esercito calpestato?». E ciò corrisponde: «Fino a quando durerà la visione» del montone a due corna che viene vinto dal capro peloso, dal cui corno spezzato ne sorgono quattro, e da uno di questi spunterà il piccolo corno che compierà la sua opera nefasta? Quale sarà il tempo in cui questa visione prenderà fine?195 «Fino a quando durerà il continuo» cioè fino a quando il continuo sarà soppresso a causa dell’opera del corno? 194
Nella Vulgata Gerolamo traduce: «Fino a quando la visione e il sacrificio abolito e il peccato della desolazione che ne deriva, e il santuario e l’esercito sarà conculcato?» Alcune versioni, credendo che la “visione” si riferisca solamente al sacrificio, hanno forzato il testo aggiungendo tra parentesi delle parole per farlo comprendere in questo modo. La versione italiana fatta sulla Vulgata, corretta per ordine del papa Sisto V ed edita sotto Clemente VIII, detta per questo Sisto-Clementina, traduce: «Fino a quando durerà (quello di cui parla) la visione (intorno) al sacrificio perpetuo, al peccato causa della desolazione, fino a quando il santuario e l’esercito saranno conculcati?». Il Tintori adotta lo stesso testo.
195
«L’uso della parola “visione” (hazon) in Daniele 8 conferma l’idea che al versetto 13 il profeta si riferisce a tutta la visione dei versetti 3-12. Questa parola appare tre volte nell’introduzione di questa visione, ai versetti 1,2, e ogni volta si riferisce a tutta la visione che segue. La volta successiva appare al versetto 13 ed è in rapporto con le tre menzionate nell’introduzione.... Poi il profeta reagisce alle diverse scene che passano davanti a lui e dice: “Mentre io Daniele avevo questa visione e cercavo di capirla” 15. Tutta la visione sembra essere presa in considerazione qui, poiché in risposta alla domanda di Daniele, Gabriele comincia la sua spiegazione a partire dal capro persiano (20). Più avanti, quando Gabriele parla di comprendere la visione (17) e di sigillarla (26), si riferisce a tutta la visione dei versetti 3-12. La parola “visione” o hazon appare sette volte in Daniele 8: tre volte prima della domanda del versetto 13 (1,2) e tre volte dopo (15,17,26). Sei volte il suo impiego si riferisce senza dubbio a tutta la visione dei versetti 312. È per questo che noi pensiamo che la stessa cosa deve essere per la domanda al versetto 13» W. Shea, Étude, p. 91. T. BERVERLY commenta: «Queste 2300 sere e mattine non si riferiscono solamente alla cessazione del sacrificio perpetuo, ma la visione tutta intera, a partire dal periodo della Persia, passando dal periodo greco, fino alla fine della monarchia romana anticristiana, e al regno di Cristo» o.c., parte 1, pp. 1,14; cit. da W. Shea, o.c, p. 93. Desmond FORD nel suo commentario scrive: «Inoltre, bisogna prestare attenzione al fatto che la domanda non è: “Per quanto tempo il santuario sarà calpestato?”, ma piuttosto: “Per quanto tempo durerà la visione che trova il suo punto culminante al livello dell’opera terribile del piccolo corno?” Infatti la visione incomincia al tempo dei Medi e dei Persiani e ci si deve dunque attendere che il periodo dei 2300 giorni comincia ugualmente nel corso di quel periodo» Daniel, Nashville 1978, p. 188.
«Fino a quando durerà il peccato che produce la desolazione», cioè fino a quando l’azione di ribellione del piccolo corno, la sua autorità riuscirà a produrre desolazione, apostasia, infedeltà nella Chiesa di Dio e nel mondo? «Fino a quando il santuario sarà abbandonato», cioè fino a quando il piccolo corno calpesterà la verità del santuario celeste, l’opera che in esso si compie e lo renderà inaccessibile a coloro che si sottopongono alla sua autorità? «Fino a quando l’esercito celeste, il popolo di Dio sarà calpestato?» cioè sarà soggiogato da questo regno e i suoi errori lo influenzeranno?
«Fino a 2300 sere e mattine, poi il santuario sarà purificato» A queste angosciose domande segue una sola risposta196: «Fino a duemilatrecento197 sere e mattine poi il santuario sarà purificato».198 L’influenza del piccolo corno sul santuario non è destinata a continuare per sempre fino alla fine dei tempi. La sua opera sulla Chiesa sarà interrotta prima che senza opera di mano verrà distrutto e il Signore lo annienterà con l’apparizione della sua venuta.
196
Alla prima domanda il testo biblico risponde al versetto 25 ed è in parallelo con Daniele 2:45; 7:26. Alla seconda e alla terza domanda risponde in Daniele 12:11; alla quinta domanda si ha ancora la risposta nel capitolo 12:7.
197
Gerolamo nel suo commentario su Daniele, Opera, V, 1516, pp. 448,449, dichiara che certi critici leggono 2200 al posto di 2300. Nessuno però sostiene questa lettura evidentemente errata. Una edizione della versione greca della LXX, pubblicata a Roma nel 1587, f. 732, dava la cifra di 2400. È stato un errore di stampa, perché il manoscritto greco Vaticanus che è stato riprodotto in quella edizione porta chiaramente 2300. TREGELLES Samuel Prideaux, Remarks on the prophecy. Visions of the Book of Daniel, nuova ed., London 1852, p. 95, osserva che l’originale esaminato da lui personalmente ha la cifra di 2300, e che i 2400 sono un errore tipografico, assieme a molti altri, fatto dagli editori del 1587 e purtroppo riprodotto nelle edizioni che sono seguite: Amsterdam 1725, p. 530; Leipzig 1824, p. 947. Vedere anche Atene 1928, p. 932; ecc. Le migliori edizioni moderne danno tutte la cifra di 2300. Esempio: H.B. SWETE, The Old Testament in greck according to the Septuaginta, vol. III, 1894, p. 552; Luigi GRAMMATICA, Bibliorum Sacrorum iuxta Vulgatam Clementinam, nuova edizione, Milano 1914, p. 835; Alfred RAHLFS, Septuaginta, vol. II, 1935, p. 918. Non esiste comunque nessun manoscritto greco che porti la cifra 2400. Il testo ebraico, la versione greca della LXX, la Vulgata latina e altre antiche versioni si accordano per dare la cifra 2300, che può essere considerata assolutamente sicura. «Non c’è una cifra nella Bibbia la cui autenticità sia meglio stabilita di quella dei 2300 giorni» William HALES, A new Analysis of Chronology, t. II, 1830, p. 557. JANNAWAY Franck George, Bible Times and Seasons with illustrations from the Books of Daniel and the Revelation, London 1923, p. 19: «È senza alcun motivo che si è voluto leggere 2400. È falso affermare che il manoscritto Vaticanus porti la cifra 2400. L’errore è nato dal fatto che la cifra sbagliata è scivolata in una certa edizione stampata. Nessun manoscritto ha la lettura 2400. Il manoscritto Alessandrinus, la versione siriaca (Peshitta) del III secolo, tutti i manoscritti latini della Vulgata del IV secolo, le versioni autorizzate e la versione riveduta inglese sono d’accordo per la cifra 2300». Alcuni autori moderni sono stati tratti in errore dalle edizioni sbagliate e hanno basato i loro calcoli su 2400. Anonimo, The Scheme of Prophecy, p. 107: 536 a.C.-1864 d.C.; J.A. BEGG, 1830, p. 19 nota; G.S. FABER, A Dissertation, vol. I, 5a ed., p. 296; E. IRVING, On the prophecy..., p. 12: 553 a.C.-1847 d.C.; M.C. TREVILLAN, p. 403: 552 a.C.-1848 d.C.; J. THOMAS, Eureka, vol. II, 1866, pp. 684-688; ma nella 1a e 2a edizione, 1869, aveva condiviso i 2300. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. 198
Daniele 8:14.
Quando inizia il giudizio preliminare che si conclude con la purificazione del santuario celeste I futuristi, cattolici e protestanti e i dispensazionalisti evangelici, pensano a un tempio futuro che sarà ricostruito a Gerusalemme. Gli Avventisti pensano al santuario celeste.199 Quando si applica questo capitolo ad Antioco Epifane si pensa alla purificazione del tempio di Gerusalemme dopo la vittoria dei Maccabei, ma si è anche portati a pensare, per giustificare questa spiegazione, che ci sia un errore cronologico da parte dell’autore del libro di Daniele. Già nel 1777 Loys de Cheseaux scriveva: «Io oso dire che tutti gli sforzi che gli interpreti hanno fatto fino a questo momento per applicare alle persecuzioni di Antioco l’oracolo delle 2300 sere e mattine non hanno portato a nulla».200 T. Crinsoz, qualche decennio prima scriveva: «Questo numero 2300, sere e mattine, fornisce una nuova prova convincente, che non si tratta per nulla, in questo capitolo, della persecuzione di Antioco Epifane».201 La Bibbia di Gerusalemme 199
«È indubitabilmente il santuario che deve essere purificato alla fine dei 2300 anni, cioè negli ultimi tempi. In effetti, nel tempo lontano di cui parla Daniele, il santuario terrestre era da molto tempo sparito; non può trattarsi dunque qui che del santuario celeste» J. Vuilleumier, o.c., pp. 268,271. «Poiché i 2300 anni ci portano lontani nell’era cristiana, il santuario qui menzionato non potrebbe essere il tempio di Gerusalemme distrutto nel 70 d.C.. Il santuario della nuova alleanza è evidentemente il santuario celeste» SDABC, vol. IV, p. 844. E. WHITE, Il gran conflitto, cap. 23; J.N. ANDREWS, The Sanc., C.M. MAXWELL, vol. I, pp. 173-181; U. SMITH, The Santuaire. Per i titoli completi vedere la Bibliografia. 200 201
LOYS CHESEAUX Jean-Phil. de, Remarques sur Daniel, 1777, p. 11.
T. Crinsoz, o.c., p. 389. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, fu il primo autore che vide in questo corno Antioco Epifane, ma non dice nulla delle 2300 sere e mattine. Parla di 1290 giorni e di 3 anni a proposito della profanazione del tempio. «Ci sono due modi di valutare questa espressione, a seconda del modo con il quale si comprende il termine “sere e mattine”. Si può intenderlo di 2300 giorni, - sia 6 anni, 4 mesi e 20 giorni, se si conta 360 giorni per anno, o 6 anni, 3 mesi e 20 giorni, se si conta un anno di 365 giorni - e riportare questo periodo di tempo ai sei anni e più che sarebbero trascorsi dal momento in cui la persecuzione cominciò (morte del grande sacerdote Onia III; 2 Maccabei 4:33 e seg.) fino alla purificazione del tempio (1 Maccabei 4:53), 171-165 a.C. Ma si può anche applicare il termine di “sere e mattine” agli olocausti che si offrono in quei momenti, di modo che la somma totale indicherebbe non la cifra dei giorni durante i quali è durata la persecuzione, ma quella degli olocausti soppressi. Si diminuisce così a metà la cifra di 2300 e si arriva a 1150 giorni pieni: sia 3 anni 2 mesi, 10 giorni (anno di 360 giorni) o 3 anni, 1 mese, 25 giorni (anno di 365 giorni). La soppressione dell’olocausto giornaliero, sotto la persecuzione di Antioco, per quanto è possibile calcolarla, secondo il libro dei Maccabei è durata: 3 anni e 10 giorni (confr. 1 Maccabei 1:53 e 4:43) (15/12/167-25/12/164 a.C.), più alcune settimane che precedettero probabilmente l’erezione dell’altare pagano a partire dall’arrivo del commissario Apollonio (1 Maccabei 1:29 e seg., confr. 2 Maccabei 5:32 e seg.)» La Bible Annotée, o.c., t. II, p. 299. Per colmare la differenza dei 55 giorni si è pensato di giungere fino alla morte di Antioco che è avvenuta nella primavera del 163 a.C. al ritorno da una campagna militare contro la Persia. Ma anche così i numeri non sono esatti. «Sia che si intenda con questo numero 2300 giorni naturali o 1150 sacrifici della sera e altrettanti sacrifici del mattino, che farebbero 2300 sere e mattine, non si troverà né l’uno né l’altro di questi numeri precisi nella durata della persecuzione del re di Siria» T. Crinsoz, o.c., p. 390. Inoltre «non è possibile che un lettore israelita abbia compreso le 2300 sere e mattine come delle mezze giornate, 1150 giorni, perché nella descrizione della creazione (Genesi 1), sera e mattina costituiscono dei giorni interi. Nell’espressione fino a 2300 sere e mattine, le sere-mattine possono essere almeno prese per il sacrificio della sera e del mattino e non come se 1150 sacrifici del mattino o 1150 della sera devono essere soppressi. Dobbiamo prendere le parole tali e quali sono e accettare che si tratti di 2300 giorni interi» KEIL. Inoltre : «Non c’è nessun posto della Scrittura che faccia vedere che la sera si prenda qualche volta per il sacrificio della sera, e la mattina per il sacrificio della mattina» T. Crinsoz, o.c., p. 391. - L’espressione «sera e mattina» (vedere anche il versetto 26) mostra chiaramente che l’autore non impiega qui il linguaggio della legge del sacrificio in cui l’ordine è invariabilmente opposto: mattina e sera (1 Cronache 23:30), ma quella della creazione (Genesi 1).
riconosce: «Duemilatrecento sere e mattine: dunque 2300 giorno, sia 1150 giorni, se l’espressione intende i due sacrifici quotidiani soppressi durante il tempo della persecuzione. L’una e l’altra cifra si allontanano notevolmente dai tre anni e mezzo (1260) di VII:25, e il senso resta oscuro». Questa espressione «sera e mattina» risente dello stile del Pentateuco, del linguaggio lapidario di Genesi I, che è unico nel suo genere per indicare un giorno completo di 24 ore. Con questo senso l’hanno compreso le antiche versioni dei LXX, Teodozione e Vulgata le quali aggiungono dopo 2300 l’espressione “giorno”, come fanno pure la traduzione italiana della Sisto Clementina, il Diodati.202 Come abbiamo già accennato in precedenza, l’angelo, spiegando a Daniele la visione, dice: «La visione delle sere e delle mattine, di cui ti è stato parlato, è vera. Tu tieni segreta la visione, perché si riferisce ad un tempo lontano», «perché questa visione concerne il tempo della fine».203 Questo periodo giunge fino al tempo escatologico in cui il «venga il tuo Regno» potrà trovare la sua realizzazione storica.
Tutti i tentativi fatti per ridurre la formula di Daniele in mezze giornate sono un tentativo per accordare la storia con i pregiudizi di una interpretazione che non crede nella Rivelazione. Come tali sono un fallimento. Come abbiamo detto, la parola “tarnid” non si riferisce soltanto ai sacrifici ma all’insieme del servizio del santuario. Anche se questa espressione la vogliamo limitare all’olocausto, il suo impiego più frequente indica la doppia offerta cruenta della mattina e della sera. Il testo di Esodo 29:38-42 è chiaro a tale riguardo. Dopo aver dato la prescrizione per il sacrificio quotidiano dei due agnelli d’un anno, per la mattina e per la sera, il versetto 42 riassume i precedenti dicendo: «Sarà un olocausto perpetuo». Il testo parallelo, Numeri 28:3-6, ribadisce lo stesso principio: «Tale è l’olocausto perpetuo». Nei capitoli 28 e 29 vengono indicati gli altri sacrifici offerti di sabato (28:9,10), nei noviluni (versetti 11-15), nei sette giorni della festa degli azzimi che seguivano la celebrazione della Pasqua (versetti 16-25), nel giorno delle primizie o pentecoste (versetti 26-31), nel novilunio del settimo mese (29:1-6), nella festa delle capanne (versetti 12-39). Tutti questi sacrifici erano fatti «oltre l’olocausto perpetuo» (28:10,15,24,31; 29:6,11,19,25,28,31,34, 38,39). Una sola volta è detto: «Offrirete questi sacrifici oltre l’olocausto della mattina e della sera, che è un olocausto perpetuo» (28:23). Ma la formula: «l’olocausto perpetuo» riunisce i sacrifici regolari del mattino e della sera come indicati nei versetti 3-6. Questa sola eccezione del versetto 23 non invalida il principio che abbiamo esposto, semmai lo conferma. È da notare che il profeta Daniele utilizza differenti espressioni per indicare degli intervalli di tempo: giorno (1:12,15; 12:11 e 12); settimana (9:24,25,26,27); mô’ed tempo (12:7), o l’espressione aramaica ‘idan tempo (4:13,20,22,29; 7:25 testo masoretico). Con questo ricco vocabolario stupirebbe che Daniele voglia indicare una durata di tempo con l’espressione di sacrifici, quando le parole erabh e boqer non hanno mai questo significato. Le espressioni sera e mattina di Daniele 8:14,26 dimostrano che l’autore non usa il linguaggio della legge cultuale dei sacrifici, il cui ordine è inverso, ma il linguaggio lapidario di Genesi 1 le cui parole indicano un giorno di 24 ore. 202
La traduzione italiana della Sisto-Clcmentina: «Da sera a mattina, per 2300 giorni». Il Diodati traduce: «Fino a 2300 giorni di sere e mattine». Che il giorno iniziasse con la sera è quanto detto a più riprese per l’osservanza del sabato, IV comandamento, e delle festività levitiche (Nehemia 13:19; Levitico 23:32). Le parole ebraiche “erebh” sera e “boquer” mattina non corrispondono al tempo della notte e del giorno, ma semplicemente al momento del “tramonto” e dell’“alba”. Se si vuole indicare la durata del tempo tra l’alba e il tramonto si usa la parola “yom” giorno, e per le ore della notte “eilu”, che sono precisamente le espressioni impiegate in Genesi 1:5, per indicare la parte luminosa e la parte buia del giorno completo. Monsignor GAROFALO traduce questo passo della Genesi: «E Dio chiamò giorno la luce e chiamò notte le tenebre. Poi venne sera, poi venne mattina: un giorno» La Bibbia, ed. Marietti, Torino 1964, p. 17. L’uso del calendario ebraico di calcolare il giorno dal crepuscolo della sera al crepuscolo della sera seguente lo troviamo anche nell’Islam classico. È il tramonto che fissava per gli Ebrei l’inizio del sabato, delle feste e dei noviluni e quindi per estensione tutti gli altri giorni della settimana. La versione greca dei LXX e la Vulgata latina traducono l’espressione «sere e mattine» con giorni 2300. 203
Daniele 8:26,27.
Nel 1729 T. Crinsoz scriveva: «Io non penso che le 2300 sere e mattine, dopo le quali il santuario deve essere purificato, significhino duemilatrecento giorni naturali. L’avvenimento ha fatto fin troppo vedere che il santuario e l’esercito dovevano essere calpestati per un periodo molto più lungo. Trattandosi qui di una profezia, è ragionevole intendere attraverso questo numero di sere e mattine, non dei giorni naturali, ma dei giorni profetici. E secondo una abitudine dello Spirito Santo di rappresentare in abbreviato le grandi rivoluzioni del sole, attraverso le piccole rivoluzioni dello stesso astro»,204 cioè il tempo che la terra impiega a girare attorno al sole è raffigurato dal tempo che la terra impiega a girare su se stessa. Che le 2300 sere e mattine debbano essere prese non in senso letterale è dato dall’evidenza del testo stesso. Alla domanda: «Fino a quando durerà la visione...» si risponde con 2300 sere e mattine. La «visione» riguarda tutto il quadro che viene presentato. Per tre volte nei versetti 1 e 2 si parla della visione. Inoltre viene detto che questa visione riguarda un tempo lontano e concerne il tempo della fine. La visione va 204
T. Crinsoz, o.c., p. 391. «Questo numero 2300 sere e mattine fornisce una prova convincente che non si tratta per nulla, in questo capitolo, della persecuzione di Antioco Epifane. Poiché, sia che si intenda con questo numero 2300 giorni naturali, o 1150 sacrifici della sera e del mattino, che farebbero 2300 sere e mattine, non si troverà né l’uno né l’altro di questi numeri precisi nella durata della persecuzione del re di Siria» Idem, pp. 389,390. «Oso dire che tutti gli sforzi che gli interpreti hanno fatto per applicare alle persecuzioni di Antioco l’oracolo delle 2300 sere e mattine non hanno portato a nulla» J.P. Loys de Chéseaux, o.c., p. 132. Il teologo cattolico C. Schedl con abilità tenta di applicare i periodi profetici di Daniele all’azione di Antioco Epifane adattando il “tempo” indicato dal profeta all’anno lunare, bisestile e l’espressione “metà tempo” a un quadrimestre, a un semestre più una settimana, e a un tempo rimanente, per far tornare la somma, per 1335 giorni. Lasciamo al lettore la valutazione di quanto riportiamo. «2300 sere e mattine equivalgono a 1150 giorni. In questo passo viene espresso chiaramente il punto di partenza: si tratta del 15 Kasleu dell’anno 145 E.T. (6 dicembre 167 a.C.), il giorno della profanazione del tempio... al punto terminale si arriva al 15 Shebat dell’anno 148 E.T. (31 gennaio del 168), una data estremamente importante per le lotte maccabaiche. Due anni dopo la ricostruzione del tempio (4 dicembre del 164) il monte Sion fu rafforzato e munito di torri e di sbarramenti. In tal modo il tempio era ripristinato definitivamente nei suoi diritti, l’esercito conculcatore veniva cacciato dal luogo sacro e si adempiva la profezia. Il numero si può pure dividere secondo lo schema fondamentale di Daniele: un tempo (anno lunare): 354 giorni; un doppio tempo: 708 giorni; una frazione di tempo (un quadrimestre (sic!)): 88 giorni; si ha così un totale di 1150 giorni, cioè di 2300 sere e mattine. La frase misteriosa “un tempo dei tempi e la metà di un tempo” si trova in 12:7 e 7:25. Per sciogliere l’enigma è necessario tenere presente che, sia il numero sacro sette, sia la sua metà (1+2+½=3½) devono essere considerati come valori simbolici. ... Anche (per i 1290 giorni) il punto di partenza è indicato chiaramente.... Si tratta di una data importante per la riscossa maccabaica: il 6 Sivan dell’anno 145 E.T. (19 giugno del 163) giorno in cui cadeva la festa delle settimane o di Pentecoste... Computando secondo lo schema dei numeri di Daniele si ha: un tempo (anno bisestile (sic!)): 381 giorni; un doppio tempo: 708 giorni, mezzo tempo (semestre di anno bisestile più una settimana): 198; si ottiene così un totale di 1290 giorni». Ma 381x2=762 non 708. Inoltre 381+708+198=1287. Per i «1335 giorni... scomponendo e calcolando in base ai numeri simbolici (sic!), si ottiene: un tempo (anno bisestile): 384 giorni (prima 381 n.d.a.); un doppio tempo: 708 giorni; tempo rimanente: 243; in tutto quindi 1335 giorni». Dopo questi virtuosismi l’autore arriva a dire in conclusione: «La concordanza di queste tre date non è certamente un caso fortuito» SCHEDL Claus, Storia dell’Antico Testamento, vol. IV, traduzione di Pietro CANOVA, ed. Paoline, Roma 1966, pp. 326,327,325,327,328. Si ha così che, per la teologia liberale, i tre tempi e mezzo (Daniele 7:25), le 2300 sere e mattine (8:14), i 1290 giorni (12:11) e i 1335 giorni (12:12) sarebbero delle correzioni successive al testo, fatte dallo scrittore, per salvare la faccia. Vedere: teologo cattolico francese DELCOR Matthias, Le livre de Daniel, Paris 1971, p. 258; teologo luterano danese BENTZEN Aage, Das Buch Daniel, Tübingen 1952, p. 86,87; teologo luterano tedesco EISSFELDT Otto Hermann Wilhem Leomnard, Einleitung in das Alte Testament, Tübingen 1964, p. 718; LECOCQUE André, Le livre de Daniel, Neuchâtel 1976, p. 183; cit. da SCHWANTES Sigfried, La date du livre de Daniel, in AA.VV., Daniel - Questions Débattues, Collonges sous Salève 1980, p. 58. Di fronte a tutti questi tentativi di giustificare l’ingiustificabile, crediamo che si debba riconoscere quanto ha scritto il teologo liberale anglicano inglese S. R. DRIVER: «Sembra impossibile trovare due elementi che siano separati da duemilatrecento giorni e che corrispondano alla descrizione» cit. SDA Bible Commentary, vol. IV, Washington D.C. 1955, p. 844.
quindi dal tempo dell’Impero Medo Persiano alla fine. È fare violenza all’intenzionalità del testo se si vuole sostenere 2300 giorni come tempo letterale. «Una quindicina di esegeti ebrei hanno adottato il senso simbolico... Il rabbino palestinese Jephet ibn Ali Kalevi, nel suo commentario composto verso l’anno mille, ...affermava: “Gli studiosi che hanno preceduto Joseph ibn Bakhtavi hanno spiegato i 2300, 1290 e 1335 come degli anni; i Rabbini hanno fatto la stessa cosa. - Anche qualche Karaïtes”».205 Georges Stanley Faber, canonico della cattedra di Salisburgo, dottore in teologia, scriveva: «Quasi senza eccezione, i dottori della Sinagoga ebraica si accordano nel 205
VAUCHER Alfred Félix, Jusques à quand, Seigneur, Collonges sous Salève 1973, p. 12. «1. Verso l’anno 800, Benjamin ben Moïse Nahawendi, giudeo karaita di Persia autore di un commentario su Daniele che non è stato trovato. Conosciamo il suo modo di vedere da Joseph ibn Ali, che non ha condiviso il suo pensiero e da Abarbanel, che lo ha sostenuto (Isaac Judah Abravanel (ABARBANEL) in REINES Alvin-Jay, Maimonides and Abrabanel on Prophecy, Cincinnaty 1970, pp. 85,86). 2. Saadia ben Joseph (882-942), autore di un commentario inedito su Daniele, conservato alla Biblioteca Bodléienne d’Oxford (ms. Opp. add. Qu. 154). Sul passo relativo ai 2300 si può vedere Hermann SPIEGEL, Saadia alFajjûmi’s arabische Danielversion, Berlin 1906, p. 109. Il pastore francese Pierre ALLIX, rifugiato in Inghilterra, ha dato una traduzione inglese dell’ottavo trattato del Sepher Amunoth (Livre de l’Espérance), scritto nel 873, dove Saadia stabiliva la regola: un giorno profetico = un anno letterale (A Confutation of the hopes of the Jews concerning the last Redemption, London 1707). Un giorno vale un anno (pp. 7,8). Noi abbiamo dunque 1335 anni (p. 7), 1290 anni (pp. 8, 9), 2300 anni (p. 9). 3. Sahl ben Mazliah, nato nel 910, esegeta palestinese, karaita autore di un commentario su Daniele (vedere SILVER Abba Hillel, A History of Messianic Speculation in Israel From the First Through the Seventeenth Centuries, The MacMillan Company, New York 1927, pp. 50-52.54). 4. Salomon ben Isaac Jarchi, detto Raschi (1040-1105), il cui commentario sul profeta Daniele è stato tradotto in latino e pubblicato sotto il nome di Jarchi da Johann Friedrich BREITHAUPT (Commentarius in Prophetas Maiores et Minores, Gotha 1713, pp. 771,772,795,796). 5. Lo spagnolo Abraham ben Chija (1065-1136), autore di un’opera su Daniele conservata in manoscritto alla Biblioteca di Monaco e pubblicato a Berlino nel 1924. 6. Nel secolo XII abbiamo un esegeta israelita che abitualmente è confuso con Saadia ben Joseph, detto il Gaon, il cui commentario su Daniele si trova nelle Bibbie rabbiniche. 7. Moïse ben Nachman (verso 1194-1270), spagnolo, autore di un’opera stampata a Costantinopoli nel 1579. 8. Un altro spagnolo, Bahia ben Asher (verso 1260-1340) menzionato da H. Silver (o.c., pp. 95-97). Riduce i 2300 a 1150 anni. 9. Levi ben Gershon (1288-1344), francese, autore di un commentario su Daniele, apparso prima del 1480. È menzionato da Abarbanel. Conta a partire da Samuele. 10. Simon ben Zemah Duran, o RaSHBaZ (1310-1385) rabbino e fisico di Algeria, dal 1394 capo rabbino. Cita Ezechiele 4:4 come evidenza del principio giorno/anno (vedere Le Roy Edwin FROOM, The Prophetic Faith of our Fathers, vol. II, Washington D.C., 1948, p. 218). 11. Isaac Abarbanel (1437-1508), celebre rabbino portoghese, finì nel 1496 un commentario su Daniele che è stato stampato diverse volte (Napoli 1497, Ferrara 1551, Venezia 1556, Amsterdam 1647, Venezia 1652). Nell’edizione veneziana del 1570, f. 85, sono spiegati i 2300 giorni/anni. 12. Secondo Johann Christoph WAGENSEIL (Tela ignea Satanae, 1681, p. 335), Rabbi Isaac ben Abraham, portoghese del XV secolo, autore del Liber Munimen fidei. 13. Abraham ben Eliezer ha-Levi (verso 1460-1530), cabalista spagnolo, ha pubblicato a Costantinopoli, nel 1510, un’opera nella quale spiega le 70 settimane di Daniele. 14. Il rabbino italiano Giuseppe ben David ibn Jachia (JACCHIADES) (1494-1539), Paraphrase sur Daniel, composto nel 1528; stampato in ebraico a Bologna nel 1538, è stato tradotto in latino da Costantin L’EMPEREUR, Amsterdam 1633. Pur applicando la profezia ad Antioco IV, afferma che i 2300 giorni sono anni (pp. 153,154)» VAUCHER Alfred Félix, Lacunziana, I serie, Collonges-sous-Salève 1949, pp. 54-56. In epoca recente possiamo citare Abraham Bar Hiyya HANASI, Megillot Ha Megalleh (Rouleau du Révélateur), ed. Arthur Poznanski, Berlin 1924, 1967, pp. 170,171; traduzione catalana José-Maria MILLAS-VALLICROSA, Barcellona 1929, LVIII-253 pagine.
considerare i 2300, 1290, e 1335 giorni di Daniele, come essendo altrettanti anni; questo non si può spiegare, a mio avviso, se questo principio di calcolo non sia stato a loro trasmesso interrottamente».206 Elliott nell’ambito della cristianità scriveva che già: «dai tempi di Cipriano, verso la metà del III secolo, fino ai tempi di Gioacchino e dei valdesi, al XIII secolo, il principio d’interpretazione secondo il quale un giorno ha il valore di un anno è stato riconosciuto nella Chiesa da una continuazione di commentatori; l’applicazione ne è stata fatta e con prova a sostegno, sia dall’uno che dall’altro dei periodi di giorni profetici, compreso il più corto che si riporta all’Anticristo».207 Pur essendo stabilito il principio giorno-anno per i periodi profetici apocalittici, il maestro A.F. Vaucher precisa, a proposito dei 2300 giorni: «Non sembra che i teologi cristiani abbiano pensato di dare una interpretazione simbolica alle 2300 sere e mattine di Daniele VIII prima del XIII secolo. Dopo Giuseppe Flavio si era presa l’abitudine di applicare ad Antioco IV ciò che è detto del quinto corno. È poco tempo dopo la morte dell’abate Gioacchino († 1202) che per la prima volta nella letteratura cristiana i 2300 giorni sono stati calcolati come degli anni».208 Infatti è nel 1204 che per la prima volta, in un trattato cristiano, De Semina scripturarum - Del seme della Scrittura - si trovano i 2300 giorni calcolati come anni. Lo scritto è stato da principio attribuito a Gioacchino da Fiore e poi gli si è dato delle altre paternità. Il medico catalano Arnaldo da Villanova (1240-1312) nel 1292 diede un commento al De Semina dello pseudo Gioacchino.209 Scriveva: «Se si obietta che si tratta di centinaia di giorni, secondo le parole della visione di Daniele, perché dice: duemilatrecento giorni, bisogna dire che per giorni intende degli anni, è quanto scaturisce chiaramente dalla spiegazione data dall’angelo quando dice che la visione si completa alla fine: ciò fa comprendere in modo chiaro che per giorni, in questa visione, si intendono anni. Poiché è detto che il numero conduce alla fine, sarebbe ridicolo dare alla parola giorno il suo significato ordinario. Non è raro nella scrittura designare degli anni per dei giorni. Questo uso è certo e frequente. È così che per esempio lo Spirito dice ad Ezechiele: “Io ti ho contato un giorno per un anno”».210 206 207 208 209 210
FABER Georges Stanley, Sacred Calendar of Prophecy, vol. I, ed. 1844, p. 34; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 43. E.B. Elliott, o.c, p. 283. VAUCHER Alfred Félix, Jusques à quand, Seigneur?, Collonges sous Salève 1973, pp. 14,15. Arnaldo da Villanova, Incipit introductio in librum Joachim de semine scripturum, 1292.
Cit. A.F. Vaucher, Jusques..., p. 18. Qualche anno dopo, Arnaldo ritorna sullo stesso problema nel Tractatus de tempore adventus Antichrist et fine mundi, la cui prima parte, che ci interessa è del 1297, ms Cod. Vat. lat. 3824, 2a col., nel verso del fol. 60 e alla fine della colonna scriveva: «È evidente che i giorni non sono dei giorni ordinari, poiché i 2300 giorni ordinari non fanno che sei anni e centodieci giorni, e in questo caso la visione si sarebbe dovuta compiere al tempo di Daniele, e ciò sarebbe falso, come scaturisce chiaramente dalle parole dell’angelo: “Quando sarà completata la dispersione dei santi, tutte queste cose arriveranno alla loro fine”. È chiaro che questa dispersione, che corrisponde alla persecuzione universale del popolo fedele e santo, non si è completata al tempo di Daniele e non lo è ancora attualmente. Colui che conterà gli anni trascorsi dal terzo anno del regno di Belthazar, re di Babilonia, fino alla venuta del Salvatore, e che aggiungerebbe questo numero agli anni di già passati dalla sua venuta, saprebbe senza alcun dubbio quanti anni ci restano fino a quando cesseranno tutte le generazioni e ogni corruzione. Allora non ci sarà più tempo, come l’ha detto Giovanni nell’Apocalisse. Ciò sarà il tempo della consumazione dei secoli, del quale ha parlato chiaramente l’angelo a Daniele quando gli ha detto: “Fino alla sera, cioè alla fine dei tempi o del secolo presente, e alla mattina, cioè all’inizio dell’eternità o del secolo futuro, 2300 giorni» cit. A.F. Vaucher, Jusques..., p. 18. Può essere interessante comparare questa spiegazione con quella di Teodoreto che secondo la traduzione latina di GABIUS, Opera, t. II, p. 1220, diceva: «Per sera intende l’inizio della calamità; per mattino, la fine della calamità». Nel
Daniele, che è contemporaneo di Ezechiele, dice a parole ciò che egli insegnava con le azioni. Anche per questo motivo il principio giorno anno è stato utilizzato dai giudei nel periodo intertestamentario, dai membri della comunità di Qumran, da Giuseppe Flavio e da qualche autorità rabbinica.211 «Dall’inizio del XIII secolo - scrive il maestro A.F. Vaucher - fino ai nostri giorni, ci sono stati degli interpreti della profezia che hanno compreso la necessità di attribuire un senso simbolico a questa cifra: 2300 anni solari, come avevano fatto diversi commentatori israeliti».212 «Diverse pagine non sarebbero sufficienti per menzionare tutti gli autori protestanti che si sono occupati dei 2300 giorni compresi come tanti anni».213 Anche tra i cattolici ce ne è un buon numero.214 Ciò che viene descritto da Daniele non permette altra interpretazione che quella di vedere in questo periodo degli anni. Quando dovrebbero iniziare questi 2300 giorni profetici? «Il periodo deve cominciare con la visione; dunque al momento in cui il potere Medo-Persiano era al suo apogeo».215 Il testo biblico è preciso: «Il montone cozzava ad Occidente, c’era nessuno che la potesse liberare dalla sua potenza; esso faceva quello che voleva e diventò grande». L’angelo Gabriele dice a Daniele, nel capitolo IX del suo libro, che è venuto da lui per fargli comprendere la «visione» che stiamo considerando, perché a causa di quello che aveva visto precedentemente era svenuto.216 Un tempo di settanta settimane, 490 anni, sono tolte da un periodo più lungo e messe da parte per il popolo d’Israele. Midrash Rabbah, sulla Genesi, si legge: «Questo vuol dire: quando il mattino delle nazioni del mondo fa posto alla sera e che la sera d’Israele fa posto al mattino» dalla traduzione inglese di H. FREEDMAN, vol. I, London 1939, pp. 172,173. 211
Vedere SHEA William, Études sur l’interprétation prophétiques. Washington 1992, pp. 89-93.
212
F.A. Vaucher, Le Jugement, p. 21. «Questo periodo profetico è stato l’oggetto di speculazioni da parte di un monaco bavarese la cui opera, composta nel 1204, è stata attribuita all’abbate Gioacchino da Fiore (De semina scripturarum). Il manoscritto archetipo si trova a Bamberg. Da quest’opera l’idea è passata in diversi scritti gioachimiti (pseudo Gioacchino), Arnaldo di Villanova, Jean de Pierre Olieu (Olivi), Ubertino di Casale, Oraculum Angelicum Cyrilli, attribuito a S. Cirillo di Costantinopoli, terzo priore dei carmelitani dal 1221, accompagnato da un commento dello pseudo Gioacchino, composto dopo. Arnaldo da Villanova ha parlato dei 2300 anni in diversi altri suoi scritti escatologici. Il cardinale Nicolaus Khryppfs, conosciuto con il nome di Nicolas di Cues (Cusa), ha studiato questo periodo in un trattato redatto nel 1452, Conjectura de novissimis diebus, Nuernb. 1471. Il cardinale possedeva una introduzione al De semine scripturarum di Arnaldo di Villanova» VAUCHER Alfred, Les prophéties Apocalyptiques, 1972, pp. 9,10. L’opera è stata tradotta in francese da François BOHIER, Les Conjectures des derniers jours, Paris 1652, 48 pagine; e da Isaac de LARREY, Conjecture des derniers temps, Amsterdam 1700, XXX-96-215 pagine; in inglese da D. FOOTE, A Conjecture concerning the last days, London 1696. 213
A.F. Vaucher, o.c., p. 10. «Citiamo solamente l’astronomo Isaac NEWTON, l’astronomo valdese Jean Philippe Loys de CHESEAUX, il vescovo anglicano Thomas NEWTON, il cronologo William HALES, Théophile MOREUX, Alexander KEITH, Richard Hastings GRAVES, C.F. HINRICHS» Idem, pp. 10,11. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. 214
Idem, p. 11. «Tra i cattolici che si sono interessati a dei calcoli sui 2300 anni, menzioniamo il canonico Claude LESQUEVIN, l’ebraizzante François HOUBIGANT, il canonico giansenista Pierre JOURDAIN, il giurista messicano José Maria de ROZAS-GUTIERREZ, Pierre LACHEZE, William PALMER, il gesuita Salvatore Di PIETRO, Pedro AlvaroNAVARRO, Rafael Pijoan» Idem. (vedere la Bibliografia). 215 216
ANDREWS John Nevins, The Sanctuary and the 2300 days, 2a ed., Battle C. 1872, p. 15. Daniele 9:21-23; 8:27, 16. Vedere nostro Capitolo II, p. 67 e seg.
L’angelo indica anche la data precisa da quando far partire questo periodo: l’editto di ricostruzione di Gerusalemme.217 Quindi la data dell’inizio delle settanta settimane e dei 2300 giorni è la stessa. Questo periodo profetico, iniziato con l’editto di Artaserse, nel 457 a.C.218 termina nel 1844. 217 218
Daniele 9:25.
Esdra 1. «Il VII anno del regno di Artaserse, 457 a.C., è una data ben stabilita nella storia antica. Secondo i dati di informazione dei documenti greci, Serse, il padre di Artaserse, morì nella seconda metà dell’anno 465 a.C. I testi astronomici egiziani suggeriscono che morì tra dicembre ed il nuovo anno della Persia che inizia in primavera. Dei testi astronomici babilonesi e dei papiri scoperti nell’isola di Elefantina in Egitto confermano che Artaserse salì sul trono nel 465 a.C. Questo fu l’anno del suo accesso al trono. Il suo primo anno completo di regno cominciò nella primavera del 464 a.C, all’inizio del nuovo anno. Il VII anno di Artaserse ci porta dunque nel 457 a.C. - Gli studi sulla cronologia dei re di Giuda ci indicano che il calendario civile utilizzato a Gerusalemme andava da un autunno all’altro. Questo veniva applicato anche al periodo dell’esilio (Ezechiele 1:2; 8:1; 40:1) e all’epoca di Esdra e di Nehemia (Nehemia 1:1; 2:1). Il calendario utilizzato da Esdra andava dunque dall’autunno all’autunno, e questo situa il settimo anno di Artaserse nel 457 a.C.» A.M. Rodriguez, o.c., p. 58. Vedere Jsaac NEWTON, La Chronologie des Anciens Royaumes, Paris 1728, p. 43; Leonhard Sen KRENTZHEIM, Chronologia, vol. I, Goerlitz 1577, p. 131b, 136b, 159a; Sieggfried HORN and Lynn-Harper WOOD, The Chronology of Ezra 7, Washington D.C., 1953; John-Stafford WRIGHT, The date of Ezra’s Coming to Jerusalem, London 1947, 1958; The SDABC, vol. III, pp. 369-574, 400; VIII pp. 76,77. Vedere il nostro Capitolo II, pp. 76-85; Capitolo XIII, p. 540 e seg. I commentatori che non hanno saputo cogliere il rapporto tra il capitolo 8 e 9 e hanno considerato i 2300 giorni come anni, si sono perduti in congetture. Gli studiosi ebrei sono stati preoccupati di fissare la redenzione d’Israele e l’hanno indicata in un tempo vicino al loro. Gli esegeti che non hanno fissato l’anno d’inizio nel 457 a.C. hanno proposto le seguenti date: - dal tempo di Samuele, Levi ben Gershon; - 942 a.C.-1358 d.C.: dalla distruzione di Schilo, Benjamin ben Moïse; - 942 a.C.-1358 d.C.: dal regno di Davide, Moïse ben Nachmann; - 797 a.C.-1503 d.C.: Isaac Abarbanel, Venezia 1570, f. 85; - 784 a.C.-1516 d.C.: FABER G.S., vol. II, 1844, pp. 124-125; - 783 a.C.-1517 d.C.: P. ALLWOOD, p. 61; - 753 a.C.-1547 d.C.: fondazione Roma, Anonimo, Se Semine; - 752/5 a.C.-1548/5 d.C.: Christopher Frederic TRIEBNER; - 770 a.C.-1530 d.C.: Abraham ben Eliézer ha Levi; - 610 a.C.-1690 d.C.: EYTON E.T., p. 74; - 600 a.C.-1700 d.C.: cattività di Babilonia, William SHERWIN, 1675, p. 57,74; - 599 a.C.-1701 d.C.: John TILLINGHAST, 1654, p. 309; 1655, p. 151; - 584 a.C.-1716 d.C.: ALLIX P., De Messiae..., p. 28,60; WHISTON W., p. 10,236,237, più tardi ha proposto altri calcoli poi ha rinunciato a ogni calcolo. - 559 a.C.-1741 d.C.: CHAMBERLAIN W., p. 21 - 555 a.C.-1745 d.C.: dalla visione di Daniele, BURNET W., p. 147; T. CRINSOZ, 1729, p. 392; - 552 a.C.-1748 d.C.: dalla visione di Daniele, M.C. TREVILIAN, p. 402; Johann Christian SEITZ, Apoc.... 1721, pp. 48,49; JOURDAIN P., p. 23; - 550 a.C.-1750 d.C.: dalla visione di Daniele, Jean-Guillaume de LaFLÉTCHÈR, ed. 1800, pp. 373-375; ed. 1826, p. 536; - 540 a.C.-1760 d.C.: GIBLEHR G.H., 1702, pp. 4,6,14; - 538 a.C.-1762 d.C.: dalla visione di Daniele, R.B. SEELEY, p. 23; William WHISTON; - 536 a.C.-1764 d.C.: Anonimo, Éclairciss. , pp. 5,6; - 534 a.C.-1766 d.C.: dalla visione di Daniele, James PURVES, vol. I, 1777, p. 6; vol. II, 1778, p. 3; - 530 a.C.-1770 d.C.: R.A. WATKINSON, p. 7; HORCHE H., 1719; - 529 a.C.-1771 d.C.: TAYLOR Lauchla, 1870, p. 136; - 528 a.C.-1772 d.C.: BEVERLEY T., A Script., p. 1; - 519 a.C.-1781 d.C.: HORCHE H., pp. 163-181; - 515 a.C.-1785 d.C.: Charles David MAITLAND, 1814, p. 40; - 510 a.C.-1790 d.C.: H. HORCHE, 1697, p. 163-181; 1719; - 509/8 a.C.-1791/2 d.C.: dalla visione di Daniele, Lewis WAY, 1818, pp. 78,79; - 508 a.C.-1792 d.C.: SARGENT F., 1833, p. 30;
Nel 1844 l’usurpazione del perpetuo da parte del piccolo corno, prende fine. Questa profezia dei 2300 giorni/anno, unica in tutta la Bibbia, si realizza nella storia con una esattezza così impressionante che dimostra in un modo inequivocabile, al di là delle mostruosità che i secoli ci raccontano, che Dio è veramente il Signore della storia e che la sua parola di salvezza si compie. - 481 a.C.-1819 d.C.:
J. BICHENO, Signs of the Times, t. III, p., London 1797, p. 268; John BAYFORD, p. 281, 481-1819 forse; Etan SMITH, 1811 e 1814; G. ALLAN, p. 20; - 480 a.C.-1820 d.C.: ELLIOTT E.B., vol. III, 5a ed., pp. 446-448; Hans WOOD, 1787, pp. 382,387,388; Alexander KEITH, 5a ed., 1834, The Harmon; Jacob TOMLIN, diagramma alla fine di A Script., 1868; John CUMMING, Lectures, pp. 274,275; Redemption, pp. 145-147; The fall…, p. 466; - 465 a.C.-1835 d.C.: HOLMES W.A., 1833; pp. 93,167; - 454 a.C.-1846 d.C.: A. ROZAS de GUTIERREZ, p. 122; - 453 a.C.-1847 d.C.: A.H. BURWELL, pp. 38,39,209; W.W. PYM 1843, pp. 59,91,112; - 450 a.C.-1850 d.C.: art. Simon ben Zemah Duran, in The Universal Jrwish Encyclopedia, vol. III, p. 612; - 446/5 a.C.-1854/5 d.C.: F. H. BERICK, The Grand Crisis, 1854; CUMMINGS J. carta profetica; - 445 a.C.-1855 d.C.: Elisabeth BAXTER, 1893, p. 73; - 445 a.C.-1856 d.C.: PIJOAN R., p. 205; - 434 a.C.-1866 d.C.: J. BELLAMY, 1863, pp. 20,21; G.S. FABER, 1807; - 433 a.C-1867 d.C.: J. CUMMING, The Great, p. 241,242; The Sound, p. 408; - 426 a.C.-1874 d.C.: W.C. THURMAN, Our Bible ..., 3a ed., pp. 167,168; - 424 a.C.-1876 d.C.: George MONTAGUE, 1845; - 420 a.C.-1880 d.C.: William HALES, A new, p. 518; -1880/1881 d.C.: WEETHEE J.P., p. 63; - 417 a.C.-1883 d.C.: W. ETTRICK, 13; nel 1883 scadevano per questo autore anche i 1335 anni; - 400 a.C.-1900 d.C.: P. LACHÈZE, Le Retour ..., 1846, p. 369; -1901 d.C.: WIMBLEBY J.B., p. 126 nota; - 369 a.C.-1931 d.C.: Giuseppe ben David ibn Jachija; - 363 a.C.-1937 d.C.: J. SAMUELS, 1906, p. 446; - 337 a.C.-1963 d.C.: ALVARO-NAVARRO P., p. 146,148; - 335 a.C.-1965 d.C.: William GIRDLESTONE, p. 47; - 334 a.C.-1966 d.C.: CLARKE A., p. 392; - 334/2 a.C.-1966/68 d.C.: RALSTON S., pp. 118,122; - 330 a.C.-1970 d.C.: Samuel OSGOOD, pp. 63,64,253,434; - 329 a.C.-1971 d.C.: S. HARDY, p. 51; - 328 a.C.-1972 d.C.: George BINGHAM, p. 402; - 301 a.C.-1999 d.C.: G.G. RUPERT, Time, 3a ed., p. 100; - 302 a.C.-2000 d.C.: G. KOHLREIFF, pp. 79,109,112: dalla morte di Antigone alla fine del mondo; - 300 a.C.-2000 d.C.: Robert CULBERTSON, p. 574; - 185 a.C.-2115 d.C.: Saadia Gaon, ha ridotto i 2300 giorni/anni a 1150; - 171 a.C.-2129 d.C.: William HUTCHESON, p. 263; - 170 a.C.-2130 d.C.: HUNTINGFORD E., Hamony, 1854, p 13; Daniel, p. 65; - 168 a.C.-2132 d.C.: ROBINSON Thomas pp. 172,173; VANDENDROESCHE Raoul, 1925, p. 40; - 167 a.C.-2133 d.C.: LAGRANGE C.H., Sur la Concord., 2a ed., p. 88; - 165 a.C.-2135 d.C.: WHITE W., pp. 537,538; - 70 d.C.-2370 d.C.: DI PIETRO S,. pp. 177,359; - 136 d.C.-2436 d.C.: BURTON G., An Essay, 1766, p. 380; Suppl., 1768, pp. 20,50; - 198 d.C.-2498 d.C.: Bahia ben Asher, ha ridotto i 2300 anni a 1150. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. Scrive il Maestro A.F. Vaucher: «Nessuna delle date indicate qui può essere giustificata. Una supposizione che poteva sembrare plausibile, è quella di iniziare i 2300 anni dal momento in cui Daniele ebbe la visione. Nulla, tuttavia, nel testo di Daniele, ci autorizza a contare i 2300 anni a partire dalla data della visione. La soluzione del problema deve essere cercata in tutt’altra direzione. Dal XVII secolo, J. TILLINGHAST aveva notato il rapporto intimo esistente tra il capitolo 8 e il capitolo 9; aveva compreso che le 70 settimane (490 anni) del capitolo 9 fanno parte del periodo più lungo (2300 anni) del capitolo precedente. Ma aveva lui stesso negletto di assegnare lo stesso punto di partenza» A.F. Vaucher, o.c., p. 74. Per gli autori che hanno interpretato correttamente l’inizio dei 2300 anni con l’editto di Esdra, vedere il nostro Capitolo XIII, p. 528 e seg.
Il Giudizio preliminare e la Purificazione del santuario celeste «Dopo duemilatrecento sere e mattine il santuario sarà purificato». La parola “purificato” dall’ebraico nisdaq, dalla radice sdq, ha un ventaglio di significati e la si trova tradotta nelle differenti lingue della versione della Bibbia in vari modi: giustificato, reso giusto, restaurato, ristabilito, rivendicato, consacrato, ha conseguito la sua purificazione, mondato. Il prof. Hasel osserva che è un termine che viene utilizzato nei tribunali e nelle procedure legali.219 Questa espressione è nella risposta ad una domanda in relazione 219
«“Sarà purificato”. Questo modo di tradurre ha una sua storia che risale alla Vulgata latina (mundabitur) e anche alle più antiche versioni greche (la versione dei LXX e quella di Teodozione hanno katharithesetai) dell’èra precristiana. Molte traduzione recenti usano la stessa espressione. Altre traduzioni non riflettono il senso tradizionale della parola tsadaq. Però diversi commentatori tuttavia sostengono che “purificato” (HARTMAN L.F. - DI LELLA A.A, The Book of Daniel, Garden City 1978, p. 222; GINSBERG H.L., Studies in Daniel, New York 1948, p. 52; F. ZIMMERMANN, The Aramaic Origin of Daniel 8-12, in JBL - Journal of Biblical Literature, n. 57, 1938, p. 262) sia la maniera corretta di tradurre tsadaq, che è un lapax legomena e appare solo qui in tutto il Vecchio Testamento, per il fatto che le altre interpretazioni proposte, come “sarà giustificato”, “non può essere detto del santuario” (Hartmann e Di Lella). Questo termine ebraico tsadaq è un derivato verbale (forma Niphal) della radice sdq, di cui l’Antico Testamento conosce 40 usi su quattro forme variabili diverse e 482 usi sotto la forma nominale. Tra i significati semantici appaiono frequentemente menzionate le idee di essere giusto, giustificato, riconosciuto come giusto, ecc. È chiaro che sadaq è utilizzato come un sinonimo di taher (“essere puro, pulito”, Giobbe 4:17; 17:9), di zakah (“essere (moralmente) puro, pulito”, Giobbe 15:14; 25:4) e di mispa (“giudizio” Giobbe 8:3; Salmo 37:6), per menzionarne solo alcuni. Il campo semantico più ampio permette di associare sadq non solamente a ciò che è dritto, giusto, conforme alla giustizia, giustificato, ma anche a delle connotazioni come purificato, reso pulito. È almeno uno dei valori semantici di questa parola. Non è possibile attribuire un senso univoco ai derivati della radice sdq. Ma la breve analisi che abbiamo fatto ci indica certi indirizzi semantici che ci debbono aiutare a interpretare correttamente la parola tsadaq. L’idea di “purificazione”, “giustificazione”, “stabilimento del diritto” e “riconoscimento della giustizia” sono dei significati paralleli di nisdaq. Senza dubbio bisogna comprendere la “purificazione “ del santuario in un senso molto largo che include l’idea di restaurazione nel suo stato legittimo (è purificato, riconosciuto giusto e stabilito nei suo diritti se si può dire)» G. Hasel, La petite…, pp. 230,231. Il fatto che il verbo di Daniele 8:14 non sia quello di Levitico 16 crediamo possa essere intenzionale. Se il profeta avesse usato la stessa espressione si sarebbe dovuto credere che alla fine delle 2300 sere e mattine sarebbe iniziato ciò che Levitico 16 descrive: la purificazione del santuario. Siccome in Israele il giorno dell’espiazione, della purificazione, era celebrato nel decimo giorno del settimo mese ed era la conseguenza del giorno del giudizio, celebrato nel primo giorno del mese, e i dieci giorni di intervallo erano giorni di pentimento in vista della purificazione vera e propria del santuario, il termine utilizzato da Daniele riteniamo che unisca in una parola sia il giudizio, prima fase, sia la purificazione, quale sua conseguenza, seconda fase. Inoltre in Levitico 16 abbiamo tre verbi che esprimono il concetto della purificazione: versetti 16,10,20; 23:28 “espiazione”, ebraico kafar, con significato di: coprire, espiare, riconciliare; versetto 19 “purificherà”, ebraico taher, con significato di: purificare, dichiarare puro; e “santificherà” (conseguenza della purificazione), ebraico qadash, consacrare, dedicare. Che il testo di Daniele debba essere messo in relazione con la purificazione del santuario è confermato dalla visione stessa. I simboli dell’Impero Medo Persiano e della Grecia, il montone ed il capro, non erano animali presentati in sacrificio quando l’israelitica andava ad offrirli quotidianamente per l’espiazione del peccato commesso, ma venivano offerti in occasione della purificazione del santuario (Levitico 16:5). Si critica la spiegazione che la purificazione del santuario celeste sia in relazione ai peccati confessati dei credenti che lo hanno profanato con la confessione, quando per contro il contesto fa pensare che il santuario sia profanato a causa dell’opera del quinto corno. Vedere Torre di Guardia, 15 luglio 1997, p. 26 e seg.. Riteniamo si debba dire che il santuario è profanato sia dall’opera del piccolo corno sia dai peccati del popolo di Dio. Per l’Antico Testamento il santuario veniva profanato sia dai popoli che non avevano rispetto per il luogo di Dio (Salmo 79:1) e sia dalle seguenti empietà d’Israele per le quali non c’era espiazione: idolatria del popolo (Levitico 18:31; Geremia 19:4; 32:34), falso giuramento (Levitico 19:12), tonsurandosi il capo (Levitico 21:5,6), non astenendosi dalle cose sante (Levitico 22:3), presentandosi nel santuario in stato di impurità rifiutando la purificazione
anche all’opera del quinto corno che ha abbattuto il santuario, oppresso il popolo di Dio, calpestato la verità. Pure nel capitolo precedente, VII, Daniele presenta lo stesso potere che s’impone nella storia e «proferirà parole contro l’Altissimo, ridurrà allo stremo i santi dell’Altissimo, e penserà di mutare i tempi e la legge (verità); i santi saran dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo»220, precisando che, senza indicare esattamente quando, «poi si terrà il giudizio»221 in cielo a seguito del quale ci sarà l’investitura del Figlio dell’uomo222 che si concluderà con la purificazione del santuario stesso, come il rituale ebraico insegnava.223 Allo scadere (Levitico 15:31; Ezechiele 44:7), facendo sacrifici a Moloc (Levitico 18:21; 20:3), rifiutando di celebrare il Giubileo per non liberare gli oppressi (Geremia 34:15,16), mediante una condotta riprovevole (Ezechiele 36:17). Erano i peccati commessi «a mano alzata» (Numeri 11:50). In questi casi la purificazione del santuario avveniva non attraverso il rito sacrificale, ma attraverso la distruzione di coloro che l’hanno contaminato e attraverso l’esilio. Il piccolo corno di Daniele 8 profana il santuario celeste sia nella sua posizione di nemico di Dio, sia nella veste di colui che si presenta come guida del popolo di Dio. Il santuario veniva contaminato a seguito delle “impurità”, delle “trasgressioni” e dei “peccati” del popolo (Levitico 16:16) compiuti durante l’anno anche se erano stati confessati e temporaneamente perdonati mediante i riti di purificazione. Il pastore Roland de PURY commentando del Padre nostro, “il tuo nome sia santificato” scrive: «E noi ora, popolo di Dio, corpo di Gesù Cristo, portiamo davanti agli uomini il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Noi, battezzati, siamo coperti da questo nome tre volte santo, e il mondo non conoscerà questo Dio, la sua santità, la sua verità, la sua giustizia, se non attraverso la nostra testimonianza. Poiché noi parliamo nel suo nome, e viviamo nel suo nome, non possiamo impedire che il nostro atteggiamento ricada su lui. Nel bene e nel male il suo nome è unito a noi, e, più o meno coscientemente, il mondo intero ha lo sguardo posto sulla Chiesa per sapere quale sia il Signore nel nome del quale pretende di agire e parlare, quale sia questo Dio al quale si richiama, questo Re del quale è ministro. È per questo motivo che la prima preoccupazione del cristiano deve essere la preoccupazione del nome del suo Dio, al quale, dopo il giorno del suo battesimo, è unito al suo destino. La preoccupazione del proprio nome, che è la preoccupazione dell’incredulo, è sostituita dalla preoccupazione del nome di Dio» Notre Père, ed. Delachaux & Niestlé, Neuchâtel - Paris, pp. 28,29. Il comportamento del credente onora il suo Signore o profana il santuario celeste. Il santuario celeste è profanato dall’opera del quinto corno, che nella storia ha agito nel nome del Dio di Gesù Cristo. Il giudizio che si compie nel cielo è nei confronti della Chiesa fedele, che a causa dei loro peccati hanno disonorato il Signore e contaminato il santuario celeste, anche se per quanto fatto sono stati perdonati; il giudizio si compie anche nei confronti di coloro che si dicono credenti e non lo sono e di coloro che non sono credenti nell’Eterno, ma che ugualmente, non avendolo conosciuto tramite la sua rivelazione scritta, cercano di vivere secondo quanto lo Spirito Santo riesce ad illuminare il loro spirito, le loro coscienze. Il giudizio preliminare è un giudizio che permetterà a Gesù di separare l’umanità in due gruppi quando ritornerà e richiamare alla vita coloro che dovranno ereditare il suo Regno. Vedere il nostro Capitolo XIII, nota n. 209. 220 221 222 223
Daniele 7:25. Daniele 7:26. Daniele 7:13.
Levitico 16. «Al versetto 13, il testo ebraico contiene la parola qodes. Il nostro studio ci ha condotto a concludere che non indica mai l’“altare” o qualche cosa di “santo” nel senso di verità speciale che dovrebbe essere ristabilita negli ultimi giorni. Dalle traduzioni più antiche a quelle più recenti, si è resa la parola qodes per “santuario”. Questo modo di tradurre si appoggia sugli impieghi frequenti di questo termine nell’Antico Testamento in rapporto con il santuario (terrestre o celeste). Il cambiamento terminologico di miqdas (santuario) in Daniele 8:11,12 a qodes (santuario) in Daniele 8:13,14 sembra inscriversi in un movimento preciso che va dalla visione (versetti 3-12) all’ascolto (versetto 13,14). I diversi aspetti della visione sono ricapitolati al versetto 13; ciò mostra che la parola qodes, in questo quadro, deve fare allusione contemporaneamente al santuario terrestre e al santuario celeste, attaccato dal potere del “piccolo corno”. In questo senso, il versetto 13 costituisce una cerniera tra il passato e ciò che deve avvenire alla fine del periodo delle 2300 “sere e mattine”, evocato al versetto 14. In quest’ultimo versetto la parola qodes non può più indicare il santuario terrestre, poiché questo è stato distrutto nell’anno 70 della nostra era. Il solo santuario che esiste ancora alla fine del periodo profetico, è il santuario celeste. L’intenzione del testo appare più chiaramente se noi studiamo attentamente il giorno delle espiazioni in Levitico 16. La parola qodes costituisce in effetti un legame terminologico supplementare tra Daniele 8:14 e Levitico 16, e questo legame è esplicito. Il lettore occasionale della Bibbia sarà forse sorpreso di apprendere che il termine chiave
del periodo profetico, nella metà del secolo scorso, il santuario sarebbe stato riabilitato, avrebbe trovato in seno alla cristianità il suo giusto collocamento, la verità biblica, che per diversi secoli era stata dimenticata, non compresa, abbandonata, sarebbe riemersa permettendo al popolo di Dio di proclamare al mondo intero «l’evangelo eterno», invitando l’umanità a prepararsi per incontrare il Signore che viene. La purificazione del santuario, come vedremo nel nostro capitolo XIII, è la conseguenza dell’opera di giudizio preliminare che si compie nel cielo e ha come risultato sulla terra la purificazione della Chiesa. Il cerimoniale levitico ci permette di comprendere quanto avviene nel cielo dal 1844. In Israele, una volta all’anno, in autunno, si celebrava il giudizio inaugurato all’inizio del mese dalla festa delle trombe per compiere dopo dieci giorni di pentimento, penitenza di rigenerazione spirituale in cui il popolo di Dio era consapevole di essere giudicato dall’Eterno, la cerimonia di purificazione del santuario. Durante l’anno il santuario veniva contaminato dai peccati del popolo224 e una volta all’anno, nel giorno dello Yom Kippur, dopo dieci giorni, si concludeva il giudizio di Dio sul popolo, per poi compiere la purificazione del santuario dai peccati commessi durante l’anno225 e confessati dagli ebrei in occasione dei riti espiatori (purificatori) che venivano compiuti quotidianamente per chiederne il perdono. Questa cerimonia,226 come tutte le altre feste annuali, annunciava un avvenimento che si sarebbe realizzato nella storia per salvare l’uomo. In occasione di quella festa solenne, il sommo sacerdote entrava per l’unica volta nel Santo dei Santi del santuario israelitico, faceva l’opera di purificazione del luogo Santo e ne usciva, simbolicamente caricato dei peccati del popolo commessi e perdonati durante l’anno. Questi peccati venivano messi sul capro espiatorio per Azazel che, non essendo sacrificato, veniva allontanato dal santuario e dal popolo per essere condotto nel utilizzato in Levitico 16 per evocare la “purificazione” del “santuario” nel giorno dell’espiazione, è precisamente qodes. Sembrerebbe che un ebreo, immerso fin dalla sua infanzia nel ciclo rituale dell’anno religioso che si concludeva con la purificazione del santuario, non poteva comprendere l’espressione nisdaq qodes (“il santuario sarà purificato”) senza associarlo mentalmente al giorno dell’espiazione. Notiamo ancora che qodes è direttamente legato alla purificazione (taher) in un altro passo. Il linguaggio utilizzato in Daniele 8:14 a proposito della “purificazione del santuario” doveva incitare il lettore a fare delle associazioni con la vita cultuale, in particolare con gli eventi del giorno delle espiazioni (detto anche della purificazione)» G.F. Hasel, o.c., pp. 231,232. 224 225 226
Levitico 15:31; 18:21; 20:3. Levitico 16.
Questa cerimonia di purificazione univa il giudizio e la creazione. Per il rapporto santuario, Tempio, creazione, vedere il nostro Capitolo XVI. «Per l’israelita della Bibbia, Kippur significa la purificazione del mondo, cioè una vera ricreazione. Ecco perché Daniele profetizza utilizzando il linguaggio della creazione “sera e mattina”, una espressione molto rara che non si trova che nel racconto della creazione (Genesi 1:5,7,13,19,23,31).- La profezia di Daniele vede dunque alla fine dei tempi un Kippur celeste che descrive in termini di giudizio e di creazione.- La storia è pervenuta alla sua fine e il Dio-Giudice si alza per sigillare il destino degli uomini e per preparare a loro un altro regno. Si comprende allora l’importanza del riferimento al giudizio e alla creazione in questo ultimo stadio della storia umana.Attraverso il giudizio si prepara un nuovo popolo strappato al peso del peccato e della sofferenza , un popolo provato e separato dagli altri, ma anche un popolo perdonato. Attraverso la creazione si prepara un nuovo mondo strappato alle tenebre e alla morte, un mondo purificato. In questo senso, si può dire che il giudizio si comprende come una vera creazione. Poiché il giudizio come la creazione implicano una separazione radicale (BEAUCHAMP P., Création et Séparation: Étude exégétique du chapitre premier de la Genèse, Paris 1969). Kippur significa contemporaneamente coscienza del giudizio di Dio e la speranza della ricreazione» J. Doukhan, Le soupir…, pp. 185,186,187.
deserto dove sarebbe morto. Questa opera di purificazione testimoniava che il popolo, nei giorni precedenti, era stato giudicato da Dio positivamente, perché era stato fedele al perdono che il Signore gli aveva concesso in occasione della confessione dei propri peccati. Tipologicamente quanto veniva compiuto una volta all’anno in Israele era ma simbolo di ciò che l’unico e vero sommo sacerdote Cristo Gesù avrebbe compiuto una volta nella storia nel vero santuario, che è la dimora di Dio nei cieli. Gesù è stato rivestito della funzione di sommo sacerdote a seguito della sua morte ed ascensione al cielo, come Daniele ha annunciato con le parole per «ungere un luogo santissimo».227 In cielo, quale Figlio dell’uomo che ha vinto il peccato e l’Avversario, svolge un’opera di rappresentante della Chiesa, dei credenti ed opera in favore del suo popolo che è sulla terra.228 A questa opera di salvezza che il Signore svolge in cielo per l’umanità, che corrisponde a ciò che il sacerdozio israelitico compiva quotidianamente nel santuario israelitico, mediante la cerimonia che veniva compiuta nel luogo santo, dall’autunno del 1844 aggiunge un secondo ministero: quello di giudizio, che si conclude con l’investitura del Figlio dell’uomo a Re dei popoli, dei salvati, come presenta Daniele VII:13,14 e che ha come conseguenza la purificazione del santuario celeste come anticamente il sommo sacerdote israelita faceva una volta sola all’anno, nel luogo più interno, nel santissimo, quale conseguenza del giudizio compiuto da Dio sul popolo. Nel capitolo VII Daniele aveva già presentato il giudizio preliminare che si ha prima del ritorno di Cristo Gesù, a seguito del quale il Signore, tornando, potrà dare ai suoi credenti la salvezza, introdurli nel suo Regno e separare da essi i non salvati, anche se hanno dichiarato durante la vita di essere figli di Dio. Questo giudizio del preavvento sarà poi seguito dal giudizio ultimo, dopo che Satana, il vero Azazel, sarà stato abbandonato nel deserto di questo mondo per un lasso di tempo che Giovanni, in Apocalisse XX, designa con l’espressione mille anni. Ora viviamo nel tempo in cui nel cielo si compie quest’opera di giudizio, di separazione tra i veri adoratori e coloro che non lo sono, tra chi ha riconosciuto il Signore e coloro che pur avendolo confessato non hanno accettato la sua parola. È un tempo di grande importanza. È un tempo nel quale gli esseri celesti comprendono la realtà del cuore delle persone e la veridicità della valutazione dell’Eterno. Non è Dio che ha bisogno di questo giudizio preliminare. Egli è l’onnisciente.229 «Il Signore conosce quelli che sono suoi».230 Questo giudizio preliminare per il quale vengono aperti i libri231 permette agli esseri celesti di valutare le azioni degli uomini, buone o cattive che siano, per vedere se gli individui hanno accettato o rigettato la salvezza che Dio vuole offrire all’umanità, mediante l’azione dello Spirito Santo232 e 227 228
Daniele 9:24. Colossesi 3:1-3; Ebrei 7:25.
229
Salmo 33:13-15; 56:8; 104:24; 139:2,6; 147:4; Isaia 44:28; 46:9,10; Malachia 3:16; Matteo 10:29,30; Atti 15:8; Romani 11:33; Efesi 3:10.
230 231 232
2 Timoteo 2:19. Daniele 7:10. Giovanni 16:8.
che ha nel sacrificio di Cristo Gesù la manifestazione inequivocabile di questa volontà di Dio. Ciò che determinerà il destino degli uomini è l’accettazione o il rifiuto della grazia di Dio che raggiunge l’umanità sia mediante la testimonianza, o la predicazione dell’evangelo, sia mediante quanto lo Spirito Santo compie nelle persone. Al centro di questo giudizio c’è ancora Cristo Gesù e il suo sacrificio quale volontà di salvezza. L’escatologia, le fasi finali della storia dell’umanità: giudizio di Dio su Babilonia, le piaghe, Harmaghedon, il ritorno trionfale di Cristo Gesù, la vittoria sul male, la salvezza della Chiesa, sono le conseguenze del giudizio iniziato nel 1844. Scrive E. White: «Mentre Gesù esercita il suo ministero nel santuario celeste, continua a servire la sua Chiesa che è sulla terra mediante il suo Spirito».233 «Mentre in cielo si compie l’istruzione del giudizio (preliminare)... un’opera particolare di purificazione si deve compiere sulla terra, fra il popolo di Dio, che consiste nell’allontanare il peccato».234 «Noi viviamo nel grande giorno delle espiazioni. Quando il sommo sacerdote faceva l’espiazione per Israele nel servizio tipico, tutti dovevano affliggere le proprie anime, pentirsi dei loro peccati e umiliarsi davanti al Signore, col rischio di essere separati dal popolo di Dio. Nello stesso modo, tutti coloro che desiderano che il proprio nome rimanga scritto nel libro della vita, devono ora, nei giorni di grazia che rimangono, affliggere le loro anime davanti a Dio, testimoniare un vero dolore a causa dei loro peccati, e pentirsi sinceramente. I cuori devono essere esaminati con la più grande cura. Bisogna rinunciare a uno spirito frivolo, leggero, così spesso caratterizzante i cristiani di professione».235 «Cristo purifica il tempio celeste dai peccati del suo popolo. Noi dobbiamo lavorare in armonia con lui sulla terra, purificando il tempio dell’anima dalle sozzure spirituali».236 Precisa M.C. Wilcox: «I tempi indicati (2300 anni) non coprono necessariamente l’intera durata del potere rappresentato dal piccolo (grande) corno, ma la fine di questo periodo segna la fine dell’influenza esercitata dal piccolo corno sull’esercito e sulla verità di Dio. Sarebbe forse più corretto dire che al termine del periodo profetico il quotidiano, o il continuo (tamid) sarà ristabilito nella rivelazione divina rivelata nel santuario... La fine del periodo segna l’inizio di un’era nuova per la rivelazione della verità di Dio».237 Con l’inizio del giudizio in cielo e con la conseguente purificazione del santuario celeste, sulla terra le verità bibliche dimenticate e disseminate nei vari gruppi religiosi vengono riproposte all’umanità nella predicazione del triplice messaggio di Apocalisse XIV.
233 234 235 236 237
WHITE Ellen, La speranza dell’uomo, Firenze, p. 166, ed. inglese. WHITE Ellen, Review and Herald, 7 gennaio 1907. WHITE Ellen, Il gran Conflitto, Firenze, pp. 489,490, ed. inglese. WHITE Ellen, Review and Herald, 11 febbraio 1890.
WILCOX Milton-Charles, Studies in Daniel, in The Signs of the Times, 26 marzo 1912, p. 6; Cit. A.F. Vaucher, Le Jugement, pp. 27,28.
Conclusione «Lo studio di Daniele VIII:14 fu (ed è) il punto di partenza dell’esistenza del Movimento avventista in quanto movimento storico (che si presenta con la Chiesa Cristiana Avventista del 7o Giorno), e gli permette la sua identità dottrinale e di definire la sua missione. Si ha qui a che fare con un aspetto fondamentale del pensiero avventista. Questa evoluzione fu resa possibile dal fatto che Daniele VIII comprende una profezia cronologica dove il 1844 rappresenta una data importante nel calendario divino, e anche questo stesso capitolo, come Daniele IX:23-27, annuncia l’opera redentrice del Cristo. Questi brani biblici uniscono l’opera della salvezza non solamente alla croce, ma anche all’opera mediatrice del Cristo nel santuario celeste. Lo studio dei servizi del santuario e del loro significato simbolico producono la dottrina avventista del santuario. Daniele VIII:14, offre agli avventisti una identità storica. Il movimento avventista non è un incidente della storia, ma il risultato dell’intervento speciale di Dio negli affari umani. La realizzazione di Daniele VIII:14 nel 1844 giustifica e pure legittima la sua presenza nel mondo e in particolare in seno al cristianesimo. All’inizio dell’opera sacerdotale del Cristo nei cieli, la Chiesa ricevette il battesimo dello Spirito Santo.238 Vedendo lo Spirito Santo versato su loro, i discepoli compresero che qualche cosa di fondamentale si era realizzato nel cielo. Nello stesso modo, quando la profezia dei 2300 anni si realizzò nel 1844, un avvenimento senza precedenti si è realizzato nel santuario celeste: il giorno antitipico del giudizio che sfocia nell’espiazione era cominciato.239 Nello stesso momento Dio suscita sulla terra un movimento di riforma che deve collaborare con lui per preparare il mondo ad accoglierlo come giudice, per restaurare la verità divina calpesta e per smascherare le ultime seduzioni di Satana prima della seconda venuta di Cristo.240 Non si può separare l’identità, la teologia e la missione del movimento avventista dall’opera di redenzione del Cristo. È proprio l’opera redentiva di Cristo che rende necessaria la formazione di questo movimento. Il Cristo dunque gli dona la sua identità. La dottrina del santuario è una interpretazione del piano della salvezza in Cristo e pone le fondamenta della fede avventista. La dottrina del santuario offre una prospettiva unica per studiare il piano della redenzione. Essa illumina lo svolgersi di questo piano nel contesto della storia del mondo. Essa identifica i suoi principali protagonisti. Associata alle profezie di Daniele indica pure i momenti storici in cui questi devono manifestarsi e descrive l’opposizione storica manifestata dai nemici di Dio. Questa dottrina è centrata sull’opera di Cristo e ci offre una prospettiva completa. Si possono seguire facilmente gli sviluppi dell’opera del Cristo grazie allo studio della teologia del santuario. Il Cristo presentato come vittima sacrificale, sommo sacerdote, mediatore, giudice, avvocato (soccorritore n.d.a) e re. 238 239 240
Atti 2:23. Il testo di Rodriguez ha soltanto: «giorno antitipico dell’espiazione». Apocalisse 10:1; 14:7-12.
Il compimento dei 2300 anni nel 1844, ricorda che la storia della salvezza continua nel suo divenire e che il piano di Dio evolve nel modo che l’ha concepito e anticipato. La storia della salvezza non termina nel 31 d.C. I profeti biblici ci ricordano che Dio ha agito, e agisce ancora, nel contesto della storia del mondo. Egli la dirige verso l’obiettivo che ha scelto, cioè l’instaurazione del suo Regno sulla terra. I periodi profetici hanno la funzione di cartelli indicatori nella storia e annunciano il momento in cui il piano divino della redenzione si avvicina al suo compimento. Daniele VIII:14 e la dottrina del santuario insegnano che il Cristo sta compiendo, in questo stesso momento, l’ultimo atto della sua opera sacerdotale nel santuario celeste. Noi sappiamo cosa si sta compiendo nel cielo. Il giorno antitipico dell’espiazione si sta per realizzare, e Dio sta giudicando il suo popolo. Presto arriveremo alla fine della misericordia divina e al confronto finale tra le forze divine e quelle di Satana. Il compimento della nostra salvezza presto si realizzerà. Non solamente l’opera di mediazione e di giudizio di Cristo chiama i membri della sua Chiesa ad essere coinvolti risolutamente nella proclamazione dell’Evangelo eterno di Dio, nel quadro del messaggio dei tre angeli, ma esso invita gli stessi membri di Chiesa a valutare la propria relazione con il Cristo. L’esperienza spirituale si deve caratterizzare mediante un’umile dipendenza dal Salvatore e mediante una fede che si fonda interamente su lui. Durante il tempo in cui si svolge la purificazione del santuario, la nostra vita spirituale deve essere purificata da ogni peccato. Questa purificazione personale si realizza mediante il pentimento e il perdono di Cristo.
Lo svolgimento del giudizio che è in atto attualmente nel cielo, testimonia che Dio e l’universo prendono sul serio ogni essere umano. Attraverso il Cristo, Dio si occupa individualmente di ogni essere umano nel santuario celeste. Ciò riafferma la dignità delle persone e il loro valore in Cristo che, essendo il nostro avvocato (soccorritore), rappresenta ogni credente. Per il consiglio celeste, nessun essere umano è uno sconosciuto. I riscattati si uniscono alla famiglia celeste non come degli estranei, ma come delle persone ben conosciute, dei membri della famiglia, beneficianti della simpatia e del rispetto del resto della famiglia di Dio. L’istruzione del giudizio significa che le decisioni e le azioni degli uomini hanno delle conseguenze cosmiche. Ciò che ognuno di noi è, pensa e fa è conservato in forma indelebile negli “archivi” celesti. Ciò, ben lontano dall’essere una causa di ansietà e di terrore, deve costituire per il credente un motivo di gioia. Ciò che ognuno di noi fa, ciò che diventiamo, non è perduto nell’infinità del tempo e dello spazio, ma è conservato nel santuario di Dio. Ogni buona azione, ogni preghiera, ogni parola d’incoraggiamento, ogni espressione d’amore è conservata come testimonianza alla saggezza infinitamente varia di Dio, che è capace di trasformare degli esseri umani e peccatori in creature nuove e sante. Ben inteso, anche il peccato viene iscritto. Le debolezze, le ribellioni, gli errori e le sconfitte degli uomini sono anche registrate. Ma poiché il Cristo è l’avvocato (soccorritore, n.d.a.) di colui che crede, il perdono è offerto ed accordato a colui che si avvicina a Dio mediante lui. Durante l’istruttoria del giudizio, i peccati non saranno imputati a colui che è rimasto in una relazione di alleanza con il Cristo... Questi peccati saranno allora cancellati, per non più essere evocati. Il carattere del credente, simile a quello del Cristo, sarà fissato per l’eternità.
La purificazione del santuario celeste rivela in un modo speciale la natura morale del nostro Dio. Colui che governa l’universo è una persona la cui volontà fa legge: una legge d’amore. È l’arbitro morale dell’universo. Il popolo del rimanente (la Chiesa finale della storia) deve trovare un conforto nel sapere che esiste qualcuno che è responsabile del cosmos, che è onnipotente, e che è un Dio d’amore. Per restaurare e preservare l’ordine nell’universo, giudizio e responsabilità sono indispensabili. Poiché il giudizio è fondato sulla legge divina, il popolo di Dio (la Chiesa) del tempo della fine si caratterizza come colui che osserva i comandamenti di Dio quale risposta d’amore alla sua grazia. La purificazione del santuario ci attesta che il male non è eterno. Un giorno finirà, sotto l’acclamazione delle creature fedeli a Dio che loderanno la sua giustizia e il suo amore. È per la giustizia e l’amore che il peccato ed il male saranno estirpati. Alla fine del suo ministero nel luogo santissimo del santuario celeste, il Cristo verrà a liberare il suo popolo dalla potenza della morte e dai suoi nemici. In quel momento, Azazel (Satana) sarà smascherato davanti a tutto l’universo come la sorgente e l’origine del peccato e del male, e la sua distruzione sarà pronunciata. La vittoria di Dio e dell’Agnello sul male sarà definitiva. La predicazione della croce viene arricchita dallo studio del sacerdozio di Cristo. Oggi possiamo solo intravedere le conseguenze della realizzazione della croce. Essa costituisce, in effetti, la più grande rivelazione di Dio all’universo quale avvenimento indispensabile nella soluzione al problema del male. Ma questa rivelazione non è ancora stata sondata fino in fondo, essa conserva delle profondità per comprendere la quale sarà necessaria l’eternità. L’opera sacerdotale del Cristo nel santuario celeste rivela costantemente i tesori della croce. In effetti, la sua opera di mediazione e di giudizio è semplicemente e fondamentalmente una rivelazione del mistero della croce».241 Se l’azione di colui che incarna il culto alla persona è il filo conduttore di questo capitolo VIII di Daniele, Dio rispondendo alla domanda: «Fino a quando?» presenta la purificazione del santuario e dà un senso al divenire della storia, e il Cristo, soppresso a seguito della sua incarnazione, combattuto a seguito della sua risurrezione e ascensione è il Signore.
Affinché questa risposta sia ben compresa, i nostri due capitoli che seguono ci presentano il significato del santuario israelitico e il significato storico ed escatologico del giorno del giudizio e del giorno dello Yom kippur che Israele celebrava ogni anno per attualizzare nel suo tempo il giudizio preliminare e la purificazione del popolo di Dio, della sua Chiesa, prima della distruzione del male.
241
A.M. Rodriguez, o.c., pp. 59-62.
Capitolo XII IL SANTUARIO ISRAELITICO «Il tabernacolo è destinato a rendere palpabili le idee che sono alla base della redenzione» GustavFriedrich Œhler.1 «Il culto del tabernacolo, magnifico nelle sue pompe, più sublime ancora nel suo significato, esprime le cose profonde di Dio, i misteri del suo regno; racchiude tutti i tesori della saggezza e della scienza divina... Lo studio del tabernacolo testimonia altamente della saggezza e della bontà del Signore nei nostri confronti. Egli ha voluto proporci le verità della salvezza sotto tutte le forme possibili, sotto quella dei tipi, delle parabole o dell’allegoria, come quella dell’insegnamento della dottrina» Émile Guers2. «Il santuario israelita presenta i tre gradi della relazione dell’uomo peccatore con l’Eterno» La Bible Annotée.3 «Il soggetto del santuario è il centro stesso dell’opera di Dio in favore degli uomini. Interessa tutti gli abitanti della terra. Ci espone il piano della redenzione, ci porta alla fine dei tempi, e ci rivela la soluzione trionfante dei conflitti tra la giustizia e il peccato» Ellen White. «Questo tempio, costruito come dimora dell’Iddio vivente, doveva essere per Israele e per il mondo una parabola. Il piano eterno di Dio era che ogni creatura, dal serafino risplendente e santo sino all’uomo, fosse un tempio dove potesse dimorare il Creatore. Ma a causa del peccato l’umanità non è stata più il tempio di Dio; offuscato e contaminato dal male, il cuore dell’uomo non rivela più la sua gloria. Ma il piano di Dio si adempie con l’incarnazione del suo Figlio. Dio abita in mezzo agli uomini tramite la sua grazia salvatrice, e il cuore dell’uomo diventa nuovamente il suo tempio. Dio voleva che il santuario di Gerusalemme fosse
1 2 3
ŒHLER Gustav-Friedrich, Création et Révélation, Paris 1876. GUERS Émile, Le camps et le tabernacle, Paris 1849, pp. 7,8. La Bible Annotée, Ancien Testament - Les livres historiques, t. I, Exode, Neuchâtel 1889, p. 540.
una testimonianza perenne dell’alto destino di ogni 4 anima» Ellen White.
Introduzione Se le prime pagine della parola rivelata attestano che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio e che Dio lo ha posto in un luogo dove «tutto era molto buono», esse ci raccontano anche che, a un certo momento, l’uomo ha voltato le spalle al suo Creatore, interrompendo il dialogo con Colui che lo aveva chiamato all’esistenza. L’uomo, non avendo più fiducia nell’Eterno, elegge come dio se stesso ma, non essendo che creatura, per conseguenza si nasconde, ha vergogna, ha paura del Signore e non ha più la forza morale di prendere la propria responsabilità. Sorge allora in lui il bisogno di discolparsi, vede nell’altro l’inferno, nel suo prossimo il nemico e la causa della propria disgrazia. Si formulano le prime accuse al Creatore: quanto è successo è avvenuto a causa della donna che mi hai messo accanto, dice l’uomo, e la donna a sua volta: «il serpente (...che tu o Dio hai messo nel giardino) mi ha sedotta».5 Sei tu che lo hai creato, e tu lo hai lasciato entrare nel giardino, se tu sai tutto perché non sei intervenuto prima, anziché limitarti a darci la tua creazione e la tua parola? Tutta la storia umana non è altro che una continua lista di autogiustificazioni per l’uomo e di accuse a Dio. Nel cuore dell’uomo si instaura l’orgoglio che si manifesterà apertamente in Caino e nei suoi discendenti. Quando Dio chiese a Caino dove fosse suo fratello Abele, Caino rispose con arroganza: «Non lo so: sono io forse il guardiano di mio fratello?»6 Il peccato porta l’uomo a vivere secondo i pensieri del proprio cuore che si manifestano in un linguaggio arrogante: «Chi è l’Eterno ch’io debba ubbidire alla sua voce?»7 La trasgressione della prima coppia fa di essi dei ribelli. «Il peccato è la volontà della creatura che si afferma contro la volontà del Creatore».8 Il rifiuto della volontà di Dio, e quindi la trasgressione della sua legge fisica, morale e spirituale non rimane senza conseguenza, l’umanità si ammala e soffre, la terra si corrompe e s’inquina, la comunione con Dio è interrotta e la morte si estende sulla terra.9
Rivelazione del piano della salvezza Se poche sono le pagine che parlano della creazione dell’uomo, anche se la parola di Dio riporta continuamente questa verità, numerose sono quelle che presentano l’azione di Dio per riconciliare l’uomo a Sé. Già fin dalla prima pagina Dio presenta 4 5 6 7 8 9
WHITE Ellen, La Speranza dell’Uomo, ed. Adv, Firenze, 1978, p. 104. Genesi 3:19-13. Genesi 4:9. Esodo 5:2. SAILLENS Ruben, Le Mystère de la foi, p. 176. Genesi 3:9-13,16-19; Romani 8:19,20; Isaia 59:1,2; Genesi 4:8; Romani 5:12; 1 Corinzi 15:22.
all’uomo la sua volontà di salvezza. Questo insegnamento viene poi ripreso ed ampliato nei suoi aspetti: tipico, allegorico, dottrinale. Quale atteggiamento Dio doveva assumere nei confronti dell’uomo rivoltato che si era posto sotto la minaccia di una morte eterna, che aveva rifiutato i legami che lo univano a Lui? Ci potevano essere diverse soluzioni: fare finta di niente, comportarsi come se nulla fosse accaduto, ma quale dialogo, quale azione Dio avrebbe potuto svolgere per l’uomo se questi non lo accettava? Altra possibilità era quella di fare dell’uomo un automa, ma, così facendo, l’uomo non sarebbe più stato ad immagine e somiglianza di Dio. Dio non avrebbe più potuto dialogare con un essere dotato di volontà propria e d’una mente creatrice con la possibilità di scegliere e di amare. Se Dio avesse fatto questo, Egli, il Dio libero, sarebbe diventato il nemico e lo strumentalizzatore dell’uomo. Altra possibilità sarebbe stata quella di distruggere subito l’uomo. Ma il Dio della creazione è il Dio di amore e, come tale, è il Dio della vita. Anziché lasciare l’uomo a se stesso Dio trovò una soluzione, in armonia con l’ordine dell’universo, resa possibile dalla sua natura di amore. Grazie ad essa l’uomo avrebbe potuto nuovamente tornare a godere della Sua vita, del Suo amore, della Sua libertà. Dopo aver annunciato che la posterità della donna avrebbe trionfato sul male,10 Dio compie il primo sacrificio, illustrando come il suo amore, la sua opera avrebbe permesso all’uomo di essere nuovamente davanti a Lui non più nella sua miseria ricoperto con le foglie di fico, ma rivestito nuovamente della grazia di Dio: l’abito delle nozze. «L’Eterno Iddio fece ad Adamo e alla sua moglie delle tuniche di pelle e li vestì».11 Un innocente era morto: l’agnello esprime la vita di Dio per il colpevole. La morte dell’agnello ha provocato senz’altro nella mente della prima coppia quel senso di dolore che si prova di fronte alla morte di un essere caro. Compresero la lezione e la prova l’abbiamo nei sacrifici che il loro figlio Abele faceva.12 «Per fede Abele offerse a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino; per mezzo d’essa gli fu resa testimonianza che egli era giusto, quando Dio attestò di gradire le sue offerte; e per mezzo d’essa, benché morto, egli parla ancora».13 La fede di Abele è stata condivisa da tutti i patriarchi: Noè, Abrahamo, Isacco, Giacobbe,14 formando gli anelli di quella catena che ci porta alla costituzione del popolo di Dio: Israele prima, Chiesa poi. I loro olocausti esprimevano la fede in un Salvatore promesso, che innocentemente sarebbe morto a causa del peccato 10
Genesi 3:15. La posterità della donna è l’umanità che riconosce Dio e sfocia nell’unigenito Figlio di Dio. La posterità del serpente è la parte dell’umanità che rimane ostile a Dio e al suo piano di salvezza. La donna è la Chiesa fedele che prepara le due venute del Signore.
11 12 13 14
Genesi 3:21. Genesi 4:4. Ebrei 11:4. Genesi 8:20; 21:7,8; 13:18; 26:25; 33:20; 35:1,3,7.
dell’uomo e, nello stesso tempo, dimostravano non un’azione per placare la collera di Dio nei confronti dell’uomo, nozione che si é sviluppata nei popoli che persero il significato del valore originario del sacrificio, ma il senso della promessa di salvezza da parte di Dio e della loro consacrazione a Lui.15 Attraverso il sacrificio, il dialogo e la comunione dell’uomo con Dio venivano ristabiliti.
La schiavitù d’Israele in Egitto Quando i faraoni egiziani ritornarono al potere in Egitto cercarono di soffocare, asservire, distruggere i discendenti di Giacobbe che avevano trascorso un periodo di prosperità sotto il dominio Hyksos.16 L’Egitto viene quindi rappresentato come la manifestazione di Satana, il Leviatan, il coccodrillo, il dragone, principe di questo mondo, l’oppressore.17 L’Egitto con la sua potenza, con la sua ricchezza, con l’orgoglio datogli dalla sua idolatria, impone la sua volontà politica e impressiona gli uomini con la sua potenza intellettuale, con il suo saper leggere e far di conto, scrivere e costruire. Gli intellettuali hanno sempre impressionato la gente semplice della campagna. Israele, gente di campagna, era portato a riflettere sulle opere del Dio della creazione. In Egitto Israele era schiavo non solo socialmente e materialmente, in seguito, in parte anche spiritualmente, moralmente e interiormente, acquistando un’altra mentalità. Non aveva più il tempo di pensare a Dio e alle sue promesse. Queste le si raccontavano al fuoco di campo, alla sera, nel riportare alla mente la storia dei padri. Le si raccontavano ai bambini come cose di altri tempi, ma intanto la parola di Dio si compiva: «I figli d’Israele furono fecondi, moltiplicarono copiosamente, diventarono numerosi e si fecero oltremodo potenti e il paese ne fu ripieno».18 Israele in Egitto fu influenzato dalla sua immoralità e religiosità. Questi elementi lo porteranno a conoscere una nuova caduta, che accentuerà la forza del peccato, del male. Si abituerà a delle rappresentazioni della divinità, si accentuerà in lui la paura di Dio, del futuro, di Faraone che si faceva sempre più crudele e la paura di se stesso nel constatare il proprio stato, la propria miseria. Alla malattia seguì la morte perché si spegneva la speranza. L’Egitto divenne nella storia il simbolo delle tenebre materiali e spirituali. Il popolo di Dio fu in una situazione tragica e drammatica, e la sua storia rischiò di sfociare in un fallimento spirituale, morale e materiale.
Israele liberato
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Romani 12:1. Esodo 1:8. Isaia 27:1; Ezechiele 29:3; Isaia 51:9,10. Esodo 1:7.,
Liberato dall’Egitto, Israele stabilì nel deserto del Sinai il suo campo, la sua dimora. L’avvenuta liberazione divenne il riferimento storico dell’azione di Dio e la manna, che alimentava quotidianamente la nazione, il segno del Suo sostentamento concreto. «Il campo d’Israele parla alla mente come ai nostri sensi. Prima di tutto il deserto nel mezzo del quale è innalzato, il deserto abitato dalle tribù nomadi e dalle bestie pericolose, non offre all’uomo nessun alimento, sprovvisto di tutti i segni indicatori di strade, il deserto dipinge vivamente lo stato attuale del mondo sul quale riposa l’anatema… Patria e luogo di riposo degli Amalechiti, non è per Israele, liberato dalla schiavitù del demone, che un luogo di desolazione, che una solitudine terribile da attraversare per andare alla celeste Canaan... Il campo era l’abitazione dell’Eterno e del suo popolo, e il simbolo della reciproca comunione. Essere nel campo significava trovarsi nella comunione del Signore e dei suoi, nella luce e nella gioia della sua presenza benedetta... Così la prima immagine che si offre al nostro sguardo quando vogliamo entrare nel campo d’Israele, è quella dell’inferno e della maledizione».19 Il deserto è il luogo di transizione, tra il paese della schiavitù, l’Egitto, dove l’oppressione, il male, il peccato è chiaramente manifesto e la terra promessa. Per il popolo liberato, ma non ancora nel Regno dei cieli, la vita è ancora dura; il deserto è «grande e spaventevole», «grande e terribile, pieno di serpenti ardenti e di scorpioni, terra arida senz’acqua»,20 le insidie dell’avversario sono meno appariscenti e più mascherate. Il deserto è ancora il mondo dove vive il popolo di Dio. In questo luogo arido c’è un’oasi dove ci si può riposare, trovare aiuto e mantenere la speranza: il campo è la Chiesa. In questo campo e per questo campo del deserto Dio fa sgorgare l’acqua e offre per tutto il tempo del suo soggiorno il pane di vita.21 Nel deserto, «fuori dal campo, i corpi degli animali il cui sangue è portato dal sommo sacerdote nel santuario come un’offerta per il peccato, sono arsi».22 Era anche presso questo fuoco che Israele eseguiva le sue sentenze nei confronti di coloro che ostinatamente rifiutavano l’Eterno.23 Il deserto era così anche il luogo del giudizio e della distruzione completa dell’uomo senza Dio. Questa immagine di distruzione totale, immagine orribile, Dio la pone davanti a colui che vuole entrare a far parte del Suo popolo e a colui che ne esce fuori rifiutando la salvezza. Non c’è salvezza per colui che non crede alla realtà del giudizio. Ma se «la prima immagine che si offre al nostro sguardo quando vogliamo entrare nel campo d’Israele, è quella dell’inferno e della maledizione»,24 l’occhio ve ne scorge un’altra, quella dell’Agnello di Dio sacrificato, segno della grazia che vuole ristabilire ogni cosa.
19 20 21 22 23 24
É. Guers, o.c., pp. 43,47. Deuteronomio 1:19; 8:15. Deuteronomio 8:15,16; Esodo 16. Ebrei 13:11; Esodo 29:14. Levitico 24:14; Numeri 15:35. É. Guers, o.c., p. 53.
Nella sua realizzazione storica la vittima ha sofferto fuori di Gerusalemme, crocifissa in Cristo Gesù «fuori dalla porta, per santificare il popolo con il proprio sangue»25, là dove regna il disprezzo, l’equivoco, la derisione. Muore come un criminale e dove i criminali, nel calore della febbre che brucia a causa della flagellazione e dei chiodi nella carne con le labbra screpolate dalla sete, nella solitudine assoluta, abbandonato da tutti e apparentemente anche dal Padre, per portare nella sua carne la nostra morte e maledizione affinché ne fossimo completamente liberati. L’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo è sacrificato fuori dalle porte di Gerusalemme, che è diventata il simbolo delle vecchie tradizioni sterili, rigide, senza vita, anche se ricche di emozioni, il mondo religioso in cui ci si accontenta di soddisfare delle prescrizioni, delle cerimonie, fare il proprio dovere e non fare del male a nessuno, cioè vivere per se stessi, dove la ricerca, l’ascolto della parola di Dio è anchilosata e paralizzata. L’Agnello di Dio è venuto ad incontrarci nel nostro deserto e ci invita a uscire della nostra falsa religione.
La tenda di convegno nel deserto e suo significato tipologico Mentre il popolo d’Israele si trovava ai piedi del monte Sinai, l’Eterno disse a Mosè: «Mi facciano un santuario perché io abiti in mezzo a loro. Me lo farete in tutto e per tutto secondo il modello del tabernacolo e secondo il modello di tutti i suoi arredi, che io sto per mostrarvi».26 L’Iddio che «i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere»27 manifesta di prendere dimora presso gli uomini. Questa tenda di convegno che più tardi verrà chiamata santuario, tempio, fu costruita secondo il modello che Dio mostrò a Mosé nel cielo. La parola greca che viene tradotta con modello è tupos, cioè tipo. Il santuario israelitico non è una riproduzione in miniatura di quello celeste, come potrebbe dar adito la traduzione, ma una riproduzione del valore e del significato della realtà celeste. Mosé, come Giovanni nell’Apocalisse, non vede la realtà celeste, ma la sua rappresentazione figurata. Se il santuario israelitico doveva essere una riproduzione fedele della realtà celeste si sarebbe dovuto usare la parola greca schema = forma, schizzo. Il santuario terreno ci aiuta a comprendere e penetrare l’infinita grande sapienza di Dio. Non negando la realtà del santuario celeste, dobbiamo dire però che il linguaggio degli autori del sacro testo nel descriverlo è quello antropomorfico che ci aiuta a comprendere l’azione che Dio ha compiuto nella storia per salvare l’uomo. Il santuario celeste è rappresentato tipologicamente dal santuario terreno, come Gesù Cristo è rappresentato tipologicamente dall’agnello. Come l’agnello sacrificale era 25 26 27
Ebrei 13:12. Esodo 25:8,9, Ebrei 8:5. 1 Re 8:27.
tipo di una realtà più grande, più profonda, divina, così il santuario terreno era ciò che permetteva all’uomo di cogliere una realtà infinitamente grande che solo la sua rappresentazione tipologica rendeva possibile. Il santuario terreno «era il simbolo visibile dei pensieri invisibili di Dio».28 Sebbene il tempio abbia sempre rappresentato, presso tutti i popoli, la dimora della divinità «ciò che distingue essenzialmente il culto israelitico dalle numerose forme del culto egiziano, come da tutti i culti dei popoli vicini, è l’assenza di ogni rappresentazione materiale della divinità».29 «L’idea essenziale del tabernacolo ... è che Dio abita in Israele. È una tenda perché il popolo nel deserto vive sotto le tende; Dio si pone sullo stesso piano del popolo; Dio l’accompagna nelle sue peregrinazioni».30 Quando Israele si stabilirà in Canaan e il popolo abiterà nelle città e nei palazzi, la tenda di convegno verrà sostituita dal tempio di Salomone. Il tabernacolo si presentava costituito da tre parti distinte: - una parte scoperta, il cortile, - e due parti coperte che costituivano la tenda o il tempio vero e proprio. In questa costruzione una tenda divideva il luogo santo dal luogo santissimo. «La divisione in tre parti, distinte le une dalle altre: cortile, luogo santo e luogo santissimo, esprimevano i diversi gradi della santità dell’insieme e delle condizioni imposte a coloro che vi penetravano».31 «Il santuario israelitico presentava così i tre gradi della relazione dell’uomo peccatore con l’Eterno. Il primo, quello della riconciliazione attraverso l’espiazione e la consacrazione che ne risulta, aveva per teatro ordinario il cortile; il secondo, quello dell’adorazione attraverso il quale il peccatore graziato glorificava il suo Dio, era rappresentato dal luogo santo; infine, il luogo santissimo, in cui Dio abitava e dove si comunicava direttamente con colui che doveva eseguire i Suoi ordini, corrispondeva allo stato di comunione diretta e personale con Dio al quale è ammesso l’uomo entrato in grazia e penetrato di riconoscenza per il suo perdono. Dalla riconciliazione all’adorazione, dall’adorazione alla comunione: ecco il progresso e, per così dire, l’ascensione che rappresentava il luogo di culto israelitico».32 Il santuario d’Israele era il frutto di una rivelazione. «Mosé contemplò un modello; il tabernacolo che costruì non era una semplice imitazione dei santuari che aveva visto in Egitto; questo tabernacolo era un edificio avente il suo significato proprio, il simbolo visibile dei pensieri divini».33 Questo santuario era una prova della condiscendenza di Dio verso l’uomo, verso il suo popolo. Per Israele «abituato in 28 29 30 31 32 33
JAVET Jean Samuel, Dieu nous parle - Commentaire sur l’épître aux Hébreux, Paris 1941, p. 106. La Bible Annotée, o.c., p. 540. ŒHLER Gustav Friederich, Théologie de l’Ancien Testament, t. I, Paris 1876, p. 370. Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, A. Westphal, t. II, p. 710. La Bible Annotée, o.c., p. 540. BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, Épître aux Hébreux, Lausanne 1905, p. 73.
Egitto a delle rappresentazioni materiali della Divinità, in forme degradanti, (mediante esseri inferiori, come gli animali sebbene essi raffigurino la forza ed altre qualità) era difficile concepire l’esistenza o il carattere del Dio invisibile. Compassionevole verso la loro debolezza, Dio diede un simbolo della sua presenza».34 Il santuario mosaico era il mezzo attraverso il quale: - si rendeva manifesta la presenza di Dio; - si raffigurava la vita del popolo di Dio o della Chiesa, dell’uomo che ritorna a Dio per essere introdotto nella casa paterna; - si rappresentava la realtà celeste. In questo nostro capitolo prendiamo in considerazione i primi due aspetti, senza entrare in tutti i dettagli, ma presentiamo una visione d’insieme del suo insegnamento. Sarà nel nostro capitolo XIII che affronteremo la spiegazione del santuario celeste. Anziché seguire la descrizione biblica per presentare gli arredi del santuario: dall’arca, che rappresentava il trono di Dio, posta nel luogo santissimo, all’altare di rame, dove avveniva il sacrificio, posto nel cortile, descrizione che presenta «il cammino seguito da Colui che è raffigurato in tutte queste immagini, che è la sostanza di tutte queste ombre»35 che scende dal trono eterno di Dio nei cieli fino alla profondità della croce, seguiamo il cammino inverso. Preferiamo questa strada perché noi siamo invitati a procedere dal perdono alla gloria, dall’altare di rame all’arca d’oro che contiene le tavole della legge, il «monumento della santa volontà del Dio invisibile».36 «Tutta la strada dall’arca all’altare di rame, portava l’impronta dell’amore; tutta la strada, dall’altare di rame all’arca, era cosparsa col sangue dell’espiazione».37 Con il santuario l’Eterno voleva preservare il suo popolo dall’idolatria, perpetuare la conoscenza e il vero culto a Dio, preparare la strada al Messia.
Il cortile Il cortile era il luogo di appuntamento tra Dio e l’uomo peccatore, era un recinto rettangolare che misurava 50 metri di lunghezza e 25 di larghezza.38 34 35 36 37 38
WHITE Ellen, Education, 1924, p. 27. MACKINTOSH C.H., L’Esodo, ed. Messaggio Cristiano, Verona, p. 262; vedere Esodo 25-27. La Bible Annotée, o.c., p. 540. C.H. Mackintosh, Idem.
Esodo 27:9-19. Un cubito è circa 45-50 cm. Il significato delle dimensioni nel santuario, espresso in cubiti non dovrebbe essere causale. «La cifra 10, esprime una totalità, era alla base di tutte le misure: era la sola impiegata per il luogo santissimo e ne simboleggiava la perfezione; per le altre parti del santuario (luogo santo e cortile), la minore santità era resa sensibile per dei multipli di 10 (20,100,50,60) o dei sottomultipli (5). La cifra sacra 7 appare solamente nelle sette lampade del candelabro d’oro; la cifra 3, solamente nella divisione triplica del santuario, che è data d’altra parte per i gradi della santità. La cifra 4 indica il numero delle colonne che portano il velo del luogo santissimo e quello delle basi che portano il velo d’entrata del cortile» Dictionnaire Encyclopédique, t. II, p. 711.
La porta Per accedere al cortile c’era una porta «di venti cubiti (10 metri), di filo violaceo, porporino, scarlatto e di lino fino ritorto, in lavoro di ricamo, con quattro colonne e le loro quattro basi». «L’Eterno parlò ancora a Mosé, dicendo: “Fatti due trombe d’argento; le farai d’argento battuto... Al suono d’esse tutta la raunanza si raccoglierà presso di te, all’ingresso della tenda di convegno.”».39 Al suono di queste trombe Israele si riuniva alla mattina e alla sera di ogni giorno ed in occasione delle grandi feste. Il Sabato suonavano per invitare il popolo a presentarsi davanti al suo Creatore onnipotente. L’israelita che si dirigeva verso questa porta, anche in momenti diversi da quelli convenuti, per motivi personali, attraversandola, manifestava la sua fede e il suo bisogno di perdono. Questa porta rivelava alla mente dell’israelita diversi significati: a) c’è una sola entrata che introduce nella casa del Padre, anche le tribù che avevano posto le loro tende agli altri tre lati del santuario potevano accedere a esso solamente da questa porta; b) era molto larga, 9-10 metri, era l’ingresso più imponente e non ha uguali in qualsiasi altro tempio. Dimostrava la disponibilità senza limiti della Divinità nei confronti di qualsiasi peccatore; c) ogni mattina andare verso questa porta (verso Ovest), significava voltare le spalle al sole levante,40 divinità adorata in Egitto e in tutto il mondo pagano e nella stessa Palestina con il nome di Baal. Adorare questo astro come divinità corrispondeva a voltare le spalle al santuario, alla dimora di Dio, all’Eterno. Questa porta era meravigliosa e le sue ricchezze contrastavano enormemente con la vita dei fuggiaschi e il deserto che la circondava, I colori di questo ingresso avevano un significato simbolico. Li si trovano anche in altre parti del santuario. Il bianco, che forma il fondo delle tinture, è evidentemente l’emblema della purezza, della santità.41 Il rosso è il simbolo naturale della vita che si manifesta attraverso il sangue.42 Il violetto o blu, ricorda l’azzurro del cielo, rappresenta la felicità divina. La porpora è il simbolo della regalità.43 Questi colori si ritrovano anche nei paramenti del sommo sacerdote, figura naturale che riunisce in sé il compito di rappresentare la divinità agli uomini e l’umanità a Dio.44 Le quattro colonne e le quattro basi volevano indicare che questa porta era aperta in ogni tempo
39 40 41 42 43 44
Esodo 27:16; Numeri 10:1-3. Ezechiele 8:16; Deuteronomio 4:19; 2 Re 23:5,11; Geremia 4:17,19. Isaia 1:18. Levitico 17:11. Marco 15:17; Giovanni 19:2. Apocalisse 1:14 e seg.
a tutte le tribù d’Israele che avevano posto le loro tende ai quattro punti cardinali e per ogni tempo, finché si sarebbero succedute le quattro stagioni. «Ciò che la porta del campo ci predica, il cortile ce lo ripete. Pubblica contemporaneamente la miseria dell’uomo e la misericordia di Dio».45 Nel cortile, tra la porta d’ingresso e la costruzione del tabernacolo, c’erano i due simboli della riconciliazione. La grande idea che si trova scritta nel cortile è l’appello, l’invito che Dio rivolge all’uomo affinché non rimanga al di fuori della sua grazia. L’invito è rivolto a tutti, ed è come se Dio dicesse: «Io sono qui, il peccato ci ha separati quando vivevamo assieme nel giardino, il peccato è venuto ed io vi ho dovuti allontanare perché non potevate sussistere alla presenza della mia santità,46 ma io desidero sopprimere la distanza che c’è tra me e voi rigenerandovi; venite nel cortile». L’altare degli olocausti Il primo simbolo presente nel cortile è l’altare degli olocausti. Il Dio delle creazioni è santo e il peccato non può quindi tollerare la sua vicinanza. «Ogni giorno il popolo che dimorava attorno al santuario doveva essere purificato e consacrato di nuovo dal sangue degli olocausti offerti mattina e sera».47 Perché tanto sangue? Perché questa crudeltà? Perché la croce? L’Eterno d’Israele è egli crudele e sadico, violento, lo si porta alla ragione mediante il sacrificio? Le sue orecchie sono sorde alla nostra situazione e le sue mani troppo corte per salvarci diversamente? A queste nostre domande di perplessità Dio risponde tramite il profeta Isaia: «La mano dell’Eterno non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire, ma sono le vostre iniquità quelle che hanno posto una barriera tra voi e il vostro Dio; sono i vostri peccati che hanno fatto sì che Egli nasconda la sua faccia da voi, per non darvi più ascolto».48 Questa affermazione è precisa: Dio non è crudele. Ma la barriera che abbiamo posto tra noi e Lui è insuperabile pur anche da Dio, perché non può costringere l’uomo ad amarlo e, affinché l’uomo ritorni a Lui, Egli si pone sull’altare quale vittima della spada. Siamo noi che ci siamo separati da Lui e ci nascondiamo, come fecero Adamo, Caino, Giuda.49 Il peccato è la strada che conduce nella notte, nel suicidio, nella morte. Questo muro innalzato dall’uomo non solamente separa l’uomo da Dio, ma l’uomo dall’uomo. L’altare del sacrificio aveva la funzione di togliere dal cuore dell’uomo quella montagna di malintesi che egli aveva posto tra sé e Dio, gli ricordava la necessità 45 46 47 48 49
É. Guers, o.c., p. 119. Esodo 33:20. La Bible Annotée, o.c., p. 541. Isaia 59:1,2. Genesi 3:10; 4:16; Giovanni 13:30.
della rigenerazione, ma gli dichiarava anche che da solo non sarebbe stato capace di effettuarla. L’uomo è incapace di realizzare la sua giustizia,50 può pentirsi, può prendere coscienza del suo peccato, ma non può toglierlo, cioè modificare da solo la sua natura degenerata, ammalata. Togliere il peccato dall’uomo significa trasformarlo, ricrearlo, significa mettere in lui un cuore nuovo, una nuova volontà, uno spirito diverso, significa rinnovare tutto il suo essere interamente, significa rigenerarlo. L’uomo può prendere coscienza del suo bisogno, della sua nudità, della sua miseria, ma quando ha preso coscienza del suo stato, ha bisogno di Dio, della sua azione redentrice. Questo altare del cortile era il più grande mobile del santuario51 era di legno di acacia, legno molto resistente, ma leggero, era ricoperto di rame, non solo per evitare di venire bruciato dal fuoco che consumava l’offerta, ma per indicare che nessun essere umano avrebbe potuto, come tale, portare le conseguenze della nostra rivolta. Il rame è un simbolo della potenza divina.52 Questo altare parla della potenza divina nell’abbattere il muro che noi abbiamo innalzato. Ai quattro angoli dell’altare c’erano quattro corna,53 che raffiguravano la sovrabbondante potenza della grazia che dall’altare s’irradiava per tutta la terra. «Volgetevi a me e siate salvati, voi tutte le estremità della terra! Poiché io sono Dio e non ve ne è alcun altro. - Nell’Eterno sarà giustificata (resa giusta) e si glorierà tutta la progenie d’Israele».54 A queste corna si aggrappava colui che temeva la vendetta.55 «Se qualcuno del popolo del paese peccherà per errore e farà alcuna delle cose che l’Eterno ha vietato di fare, rendendosi così colpevole, quando il peccato che ha commesso gli sarà fatto conoscere, dovrà menare, come una offerta, una capra, una femmina senza difetto, per il peccato che ha commesso».56 All’israelita colpevole si richiedevano delle azioni ben precise: - la scelta dell’animale, - le imposizioni delle mani sul suo capo, - la sua uccisione, 50
Isaia 64:6; Geremia 13:23.
51
«Era di grandezza tale che tutti gli arredi dei luoghi santi potevano esservi contenuti. Nel grande sacrificio del Signore Gesù sulla croce, ogni altro è compreso» HABERSCHON Ada R., Il Tabernacolo, Firenze, p. 11.
52 53 54 55 56
Daniele 10:6; Apocalisse 1:15. Il corno nell’antichità rappresentava la potenza e la forza. Deuteronomio 33:17; Geremia 48:25. Isaia 45:22,25. 1 Re 1:50; 2:28.
Levitico 4:27,28. «Il sacrificio per il peccato (rhattaat) e il sacrificio per il delitto (asham) hanno in comune la confessione (Levitico 5:5; 16:21; Numeri 5:7) e che sono destinati sia l’uno che l’altro a ristabilire tra Dio e l’uomo la buona armonia alterata dal peccato commesso bishegagah, cioè per errore. Vedere per il sacrificio per il peccato Levitico 4:2,13,22,27; Numeri 15:27,28, e per il sacrificio per il delitto Levitico 5:15,18. Per errore, cioè senza saperlo (Levitico 4:13; 5:12,17); senza sapere, pur conoscendo il comandamento che si trasgrediva; poi, senza volerlo (Deuteronomio 4:42; Numeri 35:11); poi questo va più lontano del semplice peccato d’inavvertenza, i peccati che si commettono per precipitazione, per debolezza, per leggerezza, vi entrano ugualmente; poiché, il contrario del peccato per errore è il peccato commesso a mano alzata (Numeri 15:30), cioè con fierezza, di proposito deliberato, sapendo che si infrangeva un comandamento di Dio, peccato per il quale non c’è sacrificio, ma solamente un inesorabile giudizio di sterminio» Œhler G.F., o.c., t. II, pp. 65,66.
- l’aspersione del sangue della vittima sugli arredi del santuario. L’israelita, dopo aver scelto un animale senza difetto, attraversava il campo, attestando così pubblicamente il suo peccato ma anche la sua confessione e il suo pentimento. Entrato nel cortile, l’israelita si presentava al sacerdote, che doveva constatare l’integrità dell’animale, e poi confessava il proprio peccato, imponendo le mani sull’animale il quale, ricevuta la confessione del peccato, veniva scannato dal peccatore stesso.57 La vittima veniva uccisa sul lato settentrionale dell’altare, davanti all’Eterno. «Secondo la tradizione, si poneva la vittima tra l’altare e il santuario, la testa era posta in direzione Sud, la faccia rivolta verso l’Ovest cioè guardando il santuario. Si immolava l’offerta tenendosi ad Est, dietro di lei, e girandosi verso l’Ovest, di fronte al tempio».58 «L’imposizione delle mani... esprimeva l’identificazione della vittima con l’israelita che la presentava».59 Il credente si identificava con la vittima ponendo la mano sulla sua testa. La vittima espiatoria pur morendo non era però contaminata dal peccato confessato e continuava ad essere «cosa santissima»60 come è detto diverse volte, con insistenza voluta. «Questo punto è essenziale. Differenzia l’espiazione giudaica dalla maggior parte delle espiazioni pagane, nelle quali l’animale sacrificato si caricava di tutte le impurità delle quali liberava l’altro. Mentre i Greci e i Romani non mangiavano mai le carni delle vittime purificatrici, i sacerdoti di Gerusalemme al contrario avevano l’ordine di completare l’espiazione mangiando la vittima nel luogo santo61 ... La vittima già bella e pura, alfine di essere degna di Dio, si santificava definitivamente avvicinandosi all’altare di Yahvé».62 Questo atto era una causa di sofferenza per il peccatore. Egli amava quell’animale, faceva parte del suo gregge, forse era il più bello, sano, un capo esemplare. Era innocente e lo uccideva lui stesso a causa del suo peccato. «Chi ha creduto quel che ci è stato annunciato? / Chi saprebbe vedere qui il braccio dell’Eterno? » annuncia stupito il profeta Isaia.63 Questo «braccio dell’Eterno» è il “Servo dell’Eterno” che Yahvé ha abbandonato al supplizio per elevarlo, in seguito, alla gloria più alta: dopo essere stato il Creatore dell’umanità, divenire il suo Salvatore. Come ha potuto il Servitore innocente, senza macchia e difetto, santo, diventare il rifiuto dell’umanità?
57
Levitico 4:4,14,15,22,24.
58
MÉDÉBIELLE P.A., L’Expiation dans l’Ancien et le Nouveau Testament, vol. I, Rome 1924, p. 39. Vedere Levitico 1:11.
59 60 61
É. Guers, o.c., p. 147. Levitico 6:25,29; 7:1,6; 10:17; Numeri 18:9,10. Levitico 6:26; 7:6,7.
62
P.A. Médébielle, o.c., pp. 157,56,157. Levitico 6:30. Il sangue che veniva portato nel luogo santo era quello della vittima per il peccato del sacerdote e di tutto il popolo (Levitico 4:3-7,13-18); per il peccato di un membro del popolo il sangue veniva sparso ai piedi dell’altare dei sacrifici. 63
Isaia 53:1.
«Molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti / (tanto era disfatto il suo sembiante / sì da non sembrare più un uomo, / e il suo aspetto sì da non assomigliare più a un figlio d’uomo)». Il Servitore, il Signore, soffre non per lui, ma per noi: «Noi lo reputavamo colpito, / battuto da Dio, ed umiliato! / Erano le nostre malattie ch’egli portava, / erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato... / È stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, / fiaccato a motivo delle nostre iniquità».64 In queste parole d’Isaia c’è il significato dell’espiazione. È “a causa” dei peccati del suo popolo che il giusto soffre, porta le loro iniquità, subisce la pena che hanno meritato. Sebbene il Servo dell’Eterno si sia caricato delle nostre iniquità, non si è però contaminato con il male. Prende su di sé i nostri peccati in quanto ne porta la pena, le conseguenze. Il profeta insiste su questo punto: sottolinea l’opposizione tra l’apparenza e la realtà: gli uomini lo vedono trattato come peccatore, l’hanno creduto colpevole e oggetto della collera di Dio mentre, innocente, compiva una missione divina. «Il castigo, per cui abbiamo pace, è stato su di lui, / e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione». Questa salvezza, questa guarigione, è la vita, la grazia di Dio offerta al peccatore e da lui accettata, è la giustizia accettata da coloro che prima erano colpevoli: «Il mio Servo, il Giusto, renderà giusti i molti». Come il credente si è identificato con il Servo dell’Eterno, così si è identificato pure con l’Agnello di Dio senza peccato, mediante l’imposizione della sua mano, la cui vita, raffigurata dal sangue, viene presentata davanti all’Eterno in segno di consacrazione e di comunione. Oltre all’idea che qualcuno sarebbe venuto per purificare il peccato, cioè liberare l’uomo dal suo male, il sacrificio esprimeva la volontà dell’adoratore di consacrarsi a Dio. Il peccato che si commetteva «contaminava il santuario e profanava il santo nome» dell’Eterno.65 Quando tutto Israele peccava o il sacerdote commetteva una infedeltà dopo che la mano degli anziani o del sacerdote erano state poste sulla vittima e questa era stata sacrificata, «il sacerdote che ha ricevuto l’unzione prenderà del sangue... e lo porterà dentro alla tenda di convegno; e il sacerdote intingerà il suo dito nel sangue, e farà aspersione di quel sangue sette volte davanti all’Eterno, di fronte al velo del santuario. Il sacerdote quindi metterà di quel sangue sui corni dell’altare del profumo fragrante, altare che è davanti all’Eterno, nella tenda di convegno; e spanderà tutto il sangue... appiè dell’altare degli olocausti, che è all’ingresso della tenda di convegno».66
64
Isaia 52:14; 53:4,5. Per dodici volte Isaia ribadisce l’idea che il Servo si è caricato dei nostri mali: 53:4a,b,c,d, 6c, 8d, 10a, 11d, 12d,e. 65 66
Levitico 20:3; vedere 18:21;15:31.
Levitico 4:5-7,15-18; Numeri 15:24. Per il peccato di un capo del popolo il sangue veniva portato nel luogo santo; vedere 4:25,30.
Il sangue era il simbolo della vita «poiché la vita della carne è nel sangue».67 Come abbiamo detto, per un simbolismo che parlava agli occhi, il gesto della mano posta sulla vittima, era come un trait d’union, un segno di solidarietà. Indicava una unione fino a una specie d’identità, di solidarietà. L’uomo si identificava con la sua offerta per presentare tramite essa al Signore la sua adorazione o la sua vita purificata-espiazione, la sua domanda o la sua azione di grazia. Il sangue della vittima, conformemente ai simbolismi dei riti di alleanza, rappresentava la vita del peccatore, desideroso di rinnovare con Dio l’unione compromessa, il suo perdono. L’adoratore vedeva il suo proprio sangue sparso e portato, dal ministro della giustizia divina, davanti al trono della Maestà. Il sacerdote offriva a Dio la vita del peccatore pentito, come se la sua anima si lanciasse in uno sforzo sublime, in un trasporto d’amore, in un desiderio ardente di riconciliazione e di unione. Questo insegnamento del cerimoniale israelitico dell’Antico Testamento: la vita del credente unita a Dio, lo ritroviamo sotto la penna dell’apostolo Paolo quando ai Colossesi scrive che coloro che sono stati «risuscitati con Cristo», cioè che si sono “identificati”, mediante il battesimo, nella sua morte e resurrezione, sono «diventati una stessa cosa con lui» e hanno «la loro vita nascosta con Cristo in Dio».68 Come quindi la vita (il sangue) dell’Agnello è ora sul trono di Dio, nel luogo santissimo, così pure il credente, sebbene viva ancora come l’antico israelita nel deserto di questo mondo, ha la sua vita nel tabernacolo di Dio in cielo. Augustin Gretillat scriveva: «L’aspersione del sangue non veniva fatta sull’offerente, ma sugli oggetti che rappresentavano per eccellenza il culto teocratico simboli dell’aspirazione della creatura verso Dio: i tre altari del cortile, del luogo santo e del luogo santissimo». Considerando poi che la vittima sacrificata in parte veniva bruciata sull’altare del cortile e in parte veniva bruciata fuori dal campo, nel deserto, aggiungeva: «La prima simboleggiava la consacrazione attiva al servizio di Yahvé: la seconda, la purificazione dell’uomo mediante la distruzione di ogni sozzura».69 Con l’olocausto, l’israelita, bruciando tutta la vittima, abbandonava tutto il suo essere a Yahvé. Attraverso il sacrificio, il legame tra l’uomo e Dio veniva nuovamente ristabilito. «Tale è precisamente la natura del sacrificio: contemporaneamente comunione divina e umana; preghiera simbolica e banchetto fraterno; profezia eterna e universale della redenzione e dell’eucarestia; poiché gli uomini che si danno a Dio sotto la figura dell’offerta, si associano o comunicano nel mangiare in comune».70 67
Levitico 17:11. «I1 significato generale del sacrificio è indicato in Levitico 17:11. “L’anima della carne è nel sangue; io ve la dono per l’altare, al fine che serva di espiazione per le vostre anime, poiché è per l’anima che il sangue fa l’espiazione”. Lo scopo del sacrificio è l’espiazione del peccato. Questo procede dalla concupiscenza, che ha la sua sede e la sua origine nell’anima e l’anima dimora nel sangue. Il peccato procede dunque dal sangue; così la punizione (leggere espiazione/purificazione, ndt) si indirizza al sangue, per il fatto (che rappresenta) la sede dell’anima» KURTZ Johann-Heinrich, La révélation salutaire de Dieu, Lausanne 1866, pp. 114, 115. 68 69 70
Colossesi 3:1-3; Romani 6:3-5. GRETILLAT Augustin, Théologie systématique, t. IV, Dogmatique, Neuchâtel 1890, pp. 43,54.
BRUNEL Henri, Avant le Christianisme ou Histoire de Doctrines religieuses et philosophiques de l’Antiquité‚ Paris 1852, p. 372.
La conca di rame «L’Eterno parlò ancora a Mosè dicendo: “Farai pure una conca di rame con la sua base di rame, per le abluzioni, la porrai fra la tenda di convegno e l’altare, e ci metterai dell’acqua”».71 Di questa conca non vengono indicate le dimensioni, essa è il simbolo della grazia purificatrice di Dio, serviva per le abluzioni dei sacerdoti e per lavare alcune parti delle vittime offerte72 e probabilmente anche l’altare stesso. Per la costruzione di questa conca si usarono gli specchi artisticamente costruiti che le donne ebree73 portarono dall’Egitto. Le donne d’Israele, offrendo questi loro specchi di metallo, espressero forse anche la loro volontà di abbandonare la vanità del trucco egiziano, di non più apparire diversamente da ciò che erano in realtà, di rinunciare alle attrattive del mondo e alla sua ricerca di esteriorità, aspirando ad una bellezza originaria e superiore. «Il vostro ornamento non sia l’esteriore che consiste nell’intrecciatura dei capelli, nel mettersi attorno dei gioielli d’oro, nell’indossare vesti sontuose, ma l’essere occulto del cuore fregiato dell’ornamento incorruttibile dello spirito benigno e pacifico, che agli occhi di Dio è di gran prezzo».74 Le donne, offrendo questi specchi, avevano dato qualcosa che per loro era di valore e senz’altro avevano caro. La conca di rame seguiva l’altare dell’olocausto dove ci si era consacrati per purificarsi. In questa conca di rame i sacerdoti si rispecchiavano e si purificavano lavandosi con l’acqua in essa contenuta affinché non morissero nel comparire davanti all’Eterno, a causa delle mani e dei piedi sporchi. Isaia ripeterà questo ordine quando dirà: «Purificatevi, voi che portate i vasi dell’Eterno».75 Nel cortile si compie ciò che Giovanni scriveva nella sua prima lettera: «Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da rimetterceli e da purificarci da ogni iniquità»; e l’apostolo Paolo scriveva agli efesini: «Cristo ha amato la sua Chiesa e ha dato se stesso per lei, al fine di santificarla, dopo averla purificata col lavacro dell’acqua mediante la parola».76 Questi specchi dovevano ricordare all’israelita la necessità di un continuo confronto con la parola di Dio la quale rivelava non solamente l’impurità, ma anche l’ideale di Dio, una vita santa ed irreprensibile, creando il desiderio di una purificazione tale che permetteva al credente di entrare in relazione con il Dio tre volte santo. Questo specchio: la parola di Dio, doveva venire nel mondo, farsi carne, 71 72 73
Esodo 30:18. Esodo 30:19-21; Levitico 1:9-13. Esodo 38:8.
74
1 Pietro 3:3,4; vedere 1 Timoteo 2:9. In Israele le riforme morali del popolo venivano manifestate anche con l’abbandono degli ornamenti.
75 76
Isaia 52:11; Esodo 30:21. 1 Giovanni 1:9; Efesi 5:25,26.
ed essere legge per chiunque l’avrebbe ascoltata: «Perciò, deposta ogni lordura e resto di malizia, ricevete con mansuetudine la parola che è stata piantata in voi, e che può salvare le anime vostre. Ma siate facitori della parola e non solamente uditori, illudendo voi stessi. Perché, se uno è uditore della parola e non facitore, è simile a un uomo che mira la sua naturale faccia in uno specchio; e quando s’è mirato se ne va, e subito dimentica qual era. Ma chi riguarda ben addentro nella legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera, questi, non essendo un uditore dimentichevole ma facitore dell’opera, sarà beato nel suo operare».77 L’acqua che fu posta nella conca è stata anche quella che scaturì dalla roccia percossa dal bastone di Mosè e che l’apostolo Paolo identificò con Cristo. È questa roccia che è stata colpita a causa dei nostri mormorii e malcontenti.78 Da questa roccia trafitta dalla lancia è scaturito del sangue e dell’acqua. Acqua che, messa in rapporto con la croce, è capace di purificarci dai peccati, dall’amore per il peccato, dalla potenza del peccato, dal desiderio del peccato, purificando le intenzioni, le inclinazioni e i desideri, dando un cuore nuovo che per l’effetto della grazia non solo non desidera più fare il male, ma porta l’uomo ad essere una nuova creatura. Questa legge di purificazione dei sacerdoti doveva avere un valore perpetuo79 e continua oggi nella Chiesa attraverso il battesimo che «è in effetti il coronamento delle lustrazioni simboliche dell’antica alleanza».80 È sulla croce e sulla resurrezione che si fonda l’insegnamento del battesimo, il quale «non è il nettamento delle sozzure della carne, ma la richiesta di una buona coscienza fatta a Dio», diventando così l’esperienza individuale della croce e della resurrezione, come scrive l’apostolo Paolo: «Ignorate voi che quando siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Noi siamo dunque stati con lui seppelliti mediante il battesimo della sua morte, affinché, come Cristo è risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita».81 È perché c’è stata la purificazione e il ritorno a Dio che l’uomo in Cristo Gesù può entrare nella casa del Padre, vivere una nuova vita in Dio ed essere introdotto nella tenda di convegno. Dio voleva fare di Israele un intero popolo di sacerdoti,82 ma affidò temporaneamente alla tribù di Levi di esercitare questa funzione, cosa che si estese a ogni credente della Chiesa, nel nuovo patto, i quali sono «una razza eletta e un regale sacerdozio», per fare da ambasciatori di Cristo, come se Dio parlasse attraverso loro per invitare il mondo a riconciliarsi con Lui.83 È in occasione del
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Giacomo 1:21-25. Esodo 17:6; 1 Corinzi 10:4; Isaia 53:4,5; Giovanni 19:34. Esodo 30:21.
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GODET Frédéric, Commentaire sur l’Évangile de S. Jean, Paris 1885, p. 270; vedere Salmo 51:7,9; Ezechiele 36:25: Zaccaria 13:1
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1 Pietro 3:21; Romani 6:3,4. Esodo 19:16. 1 Pietro 2:9; 2 Corinzi 5:20.
battesimo che ogni credente riceve il sigillo dello Spirito Santo per il giorno della redenzione futura.84 Come i sacerdoti d’Israele, che al momento dell’unzione per il loro ministero furono completamente lavati all’ingresso della tenda di convegno85, così il credente viene purificato mediante il battesimo al momento della sua investitura di “figlio di Dio”, ma, come il servizio quotidiano nel santuario prevedeva per tutti i giorni il lavamento dei piedi e delle mani, così Gesù dirà a Pietro: «Chi è lavato tutto non ha bisogno che di avere lavati i piedi; è netto tutto quanto».86 È accettando il valore della conca di rame che la promessa di Dio si compie: «Io vi aspergerò d’acqua pura e sarete puri; io vi purificherò di tutte le vostre impurità e di tutti i vostri idoli. E vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dalla vostra carne il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne. Metterò dentro di voi il mio spirito, e farò sì che camminerete secondo le mie leggi e osserverete e metterete in pratica le mie prescrizioni. E voi abiterete nel paese ch’io detti ai vostri padri e voi sarete mio popolo e io sarò vostro Dio».87 È a seguito della purificazione che l’uomo può entrare nella casa del Padre.
La tenda di convegno o il santuario: luogo santo e luogo santissimo Sebbene smontabile, il santuario era una costruzione superba lunga 15 metri e larga 5. Le sue pareti, formate da assi di legno di acacia, erano ricoperte d’oro, disposte verticalmente ed incassate in zoccoli o sostegni d’argento.
Il luogo santo formava la prima parte del santuario (10 metri per 5) ed era separato dal luogo santissimo da una tenda di lino ritorto. «L’oro, il più pregiato dei metalli, è quello che domina nel luogo santissimo e del quale sono pure ricoperti i mobili del luogo santo più vicini. Per contro è il rame, materiale modesto, ma solido, che domina nel cortile. Nello spazio intermedio si ritrova frequentemente l’argento, specie di transizione tra i due metalli: oro e rame».88 Realizzato nell’Emanuele
«E mi facciano un santuario perché io abiti in mezzo a loro». Nel tabernacolo c’era l’arca dell’alleanza nella quale erano deposte le tavole della legge e sull’arca stessa si manifestava il segno della gloria di Dio. Questa costruzione era un segno solenne della realtà dell’Eterno anche se Salomone, in occasione 84 85 86 87 88
Efesi 1:13; 4:30. Esodo 29:4. Giovanni 13:10. Ezechiele 36:25-28. La Bible Annotée, o.c., p. 543
dell’inaugurazione del tempio, dirà: «Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere; quanto meno questa casa che ti ho costruito!».89 L’arca era un segno, una parabola precisa e annunciava ciò che sarebbe avvenuto nel giorno in cui si sarebbe compiuta la promessa di Dio pronunciata da Zaccaria: «Rallegrati, o figlia di Sion! Poiché ecco, io (l’Eterno) sto per venire, e abiterò in mezzo a te!» In quel giorno gli angeli annunciarono: «Vi è nato un Salvatore, che è Cristo il Signore»; e l’evangelo di Giovanni dirà: «La parola è stata fatta carne ed ha innalzato la sua tenda fra noi».90 La tenda del santuario, trasportata di tappa in tappa, nel deserto, testimoniava a Israele che un giorno, e in una maniera ancora incomprensibile, Dio stesso sarebbe venuto a condividere l’esistenza precaria e provvisoria del suo popolo, «nella nostra abitazione terrestre che è una tenda».91 Questa “tenda” indica la nostra carne di uomini erranti in questo mondo. Essa rivestirà lo stesso Figlio di Dio, e allora sarà il luogo preciso dove la gloria di Dio si nasconderà nella fragilità di una esistenza umana. La potenza di Dio si velerà nell’impotenza umana, e una tale presenza sarà per ogni credente contemporaneamente il supremo rifugio e la profonda angoscia, la chiara e calma certezza ma anche la domanda inquietante: «Tu che sei la speranza d’Israele, il suo liberatore nel tempo della distretta perché saresti nel paese come un forestiero, come un viandante che innalza la sua tenda per passarvi la notte? Perché sarai tu come un uomo smarrito come un eroe impotente a liberarci? Tuttavia tu sei in mezzo a noi, o Eterno!»92 Il Tabernacolo pur essendo «figura e ombra delle cose celesti»93 annuncia una realtà che si doveva compiere. Non sono dunque (ribadiamolo ancora una volta) delle rappresentazioni primitive, una immaginazione grossolana dei giudei, superata dalla spiritualità dell’evangelo. No, la tenda è una anticipazione, una prefigurazione del corpo di Gesù Cristo. E si sa che Gesù stesso affermerà l’identità del tempio con il suo corpo quando dirà: «Distruggete questo tempio e io lo ricostruirò in tre giorni»; 89
1 Re 8:27.
90
Esodo 25:8; Atti 17:24, Zaccaria 2:10; Luca 2:11; Giovanni 1:14 traduzione letterale. «La parola che noi traduciamo con “ha abitato” significa propriamente “drizzare una tenda” e “soggiornarvi”. Questo termine è scelto in modo da fare una allusione evidente alla “tenda” o tabernacolo in cui l’Eterno abitava in mezzo al suo popolo nel campo d’Israele e che fu riempita della gloria dell’Eterno, in occasione della sua inaugurazione (Esodo 40:34; confr. Ezechiele 37:27)» BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. II, Evangile de Jean, Lausanne 1885, p 50. L’espressione greca skenoum ricorda un’altra espressione tecnica, “schekina”, la dimora, che indica la presenza visiva di Dio con il suo popolo. «Il nostro evangelista, con il termine utilizzato ricorda con piacere queste gloriose manifestazioni di Dio a Israele e le vede realizzate nella loro pienezza nella parola fatta carne. In essa Dio ci è veramente apparso, è sceso alla nostra portata, simile a noi, accessibile al più povero, al più debole, al più ignorante, al più colpevole. E nel compimento dei tempi questa dimora di Dio con noi sarà la pienezza della sua comunione, della sua luce, del suo amore (Apocalisse 7:15; 21:3)» Idem. Questa parola skenoun, abitare, comparire, «indica tutte le relazioni familiari che ha sostenuto con i suoi simili; le varie relazioni come quelle che un pellegrino ha con gli altri membri della carovana. È come se Giovanni dicesse: «Noi abbiamo mangiato e bevuto alla stessa tavola, dormito sotto lo stesso tetto, camminato e viaggiato assieme; noi l’abbiamo conosciuto figlio, fratello, amico, ospite, cittadino. Egli è stato fedele fino alla fine della via nella quale era entrato fecendosi uomo. Questa espressione ricorda dunque tutta la condiscendenza di questo essere divino che ha così velato la sua maestà per condividere l’esistenza dei suoi compagni di viaggio» F. Godet, o.c., t. II, p. 83. 91 92 93
2 Corinzi 5:1. Geremia 14:8,9. Ebrei 8:5.
e l’Evangelista aggiunge che Egli voleva parlare del tempio del suo corpo. Non era una immagine ma la realtà stessa. «La pienezza di Dio abita corporalmente in Gesù Cristo».94 Il tabernacolo annunciava la presenza di Dio nel Cristo abbassato, nella nostra tenda e anticipava la fine dei secoli, la presenza finale di Dio nel Cristo glorificato, non più come uno straniero nella sua propria creazione, ma come il Signore incontestato la cui volontà sarà la perfetta misura dei nuovi cieli e della nuova terra in cui abita la giustizia. «Ecco il tabernacolo di Dio in mezzo agli uomini; ed Egli abiterà con loro, ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro».95 Qui l’Apocalisse, per pronunciare l’ultima parola della rivelazione, non trova altra espressione da menzionare, per presentare la presenza di Dio tra l’umanità dell’eternità, che il tabernacolo, affermando così che l’Esodo non sarà mai superato, ma un giorno eternamente compiuto. «“È là che io m’incontrerò con te”. Questa tenda (il corpo di Gesù Cristo) è dunque il rendez-vous unico e definitivo che Dio ci assegna. È dunque là, e non altrove, che ci parla. “Io sono il cammino. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. È dunque vero che il tabernacolo è l’ombra portata da colui che viene, l’ombra che la realtà dell’incarnazione farà sparire confermandola. Nient’altro che un’ombra, ma un’ombra veramente portata da colui che si avvicina, poi cancellata con la presenza. “Io non vidi (nella nuova Gerusalemme) alcun tempio, perché il Signore Iddio, l’Onnipotente e l’Agnello sono il suo tempio”».96 Queste parole del pastore riformato Roland de Pury non sono poesia, è l’insegnamento che scaturisce dalle Sacre Scritture. «Non è che temporaneamente, e in una forma preparatoria, che la parola di Dio è dimorata nel tempio di Gerusalemme, attendendo di potere finalmente abitare nella carne umana e divenire di conseguenza il tempio, il luogo sacro dove tutta l’umanità può adorare».97 Il «tempio, costruito come dimora dell’Iddio vivente, doveva essere per Israele e per il mondo una parabola. Il piano eterno di Dio era che ogni creatura, dal serafino risplendente e santo sino all’uomo, fosse un tempio dove potesse dimorare il Creatore. Ma, a causa del peccato, l’umanità non è stata più il tempio di Dio; offuscato e contaminato dal male, il cuore dell’uomo non rivela più la sua gloria. Ma la volontà di Dio di abitare con gli uomini si adempie con l’incarnazione del suo Figlio».98 Cristo è il vero tempio in cui Dio risiede.
Ideale per il credente e per la Chiesa 94
Giovanni 2:19,21; Colossesi 2:9. «È precisamente Dio in mezzo agli uomini. Ciò che Mosè ha visto sulla montagna e che ha in seguito tracciato nel tabernacolo non era che l’ombra e la silouette della Sua vita» VISCHER Wilhelm, La Loi ou les cinq livres de Moïse, Neuchâtel 1949, p. 284. 95 96 97 98
Apocalisse 21:4. PURY Roland de, Le Libérateur, Genève 1948, pp. 97-101. Vedere: Giovanni 14:6; Apocalisse 21:22. BRIGGS Charles-Augustus, The incarnation of the Lord, New York 1902, p. 203. E. White, cit. VAUCHER Alfred-Félix, Le Sanctuaire, 1970, p. 10
Come gli uomini si esprimono attraverso il corpo, così Cristo, assunto in cielo, si manifesta tramite il suo corpo che è la Chiesa. Le membra di questo corpo sono pietre viventi, edificate come casa spirituale.99 L’uomo che è ritornato a Dio diventa «tempio dello Spirito Santo», «l’edificio di Dio», «per servire di dimora a Dio per lo Spirito», «casa di Dio, che è la Chiesa dell’Iddio vivente».100 La Chiesa, tramite la rivelazione, è diventata la residenza di Dio in mezzo al campo di battaglia della creazione in rivolta. È in questa casa sulla roccia il luogo del riposo di Dio, dove Dio viene a riposarsi nel cuore dei suoi fedeli. Il tabernacolo israelitico era tipo della Chiesa, del popolo di Dio dell’Antico Testamento, che Dio stesso ha edificato mediante la sua potenza ricreatrice e non mediante mano d’uomo. In questo tabernacolo ufficia Cristo Gesù stesso, come unico mediatore e sommo sacerdote. In quest’opera di ricreazione spirituale dell’uomo e di costruzione del tempio, Dio chiede, come collaborazione dell’uomo, la sua disponibilità. Paolo scrive: «Compite la vostra salvezza con timore e tremore, poiché Dio è quel che opera in voi il volere e l’operare, per la sua benevolenza, e invita i rigenerati a far parte di tutti i loro beni a coloro che li hanno ammaestrati.101 Dio disse a Mosè, affinché il tabernacolo venisse eretto con la collaborazione del popolo: «Prelevate da quello che avete un’offerta all’Eterno: oro, argento, rame... E tutti i figli d’Israele, uomini e donne, portarono volenterosamente il necessario per tutta l’opera che l’Eterno aveva ordinato».102 Per il mantenimento del servizio le persone portarono i loro sacrifici di buon cuore. «Così la vita materiale della Chiesa è assicurata dall’offerta dei membri il cui cuore è buono, cioè il cui cuore è stato cambiato... L’offerta non è solamente d’oro e d’argento. Essa è anche e soprattutto l’offerta del lavoro del popolo, del suo talento, del suo genio. Tutta la cultura umana è impegnata nella costruzione del tabernacolo. “Chiunque tra Voi ha dell’abilità venga ed esegua tutto quello che l’Eterno ha ordinato”.103 Le donne più capaci portarono ciò che avevano filato con le loro mani, delle stoffe tinte in blu, in scarlatto, in porpora, e del fino lino. Altre filarono la lana delle capre. Si portarono delle pietre preziose e dell’olio aromatico. L’incanto dei colori, delle forme e dei profumi contribuì a comporre l’offerta. Dall’opera degli artigiani fino ai capolavori di Betsaleel, specialmente “chiamato per nome dall’Eterno e riempito di Spirito di Dio, di abilità, di intelligenza e di sapere per ogni sorta di lavori, per concepire opere d’arte per lavorare l’oro, l’argento e il rame, ecc...”,104 ogni tecnica, come pure la fantasia
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1 Corinzi 12:12-18; 1 Pietro 2:5. 1 Corinzi 6:19; vedere come insieme dei credenti 1 Corinzi 3:16,9; Efesi 2:22; 1 Timoteo 3:15. Filippesi 2:12,13; Galati 6:6.. Esodo 35:5,29. Esodo 35:10. Esodo 35:30,33.
creativa del popolo, sono offerte all’Eterno. È la profezia del giorno in cui “la gloria e l’onore delle nazioni”105 saranno portate nella nuova Gerusalemme».106
Il luogo santo
Nel luogo santo c’erano tre mobili: - entrando sulla destra (lato Nord), si trovava l’altare dei pani107; - avanti sulla sinistra (lato Sud), il candelabro a sette fiamme108; - a ridosso della tenda che divideva il luogo santo dal santissimo, l’altare dei profumi109. 105
Apocalisse 21:26
106
R. de Pury, o.c., pp. 95,96. Il pensiero continua: «Sembra che noi siamo un po’ lontani da questa profezia e da questa offerta di tutte le nostre capacità, in una chiesa in cui dei luoghi di culto sono di abitudine polverosi ed hanno un aspetto abbandonato; dove non c’è la possibilità di rifare una porta o sostituire una panca; dove si ha come tavola per la santa cena ciò che non si vorrebbe neppure per tavola da cucina; dove nessuno si preoccupa della dignità, della pulizia e della bellezza del luogo di appuntamento che il Signore ci ha fissato; in cui non c’è organo né vetri; dove non si inventa niente e si segue inesorabilmente il corso delle cattive abitudini; dove la descrizione musicale è tale che vi si cantano i valzer o marce militari, in forma tale che spinge a invitare il proprio vicino a danzare o galoppare con lei il “cantico” per la lunghezza del corridoio della sala, dove la preoccupazione dominante sembrerebbe essere a buon mercato in tutti i campi, cioè la musica che non costa nulla, la decorazione che non costa nulla, la letteratura che non costa nulla, niente soldi e soprattutto nessuno sforzo» Idem, pp. 96,97. 107 108 109
Esodo 25:23-30. Esodo 25:31-40.
Esodo 30:1-10. Nel breve riassunto dato nella lettera agli Ebrei 9:2-5, si legge che fu preparato «un primo tabernacolo, nel quale si trovava il candelabro, la tavola, e la presentazione dei pani; e questo si chiama il luogo santo. E dietro la seconda cortina c’era il luogo santissimo, contenente un turibolo d’oro e l’arca del patto». Diversi commentatori pensano che l’autore di questa lettera abbia commesso un errore non mettendo nel luogo santo l’altare dei profumi, ma designandolo nel luogo santissimo, dietro la tenda. Senza risolvere il problema, vogliamo presentare le varie spiegazioni. «La difficoltà… principale di questi versetti sta nelle parole “avente un thumiaterion d’oro” (versetto 3). L’ultimo vocabolo può significare sia l’altare, sia il turibolo, sul quale e nel quale si ardeva l’incenso. L’hanno inteso nel primo senso la versione Itala, Ecumenico, Calvino, Bleek, De Wette, Lûnemann, Delitzsch, Reuss, Davidson, Edwards, ecc.; nel secondo senso la versione Siriaca, la Vulgata, Teofilatto, Lutero, Diodati, Bengel, Gerlach, Stier, Alford, Guers, ecc. Stanno in favore di ciascuna opinione delle ragioni plausibili... Coloro che vedono in quell’inciso indicato l’altare d’oro dei profumi fanno valere l’uso ellenistico generale, per es. in Filone e Giuseppe Flavio, (e i Padri della Chiesa) di designare quell’altare con la voce thumiaterion. Notano inoltre che, in caso diverso, l’altare dei profumi sarebbe del tutto omesso nell’enumerazione, mentre sono mentovati gli altri arredi del luogo santo e del santissimo. (Inoltre il turibolo d’oro non è mentovato nell’Antico Testamento come appartenente al luogo santissimo, né se ne parla in connessione col giorno delle espiazione. La principale obiezione a questo modo di vedere sta nel fatto che l’altare d’oro sarebbe collocato dall’autore nel santissimo “dietro alla seconda cortina”, mentre esso era posto nel luogo santo davanti alla cortina. Si fa presto a dire, con alcuni espositori, che l’autore, essendo un giudeo alessandrino, ha commesso un errore; ma ciò è sommamente inverosimile per chi ha studiato tanto attentamente il santuario levitico e ne potrebbe parlare “partitamente” (come ne fa l’autore di questa lettera). L’essere alessandrino o palestinese (non si pensa che l’autore della lettera sia Paolo) non conta, poiché lo scrittore prende i suoi dati principalmente nell’Esodo. Filone Alessandrino e il semipagano Giuseppe Flavio sono precisi nelle loro enumerazioni. Si è cercato di dare al participio echousa (avente) un senso non locale, ma di appartenenza o di connessione rituale, facendo notare come spesso nell’Antico Testamento il posto dell’altare d’oro è indicato colle parole: “di faccia all’arca” (Esodo 30:6; 40:5) ovvero “di faccia all’oracolo” (1 Re 6:22); che l’altare è mentovato in relazione coi riti del giorno dell’espiazione; e che esso figura l’omaggio delle preghiere salenti davanti al trono di Dio (confr. Apocalisse 8:3-5)» BOSIO Enrico, Epistola agli Ebrei, ed. Claudiana, Firenze 1904, pp. 54,55. Infatti così traduce La Bible Annotée: «L’altare che appartiene al santuario» e commenta: «Sebbene l’altare d’oro fosse propriamente nel luogo santo, era situato davanti alla porta del luogo santissimo e poteva essere considerato come appartenentevi poiché il profumo che vi era offerto
La tavola dei pani «Era lunga circa un metro; larga cm. 50; alta cm. 75. Fatta di legno di Sittim coperta d’oro; portava 12 pani di presentazione, fatti di fior di farina, disposti in due ordini, sui quali veniva messo l’incenso puro. Segno di un patto perpetuo. I pani freschi venivano messi sulla tavola ogni Sabato. Quelli che venivano tolti erano mangiati dal sommo sacerdote e dai suoi figli».110
Realizzata nell’Emanuele
Questi pani simboleggiano il pane spirituale che Dio dà al suo popolo: la sua parola che non dovrebbe mai mancare nel nutrimento giornaliero. È la «parola di Dio che dà vita e che è vero cibo».111 I pani sono 12 e questo «numero proviene dalla combinazione del 3 e del 4, di cui il primo è la cifra dell’essere divino considerato nella sua essenza; il secondo indica quella del mondo, indica di conseguenza la relazione di Dio con la creatura, particolarmente con quella che, per la sua natura spirituale, può entrare in relazione morale con Lui. È anche la cifra che caratterizza l’unione di Dio con gli uomini, la penetrazione dell’umano da parte del divino; è la cifra del popolo dell’alleanza».112 Come l’uomo per vivere ha bisogno di nutrirsi tutti i giorni con un cibo sano ed abbondante, così il credente, per potere vivere spiritualmente, ha bisogno di ricorrere quotidianamente a quel cibo spirituale che è la parola di Dio. Come il pane che mangiamo diventa, dopo il processo dell’assimilazione, sangue, carne, muscoli, così la parola di Dio deve essere assimilata e diventare in noi energia vitale. doveva salire verso il Dio invisibile che sedeva al di sopra dell’arca. Ciò spiega la parola che ha tanto stupito gli interpreti, Ebrei 9:3,4». Poi rimanda ad Esodo 30:6 che così spiega: «L’altare dei profumi era dunque posto nel fondo del luogo santo e non era separato dal luogo santissimo che dal velo interno. È questo che spiega senza dubbio come può essere considerato in Ebrei 9:3,4 come appartenente al luogo santissimo; confr. Esodo 40:5» La Bible Annotée, o.c., t. IV, 1 Re, Neuchâtel 1894, p. 34; t. I, Exode, 1889, pp. 503,504. Il domenicano Bernard SPICQ dopo aver tradotto il versetto 3 della lettera agli Ebrei «un altare dei profumi in oro», commenta: «Secondo una tradizione liturgica, che associa questo altare al santo dei santi, che era invaso dal suo fumo (Pentateuco Samaritano, Apocalisse siriaca di Baruch, 7:7; confr. Cirillo di Alessandria, MIGNE, P.G. LXXlV, 980)» E. Bosio, o.c., p. 55. «Ma tutto questo si infrange contro le precise indicazioni del testo che colloca il thumiaterion “dietro alla seconda cortina” e dà al verbo echousa il senso di “contenente’ nel medesimo verso. Coloro che danno a thumiaterion il senso di turibolo insistono sul fatto che tanto la versione dei LXX quanto il Nuovo Testamento ed in particolare lo scrittore dell’epistola (confr. 13:10) adoperano costantemente, per designare l’altare, una parola diversa (thusiasterion) mentre thumiaterion rende l’ebraico mikteret che significa turibolo (Ezechiele 8:11; 2 Cronache 26:19). Vero è che nel Pentateuco non si fa parola di un turibolo d’oro deposto nel luogo santissimo, ma è da notare che nel giorno dell’espiazione (Levitico 16:12) il sommo sacerdote doveva prendere un turibolo pieno di brace e portarlo nel santissimo per ardervi su dell’incenso. La Mishna parla di un turibolo d’oro finissimo adoperato nel giorno di Kippurim. Questo poteva essere collocato dietro la cortina in modo però che non fosse necessario per il sommo sacerdote di entrare nel santissimo quando doveva prenderlo. Quest’ultima spiegazione ha il vantaggio di non fare al testo alcuna violenza» E. Bosio, o.c., p. 55. Possiamo concludere con le parole di Ada R. Haberschon «Nessuna allusione (all’altare dei profumi) se ne fa nell’epistola agli Ebrei, perché la cortina è stata rotta, e noi ora offriamo profumo spirituale sul propiziatorio (Ebrei 4:16)» o.c., p. 33. 110 111 112
A. R. Haberschon, o.c., p. 36; vedere Levitico 24:5-9; Esodo 25:23-30. Giovanni 6:35,53-55, 63; 1 Corinzi 10:16. La Bible Annotée, o.c., t. I, Exode, p. 542.
Ideale per il credente e per la Chiesa
L’uomo, entrato nel cortile, ricreato dal sacrificio, purificato dalla conca di rame, è ora pronto per entrare nel luogo santo, per la santificazione. La santificazione è una vita vissuta nella relazione con Dio. Dio vuole la nostra santificazione e senza questa non è possibile vedere il Signore.113 È l’Eterno che ancora santifica Israele, il credente e la Chiesa.114 L’uomo è santificato non nella perdita della sua libertà o dei suoi beni, ma per una consacrazione costante, continua e perfetta nel Signore. Essere santificati significa ricevere da Dio nella propria esistenza il suo essere, la sua vita, la sua rivelazione, cioè il suo pane. Il pane rappresenta il risultato del lavoro dell’uomo che, reso giusto, non vive più per se stesso, ma in unione con i suoi fratelli (ognuna delle dodici tribù presentava un pane). L’uomo manifesta a Dio, offrendo il pane, il suo sentimento di riconoscenza per le benedizioni ricevute mediante il cibo quotidiano, frutto del suolo, della terra di Dio. La presentazione del pane avveniva ogni Sabato per ringraziare Dio della creazione avuta in eredità, lodandolo per essere stati creati e manifestandogli la consacrazione del proprio lavoro svolto nella settimana trascorsa e per questo che svolgerà in quella seguirà. Così facendo l’uomo trova piacere nel dare a Dio ciò che gli appartiene come frutto della propria attività, riconoscendo che da Dio ha ricevuto i talenti che gli permettono di realizzare il suo lavoro. Il candelabro a sette lampade «Noi non conosciamo le sue dimensioni. I rabbini dicono che aveva un metro e mezzo di altezza e che le due lampade estreme erano distanti l’una dall’altra un metro».115 Sembra che non sia stato usato tanto oro per un altro arredo quanto per questo candelabro. Fatto interamente d’oro battuto, pesava un talento116, circa 48 chili. Era anche l’oggetto più artisticamente lavorato del luogo santo. Su ogni braccio c’erano tre calici in forma di mandorla, con un pomo e un fiore. Si può forse dire che è l’arredo più importante perché illumina l’interno del tabernacolo. È l’unica sorgente di luce, quella esterna è del “mondo” e non vi entra.
Realizzato nell’Emanuele
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Ebrei 12:14; 1 Tessalonicesi 4:3. Esodo 31:13; vedere Levitico 20:8; Ezechiele 37:28; 20:12; Efesi 5:26; 1 Tessalonicesi 5:23. La Bible Annotée, o.c., p. 483. Esodo 37:24.
«Israele non ringrazia solamente per i beni terreni di cui Dio lo colma, ma celebra anche nel suo Dio il Dio della santità e della verità di cui la luce è l’emblema... Il Sud è il lato della luce... Il numero 7 che incontriamo una sola volta nel tabernacolo e nel candelabro... è generalmente applicato nella Scrittura alla ricchezza delle forze che scaturiscono dalla pienezza della vita divina e dalle attività nelle quali queste forze si spiegano... Il candelabro a sette lampade rappresenta la verità divina con cui Dio illumina il suo popolo».117 I calici potrebbero simboleggiare la presenza divina: «l’Eterno è la mia parte d’eredità e il mio calice».118 Sono in forma di mandorla forse perché, essendo il mandorlo il primo albero che fiorisce in Israele, annuncia la primavera, la nuova vita dell’eternità, la resurrezione, dopo l’inverno della morte. Il candelabro raffigurava la sollecitudine eterna di Dio nei confronti del suo popolo, la luce doveva brillare «continuamente».119 Questa luce annunciava il nuovo mondo della redenzione dove: «Non più il sole sarà la tua luce, nel giorno;... ma l’Eterno sarà la tua luce perpetua», la Nuova Gerusalemme «non avrà bisogno di sole... perché la illumina la gloria di Dio, e l’Agnello è il suo luminare».120 Questo candelabro allude alla salvezza messianica con tutto quanto comporta in fatto di felicità, di vita nuova e di conoscenza, mettendo l’accento ora su un aspetto ora su un altro.121 La luce del candelabro è la parola dei profeti che splende in un mondo oscuro, in attesa che si manifesti Colui che deve venire ad essere, in mezzo agli uomini, la vivente «luce delle nazioni», il Servitore dell’Eterno che venendo dirà: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» perciò «Io sono la via, la verità e la vita».122
Ideale per il credente e per la Chiesa
Il candelabro voleva ricordare a Israele che non c’era solamente il lavoro manuale con il suo conseguente frutto, ma anche una attività spirituale che il popolo avrebbe dovuto compiere. Non solo la sua vita lavorativa doveva essere consacrata a Dio, ma la sua vita doveva essere una testimonianza: una luce per gli altri popoli. La rivelazione divina che il popolo di Dio riceve la deve trasmettere e fare brillare nel mondo. Quando la luce è venuta in mezzo agli uomini, ha detto a coloro che l’hanno accettata, a coloro che si sono identificati con lei, che si sono purificati come l’oro 117
La Bible Annotée, o.c., pp. 483,542,540; vedere 1 Giovanni 1:5; Salmo 27:1; Michea 7:8. «Tuttavia la mentalità ebraica permane estranea a qualsiasi opposizione metafisica tra la luce e le tenebre» FEUILLET A., voce luce, in Enciclopedia della Bibbia, ed. Elle di Ci, vol. IV, col. 765. 118 119 120 121 122
Salmo 16:5. Salmo 27:20. Isaia 60:19; Apocalisse 22:23. Isaia 9:1; 42:6; 49:6; 2:5. Isaia 49:6; Giovanni 8:12; 14:6.
puro: «Voi siete la luce del mondo». È il credente e la Chiesa che possono illuminare il mondo, spiegare il senso della storia e dare una speranza di liberazione, predicando la verità presente e riconciliando il mondo con Dio. Paolo scriveva: «In mezzo a una generazione storta e perversa... voi risplendete come luminari nel mondo, tenendo alta la parola della vita».123 Brillare per Dio non è vivere una vita isolata, ma avere uno spirito di collaborazione con gli altri membri del popolo e della comunità, formare il candelabro. L’apostolo Giovanni, nell’Apocalisse, raffigura la Chiesa nel suo divenire attraverso i secoli sotto la rappresentazione di candelabri in mezzo ai quali Cristo Gesù si muove nelle vesti sacerdotali.124
L’altare dei profumi Fatto in legno di Sittim, rivestito d’oro. Il suo piano era quadrato con 50 cm. di lato. La sua altezza un metro. Ai quattro angoli aveva quattro corna. Era posto a ridosso della cortina che divideva il luogo santo da quello santissimo. Sopra questo altare ogni giorno veniva fatto fumare il profumo.125
Realizzato nell’Emanuele
L’espressione ebraica tradotta per «altare dei profumi» è la stessa che è stata impiegata per indicare l’“altare” degli olocausti; e significa: luogo di immolazione. Si usa lo stesso verbo per dire bruciare le vittime e bruciare l’incenso. L’olocausto quotidiano della mattina e della sera nel cortile e il profumo nel luogo santo si offrivano nello stesso tempo.126 «Così, come l’altare di rame presenta Cristo nel valore del suo sacrificio, l’altare d’oro presenta Cristo nel valore della sua intercessione»,127 nel suo incontro con il Padre quale rappresentante dei credenti.128 Il pastorello d’Israele, nel Cantico dei Cantici, ha profumi di un odore soave e il suo nome è un profumo che si spande.129 123 124
Filippesi 2:15:16; Matteo 5:14; Isaia 55:4; 60:1,2. Apocalisse 1:12-20.
125
Nove dovevano essere gli ingredienti che entravano a formare l’olio della sacra unzione ed il profumo (Esodo 30:23,24,34,35). Nove aromi erano nel giardino descritto nel Cantico dei Cantici (4:13,14). Nove sono i frutti dello Spirito Santo (Galati. 5:22,23). Nove esempi di pazienza (2 Corinzi 6:4,5). Nove virtù (2 Pietro 1:5-7). Gli aromi possono quindi essere presi a simbolo dell’opera dello Spirito Santo. Vedere A. R. Haberschon, o.c., pp. 33,34.
126 127 128 129
Esodo 29:38 e seg. C.H. Mackintosh, o.c., p. 308. Colossesi 3:1-3. Cantico dei Cantici 1:3.
Il profumo, salendo, andava a riempire il luogo santissimo, residenza del Dio invisibile il cui trono era rappresentato dall’arca. Il profumo raffigurava Colui che si presentava all’Eterno con la vita di coloro che lo avevano accettato come Salvatore.130 Il tempo dell’offerta dell’olocausto e del profumo del mattino e della sera, era un momento di crisi e di esaudimento di preghiere.131 Fu nell’ora nona che il Signore si offriva in offerta di sacrificio, innalzato sulla croce, mentre nel tempio si presentava il sacrificio dell’agnello, si facevano fumare i profumi e in Israele si pronunciava la preghiera della sera. Nella morte di Gesù l’insegnamento tipologico del santuario fu realizzato e la cortina, che divideva il luogo santo da quello santissimo, si squarciò132 indicando il compimento della parola di Dio. La forma quadrata e le corna agli angoli dell’altare insegnavano che ciò che veniva bruciato era a favore dell’intera creazione e veniva fatto con potenza.
Ideale per il credente e per la Chiesa
«Il profumo che si bruciava sull’altare rappresentava l’adorazione del popolo. L’incenso è sovente nella Bibbia il simbolo della preghiera.133 Questo profumo ritualmente puro, simbolo perfetto dell’adorazione umana, sempre imperfetta, ne copriva le lacune. L’olocausto quotidiano nel cortile e il profumo nel luogo santo si offrivano contemporaneamente. Questa simultaneità rappresentava senza dubbio la relazione stretta che c’era nel cuore della creatura tra l’atto con il quale essa adora il Creatore e quello con il quale si consacrava al suo servizio».134 Questo profumo di odore soave che saliva verso l’alto, passava al di sopra della tenda che divideva i due ambienti e andava a riempire il luogo santissimo voleva indicare la comunione che si era creata tra l’uomo e il suo Dio, comunione che, partendo dal pensiero, coinvolge tutta la persona. Il credente che vive questa realtà dell’altare dei profumi esercita un controllo sui pensieri che sorgono dal suo cuore e prende le sue distanze nei confronti di spettacoli, letture, conversazioni che potrebbero alterare la santità della propria mente. Realizza ciò che l’apostolo Paolo scrive: «Tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose giuste, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri», al fine di potere dire: «Noi abbiamo la mente di Cristo».135
La cortina che divide il luogo santo dal luogo santissimo 130 131 132 133 134 135
Colossesi 3:1-3; Romani 8:34. Salmo 141:2; 1 Re 18:29; Esdra 9:5; Daniele 9:21; Atti 10:2,3,30; 3:1. Luca 23:44; Matteo 27:45,46. Salmo 141:1; Luca 1:9,10; Apocalisse 5:8. La Bible Annotée, o.c., t. I, p. 503. Filippesi 4: 8; 1 Corinzi 2:16; 1 Pietro 1:13.
La cortina separava il luogo santo dal luogo santissimo, era di 5 metri in ogni suo lato. Era di colore viola, porpora, scarlatto e di fino lino ritorto, divideva il luogo santo dal santissimo.136 Veniva chiamata la «cortina che copre» perché veniva messa sopra all’arca quando il santuario era smontato per essere trasportato e impediva che venisse vista quando il tabernacolo era eretto.137 Essa segnava il passaggio dal luogo della santificazione a quello della glorificazione. Questa cortina raffigurava la natura umana, nella sua carnalità anche se nello stato della santificazione, che può però accedere alla presenza della gloria di Dio. Passare dalla santità alla gloria è il risultato di un intervento diretto di Dio. Adamo vi sarebbe pervenuto se non avesse peccato. «Lo Spirito Santo voleva con questo insegnare che la via al santuario (al luogo della gloria) non era ancora manifestata finché sussisteva ancora il primo tabernacolo (il luogo della santificazione)».138 Questa cortina insegna all’uomo attraverso quale via può raggiungere il suo stato di gloria. Era davanti a questa cortina che veniva spruzzato il sangue dei sacrifici per il popolo e per il sacerdote.
Realizzata nell’Emanuele
La cortina, come tutto il santuario, raffigurava l’incarnazione di Dio. Questo Dio che poteva essere visto a Betlemme, a Nazaret, sul Mar di Galilea, a Gerusalemme, in Giudea, in Galilea e Samaria, era velato dall’incarnazione. «Il corpo di Gesù Cristo è, in qualche modo, un velo che impedisce agli sguardi profondi di contemplare la sua divinità».139 Solo alla morte di Gesù i pagani vi scoprirono Dio: «Veramente, costui era Figlio di Dio».140 Fu in seguito alla rottura della sua carne che Gesù Cristo ascese alla gloria del Padre. «Il velo, simbolo complesso, prefigurava la carne o natura umana del Signore, la quale, in effetti, velava sulla terra gli splendori della divinità che risiedevano in lui corporalmente, la quale anche fu martoriata e strappata alla croce per aprirci il cammino del cielo».141 «Dall’innocenza alla santità, dalla santità alla gloria: tale è in due parole il riassunto del destino dell’uomo, il tracciato della via reale aperto davanti a lui. Una volta almeno questa ascensione ideale doveva realizzarsi e si è in effetti realizzata
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Esodo 26:31-37. Numeri 4:5; Esodo 40:3. Ebrei 9:8. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. NICOLE A., L’Épître aux Hébreux, Lausanne 1940, p. 312. Matteo 27:54. GUERS Émile, Étude sur l’épître aux Hébreux, Genève 1862, p. 312.
nella storia dell’umanità».142 Questo passaggio dalla santificazione alla glorificazione si stava manifestando in occasione della trasfigurazione del Cristo.143 «La grandezza dei miracoli precedenti avevano provato che Gesù era allora pervenuto all’apogeo della sua potenza vivificante. Ora, come tutto era in armonia nella sua vita, questo momento doveva essere anche quello in cui egli raggiungeva l’apogeo del suo proprio sviluppo interiore. Una volta giunto là, quale doveva essere il suo avvenire normale? Egli non poteva avanzare, non poteva indietreggiare. L’esistenza terrestre diventava dunque da questo momento un quadro troppo stretto per questa personalità compiuta. Non gli restava che la morte; ma la morte è l’uscita del peccatore, o, come dice Paolo, è il salario del peccato.144 Per l’uomo senza peccato, l’uscita dalla vita non è il passaggio oscuro del sepolcro; è la via regale della trasfigurazione gloriosa. La trasfigurazione, dice Gess: “indica che Gesù era maturo per l’entrata immediata nell’esistenza eterna”... Marco scrive che fu “metamorfizzato”, Matteo, all’espressione di Marco, aggiunge: “Il suo viso risplendeva come il sole”. Luca ne descrive l’effetto in una forma più semplice: “L’aspetto del suo volto fu mutato”. Questo fenomeno luminoso, provenendo dal di dentro, penetra talmente il corpo di Gesù, che diventa percettibile attraverso i suoi vestiti. La sua veste divenne candida, sfolgorante. Gesù aveva in quel momento superato il primo di questi due stadi. Era normale, razionale, naturale, si può dire, che fosse da quel momento ammesso a superare il secondo. La trasfigurazione è il primo passo di questa elevazione nella gloria, l’inizio della trasformazione del corpo psichico e mortale in un corpo pneumatico (spirituale) e imperituro... Se Gesù non avesse volontariamente arrestato la trasformazione che cominciava ad operarsi in lui, questo cambiamento sarebbe senza dubbio divenuto la sua ascensione... Per la porta che già si intravede per lui, il cielo e la terra comunicano... il cielo discende o, è la stessa cosa, la terra si eleva.... Ma Gesù fa comprendere ai due uomini (che stavano parlando con lui: Mosè ed Elia) che questa sua ascensione in gloria lo porterebbe a rinunciare alla sua missione e che il suo compito lo chiama ad una uscita dalla vita tutta diversa... Il termine exodus, uscita, è notevole; Luca sceglie con intenzione una espressione che racchiude contemporaneamente le due nozioni di morte e ascensione. L’ascensione era per Gesù la via naturale per uscire dalla vita, come lo è la morte per un peccatore. Egli poteva dunque optare in questo momento per questo modo di uscire che gli era dovuto. Poteva risalire con i suoi due interlocutori celesti (Mosè ed Elia). Ma salire ora, sarebbe equivalso a salire senza di noi (cioè passare nel luogo santissimo senza i peccatori convertiti). Là in basso, nella pianura, Gesù vede una umanità… curva sotto il peso del peccato e della morte. L’abbandonerà al suo destino? No, non salirà che quando egli potrà ricondurla con sé. E per questo, bisogna che affronti l’altro modo di uscire, l’uscita che si consuma a Gerusalemme».145
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GODET Frédéric, Commentaire sur l’Evangile de S. Luc, t. II, 4a ed., Neuchâtel 1969, p. 609. Vedere Luca 9:29; Matteo 17:2; Marco 9:3. Romani 6:23. F. Godet, o.c., pp. 596-601,609.
Se Gesù fosse salito in cielo dal monte della trasfigurazione, la sua incarnazione avrebbe semplicemente dimostrato all’universo intero che l’uomo, Adamo, poteva vivere e raggiungere la gloria osservando la legge di Dio e che quindi era possibile all’uomo ubbidire alla parola di Dio. Per salire con noi, occorreva che Gesù passasse attraverso l’altare innalzato a Gerusalemme, la città che uccide i profeti. Morendo sulla croce, strappando la cortina, lacerando la sua carne, Gesù ha fatto della sua carne simile a carne di peccato, un corpo glorioso e lo ha introdotto nella gloria sedendosi sul trono di Dio e rimanendo per l’eternità il “Figlio dell’uomo” che verrà sulle nuvole del cielo.146 Con l’incarnazione la divinità è diventata un membro della famiglia umana e in Cristo la famiglia umana e quella celeste sono unite. «È l’unico mediatore tra Dio e gli uomini»147 perché fonde in sé la divinità e l’umanità. Il Cristo sul trono della gloria è nostro fratello e vuole condividere con noi il suo trono.148 «Egli ha voluto diventare uomo. E avendolo voluto ed essendolo diventato, rimase e rimarrà per sempre uomo. Poiché si è sempre quello che si è stati se lo si è stati veramente... Noi non cesseremo di essere per lui quello che gli uomini furono “nei giorni della sua carne”. Così tutti fino alla fine del mondo potranno essere i contemporanei di Gesù Cristo, poiché Gesù Cristo vuole essere loro contemporaneo. Tutti e sempre potremo parlargli come se egli fosse qui, anzi, perché è qui al nostro fianco, noi siamo al suo fianco. E tutti potranno pensare: Egli non è vicino a me come uno straniero, ma come mio simile nell’umanità, secondo la parola meravigliosa dell’Evangelo: come “mio prossimo”, come uno dei miei parenti, come mio amico congiunto».149 Con la resurrezione il corpo di Cristo è rivestito dello splendore della gloria, però continua a mantenere la sua realtà fisica: «Guardate le mie mani ed i miei piedi, perché sono ben io; palpatemi e guardatemi; perché uno spirito non ha carne e ossa come vedete che ho io».150 Con questo nuovo corpo Gesù appartiene a una nuova creazione ed è sulla terra il primogenito della vita futura. Noi saremo simili a lui perché Egli trasformerà il nostro corpo rendendolo conforme al suo.151 L’ascensione non significa che Gesù si sia allontanato dal mondo, ma che con la sua persona ha portato il mondo, l’umanità riscattata, nel seno del Padre. Nella lettera agli Ebrei è scritto: «Avendo dunque, fratelli, libertà d’entrare nel santuario in virtù del sangue di Gesù, per quella via recente e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne».152 La strada che porta alla glorificazione dell’uomo passa attraverso la porta di Gesù e nessuno va al Padre se non per lui.
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Daniele 7:13; Atti 1:11; 17:31; Matteo 24:27,30; 25:31. 1 Timoteo 2:3. Apocalisse 3:21. MAURY Pierre, Jésus Christ cet inconnu, Oberlen 1948, pp. 37,38. Luca 24:39. 1 Giovanni 3:2; Filippesi 3:31. Ebrei 10:19,20.
Ideale per il credente e per la Chiesa
Questo velo è la carne, la natura umana decaduta, sottomessa a tutte le concupiscenze del peccato. «Il primo uomo, terrestre, è stato fatto anima vivente.153 Sottomesso alla prova, doveva passare dall’innocenza alla santità, e da uomo psichico doveva diventare uomo spirituale.154 Invece di innalzarsi a un grado superiore, Adamo è caduto a un livello inferiore: è diventato peccatore, carnale e mortale. L’ultimo Adamo, Gesù Cristo, l’uomo celeste, è spirito vivificante. La redenzione eleva l’uomo al... livello del Cristo, l’uomo perfetto, l’uomo normale».155 L’autore dell’epistola agli Ebrei considera il velo come la carne stessa di Gesù Cristo. Con l’espressione “carne” la Scrittura intende la natura umana decaduta,156 è in effetti la barriera che ci separa dalla comunione con Dio. Cristo, diventato con la sua incarnazione carne della nostra carne,157 passando per la morte, essendo «vivificato nello Spirito»158, ha rotto il velo. Ha reso possibile l’accesso alla comunione di Dio per tutti coloro che, uniti a lui, lo seguono in questa via della morte del vecchio uomo e nella via nuova. «Lo spirito dell’uomo, in comunione vivente con lo Spirito di Dio, avrebbe penetrato l’anima, e da essa il corpo, l’essere tutto intero. Così lo spirito avrebbe dominato su tutte le facoltà dell’uomo, come l’uomo avrebbe dovuto dominare su tutta la natura intera, e sarebbe pervenuto al suo destino glorioso senza passare attraverso la morte e la resurrezione. Ma a causa della caduta tutta questa armonia si è spezzata: la comunione con Dio, sorgente di vita, fu interrotta: lo spirito, al posto di regnare, cadde sotto la dominazione dell’anima e del corpo, cioè sotto la passione e i sensi; l’ordine del processo fu invertito; l’uomo destinato ad essere spirituale, divenne carnale e terrestre, e il re della creazione fu lo schiavo del peccato e della morte».159 «L’umanità psichica era chiamata a sviluppare in tutte le direzioni le facoltà molteplici di cui essa era dotata, al fine di potere offrire all’ospite celeste lo Spirito, quando sarebbe venuto ad abitare in essa, l’organo psichico e corporale atto a sviluppare sotto le forme più ricche e più varie, quelle dell’arte, della scienza, 153
Genesi 2:7.
154
«Spirituale non vuole dire immateriale, ma conforme allo spirito, sottomesso allo spirito. Il corpo attuale ubbidisce all’anima, sede delle passioni e della vita puramente animale. Il corpo celeste obbedirà allo spirito, che è la parte superiore dell’essere umano» VAUCHER Alfred Félix, L’Histoire du Salut, 3a ed., p. 84. 155
A.F. Vaucher, Idem, p. 85.
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Romani 8:3. «La carne indica propriamente la sostanza materiale di cui è composto il corpo umano, organo delle facoltà dell’anima». A causa del peccato essa «è diventata l’espressione della natura umana, decaduta, corrotta, assoggettata al peccato (Genesi 6:3; Giovanni 3:6), incapace da se stessa di rialzarsi per la verità, anche quando questa gli è presentata (Matteo 16:17; 1 Corinzi 2:14). Infine, come le conseguenze del peccato, se non le più funeste, almeno le più apparenti, si manifestano soprattutto nella carne che gli è servita di strumento» L. BONNET, o.c., t. III, L’Épîtres de Paul aux Romains, Lausanne 1875, p. 36.
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Ebrei 2:14; 10:5. 1 Pietro 3:18. L. Bonnet, o.c., t. III, L’Épître aux Corinthiens, p. 246.
dell’industria, della vita sociale in tutte le sue manifestazioni».160 Il peccato ha creato nell’uomo una propensione al male, cioè ha posto una forza irresistibile nel suo essere che lo porta naturalmente alla rivolta cosciente e voluta nei confronti di Dio.161 Affinché l’uomo potesse riavere la gloria, Dio è sceso in mezzo all’umanità, ha offerto se stesso per diventare per gli uomini, mediante un corpo umano glorioso, lo spirito vivificante. Chi è santificato in Cristo Gesù può passare alla gloria di Dio. «Non vi è dunque ora alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù; perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha affrancato dalla legge del peccato e della morte. Poiché quel che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva debole, Iddio l’ha fatto; mandando il suo proprio Figlio in carne simile a carne del peccato162 e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, affinché il comandamento della legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo spirito».163 Cristo Gesù “ha condannato il peccato nella carne” cioè nella carne del Cristo, diventato uomo mortale e rappresentante della nostra umanità di modo che il peccato condannato, distrutto nella sua potenza, ha da quel momento perduto ogni suo diritto su coloro che sono in Cristo, e non sono più debitori alla carne».164 Giovanni, nella sua prima lettera, scrive: «Diletti, ora siamo figli di Dio e non è ancora reso manifesto quel che saremo. Sappiate che quando Egli sarà manifestato 160 161
GODET Frédéric, Commentaire sur la I épître aux Corinthiens, t. II, Neuchâtel 1887, p. 420. Romani 5:12.
162
«La locuzione abbastanza complessa en omoiomati sarkos amartis “nella rassomiglianza di una carne di peccato”, è stata formulata dall’Apostolo con una cura particolare. Se egli avesse detto: en sarki amartia “in carne di peccato”, sarebbe sembrato che gli attribuisse un minimo di peccato, come hanno fatto Menken, Irving, Holsten, etc., il che sarebbe in contraddizione con 2 Corinzi 5:21. Se avesse scritto: en emoiomati sarkos, “in rassomiglianza di carne”, avrebbe attribuito a Gesù soltanto una apparenza corporale e avrebbe insegnato il docetismo... Paolo ha evitato questi due scogli con l’espressione che ha usato, espressione nella quale il termine rassomiglianza non si riferisce solamente alla parola carne, ma alla locuzione intera carne di peccato. Gesù è stato realmente rivestito di carne, proprio come noi; la sostanza del suo corpo è stata materiale e sensibili come quella del nostro corpo, ma la sua carne non è stata, come la nostra, una carne di peccato, cioè alla quale si sia attaccato il peccato. Questa espressione ricorda quella del corpo del peccato (6:6) il cui senso era non che il corpo è per sua natura contaminato dal peccato, ma che, nella condizione dell’umanità attuale, esso è per la sua cupidigia l’agente abituale del peccato. L’espressione “carne di peccato” va tuttavia ancora più lontano. La carne indica, in senso letterale, le parti molli del corpo sensibili al piacere e al dolore, poi in senso neutro (moralmente parlando) questa stessa sensibilità che in sé non è buona né cattiva, e infine, in senso sfavorevole, la dominazione ereditaria ed istintiva che esercita sulla volontà dell’uomo decaduto la ricerca del piacere e il timore della sofferenza. Questa dominazione costituisce la carne del peccato. Gesù ha posseduto la carne nei primi due sensi; nel terzo non ne ha avuto che la rassomiglianza, le apparenze. (Per quale ragione il Figlio di Dio è venuto in carne simile a carne di peccato e non nel suo stato divino?). Questa ragione è indicata dalle parole: “kai pari amartias”, e per il peccato... Se l’uomo fosse stato ancora nello stato normale, l’apparizione del Figlio non avrebbe dovuto prendere questo carattere anormale. Ma vi era un fatto contro natura da distruggere: il peccato. Ed è ciò che ha reso necessaria la venuta del Figlio in una carne simile alla nostra carne peccatrice. Tutta la vita di Cristo è stata la condanna del peccato. La carne era presente in lui come lo è in noi, offrendo incessantemente accesso a tutte le tentazioni che derivano dal piacere o dal dolore; tuttavia Egli è sempre rimasto fermo rifiutando ogni inserimento del peccato nella sua volontà e nella sua attività. In una carne della stessa natura della nostra Egli ha mantenuto il peccato estraneo alla sua persona, e con questa esclusione perseverante, assoluta, Egli lo ha dichiarato indegno di esistere nell’umanità. Quello che la legge ha fatto in un certo modo sulla carta, Egli l’ha fatto nella carne, quella carne per mezzo della quale il peccato cattura la volontà e la spinge alla disubbidienza» GODET Frédéric, Commentaire sur l’Épître aux Romains, Neuchâtel, t. I, 1890, pp. 146,147. 163 164
Romani 8:1-4. L. Bonnet, o.c., t. III, L’Épître aux Romains, p. 90.
saremo simili a lui, perché lo vedremo come Egli è». Perché come scrive l’apostolo Paolo: «I1 quale trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria». «Il primo uomo, Adamo, fu fatto anima vivente; l’ultimo Adamo è spirito vivificante»165 «I1 testo ebraico della creazione dice: “E l’uomo fu fatto anima vivente”. Paolo conserva i due termini: l’uomo e Adamo, perché questo racchiude l’idea di un capospecie. Oltre a questo aggiunge l’espressione protos, primo in vista dell’antitesi che segue. Il suo scopo è di tracciare nettamente la linea che questo uomo, che non è ancora che il primo e non “uomo definitivo”, non potrà superare. Questo stato fisico non sarà che un punto di partenza: un nuovo atto creativo sarà necessario per produrre l’uomo perfetto».166 Il Cristo è chiamato Adamo, al fine di caratterizzarlo come capo della razza, non meno del primo.167 Quindi Paolo prosegue dicendo: «Ciò che è spirituale non viene prima; ma prima ciò che è naturale; poi viene ciò che è spirituale. - Quale è il terreno, tali sono anche i terreni: e quale è il celeste, tali saranno anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine del terreno, così porteremo anche l’immagine del celeste».168 L’Apostolo rende sensibile la distinzione tra le due economie che ha appena distinto, quella dell’anima e dello Spirito, tramite il contrasto tra i due capi dell’una e dell’altro; ne derivano di conseguenza due razze e anche due corpi».169 Quest’opera creatrice che si manifesterà nella sua pienezza al ritorno di Cristo Gesù è iniziata dal momento in cui Gesù, dopo la resurrezione, «soffiò su loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”».170 Questo soffiare di Gesù per dare lo Spirito Santo era una ripetizione in un altro piano dell’atto divino al momento della creazione, quando l’Emanuele soffiò nelle narici dell’uomo un soffio di vita facendolo diventare un’anima vivente. Questo soffio, non più di vita ma di Spirito Santo, è il simbolo della nuova nascita, la nascita mediante lo Spirito, la nuova creazione grazie alla quale l’uomo è introdotto nel luogo santissimo e può così partecipare alla «natura divina, dopo essere fuggito dalla corruzione», come scrive l’apostolo Pietro.171
165
1 Giovanni 3:2; Filippesi 3:20; 1 Corinzi 15:45.
166
F. Godet, Commentaire I épître aux Corinthiens, p. 414. «L’anima è la sede della personalità che, tramite il corpo, comunica con il mondo inferiore e, attraverso lo spirito, con Dio all’immagine del quale è stato creato. Dal punto di vista della Genesi, l’espressione anima vivente indica un punto d’arrivo. Al termine della prima creazione mentre per l’apostolo Paolo questo termine era un primo stadio, un semplice stato d’attesa. Ecco perché Paolo continua con la seconda proposizione. La prima anima (anima vivente) constata una ricchezza, ma anche un vuoto; e questo vuoto è colmato dal secondo» Idem. 167
«Nello stesso tempo è chiamato l’ultimo. Perché non il secondo, come al v. 47? A causa del soggetto trattato in questo capitolo, Paolo è preoccupato non della relazione di Cristo con l’altro Adamo, ma del suo ruolo nei confronti dell’umanità, della missione che ha ricevuto per condurla allo stato definitivo» Idem, pp. 415,416. «Il primo uomo per l’origine terrena del suo corpo è polvere (gr.) e condannato a ritornare in polvere. Il secondo uomo è dal cielo e comunica ai suoi santi la sua natura celeste» L. Bonnet, o.c., t. III, I épître aux Corinthiens, p. 247.
168 169 170 171
1 Corinzi 15:46,48,49. F. Godet, o.c., p. 420. Giovanni 20:22. 2 Pietro 1:4.
Lo Spirito di Dio non solamente strappa, rompe la cortina della nostra carne, del nostro stato di peccato ma come Dio, facendosi uomo, ha unito in sé la natura umana a quella divina, così l’uomo, grazie a questo Spirito, partecipa alla natura divina. «La redenzione realizzata nel corso della storia della salvezza è molto più che il ristabilimento dello stato paradisiaco: essa è una nuova creazione che completa e supera di molto la prima».172 «La redenzione ci ha dato ben al di là di ciò che Adamo aveva posseduto. Essa ci ha resi partecipi della vita stessa di Dio».173
Il luogo santissimo
Superata la cortina si entrava nel luogo santissimo, questo luogo conteneva l’arca del patto, nella quale erano le due tavole della legge174 e, accanto ad essa, la verga di Aronne fiorita e un vaso di manna.175 172
PREISS Théo, La Vie en Christ, Neuchâtel 1951, p. 94.
173
NEE To-Sheng, La Vie chrétienne normale, Paris 1961, p. 135; cit, A.F. Vaucher, L’Histoire du Salut supplément à la 3a édition, 1968, p. 28.
174
I dieci comandamenti scritti sulle tavole di pietra erano una prova dell’autorità divina, della sua natura di creatore e una testimonianza della sua volontà, del suo carattere, dell’armonia tra Dio e la sua volontà. Rigettando l’uno si rigetta anche l’altra, Dio è inseparabile dalla sua legge. Dio è: Matteo 5:48 Malachia 3:6 Geremia 10:10 Levitico 19:2
Salmo 34:8 Perfetto immutabile eterno santo buonoLa legge è: Salmo 19:7 Matteo 5:17 Salmo 111:7,8; 119:152 Romani 7:12 Romani 7:18Esdra 9:15 Isaia 45:19giusto veroSalmo 119:172 Salmo 119:142,151 Poiché Dio è santo e non varia nei suoi piani perché sono veri, la sua legge non può subire nessun cambiamento. Questo insegnamento è sostenuto dal fatto che le tavole erano: a) di pietra, un materiale che non si deteriora (Esodo 31:18); b) scritte da Dio nella pietra dove la scrittura non può essere cancellata (Esodo 32:16); c) scritta dai due lati (Esodo 32:15). Prendendo alla lettera questo ultimo testo si può forse concludere che i dieci comandamenti erano scritti in doppio esemplare e posti nell’arca. Su ogni tavola c’erano scritti i dieci comandamenti: quattro su una faccia, sei sull’altra. Rabbi Abraham Ibin Ezra (1092-1167) interpreta questo testo letteralmente e scrive: «La legge tutta intera era scritta su una sola tavola» Cit. da PECK Sarat Elizabeth, The Path to the Throne of God - the Sanctuary, p. 93. Anticamente un documento era scritto sulle due facce di uno stesso foglio. Quando si rompeva il sigillo, quanto era scritto all’esterno, che poteva subire delle manomissioni, doveva corrispondere a quanto scritto all’interno per essere autentico. 175
Nel tempio costruito da Salomone la manna e la verga di Aronne erano posti fuori dall’arca (1 Re 8:9), probabilmente perché, essendo segno dei mormorii e della rivolta del popolo, non dovevano più essere ricordati nella
In questo luogo entrava una volta sola all’anno il sommo sacerdote, per compiere la purificazione del santuario.176 Il santissimo era il luogo della gloria di Dio, era un cubo perfetto di cinque metri di lato. «Questa figura cubica è un composto del quadrato perfetto, e l’entrata di questa parte del santuario è formata da quattro colonne, mentre quelle del luogo santo e del cortile ne hanno cinque. Ci doveva essere di conseguenza una intenzione precisa. E la si comprende perché il numero 4, che ricorda i quattro punti dell’orizzonte, le 4 stagioni, è di conseguenza la cifra più adatta a rappresentare l’idea del mondo; applicata al luogo santissimo, questo numero sembra dunque significare che il mondo intero è destinato a diventare un giorno ciò che è attualmente questo luogo sacro, la dimora di Dio e il teatro delle sue manifestazioni; confrontare con Apocalisse XXI:16, in cui la nuova Gerusalemme ha, come il luogo Santissimo del tabernacolo, la forma di un cubo, e appare così come il luogo santissimo ingrandito».177 Era lì che si manifestava la schekina178, cioè la presenza visibile dell’invisibile maestà di Dio, mediante la nube luminosa che planava sul propiziatorio dell’arca.179
L’arca L’arca era un cofano di legno di Sittim ricoperto di dentro e di fuori d’oro. Misurava 125 cm di lunghezza e 75 di larghezza e di altezza. Un coperchio d’oro puro, chiamato propiziatorio, chiudeva l’arca. Su questo coperchio c’erano raffigurati dei cherubini d’oro. Questi cherubini si fronteggiavano e stendevano un’ala sul propiziatorio, mentre l’altra ricadeva lungo il fianco fino ai piedi.180
gloria. A. R. Haberschon, o.c., p. 48. La Bible Annotée‚ o.c., t. IV, 1 Rois, pp. 47,48 però commenta: « Secondo Esodo 25:16, la funzione dell’arca era di racchiudere e di conservare le tavole della legge, e l’autore (del libro dei Re) vuole affermare qui che questa funzione non era stata per nulla modificata nel corso dei secoli. Il dato di Ebrei 9:4, secondo il quale l’urna racchiudeva la manna e la verga... riposa non sul testo dell’Antico Testamento che dice solamente che questi oggetti furono posti davanti all’arca o al lato di essa (Esodo 16:34; Numeri 17:10), ma su una tradizione giudaica che aveva preso queste espressioni nel senso di: nell’arca». «Ebrei 9:4 sembra mettere il vaso e la verga nell’arca, e non al suo lato; ma al posto di dire: nella quale (arca) era il vaso d’oro, ecc., si dovrebbe leggere piuttosto: nella quale (tenda, tenda interna) era il vaso d’oro, ecc. Il greco permette questa maniera di leggere, e i paralleli lo avallano, poiché fu espressamente raccomandato a Mosè di mettere il vaso d’oro e la verga fiorita d’Aronne davanti alla testimonianza e non nel di dentro (Esodo 16:33,34; Numeri 17:10), e 1 Re 8:9 dice espressamente che l’arca non conteneva altra cosa che le tavole dell’alleanza (vedere anche 2 Cronache 5:10)» É. Guers, o.c., p. 367. Il vaso di manna e la verga fiorita d’Aronne nel loro significato erano posti in relazione con la legge stessa di Dio. La manna è in relazione con la fedeltà e la trasgressione del IV comandamento, prima parte del decalogo che indica il rispetto dell’uomo nei confronti di Dio. La verga d’Aronne è in relazione con la trasgressione del X comandamento: «tu non concupirai», seconda parte del decalogo che indica i rapporti che devono intercorrere tra le persone. 176 177 178 179 180
Levitico 16. La Bible Annotée‚ o.c. - Exode, p. 540. Parola ebraica del Talmud che significa abitare. Esodo 40:34-38; Levitico 16:2. Esodo 25:10-22.
«L’arca dell’alleanza deve essere presentata come il trono di Yahvé».181 «Si riteneva che l’Eterno risiedesse sopra l’arca; è da lì che partiva la sua voce quando si intratteneva con Mosè per parlargli a “faccia a faccia, come un uomo parla col proprio amico”.182 L’arca non era là per il tabernacolo ma il tabernacolo era là per l’arca. Se il tabernacolo raffigurava la dimora di Yahvé‚ l’arca era come lo sgabello del suo trono celeste.183 Essa era chiamata l’arca della testimonianza perché racchiudeva le tavole della legge; e anche l’arca di Dio, l’arca dell’Eterno, l’arca della forza dell’Eterno;184 il più spesso l’arca dell’alleanza... Le due tavole dell’alleanza che solo riempiono questa arca, ricordano le parole del salmista: “La giustizia e il giudizio sono la base del tuo trono”.185 Sull’arca riposa una lastra d’oro massiccio della quale si ignora lo spessore. Veniva chiamata capporet, propiziatorio, nome che deriva da ciò che si faceva nel grande giorno delle espiazioni; era su questo coperchio d’oro che il sommo sacerdote faceva l’aspersione del sangue della vittima offerta per il popolo. Il propiziatorio è sempre presentato come indipendente dall’arca e come più importante dell’arca stessa... È l’oggetto più santo del luoghi consacrati al culto israelitico, perché è là che Dio si manifesta al suo popolo e, dopo avergli fatto conoscere la sua volontà generale con le tavole della legge, gli rivela la sua volontà particolare. È per così dire il luogo di appuntamento d’Israele con il suo Dio.186 In 1 Cronache XXVIII il luogo santissimo è chiamato camera del propiziatorio, e non camera dell’arca. Se le tavole della legge racchiuse nell’arca testimoniavano altamente contro il peccato del popolo e contro quelli di ogni israelita, il propiziatorio che ricopriva l’arca, una volta asperso di sangue della vittima, ricordava l’espiazione e testimoniava più ancora del perdono di Dio. L’arca con il propiziatorio era un oggetto di culto così santo che non solamente nessuno osava toccare, ma che il sommo sacerdote, quando vi si avvicinava, presentandosi una sola volta all’anno nel luogo santissimo, doveva cominciare ad avvolgerla in una nube d’incenso che la velava alla sua vista.187 (Per quanto riguarda i cherubini), ci mancano i dettagli sulla forma di queste figure poste sul propiziatorio. Tutto ciò che sappiamo è che essi dovevano formare corpo con lui e dimorare inseparabili; inoltre erano di oro battuto, mentre il propiziatorio era d’oro massiccio, e avevano una faccia (senza dubbio umana) e due ali. Dovevano rappresentare le creature coscienti di se stesse, intelligenti e libere (uomini e angeli) raffigurandole nell’atteggiamento di adorazione e di contemplazione delle perfezioni divine».188 181 182 183 184 185 186 187 188
SCHEDL C., Storia del Vecchio Testamento, vol. I, Roma 1963, p. 373. Esodo 33:11. Salmo 99:5; 132:7; 1 Cronache 28:2. Esodo 30:6; 2 Samuele 6:2; Giosuè 7;6. Salmo 97:2. Esodo 25:22. Levitico 16:12,13.
La Bible Annotée‚ o.c. Exode, pp. 478,479,490. «L’origine di questa parola cherubino è ancora un motivo di discussione. Gli uni la mettono in relazione con la parola ebraica rachav (andare a cavallo o in carro), gli altri con la radice ariana gribh (afferrare, da cui gruf, grifone, ecc.); altri ancora differiscono. La prima etimologia è resa verosimile dal Salmo 18:11. Quanto alla natura di questi esseri può essere compresa in due maniere. O essi formano
Realizzata nell’Emanuele
«L’arca è il tipo eccelso di Cristo nel tabernacolo».189 Fatta di legno di Sittim e ricoperta d’oro, rappresenta la natura umana rivestita del Signore della divinità. Rappresenta Colui che sarebbe dovuto venire per confermare la legge e fare il nuovo patto che consiste nello scrivere nel cuore dell’uomo i comandamenti di Dio. Cristo, come l’arca, ha la legge di Dio in sé ed è venuto per fare la sua volontà. Il coperchio dell’arca, il propiziatorio, d’oro massiccio, era ciò che copriva, nascondeva la legge trasgredita, e che accusava di peccato. Su di esso veniva sparso il sangue nel giorno della purificazione. Questo coperchio, ebraico kapporets, greco ilasterios, viene anche tradotto propiziatorio per il rito di purificazione che il sacerdote compie; ess è posto tra la gloria di Dio e la sua santa legge. Collocato nel luogo santissimo e messo in relazione con il peccato commesso dal popolo, infrangendo la legge, e per il quale si è offerto il sacrificio, acquista il senso di cancellare il peccato.190 Nel Nuovo Testamento il verbo che deriva da questa parola si presenta due volte: nel vangelo di Luca in cui il pubblicano chiede a Dio: «Sii propizio verso di me», cioè perdonami, e nella lettera agli Ebrei: «Per compiere l’espiazione dei peccati del popolo».191 Ci sono differenti nozioni di espiazione. Il pensiero pagano vede nell’espiazione l’azione dell’uomo per placare la divinità. «Gli dèi sono irritati: bisogna calmarli. Questo avviene infliggendo una pena a se stessi o immolando qualcuno agli dèi... L’uomo (in questo caso è) l’autore della riconciliazione; questa si ottiene agendo sulle disposizioni divine. - In secondo luogo abbiamo l’idea corrente di riparazione per mezzo della sofferenza ... il soggetto è l’uomo. Infine noi abbiamo l’idea biblica di espiazione. Non si tratta più di cercare qui l’uomo come soggetto. Dio è l’agente nel kipper. - L’espiazione parte da Dio. È per questo che Paolo ci mostra Dio come attivo, come riconciliante e non come colui che si lascia riconciliare».192 Il coperchio dell’arca rappresenta quindi Colui che doveva venire ad essere la propiziazione mediante la fede nel suo sangue, Colui che doveva venire a coprire, cancellare il peccato. Questo propiziatorio ci vuole insegnare ancora che la salvezza del mondo non è stata strappata a Dio mediante il sacrificio del Cristo, ma è Lui (Dio)
una classe di creature a parte che occupano con i serafini (Isaia 6) la cima della scala degli esseri: i serafini come i rappresentanti dell’adorazione celeste: i cherubini, come agenti nella natura, dell’azione onnipotente di Dio. In effetti, i primi si tengono davanti al trono; questi volano portando il trono. O i cherubini sono la personificazione poetica delle forze divine che penetrano e vivificano la creazione tutta intera. La prima interpretazione pare accordarsi meglio con il ruolo dei cherubini nel luogo santissimo, la seconda, con Salmo 18:10. Ma in entrambi i casi questi esseri sono sempre in relazione immediata con l’apparizione personale di Dio e funzionano come portatori della sua gloria, quando si manifesta in mezzo al suo popolo» La Bible Annotée, o.c. - Les Prophètes, t. II, Ezéchiel, Neuchâtel, p. 11. 189 190 191 192
É. Guers, o.c., p. 282. Esodo 29:36. Luca 18:13; ed. Paoline. Ebrei 2:17.
NAVILLE Théodore, Les sacrifices lévitiques et l’Expiation, Lausanne 1891, pp. 98,100. Vedere 2 Corinzi 5:18,19; confr. Colossesi 1:20,22.
l’autore di questa salvezza, e l’ha manifestata mediante la sua grazia divina, mandando suo Figlio, riconciliando così il mondo con sé.193 Il coperchio ricorda il primo gesto divino per la salvezza dell’uomo. «E l’Eterno fece ad Adamo e alla sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì».194 Cristo, che ha vissuto la legge, è colui che dà vita a chi riconosce le proprie sconfitte. È grazie a lui che possiamo comparire davanti al trono di Dio ed essere riconciliati con lui.195
Ideale per il credente e per la Chiesa
«Come è vero che c’è un santuario nel cielo, ce n’è uno nel cuore. L’oggetto principale del luogo santissimo era la legge, depositata nell’arca, ricoperta dal propiziatorio sparso di sangue. È la legge scritta nel cuore, sotto l’aspersione del sangue, che ne fa un santuario, e solo quando il cuore è diventato un santuario può entrare nel vero santuario».196 «Il cofano, o corpo di questo magnifico vassoio, fatto di legno di Sittim, tutto ricoperto d’oro puro, di dentro e di fuori,.... rappresenta il Corpo mistico del Salvatore, la Chiesa, ma la Chiesa vista nella gloria. Povera e dimessa in se stessa, ma rivestita di Gesù e resa conforme al suo corpo glorioso, essa risplende fin da questo momento davanti a Dio come l’oro fino. Il propiziatorio fatto d’oro massiccio è il Cristo in relazione con il suo corpo mistico... esso s’inquadra esattamente nel coronamento o nella bordatura del cofano, in modo da formare con lui una sola e stessa arca. Cristo e la Chiesa non formano che un solo e stesso corpo. E come il cofano non è senza propiziatorio, né il propiziatorio senza il cofano, così Cristo non è senza la Chiesa, né la Chiesa senza Cristo: si completano reciprocamente davanti a Dio... Separato dal propiziatorio e spogliato dal suo corpo, il cofano non era che una scatola di legno. Separato da Cristo, la Chiesa non sarebbe che un ammasso di poveri peccatori, spogliati davanti a Dio di ogni vera giustizia e santità, ma se sono uniti a Cristo, essa risplende ai suoi occhi di tutta la bellezza dello Sposo divino».197 Il coperchio che copriva il Decalogo voleva insegnare già al tempo dell’Antico Testamento che la legge non doveva essere osservata in forma legalistica, ma nella grazia, di cui il coperchio era il simbolo. Come la legge era nell’arca, la volontà del Padre era nel cuore di Cristo che l’ha pienamente compiuta, così essa è ora nel cuore del suo popolo che lo ama e la compie mediante la grazia del Signore, dal quale trae vita e forza. Il luogo santissimo
193 194 195 196 197
Romani 3:25. Genesi 3:21. Romani 8:33,34; Galati 3:10,13; Ebrei 7:25. MURRAY Andrew, Le voile déchiré, 2a ed., Valence sur Rone, 1953, p. 167. É. Guers, o.c., pp. 282,283.
raffigurava «Cristo in voi, speranza di gloria» affinché il credente possa dire: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me».198 Inaugurazione della tenda di convegno
«Così Mosè compì l’opera. Allora la nuvola coprì la tenda di convegno e la gloria dell’Eterno riempì il tabernacolo».199 « Appena la dimora è eretta e consacrata dall’unzione, l’Eterno vi viene visibilmente ad abitare... Se la gloria dell’Eterno riempì la casa, la nube al di sopra (della tenda di convegno) mostra che l’Eterno stesso non vi é racchiuso. Il Dio d’Israele è anche il Dio dell’universo; Dio che nello stesso tempo vive sulla terra e regna nel cielo.200 Questa unione dell’immanenza e della trascendenza divina caratterizza tutta la rivelazione biblica».201 Quando tutto fu ultimato, la gloria dell’Eterno riempì il tabernacolo: nube oscura durante il giorno e luminosa durante la notte. Questa discesa sul tabernacolo quale segno di consacrazione è l’ultima testimonianza che il libro dell’Esodo rende al Pastore d’Israele quale luce del mondo. È la realizzazione della promessa di essere tutti i giorni con noi fino alla fine del mondo. La nube nel consacrare il tabernacolo è segno della presenza effettiva di Dio fra il popolo e annuncia l’Emanuele. Come i pastori nei campi, sulle colline che attorniavano Betlemme, videro gli eserciti celesti e udirono cantare la gloria, l’onore e la lode di Dio, per l’avvento dell’Emanuele, così pure Mosè sulla montagna vide Dio tra gli uomini. Quanto veniva mostrato allora al popolo sotto forma d’immagine, Cristo venne a compierlo mettendo fine a queste ombre.202 « Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia».203 « Dio ha creato l’uomo al fine di avere una creatura che trovi il suo piacere in Lui. Ciò che fa la grandezza e la nobiltà dell’uomo è che ha un cuore capace di gioire della comunione di Dio, un cuore, un cuore così vasto che non può essere soddisfatto pienamente da nulla se non da Dio».204 Quindi fratelli «avendo dunque libertà d’entrare nel santuario in virtù del sangue di Gesù, per quella via recente e vivente che egli ha inaugurata per noi attraverso la cortina, vale a dire la sua carne... accostiamoci di vero cuore, con piena certezza di
198
Colossesi 1:27; Galati 2:20. «Secondo il testo originale, Cristo elegge domicilio nei nostri cuori (Efesi 3:7). L’Apostolo impiega il verbo katoikeo = stabilirsi in una maniera permanente, e non oikeo = abitare, che non esprime l’idea di dimora definitiva. Gli efesini avevano senza dubbio fatto, in qualche maniera, l’esperienza di Cristo abitante nel loro cuore; ma l’Apostolo desidera ardentemente che facciano una esperienza più profonda della grazia divina» A. Murray, o.c., p. 170. 199 200 201 202 203 204
Esodo 40:34. Isaia 66:1; 1 Re 8:27. La Bible Annotée, o.c., p. 538; vedere Efesi 4:6. R. de Pury, o.c., p. 100. Ebrei 5:16. A. Murray, o.c., p. 168.
fede, avendo i cuori aspersi di quell’aspersione che li purifica dalla mala coscienza».205 Riepilogo
Il santuario era il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo; era là che, a seguito della conversione, della rigenerazione, della purificazione, il credente veniva introdotto nella casa del Padre per partecipare alla sua vita ed essere, a sua volta, la dimora di Dio. Questo tabernacolo costruito da mano d’uomo annunziava «un uomo, che ha nome il germoglio; egli germoglierà nel suo luogo ed edificherà il tempio dell’Eterno; egli edificherà il tempio dell’Eterno, e porterà le insegne della gloria, e si siederà e dominerà sul suo trono, sarà sacerdote sul suo trono», come aveva detto il profeta Zaccaria.206 Questo Germoglio, il servo dell’Eterno, come aveva precisato prima,207 uscirà dal tronco d’Isai, padre di Davide, «come una radice che esce da un arido suolo», dal deserto del nostro mondo, dal seno d’Israele profondamente abbassato, egli «non aveva forma, né bellezza da attirare i nostri sguardi, né apparenza da farcelo desiderare. Disprezzato ed abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare col partire, pari a colui dinanzi al quale ciascuno si nasconde la faccia; era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna. E, nondimeno, erano le nostre malattie ch’egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato; e noi lo reputavamo colpito, battuto da Dio, ed umiliato. Ma egli è stato trafitto a motivo delle nostre trasgressioni, fiaccato a motivo delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è stato su lui, e per le sue lividure noi abbiamo avuto guarigione».208 Sarà lui che costruirà il tempio dell’Eterno.209 Il vero santuario dell’Eterno, cioè il vero tempio di Dio, nel quale vivrà lui stesso, di cui il tempio materiale non era che un emblema ed un pegno è nel Messia che deve venire . Sarà lui che porterà le insegne e sarà il sacerdote realmente degno di essere coronato come re.210 «L’Eterno degli eserciti... sarà un santuario, ma anche una pietra d’intoppo, un sasso d’inciampo» sul quale “stanno sette occhi”, cioè la pienezza della sollecitudine della sua preveggenza, perché “lo Spirito dell’Eterno riposerà su lui: spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di forza, spirito di conoscenza e di timore dell’Eterno”. L’Eterno “toglierà via l’iniquità del paese in un sol giorno... e in quel giorno molte nazioni s’uniranno all’Eterno, e diventeranno mio popolo; ed io 205 206 207 208
Ebrei 10:19,20,22. Zaccaria 6:12,13. Zaccaria 3:8. Isaia 53:2; 11:1; 53:2-5.
209
«Non si tratta qui del tempio attuale di Giosuè e di Zorobabele che hanno avuto la missione di costruire. Per questa impresa è stato promesso il soccorso di Dio e il successo è stato garantito (Zaccaria 4:7). Così, mentre il profeta si era servito fino a questo momento del termine “la Casa dell’Eterno” (Beth Yahvé), impiega ora un nuovo termine più solenne (Hécal) che indica un edificio regale» La Bible Annotée‚ Les prophètes, t. III, Zacharie, p. 251. 210
Idem.
abiterò in mezzo a te, e tu conoscerai che l’Eterno degli eserciti mi ha mandato a te... In quel giorno, dice l’Eterno degli eserciti, voi vi inviterete gli uni gli altri sotto la vigna e sotto il fico... senza che alcuno vi spaventi».211 Conclusione A conclusione di questo capitolo, invitiamo coloro che sono nella perplessità circa l’azione di Dio nella loro vita a ricordare le parole con le quali Asaf compone il Salmo LXXIII: «Certo, Iddio è buono verso Israele, verso quelli che sono puri di cuore. Ma, quant’è a me, quasi inciamparono i miei piedi; poco mancò che i miei passi non sdrucciolassero. Poiché io portavo invidia agli orgogliosi, vedendo la prosperità degli empi. Poiché per loro non vi sono dolori, il loro corpo è sano e pingue. Non sono travagliati come gli altri mortali, né sono colpiti come gli altri uomini. Perciò la superbia li cinge a guisa di collana, la violenza li copre a guisa di vestito. Dal loro cuore insensibile esce l’iniquità; le immaginazioni del cuore loro traboccano. Sbeffeggiano e malvagiamente ragionano d’opprimere; parlano altezzosamente. Mettono la loro bocca nel cielo, e la loro lingua passeggia per la terra. Perciò il popolo si volge dalla loro parte, e beve copiosamente alla loro sorgente, e dice: Com’è possibile che Dio sappia ogni cosa, che vi sia conoscenza nell’Altissimo? Ecco, costoro sono empi: eppure, tranquilli sempre, essi accrescono i loro averi. Invano dunque ho purificato il mio cuore, e ho lavato le mie mani nell’innocenza! Poiché son percosso ogni giorno, e il mio castigo si rinnova ogni mattina. Se avessi detto: Parlerò a quel modo, ecco, sarei stato infedele alla schiatta de’ tuoi figlioli. Ho voluto riflettere per intendere questo, ma la cosa mi è parsa molto ardua, finché non sono entrato nel santuario di Dio... 211
Isaia 8:14; Zaccaria 3:9; Isaia 11:2: Zaccaria 3:9; 2:11; 3:10; Michea 4:4.
Ma pure, io resto del continuo con te; tu m’hai preso per la man destra; tu mi condurrai col tuo consiglio, e poi mi riceverai in gloria. Chi ho io in cielo fuori di te? E sulla terra non desidero che te... Quanto a me, il mio bene è d’accostarmi a Dio; io ho fatto del Signore, dell’Eterno, il mio rifugio, per raccontare, o Dio, tutte le opere tue». Ammalati come siamo del peccato di Adamo, di fronte al male siamo portati istintivamente ad accusare Dio della nostra sofferenza, sia che ce la causiamo sia che ci venga causata, o, se non accusiamo Dio, nel migliore dei casi, siamo portati a dubitare del valore della fedeltà a Dio e di Dio. Cosa fa Dio per noi? Il santuario israelitico ci presenta, mediante le cerimonie che in esso venivano celebrate, e i suoi simboli e arredi, che Dio non se ne sta tranquillo, ma anzi è sceso dal Suo trono di gloria come un padre amoroso al quale hanno carpito i figli, ed è venuto non solo a chiamarci, e cercarci, ma ha subito in prima persona tutte le conseguenze della nostra rivolta fino a diventare sacrificio, affinché con Lui potessimo rientrare a far parte della Sua famiglia, sedere con Lui sul trono della Sua gloria e partecipare alla Sua natura.
Il santuario dunque è qui per presentare la strada che Dio ha percorso: dalla gloria all’altare del sacrificio, e quella che dobbiamo percorrere noi in senso opposto: dall’altare del sacrificio al trono della gloria. Se Dio non ha ancora esercitato il suo giudizio sugli uomini, all’esterno della Nuova Gerusalemme, è perché vuole impiegare il tempo, tempo della nostra sofferenza e della sua crocifissione, per chiamarci a ravvedimento affinché nessuno perisca, ma «tutti giungano a ravvedersi».212
212
2 Pietro 3:9.
Capitolo XIII IL GIUDIZIO CHE PRECEDE LA VENUTA DEL SIGNORE «Dopo duemilatrecento sere e mattine il santuario sarà purificato» Daniele.1
Introduzione Il santuario d’Israele era il principale mezzo con cui Dio istruiva il popolo allo scopo di salvarlo. Le feste che vi venivano celebrate ogni anno ricordavano i grandi avvenimenti del passato e prefiguravano degli eventi futuri: - la Pasqua, faceva rivivere ogni volta che veniva celebrata la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto e annunciava il grande Liberatore; - la Pentecoste, festa delle primizie, all’inizio dell’estate, ricordava la promulgazione della legge al Sinai e prefigurava il giorno in cui questa legge sarebbe stata scritta nei cuori degli uomini; - la festa delle trombe, del raccolto, alla fine dell’estate, primo giorno del settimo mese, inizio dell’anno civile. In ebraico Rosh Hashanah, capodanno, era il giorno di giudizio per tutto il popolo. Figura del giudizio di Dio prima della grande restaurazione finale; - la festa delle capanne, celebrata in autunno sette giorni dopo quella dello Yom Kippur. Tutta la terra era stata mietuta e vendemmiata. Il popolo per alcuni giorni viveva in capanne fatte con rami a ricordo del soggiorno nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto, e annunciava il periodo intermedio, provvisorio, tra la liberazione da un mondo dove domina il male e la vita nell’eternità, nella nuova Canaan in una terra restaurata; - ma quella dello Yom Kippur, collegata e conseguente alla festa delle trombe e prima della festa delle capanne, era «la festa principale nel sistema Levitico, era il giorno dell’espiazione... Dal punto di vista religioso, la grande espiazione annuale aveva una importanza eccezionale. Era, per il sommo sacerdote, il più grande compito della sua carriera; era il solo giorno dell’anno in cui il santo dei santi (il luogo santissimo) gli fosse aperto, e compiva allora nella sua pienezza il suo ruolo di mediatore tra Dio e il popolo. Si presentava davanti al trono di Yahwé per intervenire in favore di tutti gli Israeliti, sacerdoti e fedeli e la sua mediazione era gradita».2
1 2
Daniele 8:14. MÉDÉBIELLE P.A., Supplément au Dictionnaire de la Bible, t. III, col. 61.
CAPITOLO XIII
Importanza del giudizio preliminare e della festa della purificazione Giorno di giudizio «La festa dei Kippurim è la pietra di volta del sistema levitico... La Mishna diceva che in quel giorno, grazie ai riti di riparazione, i sacerdoti e i fedeli ricevevano la piena assoluzione “di tutte le loro iniquità, di tutte le loro trasgressioni e di tutti i loro peccati”».3 Questa festa era preceduta da quella del giudizio o delle trombe, annunciata dal suono del sofar (corno). Per l’occasione si sospendeva il lavoro, si invitava il popolo a riunirsi.4 Veniva celebrata alla fine dell’anno civile, inaugurava il nuovo anno, da qui l’espressione Rosh Hashanah. Era celebrata al tempo del raccolto, sette mesi dopo quella di Pasqua, la festa della liberazione/redenzione. Si prolungava per dieci giorni fino al giorno dello Yom Kippur.5 Erano considerati tutti giorni di giudizio, di penitenza e di ritorno a Dio. Rabbi Yechied Eckstein spiegava che il sofar «veniva suonato nel giorno di Rosh Hashanah per risvegliarci dal nostro sonno morale e chiamarci ad una rigenerazione spirituale, e per scuoterci con forza al bisogno di pentimento. Il sofar è il suono che ci chiama a esprimere pentimento investigando le nostre opere per riparare le nostre vie davanti al terribile giorno del giudizio. Ci fa ricordare il bisogno di confrontare il nostro più intimo io nel modo in cui Dio confrontò Adamo con la domanda esistenziale “Dove sei?”».6 Nella stessa linea di pensiero, Maimonide, il grande pensatore ebreo del Medio Evo, spiegava che il suono delle trombe del Rosh Hashanah è un appello al risveglio affinché il popolo abbandoni le sue vie malvagie e ritorni a Dio. «Risvegliatevi o voi che dormite, risvegliatevi dal vostro sonno! Investigate le vostre opere e pentitevi. O voi che dimenticate la verità nelle vanità del tempo e vi smarrite per tutto l’anno seguendo vanità e follia dimenticando il vostro Dio. Guardate le vostre anime, e ancor più le vostre vie e le azioni. Che ognuno di voi abbandoni le sue vie malvagie e i suoi pensieri stolti e ritorni a Dio affinché possa avere misericordia di voi».7 Si legge nel Talmud di Gerusalemme: «Durante la festa del nuovo anno tutti gli esseri della terra passano davanti all’Eterno come il gregge davanti al pastore... Il giudizio è pronunciato nel momento del gran perdono... Ci sono tre registri diversi, aperti in questo giorno di giudizio; nel primo, sono iscritti i veri giusti; nel secondo, i veri empi; infine, nel terzo, la gente intermedia. Per i primi, la sentenza di vita è 3
MÉDÉBIELLE P.A., L’expiation dans l’Ancien et le Nouveau Testament, t. I, Ancien Testament, Rome 1924, pp. 102,145; vedere Misna Yoma 8, 8. 4 Levitico 23:24. 5 Levitico 23:27. 6 ECKSTEIN Yechiel, What Christians Should Know about Jews and Judaism, Waco, Texas, 1984, p. 119; cit. BACCHIOCCHI Samuele, God’s Festivals, in Scripture and History, part 2, The Fall Festivals, Biblical Perspectives, Berrien Springs, Michigan, 1997, p. 57. 7 Maimonide Moses, Mishna, Torah, Laws of Teshuvah 3:4; GREENBERG Irving, The Jewish Way: Living the Holiday, New York 1988, p. 119; cit. S. Bacchiocchi, idem, p. 57.
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pronunciata dal primo giorno del nuovo anno; per i secondi, la sentenza di morte è pronunciata dal primo giorno; infine agli ultimi è accordata una deroga di dieci giorni, dal nuovo anno fino al gran perdono, e se essi hanno fatto penitenza, saranno iscritti sulla sentenza favorevole dei giusti; o in caso contrario saranno condannati con gli empi».8 Si legge nelle Preghiere dei giorni di Rosch-Haschana a uso degli Israeliti di rito portoghese: «Oggi, Signore, il mondo è stato concepito; oggi tutte le creature dell’universo si presentano davanti a te in giudizio... Qual è la creatura che non è visitata in un giorno come questo? Il ricordo di tutte le sue azioni si presenta davanti a te, le azioni degli uomini e la loro esecuzione, le loro operazioni e i loro intrighi, e i moventi di tutte le loro opere... Sì, il ricordo di tutte le creature si presenta davanti a te, tu consulti tutte le loro opere».9 Albert Vincent nel suo libro, Le judaïsme, ribadisce l’importanza della festa con queste parole: «Il nuovo anno civile cadeva al 1° di Tisri e la festa di Rosch-HaChana durava dieci giorni. Essa commemorava l’anniversario della creazione del mondo.10 È una festa... che si fonda su Levitico XXIII:23-25. Si chiama anche giorno del ricordo, perché in questo giorno Dio si ricorda di tutti gli uomini per giudicarli. Il periodo di dieci giorni che comincia con il Rosch-Ha-Chana e finisce con lo Yom Kippur, si chiama “i dieci giorni di penitenza”. Durante questo tempo si recitano nei servizi del mattino delle suppliche di perdono (Selinoth). Sono dei giorni di penitenza, in cui il fedele, con il suo pentimento, i suoi digiuni, le sue preghiere e le sue mortificazioni, si sforza di ottenere il perdono nel giorno del Kippur in cui il giudizio di Dio diventa definitivo».11 Edward Chumney scrive in relazione al giudizio riportato nel testo di Daniele VII: «Poiché la corte era seduta e i libri erano aperti, si capisce che si tratta del Rosh Hashanah. I libri sono: il libro dei giusti, il libro degli empi, e il libro dei ricordi. Il terzo libro che verrà aperto è il libro dei ricordi (zikkaron). Ecco perché il saluto comune durante Rosh Hashanah è: “Possa tu trovarti scritto nel libro della vita”».12 Il suono del sofar non era visto soltanto come un appello di esame davanti al trono del giudizio di Dio, ma anche un mezzo per riaffermare la sovranità di Dio e il suo regno sul mondo. I temi del giudizio e del regno sono strettamente collegati perché il 8 Talmud de Jérusalem, traité Rosch-Ha-Schana, trad. M. SCHWAB, t. Vl, pp. 63,64; cit. VAUCHER Alfred Félix, Le Sanctuaire, 1970, p. 34. 9 Prières des Jours de Rosh-Haschana à l’usage des Israélites du rit portugais, tradizione Mardochée VENTURE, Paris 1815, p. 284; cit. da A.F. Vaucher, o.c., pp. 34,35. 10 Idem, in una nota (pp. 75,76) l’editore spiega così il Ros-Haschana: «Cioè capo d’anno; è la festa dell’inizio del nostro anno religioso che noi celebriamo durante i due primi giorni della nuova luna di Tisri, o settembre, come è detto in Levitico 23:24, in memoria della creazione dell’uomo; poiché, secondo l’opinione più comune fra i nostri rabbini, i1 mondo è nato in autunno. Durante quei due giorni di giudizio, giorni terribili, e infine giorni di penitenza, noi ci asteniamo da tutte le opere servili, e li consideriamo come dei giorni in cui Dio giudica gli uomini, relativamente alle azioni dell’ultimo anno». Si suona la tromba (lo Sofar) nei giorni di Ros-Haschana, dice lo stesso autore (nota della p. 252), «per fare pensare al giudizio di Dio, e per intimidire i peccatori e portarli a pentirsi». 11 VINCENT Albert, Le Judaisme, Paris 1932, p. 218-220; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 35. 12 CHUMNEY Edward, The Seven Festivals of the Messiah, Shippensburg 1994, p. 111; cit. S. Bacchiocchi o.c., p. 60.
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re si sedeva sul trono per giudicare il suo popolo. L’unzione di un nuovo re veniva annunciata dal suono del sofar.
Lo Yom-Kippur segue la festa del giudizio compiendo la purificazione del santuario I peccati commessi durante l’anno, sebbene confessati, continuavano a profanare il santuario13 e da qui la necessità di un rito di purificazione e di una nuova consacrazione. Il peccato era stato sì perdonato, ma era tenuto come in sospeso fino al giorno del giudizio nel quale esso sarebbe stato allontanato per sempre dalla dimora di Dio per essere distrutto, annientato. Se nell’attesa del giudizio l’israelita si fosse allontanato da Dio, il peccato che precedentemente era stato confessato e perdonato gli sarebbe stato nuovamente attribuito. Se invece si manteneva fedele, la trasgressione sarebbe stata definitivamente cancellata.14 Il perdono del peccato rimaneva così condizionato dalla fedeltà dell’uomo a Dio. La solennità si celebrava nel decimo giorno del mese di Tisri. Il suono delle trombe, il primo di Tisri, annunciava l’inizio del mese e l’avvicinarsi del Kippur; dal giorno dopo, gli ebrei si preparavano a celebrare la festa che doveva assicurare loro il perdono dei peccati. I primi giorni del mese, secondo il Talmud, erano chiamati “giorni di conversione”. Dalla sera del 9° giorno alla sera del 10° ogni lavoro era proibito e il digiuno era prescritto. Era un giorno di digiuno e di giudizio. Il perdono veniva conferito al popolo a seguito della sua identificazione con l’opera del sommo sacerdote. Nel decimo giorno si «farà l’espiazione per il santuario, a motivo delle impurità dei figli d’Israele, delle loro trasgressioni e di tutti i loro peccati. Lo stesso si farà della tenda di convegno che è stabilita fra loro, in mezzo alle loro impurità... Poiché in quel giorno si farà l’espiazione per voi, al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti all’Eterno. È per voi un sabato di riposo solenne, e voi umilierete le anime vostre; è una legge perpetua... E ogni persona che farà in quel giorno qualsiasi lavoro, io la distruggerò di fra il suo popolo».15 «Queste parole danno l’idea dell’eccezionale importanza che gli Ebrei attribuivano a questo giorno, questo Sabato dei Sabati (shabbath shabbathon), che essi hanno spesso, e a ragione, chiamato “Giorno del Giudizio!” (Yom Aladin). Era, infatti, un giorno di “vaglio”, di separazione. Ognuno doveva fare un serio esame di coscienza, umiliarsi, pentirsi e pregare con fervore. I nove giorni precedenti erano consacrati a
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Levitico 20:13; 18:21; 15:31. Ezechiele 18:22,24. Levitico 16:16,17,30,31; 23:30; vedere Esodo 30:10; Numeri 29:7-11.
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questa preparazione. L’indifferenza determinava la “recisione”, cioè una vera e propria proscrizione, una separazione dalla tribù e dalla nazione».16 «Nel giudaismo rabbinico il giorno delle espiazioni completa il periodo penitenziale di dieci giorni con i quali si inizia il nuovo anno. Il giorno dell’espiazione è un tempo di pentimento e di preghiera... Il nuovo anno e il giorno delle espiazioni sono dei giorni di seria meditazione, dei giorni terribili... Il primo è il giorno annuale di giudizio, in cui tutte le creature passano in rivista davanti all’occhio scrutatore dell’Onnisciente... Il destino... è sospeso fino al giorno delle espiazioni, in cui la sorte di ogni uomo è determinata, fissata».17 «Il grande giorno delle espiazioni era contemporaneamente una purificazione del santuario, insudiciato dai peccati del popolo e dei sacerdoti, e un’espiazione dei peccati del popolo».18 «Le cerimonie di questo giorno affermavano all’israelita la possibilità di rientrare in grazia e di avvicinarsi a Dio. Tramite esse, era assicurato della sua purificazione e riceveva la garanzia che Dio considerava la sua sozzura cancellata».19 Quindi, «una volta l’anno una remissione generale dei peccati che erano stati perdonati era garantita».20 Perché secondo «gli Ebrei, la confessione, sebbene accompagnata da una risoluzione di vivere bene, sospende solamente i peccati, ma la festa dell’espiazione li abolisce».21
Cerimoniale del giorno dello Yom-Kippur: i due capri Il sommo sacerdote, rivestito dai «paramenti sacri», doveva compiere in quel giorno diversi sacrifici:22 - un giovenco in sacrificio per il peccato del sacerdote e della sua casa - un montone da offrire in olocausto per il sacerdote e la sua casa - due capri, uno da offrire in sacrificio per il peccato d’Israele e l’altro da inviare nel deserto per esservi abbandonato - un montone da offrire in olocausto per il popolo. La parte centrale della cerimonia riguardava i due capri. Il sommo sacerdote li presentava davanti all’Eterno, alla tenda di convegno, per trarre a sorte quale dei due doveva essere per l’Eterno e quale per Azazel.
16
GERBER Charles, Dal Tempo all’Eternità, ed. AdV, Firenze, p. 258. MARGOLIS M.L., The jewish Encyclopedie, p. 286; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 35. 18 AUBERT Louis, Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, t. I, p. 432; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 36. 19 BELATTRE Benjamin, Les sacrifices de la Loi mosaïque et la notion de l’Expiation, Nîmes 1890, pp. 18,19; cit. A.F. Vaucher, idem. 20 MOELLER Ernest-Wilhelm, The interpreation Stand. Bible Encyclopedia, t. I, p. 326; cit. Yoma, 6, 5; cit. A.F. Vaucher, idem. 21 CALMET A., Dictionnaire de la Bible, t. II, 1783, p. 473; cit. A.F. Vaucher, idem. 22 Levitico 16: 3,5; Numeri 29:7-11; Levitico 16:21,22. 17
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Quello che veniva toccato dalla sorte sarebbe stato sacrificato quale vittima espiatoria per il peccato del popolo e per la purificazione della tenda di convegno, l’altro per Azazel veniva portato nel deserto dove era abbandonato.23 Chi era Azazel? «Questa parola indica il cattivo spirito come esiliato dall’abitazione dell’Eterno, relegato ben lontano e tenuto in disparte dal popolo. Del resto il parallelismo tra le parole “per l’Eterno” e “per Azazel” rendono probabilmente il senso concreto e personale.24 L’idea di un regno dei cattivi spiriti non era estranea agli antichi Ebrei25; e l’idea di un capo personale di questo regno di tenebre, senza essere chiaramente espressa nell’Antico Testamento, scaturisce pertanto dai due primi capitoli del libro di Giobbe, da 1 Cronache XXI:1 e pure dal capitolo III della Genesi. I cattivi spiriti sono presentati come dimoranti nel deserto».26 «Le versioni antiche, pur non essendo uniformi, hanno tradotto Azazel senza considerarlo nome proprio. Oggi, studi sulle religioni ittita e assiro-babilonese e sui testi ugaritici invitano a vedere in Azazel il nome proprio di un demone che la credenza popolare degli antichi Ebrei riteneva abitasse nel deserto, dimora delle potenze malefiche, spazio nemico dell’abitato e in continua antitesi con esso, luogo sterile e infecondo».27 Nel libro della letteratura giudaica di Enoc, Azazel viene menzionato sei volte. È presentato come un angelo decaduto che insegna agli uomini il male, quindi come l’iniziatore del male sulla terra.28 Per lui non ci sarà intercessione.29 Tutto ciò che Dio proibisce, Azazel lo insegna.30 Nell’epoca intertestamentaria non c’è dubbio
23
Levitico 16:7,8,15,16,21. Nel secolo scorso i teologi de La Bible Annotée scrivevano: «Non si è completamente sicuri sul significato di questo nome (Azazel), che si trova nella Bibbia solo in questo capitolo (16 di Levitico). Per molto tempo lo si è dato composto da “az”, capra, e “azal”, partire o rinviare; da qui la traduzione della Vulgata: “becco emissario”. Ma, per giustificare questo senso nel nostro versetto, bisogna spiegare: “Per inviarlo nel deserto quale becco emissario”, cosa contraria alla grammatica. Si è visto anche nella parola Azazel il nome di una montagna, che questo termine indicherebbe come “scoscesa, dirupata”. Ma come opporre una montagna all’Eterno? Questa parola è piuttosto una forma raddoppiata della radice “azalee” presa qui nel senso astratto di rinvio, o nel senso concreto di rinvio» o.c., Les Livres Historiques, t. II, Lévitique, p. 75. Siccome il peccato viene da Satana, a lui viene rinviato e «Azazel, messo in opposizione con Yahvé, è un termine che designa logicamente l’autore di ogni male, la causa prima di ogni desolazione, la fonte alla quale debbono ritornare in ultima analisi, come conseguenza che risale alla propria causa, tutti gli effetti dei suoi abominevoli falli» C. Gerber, o.c., p. 259. 25 Levitico 17:7;19:31; Deuteronomio 32:17. 26 La Bible Annotée, o.c., p. 75,76. Vedere: Isaia 13:21; Giobbe 8:3. 27 MORALDI Luigi, La Sacra Bibbia, t. I, ed. Marietti, Torino 1964, p. 282. 28 «E Azazel insegnò agli uomini a fabbricare la spada e la mazza, lo scudo e la corazza...» Enoc 8:1. «Tutta la terra è stata corrotta dalla scienza e dall’opera di Azazel, imputagli dunque ogni peccato» Enoc 10:8. 29 «Non ci sarà né dilazione né intercessione perché tu hai insegnato agli uomini l’ingiustizia e delle opere blasfeme, di violenza e di peccato» Enoc 13:2. 24
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nell’identificare Azazel con Satana. È in questo modo che hanno compreso la versione siriaca e il Targum.31 Nella cristianità gli autori della lettera detta di Barnaba32 e Tertulliano33, seguiti da altri moderni, purtroppo vi hanno visto il Cristo, ma già Origene34, seguito da altri, vi ha visto Satana. «Il fatto stesso che i due becchi venissero presentati davanti all’Eterno prima che l’uno fosse sacrificato e l’altro inviato nel deserto, è sufficiente a provare che Azazel non era messo sullo stesso piano di uguaglianza con Yahvé. Era semplicemente considerato come essendo la personificazione della malvagità in contrasto con il giusto governo di Yahvé».35 Il capro per l’Eterno veniva offerto «come sacrificio per i peccati» del popolo.36 Il sangue veniva preso e portato nel luogo santissimo, dove per sette volte veniva asperso sul propiziatorio, che era stato coperto dalla nuvola del profumo bruciato nel turibolo d’oro. Con l’aspersione del sangue sul propiziatorio si voleva confermare in forma definitiva la purificazione del popolo presentando all’Eterno il simbolo della vita. Questa consacrazione garantiva l’espiazione, cioè il togliere, il rimuovere, l’allontanare i peccati, commessi dal popolo durante l’anno, che avevano profanato la dimora dell’Eterno e il suo nome37 affinché Israele potesse sussistere davanti a Dio. Questo sacrificio esprimeva la grande opera che il Signore stesso avrebbe compiuto per il suo popolo, per l’umanità. Poi, uscendo dalla tenda, il sommo sacerdote metteva del sangue sulle corna dell’altare dei sacrifici e faceva per sette volte l’aspersione del sangue sull’altare stesso.
Dio:
Azazel:
- vuole la pace e non la guerra, Isaia 2:4. - non vuole ornamenti come segno di ricchezze, ma si compiace in chi fa la sua volontà, Isaia 3:18-24. - non vuole il trucco e che l’uomo si dipinga, Geremia 4:30. - non vuole che si confidi nelle ricchezze, Giobbe 31:24.
- insegna a fabbricare le spade, Enoc 8:1. - insegna a costruire: «braccialetti, acconciature» Enoc 8:2. - insegna a dipingere gli occhi e ad abbellire le palpebre, Idem. - insegna a lavorare le pietre preziose e a fare le collane, Idem. - vuole la rivoluzione nel mondo, Idem. - a causa di Azazel «essi fornicarono» Idem. - Gli angeli di Azazel insegnano gli incantesimi, Idem.
- vuole stabilire un regno di pace eterna, Isaia 9:6. - non vuole l’adulterio, Esodo 20:14. - proibisce la divinizzazione, l’astrologia, ecc., Deuteronomio 18:10,11. 31 32 33 34 35 36 37
Vedere VAUX Roland de, Les Institutions de l’Ancien Testament, t. II, Paris 1960, p. 418. Lettera di Barnaba, cap. VII. Tertulliano, Contro Marcione, III, 7. Origene, Contro Celso, VI 43. KAUFMANN Kohler, The Jewish Encyclopedia, vol. II, p. 366; cit. A.F. Vaucher, idem, p. 33. Levitico 16:9. Levitico 20:3; 18:21; 15:31. Quando la profezia diventa storia
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Tutto questo era fatto «a motivo delle impurità dei figli d’Israele». L’altare così purificato veniva consacrato di nuovo per l’anno che seguiva e la tenda purificata continuava a essere la dimora dell’Eterno.38 «Il santo dei santi, il santo e l’altare brillavano di nuovo della loro purezza primitiva, sacerdoti e laici hanno ricevuto il perdono di tutti i loro peccati: l’espiazione è perfetta».39 Il sommo sacerdote non poneva però la mano su questo capro prima del sacrificio, come faceva quando sacrificava un animale per un suo peccato o come faceva l’israelita penitente. Non poneva le mani perché i peccati erano già stati confessati e le vittime per tale scopo erano già state offerte. Questo sacrificio era offerto per togliere dal santuario i peccati che lo avevano profanato e che erano già stati perdonati. Il sommo sacerdote, uscendo dal santuario, ne usciva caricato da tutte le trasgressioni d’Israele, era un momento particolarmente difficile, portava il peso dei peccati del popolo e, giunto davanti al capro per Azazel, «poneva ambedue le mani sul suo capo, confessava sopra esso tutte le loro iniquità, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati, e li metteva sulla testa del capro (per Azazel); poi, per mano d’un uomo incaricato di questo, veniva mandato nel deserto. E quel capro porterà su di sé tutte le loro iniquità in terra solitaria, e sarà lasciato andare nel deserto».40 Così facendo, i peccati del popolo venivano definitivamente allontanati dalla presenza dell’Eterno e rinviati allo spirito del male quale causa movente dei peccati commessi. «Israele restituiva allo spirito impuro ciò che aveva ricevuto da lui. Ecco perché la confessione dei peccati, sebbene perdonati, e l’imposizione delle mani sulla testa del becco,41 per mezzo della quale gli erano attribuiti, dovevano precedere il suo invio nel deserto per perirvi. Perché i peccati perdonati devono perire».42 38
Levitico 16:16. P A. Médébielle, o.c., . p. 98. 40 Levitico 16:21 22. 41 «È vero che (il sommo sacerdote) Aaronne confessava i peccati del popolo mentre imponeva le mani al becco di Azazel; ma era questa una dichiarazione piuttosto che una confessione; con questo si voleva dire che i peccati passati erano ora perdonati e distrutti; gli si diceva addio, se ne prendeva congedo, li si inviavano al cattivo spirito il cui dominio è senza comunione alcuna con le dimore del popolo santo» ŒHLER Gustav-Friedrich, Théologie de l’Ancien Testament, t. II, Paris 1876, p. 89. 42 La Bible Annotée, o.c. - Levitique, p. 77. «Non è che questo becco venisse inviato al demone come un sacrificio che gli si sarebbe dovuto offrire: non sono che i peccati del popolo di cui si è caricato che gli erano ritornati come al loro primo autore» CRELIER Henri Joseph, Lévitique, Paris 1886, p. 83; cit. da A.F. Vaucher, idem. «S.H. LANGDON ha raccolto tutti i documenti relativi all’espiazione del “becco emissario” in Babilonia e li ha pubblicati in un articolo The scapegoat in Babylonian Religion, in the Expository Times, ottobre 1912, pp. 9-13. Egli constata che, nelle molteplici cerimonie di purificazione e d’espiazione della religione babilonese, non si trova alcuna traccia certa di un animale condannato a portare i peccati del popolo e allontanato nel deserto. Si tratta di espiazione individuale, l’idea di una espiazione nazionale è totalmente assente... P. DHOME ha pubblicato in Revue d’Assyriologie, t. VIII, 1911, pp. 41-63, Tablette rituelle néo-babylonienne, un frammento del rituale in uso a Babilonia per il 4° e 5° giorno del nuovo anno. Questo testo descrive la purificazione del “Santo dei Santi” nel tempio di Nébo ed offre un parallelismo toccante con il Levitico... I punti di contatto sono numerosi tra il Levitico e le tavolette babilonesi: purificazione solenne del tempio e del santuario, nello stesso periodo dell’anno, con l’impiego d’incensi e aspersioni... Ma a Babilonia, la purificazione del tempio sembra considerata come una operazione bassa, quasi indecente; la si confida a un ministro di secondo o di terzo ordine; il sommo sacerdote, anziché presiederla, non vi deve neppure assistere, non la può guardare senza contaminarsi! Quale differenza con ciò che avviene a 39
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«Il popolo comprendeva a meraviglia il ruolo simbolico del becco emissario. Secondo la Mishna, si costruiva per la circostanza (quando il culto veniva celebrato in Gerusalemme) un ponte sopra il Cedron, per sottrarre l’animale all’importunità della plebaglia che gli andava a tirare i peli e accelerare la sua marcia gridando: “Va’ dunque, esci, porta i nostri peccati”. L’emissario era condotto fino a “Souq”, a 12 miglia da Gerusalemme. Dieci tende erano poste a distanza, dove il messaggero poteva, malgrado la legge del digiuno, mangiare e bere per riprendere le forze e assicurare la sua missione fino al lontano posto designato. La strada portava a un precipizio nel quale spingeva l’animale, che si lacerava sulle punte delle rocce ancora prima di arrivare in fondo.43 Il Levitico non esigeva che l’animale fosse messo a morte: era sufficiente che fosse scacciato lontano nel deserto; era la traduzione sensibile del pensiero del Salmo CIII:12 “Quanto è lontano il levante dal ponente, tanto ha egli allontanato da noi le nostre trasgressioni”».44 Il becco per Azazel faceva “l’espiazione” dei peccati di tutto il popolo d’Israele. Per tale motivo era considerato impuro45 e subiva il giudizio di Dio. Abbandonato nel deserto, moriva d’inedia, di fame, o sbranato da qualche animale. L’Avversario non aveva più ora a che fare con il popolo liberato dal male. Ciò che Israele compiva con le azioni, Giovanni ce lo descrive in Apocalisse XX. Il becco abbandonato nel deserto raffigurava Satana relegato solo, abbandonato in questo mondo reso inabitato ed inabitabile durante il millennio, periodo nel quale la Chiesa ha preso temporaneamente dimora nel cielo. Sulla terra deserta, desolata a causa del male commesso, l’Avversario attende la morte e il tempo della sua distruzione.46 In conclusione, nel giorno dell’espiazione, il peccatore sceglieva il suo capro e si identificava col personaggio da esso rappresentato. Scegliendo il capro per Yahvé, rinnovava la sua consacrazione, confermava di non aver mutato idea e che il suo pentimento e la sua conversione erano reali. Così egli non solo otteneva il perdono, ma riceveva anche la purificazione. Il peccatore purificato e accettato da Dio era degno di sussistere e veniva, in un certo senso, suggellato: il suo nome veniva scritto nel libro della vita. Al peccatore impenitente il capro per Azazel raffigurava il suo destino, la sua fine. Tutto ciò che veniva celebrato durante l’anno in Israele era figura e ombra di quanto si sarebbe dovuto realizzare nel corso dei secoli in terra, nel compimento del Gerusalemme! Qui, la purificazione annuale è l’atto santo per eccellenza, l’atto supremo del culto, solo il sommo sacerdote può compierlo; questo atto lo introduce alla presenza di Dio, lo rende grande agli occhi del popolo, di cui è in quel giorno il benefattore e il salvatore» P.A. Médébielle, o.c., pp. 119,111,112. 43 Yoma, 6, 5; cit. P.A. Médébielle, o.c., p. 99. 44 P.A. Médébielle, o.c., pp. 99,100. 45 Levitico 16:10,26. Gli animali sacrificati per il peccato erano santi e santissimi, vedere Levitico 6:18,25; 7:1. Questa capro era considerato impuro, perché caricato dei peccati del popolo, non veniva sacrificato. Questo capro si differenziava da quello che veniva sacrificato ed era considerato «cosa santissima», come intenzionalmente più volte ribadisce il testo sacro: Levitico 6:25,29; 7:1,6; 10:17; Numeri 18:9,10. 46 Vedere Apocalisse 20. Quando la profezia diventa storia
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piano della salvezza, e nel santuario celeste, di cui la tenda di convegno era la rappresentazione figurata. L. Ligier osserva che «le due feste (Rosh Hashanah e dello Yom Kippur) hanno la loro importanza in un comune tema escatologico: la determinazione del destino della comunità, individuale e universale».47
Il santuario celeste nell’Antico Testamento Oltre ai brani citati con i quali abbiamo detto che Dio ordinò a Mosè di costruire un santuario secondo il tipo presentatogli sul monte, i credenti dell’antica dispensazione conoscevano la realtà del santuario celeste. Diversi Salmi menzionano un “santuario”, o un “tempio” situato nel cielo.48 I profeti Isaia, Michea, Habacuc e Giona testimoniano della sua realtà.49 Lo stesso profeta Daniele, che noi considereremo nel corso di questo capitolo, ci offre un valido contributo.
Il santuario celeste nel Nuovo Testamento Giovanni, nell’Apocalisse, nel descrivere la rappresentazione figurata della realtà, ci offre dei dettagli precisi stabilendo una distinzione tra cielo, in quanto cielo, realtà geografica, e il santuario che è nel cielo.50 Esso è di dimensioni enormi. Vi si possono riunire miriadi e miriadi di angeli,51 in esso si decidono i destini degli uomini e da lì provengono i giudizi divini.52 Gli arredi tipologici della tenda di convegno di Mosè vengono anche visti da Giovanni nella visione che ha del santuario del cielo. Vi vede l’arca del patto e il trono sul quale l’Eterno è seduto53 facenti parte del luogo santissimo. Del luogo santo presenta l’altare d’oro (che era davanti al trono e sul quale si bruciavano i profumi che si univano alle preghiere dei santi) e il candelabro dalle «sette lampade ardenti, che sono i sette Spiriti»54. Il tema del santuario celeste si ritrova ampiamente trattato, come vedremo nell’epistola agli Ebrei. In essa si sottolinea in diversi testi che il “vero” santuario è nel cielo e che quello che era stato costruito sulla terra non era che una «immagine e ombra».55 In questo santuario, che non è stato costruito da mano d’uomo, Cristo Gesù
47
LIGIER L., Peché d’Adam et Peché du Monde, Aubier, 1960, p. 215; cit. S. Bacchiocchi, o.c., p. 72. Salmo 63:3; 68:36; 96:6; 150:1; 60:8; Salmo 11:4; 18:7. 49 Isaia 6:1; Michea 1:2,3; Habacuc 2:20; Giona 2:7. 50 Apocalisse 11:19; 14:15,17; 15:5. 51 Apocalisse 5:11. 52 Apocalisse 14:15-20; 15:5-8. 53 Apocalisse 11:19; 4:1,2; 7:15. 54 Apocalisse 4:1,2; 7:15; 8:3; 4:5. 55 Ebrei 9:24; 8:2,5. In tutto questo insegnamento biblico non c’è nulla del concetto filosofico di Platone o del platonismo-filoniano. 48
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compie la sua opera come ministro, nella funzione di Sacerdote e di Sommo Sacerdote.56 Il suo sacerdozio viene anche presentato come superiore a quello dei leviti, essendo dell’ordine di Melchisedec, cioè non fondato su una legge di successione familiare, ma su una potenza di vita indistruttibile, apportatrice di migliore speranza, perché capace di effettuare l’idea del sacerdozio ch’è quella di avvicinare l’uomo a Dio, operando la riconciliazione tra l’uomo e Dio. Infatti questo Sommo Sacerdote è: «perfetto», «misericordioso», «fedele», «grande», «senza macchia», «assolutamente senza peccato», «santo, innocente, immacolato, separato dai peccati... il quale non ha ogni giorno bisogno, come gli altri sommi sacerdoti, d’offrire dei sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo; perché questo egli ha fatto una volta per sempre, quando ha offerto se stesso».57 Melchisedec, sacerdote dell’Eterno, re di Salem (antica Gerusalemme), appare per la prima e unica volta nella Genesi al tempo di Abramo. Di lui non si conosce né il padre né la madre e la Bibbia per questo lo presenta quale tipo del Sacerdote le «cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni».58
Il ministero redentore di Cristo sulla terra Tre sono gli aspetti fondamentali dell’opera di redenzione del Cristo. Il punto centrale dal quale derivano anche gli altri due è il primo: il sacrificio compiuto da Cristo stesso una volta per sempre sul Golgota. Il secondo è l’opera redentrice inaugurata da Gesù nel cielo a seguito della sua ascensione e manifestata con la discesa dello Spirito Santo. Frédéric de Rougement così si esprimeva a tale proposito: «L’opera di salvezza operata sulla croce non termina bruscamente alla tomba del Salvatore. Essa prosegue nei cieli; poiché Gesù Cristo ha prodotto una redenzione eterna, ed egli esercita presso Dio il sacerdozio che non può passare, essendo per sempre vivente per intercedere in nostro favore e per propiziare i nostri peccati... Qui si offre a noi tutto un ciclo di verità rivelate che non ha per nulla preso il suo posto nella coscienza e nella teologia della chiesa».59 É. Guers scriveva: «Gesù Cristo ha cominciato il suo sacerdozio alla croce con l’oblazione del suo corpo, e lo completa ora nel cielo con la sua intercessione». Il compito del sacerdote in Israele era quello di presentare Dio al popolo e il popolo a Dio. Cristo Gesù, quale Sacerdote e sommo Sacerdote, realizza nella forma più completa questa figura; nella sua persona di crocifisso e resuscitato presenta l’umanità salvata al Padre e l’Eterno agli uomini. È lui che veramente ha portato «le 56
Ebrei 8:2; 7:15; 8:4; 10:21; Ebrei 2:17; 3:1; 4:14; 5:5,10; 6:20; 7:26; 8:1; 9:11. Ebrei 2:10; 4:15; 5:1-3; 2:17; 3:2; 4:14; 7:26; 7:27. 58 Ebrei 7:3; Genesi 14:18 e seg.; Michea 5:1. 59 ROUGEMONT Frédéric de, Un Mystère de la Passion et la théorie de la Rédemption, Neuchâtel 1876, pp. 495,496. Vedere Ebrei 9:12; 7:24,25,17. 57
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iniquità commesse dai figlioli d’Israele», se le è caricate su di sé60 cioè si è impegnato a sradicarle dal cuore dell’umanità, portarle con sé nella morte, liberando così la sua Chiesa dal male. È lui che ha reso visibile all’uomo il volto del Padre. Il terzo aspetto dell’opera di redenzione si compirà al suo ritorno quando apparirà «una seconda volta a quelli che l’aspettano per la loro salvezza».61 A conclusione di ogni fase dell’opera di redenzione si dichiara: «È compiuto».62
Il ministero redentore di Cristo nel santuario celeste Il santuario celeste è reale come abbiamo presentato sopra e non lo si può confondere con il cielo stesso, come hanno fatto alcuni esegeti.63 Ugualmente il santuario celeste fa sorgere una domanda: “Come è fatto?”. Non ci è possibile rispondere, dovremmo, per poterlo fare, essere di già nella dimensione eterna. La nostra mente può concepire solamente le cose di questa creazione quindi questo santuario non deve essere compreso in funzione delle nostre categorie di tempo e di spazio. Possiamo capire la realtà del santuario celeste proiettando in esso gli insegnamenti che scaturiscono da quello terreno. Alla domanda: “I1 santuario è letterale o simbolico?” gli Avventisti che hanno accettato questa dottrina, facendone uno degli insegnamenti fondamentali della propria teologia, rispondono: «Se con la parola “letterale” si pensa che noi concepiamo il santuario celeste fatto di mattoni e di calce, rispondiamo: “No”. Se nell’altro senso, con la parola “simbolico” si pensa a qualche cosa di irreale, mitico, immaginario o visionario, la risposta sarà di nuovo: “No”. Noi comprendiamo che, come il trono di Dio è reale, il santuario o tabernacolo che è nel cielo deve per forza essere reale».64 «La testimonianza della parola è che il tempio nel cielo è una superba realtà, una realtà divinamente ispirata, reale come Dio stesso. È il centro del comando dal quale tutte le sue sublimi promesse prendono la loro origine e si concludono». 65 Il santuario terreno differisce da quello celeste nel senso che non lo riproduce come specchio, ma si identifica con esso nel rappresentare l’opera che vi viene compiuta. Come abbiamo detto, il santuario celeste ha una dimensione incalcolabile e, sebbene la Bibbia ce lo presenti nella sua divisione, luogo santo e luogo santissimo, non dobbiamo però pensare che Gesù debba spostarsi per passare da un luogo all’altro 60
Esodo 28:38; Isaia 53:11. Ebrei 9:28. 62 Giovanni 19:30; Apocalisse 15:8; 21:6. 63 CASTEL S. Pietro Teodorico da, Epistola agli Ebrei, in La Sacra Bibbia, ed. Marietti, Torino 1964. JAVET Jean Samuel, Dieu nous parle, Commentaire de l’Épître aux Hébreux, Delachaux & Niestlé, Neuchâtel - Paris, 1945, p. 82. 64 FROOM Le Roy Edwin, Seventh-Day Adventist Answers - Questions in Doctrine, Washington D.C. 1957, p. 365. 65 FROOM Le Roy Edwin, Movement of Destiny, Washington D.C. 1971, p. 544; cit. ABIUSI Michele, Le Sanctuaire dans l’Epître aux Hébreux, tesi presentata al Seminaire Adventiste, Collonges sous Salève 1974; p. 31. 61
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per compiere la sua funzione. Nel santuario celeste non c’è un luogo molto santo e uno meno santo. Del resto non è possibile che vi possa essere nel cielo un luogo più santo di quello in cui si trovi il Cristo stesso. Ciò che Mosè e Giovanni hanno visto nel cielo non sono tanto gli oggetti materiali che troviamo rappresentati nella tenda di convegno, quanto le varie funzioni successive da essi rappresentati. Il passaggio di Gesù dal luogo santo al luogo santissimo non significa il superamento di un certo spazio, ma il passare da una funzione all’altra. Non la sostituzione di una funzione con un’altra, ma l’aggiunta di una all’altra, da Sacerdote a Sommo Sacerdote, perché Gesù alle funzioni del servizio continuo di ogni giorno aggiunge quella del giudizio che, come vedremo, è già iniziata per poi concludere con quella speciale del grande giorno dell’espiazione.
Gesù, Sommo Sacerdote nel santuario celeste rappresenta i credenti e li soccorre Gesù è morto sulla croce «a causa dei nostri peccati, ma è stato risuscitato dal Padre in vista della nostra giustificazione».66 Gesù, dopo aver «espiato l’iniquità, ha portato una giustizia eterna, suggellato visione e profezia», è salito in cielo «per ungere un luogo santissimo», cioè consacrare il santuario celeste per la sua opera di mediatore tra Dio e gli uomini.67 Quanto fatto da Gesù sulla terra per salvare gli uomini viene completato con il suo essere presente nel santuario celeste accanto al Padre dove, nella sua duplice natura di Dio e uomo, nella santità della sua vita, quale sommo Sacerdote manda sui suoi discepoli, come aveva promesso, il dono dello Spirito Santo. La Pentecoste rivela che la seconda fase dell’opera di salvezza è già cominciata. Il Nuovo Testamento a più riprese testimonia che, dopo la sua ascensione, Gesù è stato posto e si è posto a sedere alla destra della maestà divina.68 Questa elevazione realizzava le profezie dell’Antico Testamento perché «l’Eterno ha detto al mio Signore: siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi»69, e ciò che Dio aveva giurato a Davide dicendogli: «Io innalzerò al trono dopo 66
Romani 4:25. Daniele 9:2; 1 Timoteo 2:5. 68 Efesi 1:20; 2:6; Ebrei 1:3,13; Atti 2:33; ecc. 69 Salmo 110:1. «L’applicazione messianica non è indiretta; essa è al contrario quella che si presenta a prima vista... Senza dubbio, i colori del quadro sono presi dall’ambiente nel quale viveva il salmista, alle idee e ai costumi del tempo... Ciò che dona al salmo il suo carattere proprio non è applicabile né a Davide, né alla dignità reale israelita nel suo insieme. È il caso in particolare del versetto 4, in cui si dichiara che il re al quale Dio sottomette il mondo è nello stesso tempo sacerdote per sempre. Si sa con quale cura gelosa il sacerdote israelita ha costantemente fatto rispettare i diritti esclusivi che la legge divina gli attribuiva, diritti interamente distinti da quelli della regalità e come furono rigorosamente puniti i capi politici che tentarono in questo qualche empietà. Ricordiamo l’esempio di Uzzia che fu colpito dalla lebbra per aver osato prendere il turibolo e offrire i1 profumo nel luogo santo (2 Cronache 26:16-21; Giudici 8:27). Ora, ecco un Salmo che parla di un monarca rivestito dall’Eterno del doppio incarico di re e di sacerdote, e questo non a titolo temporaneo, ma d’una maniera permanente e definitiva. E questa unione, questa fusione dei due poteri è presentata come una cosa così realmente nuova, così pure strana, dal punto di vista della tradizione israelitica, che il decreto divino, in virtù del quale si pronuncia, è suggellato da un giuramento 67
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di te, la tua progenie»,70 ed è anche la realizzazione di ciò che Gesù stesso disse ai suoi giudici: «Da ora innanzi il Figlio dell’uomo sarà seduto alla destra della potenza di Dio».71 Sul suo trono Cristo non è nell’inoperosità72, continua la sua azione interrotta al Calvario per la sua Chiesa, è presente accanto al Padre quale nostro rappresentante a significare che il posto che occupa un giorno sarà occupato da ogni credente. «“Seduto alla sua destra” o “alla destra”, è un’espressione figurata, presa dagli usi dei re della terra, e che indica l’onnipotenza divina data al Figlio di Dio dopo il suo trionfo».73 E il posto d’onore per eccellenza74 indica la partecipazione al regno. Partecipando alla gloria e alla potenza di Dio, protegge la sua Chiesa, la sostiene dandole le grazie e le liberazioni di cui essa ha bisogno, trionfando su tutti coloro che si oppongono a lui.75 L’essere “seduto” «non implica l’idea di riposo, bensì quella dell’esercizio attivo e regale affidato al Cristo per condurre al compimento l’opera della redenzione. “Egli ha da regnare finché abbia posto sotto ai suoi piedi tutti i suoi nemici” compresa la morte».76 È grazie a questa posizione del Cristo che la Chiesa stessa è seduta nei luoghi celesti, perché i credenti sono morti al peccato per essere risuscitati viventi a Dio in Cristo Gesù e avendo la loro vita nascosta con Cristo in Dio.77 Per conoscere la pienezza della nostra vittoria sul mondo, per credere che Gesù ha trionfato sulla morte, aggiungiamo che il Signore è entrato ormai nel suo regno universale ed eterno, e che vi è entrato con la nostra natura umana, per farci partecipi al suo dominio su tutte le potenze avverse Se prima il trono della maestà di Dio poteva apparire all’uomo, nella sua coscienza di peccato, come il trono della giustizia che suscita paura, ora, in Cristo, esso è il trono della giustizia che è grazia. Da qui l’invito: «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia... e troviamo grazia per essere soccorsi al momento opportuno».78
dell’Eterno!... La profezia del nostro Salmo non ha analogia, nell’Antico Testamento, che nella visione di Zaccaria 6:9-13, che parla in termini molto chiari di un re elevato alla funzione di sacerdote» La Bible Annotée, o.c., Les hagiographes, t. I, Ecclésiaste, Neuchâtel 1898, p. 293. 70 2 Samuele 17:12,13. «La promessa si riferisce prima di tutto all’elevazione del figlio sul trono di suo padre, come lo prova il versetto 13 e le parole parallele di 1 Cronache 28:5,6; ma nello stesso tempo è manifestato che, nella persona di Salomone, è compresa la sua discendenza tutta intera, poiché i versetti 14,16 non hanno senso che ammettendo l’estensione di questa promessa a tutta la razza di Davide» La Bible Annotée, o.c., Les livres Historiques, t. III, Neuchâtel 1892, p. 296; Atti 2:23,24,33,30. 71 Luca 22:69. 72 1 Corinzi 15:25. 73 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. III, Épîtres de Paul, Lausanne , 3a ed., 1892, p. 374. 74 1 Re 2:19. 75 Vedere, L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 29. 76 BOSIO E., Commentario Esegetico-Pratico del Nuovo Testamento, L’Epistola agli Ebrei, Claudiana, Firenze 1904, p. 3. 77 Efesi 2:5; Romani 6:3,11; Colossesi 3:3. 78 Ebrei 4:16.
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Tutto questo è possibile perché «non c’è ora alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù, (perché) chi accuserà gli eletti di Dio? Iddio è quello che li giustifica. Chi sarà quel che li condanni? Cristo Gesù è quel che è morto e più che questo, è risuscitato; ed è alla destra di Dio; e anche intercede per noi».79 Gesù non intercede presso il Padre allo scopo di intenerirlo nei nostri confronti. Dio non ha bisogno di nessuna supplica, è lui che ci ha amati avanti la fondazione del mondo. È lui che ci amava quando ancora noi gli eravamo nemici.80 «Il verbo entugchanein (intercedere) significa propriamente incontrare uno, venirlo a trovare per conversare con lui».81 Gesù si presenta al Padre alla maniera del Sommo Sacerdote che entrava nel tabernacolo di Mosè portando sul pettorale i nomi delle dodici tribù d’Israele. Stefano, nel momento in cui il potere di questo mondo lo accusava e lo condannava lapidandolo, vide colui il cui dominio e regno sono eterni nel compimento della sua funzione «attraverso i cieli aperti... in piè alla destra di Dio».82 «Stefano lo vede in piedi... a differenza di altri passi, (nei quali viene detto che è seduto), Gesù non appare come giudice, ma piuttosto come testimone, come avvocato»83 cioè come soccorritore, come paracleto che viene da Dio, garante della sua (di Stefano) giustizia e salvezza, questo perché «può salvare appieno quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, vivendo egli sempre per intercedere per loro».84 «Questa intercessione è continua, (cioè questo suo essere presente davanti al Padre è costante). Gesù Cristo raccoglie tutte le nostre preghiere e vi aggiunge il suo amore onnipotente. Cominciate sulla terra, nel fondo dei nostri cuori, spesso rotte e accasciate, si completano nella sua bocca divina. Egli porta davanti al Padre i nostri desideri, le nostre aspirazioni, le nostre tristezze, e essendo egli la parola eterna, cioè l’espressione perfetta del pensiero della divinità e della volontà di Dio, la sua preghiera è esaudita ancora prima di essere formulata».85 Quindi «figlioletti miei io vi scrivo queste cose affinché non pecchiate; e se alcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato, paracleto, presso il Padre, cioè Gesù Cristo, il giusto».86 A torto si è tradotto paracleto per avvocato, come se Gesù dovesse difendere i suoi fratelli da qualcuno: «Iddio è quel che li giustifica» dice Paolo.87 I1 termine greco è lo stesso che Gesù ha espresso nella camera alta quando, parlando agli apostoli, prometteva colui che sarebbe accorso accanto a loro per consolarli, incoraggiarli, sostenerli, aiutarli, cioè la persona dello Spirito Santo. Essendo egli, Gesù, il 79
Romani 8:1,33,34. Romani 5:6-8; Giovanni 3:16. 81 «Atti 25:24. L’atto può essere contro uno “katà”, Romani 11:2; o a favore uper di uno ed è allora un intercedere presso altri in suo favore (Romani 8: 27, 34)» E. Bosio, o.c., p. 46. 82 Atti 7:56. 83 CULLMANN Oscar, Christologie du Nouveau Testament, Neuchâtel 1968, p. 158; confr. p. 136. 84 Ebrei 7:25. 85 PRESSANSÉ Edmond de, Le Rédempteur, Paris 1854, p. 365. 86 1 Giovanni 2:1. 87 Romani 8:32. 80
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consolatore, può dire dello Spirito Santo: Io vi mando «un “altro” consolatore».88 Nel cielo quindi, scrive Giovanni, c’è colui che è pronto a venire in aiuto, a soccorrerci tutti i giorni, di fronte a tutte le nostre tentazioni. È salito in cielo per continuare la sua opera di rigeneratore. È a lui che abbiamo affidato la nostra vita, e in lui noi siamo sul propiziatorio, sul trono di Dio. La comunione con lui ci permette di credere che la vittoria sarà sicura perché è lui che ci viene in aiuto nella persona dello Spirito Santo, come ha promesso, per sostenerci nei momenti di debolezza, consigliarci nelle difficoltà della vita; consolarci nella sofferenza. Cristo in piedi o seduto sul trono di Dio, sul propiziatorio, compie la funzione di intercessore, cioè di nostro rappresentante, colui che ci rappresenta davanti al Padre, come il sacerdote compiva questa opera nel luogo santo del tabernacolo, e invita la Chiesa a fare l’esperienza del luogo santissimo, di una vita vissuta e sviluppata secondo la legge di Dio iscritta nel proprio cuore, secondo quanto stabilisce il nuovo patto. Per questo motivo nel luogo santissimo «Gesù è entrato per noi quale precursore, essendo diventato Sommo Sacerdote in eterno» e ci invita ad «accostarci con piena fiducia al trono della grazia».
Gesù Sommo Sacerdote nel santuario celeste durante il giudizio e sua opera di purificazione Alla fine dell’anno, nel gran giorno delle espiazioni, un sacrificio solenne d’espiazione-purificazione finale veniva fatto. Il sommo sacerdote penetrava allora nel luogo santissimo con il sangue dell’animale immolato; una cerimonia di purificazione era compiuta; in seguito alla quale tutti i peccati ritualmente accumulati nel santuario durante l’anno erano posti sulla testa di un altro animale simbolico che era cacciato fuori del campo israelita, nel deserto dove periva. L’opera sacerdotale che il Cristo compie nel cielo si realizza in due fasi: a) un’opera di rappresentanza del credente a garanzia della sua presenza futura nel regno di Dio e di soccorso in suo favore, cominciata a seguito dell’ascensione del Cristo, che continuerà fino alla fine del tempo di grazia.89 In questo tempo i peccati commessi dai credenti contaminano il santuario. Essi vengono perdonati condizionatamente e provvisoriamente; b) Dio compie un’opera di giudizio che avrà come risultato, usando una immagine dell’evangelo, la separazione delle pecore dai capri quando Gesù ritornerà. In questa fase di giudizio il Signore è il rappresentante e garante di coloro che saranno salvati. Alla fine del giudizio i peccati commessi dai salvati verranno definitivamente cancellati. Il santuario e il popolo verranno purificati, il Figlio 88
Giovanni 14:16. «Fino alla fine del tempo di grazia» è il periodo entro il quale avviene la predicazione dell’Evangelo. Quando l’umanità, a seguito della predicazione dell’Evangelo, ha fatto la sua scelta di fedeltà o di rifiuto allora finirà il tempo nel quale si annuncerà la grazia del Signore e le ultime piaghe, descritte in Apocalisse 16, cadranno su questo mondo. Vedere nostro Capitolo XVII. 89
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IL GIUDIZIO CHE PRECEDE LA VENUTA DEL SIGNORE
dell’uomo si accosterà al Padre e riceverà dominio, gloria e il regno su un’umanità salvata. Al suo ritorno le colpe dei salvati verranno attribuite al vero autore di ogni male.
Giudizio preliminare, suo inizio nella storia e purificazione del santuario celeste Giudizio preliminare Dopo aver descritto le caratteristiche del potere nemico del popolo di Dio, il piccolo corno, Daniele in forma poetica scrive: «Io continuai a guardare fino al momento in cui furono collocati dei troni, e un vegliardo si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo erano come lana pura; fiamme di fuoco erano il suo trono e le ruote di esso erano fuoco ardente. Un fiume di fuoco sgorgava e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi gli stavano davanti. Il giudizio si tenne e i libri furono aperti. Allora io guardai a motivo delle parole orgogliose che il corno proferiva; finché la bestia non fu uccisa ed il suo corno distrutto, gettato nel fuoco per essere arso. Quanto alle altre bestie il dominio era stato loro tolto; ma fu loro concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato. Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo;90 90
In considerazione del carattere simbolico della visione si è creduto che il Figlio dell’uomo fosse una personificazione del popolo di Dio che viene menzionato poi nei versetti 19 e 27. Per il rabbino Eben-Ezra, G. DUPON, p. 8, si tratta d’Israele. G. LUZZI, p. 299; G.A. KRUEGER, p. 824; S.R. NOYER, t. I, 1890, pp. 356,357; M. POMMERET, p. 11: sarebbe l’Israele spirituale; M. VERNES, Encyclop., p. 588: il regno messianico. Scrive il Maestro A.F. Vaucher che non è raro trovare, in una visione simbolica, degli elementi con un carattere visibilmente letterale. Il Figlio dell’uomo non è più simbolico dell’Antico dei giorni (l’Eterno) che gli dà l’investitura (versetti 8,14). È quanto ha ben visto BARNES Alber, Notes on the Book of Daniel, New York 1853, 1881, ed. Henderson, Edimburg 1853 pp. 67, 69: «È da rilevare che Daniele non cerca qui di servirsi di un simbolo. La presentazione dei simboli cessa con la quarta bestia; ora la descrizione riveste una forma letterale, ... lo stabilimento del regno del Messia e dei santi. ... Lo scrittore sacro sembra aver evitato con cura di rappresentare il Messia con dei simboli. Il titolo impiegato così frequentemente dal Salvatore; la menzione delle nuvole dei cieli; il posto che questo frammento occupa, immediatamente prima dello stabilimento del regno dei santi; e il fatto che questo regno non possa Quando la profezia diventa storia
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egli giunse fino al vegliardo e fu fatto accostare a lui. E gli furono dati dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno, un regno che non sarà distrutto».91 Esaminando questo brano non si può non concludere che il giudizio si svolge nello stesso tempo in cui la storia sulla terra continua, prima del grande giorno. Daniele dice: «Io continuavo a guardare». «La ripresa di questa espressione indica che sta avvenendo qualcosa di nuovo».92 «Dei troni», ciò fa supporre un tribunale che si compone di giudici, «furono collocati».93 «Un antico dei giorni si assise». Questo antico dei giorni è l’Eterno stesso: «Il vivente dell’eternità».94 La sua «veste era bianca come la neve95 e i capelli del suo essere stabilito che dal Messia; tutto ciò mostra che il personaggio in questione non potrebbe essere che il Messia». Leone TONDELLI, Il Disegno divino nella Storia, Torino 1947, p. 154, spiega:. «Alla fine della profezia (versetto 27), il regno sembra essere conferito al popolo dei santi, del quale si è potuto concludere che l’espressione Figlio dell’Uomo indichi una collettività; nello stesso modo che gli imperi precedenti erano rappresentati da bestie feroci, così il regno dei santi sarebbe rappresentato dal Figlio dell’Uomo. Ma il regno dato ai santi dall’Altissimo non esclude un re al quale questo regno è conferito. La scena nella quale il Figlio dell’Uomo è presentato all’Antico dei giorni che gli conferisce un potere illimitato (versetti 13,14), riveste dei caratteri strettamente personali. Il valore personale è confermato da una parte dalla concezione profetica anteriore che univa il regno messianico a un re davidico, e dall’altra parte dall’interpretazione data più tardi da Gesù Cristo stesso». Vedere Eusebio in MIGNE, P.G., XXIV, col. 525, 526; stesso pensiero in J.C.L. COPPENS, Miscellanea Bibliques, 1970, pp. 55-108; F. OGARA, pp. 228-232; J. TYCIAK, p. 15; Ortensio da Spinetola URBANELLI, pp. 597-600. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia. 91 Daniele 7:9-14. Per il versetto 12 vedere versione Sisto-Clementina, Rinaldi. Nel capitolo 7 Daniele ha tre parti importanti scritti in poesia: versetti 9,10,13,14,23,27. I primi due sono nel nostro testo e descrivono le scene celesti. Solo le scene celesti sono descritte in poesia. Nessuna scena terrestre è riportata in poesia, e nessuna scena celeste è descritta in prosa. La distinzione dei due generi letterali riteniamo che sia volutamente intenzionale. Alle «potenze che salgono dal mare, l’autore sacro contrappone una scena celeste di elevata e pacata serenità. I versetti 9,10,13,14 hanno una struttura ritmica; anche il linguaggio assume una tonalità elevata e misurata, quale si conviene al mondo celeste» W. KESSLER, Zwischen Gott und Weltmacht, CalwK 22, 1956, p. 91; cit. da SCHEDL Claud, Storia dell’Antico Testamento, ed. Paoline, Roma, 1966, p. 69. 92 La Bible Annotée, o.c., Les prophètes, t. II, Daniel, p. 289. 93 La parola “remiv” dell’originale può appartenere a due verbi diversi: “rum” o “ramah”, che il profeta usa sovente e che vogliono dire: “essere elevato”, “innalzato”, e “gettato giù”, “rovesciato”. Nel primo senso indicherebbe il trono di Dio quale giudice e quelli degli angeli quali suoi assessori che siedono attorno a lui a migliaia. Nel secondo senso i troni sono “gettati giù” dal cielo. «Sembra che si debba presentare questo giudizio come se si passasse sulla terra o almeno tra cielo e terra» Idem. In questo senso si può pensare ai santi, cioè alla Chiesa, testimone del giudizio di Dio e lo annuncia al mondo con le parole: «Temete Iddio e dategli gloria perché l’ora del suo giudizio è giunta» Apocalisse 14:6. Entrambe le spiegazioni possono essere accettate. 94 Deuteronomio 33:27. «Antico dei giorni, espressione che ricorre quasi identica nei papiri di Elefantina, è Dio (confr. Apocalisse 1:14-16) la cui longevità eterna è considerata in una serie infinita di giorni. Il concetto ha origini bibliche (Giosuè 36:26; Salmo 102:24-28; Isaia 41:4; ecc.) e non ha bisogno d’essere derivato dal vecchio Abzu della cosmogonia babilonese, né da Kronos o dal dio Tempo del mondo hurrita-hittita, né da Zeus, né dal mondo dei Fenici e dei Cartaginesi. Il trono di Dio si distingue per il fuoco inteso come variazione (Ezechiele 1:13; 10:2) della solita messa in scena delle teofanie tra lampi e tuoni (Esodo 3:2 e seg.; 19:18; 20:18) per designare l’inaccostabilità divina. Non si deve vedere l’influsso del persismo nel giudizio tramite il fuoco e nei metalli fusi o del fuoco purificatore elemento degli stoici. Nella Bibbia il fuoco è l’elemento proprio della divinità (Deuteronomio 4:24; 33:2; 1 Timoteo 6:18; Ebrei 12:29) e l’espressione simbolica dell’ira divina (Atti 7:4 e seg.; Salmo 50:3; Nahum 1:6)» VATTIONI Francesco, La Bibbia, t. II, Daniele, ed. Marietti, pp. 1087,1088. 95 Simbolo della purezza perfetta (Marco 9:3).
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capo come lana pura;96 fiamme di fuoco erano il suo trono e le ruote d’esso erano... fuoco ardente.97 Una fiamma di fuoco sgorgava e scendeva dalla sua persona;98 mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi gli stavano davanti.99 Il giudizio si tenne». Quest’ultima espressione viene tradotta in diversi modi: «Il giudizio si tenne», «la seduta giudiziale incominciò», «Egli (l’Eterno) si sedette», «la corte sedette».100 «I libri furono aperti». Questi libri sono l’emblema dell’onniscienza di Dio che conserva la conoscenza distinta di tutte le azioni umane. Rappresentano una specie di archivio che si tiene nel cielo. L’esame di questi dossier, qualunque sia il loro genere, è una illustrazione implicita del giudizio. «Ecco perché il giudizio celeste è per natura un giudizio investigativo. La frase “il giudizio si tenne”, implica una certa forma di deliberazione, e il riferimento ai libri aperti conferma l’azione d’investigazione. Certamente questi “libri” contengono i rapporti che devono essere esaminati nel corso di queste sessioni».101 L’abate A. Crampon scriveva: «Sovente altrove è il Messia incaricato di giudicare,102 ma qui si tratta non del giudizio ultimo, ma di un giudizio preliminare, anteriore e preparatorio a quello e nel quale il Padre sottometterà a suo Figlio i suoi nemici».103 Lo stesso L. Gaussen diceva: «Io non penso che in questi versetti, si tratti propriamente del giudizio ultimo» e interpretava questa descrizione come il giudizio di Dio sui regni costituitisi sull’antico impero latino.104 Il pastore presbiteriano americano Thomas Robinson scriveva: «Non si tratta qui del giudizio generale al termine del regno intermediario del Cristo, che convenzionalmente si chiama fine del mondo. Sembra piuttosto che si tratti di un giudizio invisibile esercitato dietro il velo e che non si manifesterà che per i suoi effetti e per l’esecuzione della sua sentenza, causato dalle grandi parole del piccolo corno e seguito dalla spartizione del suo dominio, ci sarebbero delle ragioni per pensare che sia di già cominciato».105 «Allora io guardai». Precisa La Bible Annotée: «Questo raddoppiamento di attenzione è spiegato dalla frase seguente: a causa delle parole orgogliose che il corno proferiva. È bene notare che, sebbene il tribunale sia di già in assise, la bestia continua nondimeno a proferire delle parole orgogliose. - La ripetizione della parola “io guardavo” e l’espressione “fino a che” indica che questo stato di cose si prolunga per un certo tempo. Questa coesistenza del tribunale e della quarta bestia è
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Simbolo della santità. Una descrizione più particolareggiata la troviamo in Ezechiele 1:4-14. 98 È l’emblema della vita divina che irresistibilmente si spande in tutto l’universo. 99 È la corte celeste (Salmo 68:18; 1 Re 22:19; Deuteronomio 33:2; Salmo 103:20). 100 Vedere: Luzzi, ed. Salani, La Bible Annotée, Rinaldi. 101 SHEA H. William, Études sur l’interprétation prophétique, Washington 1992, p. 135. 102 Salmo 2:7: Isaia 11:4. 103 CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. V, Daniel, Paris 1900, p. 688, nota. 104 GAUSSEN Louis, Daniel le prophète, t. III, Paris 1849, p. 44 105 ROBINSON Thomas, A homiletical Commentary on the Book of Daniel, New York 1892, p. 139; cit. da A.F. Vaucher, Le Jugement, p. 12. 97
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un particolare che non bisogna negligere. Si vede che i fatti qui enumerati non sono assolutamente successivi, ma che essi si sviluppano simultaneamente».106 Riteniamo che sia opportuno riportare le considerazioni di W. Shea sul tempo in cui avviene questo giudizio, secondo il testo del capitolo VII di Daniele. Daniele VII:8-14 1. Il piccolo corno s’innalza; 2. Tre corna vengono abbattute; 3. Parla con arroganza; 4. 5. 6. L’Antico dei giorni viene; 7. Il giudizio si insedia; 8. Il corpo della bestia è bruciato 9. Il Regno del Figlio dell’uomo; 10.
Daniele VII:20-22107 - Il piccolo corno si eleva; - Le tre corna vengono abbattute; - Parla con arroganza - Perseguita i santi; - L’Antico dei giorni viene - Giudizio in favore dei santi; -
Daniele VII:24-27 - Il piccolo corno si eleva; - Le tre corna vengono abbattute; - Parla con arroganza; - Perseguita i santi; - Cambia leggi e tempi; -
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- Il Regno del Figlio dell’uomo - Il Regno ai santi.
- l Regno ai santi.
- Il giudizio si insedierà - Il corno è distrutto
«Il giudizio di Daniele VII, come è presentato nel suo contesto a partire da una analisi letterale, tematica e linguistica, occupa un posto chiave nel contesto profetico. È il giudizio, in effetti, che segna la transizione tra i regni di questo mondo e il regno eterno di Dio. Questo fatto costituisce di già una indicazione dell’epoca di questo giudizio. Ma l’interpretazione degli altri simboli di questo capitolo permettono una cronologia ancora più precisa. È logico affermare che questo giudizio si compia nell’ultima tappa della carriera del piccolo corno. Poiché è allora soltanto che esso è nelle condizioni di compiere tutti gli aspetti della sua opera predetta dalla profezia. Bisogna anche notare che la fine della potenza del piccolo corno costituisce una delle conseguenze di questo giudizio. Abbiamo quindi delle forti ragioni di pensare
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La Bible Annotée, o.c., p 289 Daniele 7:22 viene tradotto: «giunse il vegliardo. Allora il potere di giudicare fu dato ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo che i santi ebbero il regno». Nei confronti di questi santi al versetto precedente il corno faceva guerra. Quando ai santi è stato dato questo potere di giudicare? Se si mantiene questa traduzione si deve pensare a quanto il Nuovo Testamento dice in Matteo 19:28; 1 Corinzi 6:2 e corrisponde a quello che faranno durante il millennio come descritto in Apocalisse 20:4, prima del giudizio universale (20:11-15) e dell’eternità. Se l’espressione «il giudizio fu dato ai santi» viene tradotta, come la grammatica lo permette: «giustizia fu resa ai santi» si ha qui il risultato del giudizio preliminare. Ci sembra che questa traduzione corrisponda meglio all’insieme del testo. I santi oggetto di persecuzione, considerati senza valore, vengono rivendicati dal giudizio del cielo.
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che la data del giudizio si situi in qualche momento dell’ultima fase della carriera del piccolo corno, come è indicato in forma generale nei testi indicati sopra. È l’ultima strofa di questo poema profetico che offre il dato più preciso concernente la data del giudizio. Questa strofa contiene, in effetti, il solo dato cronologico del capitolo, i tre tempi e mezzo, dei versetti 25 e 26. La frase “poi verrà il giudizio” - letteralmente: “poi il giudizio si insedierà” segue immediatamente la menzione cronologica dei tre tempi e mezzo di persecuzione e, utilizzando ancora il verbo all’imperfetto, si dimostra evidente che il giudizio segue cronologicamente la fine del periodo dei tre anni e mezzo. Se si applica il principio giorno-anno a questo periodo di tempo, che altrove è presentato in 1260 giorni,108 e se si mette questo in relazione con gli avvenimenti storici significativi, si arriva alla conclusione che la data del 1798 d.C. segna la fine dei tre tempi e mezzo. L’avvenimento del giudizio dovrebbe dunque cominciare qualche tempo dopo il 1798. La profezia di Daniele VII non determina la fine del piccolo corno, ma piuttosto la fine della sua opera persecutrice. La profezia non precisa neppure quanto tempo bisognerà aspettare dopo i tre tempi e mezzo perché inizi il giudizio. Questa domanda avrà la sua risposta alla luce di Daniele VIII e IX».109 Questo giudizio è una inchiesta, una investigazione dei libri celesti, viene fatto in concomitanza con le parole arroganti del piccolo corno. In quel tempo (dopo il 1844), l’8 dicembre 1854, la bocca orgogliosa proferiva i dogmi più inauditi, quello dell’Immacolata Concezione e, nel 1870, il XX Concilio Ecumenico Vaticano I dichiarava l’infallibilità del proprio capo quando parla ex cathedra.110 Due dogmi di 108
Ricordiamo: Apocalisse 12:6,14. W. Shea, o.c., pp. 130-132. 110 Scrive Mons. Robert GROSCHE: «Definendo nel 1870 l’infallibilità del papa, la Chiesa anticipava, su un piano più elevato, quella decisione storica che oggi viene presa sul piano politico: per l’autorità e contro la discussione, per il papa e contro la sovranità del Concilio, per il Führer e contro il Parlamento» cit. da HASLER August Bernhard, Come il papa divenne infallibile, ed. Claudiana, Torino 1982, p. 5. Riportiamo alcuni passaggi dell’intervento del vescovo Joseph Georg STROSSMAYER che prese la parola durante il Concilio Vaticano I per contestare questo dogma. È ovvio immaginare che il discorso sia stato più volte interrotto da grida e da inviti ad una azione di forza per allontanarlo. «Ho chiesto a questi venerandi monumenti della verità (Antico e Nuovo Testamento) di farmi conoscere se il santo pontefice che qui presiede è veramente il successore di S. Pietro e vicario di Gesù Cristo, nonché dottore infallibile della Chiesa. ... io non ho trovato nulla che si avvicini all’opinione degli ultramontanisti. Inoltre, con mia grandissima sorpresa, io non trovo nei giorni apostolici alcun accenno ad un papa successore di S. Pietro e vicario di Gesù Cristo... Voi ... direte che io sono un blasfemo; ... direte che io sono un pazzo. No, Monsignori, io non bestemmio e neppure sono un pazzo. Ora, dopo aver letto l’intero Nuovo Testamento, io dichiaro di fronte a Dio, con la mano levata verso quel gran crocifisso, che non ho trovato alcuna traccia del papato qual esso esiste attualmente. Se Simone, figlio di Giona, fosse stato quello che noi crediamo essere oggi Sua Santità Pio IX, è sorprendente che Egli (Gesù) non abbia detto loro: “Quando sarò salito al Padre, voi tutti obbedirete a Simone Pietro nella stessa maniera in cui obbedite a me. Io lo stabilisco mio vicario in terra”... Promise loro dodici troni, uno per ciascuno, senza dire che tra questi troni uno sarebbe stato più elevato degli altri, quello di Pietro.... Se Egli avesse desiderato costituire Pietro suo vicario gli avrebbe dato il comando supremo sopra l’intero esercito spirituale. Cristo proibisce a Pietro e ai suoi colleghi di regnare e di esercitare signoria o di avere autorità sopra i fedeli come i re delle nazioni (Luca 22:5). Se S. Pietro fosse stato scelto come Papa, Gesù non avrebbe parlato in quella maniera.... Se Pietro fosse stato considerato Papa, avrebbero i suoi colleghi permesso che egli fosse mandato con S. Giovanni in Samaria ad annunciare l’Evangelo ...? Che pensereste, venerabili fratelli, se in questo momento noi ci permettessimo di mandare Sua Santità Pio IX e Sua Eccellenza Monsignor Plantier al Patriarca di 109
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Costantinopoli per costringerlo a por fine allo scisma d’Oriente?... L’apostolo (Pietro) fu presente al Concilio come pure tutti gli altri, eppure non fu lui a presiederlo, ma S. Giacomo, e i decreti furono promulgati nel nome degli Apostoli, degli anziani e dei fratelli (Atti 15). È forse così che facciamo noi nella nostra chiesa? Più indago, venerabili fratelli, più sono convinto che nelle Scritture al figlio di Giona non fu data la pretesa supremazia.... Lo stesso apostolo (Paolo), catalogando gli uffici della Chiesa, menziona gli apostoli, i profeti, gli evangelisti, i dottori e i pastori. È giusto credere, miei venerabili fratelli, che S. Paolo, il grande apostolo dei Gentili, abbia dimenticato il primo di tali uffici, il papato, se questo fosse stato d’istituzione divina? La dimenticanza m’appare impossibile, proprio come se uno storico di questo Concilio non menzionasse neppure una parola di Sua Santità Pio IX.... Se tale primato (di Pietro) esisteva, se, in una parola, la Chiesa aveva nel suo corpo un capo supremo infallibile nell’insegnamento, avrebbe il grande apostolo delle Gentili tralasciato di farne menzione? Che dirò? Egli avrebbe dovuto scrivere una lunga lettera su questo importantissimo soggetto... Ora a meno che voi non sosteniate che la Chiesa degli Apostoli fosse eretica..., siamo obbligati a confessare che la Chiesa mai fu bella, pura e santa come nei giorni in cui non v’era alcun papa.... Se l’apostolo (Pietro) fosse stato ciò che noi diciamo, cioè vicario di Gesù Cristo in terra, è naturale che egli per primo avrebbe dovuto saperlo. E, se egli lo sapeva, com’è che neppure una volta ha agito da papa? ... Se voi volete sostenere ch’egli (Pietro) fu papa, dovete per naturale conseguenza sostenere altresì che fu ignorante di tale carica. ... la chiesa non pensò mai che potesse esservi un papa. Per sostenere il contrario bisogna interamente ignorare tutti gli scritti sacri. ... Scaligero uomo dottissimo, non esitò a dire che l’episcopato e la residenza di S. Pietro a Roma dovrebbero annoverarsi fra le ridicole leggende... Non trovando alcuna traccia di papato ai tempi degli apostoli, mi dissi: troverò qualcosa negli annali della Chiesa. Ebbene, ... ho cercato un papa nei primi quattrocento anni e non l’ho affatto trovato. ... Agostino.... fu segretario di un noto Concilio. Nei decreti di quella venerabile assemblea è possibile trovare...: “Chiunque s’appellerà a quelli d’oltremare non sarà ricevuto nella comunione d’alcuno in Africa”. I vescovi africani riconoscevano così poco il vescovo di Roma, da minacciare di scomunica chi avesse inteso riferirsi per qualsiasi cosa a lui. ... Una delle leggi di Giustiniano dice: “Decretiamo, dopo la definizione di quattro concili, che il santo papa dell’antica Roma sarà il primo dei vescovi e che l’altissimo arcivescovo di Costantinopoli, che è la nuova Roma, sarà il secondo”. ... L’importanza del vescovo di Roma deriva non da un potere divino, ma dalla nobiltà della città stessa. ... L’imperatore Teodosio II promulgò una legge con la quale stabilì che il patriarca di Costantinopoli doveva avere la stessa autorità di quello di Roma (leg. cod. de sacr. ecc.). I Padri del Concilio di Calcedonia posero i vescovi della nuova e dell’antica Roma sullo stesso piano per ogni cosa anche ecclesiastica (can. 28). ... (Il) vescovo universale S. Gregorio I, credendo che i suoi successori non avrebbero mai pensato di adornarsene, scrisse queste memorabili parole: “Nessuno dei miei predecessori ha voluto prendere questo nome profano, perché quando un patriarca si dà il nome di universale, il titolo di patriarca ne soffre. Lungi dai Cristiani il desiderio di darsi un titolo che porti discredito sui loro fratelli!”. ... Monsignor Dupanloup..., ha detto, e con ragione, che, se noi dichiariamo Pio IX infallibile, dobbiamo necessariamente sostenere che tutti i suoi predecessori furono anch’essi infallibili. Ebbene, venerabili fratelli, qui la storia alza la sua voce ad assicurarci che alcuni papi hanno errato.... Papa Vittore (192) prima approvò il Montanesimo, poi lo condannò. Marcellino (292-303) fu idolatra: entrò nel tempio di Vesta e offrì l’incenso alla dea... Libero (358) consentì alla condanna di Atanasio e fece una professione di Arianesimo per essere richiamato dall’esilio e ristabilito nella sua sede. Onorio (625) aderì al Monoteismo.... Gregorio I (590-604) chiama anticristo chiunque prende il nome di vescovo universale, mentre Bonifacio III (607,608) si fece dare questo titolo dall’imperatore parricida Foca. Pasquale II (1088-1089) ed Eugenio III (1145-1153) autorizzarono il duello; Giulio II (1509) e Pio IV (1560) revocarono tale concessione. Adriano II (867-872) dichiarò validi i matrimoni civili; Pio VII (1823) li condannò. Sisto V (1585-1590) pubblicò una edizione della Bibbia e con una bolla ne raccomandò la lettura; Pio VII condannò tale lettura. Clemente XIV (1769-1774) abolì l’ordine dei Gesuiti, permesso da Paolo III, e Pio VII lo ristabilì.... Se dunque voi proclamate la infallibilità del papa attuale, voi dovete persino provare - il che è impossibile - che i papi non si contraddissero mai l’un l’altro; dovete giungere a dichiarare che lo Spirito Santo ha rivelato a voi che l’infallibilità del papato data soltanto dal 1870. Siete disposti a tanto? Anche se voi faceste passare l’intero Tevere sopra la storia, non potrete cancellarne una sola pagina. ... Papa Vigilio (538) comprò il papato da Belisario, luogotenente dell’imperatore Giustiniano. È anche vero che non mantenne la promessa e non pagò. È tuttavia questo è un modo canonico per arrivare alla tiara? Il II Concilio di Calcedonia lo ha formalmente disapprovato. In uno dei suoi canoni voi leggete che “il vescovo, il quale ottenesse l’episcopato per denaro deve essere rimosso”. Papa Eugenio III imitò Vigilio. S. Bernardo, l’astro luminoso dell’epoca, riprovò il Papa, dicendogli: “Puoi mostrarmi in questa grande città di Roma uno che ti riconosca papa senza aver ricevuto oro od argento?”. Venerabili fratelli, può essere ispirato dallo Spirito Santo un papa che apre una banca alle porte del tempio? Voi conoscete la storia di papa Formoso... Stefano II fece riesumare il corpo di lui vestito degli abiti pontifici, ne fece troncare le dita già use alla benedizione e lo gettò quindi nel Tevere, dichiarandolo spergiuro ed illegittimo. Egli fu poi imprigionato dal popolo, avvelenato e strangolato. ... Romano successore di Stefano, e, dopo di lui, Giovanni X riabilitarono la memoria di Formoso.... Il colto Cardinale Baronio, (annali del 897) parlando della corte papale... dice: “Come appariva la chiesa romana in quei giorni? Quanto infamia? Soltanto cortigiani onnipotenti governavano Roma; erano essi a prendere, dare e togliere prebende vescovili e, orribile a dirsi, giunsero a porre sul trono di S. Pietro i loro
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un’importanza straordinaria per l’unità del cattolicesimo e per la conquista del mondo. Precisava l’abate J. Fabre d’Envieu: «Il piccolo corno è chiamato qui bestia, perché questo corno manifesta, riassunta qui, la bestia stessa di cui esso possiede tutto il veleno: la cattiveria del potere pagano e anti-Dio arriva al suo paradosso in questo corno; ed è in questo corno che la bestia viene definitivamente uccisa».111 Come abbiamo scritto sopra in Israele dal giorno del giudizio, inaugurato con la festa delle trombe, sino al giorno dello Yom Kippur, celebrato dopo dieci giorni, tutti gli abitanti della terra venivano passati in rassegna davanti all’Eterno. L’opera di giudizio preliminare storicamente inizia nell’autunno del 1844. Quest’opera che si compie prima del ritorno di Cristo ha lo scopo di dimostrare agli esseri celesti in che modo la grazia di Dio ha veramente trasformato il cuore degli uomini e il suo amore ha preso fissa dimora nella loro vita. «In un universo in cui milioni di esseri sprofonderanno nelle tenebre eterne, Egli (Dio) deve giustificare l’elezione a vita eterna di quelli che credono».112 «Lo scopo di questa investigazione ... non è quello di permettere a Dio di accertare la verità su ognuno, ma piuttosto di esporla, di rivelarla al suo universo morale».113 Questo giudizio preliminare esprime una sentenza: - sul piccolo corno, sui nemici di Dio e del suo popolo: Daniele VII:11,26; Apocalisse XIX:2, che comporta: a) l’esautorazione del piccolo corno, b) la sua distruzione (versetto 27), c) al ritorno di Gesù, la resurrezione di una parte degli ingiusti che subiranno poi una eterna infamia (XII:2); - sulla Chiesa: 1 Pietro IV:17114 che comporta: amori”. ... perché Genebardo, il grande adulatore dei papi, osò dire nelle sue Cronache per l’anno 901: “Questo secolo è sfortunato, perché durante circa centocinquant’anni i papi sono decaduti da tutte le virtù dei loro predecessori e sono diventati apostati piuttosto che apostoli”. ... Borio... parlando di Giovanni XI (931), figlio naturale di papa Sergio e di Marozia, scrisse nei suoi annali: “La santa Chiesa, cioè la chiesa romana, è stata vilmente corrotta da un tale mostro”. Giovanni XII, eletto papa all’età di 18 anni per le trame dei cortigiani non fu certo migliore del suo predecessore.... Sorvolo su Alessandro VI, padre e amante di Lucrezia; evito Giovanni XXIII, il quale a causa di simonia e d’immoralità, fu deposto dal sacro Concilio di Costanza. ... Dovete come logica conseguenza sostenere l’illegalità della nomina di Martino V (1417). ... Se voi decretate l’infallibilità del presente vescovo di Roma, dovete accettare anche quella di tutti i predecessori, senza esclusione di alcuno.... Se essi (gli Apostoli) potessero uscire dalle loro tombe, parlerebbero forse un linguaggio differente dal mio?... essi vi mostreranno che il papato ha deviato dall’Evangelo del Figlio di Dio... osereste dir loro: noi preferiamo l’insegnamento dei nostri papi, preferiamo il nostro Bellarmino, preferiamo il nostri Ignazio di Loyola a voi?... Se Colui che regna al di sopra volesse punirci... non avrebbe bisogno di permettere che i soldati di Garibaldi si traggano fuori dalla città eterna. Egli dovrebbe solo lasciare che noi facessimo di Pio IX un dio, come abbiamo fatto della beata Vergine una dea. Fermatevi... fermatevi sull’orlo di quest’orrendo precipizio. Salvate la Chiesa dal naufragio...» Seme del Regno, mensile della Chiesa di Cristo, luglio 1954, pp. 215-232. 111 J Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 558. 112 NORVAL P. Pease, Con Cristo nel Santuario Celeste, in Il Messaggero Avventista, novembre 1965, p. 12. 113 BACCHIOCCHI Samuele, La Speranza dell’Avvento, ed. A.d.V., Falciani 1987, p. 217. 114 In testo dell’apostolo Pietro non ha valore profetico, esprime un principio. «Qui qualcuno può opporre Giovanni 3:18; 5:24,29, due dichiarazioni di Gesù che sembrano esentare i credenti dal giudizio e riservare questo agli increduli. Ma l’apostolo Paolo non ha affermato che bisogna tutti comparire davanti al tribunale di Cristo? (2 Corinzi Quando la profezia diventa storia
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a) la condanna della prostituta, la cristianità colpevole di apostasia, Apocalisse
XVII:1; b) la riabilitazione della sposa dell’Agnello: Apocalisse XIX:6-8; c) il ricevimento del regno (versetto 22).
«Se il piccolo corno simboleggia il papato, come credono numerosi interpreti..., questo giudizio avrà a che fare con una istituzione che fa professione di cristianesimo. Questo simbolo è stato generalmente applicato al papato quale governante di una vasta comunità di credenti. Ciò implica milioni di credenti che si sottomettono alla sua giurisdizione. Sembra dunque normale che il giudizio di questa potenza, pretesa cristiana, implichi un esame dei casi delle persone che hanno seguito le sue direttive: siano esse sincere o meno, siano informate correttamente o meno? Per conseguenza il giudizio del piccolo corno sembra supporre una inchiesta che concerne il caso di milioni di persone che hanno seguito Dio sottomettendosi a questo potere che pretendeva di rappresentarlo. Identificare il piccolo corno con il papato non suppone per nulla che il giudizio su coloro che vi hanno aderito sarà sfavorevole per il solo fatto di questa adesione. Ciò non vuole dire che tutti coloro che, al di fuori di questa istituzione, fanno professione di credere in Dio saranno automaticamente classificati fra i “santi dell’Altissimo” e per conseguenza eleggibili per il Regno di Dio. Per coloro che passeranno in giudizio, la questione decisiva si baserà sul modo con il 5:10)? Il credente comparirà sicuramente secondo Romani 14:10; 2 Corinzi 5:10, ma per essere riconosciuto salvato e ricevere il suo posto nel regno (Matteo 25)» GODET Frédéric, Commentaire sur l’Evangile de S. Jean, t. II, 3a ed., Neuchâtel 1885, p. 263. «Lo scopo di questa affermazione (Giovanni 5:29) è di tranquillizzare il credente ricordando che ha un pegno assicurato di giustificazione per l’ultimo giorno. Colui che crede al Figlio, cioè in Gesù, non viene in giudizio per essere condannato. Tuttavia è giudicato per la misura della gloria che ha da ricevere» GINDRAUX Jules Frédéric Édouard, La Finale de l’Histoire, Genéve 1918, n. 67. «In questa dichiarazione (Giovanni 5:28,29) Gesù presenta la resurrezione dei “buoni” e quella dei “malvagi” come se si verificassero contemporaneamente (vedere Matteo 25:32; Luca 11:32). Tuttavia, Giovanni, nell’Apocalisse, distingue due resurrezioni, la prima si verifica all’inizio del millennio e la seconda dopo “che saranno compiuti i mille anni” Apocalisse 20:4,5. Il fatto è più importante delle fasi. Ad una mente scientifica moderna, le due dichiarazioni appaiono in aperta contraddizione. Tuttavia, gli scrittori biblici non hanno alcuna difficoltà a conciliare le due dichiarazioni, poiché per essi la certezza era più importante della modalità della resurrezione. Infatti, molti riferimenti alla resurrezione citano il fatto piuttosto che le fasi o il modo in cui l’evento si sarebbe verificato» S. Bacchiocchi, o.c., , p. 216. SCHROEDER Alfred si esprime così a proposito dei due passi dell’evangelo di Giovanni: «Queste dichiarazioni non significano che il cristiano non ha niente a che fare con il giudizio supremo, ma solamente che può considerare questo giudizio con la serenità di colui che è assicurato da Cristo di non essere per nulla condannato. Per lui, il giudizio sarà l’atto solenne con il quale Dio riconoscerà che è perfettamente salvato in Cristo (confr. Romani 5:9-11)» Épître de Paul aux Romains, Lausanne 1912, pp. 185,186. «I credenti sfuggono alla perdizione eterna, ma le loro opere devono essere esaminate, perché la loro ricompensa debba essere fissata» PACHE René, Le Retour du Seigneur, Vennes sur Lausanne 1948, p. 406. Questo insegnamento del giudizio dei credenti, del popolo di Dio è evidente nell’Antico Testamento. Scrive il prof. W. Shea: «I due terzi dei giudizi che provengono dal santuario di Dio (tabernacolo o tempio terrestre, o tempio celeste) implica direttamente il popolo di Dio. Sui 28 passi che trattano del giudizio proveniente dal santuario, 20 riguardano il popolo di Dio. Considerando che questi testi rappresentano un giudizio in piccola scala, quello di Daniele 7, che ne costituisce il retroscena, ne consegue che il popolo di Dio sarà più implicato in occasione di questo giudizio ultimo.... Tutti i testi dell’Antico Testamento, che si riferiscono al libro di Dio nel cielo lo fanno in un modo o nell’altro in relazione con il popolo di Dio, piuttosto che con i suoi nemici. Questi testi paralleli suggeriscono che i libri presentanti nella scena del giudizio di Daniele 7 contengono un rapporto delle azioni del popolo di Dio. La stessa idea dei libri si ritrova nel Nuovo Testamento. Paolo parla del libro della vita nel quale sono scritti i nomi dei suoi compagni d’opera (Filippesi 4:3). Il libro della vita è menzionato sei volte in Apocalisse 3:5; 13:8; 17:8; 20:12,15; 21:27. In due passi è identificato come il libro dell’Agnello (13:8; 21:27)» o.c., pp. 138,139. In Apocalisse 20:12 si parla «dei libri che furono aperti» con i quali si tiene il giudizio finale dopo il millennio e si giudicheranno i non salvati. Sono questi libri gli stessi visti da Daniele per il giudizio preliminare?
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quale essi sono stati salvati, come la salvezza è stata a loro annunciata... Noi dobbiamo prestare attenzione alle parole d’avvertimento che Gesù ha rivolto a tutti coloro che si reclamano al suo nome: Matteo VII:21-23; XXV:44-46».115 Questa azione di giudizio, di inchiesta, da parte di Dio nei confronti della sua Chiesa prima dell’unione di Cristo con la sua sposa, è riportata nella parabola di Gesù dell’invito alle nozze.116 Dopo che «la sala delle nozze fu ripiena di commensali, il re entrò per vedere quelli che erano a tavola, notò quivi un uomo che non vestiva l’abito delle nozze. E gli disse: “Amico, come sei entrato qua senza avere un abito da nozze?” E colui ebbe la bocca chiusa. Allora il re disse ai servitori: “Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori. Ivi sarà il pianto e lo stridore dei denti». In questa parabola, gli invitati sono coloro che hanno accettato l’invito al banchetto. Il re è il padre dello sposo. I servitori sono gli spiriti amministratori, mandati a servire a pro di quelli che hanno da ereditare la salvezza.117 Il matrimonio rappresenta l’unione della divinità con l’umanità, mentre il vestito dei commensali simboleggia il carattere che devono manifestare tutti coloro che parteciperanno a queste nozze.118 Nel costume orientale l’abito era un dono offerto all’ospite.119 Nella nostra parabola raffigura il risultato della grazia che rende giusti. Alla Chiesa di Laodicea, la Chiesa del tempo del giudizio dei popoli, il Signore dice: «Io ti consiglio di comprare da me dell’oro affinato col fuoco affinché tu arricchisca; e delle bianche vesti, affinché tu ti vesta e non apparisca la vergogna della tua nudità».120 Questo vestito che viene offerto non ha nulla dell’autosalvezza umana perché «tutta la nostra giustizia è come un panno di mestruo».121 Ogni azione umana è contaminata dal peccato, ma lo sposo è venuto in mezzo agli uomini a togliere il peccato del mondo. Che in cielo si compia un’opera di giudizio che porterà a una sentenza di salvezza o di perdizione lo si deduce da quanto viene detto in Apocalisse. Il Signore è presentato all’inizio del libro di Giovanni come il Figlio dell’uomo che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro, in abiti sacerdotali, con degli occhi come di fiamme di fuoco e una spada affilata che gli esce dalla bocca.122 Con queste sue qualità Gesù può valutare la sua Chiesa e dirle: «Conosco le tue opere e la tua fedeltà e la tua costanza e che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli e non lo sono... hai costanza e hai sopportato molte 115
W. Shea, in AA.VV., o.c., p. 182. Matteo 22. 117 Ebrei 1:14. 118 Vedere WHITE Ellen, Les Paraboles, Dammarie les Lys, p. 315; ed. italiana, Parole di vita, ed. AdV, Falciani 1990. 119 La Genesi ci mostra che tali vesti da festa appartenevano ai regali dei principi (Genesi 45:22). Il viaggiatore Pietro della Valle racconta, nella sua lettera quinta da Costantinopoli del 20 marzo 1615, come il Gran Sultano suole regalare a tutti quelli che vengono ammessi alla sua presenza una veste nuova che si mette sopra gli abiti nella solenne udienza. Viaggi di Pietro della Valle, Venezia 1667, p. 134; cit. FONCK Leopoldo S.I., Le Parabole del Signore, t. I, Roma 1924, p. 511 120 Apocalisse 3:17,18. 121 Isaia 64:6, traduzione letterale. 122 Apocalisse 1:13-16; vedere Esodo 28:4,31. 116
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cose per amor del mio nome e non ti sei stancato. Ma ho questo contro di te: hai lasciato il tuo primo amore.- Io conosco la tua tribolazione e la tua povertà (ma pur sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che si dicono Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana.- Io conosco dove tu abiti, cioè là dove c’è il trono di Satana, eppure tu mantiene fermamente il mio nome e non rinnegasti la mia fede, neppure nei giorni in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu ucciso. Ma ho alcune cose contro di te: tu hai quivi di quelli che professano la dottrina di Balaam... (e) di quelli che professano la dottrina dei Nicolaiti.- Io conosco le tue opere, il tuo amore e la tua fede e il tuo ministero e la tua costanza, e le tue opere ultime sono più abbondanti delle prime. Ma ho questo contro di te: tu tolleri quella donna Jezebel..., io sono colui che investigo le reni e i cuori; e darò a ciascuno di voi secondo le opere vostre.- Io conosco le tue opere, hai nome di vivere e sei morto. Sii vigilante e rafferma il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere compiute nel cospetto del mio Dio.- Io conosco le tue opere e ti ho posto innanzi una porta aperta... Perché tu hai serbato la parola della mia costanza, anch’io ti guarderò dall’ora del cimento.- Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente... Poiché tu dici: “Io sono ricco, e mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla”, tu non sai che sei infelice fra tutti, e miserabile e povero e cieco e nudo».123 Questo giudizio, che si estende nell’arco di tutta la storia della Chiesa, è reso manifesto agli esseri celesti nel tempo del giudizio preliminare, che si svolgerà in cielo. Il Signore presenterà i risultati della sua opera in favore della Chiesa e si esprimerà una valutazione definitiva che avrà come risultato la resurrezione per gli uni, al ritorno del Figlio dell’uomo, o il rimanere nella tomba per gli altri,124 il passaggio dalla vita all’eternità per coloro che saranno viventi alla sua venuta, dalla vita alla morte per chi non ha fatto propria la misericordia dell’Altissimo.125 Con la spada che esce dalla sua bocca il Figlio dell’uomo, quando ritornerà, esprimerà il giudizio sulle nazioni,126 e la falce mieterà la messe per l’eternità.127 L’Apocalisse presenta Gesù come Figlio dell’uomo nella sua opera di giudice della Chiesa e delle nazioni. Scrive H. Kiesler: con questo «titolo di Figlio dell’uomo, è implicito il suo ruolo di giudice nel giudizio che precede l’avvento»128 di cui Daniele VII:9,10,13,14 dà una descrizione. Tutti coloro che credono nel Signore, si sono battezzati in Cristo e hanno con lui un legame come il tralcio e la vite, sono rivestiti di Cristo, della sua giustizia, della sua santità.129 Così la propria nudità, la propria miseria viene coperta, cancellata e l’Eterno vede nell’uomo il figlio prodigo con la veste del festino, cioè rivestito del legame dell’unione con Cristo, la cui grazia guarisce l’uomo e gli permette di vivere 123
Apocalisse 2:2-4,9,13,14,19,20,23; 3:2,8,10,15-17. Giovanni 5:27,28. 125 Matteo 25:31-34,41,46. 126 Apocalisse 19:13-15,21. 127 Apocalisse 14:14,15. 128 KIESLER Herbert, in AA.VV, Symposium on Revelation, Book II, Frank B. Holbrook, Editor, Silver Spring 1992, p. 417. 129 Isaia 61:10; Galati 3:27; 1 Corinzi 1:30. 124
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la sua parola. «Chi osserva i suoi comandamenti dimora in lui, ed Egli in esso. E da questo conosciamo che Egli dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato. E da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti».130 «L’abito delle nozze è dunque la giustizia interna, la santificazione che si ottiene col pentimento e la fede nel Salvatore».131 Colui che è rivestito dell’abito delle nozze manifesta nella sua vita la parola divina, cresce e si sviluppa secondo la legge di Dio iscritta nel suo cuore. Il re quindi, prima delle nozze, prima che suo Figlio venga per dare l’eternità a coloro che lo attendono, il premio ai suoi santi, entra nella sala del convito per vedere se gli invitati sono tutti quanti rigenerati, hanno riposto la loro fiducia in lui, si sono separati dal male, in una parola se hanno l’abito del giustificato per fede, e gioiscono della pace con Dio. Colui che solo in apparenza ha accettato l’invito ma non ha fatto l’esperienza della nuova nascita, avrà il suo nome cancellato dal libro della vita e sarà gettato fuori dove ci sono tenebre e desolazione. Nella parabola il colpevole non ha nessuna risposta da dare a sua discolpa e ciò prova che il re aveva offerto tempo e occasioni. Il Nuovo Testamento a diverse riprese propone indirettamente, non in forma esplicita, l’insegnamento del giudizio preliminare. Quando «il Figlio dell’uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, allora renderà a ciascuno secondo l’opera sua».132 «In questa ed in altre simili dichiarazioni l’avvento è percepito come il tempo della consegna delle ricompense o delle punizioni, e non della valutazione di ciò che ogni persona merita. In nessuna dichiarazioni fatta da Gesù viene fatto cenno a una tradizionale grande assise che sarà insediata al Suo ritorno per investigare e determinare il destino di ogni persona vissuta».133 «Anche l’idea della separazione che si verificherà alla venuta di Cristo tra i salvati e i perduti presuppone un giudizio che precede l’avvento».134 Questo insegnamento di Gesù, di un giudizio preliminare che precede il suo ritorno, è presentato nelle parabola delle zizzanie e del buon grano, della separazione dei buoni e cattivi, dei due che lavorano alla stessa macina o dormono nello stesso letto, di cui uno sarà preso l’altro lasciato.135 Le descrizioni di Paolo136 escludono la possibilità di un giudizio investigativo universale costituito e diretto da Cristo alla sua seconda venuta. Ciò può essere dedotto dalla successione degli eventi dati dall’Apostolo in 1 Tessalonicesi IV: a) gloriosa discesa di Cristo dal cielo (versetto 16); 130
1 Giovanni 3:24; 2:3. L. Bonnet, o.c., t. I, p. 174. 132 Matteo 16:27; vedere 25:31,32. 133 S. Bacchiocchi, o.c., p. 217. «La resurrezione per la vita o per la condanna rappresenta il giudizio esecutivo di Cristo il quale presuppone la fine del giudizio investigativo. In questo testo (Giovanni 5:28,29) Cristo indica che le persone risusciteranno non per essere giudicate, ma come già giudicate» Idem. 134 Idem, p. 218 135 Matteo 13:29,30; 24:40,41; 25:34,41. «Alcuni hanno interpretato la descrizione della riunione di tutte le genti davanti a Cristo (Matteo 25:32) come la rappresentazione del giudizio investigativo universale che si effettua al momento del ritorno di Cristo. La descrizione, comunque, contiene soltanto l’invito e la condanna (venite, andate) di Cristo con la rispettiva spiegazione e non una indagine su chi fece o non fece opere di misericordia» Idem. 136 1 Tessalonicesi 4:13-18; 2 Tessalonicesi 1:7-10; 1 Corinzi 15:51-58. 131
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b) resurrezione dei morti in Cristo (versetto 16); c) trasferimento dei credenti viventi (versetto 17); d) incontro dei credenti con Cristo (versetto 17); e) comunione eterna dei salvati con Cristo (versetto 17). J.A. Seiss fa notare: «La verità è che la resurrezione e i cambiamenti che si verificano “in un battere d’occhio” sui viventi (al momento del ritorno di Gesù), sono il frutto e la concretizzazione di un giudizio precedente. Sono conseguenze di sentenze già emesse».137 L’insegnamento del giudizio preliminare prima del ritorno di Cristo, distinto dal giudizio ultimo, universale, non è stato completamente dimenticato dalla cristianità. A causa dell’apostasia della Chiesa ha subito una sensibile metamorfosi fino al punto di non essere riconosciuto. La Chiesa, accettando il concetto dell’immortalità dell’anima, ha trasferito il giudizio preliminare di tutte le persone, prima del ritorno di Gesù, in giudizio individuale subito dopo la morte.
Inizio del giudizio preliminare che comporta la purificazione del santuario celeste Quando inizia il giudizio preliminare che comporta la purificazione del santuario celeste? L’autore della lettera agli Ebrei scrive: «Era dunque necessario che le cose raffiguranti quelle nei cieli fossero purificate con questi mezzi (cioè con il sangue dei sacrifici), ma le cose celesti stesse dovevano esserlo con sacrifici più eccellenti di questi».138 «Alcuni - scrive il Maestro Vaucher - hanno trovato strano che si possa parlare di una purificazione del santuario celeste, e si è perfino pronunciata la parola blasfemo. Ci si assicuri: è l’ispirazione stessa che proclama la necessità di questa purificazione, Ebrei IX:23. Il santuario terrestre, dimora di Dio in mezzo a Israele, aveva bisogno d’una purificazione perché Dio consentisse che i peccati confessati fossero trasferiti nei luoghi santi, in attesa della liquidazione annuale. Così pure, il santuario celeste ha bisogno di una purificazione finale perché Dio ha permesso al nostro Sommo Sacerdote di trasferirvi i nostri peccati fino al momento in cui dovranno essere distrutti per sempre.139
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SEISS J.A., The Apocalypse, Philadephia 1881, p. 18. Ebrei 9:23. 139 «Si è preteso che Gesù fosse entrato direttamente nel luogo santissimo al momento della sua ascensione, senza fermarsi nel luogo santo, e ci si è appoggiati su alcuni passi dell’epistola agli Ebrei. L’autore di questa lettera distingue con cura, nel santuario terrestre, tra il servizio quotidiano che si faceva nel luogo santo e il servizio annuale che si faceva in quello santissimo (Ebrei 9:6,7). Sarebbe ben strano, di conseguenza, che egli non avesse visto una applicazione da farsi alle due fasi successive dell’opera sacerdotale del Cristo. Se il Cristo fosse entrato nel luogo santissimo dalla sua ascensione, a cosa corrisponderebbe, nella sua opera, il servizio che si faceva tutti i giorni dell’anno nel luogo santo? 138
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Si sono anche presentate delle perplessità a proposito del perdono condizionato dei peccati, come se questa idea contraddicesse i numerosi passi biblici che affermano che i nostri peccati sono perdonati. Ma Pietro stesso associa la cancellazione dei peccati con i tempi di refrigerio che devono precedere il ritorno del Signore: Atti III:20. Così come noi siamo salvati, ma in speranza, glorificati e posti a sedere nei luoghi celesti in Gesù Cristo, mentre siamo ancora sulla terra, in un corpo di umiliazione, siamo anche perdonati, ma condizionatamente. La liquidazione finale non avverrà che alla fine. Essa è certa; cosa vogliamo di più?».140 Il santuario celeste è purificato mediante il sacrificio di Cristo alla croce. Ma, trattandosi dell’ultima fase dell’opera sacerdotale del Cristo, dobbiamo stabilire il momento iniziale di questo giudizio preliminare che comporta poi la purificazione. Il capitolo VIII di Daniele presenta una visione che «concerne il tempo della fine... (si riferisce) a un tempo lontano». Come abbiamo detto sopra, nel capitolo VII, l’angelo che spiega la visione a Daniele pone il giudizio dopo i 1260 giorni/anni, che sono scaduti alla fine del XVIII secolo. Alla domanda: “Fino a quando?”, il profeta ode una risposta:
È vero che in diversi passi l’autore dell’epistola agli Ebrei parla in maniera generale del servizio che il Cristo compie nei luoghi santi, senza distinguere espressamente le due fasi successive. È però anche vero che parla dell’entrata del Cristo nel luogo santissimo come di già realizzata, ma questo si spiega con le considerazioni seguenti: 1° Al momento in cui lo scrittore ispirato si indirizza ai cristiani di origine ebraica il sacrificio del Cristo, base essenziale dell’opera mediatrice, era di già consumato. Questo sacrificio racchiudeva tutta la salvezza, come la ghianda racchiude tutta la quercia. Spirando, Gesù aveva potuto gridare: “Tutto è compiuto”. Tutta l’opera mediatrice del Cristo, compreso l’atto finale della purificazione delle cose celesti, era implicito e come virtualmente realizzato nel sacrificio della croce (Ebrei 1:3). - Altri autori, pur differenziandosi da noi, hanno visto che quest’opera di purificazione non è avvenuta al momento della morte di Gesù, ma dopo l’ascensione di Gesù al cielo: SPICQ C., L’Épïtre aux Hébreux,t. II, Paris 1957, p. 235; STRATHMAN H., L’Épïtre aux Hébreux 1971, p. 74. 2° Tutte le parti del santuario celeste sono state unte in occasione dell’inaugurazione dell’opera sacerdotale del Cristo nel cielo, immediatamente dopo la sua ascensione; per conseguenza Gesù ha dovuto entrare allora nel luogo santissimo; nondimeno, prima di entrare nella fase terminale della sua opera sacerdotale (luogo santissimo), Gesù ha dovuto attraversare la fase iniziale, compiere la prima parte della sua opera d’intercessione (luogo santo). 3° Poiché la purificazione del santuario celeste è la fase finale dell’opera del Cristo, è nella parte profetica della Scrittura che noi dobbiamo cercare l’indicazione dell’epoca di questo avvenimento. L’autore dell’epistola agli Ebrei fa dogmatica, e non profezia; s’indirizza prima di tutto ai suoi contemporanei. Ciò che interessava questi era l’effetto del sacrificio del Cristo e, in una maniera generale, la sua opera sacerdotale, piuttosto che l’epoca dell’ultima fase di questa opera. Per conseguenza, la piena conoscenza della dottrina, relativa al santuario, solamente abbozzata nel Nuovo Testamento, era riservata all’ultima generazione, la generazione contemporanea dell’atto finale di purificazione. Ciò che sapeva l’autore dell’epistola agli Ebrei, è che Gesù ha attraversato i cieli in qualità di Sommo Sacerdote che è penetrato fino al di là del velo che separa il luogo santo dal luogo santissimo, che offre il suo sangue nei luoghi santi (ta agia): 9:12» VAUCHER Felix Alfred, L’Histoire du Salut, 3a ed., Dammarie les Lys 1951, pp. 380, 381 Vedere nota seguente. 140 Idem, pp. 380-383. Possiamo anche dire che la lettera agli Ebrei nel presentare il ministero di Gesù nel santuario celeste lo descrive con le parole del santuario israelitico. I due ambienti del tempio israelitico avevano la funzione di presentare i due ministeri sacerdotali: quello quotidiano e quello annuale. In cielo non c’è un luogo più santo di dove è la presenza del Signore. È la sua persona che santifica. Gesù, seduto sul trono del Padre e accanto a Lui, compie le due funzioni raffigurate dai due ambienti del santuario israelitico: quella quotidiana e quella di giudizio che ha come risultato la purificazione, prima del suo ritorno che è seguita dal millennio. Quando la profezia diventa storia
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«Fino a duemilatrecento sere e mattine poi il santuario sarà purificato».141 Questo linguaggio criptico di 2300 sere e mattine significa 2300 anni, come numerosi studiosi hanno ampiamente spiegato e dimostrato.142 Il punto di partenza di questo periodo è fissato nel capitolo IX di Daniele, nel quale l’angelo riprende la spiegazione della visione del capitolo VIII, interrotta dallo svenimento del profeta.143 «È chiaro, scriveva Birks nel 1843, che c’è un rapporto evidente tra le visioni del capitolo VIII e IX di Daniele. È detto delle 70 settimane, che esse sono state tagliate via in vista di uno scopo determinato; ciò suppone un periodo più lungo del quale esse fanno parte. Il modo più naturale di spiegare questo tagliare via consiste nel metterlo in rapporto con l’intero periodo della visione precedente».144 Ancora prima di lui, W. Hales, nel 1830, aveva scritto: «Questa profezia cronologica (delle 70 settimane) ha come scopo evidente la spiegazione del senso della visione precedente, soprattutto in ciò che concerne la sua parte cronologica, i 2300 giorni».145 Questi periodi hanno come data di inizio l’anno in cui si è autorizzato Esdra a ricostruire Gerusalemme e a dare autorità civile, giuridica, legislativa ed esecutiva ai capi del popolo di Giuda. Ciò avvenne dopo la cattività babilonese, durante il periodo medopersiano, con l’editto di Artaserse del 457 a.C. «Quell’anno dunque, il 457 a.C., segna una data memorabile di somma importanza per il popolo di Dio. È come la famosa colonna miliare dell’antico Foro Romano che costituiva il punto di partenza per la misurazione di tutte le strade che da Roma si slanciavano attraverso il vasto impero. Da questa data si diparte quell’aurea via tracciata dalla profezia che ci conduce alla fine dei tempi, a quel solenne installamento del tribunale supremo nel celeste santuario, davanti al quale tutti i nostri nomi dovranno apparire nel ruolo di accusati per l’eterna decisione del nostro destino».146 Se sommiamo 2300 anni al 457 a.C., giungiamo al 1844 d.C., metà del secolo scorso. Non tutti gli studiosi sono giunti alla stessa data. 141
Daniele 8:14. Vedere Daniele 8:17. Vedere da p. 357 e Appendice n. 11. 143 Daniele 9:22,25; 8:27. «Lo scopo del capitolo 9 è quello di completare il precedente (capitolo 8) dal punto di vista cronologico» scrive L. DENNEFELD nel suo commentario del libro di Daniele, La Sainte Bible, vol. VII, Les Grands Prophètes, ed. Pirot & Clamer, Paris 1946, p. 689. Questo rapporto, tra i due capitoli, è stato visto per la prima volta nel XVII secolo dal pastore indipendente anglicano John TILLINGHAST il quale però non ha fissato la stessa data di inizio per i 490 e 2300 anni. Johann Philipp PETRI, pastore di Secknach, in Das nahe tausendjähriges Reich Christi, 1769, e in Gründlicher Beweis zur Auflösung der Gesichter und Zahlen Daniels, 1784, è il primo a unificare l’inizio dei due periodi profetici, di cui il più breve è la parte iniziale. L’idea di Petri ha fatto strada e la si ritrova presso Hans WOOD, The Revelation of St John, London 1787; DAVIS William Cummins, The Millenium Charleston, South Carolina 1808, pp. 16,20,21; Archibald MASON, Two Essays on Daniel’s Prophetic Number, Glasgow 1820; W.W. PYM, Le second Avènement de Christ, Paris 1846; Apollos HALE, Harmony of Prophecy Chronology, 1846; e poi presso tanti altri. 144 BIRKS Thoma-Rawson, First Elements of Sacred Prophecy, London 1843, p. 359,360; cit. A.F. Vaucher, o.c., pp. 383,384. 145 HALES William, A new Analysis of Chronology, vol. II, 2a ed., 1830, p. 517. 146 SPICER William A., Tempi odierni alla luce della profezia, London 1917, p. 227. 142
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Il Maestro Vaucher riporta147 che diversi autori protestanti nel XVIII, XIX e XX secolo erano arrivati, con i loro calcoli, a stabilire le seguenti date: - 1847 Il pastore evangelico tedesco Johann Philipp Petri,148 l’aveva già proposta nel 1784, come risultato dei 2300 giorni-anni; fu seguito dal pastore presbiteriano americano William Davis,149 nel 1808; dal predicatore americano Theodor R. Robertson,150 nel 1826; dal pastore londinese John Hooper,151 dal giurista svizzero Alphonse Marie Ferdinand Nicole152 e dal pastore anglicano inglese William Wollaston Pym,153 nel 1829; dall’americano Samuel M. Mac Corkle,154 nel 1830; dal pastore di Chicago Joshua Lacy Y Wilson,155 nel 1833, dallo scrittore canadese Adam Hood Burwell,156 nel 1835; dall’evangelista anglicano Daniel Wilson,157 nel 1836; dal teologo luterano tedesco Johann Heinrich Richter,158 nel 1837; dall’inglese Samuel Kent,159 nel 1839; dallo scrittore riformato olandese Hentzepeter Hendrik160 e dal pastore tedesco Kelber Leonhard H.,161 nel 1841; dal pastore presbiteriano americano John Robinson,162 nel 1843... da Alexander Campbell,163 nel 1847; dal pastore irviniano londinese John Owen Tudor164 e dall’ebreo protestante Joseph Wolff,165 nel 1855; 147 VAUCHER Alfred Félix, L’homme son origine sa destinée, Dammarie les Lys 1974, p. 60; Jusques à quand, Seigneur?, Collonges sous Salève 1973, pp. 26,27. 148 PETRI Johann Philipp, Aufschluss der drey Gesichter Daniels nebst dem Traum Nebucadnezars, nach dem Prophetischen Sinn, Ulrich Weiss, Offenbach, 1768, pp. 9-12; Das nahe tausendjähriges Reich Christi, 1769, p. 4; Gründlicher Beweis zum Auflösong der Gesichter und Zahlen. Daniels und Offenbahrung Johannis, Ulrich Weiss, Offenbach am Mayn, 1784, pp. 24,35,52; trad. oland. De Oplossing der Getallen van Daniel en der Openbaring van John, Amsterdam 1790. 149 W. C. Davis, o.c.; e in The Millennium, Workington 1818, pp. 16,20,21; A Paraphrase on the Visions of Daniel and Revelation, sotto il nome di ROBERTSON Theodor R., Laurenceburgh, Indiana 1826, o, 14. 150 ROBERTSON Theodor R., A paraphrase of the Visions of Daniel and the Revelation of John the Divine, Lawrenceburgh, Indiana, 1826, p. 14. 151 HOOPER John, The Doctrine of the Second Advent, London 1829; 2a ed., 1830, p. 37. 152 NICOLE Alphonse Marie Ferdinand, The Morning Watch, settembre 1829, pp. 350-353. 153 PYM William W., Thoughts on Millenarianism, Hitchin 1829; 3a ed., London 1831, p. 42; A Word of Warning, 2a ed., London 1836, pp. 45,46,71; The Signs of Israel’s Deliverance, in Glimpses, 1848, p. 272; Le Second Avènement de Christ, Paris 1843, p. 59,91,112. 154 Mac CORKLE Samuel M., Thoughts on the Millennium, Nashville, Tennnesse, 1830, pp. 7-9. 155 WILSON Joshua Lacy, The Sanctuary Cleansed, in AA.VV., Original Sermons, Chicago 1833, p. 297,301,305, 306. 156 BURWELL Adam Hood, A Voice of Warning and Instruction Concerning the Signs of the Times, and the Coming of the Son of Judge the Nations, and Restore All Things, Kingston 1835, pp. 38,39,209. 157 WILSON Daniel, On the Numbers in Daniel, Madras 1836, pp. 9-19. 158 RICHTER Heinrich, Erklarte Haus-Bibel, vol. IV, Barmen 1837, pp. 749,756. 159 KENT Samuel, The Disposal and Restoration of the Jews, the Meaning of the Sanctuary, the Second Coming of Christ, the Peaceful Reign with the Saints, and the End of the World, Liverpool 1839, p. 109. 160 HENTZEPETER Hendrik, De groote Wereldgebeurtenissen, Amsterdam 1841, p. 30. 161 KELBER Leonhard Heinrich, Der Antichrist, 2a ed., Weimar 1841, p. 30; Das Ende kommt, 4a ed., Stuttgard 1842, pp. 4,5. 162 ROBINSON John, The Millennium Just at Hand. Being a Paraphases of the Vision of Daniel and the Apocalypse of St. John the Divine, 1843. 163 CAMPBELL Alexander, The European Advent Herald, 1847, p. 53. 164 TUDOR John Owen, A Brief Interpretation of the Book of Revelation, London 1855.
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da Maurice-Cely Trevilian,166 nel 1858. Stesso calcolo presso il giurista cattolico messicano, Josè-Maria Gutierrez de Rozas,167 nel 1835, che attendeva il secondo avvento di Cristo nel 1848.
- 1843 dal pastore presbiteriano scozzese Archibald Mason,168 nel 1820; dal teologo anglicano e congregazionalista William Cuninghame,169 nel 1826; dal pastore londinese Joshua William Brooks,170 da un gruppo di teologi presbiteriani scozzesi tra cui Henry Drummond,171 dal pastore londinese Thomas Shuttleworth Grimshawe,172 pastore congregazionalista inglese Thomas Keyworth,173 dal newyorkese Randolph Elwood Streeter,174 dal predicatore Edward-Thomas Vaughan,175 dal pastore londinese Thomas White,176 nel 1828; dal teologo e pastore anglicano irlandese William Digby,177 nel 1831; dal pastore anglicano irlandese Edward Newenham Hoare,178 nel 1833; dal pastore metodista americano Josiah Litch,179 nel 1838; dal predicatore mericano David Campbell,180 nel 1840; da
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WOLFF Joseph, Researches and Missionary Labours, London 1855, pp. 258-262. TREVILIAN Maurice Cely, To Terion. A Dissertation on the History of the Beast as derived from the Prophet Daniel and John, London 1858, p. 402. 167 ROZAS-GUITIERREZ José Maria de, Consulta a los sabios sobre la aproximacion de la segunda venida de Nuestro Signeur Jeus Christo, Toluca 1835, pp. 66,69,114. 168 MASON Archibald, The Church’s Happy Prospect, and the Christian’s Present Duty: Containing an Inquiry ... in Five Discourses: With an Appendix to the Discourse on the Prophetic Numbers. Also Two Essays on Daniel’s Prophetic Number of 2300 Days, and on the Christian’s Duty to Inquire Into the Church’s Deliverance, New edition, Glasgow 1820, pp. 23,59; 2a ed., Newburgh 1820, pp. 21,54. 169 CUNINGHAME William, The Scheme of Prophetic Arrangement of the Rev. Edward Irving and Mr. Frere Critically Examined, London 1826, pp. 80,81. Dissertation on the Seals and Trumpets, London 1832, pp. 277-287. The Jubilean Chronology of the 7th Trumpet of the S.R. Noyer, vol. I, 1890, pp. 356,357; Apocalypse, Glasglov 1834, p. 2. 170 BROOKS Joshua William, The Investigator and Expositor of Prophecy, vol. I, London 1828, pp. 314-317. 171 DRUMMOND Henry, IRVING Edward, e altri, Dialogues on Prophecy, vol. I, London 1828, pp. 314-317. 172 GRIMSHAWE Thomas Shuttleworth, Lectures on the Future Restoration and Conversion of the Jews, London 1843. 173 KEYWORTH Thomas, A Practical Exposition of the Revelation of Saint John, to Which Are Appended Tabular Views of the Revelations, Together With Those Part of Daniel Which Correspond Thereto, London 1828, p. 74. 174 STREETER Radolph Elwod, Daniel the beloved of Jehovah, Brooklynn, New York 1928. 175 VAUGHAN Edward Thomas, The Church’s Expectation: A Sermon on the Second Advent of the Lord Jesus Christ. Preached Before the Leicestershire District Committee of the SPCK, ... 1827, Leicester 1828, pp. 52-61. 176 WHITE Thomas, Diagram and Observations Intended to Illustrate the Arrangement and Assist the Exposition of the Apocalypse, in Papers Read Before the Society for the Investigation of Prophecy, London 1828, p. 125. 177 DIGBY William, A Treatise on the 1260 Days of Daniel and Saint John: Being an Attempt to Establish the Conclusion That They Are Years; and Also to Fix the Date of Their Commencement and Termination, Dublin 1831, pp. 8,9. 178 HOARE Edward Newenham, The Christian Herald, vol. IV, Dublin 1833. 179 LITCH Josiah, The probability of the Second Advent of Christ about A.D. 1843, Boston 1838; Prophetical Exposition, vol. I, Boston 1842. 180 CAMPBELL David, Illustrations of Prophecy: particularly the evening and morning vision of Daniel, and the apocalyptic visions of St. John, Boston 1840, pp. 82,83; 2ª ed., 1841. In The judgment period preparatory to the establishment of the Kingdom of Heaven. Bangor, Me, 1886, p. 176 considera i 2300 giorni letteralmente; a p. 174, l’11° corno di Daniele 7 è spiegato come l’anticristo futuro; e a p. 195, la 70a settimana nella prospettiva escatologica. 166
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Thomas Grimshave, nel 1841; dal predicatore battista americano Willian Miller,181 nel 1842; dal teologo anglicano inglese Thomas Rawson Birks,182 dal pastore battista di Boston David Bernard,183 dal pastore congregazionalista americano Sylvester Bliss, dal pastore metodista americano Apollos Hale,184 dal millerita americano Nathaniel Hervey,185 nel 1843; dal teologo anglicano inglese Edward Bickersteth186 e dal pastore irlandese James Scott,187 nel 1844; ex anglicano inglese passato al cattolicesimo William Palmer, nella sua opera del 1874,188 esitando all’inizio tra il 488 (-1813) e il 458 (-1843); da C.F. Hinrichs,189 nel 1893; dal teologo evangelico irlandese Henry Grattan Guinness,190 nel 1902.
- 1843/44, partendo dal 458/457 dal pastore inglese Alfred Addis,191 nel 1829; dall’architetto londinese Matthew Habershon,192 nel 1835; e da E. Mc Hardie,193 nel 1883. - 1844/45 dal teologo anglicano inglese Andrew-Robert Fausset,194 nel 1881.
-1844 dall’inglese Jon-Aquila Brown,195 nel 1823; dal pastore anglicano londinese John Fry,196 nel 1835; dal teologo anglicano inglese Edward Bickersteth,197 nel 1853; 181
MILLER William, Evidence from Scripture and History of the Second Coming of Christ about the year 1843, 5a ed., Boston 1842, p. 52. 182 BIRKS Thomas Rawson, First Element of Sacred Prophecy, London 1843, pp. 356-360. 183 BERNARD David, Letter of David Bernard, On the Second Coming of Christ, Joshua V. Himes, Boston 1843. 184 HALE Apollos, The Second Advent Man, Boston 1843. 185 HERVEY Nathaniel, Prophecies of Christ’s First and Second Advent, Daniel’s visions harmonized and explained, Boston 1843, pp. 87,93. 186 BICKERSTETH Edward, Guide to the Prophecies, 7a ed., London 1844, p. 222. The recovery of Jerusalem, London 1841, p. 309. The Restoration of the Jews to their own Land, 2a ed., London 1841, pp. 148,257. 187 SCOTT James, A Compendious View of the Scriptural System of Prophecy, Edimburgh 1844, pp. 384,385. 188 PALMES William, Commentatio in Librum Danielis, Rome 1874, pp. 23,46,106,107,140,142,143. 189 HINRICHS C.F., Apocalypse Interpreted, 1893, p. 157. 190 GUINNESS H. Grattan, The Approaching End of the Age, London 1878, p. 558; 4a ed., London 1880, pp. 399,406; 7a ed., pp. 432,433. History Unveiling Prophecy, New York 1905, p. 404,405. 191 ADDIS Alfred, Heaven Opened, or, The Word of God: Being the Twelve Vision of Nebuchadnezzar, Daniel, and St. John, London 1829, pp. 22,23; 2a ed., sotto il titolo The Theory of Prophecy, London 1830, pp. 147-177,192,320. 192 HABERSHON Matthew, A Guide to the Study of Chronological Prophecies, London 1835, pp. 59-62. 193 HARDIE E. Mc, The Midnight Cry, London 1883, p. 313. 194 FAUSSET Andrew Robert, The Signs of the Times, ed. Thomas Greene, London 1881, p. 52. 195 BROWN John Aquila, The Even-Tide; or Last Triumph of the Blessed and Only Potentate, The King of Kings, and Lord of Lords; Being a Development of the Mysteries of Daniel and St. John, vol. I, London 1823, pp. XLI, 116-136.. 196 FRY John, Observations on the Unfulfilled Prophecies of Scripture, Which Are Yet to Have Their Accomplishment, Before the Coming of the Lord in Glory, or at the Establishement of His Everlasting Kingdom, London 1835, p. 370. Quando la profezia diventa storia
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dalla scrittrice angloisraeliana Augusta Cook198 e da David Heagle, nel 1907; dal pastore anglicano inglese R.W.B. Moore199, nel 1913; da Harold Norris, nel 1918; da John-Quincy Adams200e dal protestante svizzero Samuel Limbach,201 nel 1925; e dai pastori londinesi James Bernard Nicklin,202 nel 1933 e da Frederick Kirsopp,203 nel 1940. Scrive E. Froom: «È contemporaneamente interessante e significativo notare che più di sessanta interpreti dall’inizio del XIX secolo, di quattro continenti e di dodici diversi paesi - comprendente anche un cattolico romano della corte suprema di giustizia, José de Rozas della città del Messico - hanno considerato l’anno 1843, 44 o 47, come la fine di questo periodo profetico (di 2300 giorni/anni). E quasi tutti hanno pubblicato il loro punto di vista prima che William Miller facesse stampare il suo libro che è apparso nel 1836, a Troy, nello Stato di New York».204 Quando la predicazione di William Miller, basata anche su questo calcolo profetico, suscitò un grande risveglio religioso in tutto il Nord America, perché credeva che con lo scadere dei 2300 anni, 1844, Gesù Cristo sarebbe dovuto ritornare, confondendo purificazione del santuario con la purificazione della terra, il dr. G. Bush, professore di letteratura ebraica e orientale presso l’università della città di New York, scrivendogli una lettera fece alcune importanti considerazioni circa il calcolo dei tempi profetici. Diceva: «Non si può obiettare a lei e ai suoi collaboratori che non abbiate dedicato molto tempo e molta attenzione allo studio della cronologia profetica e non abbiate lavorato molto per stabilire le date iniziali e conclusive dei suoi grandi periodi. Se questi periodi sono stati effettivamente indicati dallo Spirito Santo nei libri profetici, è stato senza dubbio perché fossero studiati e probabilmente, poi, compresi pienamente. Nessuno può essere accusato di presuntuosa follia se cerca di farlo con uno spirito riverente... Prendendo un giorno come termine profetico per un anno, io credo che voi siate sorretti da una sana esegesi e sostenuti da nomi famosi come Meda, sir Isacco Newton, il vescovo Newton, Scott, Keith e moltissimi altri che sono giunti sostanzialmente alla vostra conclusione su questo argomento. Essi sono tutti concordi nell’ammettere che i periodi profetici indicati da Daniele e da Giovanni finiscono effettivamente in questa epoca del mondo. Sarebbe una logica strana quella che vorrebbe convincervi di eresia, perché condividete le stesse idee di questi insigni teologi... I vostri risultati in questo campo di indagine non mi sembrano tali da mettere in pericolo i grandi interessi della verità e del dovere cristiano... Il vostro 197
BICKERSTETH Edward, Same, in The Word of the Rev. Edward Bickersteth, vol. VIII, London 1853. COOK Agusta, The Divine Calendar, vol. II, 2a ed., London 1907, p. 243. 199 MOORE Reginald William Bickerton, The Nearness of our Lord’s Retourn, London 1913, p. 111. 200 ADAMS John Quincy, His Apocalypse, 2a ed., Dallas 1925, p. 410; The Time of the End, 4a ed. ed., Dallas, Texas 1924; 201 LIMBACH Samuel, Eine Erklarung der Prophet Daniel, Bâle 1925, p. 140. 202 NICKLIN James Bernard, Divine Time-Measures applied to past and current history, London 1933, p. 34; in Their days are numbered, London 1942, p. 24, ha adottato la durata dell’anno lunare ai 2300 anni, dal 323 a.C. al 1909 d.C.. 203 KIRSOPP Frederick, Prophecy Fulfilled, London 1940, p. 74. 204 E. Froom, Seventh-day...: Questions..., p. 314. Questo modo di spiegare è continuato anche dopo e anche fuori dal movimento avventista: BARNEY Laura-Clifford, Some answered Questions. Collected and translated from the Persian of “Abdu” Baha, vol. III, 1908; 5a ed., 1964, pp. 48-50. 198
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sbaglio, come io temo, si trova piuttosto in un altro campo, non in quello della cronologia... Vi siete del tutto sbagliati sulla natura degli eventi che dovranno verificarsi alla fine di questi periodi. È questo il torto principale della vostra esposizione».205 È stato questo errore, commesso in buona fede, che ha permesso successivamente di scoprire la bellezza dell’insegnamento del giudizio preliminare e della purificazione del santuario celeste e il senso della predicazione: «L’ora del suo giudizio è giunta».206 Nel 1844 nel santuario celeste inizia l’opera di giudizio che si conclude con la purificazione e l’investitura di Gesù Cristo Re. La fine dei 2300 giorni-anni non è l’inizio della purificazione o dell’esecuzione del giudizio, ma indica l’inizio del processo che produce il verdetto. È il tempo del «temete Iddio e dategli gloria, poiché l’ora del suo giudizio è venuta».207 In Israele il giorno dello yom kippur era preceduto da dieci giorni di preparazione, nel corso dei quali il popolo rifletteva sul proprio operato e sul giudizio di Dio. Nel giorno dell’espiazione, giorno finale di questo periodo cerimoniale, la purificazione del santuario comportava l’esilio del capro per Azazel in terra solitaria.
Purificazione del santuario celeste «Dopo duemilatrecento sere e mattine il santuario sarà purificato». In tutte le lingue moderne il verbo aramaico che riportiamo con “purificato” non viene tradotto uniformemente. Si leggono quindi le seguenti versioni: il santuario sarà «giustificato», gli sarà «resa giustizia», sarà «ristabilito», «rivendicato», «sarà di nuovo consacrato», sarà «mondato». Queste diverse versioni mettono in risalto la difficoltà della traduzione del verbo che, nella forma del nostro testo, si trova per l’unica volta nella Bibbia. Il verbo è in relazione alla giustizia, al giudizio, alla purificazione.208 Qualsiasi traduzione si adotti si ha questo quadro preciso: dopo 2300 sere e mattine, il santuario, che è stato anche l’oggetto degli attacchi del piccolo corno, verrà ristabilito, acquisterà valore agli occhi dei credenti, verrà purificato.209 205 BUSH G., Lettera pubblicata in Advent Herald, Boston 6 marzo 1844; in Signs of the Times Reporter, Boston 13 marzo 1844; cit. WHITE Ellen, Gran Conflitto, ed. AdV, Firenze 1977, in appendice, note generali, p. 503. 206 Apocalisse 14:6. 207 Apocalisse 14:6. Vedere GULLEY Norman G., Daniel’s Pre-advent Judment in its Biblical Context, in Journal of the Adventist Theological Society, vol. II, n. 2, 1991, p. 50. 208 Vedere pp. 449,450. 209 Non tutte le versioni traducono Daniele 8:14 come il Luzzi e la Bibbia ed. Salani: «Poi il santuario sarà purificato», o «mondato». La Bibbia versione A. Martini, Diodati, G. Rinaldi traducono: «giustificato»; La Bibbia Concordata: «sarà resa giustizia»; La Bibbia, edizione Paoline: «ristabilito»; La Bibbia di Gerusalemme, La Bibbia della C.E.I., La Bibbia ebraica - Agiografi, ed. 1967; La Bibbia T.O.B.: «rivendicato»; La Sacra Bibbia, ed. Marietti 1964: «rivendicato nei suoi diritti»; Parola del Signore: «sarà di nuovo consacrato».
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La purificazione del santuario celeste, a conclusione dell’opera di giudizio nei confronti di tutto il popolo di Dio, avviene con la cancellazione dei peccati che i figli di Dio hanno commesso e confessato o con la cancellazione del nome di coloro che avevano dichiarato di fare parte della Chiesa per partecipare al banchetto delle nozze senza però essersi veramente convertiti.
La Chiesa sulla terra tipo del santuario celeste: sua purificazione Tutto ciò che si compie nel cielo ha la sua ripercussione sulla terra. Dio non fa nulla senza rivelarlo ai suoi fedeli, i profeti. Il cielo non è sempre un luogo geografico, indica anche il cuore della creatura che è aperto all’influsso dello Spirito del Signore. L’azione di Dio ha dall’eternità la sua ripercussione nell’universo e nella vita dei suoi figli. Sulla terra Dio ha il suo tempio, la Chiesa. In essa ha preso la sua dimora, ed essa stessa, come il santuario celeste, non è costruita da mano d’uomo, ma è il segno della sua opera creatrice, vive della sua grazia e si mantiene grazie al suo spirito. È il tesoro più prezioso che Dio abbia nell’universo, per essa ha dato se stesso e tramite essa deve manifestare «nel tempo presente, ai principati ed alle potestà, nei luoghi celesti... la sua infinitamente varia sapienza».210 Questo si realizzerà quando la Chiesa si Il termine usato in Daniele è “nisdaq” dalla radice del verbo “sadaq” alla forma niphal, cioè passiva. È l’unica volta che si trova in questa forma nella Bibbia. Le Dictionnaire Hébreu-Français de SANDER et TRENEL, Paris 1965, alla voce “sadaq” dice: «Essere giusto, avere la buona causa, avere ragione, essere innocente, giustificarsi, apparire giusto» e traduce Daniele 8:14: «Il santuario sarà giustificato, vendicato dagli insulti, purificato». La traduzione «il santuario sarà purificato» è più valida per diverse ragioni. La Septuaginta, la versione detta dei LXX, che per prima riporta il testo ebraico in greco, traduzione compiuta tra la metà del III secolo e la fine del II secolo a.C., usa l’espressione “katharisth sethai” che significa «sarà purificato». Questi traduttori molto più vicini di noi al tempo di Daniele hanno tradotto tenendo conto anche dell’insegnamento che veniva dato del testo. La stessa espressione greca la ritroviamo nella versione di Teodozione, fatta verso il 180 d.C. San Gerolamo, autore della Vulgata, ha tradotto il testo ebraico in latino, tra il 405-406 d.C., a Betlemme, chiedendo agli Ebrei il significato delle parole. Il testo di Daniele lo rende in questi termini: «Mundabitur sanctuarium», il «santuario sarà mondato» o se si preferisce «sarà purificato», come riporta il testo italiano della Vulgata. La validità delle traduzioni antiche è data dal fatto che in tutte le lingue semitiche il verbo “sadaq” ha un aspetto cerimoniale. Nell’aramaico, lingua più vicina all’ebraico, per tradurre “saka” cioè: “essere pulito, essere puro” nel 40% dei casi sceglie il verbo “sadaq”. C’è motivo di credere che sia a causa della conoscenza del servizio del santuario che gli autori della LXX, Teodozione, Gerolamo abbiano scelto l’espressione “sarà purificato”. In Levitico 16 si espongono gli avvenimenti del gran giorno dell’espiazione e il cuore della cerimonia era la “purificazione” del santuario e del popolo. Che la visione del capitolo 8 di Daniele sia in relazione alla purificazione del santuario come descritto in Levitico 16 è confermato dal fatto che gli animali raffiguranti l’impero medo persiano e greco erano quelli sacrificati nel giorno dello Yom Kippur. Qualunque sia la traduzione che si fa del testo di Daniele, i commentatori convengono poi nel dire che si tratta della reintegrazione del tempio che inizia col rito della purificazione. Vedere altre osservazioni nel nostro capitolo XI, nota n. 219. 210 Efesi 3:10.
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manifesterà mediante l’azione santificante di Dio, purificata, gloriosa, senza macchia, senza ruga o cosa alcuna simile, ma santa e irreprensibile.211 Mentre Gesù aspira a manifestarsi pienamente tramite la sua Chiesa, l’universo attende ancora di contemplare, per mezzo di essa, l’infinita sapienza di Dio, e il suo potere di guarigione dal peccato e dalla propensione al male. Il capitolo XVI del Levitico insegna che il giorno della espiazione era un giorno di giudizio e anche di purificazione per il popolo. Come il santuario veniva reso allo stato puro, senza contaminazione, così era anche per il popolo; il cuore dell’israelita liberato dal peccato (il peccato era stato portato lontano, abbandonato, distrutto), ritornava ad essere il tempio dello Spirito Santo. «In quel giorno si farà l’espiazione per voi al fine di purificarvi; voi sarete purificati da tutti i vostri peccati, davanti all’Eterno».212 Dal 1844 la Chiesa vive nel giorno del giudizio che si conclude con il giorno dell’espiazione. Crediamo che la Chiesa di questo tempo sia invitata a fare una esperienza con il Signore tutta particolare rispetto a quella del passato. La purificazione del santuario celeste ha una azione decisiva sul popolo di Dio sulla terra. Jean Wesley scriveva: «Cristo non può, senza dubbio, regnare là dove il peccato regna, né dimorare dove un peccato qualsiasi è accolto. Ma egli è e dimora nel cuore di ogni credente che combatte contro ogni peccato, sebbene non sia ancora purificato, secondo il rito previsto per il santuario».213 La purificazione del santuario celeste, cancellazione dei peccati commessi e confessati dai figli di Dio pentiti, ha una ripercussione sulla terra nel cuore del credente. Il giorno dello Yom Kippur era un giorno di purificazione e liberazione dal peccato, era giorno di gioia nel perdono di Dio. La purificazione del santuario israelitico non era soltanto un rito cerimoniale, ma aveva una funzione morale. 214 211
Efesi 5:26,27. Levitico 16:30. 213 WESLEY Jean, La loi du salut, sermons, Paris 1868, p. 219; cit. da JARNES Peter C., The Santuaire restored, Lincoln, Nebraska, 1968, 1969; traduzione francese, Le Sanctuaire purifìé, Monoblet, p 34. 214 Sulle conseguenze della purificazione dei credenti si sostengono due posizioni: - la prima, idealmente più seducente, pensa a una perfezione morale del credente, guarito nella sua natura di peccatore; - la seconda, pur riconoscendo l’influsso santificante dell’azione di Dio nella vita del credente, pensa che sarà solamente al ritorno del Signore che i credenti saranno trasformati nella loro natura. Prima: Perfezione morale. I sostenitori di questa posizione sostengono le proprie convinzioni in base alle seguenti considerazioni. L’espressione ebraica “taher” purificare, viene impiegata nell’Antico Testamento con significato morale. Davide nella sua preghiera invoca il Signore: «Purificami con l’issopo, e sarò netto» Salmo 51:7; vedere Giobbe 4:17; Salmo 51:4; Ezechiele 36:25; 37:23. 212
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La corrispondente espressione greca dei LXX “katharizo” la si trova in Daniele 8 e nella lettera agli Ebrei 9 relativa al santuario. È impiegata sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento per indicare una purificazione morale: Giobbe 4:17; 8:6; 17:9; 33:9; Salmo 19 (18):13; 51(50):10(9); 119:9; Proverbi 20:9; Ezechiele 36:25; Habacuc 1:13; Matteo 5:8; Atti 15:9; 1 Timoteo 1:5; 2 Timoteo 2:22; Tito 2:14; Ebrei 9:24; 10:22; Giacomo 1:27; 4:8; 1 Giovanni 1:7,9. Questa purificazione della Chiesa comporta una estirpazione del peccato dal cuore del credente, in modo che non abbia più la tendenza al male; toglie, in altre parole, la natura stessa del peccato che è nel cuore umano, ristabilendo lo stato di santità originario prima della caduta. «Mentre i sacrifici individuali insistono sulla necessità del perdono, per gli atti di peccato commessi e conosciuti, il sacrificio del giorno delle espiazioni mette l’accento sulla trasformazione intrinseca del carattere per la riconciliazione al principio del peccato latente che conduce agli atti di peccato. Il servizio di questo giorno solenne insegnava ai credenti che, benché tutto sia stato previsto per liberarli dalla colpevolezza dagli atti di peccato, essi non dovevano considerare il peccato alla leggera. C’era ancora qualcosa di più importante - essere liberati dalla loro natura peccaminosa, dall’attitudine del cuore che conduce gli uomini a commettere il peccato» COTTRELL Raymond F., Signification du Jour des Expiation, in Review and Herald, 18 febbraio 1965, p. 15. L’autore di questo brano non ha però mostrato che Levitico 16:30 era la soluzione della «natura peccaminosa» Jarnes Peter C., o.c., p. 51. Non ci può essere cancellazione dei peccati commessi se essi sussistono ancora nel cuore dell’uomo. È in questo contesto che l’espressione “espiazione”, ebraico “kipper”, acquista tutta la sua portata. Il sacrificio espiatorio copre il peccato perché venga tolto, cancellato, allontanato, affinché la persona torni allo stato morale di purezza. Il termine espiare, rendere allo stato puro, cancellare, togliere, è espresso in Esodo 30:15,16; Levitico 1:4; 4:20,31; 8:15,34; 12:7; 7:8; 14:20,21; 16:30; Numeri 8:21; 15:25,28; Ezechiele 43:20,26; 45:20. Per gli Ebrei l’idea fondamentale dell’espiazione era quella d’un rito che cancella, toglie e allontana il peccato o l’impurità. La purificazione del santuario celeste corrisponde allo stato di perfezione morale della Chiesa dell’ultima generazione, guarita dal peccato. A questa Chiesa, che non dovrà subire una trasformazione di carattere al ritorno di Gesù, si applicano le parole del profeta Sofonia 3:13: «Il residuo d’Israele non commetterà più iniquità, non dirà menzogne, né si troverà nella sua bocca lingua ingannatrice». Questa trasformazione della Chiesa avverrà mediante lo Spirito Santo che farà concludere anche alla Chiesa la predicazione della salvezza. Quando Cristo Gesù terminerà la sua opera di purificazione, Dio presenterà all’Universo la sua collaboratrice, la Chiesa, con la quale trionferà sul suo nemico, rivelando il Suo carattere nel cuore dei fedeli, perché in quel giorno io, l’Eterno, «mi santificherò in loro in presenza di molte nazioni» Ezechiele 39:27. Come Adamo ed Eva, per la grazia di Dio, potevano obbedire a tutta la parola del Signore, così deve essere per la Chiesa che vive nel tempo del compimento della purificazione del santuario. «Finché il peccato dimora nei fedeli, esso dimora nel santuario. Se una persona è colpita da cancro e abita in una casa, il solo mezzo per estirpare la malattia da quella casa è di guarire il cancro della persona o di fare uscire la persona dalla casa» P. Jarnes Peter, o.c., p. 46. E.J. Waggoner così scriveva a tale proposito: «Dobbiamo guardarci dall’idea che la cancellazione del peccato si ottenga passando una spugna su una lavagna, o facendo entrare un credito per saldare un conto passivo. Questo non costituisce la cancellazione del peccato. È un ingenuo chi, vedendo un termometro per la prima volta, crede di potere far diminuire la temperatura dell’ambiente rompendolo. Si può immaginare l’effetto ottenuto sul tempo atmosferico!... La stessa cosa è la cancellazione dei suoi peccati su un registro di un peccatore. Strappare una pagina di un libro, bruciare il libro che contiene il ricordo, non purifica dal peccato. Il peccato non è soppresso distruggendo il libro sul quale è riportato, come nel gettare la Bibbia nel fuoco non si abolisce la parola di Dio. Ci fu un tempo in cui tutte le Bibbie erano distrutte e pertanto la parola di Dio - la verità dimorava lo stesso, perché la verità è Dio stesso; essa è la sua vita... Quando Mosè ruppe le tavole di pietra, la legge era ugualmente incrollabile come prima. Così, anche se il ricordo di ogni nostro peccato, scritto con il dito di Dio, venisse cancellato, il peccato sussisterebbe ugualmente perché il peccato è in noi. Se il ricordo del nostro peccato fosse scolpito nella roccia, e la roccia venisse ridotta in polvere, questo non cancellerebbe il nostro peccato. La cancellazione del peccato consiste nel toglierlo dalla natura, dall’essenza stessa dell’uomo... La cancellazione del peccato è la soppressione della nostra natura di modo che noi non la riconosciamo più. Coloro che rendono questo culto, essendo una volta purificati - di fatto per il sangue di Cristo - non hanno più alcuna coscienza dei loro peccati perché la voce del peccato gli è diventata straniera. Si cercherà la loro iniquità, non la si troverà. Essa se ne è andata per sempre - è estranea alla loro nuova natura, e benché essi siano capaci di ricordarsi del fatto che hanno commesso certi peccati, hanno dimenticato il peccato stesso - non hanno più l’idea di commetterlo di nuovo. Questa è l’opera di Cristo nel vero santuario, innalzato dal Signore, e non dall’uomo, ma portato alla esistenza dal pensiero stesso di Dio» WAGGONER E.J., The Blotting out of Sin, in Review and Herald, 30/9/1902, p. 8. Come la formula della relatività fu formulata da Einstein nel 1905, ma trovò la sua conferma e dimostrazione nel 1945, dopo 40 anni, così questa dottrina biblica, sebbene non ancora dimostrata, non per questo è meno vera. Quando questa dottrina del santuario celeste e della sua purificazione sarà ben compresa e sperimentata, la Chiesa di Laodicea
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uscirà dal suo stato di tiepidezza, e allora il popolo di Dio «sorgerà, risplenderà, poiché la sua luce è giunta, e la gloria dell’Eterno s’è levata su di lui! Sebbene le tenebre avvolgono i popoli della terra, su di lui si è levato l’Eterno e la sua gloria appare su lui. Le nazioni saranno illuminate dalla sua luce, e i re dallo splendore del suo levare e la terra sarà illuminata dalla sua gloria» Isaia 60:1-3; Apocalisse 18:1. Seconda: Solo al ritorno di Gesù i credenti saranno trasformati. Chi sostiene questa seconda spiegazione accetta sì che la purificazione che Dio compie nei confronti del fedele è anche una azione di trasformazione, santificazione, ma la natura dell’uomo sarà tale fino alla fine. Gesù nel sermone sul monte invita il credente ad essere perfetto come è perfetto il Padre celeste, Matteo 5:48. Sebbene la perfezione sia un bisogno umano, come quello dell’eternità, ciò non significa che il credente la realizzi ora. La parola tradotta per perfetto: téleios viene tradotta in modi diversi a seconda del contesto: “completati” 2 Cronache 24:13,14; “mèta” Luca 13:32; “compiere” Giovanni 4:34; 5:36; 19:28; Atti 20:24; “portare a termine” Giovanni 17:4. Nella Bibbia c’è un solo passo che presenta la perfezione della persona di Dio; è quello che abbiamo citato. Dio è perfetto nel senso assoluto, ma gli autori biblici non hanno sentito il bisogno di puntualizzarlo, piuttosto presentano le sue opere, vie, conoscenza come essendo realtà perfette. Nell’Antico Testamento la parola perfetto corrisponde a: tamin - irreprensibile (Deuteronomio 18:13); shalem, interamente (1 Re 8:61). Il testo biblico dice che Noè era tamin, Genesi 6:9, anche se fece degli errori che ricaddero sui suoi figli (Genesi. 9:21-25); la lettera agli Ebrei 11:7 lo presenta come uomo giusto. Abramo era integro (Genesi 17:1). Mentre Noè ha camminato con Dio, Abrahamo è esortato a camminare alla sua presenza. La vita del padre dei credenti non fu priva di errori anche se di lui il testo biblico dice che fu fedele nella legge e nelle prescrizioni dell’Eterno (Genesi 26:4,5). Aveva instaurato una relazione perfetta da essere chiamato «amico di Dio» Giacomo 2:23, «credette contro ogni speranza» Romani 4:18; Ebrei 11:13,10. Giobbe fu un uomo tamin (Giobbe 1:1) e anche lui si considerava come una persona integra (Giobbe 9:20). Davide era shalem, era il re secondo il cuore dell’Eterno e il suo cuore apparteneva al suo Dio (1 Re 11:4), ma tutti conoscono i peccati commessi da questo re d’Israele e che confesserà nel suo Salmo 51:8,12,18,19. Anche il re Abim era shalem (1Re 15:3). A Samuele l’Eterno ricorda che nella sua valutazione delle persone «guarda al cuore» 1 Samuele 16:7, quale sede dell’uomo interiore, dei suoi pensieri segreti e della volontà (Marco 7:21-23; Ecclesiaste 2:3; 1 Corinzi 7:37). Paolo esorta ad essere perfetti (2 Corinzi 13:9). La perfezione non è però presentata come uno stato assoluto, ma relativo, che si applica ad ogni stadio del «perfezionamento dei santi» Efesi 4:12. La perfezione è uno stato in divenire e la si sarebbe raggiunta nel giorno del Signore (Filippesi 1:6) Per il testo biblico le persone che vengono considerate perfette non sono però esenti dal peccato, dalla natura peccaminosa. Anche quando cadono nella trasgressione della Parola di Dio, la loro perfezione si manifesta nella loro sincerità del pentimento. La perfezione non è quindi uno stato naturale, ma un modo di porsi in relazione con Dio. In Matteo 5:48 Gesù contrappone l’osservanza legale della legge al nuovo spirito che deve caratterizzare il credente. Ciò che è importante per Gesù non è se la legge viene osservata, ma come è vissuta. Il VI comandamento dice: «Non uccidere» e il VII: «Non commettere adulterio». Gesù non si limita all’azione, ma a ciò che anima il cuore. La perfezione di cui parla Gesù in relazione al Padre non riguarda tanto la natura di Dio, ma il Suo atteggiamento nei confronti degli uomini: Dio è amore e non ha riguardo alla qualità delle persone (Luca 6:36). I non credenti amano chi li ama, il credente, dice Gesù, deve amare i nemici (Matteo 5:45) così facendo si ha l’atteggiamento come quello del Padre. Luca e Matteo traducono l’espressione aramaica shalem di Gesù con due espressioni greche diverse: teleios – perfetto (Matteo 4:48); ouktirmon - misericordioso (Luca 6:36). Il giovane ricco sul piano formale nell’osservanza della legge era perfetto (Matteo 19:16-26), ma per Gesù la perfezione è qualcosa di più che non fare il male. Per Giacomo 4:16: «Chi sa fare il bene e non lo fa commette peccato». Paolo sul piano formale si considerava «irreprensibile» Filippesi 3:6, quando poi ha compreso la realtà di Cristo si è considerato come il più grande dei peccatori. Il peccato del giovane ricco non consisteva nella trasgressione formale di un comandamento, né nell’essere ricco, ma nell’aver fatto della ricchezza il suo punto di riferimento. La perfezione dell’uomo non è quindi un cambiamento di natura, ma di relazione con Dio. Vedere Giovanni 15:16. Quindi la purificazione del Santuario celeste non comporterebbe sulla terra una modifica di natura dell’uomo, ma un atteggiamento di relazione con Dio e la Sua Parola. Sarà solamente al ritorno del Signore che ciò avverrà. Vedere ZURCHER Jean, La perfezione cristiana, in Segni dei Tempi, 4/1995. Le seguenti dichiarazioni di Ellen White: «Quando (Cristo) ritornerà, non sarà per purificarci dei nostri peccati, per fare sparire i difetti del nostro carattere o per portare rimedio alla nostra debolezza. In quel momento, questa opera dovrà essere terminata... Nulla potrà liberarli dai loro difetti e dar loro un carattere santo. Colui che santifica avrà terminato la sua opera di santificazione e non toglierà più i peccati e la sozzura. Ciò deve essere fatto ora durante le ore che ci rimangono prima della fine del tempo di grazia» WHITE Ellen, Témoignages pour l’Eglise, t. I, p. 205. «Ora, Quando la profezia diventa storia
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«Noi viviamo nel grande giorno delle espiazioni. Quando il sommo sacerdote faceva l’espiazione per Israele nel servizio tipico tutti dovevano affliggere le proprie anime, pentirsi dei loro peccati e umiliarsi davanti al Signore, col rischio di essere separati dal popolo di Dio. Nello stesso modo, tutti coloro che desiderano che il proprio nome rimanga scritto nel libro della vita, devono ora, nei giorni di grazia che rimangono, affliggere le loro anime davanti a Dio, testimoniare di un vero dolore a causa dei loro peccati, e pentirsi sinceramente. I cuori devono essere esaminati con la più grande cura. Bisogna rinunciare a uno spirito frivolo, leggero, così spesso caratterizzante i cristiani di professione».215 «Cristo purifica il tempio celeste dai peccati del suo popolo. Noi dobbiamo lavorare in armonia con lui sulla terra, purificando il tempio dell’anima dalle sozzure spirituali».216 Conclusione: l’investitura del Figlio dell’uomo - Gesù Re Quando quest’opera terminerà, allora si compiranno le parole di Daniele: «Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un Figlio dell’uomo;217 egli mentre il nostro grande Sommo Sacerdote compie la sua opera di propiziazione in nostro favore, noi dobbiamo cercare di raggiungere la perfezione in Cristo. Il nostro Salvatore non fu indotto a cedere alla tentazione neppure con un solo pensiero» E. White, Il gran ..., p. 453. «La trasformazione del nostro carattere deve realizzarsi prima del suo ritorno. La nostra natura dovrà essere pura e santa; noi dovremo possedere il carattere del Cristo, affinché egli possa contemplare con piacere la sua immagine riflettersi nella nostra anima» WHITE Ellen, Our High Calling, p. 278; cit. P.C. Jarnes. o.c., p. 25. «Quando Cristo ritornerà, i nostri caratteri non saranno cambiati. I nostri corpi spregevoli saranno trasformati e resi simili al corpo della sua gloria, ma non ci sarà allora nessun cambiamento morale che si opererà in noi» WHITE Ellen, Review and Herald, 7 agosto 1888; cit. idem. «La pioggia dell’ultima stagione, che cade verso la fine della stagione (di primavera), matura il grano e lo prepara per la raccolta... La maturazione del grano rappresenta il completamento dell’opera della grazia di Dio nell’anima. Tramite la potenza dello Spirito Santo l’immagine morale di Dio deve essere completamente ristabilita nel carattere. Noi dobbiamo essere pienamente trasformati all’immagine del Cristo... A meno che le prime piogge non abbiano compiuto la loro opera, la pioggia dell’ultima stagione non potrà portare alcuna semenza a maturazione» WHITE Ellen, Testimonies to Ministers, p. 506; vengono prese dai sostenitori della prima posizione per giustificarla. Dobbiamo riconoscere che il linguaggio utilizzato si presta a questo modo di vedere. Ma riteniamo che in questa prospettiva si tradisca il suo pensiero che ha lo scopo di mettere in risalto che, se da una parte la salvezza non la si ottiene mediante le opere, dall’altra parte però il credente non deve cadere in un lassismo per il fatto che la salvezza è per grazia. Colui che ha accettato l’Evangelo deve, per quanto gli riguarda, non porre nessun ostacolo all’azione dello Spirito Santo. La purificazione del santuario celeste è la realizzazione della preghiera sacerdotale del Cristo: «Che siano tutti uno; che come tu, o Padre, sei in me, e io sono in te, anch’essi siano in noi; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro, e tu in me; acciocché siano perfetti nell’unità, e affinché il mondo conosca che tu mi hai mandato, e che li ami come hai amato me» Giovanni 17:21-23. 215 WHITE Ellen, Il Gran Conflitto, Firenze, pp. 489,490, ed. americana. 216 WHITE Ellen, Review and Herald, 11 febbraio 1890. 217 «“Sulle (lett. con le ) nuvole”. Il corteo delle nubi, nell’Antico Testamento, è il privilegio esclusivo di Dio (Salmo 18:10-19; 97:2-4; Isaia 14:4; 19:1; Nahum 1:3) è dunque un personaggio divino che entra in scena per inaugurare il regno di Dio» A Crampon, o.c.; vedere La Bible Annotée, o.c.,t. II, Daniel, p. 291. «Ciò che sorprende Daniele, è che un essere che viene sulle nuvole del cielo, come Dio, abbia l’apparenza semplicemente umana e non un aspetto divino, come la figura contemplata da Ezechiele, capitolo 1. Colui che si avvicina non è indicato più precisamente, ma è impossibile vedere in lui un altro personaggio che non sia il Messia» Idem, p. 291. «All’epoca di Gesù gli Ebrei sapevano molto bene che, nel linguaggio simbolico della Bibbia, il corteo delle nuvole era il privilegio esclusivo di Dio (Matteo 24:3; 26:64; Marco 13:26; Atti 7:58; Apocalisse 1:7; Matteo 26: 63,74). Caiafa non poteva credere che il Figlio dell’uomo di Daniele fosse davanti a lui nella persona di Gesù, debole e perseguitato, e in lui non riusciva a
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giunse fino al vegliardo e fu fatto accostare a lui. E gli furono dati dominio, gloria e regno, perché tutti i popoli, tutte le nazioni e lingue lo servissero; il suo dominio è un dominio eterno che non passerà e il suo regno, un regno che non sarà distrutto».218 Quando quest’opera di giudizio preliminare sarà compiuta e il santuario purificato, Cristo Gesù verrà investito della sua regalità. Daniele lo presenta come il Figlio dell’uomo che viene fatto accostare al Vegliardo e al quale vengono «dati dominio, gloria e regno...». Avendo compiuta l’opera di redenzione il Signore ritornerà verso la terra per essere l’esecutore del giudizio svolto in cielo e quindi dare la corona di giustizia a tutti coloro che hanno amato la sua venuta. Questa investitura non può essere stata fatta al momento dell’incarnazione del Signore.219 Non avrebbe senso pensare che l’abbassamento del Figlio di Dio coinciderebbe con la sua elevazione al trono. Non corrisponde neppure al momento della sua ascensione220 perché sarebbe confonderla con l’inizio del suo ministero sacerdotale esercitato in cielo al quale si aggiunge, nella fase finale, il giudizio preliminare. Quest’ultimo ministero è di transizione a quello regale. L’investitura non viene fatta neppure al momento del suo ritorno glorioso come hanno pensato Cirillo vedere l’uomo celeste e trionfante. È a causa di questo suo considerarsi Dio, nella carne del Figlio dell’uomo, che Gesù viene condannato. I rabbini del resto mantengono la tradizione che attribuisce al Messia questo passo di Daniele; essi indicano il Messia con l’espressione: “Quello delle nuvole”, “della nuvola”. Iacchiades dice: “Il Figlio dell’uomo che viene sulle nuvole è il Messia nostra giustizia (Geremia 23:6) che verrà in presenza di Dio”» vedere: J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 596. Siccome nella spiegazione della visione (versetti 18 e 27) non si menziona più il Figlio dell’uomo, ma semplicemente il popolo dei santi al quale è dato il regno, per questo motivo sempre di più i commentatori identificano il Figlio dell’uomo con il popolo dei santi, come se fosse rappresentato collettivamente e personificato nel figlio dell’uomo (vedere ad esempio BERNINI, pp. 74-76). La Bible Annotée, osserva: «È la stessa teoria che consiste nel fare del popolo d’Israele il servitore dell’Eterno (Isaia 42:1)» idem. Questa espressione di servitore è attribuita a Mosé, a Giosué e a Davide (Giosué 24:29; Isaia 37:35). Israele come popolo è l’oggetto di una elezione. È chiamato figlio di Dio, suo eletto tra i popoli (Esodo 4:22; Deuteronomio 7:6; Osea 11:1); la sua vocazione è quella di servire l’Eterno (Deuteronomio 10:12,20). Così tutti i membri di questo popolo sono chiamati servitori dell’Eterno, costituendoli così con una dignità particolare, in virtù della quale non dovranno mai essere venduti come schiavi (Levitico 25:42,55; 1 Cronache 16:13). Ma questo titolo è anche attribuito specialmente a persone consacrate a Dio, come i sacerdoti (Salmo 134:1), i profeti (Isaia 20:3; Geremia 7:25), i fedeli (Giobbe 1:8; Isaia 65:8-15). Isaia per primo chiama il popolo d’Israele servitore dell’Eterno (41:8; 42:19 e in diversi passi dei capitoli 40-46). Ma pur tenuto conto di tutto questo, è impossibile vedere nel servo dell’Eterno di Isaia 42:1-9 e capitolo 53 la personificazione d’Israele, o della parte fedele del popolo, o l’insieme dei sacerdoti e dei profeti, come lo si è spesso supposto. Mai nessun profeta si è attribuito questa rappresentazione e quindi non si deve esitare nel riconoscere qui il Messia, che è l’organo perfetto della rivelazione di Dio e l’esecutore dei suoi disegni, il servitore dell’Eterno per eccellenza. In Daniele «il popolo dei santi appare come combattente sulla terra (25), prima della venuta del Figlio dell’uomo sulle nuvole del cielo, come essere celeste. Sono dunque due esseri distinti. Senza dubbio il popolo d’Israele è chiamato anche “messia” o “unto” (Salmo 84:10; 89:39), ma ciò non significa che esclude il suo Messia, il capo dell’Israele spirituale. Così Gesù si è attribuito specialmente questo titolo di Figlio dell’uomo (Matteo 8:20; 24:30; 26:64, ecc.)» Idem, p. 291. Vedere nota n. 90, p. 515. 218 Daniele 7:13,14. 219 José VIDAL Y GALIANA, La venuta del Messia in gloria e maestà, vol. I, Roma 1834, pp. 136-141. 220 Firmicus Maternus, nel IV secolo, De errore profanorum religionum, XXIV, 6, trad. da Gilbert HEUTEN, Bruxelles 1938, pp. 104,105. L’idea è stata adottata dal gesuita ALCAZAR, Ineas V.T., fol. 279, dal giansenista RONDET, Le Sainte Bible, 2a ed., p. 217 e dal protestante FAUSSET, Bible Commentary, p. 421. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia. Quando la profezia diventa storia
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di Gerusalemme e Teodoreto,221 perché la sua venuta con potenza e gloria sulle nuvole ne è la conseguenza.222 «Questa investitura segue il giudizio preliminare ed è situata alla fine del tempo di grazia, a seguito del quale si manifesteranno i giudizi divini sull’umanità impenitente con la caduta delle piaghe, e precede la venuta in gloria di Cristo. Nel testo di Daniele «il tempo è chiaramente indicato: un po’ prima della distruzione di Roma, la quarta bestia».223 È perché Cristo è stato intronizzato in qualità di RE DEI RE, SIGNORE DEI SIGNORI che allora può ritornare a prendere i suoi fedeli sudditi di ogni generazione. La conferma 221 Cirillo di Gerusalemme, XV Catechesi, I. 21, 27. Teodoreto, MIGNE, P.G., 81, col. 1425,1426. Lo stesso pensiero è condiviso da COLONNA (GALATINUS), De arcanis catholicae veritatis, 1612, col. 601; L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 83,84; René PACHE, Le prophète Daniel, p. 82. Questa spiegazione si avvicina alla verità. In effetti Daniele ci fa assistere «all’ultimo atto del grande dramma, al solenne riconoscimento del Figlio dell’Uomo come re dell’umanità» DELATTRE Alphonse J., De l’Authenticité du livre de Daniel, 1875, p. 57. T.R. BIRKS, The four proph. Empires, London 1850, pp. 358,359; Jean-Benjamen ROSSIER, Études sur l’Apocalypse, vol. II, Lausanne 1850, p. 99; S.P. TREGELLES, Remarks, 1854, pp. 42,43; 1864, p. 39; hanno visto che l’avvenimento descritto da Daniele precede di poco l’apparizione gloriosa del Cristo. «Qui (Daniele 7:9-11) il tempo è chiaramente indicato: un po’ prima della distruzione di Roma, la quarta bestia» David BOSWORTH, The Millennium and related events, Chicago 1889, p. 154. Thomas ROBINSON, A homel. Commentary on the Book of Daniel, New York 1892, p. 139, fa osservare che il giudizio descritto da Daniele è un giudizio preliminare, invisibile, dietro il velo, causato dalle parole arroganti del piccolo corno e seguito dall’atto con il quale il dominio sarà tolto a questo potere. 222 «Il biblista André Feuillet ha contato più di 70 passi nell’Antico Testamento dove la parola “nuvola” è associata alle apparizioni di Dio, specialmente nelle teofanie del giudizio (Vedere FERCH Arthur I.., The Son of Man Apocalyptic in Daniel, in AUSOD, vol. VI, 1979, pp. 162-166). Il Figlio dell’uomo di origine celeste appartiene dunque già al mondo divino in Daniele VII» LaRONDELLE Hans, Principes Hermenéutiques de l’eschatologie Biblique, in AA.VV, Études su l’Apocalypse..., vol. I, 1988, pp. 21,22. «Ciò che Gesù ha dichiarato riguardo alla sua relazione con Dio “Io e il Padre siamo uno” Giovanni 10:30, è enunciato in una maniera grandiosa nel libro dell’Apocalisse, dove il Cristo resuscitato si presenta con la gloria che aveva Yhavé nell’Antico Testamento. In Apocalisse 1:7, il Cristo viene descritto come colui che viene con le nuvole, e corrisponde chiaramente alle molteplici apparizioni di Dio nell’Antico Testamento (confr. Salmo 19:9-15; 68:4,33; 104:3; Isaia 19:1), o alla teofania nella scena del giudizio di Daniele 7:13», Idem, p. 21. «Quando Gesù sceglie per sé il titolo di Figlio dell’uomo, si attribuisce l’autorità divina per perdonare i peccati (Marco 2:10), per giudicare il mondo al momento del suo ritorno (Matteo 16:27; 24:30). L’Apocalisse descrive il Cristo come un soldato divino che viene con una veste bianca tinta di sangue e calcherà il tino dell’ira dell’Onnipotente (Apocalisse 19:13,15). Questo passo è da confrontarsi con le descrizioni di Dio che si trovano in Isaia 63:2,3 e Gioele 3:13. Inoltre le descrizioni della testa del Cristo (“capelli bianchi come candida lana, come neve; e gli occhi come una fiamma di fuoco” 7:14) è presa a prestito dalla teofania gloriosa di Daniele 7:9. Così il Cristo è sistematicamente presentato come colui che compie l’opera di Dio stesso. Ma i piedi e il suono della voce del Cristo glorificato sono descritte nei termini simili a quelli che descrivono le apparizioni di Yhavé (vedere Ezechiele 1:7,24,27; 8:2; 43:2; Daniele 10:6). La voce di Yhavé è diventata nel presente la voce di Cristo. La teofania dell’Antico Testamento sarà realizzata in una cristofania. Quando il Cristo viene nel mondo, è il Dio d’Israele che viene. Al Cristo vengono conferiti gli attributi divini che erano fino allora riservati al solo Onnipotente: “Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, l’inizio e la fine” (Apocalisse 22:13; confr. 1:8,17; Isaia 44:6; 41:4).- Il Cristo realizzerà le promesse e le profezie date da Dio a Israele nell’Antico Testamento (2 Corinzi 1:20). Questo può essere considerato come il messaggio e la preoccupazione essenziale di Gesù nella sua Apocalisse», Idem, p. 22. Per uno studio dettagliato vedere WERE L.F., The Woman and the Beast in the Book of Revelation, Berrien Spring 1983, cap. 1-4. Il prof. W. Shea dopo aver scritto che «è chiaro che il Figlio dell’uomo è di natura divina, perché un tale linguaggio delle “nuvole del cielo” è riservato in altre parti a delle teofanie» aggiunge: «Nelle parti aramaiche di Daniele, si nota una simmetria tra l’espressione “Figlio dell’uomo” e “Figlio di Dio”. In un contesto terrestre, Nebucadnetsar vide qualcuno somigliante a “un Figlio degli dèi”, il quarto personaggio in compagnia dei tre Ebrei nelle fornace ardente. Questo riferimento è controbilanciato dalla visione di qualcuno “che assomiglia a un figlio d’uomo” nel contesto del cielo» o.c., p. 117. 223 BOSWORTH David, The Millennium and related events, Chicago 1889, p. 154.
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IL GIUDIZIO CHE PRECEDE LA VENUTA DEL SIGNORE
che l’intronizzazione avviene prima della manifestazione in gloria di Cristo Gesù viene data da Giovanni in Apocalisse XI:15-19 nella descrizione della settima tromba: «Ed il settimo angelo suonò, e si fecero gran voci nel cielo, che dicevano: “Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo; ed egli regnerà nei secoli dei secoli”. E i ventiquattro anziani seduti nel cospetto di Dio sui loro troni si gettarono giù sulle loro facce e adorarono Iddio, dicendo: “Noi ti ringraziamo, o Signore Iddio onnipotente che sei e che eri, perché hai preso in mano il suo regno. Le nazioni s’erano adirate, ma l’ira tua è giunta, ed è giunto il tempo di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servitori, i profeti, e ai santi e a quelli che temono il tuo nome, e piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggo la terra”. E il tempio di Dio che è nel cielo fu aperto e si vide nel suo tempio l’arca del suo patto, e vi furono lampi e voci e tuoni e un gran terremoto e una forte gragnola».224 Quanto viene qui espresso da Giovanni come «terremoto e forte gragnola» corrisponde a quanto descrive in occasione della VI piaga e del VI sigillo.225 Tutto questo si svolge sempre in cielo prima che il Sommo Sacerdote venga per relegare nel deserto di questo mondo, per mille anni, chi rappresentava Azazel, il serpente antico che è chiamato diavolo e Satana. A seguito di questa investitura avvenuta in cielo, Daniele descrive la venuta liberatrice del Signore nella storia con le seguenti parole: «Il quel tempo si leverà Micael, il gran capo, il difensore dei figlioli del tuo popolo; e sarà un tempo d’angoscia, quale non se ne ebbe mai da quando esistono nazioni fino a quell’epoca; e in quel tempo il tuo popolo sarà salvato; tutti quelli cioè, che saranno trovati scritti nel libro. E molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni per la vita eterna, gli altri per l’obbrobrio, per una eterna infamia». Giovanni presenta il ritorno del Signore con le seguenti parole: «Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; e colui che lo cavalcava si chiama il Fedele e il Verace; ed egli giudica e guerreggia con giustizia. I suoi occhi erano una fiamma di fuoco, e sul suo capo v’erano molti diademi; e portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui. Era vestito d’una veste tinta di sangue, e il suo nome è: la parola di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi ed erano vestiti di lino fino bianco e puro. E dalla bocca gli usciva una spada affilata per percuotere con essa le nazioni; ed egli le reggerà con una verga di ferro, e calcherà il tino del vino dell’ardente ira dell’Onnipotente Iddio. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: RE dei re, SIGNORE dei signori». 224 225
Apocalisse 11:15-19. Apocalisse 16:17-20; 6:12-17. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XIII
Gesù aveva detto: «E allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba a radunare i suoi eletti dai quattro venti, dall’un capo all’altro dei cielo». L’apostolo Paolo riprende questo insegnamento e dopo aver detto: «Questo vi diciamo per parola del Signore», aggiunge: «Perché il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risusciteranno per primi; poi noi viventi che saremo rimasti, verremo insieme con loro rapirti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore». Giovanni conclude questo intervento del Signore nella storia dicendo «La bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto i miracoli davanti a lei…. Ambedue furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. E il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che cavalcava il cavallo. Il dragone, il serpente antico, che è il Diavolo e Satana, lo legò per mille anni, lo gettò nell’abisso che chiuse e sigillò sopra di lui, finché fossero compiuti mille anni».226
226
Daniele 12:1,2; Apocalisse 19:11-16; Matteo 24:30,31; 1 Tessalonicesi 4:16,17; Apocalisse 19:20,21; 20:2,3.
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Capitolo XIV IL SORGERE DI UN MOVIMENTO MONDIALE «Ognuno di questi volumi (Daniele e Apocalisse) illumina l’altro. Come due specchi concavi messi parallelamente di fronte l’uno all’altro, con una fiamma nel centro, si gettano e si rigettano reciprocamente dei fasci potenti di luce, così i nostri due profeti (Daniele e Giovanni) posti di fronte l’uno all’altro, reciprocamente a gara si inviano dei fasci di luci» Louis Gaussen.1
Introduzione Come tra il sesto e il settimo sigillo Giovanni ha una visione di incoraggiamento,2 così accade tra la sesta e la settima tromba. «Il decimo capitolo è stato trattato in fretta dai commentatori, come una semplice introduzione alla successiva rivelazione che concerne i due testimoni. È certamente una introduzione, ma non di secondaria importanza. Molto dipende dalla interpretazione data al piccolo libro nella mano dell’angelo».3 Abbiamo motivo di credere che questo capitolo X sia un simbolico quadro della proclamazione finale dell’evangelo a tutto il mondo, come nella seconda parte del capitolo XIV dell’Apocalisse viene più ampiamente presentato. Una decina sono le motivazioni che sostengono questa convinzione: 1. L’insieme della visione fa capire, come nel discorso di Gesù sul monte degli Ulivi, che la fine di tutte le cose è preceduta dall’universale predicazione dell’evangelo.4 2. La visione si colloca in un tempo particolare della storia. La predicazione dell’evangelo e l’annuncio del regno, se per secoli sono stati circoscritti a dei continenti, ora acquistano una dimensione planetaria. Ciò è raffigurato dall’angelo che prende possesso del mondo posando i suoi piedi sia sul mare sia sulla terra; allo stesso modo l’annuncio che verrà fatto coinvolgerà tutti i popoli precisa la conclusione del versetto 11. 3. Si giunge nell’epoca in cui, a compimento dei periodi profetici, viene detto: «Non c’è più tempo». 4. Sebbene il tema dell’annuncio della Parola lo si trovi anche in altri capitoli precedenti dello scritto di Giovanni, nei quali la Chiesa è rappresentata da candelabri d’oro, forse anche da un potente destriero bianco che attraversa tutta la 1 2 3 4
GAUSSEN Louis, Daniel le prophète, t. III, Paris 1849, pp. 193, 94. Vedere il nostro Capitolo XVIII. FORD Desmond, Crisis ! A Commentary on the Book of Revelation, vol. II, Newcastle 1982, p. 462. Matteo 24:14; Marco 13:10.
CAPITOLO XIV
terra, il suggellamento dei santi, ora è raffigurato da una figura che viene dal cielo e prende possesso della terra e del mare, come realizzazione della sua opera. 5. Si annuncia che il mistero di Dio sta per finire. Questo mistero è il vangelo del regno, il riscatto della terra realizzato dal Cristo alla prima venuta, ma portato a compimento con il suo ritorno.5 6. Il libro aperto sottintende che ciò che poteva essere stato non capito, perché chiuso, sigillato6 per le generazioni passate, ora, che si è giunti nel tempo che precede il ritorno di Gesù, può essere interamente compreso. 7. Il libro che l’angelo ha in mano è in relazione con la sua predicazione. Mentre nel capitolo V solo il Cristo poteva prendere il libro dalla mano del Padre, ora è Giovanni, quale rappresentante della Chiesa, a prenderlo, per poi darne il nutrimento al mondo. 8. Le colonne di fuoco, l’arcobaleno, i tuoni, le voci, sono allusioni alla proclamazione del patto al Sinai, alla presenza di Dio in mezzo al suo popolo, alla testimonianza d’Israele, alla sua chiamata al sacerdozio. Tale funzione fa dei fedeli degli ambasciatori dell’evangelo sulla terra. 7 9. Nell’invito rivolto a Giovanni a profetizzare, viene usata l’espressione che il Nuovo Testamento frequentemente utilizza per la predicazione dell’evangelo.8 10. Quanto viene detto all’Apostolo: «Profetizza di nuovo sopra molti popoli» corrisponde a quanto Giovanni scrive nel capitolo XIV:6,7. È l’evangelo escatologico annunciato dopo i secoli di persecuzione e di apostasia della Chiesa che prepara l’umanità alla venuta del Signore. Riepilogando, possiamo dire che il personaggio celeste esprime la promessa del Signore: «Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente», affinché la Chiesa del tempo della fine possa raggiungere tutte le nazioni con l’ultimo messaggio del cielo al mondo. Il quadro della visione rassicura la Chiesa nella sua opera di testimonianza espressa da Matteo XXIV:15 e Marco XIII:10, e il parallelo di Apocalisse XIV:6-12; XVIII:1-4.
Un personaggio potente scende dal cielo Con la visione di Apocalisse X Giovanni ci porta nel tempo della fine, nel tempo in cui i lunghi periodi profetici, indicati da Daniele nel suo libro, e quelli dello scritto dell’apostolo sono giunti al loro compimento. «Poi vidi un altro angelo potente che scendeva dal cielo, avvolto in una nuvola; sopra il suo capo era l’arcobaleno; la sua faccia era come il sole, e i suoi piedi come colonne di fuoco; e aveva in mano un libretto aperto; ed egli posò il 5 6 7 8
Colossesi 1:25-28; Efesi 1:9,10. Come Dio aveva ordinato al profeta Daniele (Daniele 12:4). Matteo 28:19,20; 2 Corinzi 5:20. 1 Corinzi 14:1,3-5.
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IL SORGERE DI UN MOVIMENTO MONDIALE
suo piè destro sul mare e il sinistro sulla terra; e gridò con gran voce, nel modo che rugge il leone; e quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire le loro voci. E quando i sette tuoni ebbero fatto udire le loro voci, io stavo per scrivere; ma udii una voce dal cielo che mi disse: “Suggella le cose che i sette tuoni hanno proferite, e non le scrivere”. E l’angelo che io avevo veduto stare in piè sul mare e sulla terra, levò la man destra al cielo e giurò per Colui che vive nei secoli de’ secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso e il mare e le cose che sono in esso, che non ci sarebbe più tempo; ma che nei giorni della voce del settimo angelo, quand’egli suonerebbe, si compirebbe il mistero di Dio, secondo ch’Egli ha annunciato ai suoi servitori, i profeti».9 Chi è questo angelo che scende dal cielo? Il suo aspetto ricorda quello del Figlio dell’uomo e alcuni tratti di Gesù in occasione della trasfigurazione;10 la sua faccia è come il sole, ed irradia luce vivissima dalla testa ai piedi; le sue gambe (letteralmente piedi) sono come colonne di fuoco, «da qui diversi commentatori vedono in questo angelo il Signore stesso».11 Chi non accetta questa identificazione fa notare che il testo precisa: «Un altro angelo potente», e lo scritto non dice che questo personaggio è “come un angelo”, ma specifica che è un «altro angelo».12 Scrive A. Romeo: «Diverso dagli angeli delle trombe e forse identico a quello che invita ad aprire il libro dei sette sigilli, questo misterioso forte delle schiere celesti è 9
Apocalisse 10:1-7; il versetto 6 è secondo la versione Diodati. Apocalisse 1:14 e seg.; Matteo 17:2 e seg. 11 REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanne 1904, p. 228. J.A. SEISS, The Apocalypse, Philadelphia 1865, p. 223. «Nessun angelo dell’Apocalisse è descritto così gloriosamente, con degli attributi che corrispondono alle teofanie (confr. Salmo 104:2,3) e richiamano la prima visione del Cristo (1:13 e seg.). Esegeti come Vittorino di Pattau, Ticonio, Primasio Haymon de Halberstdt, Alberto il Grande, Quesnel, P. de Benoit, hanno creduto riconoscervi il Cristo stesso» BRÜTSCH Charles, La Clarté de l’Apocalypse, Genève 1966, p. 170. C’è una rassomiglianza tra questo angelo e l’uomo che descrive il profeta Daniele nel capitolo 12:6,7 che viene identificato con il «Figlio di Dio, nostro sommo Sacerdote» ROUGEMONT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, Neuchâtel 1866, p. 37. È stato identificato con «l’augusto Micael», da FABRE d’ENVIEU Jules, Livre du prophète Daniel, t. II, Paris 1891, p. 1468. Gli esegeti protestanti hanno creduto riconoscere in questo angelo Martin Lutero. Questi per contro ha pensato al Papato che ha l’apparenza di avere una grande spiritualità. Vedere STROHL H., La substance de l’Evangeli selon Luther, p. 277; cit. da Ch. Brütsch, idem, p. 177. 12 L’espressione «altro angelo» si incontra in Apocalisse nel capitolo 8:3 dove l’angelo si differenzia da quelli che hanno la tromba, indicati nel versetto 2; nel capitolo 14 il secondo e terzo angelo, che annunciano i rispettivi messaggi, sono altri in relazione al primo; nel capitolo 18:1 l’angelo è un altro rispetto a quelli che hanno versato le sette piaghe. 10
Giovanni presenta anche tre angeli potenti: il primo è nel capitolo 5:2, e chiede chi possa aprire i sigilli del rotolo sigillato; l’altro è nel capitolo 18:21, presentato nell’azione di gettare una macina nel mare per raffigurare come affonderà Babilonia. Il terzo è il nostro; il solo ad essere descritto con particolari di caratteristiche divine. BARNHOUSE D.G., Revelation: An Expository Commentary, Grand Rapids, 1971, p. 179: «Tranne qui e nell’episodio dei due testimoni (11:129, la nube non è riservata nell’Apocalisse che al “Figlio dell’uomo”, 1:7; 14:14,15,16». Quando la profezia diventa storia
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un messo di Dio per le rivelazioni fondamentali. Presentato come importantissimo rappresentante di Dio, è forse Gabriele (= forza di Dio), che in Daniele VIII:16-26 e IX:21-27 è il messaggero “per il tempo della fine”».13 «Questo angelo non è Gesù, poiché il Signore non è da nessuna parte nel Nuovo Testamento messo nel numero degli angeli14; e l’epistola agli Ebrei15 stabilisce un contrasto assoluto tra questi esseri celesti e il creatore di tutte le cose, tra Colui che gli angeli di Dio adorano e coloro che si prostrano davanti a lui. Ma se non è il Signore in persona, è il suo messaggero speciale, il precursore del Messia, un nuovo Elia che cammina davanti a lui, portando sulla sua persona il riflesso della gloria del Figlio. Le immagini sotto le quali appare a san Giovanni simboleggiano il doppio carattere del suo messaggio, che è contemporaneamente grazia e giustizia, annunciando per gli uni il giudizio definitivo e per gli altri il trionfo finale».16 «Fiera prestanza quella dell’angelo: la sua discesa dal cielo, in una nuvola, manifesta un glorioso intervento divino. L’arcobaleno (segno dell’alleanza di Dio con ogni carne17, e che aureola il trono divino18), caratterizza il messaggio della grazia. Al servizio di Gesù Cristo l’angelo risplende di alcune sue caratteristiche, notate nella prima visione».19 L’angelo era avvolto in una “nuvola”, la quale è l’emblema della gloria e della potenza di Dio.20 «Dio è contemporaneamente luce e oscurità. Si rivela all’uomo pur rimanendo velato di mistero. Così è della sua parola, contemporaneamente chiara e profonda, e delle sue vie nei confronti del suo popolo, luminose per gli uni ed incomprensibili per gli altri».21 Ma la nuvola richiama quella del capitolo I:7 che presenta la venuta di Cristo per giudicare. L’opera di questo angelo sarebbe quindi in relazione con questo avvenimento ultimo. Al di sopra della sua testa, l’arcobaleno, che circonda il trono di Dio nella visione del capitolo IV, è il segno dell’alleanza di pace, simbolo del patto e ricorda la grazia, e qui in questo interludio delle trombe esprime l’offerta dell’evangelo a tutti i peccatori affinché siano salvati. L’arcobaleno attenua ciò che di terribile c’è nel suo volto che risplende come «il sole e nei suoi piedi come delle colonne di fuoco», e fa di lui il rappresentante della santità. È ciò che in effetti è il suo messaggio, messaggio 13
ROMEO Antonino, La Sacra Bibbia - L’Apocalisse, ed. Marietti, Torino 1964, p. 799. Nel libro degli Atti però Stefano parla dell’incontro di Mosè con l’angelo nel pruno ardente e al Sinai (7:30,38). Questo angelo nel Pentateuco è l’Angelo del Patto, l’Eterno stesso, che il Nuovo Testamento presenta come il Figlio di Dio. 15 Ebrei 1. 16 A. Reymond, o.c., p. 228. 17 Genesi 9:11 e seg.; vedere Isaia 54:9,10. 18 Apocalisse 4:3. 19 C. Brütsch, o.c., pp. 169,170; vedere Apocalisse 1:13 e seg. 20 Salmo 97:2; 104:3; 1 Re 8:11; Ezechiele 1:4; Daniele 7:13; Matteo 17:5; 24:30; Atti 1:9; 1 Tessalonicesi 4:17; Apocalisse 1:7; 14:14. 21 VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse - Hier, Aujourd’hui, Demain, ed. Les Signes des Temps, Dammarie-les-Lys 1938, 1941, p. 149. «Dio non costringe gli uomini a rinunciare alle proprie credenze (o incredulità). Egli pone davanti a loro la luce e le tenebre, la verità e l’errore. Sta a loro scegliere. La mente è capace di riconoscere la verità. Dio vuole che gli uomini decidano non sulla base degli impulsi, ma su quella dell’evidenza, attraverso uno studio attento di tutte le Scritture» WHITE Ellen, La speranza dell’uomo, Firenze 1978, p. 325. 14
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contemporaneamente di giustizia e di grazia; di giustizia per il mondo, di cui annuncia la rovina finale, e di grazia per la Chiesa di Dio, alla quale annuncia l’ultimo trionfo. Il suo viso è come il sole perché questo messaggio è tratto dalle Sacre Scritture e risplende della gloria del Cristo, il «sole di giustizia», la luce del mondo. Questo messaggio si basa su dei fatti inattaccabili e su delle prove incrollabili, come delle colonne di fuoco, che sono la cronologia profetico-biblica confermata dalla storia. «Proclama il compimento del “mistero di Dio” e confida al veggente una rinnovata missione profetica».22 D. Ford rileva che diversi commentatori chiamano l’angelo di Apocalisse X “l’angelo del patto” perché il suo presentarsi ricorda il Sinai con tuoni, lampi e voci. Viene come dominando l’intero mondo. Presentando un messaggio del cielo e, come Israele al Sinai, riceve l’ordine di essere il sacerdote dell’Eterno, il suo rappresentante davanti all’umanità, così a Giovanni, quale raffigurazione della Chiesa, viene rivolta la stessa missione.23 J.M. Ford dice che probabilmente questa figura dell’Esodo permette di identificare questo personaggio con «l’Angelo del Patto, che qualche volta viene identificato con Yhavé». Per la sua somiglianza pensiamo si debba identificare questo personaggio con il Signore di Apocalisse I che si muove tra i candelabri. Daniele X:6 lo definisce il capo principale dell’esercito di Dio e lo descrive nel capitolo XII:7 come figura divina più esaltata rispetto a quella degli altri angeli. Ezechiele I lo identifica con Yahvé. La descrizione delle sue gambe e piedi come colonne di fuoco; il suo essere avvolto dalle nuvole; la gloria che irradia dal suo volto e l’arcobaleno sopra la sua testa sono tutte espressioni e particolari che ricordano le teofanie di Dio nell’Antico Testamento. L’insieme di questi particolari e caratteristiche di Dio ci obbligano a credere che abbiamo qui una descrizione della manifestazione del Signore che il Pentateuco e i libri profetici presentano come l’angelo del patto. Tutte queste caratteristiche enfatizzano il carattere divino e «questi confronti suggeriscono che la figura descritta sia Cristo e non un angelo… È una angelica presentazione di Dio, più precisamente di Cristo».24 E.B. Elliott notava che in Apocalisse X «l’Angelo-Patto, Yhavé Gesù, ora porta con sé, come sua propria investitura, la stessa gloria dell’uomo-Dio della precedente visione di Daniele».25 Il Signore manifesta la sua influenza su questo mondo ponendo un piede sulla terra e l’altro nel mare, «cioè sulle nazioni del mondo, sui popoli agitati dalla tormenta delle loro passioni e su quelli che, grazie alla civiltà, sono arrivati a uno stato di stabilità, di equilibrio; afferma con questa posa solenne la presa di possesso di questi due domini che, malgrado le apparenze contrarie, gli appartengono in 22
C. Brütsch, o.c., p. 162; vedere Apocalisse 10:3-7,8-11. D. Ford, o.c., p. 468. 24 SHEA William H., The Mighty Angel and His Message, in AA.VV., Simposium on Revelation - Book I, Frank B. Holbrook, Editor, Daniel & Revelation Committe Serie - vol. VI, Biblical Research Institute General Conference of Seventh-day Adventists, Silver Sping, MD 1992, p. 291,289. 25 ELLIOTT E.B., Horae Apocalypticae, vol. 2, London 1846, p. 123. 23
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proprio».26 Quanto questo angelo proclama e compie si estende alla terra e al mare27, cioè «il dominio di Dio che egli rappresenta si estende all’universo intero».28
Il libro in mano all’angelo Il messaggero celeste ha in mano un piccolo libro aperto. Cosa rappresenta questo libro? In esso si è visto il resto del messaggio dell’Apocalisse; una ripetizione del piano di Dio per la fine; un riassunto della volontà di Dio; la storia compiuta d’Israele; il registro delle azioni umane; Cristo Gesù stesso che è il libro di Dio; il Nuovo Testamento, che è piccolo rispetto alle numerose pagine dell’Antico Testamento o di tutta la Bibbia. Si è pensato che fosse il rotolo sigillato visto nella seconda visione in cielo, ma la parola greca usata per rotolo nel nostro capitolo è diversa da quella utilizzata nel capitolo V:1 e in altre parti dell’Apocalisse. Quindi il rotolo in Apocalisse X dovrebbe essere considerato diverso da quello degli altri rotoli. Questa differenza di termine ci permette però di dire ciò che il rotolo non è, ma non precisa ancora quello che è. Pensare che si tratti del libro del profeta Daniele crediamo corrisponda all’insegnamento del testo. Daniele XII e Apocalisse X sono gli unici passi della Bibbia che riferiscono di un angelo che giura. Questi testi hanno una differenza: in Daniele l’angelo è tra il Tigri e l’Eufrate, in Apocalisse è tra il mare e la terra ed entrambi giurano con le mani alzate al cielo. Il personaggio di Daniele giura con le due mani alzate, mentre quello di Giovanni solo con la mano destra levata in alto. La differenza di queste due descrizioni è data dal fatto che l’angelo dell’Apocalisse ha un rotolo nella mano sinistra e quindi può alzare solo la destra. Il libro di Daniele viene sigillato, non nel senso di chiuderne l’apertura ed impedire che sia letto, o per autenticare quanto è stato scritto, ma per indicare che solo nel tempo della fine il suo messaggio profetico sarebbe stato compreso. A Daniele è stato detto: «Tu Daniele, tieni nascoste queste parole, e sigilla il libro sino al tempo della fine; molti lo studieranno con cura, e la conoscenza aumenterà».29 Per tutti questi motivi, questa visione di Giovanni non può non richiamare alla mente quella del capitolo XII di Daniele. 26
A. Reymond, o.c., p. 229. MOUNCE Robert Hayden, The Book of Revelation, The New International Commentary on the New Testament, Grand Rapids, Nicnt Eerdmans, F. F. Bruce, 1977, p. 208; MORRIS L., The Revelation of St John, Tyndale New Testament Commentaries, 20, Leicester, England, 1983, p. 137; LADD George Eldon, A Commentary of the Revelation of John, Grand Rapids, Michigan 1971, p. 142; CAIRD G.B., The Revelation of St John the Divine, New York 1966, p. 125. 28 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, vol. IV, L’Apocalypse, 3a ed., rivista e aumentata da Alfred SCHRŒDER, Lausanne 1905, p. 392. 29 Daniele 12:4. 27
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Daniele «L’uomo vestito di lino, che stava sopra le acque del fiume, il quale, alzata la man destra e la man sinistra al cielo, giurò per colui che vive in eterno, che ciò sarà per un tempo, per dei tempi e per la metà d’un tempo; e quando la forza del popolo santo sarà interamente infranta, allora tutte queste cose si compiranno. Alla domanda di Daniele: “Signore mio, qual sarà la fine di queste cose?” Viene risposto: “Va’, Daniele; perché queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine. Molti saranno purificati, imbiancati, affinati; ma gli empi agiranno empiamente, e nessuno degli empi capirà, ma capiranno i savi. E dal tempo che sarà soppresso il sacrificio continuo e sarà rizzata l’abominazione, vi saranno milleduecentonovanta giorni. Beato chi aspetta e giunge a milletrecentotrentacinque giorni”».
Giovanni «Un angelo potente che scendeva dal cielo e aveva in mano un libretto aperto e l’angelo levò la sua man destra al cielo e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli, il quale ha creato il cielo, la terra e il mare e le cose che sono in essi che non ci sarebbe stato più tempo».
Felice quindi chi sarà testimone della realizzazione storica di queste parole. Entrambi i giuramenti iniziano identificando Dio come l’Eterno, ma il giuramento dell’Apocalisse aggiunge il riconoscimento di Dio come creatore. Questa aggiunta ha fatto collegare questo testo con altri dell’Apocalisse e più esplicitamente col messaggio del primo angelo del capitolo XIV:6. Il primo è un inno al Creatore, il secondo è in relazione ad un opera che viene compiuta e corrisponde meglio al contesto del nostro capitolo. J.M. Ford sottolinea che in questo giuramento c’è un richiamo al IV comandamento di Esodo XX.30
La voce dell’angelo è potente come quella di un leone e i sette tuoni fanno udire la loro voce Analizzando il testo si nota che i tuoni sono la risposta al grido del potente angelo, la cui voce è come quella di un leone ruggente. La figura del leone che ruggisce è usata nell’Antico Testamento per trasmettere l’idea di un giudizio immediato. Amos avvisò Israele dei giudizi imminenti con questo tipo di linguaggio: «Il leone rugge 30
FORD J. Massyngberde, Revelation, The Anchor Bible, 38, Garden City, New York 1975, p. 160; cit. W.H. Shea, o.c., p. 300. Quando la profezia diventa storia
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nella foresta se non ha una preda?». «Il leone ruggisce chi non temerà? Il Signore, l’Eterno, parla…».31 Confrontando questo testo con il linguaggio che si trova in altri parti della Bibbia, è ragionevole pensare che il grido dell’angelo abbia qui una connotazione di giudizio.32 In Apocalisse Giovanni presenta il tuono in relazione alla voce forte dell’angelo, al suono di una voce dal cielo e all’Alleluia degli esseri celesti.33 Per quattro volte l’apostolo presenta il tuono in relazione al santuario celeste nel quale «dal trono procedevano lampi e voci e tuoni» i quali introducono il suono delle trombe e sono messi in relazione con la settima ultima piaga.34 I tuoni sono accompagnati da lampi e dal terremoto. Presentano una teofania di Dio. Sono in relazione col suo trono del cielo, col suo tempio. Sono anche in relazione con la persona di Dio e sono sotto il suo controllo. I tuoni annunciano i giudizi di ravvedimento che si hanno con le trombe, il giudizio dell’ultima piaga e dell’ultima tromba che inaugura il giudizio che precede il ritorno di Gesù.35 Quest’ultimo tuono di Apocalisse XI:19 introduce le visioni della seconda parte dello scritto dell’apostolo che presentano il giudizio di Dio sul dragone, sulle due bestie, sulla donna del capitolo XVII che è stato annunciato nel capitolo XIV, realizzato sia nell’ultima parte del capitolo XIV, sia nel capitolo XVI, sia nella seconda parte del capitolo XIX e nel capitolo XX.36 È conseguente pensare che la pienezza dei tuoni (7), del nostro capitolo, sia in relazione al giudizio che in questo nostro tempo, nel quale la visione colloca gli avvenimenti che presenta, si compie nel cielo.37 Considerando che l’essere che viene dal cielo esprime grande autorità sull’intera terra come se ne prendesse possesso, che il suo grido, di cui non si riporta il contenuto ma provoca come risposta «il rombo dei sette tuoni», che come spiegheremo più sotto, la visione ci pone in un’epoca in cui si possa dire: «non c’è più tempo», crediamo sia corretto pensare che quanto l’apostolo Giovanni vede ci ponga al tempo dell’inaugurazione del giudizio preliminare che si svolge in cielo, prima del ritorno di Gesù, ben descritto in Daniele VII e che il profeta colloca dopo la supremazia papale, prima della realizzazione del Regno di Dio, e che ha come conseguenza le ultime sette piaghe su una umanità che ha rifiutato la grazia di Dio. Con quanto detto dai sette tuoni, Dio ha fatto intendere qualcosa a Giovanni. Che cosa? «Tu tieni segrete le cose e non le scrivere». «Non lo sappiamo - diceva il maestro Vaucher - Ci è quindi impossibile fare delle congetture a meno che Dio non conceda di nuovo una rivelazione quando lo riterrà opportuno». Ma con E.W. 31
Amos 3:4,8. Isaia 21:8; 31:4; Osea 5:14; 11:10; 13:7. 33 Apocalisse 6:1; 14:2; 19:6. 34 Apocalisse 4:5; 8:4,5; 11:19; 16:18. 35 Apocalisse 8:4,5; 16:18; 11:19. 36 Sul dragone Apocalisse 12; sulle due bestie Apocalisse 13; sulla donna Apocalisse 17:1; annunciato Apocalisse 14:6; eseguito Apocalisse 14:14-20; 16; 19:11-21; 20:1-3. 37 G.E. Ladd ., o.c., p. 142, ha pensato che i tuoni siano premonitori del giudizio di Dio. G.B. Caird, o.c., p. 47, ha pensato che si trattasse del giudizio di condanna e che la condanna venisse cancellata. 32
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Hengstenberg «possiamo pensare che non si tratti di un segreto assoluto e perpetuo. Sostanzialmente, quanto viene scritto dopo dischiude quello che non si è conosciuto fino a quel momento».38 Rifacendoci alle parole di Davide,39 come hanno fatto numerosi commentatori, possiamo vedere simboleggiata nei sette tuoni «la voce dell’Eterno» nella sua grandezza e potenza. I tuoni richiamano quanto avvenne a Gerusalemme quando i Greci volevano incontrare Gesù.40 La voce dal cielo, udita come un tuono dalla folla, segna la più grande crisi nel tempo e nell’eternità. La crocifissione di Gesù, che seguì questo tuono, ha come conseguenza la sua elevazione alla gloria. Possiamo affermare che i tuoni possono indicare il passaggio da un’epoca all’altra nella storia del regno di Dio sulla terra e che la storia della salvezza sia giunta, in Apocalisse X, in un momento in cui ha inizio una sua fase particolare. Noi crediamo che ciò si riferisca al giudizio che si compie nel cielo che implica sulla terra la predicazione dell’evangelo nella sua veridicità. Le voci dei 7 tuoni annunciano la manifestazione terrificante del «grande e terribile giorno dell’Eterno». Annunciano la fine della storia. Il sigillo della voce dei sette tuoni rievoca Daniele XII quando al profeta viene detto: «Tieni nascoste queste parole, e sigilla il libro».
«Non c’è più tempo» - 1844 l’importante data profetica41 «E l’angelo che io avevo veduto stare in piè sul mare e sulla terra, levò la man destra al cielo e giurò per Colui che vive nei secoli de’ secoli, il quale ha creato il cielo e le cose che sono in esso e il mare e le cose che sono in esso, che non ci sarebbe più tempo; ma che nei giorni della voce del settimo angelo, quand’egli suonerebbe, si compirebbe il mistero di Dio, secondo ch’Egli ha annunciato ai suoi servitori, i profeti».42 L’angelo, alzando la mano al cielo, giura nel nome del Creatore. Soltanto in due occasioni troviamo nella Scrittura questa forma così solenne di impegno da parte di Dio: quando l’Eterno promette ad Abramo il Salvatore e in Daniele al capitolo XII, quando indica il tempo della fine.43 Qui in Apocalisse, riprendendo quanto annunciato da Daniele, l’angelo giurando ricorda che il Dio creatore dell’universo non lascerà che la storia dell’umanità continui senza fine. Dice: «Non c’è più tempo». 38 39 40 41 42 43
HENGSTENBERG E.W., The Revelation of St. John, trad. Patrick FAIRBAIRN, vol. I, Edimburgh 1851, p. 386. Salmo 29. Giovanni 12:28-30. Vedere il nostro Capitolo XI, nota n. 36, p. 407,408; Capitolo XIII le note da n. 148 e seg., da p. 528 e seg. Apocalisse 10:6,7; il versetto 6 è secondo la versione Diodati. Ebrei 6:17,18; Daniele 12: 7. Quando la profezia diventa storia
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La parola chronos in italiano e in altre lingue, anche in Bibbie e commentari recenti, viene tradotta con “tempo” e “indugio”, “ritardo”. G.E. Ladd crede che «non ci sarà più tempo prima della venuta della fine. La consumazione non è ancora per molto procrastinata». «La consumazione non sarà più ritardata». D.G. Barnhouse aggiunge l’idea che non ci sarà ritardo per il suono della settima tromba.44 In Apocalisse chronos lo si trova in tre testi. - Capitolo II:21 dove si parla del tempo dato a Jezebel per pentirsi. - Capitolo VI:11 si riferisce al poco tempo che i martiri devono ancora attendere prima che abbiano il premio. D.G. Barnhouse suggerisce che i martiri hanno qui la risposta temporale alla loro domanda: «Fino a quando…?». Lo stesso pensiero è espresso anche da G.E. Ladd che, analogamente, pensa che «la preghiera dei santi sta per essere esaudita».45 Va osservato che l’era di persecuzione dei martiri si chiude alla fine del XVIII secolo. - Capitolo XX:3 indica il breve tempo che Satana avrà ancora da operare, dopo di che sarà sciolto alla fine del millennio. In nessun testo c’è però il significato di indugio, ritardo. Elliott già nel secolo scorso faceva notare che il verbo chronizo può anche significare “ritardare”, “indugiare”, ma il sostantivo chronos non è mai usato con questo valore.46 Il libro dell’Apocalisse presenta quattro periodi di tempo nei quali si compiono degli avvenimenti. - Il primo è nel capitolo IX:15, in occasione della sesta tromba. Rimandiamo il lettore all’Appendice n. 10 che affronta questo argomento con le problematiche del testo. - Il secondo ed il terzo lo abbiamo nel capitolo XI:2,3,9,11. Dove l’apostolo prende in considerazione la storia della Chiesa per un tempo di 42 mesi, 1260 giorni e, alla fine di questo periodo, si menzionano avvenimenti che si compiranno in tre giorni e mezzo. - Il quarto nel capitolo XII. È detto che la donna fuggì nel deserto per 1260 giorni e vi fu soccorsa per tre tempi e mezzo. - Il quinto nel capitolo XIII nel quale si presenta la supremazia del potere che ha dominato per 42 mesi. - Inoltre, nel capitolo XII di Daniele, il giuramento dell’angelo è in un contesto nel quale si annunciano avvenimenti che si realizzeranno dopo «un tempo dei tempi e la metà di un tempo», espressione già presentata nel capitolo VII:25, e 1290, 1335 giorni. Lo scadere di questi ultimi corrisponde anche alla fine delle 2300 sere e mattine. Il prof. W.H. Shea osserva che la relazione tra il testo di Daniele e quello di Giovanni è stata rilevata da numerosi commentatori. Tra questi, M. Habershon scrisse nel 1841: «Vorrei esprimere la mia convinzione che l’affermazione presentata si riferisce alle stesse cose. La sola differenza risiede nel fatto che il primo (Daniele) 44 45 46
G.E. Ladd, o.c., p. 144; Barnhouse D.G., o.c., p. 185. Barnhouse D.G., o.c., p. 183; Ladd G.E., o.c., p. 144. E.B. Elliott, o.c., vol. 2, p. 121.
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esprime il periodo riguardo i 1260 anni come futuro: “sarà per un tempo dei tempi e la metà di un tempo”, mentre il secondo (Giovanni) l’esprime come se questo tempo fosse passato: “Non c’è più tempo”».47 Nel 1854 P.C.S. Desprez notò: «Entrambe le predizioni si riferiscono allo stesso tempo. L’una non è altro che l’eco dell’altra».48 Nel 1884 P.W. Grant scrisse: «Il primo giuramento (quello presentato in Daniele) si riferisce all’intero tempo dell’oppressione dell’Anticristo, mentre l’altro (quello descritto da Giovanni) si riferisce alla fine del triste periodo».49 Più recentemente, 1940, abbiamo il commento di M. Kiddle che dice: «In realtà l’angelo sta parlando esattamente dello stesso periodo menzionato in Daniele».50 W.H. Shea conclude le sue osservazioni dicendo: «I commentatori moderni continuano a rilevare la relazione tra queste due affermazioni».51 A questi tre periodi di tempo presentati dal glorioso angelo di Daniele XII, di cui storicamente due finiscono nel 1798 e uno nel 1844, riteniamo evidente che il riferimento al chronos del potente angelo di Giovanni debba essere in relazione con queste tre profezie. Come abbiamo detto sopra, il Signore viene identificato con questo angelo ed è anche la persona divina che si presenta a Daniele. Abbiamo così, come è stato fatto notare nel secolo scorso da M. Habershon, il Signore che annuncia qualcosa che si deve compiere in Daniele e ancora il Signore stesso che si presenta, a Giovanni, per dire che quanto da lui annunciato si è compiuto. «Non c’è più tempo». «Questa parola è il perno del messaggio dell’angelo».52 Se con il 1798 è iniziato «il tempo della fine», perché sono scaduti i 1260 e 1290 giorni/anni profetici, la cronologia biblica profetica fa scadere nel 1844 i periodi profetici dei 1335 giorni e il più lungo, quello delle 2300 sere e mattine del capitolo VIII di Daniele, che annuncia il ristabilimento del santuario celeste, il risorgere della verità e l’opera di purificazione e di giudizio che è descritto nel capitolo VII.53 Con questa dichiarazione, «non c’è più tempo», l’angelo vuole dire che non c’è più tempo cronologico, non ci sono più periodi profetici, come i 1260, 1290, 1335, 2300 giorni, che si devono realizzare, cioè dopo il 1844 non ci sarà più nessuna data 47
HABERSHON H., An Historical Exposition of the Prophecies of the Revelation, London 1841, p. 208. DESPREZ Philippe Charles Soulbien, The Apocalypse Fulfilled, London 1854, p. 226. 49 GRANT P.W., The Revelation of John, London 1889, p. 267. CLARKE A., The Holy Bible, A Commentary and Critical Notes, Revelation, Reprint, Nashville, Massachusset 1938, p. 618 scrive: «Questo è molto simile alla descrizione dell’angelo. Apocalisse 10:5,6, e nel settimo versetto sembra che sia in riferimento a questa profezia, “un tempo e tempi, e metà”». 50 KIDDLE M., The Revelation of St John, London 1940, pp. 172,173. 51 Shea W.H, o.c., p. 307. 52 J. Vuilleumier, o.c., p. 153. 53 Sebbene il giuramento richiami il testo del profeta Daniele: «L’angelo... alzando la mano destra al cielo e giurando nel nome dell’Eterno creatore che non ci sarà più tempo, richiama i tre tempi e mezzo di Daniele 12:7 come essendo terminati... Il tempo è finito, il regno di Dio è a portata di mano; pentitevi e credete nell’evangelo è il messaggio del Signore in S. Marco. Questo è lo stesso messaggio con future elaborazioni: nel giorno del suono del settimo angelo, quando suonerà, il “Mistero di Dio” si compirà... » CARRINGTON Philip, The Meaning of the Revelation of St. John, ICC, vol. I, Edimburgh 1920, p. 174, ma precisa Kiddle: «Il giuramento dell’angelo è un’eco di Daniele 12:7. Adempie una simile intenzione. Entrambi i passi sono una risposta alla domanda: “Fino a quando?”... La replica dell’angelo in Apocalisse segue il passo di Daniele più strettamente di quanto possa sembrare a una prima impressione» KIDDLE M., cit. D. Ford, o.c., p. 496. 48
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profetico-storica che si dovrà ancora compiere. Come abbiamo spiegato nell’Appendice n. 12, i periodi profetici 1260, 1290 e 1335 giorni/anni sono inclusi nelle 2300 sere e mattine/anno e abbiamo così: - Dopo i 1260 giorni (Apocalisse XI:13) Finiti nel 1798 - Dopo i 1290 giorni (Daniele XII:11) Finiti nel 1798 - Dopo i 1335 giorni (Daniele XII:12) Finiti nel 1844 - Dopo le 2300 sere e mattine (Daniele VIII:14) Finite nel 1844 L’espressione greca che Giovanni usa è chronos, dalla quale deriva cronologia, il tempo nella sua durata, periodo. Questo tempo è formato da più momenti, date, kairos.54 Daniele nel suo libro aveva indicato a più riprese che le sue profezie erano per un kairos - tempo, momento lontano.55 Quando il kairos indicato dai profeti trovò il suo compimento, allora il susseguirsi del tempo (crhonos) giunse alla sua pienezza, alla fine, Dio si fece uomo nascendo da Maria. Lo stesso Gesù, vedendo l’incalzare dei momenti (kairos), sentì vicino il compimento della sua opera e disse che lo scadere della durata del suo tempo (chronos) era vicino.56 Nel 1844 si compì la cronologia annunciata da Daniele e iniziò in cielo l’opera di giudizio da parte degli angeli, con la quale si comprende chi sono le persone che vivranno l’eternità con Dio. L’angelo invita a non avere più indugio, ma a prendere nettamente posizione pro o contro la verità, poiché Dio sta per agire. Dopo il 1844 non c’è più tempo cronologico che si debba realizzare.
Realizzazione storica di Apocalisse X Un grande risveglio religioso Il piccolo libro in mano all’angelo è quello delle profezie di Daniele che riguarda il tempo della fine. La comprensione di quelle profezie hanno suscitato un grande risveglio religioso che è sfociato in una predicazione fatta in tutto il mondo. Un fatto importante da rilevare è che i capitoli profetici di Daniele II, VII, IX, X e XI fino ai versetti 39 sono stati compresi fin dal primo momento, menzionati dagli apostoli e dai Padri della Chiesa, spiegati attraverso i secoli bui del Medio Evo e dai Riformatori, ma i capitoli VIII, XI:40-45 e XII e i periodi profetici, anche del capitolo VII, sono rimasti adombrati nella loro comprensione. Il piccolo libro doveva rimanere sigillato sino al «tempo della fine».57 A partire dagli ultimi anni del XVIII secolo, con lo scadere dei 1260 anni di predominio del piccolo corno, si entra nel «tempo della 54 55 56 57
Romani 8:18; 11:5; Matteo 24:45; Giovanni 7:6; Matteo 8:29. Daniele 8:17,19,26; 12:1,4,9. Galati 4:4; Matteo 26:18. Vedere il nostro Capitolo XI, nota n. 36, p. 407.
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fine» e un gran numero di persone, ereditando quanto già era stato spiegato, studiano e insegnano le profezie di Daniele e una gran luce si irradia nel mondo. La forza di questa luce, che diede origine a un gran risveglio, fu «quella del prossimo ritorno del Signore».58 Si constatò in effetti, nei primi trenta anni del XIX secolo, sia in Europa che nelle Americhe, l’apparizione di un singolare e potente risveglio nello studio delle questioni finali. In Inghilterra degli scritti che proclamano l’avvicinarsi del ritorno del Signore apparvero sotto la penna di Thomas Newton, vescovo di Bristol, di Masso, d’Elliott, di Keith, George Muller.59 In Inghilterra e in Scozia, Edouard Irving60, pastore presbiteriano di rara eloquenza, predicava davanti a degli auditori che si elevavano a 6.000 e a 12.000 persone, portando così delle decine e delle migliaia d’anime ad attendere gioiosamente il ritorno e il regno di Gesù Cristo. Scrisse inoltre una dozzina di opere su questo importante insegnamento. In Irlanda un centinaio e in Inghilterra diverse centinaia di predicatori seguivano il suo esempio. In Olanda, il responsabile del Museo Reale di La Haye, Hentzepeter attirò l’attenzione sugli eventi escatologici, pubblicando anche un trattato nel 1830. In Svizzera e in Francia una opera considerevole fu realizzata da L. Gaussen, Émile Guers, Henri Pyt,61 Frédérich de Rougemont. Una influenza importante ebbe anche il pensiero del gesuita Manuel Lacunza.62 In Germania agli scritti si aggiunge la predicazione orale di numerosi ecclesiastici, animati da un grande fervore. Nel Sud della Germania, il prete evangelico Gosznes, recandosi da Monaco a Düsseldorf, si rivolgeva a degli auditori di 15.000 anime.
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MAURY Léon, Le Réveil Religieux à Genève et en France, Toulouse 1892, p 177. Il fondatore degli orfanotrofi di Bristol nel 1829 diceva. «Io pensavo che il mondo fosse in via di progresso e che presto si sarebbe convertito. Ma da non molto mi sono convinto che non c’è nulla nella Bibbia che parli di questa conversione del mondo prima del ritorno di Gesù. Ciò che deve inaugurare un’èra di gloria per la Chiesa, di gioia ininterrotta per i santi è il ritorno del Signore Gesù. Ho visto che l’oggetto della Speranza dei primi cristiani non è la morte, ma il ritorno di Gesù e che io devo attendere la sua apparizione». 60 Nel dicembre 1828 diceva: «La seconda venuta del Signore è il punto di vista, l’osservatorio unico dal quale il disegno di Dio tutto intero può essere contemplato e compreso». 61 Nell’aprile del 1831 scriveva a un pastore: «Il tempo preme; le promesse del Signore si compiono: ancora un po’ di tempo, e Colui che deve venire verrà. La mia anima, caro fratello, è sotto l’influenza di questo sentimento; è una questione di fede, io vorrei gridarlo a tutti i miei fratelli. Ecco perché sono pressato di agire». In un’altra lettera allo stesso destinatario: «Io mi rallegro per voi perché attendete l’epifania del Signore che a voi sembra prossima. Questa fede si espande nella sua Chiesa, io amo sperarlo; è molto tempo che lo Spirito rende testimonianza della sua seconda venuta...» GUERS Émile, Vie de Henri Pyt, p. 272. 62 Manuel Lacunza entrò nella compagnia di Gesù del Cile nel 1747 ricevendo l’ordinazione nel 1755. Svolse il suo ministero a Santiago. Nel 1767 il governo spagnolo espulse i gesuiti dal proprio Paese e in tutti i propri possedimenti. Venne in Italia stabilendosi a Imola. Scrisse la sua opera che lo rese celebre: La Venuta del Messia in gloria e majestatis. Il manoscritto completato nel 1790 in spagnolo ebbe diverse edizioni in Spagna, Messico e Argentina. Fu tradotto in francese, latino, italiano ed inglese influenzando moltissimo il pensiero protestante. La Chiesa cattolica lo mise all’indice impedendone la diffusione tra i cattolici. Lacunza moriva a Imola nel giugno del 1801. 59
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«Dappertutto, dice un autore, lo si interrogava sul soggetto del prossimo ritorno del Signore». In Scandinavia (Svezia, Norvegia, Danimarca), particolarmente in Svezia, fatto inaudito, ma perfettamente autentico, essendo state proibite queste predicazioni a coloro che non facevano parte del clero, si videro salire sui tavoli dei bambini e adolescenti, di dieci e quattordici anni, che, ispirati, predicavano le stesse cose! Dal 1821 al 1825, viaggiatore infaticabile, Joseph Wolff63 seminò la buona notizia del secondo avvento in un gran numero di paesi orientali, dalla Grecia all’Industan e dal Tibet all’Arabia; in Palestina, in Persia, in Bulgaria, in America. Questo risveglio si manifestava in un momento particolare della storia: si miglioravano le possibilità economiche e di sviluppo sociale, «ai secoli di persecuzione e di lotte succedeva un’era di pace»64, si costituivano numerose organizzazioni per la diffusione della Parola di Dio: una quindicina in quarantacinque anni tra Europa: Francia, Inghilterra, Scozia, Svizzera e Stati Uniti.65
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Israelita, figlio di rabbini, nacque nel 1795 a Weilersbach in Baviera. Giovane, si fece cattolico e fu battezzato a Praga nel 1812. Nel 1815 andò a Roma. Fu un personaggio sospetto per le sue idee religiose e per la franchezza con la quale criticava il male. Lasciò la città nel 1818. L’anno successivo fu a Londra nella Chiesa anglicana dove studiò per due anni le lingue orientali a Cambridge. Nel 1821 fu inviato come missionario tra gli ebrei dispersi. Il suo primo viaggio missionario durò cinque anni. Rientrato a Londra seguì le conferenze profetiche ad Albury Parck tenute da Irving, convincendosi del prossimo ritorno di Gesù. Di lui L. Gaussen diceva nel 1843: «Non possiamo non parlare ora di un uomo straordinario che potremmo nominare il giudeo errante, e che, durante diciotto anni, ha percorso le quattro parti del mondo per avvertire i figli d’Israele che il loro tempo segnato è compiuto e che la loro iniquità e stata espiata. Joseph Wolff (ebreo bavarese), convertito in seguito alle conversazioni avute con il famoso conte di Stolberg, si era recato a Roma per prepararsi alla carriera missionaria nel collegio della Propaganda; ma ben presto, indignato dalle cose che udiva sulla divinità del papa e su altre tradizioni umane, non temeva di esprimere il suo allontanamento e il suo dolore; e senza lasciarsi fermare dalle minacce degli uni o dalle promesse degli altri, si rifugiò in Svizzera, dove lo vedemmo arrivare all’età di 23 anni per andare poi in Inghilterra. Dal 1821, missionario della Società di Londra, percorse l’Egitto, la Palestina, la Mesopotamia, la Persia, la Georgia e le diverse parti dell’impero turco. Al suo ritorno in Inghilterra sposò lady Georgina Walpole e ripartì con lei, a sue spese, per predicare l’Evangelo nei paesi che costeggiano il Mediterraneo. Nel 1830 si sentì chiamato a percorrere l’Asia centrale e fece da solo questo pericoloso viaggio. Nel 1843 ritornò in Europa e pubblicò il resoconto dei suoi lavori. Dal 1835 al 1838 percorse l’Egitto, l’Arabia, l’Abissinia, ritornò in Inghilterra passando da Kabul, le Indie, Capo Sant’Elena e le Americhe. Fu venduto una volta come schivo, tre volte fu condannato a morte, avvelenato una volta, battuto con le verghe, messo in prigione, soffrì la fame, la sete, diverse malattie e pure colpito dal morbo del colera. Svigorito da tanto lavoro, si è ora stabilito in Inghilterra facendo il pastore in una località di campagna». Poi Gaussen faceva suo il quadro di Louis WAY: «Un uomo che, in Roma, chiamava il papa la polvere della terra; che diceva agli ebrei che la Ghemara è una menzogna; che passava i suoi giorni a discutere e le sue notti a esaminare il Talmud; un uomo per il quale una cassa faceva da cuscino, e un pavimento di mattoni un letto di piume; un uomo che si fece degli amici, dei persecutori anche nella sua antica e nuova fede, che si conciliava con un pacha, che confutava un patriarca, che parlava agli orientali senza interprete, che viveva senza cibo e che pagava senza soldi; un uomo che dimenticava gli insulti e le offese, che non conosceva le maniere del mondo e che pur tuttavia comunicava con gli uomini di ogni rango, senza mai scioccare qualcuno. Certo una simile persona non può che suscitare una attenzione straordinaria presso un popolo che da diversi secoli non ha cambiato i suoi costumi. È mediante questi strumenti che Dio prepara il cammino del deserto» GAUSSEN Louis, Les Juifs évangélisés enfin et bientôt rétablis, pp.100-104. 64 L. Maury, o.c., p. 830. 65 1816 La Società Biblica di Strasburgo; 1817 di Mulhouse, di Toulouse, di Monyau ban; 1819 La Società Biblica Protestante di Parigi; 1786 La Società delle Missioni Metodiste in Inghilterra; 1792 dei cristiani Battisti; 1795 delle Missioni di Londra; 1796 della Chiesa Stabilita di Scozia; 1797 delle missioni Olandesi; 1816 di Basilea; 1817 della Chiesa Presbiteriana d’America; 1819 della Chiesa Metodista d’America; 1823 La Società di Parigi raggruppò attorno a sé 12 associazioni ausiliarie; 1833 La Società Evangelica di Francia.
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Però quel «“Risveglio, disse Adolphe Monod, non è stato un risveglio perfetto, né un risveglio che abbia detto la sua ultima parola”. In ogni caso ciò che noi possiamo affermare è che nel 1850 l’era del Risveglio è ben chiusa».66 Se questo è valido per la vecchia Europa, il Risveglio prodottosi negli Stati Uniti ha avuto un seguito. «Negli Stati Uniti la predicazione dell’avvento ebbe un carattere accentuato che prese presto delle proporzioni considerevoli. Alla sua testa, dall’inizio del movimento, si trovava il vecchio fattore e capitano di fanteria, William Miller, portato alla fede cristiana dallo studio personale e solitario della Bibbia. Fu assecondato dal dottore Josiah Litch, di Filadelfia, dal capitano di vascello Joseph Bates e dai pastori Charles Litch e Josué V. Himes, di Boston. Quest’ultimo fu incaricato di dirigere la pubblicazione di un giornale settimanale: The Signs of the Times, come pure di numerosi opuscoli che furono sparsi dappertutto, fino nelle missioni. D.T. Taylor riporta: “Centinaia di pastori furono guadagnati alla fede dell’avvento premillenario imminente. Diversi giornali settimanali furono fondati e, nello spazio di qualche anno, si videro negli Stati Uniti e in Canada millecinquecento predicatori e conferenzieri prestare la loro penna e la loro voce alla predicazione di questa speranza. Alle loro predicazioni sobrie, calme, ma solenni, accorrevano delle folle che se ne ritornavano stupefatte per quanto udivano. L’immagine espressiva della visione (di Giovanni) - “E gridò con gran voce, nel modo che ruggisce il leone” - corrisponde perfettamente alla potenza del messaggio annunciato, come alle sante emozioni e ai salutari timori di coloro che, sera dopo sera, ascoltavano le dimostrazioni e gli appelli vibranti dei predicatori».67 La voce del leone ricorda che la parola del Signore conforta gli afflitti, ma distrugge gli oppositori, gli arroganti e coloro che si considerano potenti. I seguaci di W. Miller, nella terra della bandiera a stelle e strisce, avevano due punti di riferimento certi, sicuri nella loro predicazione: - l’insegnamento del ritorno di Gesù; - 1844: fine dei 2300 anni profetici. La purificazione del santuario, allo scadere delle 2300 sere e mattine, a che cosa si riferiva? Considerando che: - il tempio di Gerusalemme era stato distrutto nel 70 d.C. e che quindi non c’era un altro tabernacolo sulla terra; - Cristo Gesù sarebbe ritornato per realizzare il suo Regno, dare origine a nuovi cieli e nuova terra; - non avendo compreso la realtà del santuario celeste, si identificava il santuario con la terra che veniva purificazione con il ritorno di Gesù; era quindi naturale credere che allo scadere dei 2300 anni il Signore sarebbe ritornato a dividere i salvati da coloro che non lo sarebbero stati.
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L. Maury, o.c., p. 860,222. J. Vuilleumier, o.c., p. 151. Quando la profezia diventa storia
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L’attesa del ritorno di Gesù per il 1844 si fondava su una data storica alla quale erano pervenuti studiosi di varie chiese sia d’Europa sia d’America. Come abbiamo scritto nel nostro capitolo XIII, una sessantina sono stati gli autori che hanno prodotto opere sostenendo la biblicità dello scadere dei 2300 anni per la fine della prima metà del XIX secolo, creando un movimento di pensiero non indifferente, notevole. Dal momento che Gesù non ritornò per quella data, coloro che lo credettero ebbero una grande delusione. Il pastore battista americano Walter R. Martin, scriveva: «In tanto che movimento religioso, l’Avventismo è sorto dal grande “risveglio” relativo al secondo avvento (del Cristo) che è apparso nel mondo religioso verso la metà del XIX secolo. Durante questo periodo particolare di sviluppo teologico, delle speculazioni sulla seconda venuta di Gesù Cristo erano abbastanza sparse in Europa, e i loro schemi di interpretazione profetica non tardarono a superare l’Atlantico e a penetrare negli ambienti teologici americani».68
La delusione predetta «E la voce che io avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo e mi disse: “Vai a prendere il libro che è aperto in mano all’angelo che sta in piedi sul mare e sulla terra”. E io andai dall’angelo, dicendogli di darmi il libretto. Ed egli mi disse: “Prendilo e divoralo: esso sarà amaro alle tue viscere, ma in bocca ti sarà dolce come miele”. Presi il libretto di mano all’angelo e lo divorai; e mi fu dolce in bocca, come miele; ma quando l’ebbi divorato, le mie viscere sentirono amarezza».69 A. Barnes interpreta l’espressione «mangiare il rotolo» nel modo seguente: «Il significato qui è chiaro. Egli stava per impossessarsi del contenuto del libro e stava per riceverlo nella sua mente come noi facciamo per il cibo e per il nutrimento spirituale…».70 Ci sono diversi passi biblici citati dai contemporanei come parallelismi dell’esperienza del profeta. La dolcezza della parola di Dio è espressa nei Salmi XIX:10; CXIX:103. Nel mezzo della sua esperienza profetica Geremia esclama: 68
MARTIN Walter R., Eternity, ottobre 1936. Apocalisse 10:8-10. 70 BARNES Albert, Notes on the Book of Revelation, London 1852, p. 263. Il piccolo libro è stato identificato da Andrea di Cesarea con i registri del malfattori e banditi sulla terra e su mare (cit. Allo, p. 139). In questo caso non si comprende perché sia dolce in bocca. Alessandro Minorite (527) vi scopre il libro di Giustino. Per Joseph Smit, mormone,è «la missione… di riunire le tribù d’Israele». Mrs. Mary Baker Eddy lo identifica con la propria “Scienza divina” (e nello stesso tempo sembra che essa stessa si identifichi con l’angelo glorioso. Scriveva in Science divine, ed. francese 1945, p. 559: «Mortali obbedite all’Evangelo celeste. Prendete la Scienza divina.Leggete questo libro dall’inizio alla fine… Sarà dolce in effetti alla vostra bocca quando vi guarirà; ma non mormorate contro la Verità, se voi travate la disgestione amara» cit. C. Brütsch, o.c., p. 177. 69
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«Appena ho trovato le tue parole, io le ho divorate e le tue parole sono state la gioia, l’allegrezza del mio cuore, perché il tuo nome è invocato su di me, o Eterno, Dio degli eserciti». Naturalmente la sua esperienza si è trasformata in amarezza quando ha trovato il rifiuto del popolo e la sua persecuzione.71 Il parallelismo più diretto e citato viene dall’esperienza di Ezechiele,72 simile a quella di Giovanni. Il profeta udì una voce che lo invitava a mangiare quello che gli era stato dato e vide una mano che gli porgeva un rotolo che fu aperto davanti a lui e vi lesse parole di lamento, di rammarico e guai. Rappresentavano il destino che il popolo avrebbe subito. Fu detto ad Ezechiele di mangiare il rotolo e di parlare alla casa d’Israele. Egli lo mangiò ed esso era dolce nella bocca. Ma se questa esperienza di Ezechiele fornisce il modello biblico più diretto per Apocalisse X, si deve tuttavia riconoscere una differenza in un particolare. Anche per Giovanni il rotolo è dolce in bocca, ma è amaro nelle viscere. J.M. Ford vede l’amarezza di Ezechiele nel fatto che «Israele non lo ascolterà».73 R.H. Mounce dice che l’immagine «il dolce rotolo diventa amaro nello stomaco è un messaggio per la Chiesa. Prima del trionfo finale dei credenti deve passare attraverso un terribile travaglio».74 Dovere ingerire un libro è una metafora che vorrebbe dire assimilare con delizia il contenuto.75 Ora l’Apostolo rappresenta gli araldi del messaggio di Dio che vivono un momento dolce e glorioso, per poi passare all’amarezza crudele della delusione. La differenza tra l’esperienza del mangiare la Parola dell’Antico Testamento e quella dell’Apocalisse consiste nel fatto che nell’Antico Testamento l’amarezza esprime il sentimento che hanno avuto coloro che hanno annunciato: «Così ha detto l’Eterno» e hanno avuto una reazione di indifferenza e di rigetto da parte di coloro che l’hanno ascoltata; il bruciore che sente Giovanni è quello che i credenti hanno avuto nel loro animo quale delusione tra la loro speranza di vedere il ritorno del Signore e la constatazione che la storia continuava. In effetti, più la presenza e la potenza di Dio erano state sentite durante la predicazione del ritorno di Gesù e più i suoi risultati furono magnifici, più anche fu dolorosa e sconvolgente la prova che attendeva i fedeli, il giorno seguente il martedì 22 ottobre 1844.76 Tristi, inconsolabili, dovettero riprendere le occupazioni e le 71
Geremia 15:16-18. Ezechiele 2:8,10; 3:1-4. 73 J.M. Ford, o.c., p. 164. 74 R.H. Mounce, o.c., p. 319. 75 Geremia 15:16; Ezechiele 3:1-3. 76 Nel 1844 il decimo giorno del settimo mese, giorno della purificazione del santuario mosaico, cadeva, secondo il calendario israelitico, il 20 ottobre. J. Vuilleumier, o.c., nota, p. 189. William Miller, pur predicando per tredici anni la cronologia biblica delle 2300 sere e mattine, non aveva fissato la data del ritorno di Gesù. A farlo fu Samuel Sheffield Snow in un congresso millerita a Exeter, nel New Hampshire, 11-17 agosto 1844. La sua predicazione elettrizzò l’assemblea e in seguito la parte orientale degli Stati Uniti annunciando che questo sconvolgente avvenimento storico, secondo i calcoli, sarebbe avvenuto il 22 ottobre di quello stesso anno, solo tre mesi dopo! In seguito alla delusione lo Snow fissò altre date e poi dopo aver insegnato dottrine insostenibili, abbandonò l’avventismo. Vedere: Samuel S. SNOW, in Seventh-day Adventist Encyclopedie, 1976, p. 1357. Se il libretto che viene mangiato fosse quello presentato nei capitoli 5 e 6 di Apocalisse non si conoscerebbe quando questo libro ha provocato dolcezza e amarezza. 72
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abitudini quotidiane alle quali credevano avere detto un eterno addio.77 La delusione 77 Alcune testimonianze: BATES Joseph ex capitano di vascello in pensione: «Tutti i nostri cuori erano uniti nell’opera e tutti apparivamo pieni di fervore nel cercare di prepararci nel modo più completo in vista della venuta di Gesù, che ritenevamo imminente. Migliaia erano coloro che si prodigavano dando l’annuncio e diffondendo libri, opuscoli e giornali contenenti il messaggio. Purtroppo, però, un’amara delusione aspettava coloro che vegliavano. Poco prima del giorno definito, i fratelli che si erano recati in diverse località fecero ritorno alle loro case, e tutti rimasero in attesa della venuta del loro Signore e Salvatore. Il giorno trascorse, seguito da altre 24 ore, ma la tanto attesa liberazione non giunse.- L’effetto di questa delusione può essere capita solo da quanti la subirono. I credenti avventisti furono messi a dura prova con vari risultati. Alcuni si ritirarono delusi, mentre una larga maggioranza continuò ad insegnare ed a sollecitare le persone, sostenendo che i giorni non erano finiti. Altri ritenevano che i giorni erano finiti, sì, ma ci sarebbe stato un chiarimento prima o poi. Tutti, eccetto questa categoria, virtualmente rigettarono la precedente esperienza e rimasero immersi nelle tenebre riguardo all’opera che il popolo avventista sarebbe stato chiamato a svolgere» The Autobiography of Elder Joseph Bates, Steam Press of the Seventh day Adventist Publishing Association, Battle Creek, Michigan, 1868, p. 300. «Egli non aveva più nulla: né denaro, né arredamento domestico. Disponeva solo in giardino di un piccolo raccolto di patate. I suoi vicini si erano offerti di acquistarlo ma egli aveva rifiutato di venderlo perché – nella sua onestà – egli riteneva che non era giusto venderlo in quanto essi non avrebbero tratto beneficio alcuno (dato che il mondo, secondo la sua convinzione, sarebbe finito con la venuta di Gesù. NdT). Joseph Bates aveva detto: “Lasciatele nel terreno come testimonianza della mia fede nell’immediato ritorno in terra del Maestro”. In casa vi erano alcuni oggetti di rame ed egli li prese e uscì a venderli e acquistare un po’ di farina. I ragazzi della strada lo schernirono gridando: “Pensavo che ieri tu saresti salito in cielo”. Nel dirmi questo, aggiunse: “Non potete avere idea dei sentimenti da me provati. Ero stato un cittadino rispettato e avevo con sincera fiducia esortato le persone a prepararsi per l’atteso cambiamento (che sarebbe derivato dall’avvento di Cristo. NdT). Con questi sarcasmi scagliatimi contro, se la terra si fosse aperta per inghiottirmi, sarebbe stata una cosa più dolce dell’angoscia da me provata”». BOUTELLE Luther: «Il 22 ottobre passò lasciando indicibilmente tristi i fedeli in attesa, mentre gli increduli e gli empi esultavano. Tutto era fermo. Nessun giornale avventista pubblicato; nessuna riunione come in precedenza. Ognuno si sentiva come abbandonato a se stesso. Senza nessuna voglia di parlare con altri. Che tristezza trovarsi ancora in questo freddo mondo! Nessuna liberazione, perché il Signore non era venuto. Non ci sono parole atte a descrivere la delusione di un vero avventista di allora. Solo coloro che vissero tale esperienza possono essere in grado di affrontare l’argomento. Tutti tacevano. Solo due domande erano sulla bocca di tutti: “Perché siamo ancora quaggiù? Che cosa accadrà?” Tutti interrogavano la loro Bibbia per sapere che cosa fare. In alcuni posti essi cominciarono a riunirsi per cercare insieme un po’ di luce onde attenuare la delusione provata. Non contento di starmene a casa, dopo un tempo così agitato, mi recai a Boston… Trovai i fratelli del luogo in uno stato confusionale. Organizzammo delle riunioni. Cercai di confortare meglio che potevo quanti vi parteciparono, invitandoli a rimanere saldi nella fede…». EDSON Hiram: «Durante quello che è chiamato movimento del settimo mese nel 1844, io stesso con vari altri fratelli ero impegnato nella diffusione di pubblicazioni sulla venuta di Cristo e nelle riunioni serali, private, in casa mia… Essendo il vero grido: “Ecco, lo sposo viene!” fissato per il decimo giorno del settimo mese, ed essendo stati istruiti che la venuta dello Sposo per il matrimonio sarebbe stata realizzata con il secondo avvento di Cristo sulla terra (che era una idea errata), noi aspettavamo fiduciosi di vedere Gesù Cristo e tutti gli angeli con lui, e che la sua voce avrebbe risuscitato…. Le nostre aspettative erano andate intensificandosi e così noi aspettavamo la venuta del Signore fino a che l’orologio non segnò la mezzanotte. Il giorno era passato e la nostra delusione divenne una dolorosa certezza. Le nostre più ambite speranze e aspettative erano andate deluse e su noi si abbatté uno spirito di tristezza mai conosciuto prima. Era come se la perdita di cari amici terreni non potesse essere paragonata al dolore da noi provato. Piangemmo a lungo fino allo spuntare del giorno… Avevamo di che rattristarci e piangere su tutte le nostre più care speranze perdute» HIRAN Edsom, manoscritto autobiografico, senza data, conservato nella Biblioteca Andrews. MILLER William dal quale è venuto il movimento millerita dell’attesa del Signore: «Il nono giorno (21 ottobre 1844) fu particolarmente notevole: avemmo riunioni per l’intera giornata. Il nostro luogo di culto era gremito di persone ansiose. L’indomani fu un giorno particolarmente solenne. Persino gli schernitori tacevano e molti oppositori si limitavano ad osservare quanto stava accadendo. Il giorno trascorse e in quelli seguenti (23 ottobre) fu come se i demoni del “pozzo dell’abisso” si scatenassero su di noi. Quelle stesse persone che due giorni prima gridavano per ricevere misericordia si unirono agli altri per sbeffeggiarci, schernirci, minacciarci nel modo più blasfemo. Da allora più nessuno frequentò le nostre riunioni» Estratto da una lettera al dott. I. O. Orr di Toronto, del 3 dicembre 1844. L’originale si trova nella raccolta di materiale avventista nella Biblioteca dell’Università Aurora, nell’Illinois. MORSE Washington: «Io con migliaia di altre persone esperimentai la grande delusione del 22 ottobre 1844. Nessuno, se non coloro che l’hanno vissuta potrà mai rendersi conto della nostra angoscia. La nostra esperienza fu simile a quella dei discepoli di Cristo dopo la sua crocifissione» The Former Day, The Advent Review and Sabbath, 10 marzo 1903.
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tra gli avventisti americani fece sparire la maggioranza di coloro che credettero. Coloro che rimasero si divisero in tre gruppi. Il più numeroso rigettò tutto ciò che aveva sperato, creduto e professato; il secondo gruppo si mise a fare nuovi calcoli, costantemente smentiti dagli avvenimenti; il terzo, restando fedele sia all’attesa del Maestro sia alla data, rimasta inalterata del 1844, sottomise a uno studio approfondito la questione della “purificazione del santuario”. L’epistola agli Ebrei riservava a loro una luce inattesa. Il “santuario” che doveva essere purificato alla fine dei tempi non era la nostra terra, ma il “santuario celeste”. La purificazione del santuario celeste, prefigurata dai riti e cerimonie della purificazione del santuario levitico corrispondeva a una fase del giorno del giudizio chiamata: l’ora del giudizio. È questa fase del giudizio che doveva essere conosciuta e proclamata al mondo intero, e non la data della sua chiusura e del ritorno del Signore.78 Riteniamo che la prima comprensione storica di questo testo di Apocalisse X in questa prospettiva sia avvenuta all’indomani delle grande delusione. H. Edson così scriveva: «Dopo colazione dissi ad uno dei miei fratelli: “Andiamo a vedere di incoraggiare qualcuno dei nostri fratelli”. Partimmo e, mentre attraversavamo un grande campo, mi fermai quasi a metà. Il cielo parve aprirsi davanti a me ed io vidi in modo chiaro e distinto che il nostro Sommo Sacerdote, anziché lasciare il luogo santissimo del santuario celeste per venire su questa terra il decimo giorno del settimo mese, alla fine dei 2300 giorni, entrò in quel giorno nella seconda stanza del santuario, dove aveva un’opera da compiere nel luogo santissimo di esso, prima di ritornare… La mia mente fu rivolta al capitolo X del libro dell’Apocalisse e potei vedere la visione che aveva parlato e che non mentiva. Il settimo angelo aveva cominciato a suonare la sua tromba. Noi avevamo mangiato il libretto che era stato dolce nella nostra bocca e amaro nelle nostre viscere, rendendo amaro l’intero nostro essere. Noi, pertanto, dovevamo profetizzare di nuovo».79 Se il libretto che viene mangiato da Giovanni, che raffigura la Chiesa, fosse quello presentato nei capitoli V e VI non si conoscerebbe quando questo libro abbia provocato dolcezza e amarezza.
Il sorgere di un movimento mondiale «E mi fu detto: “Bisogna che tu profetizzi di nuovo sopra molti popoli e nazioni e lingue e re”».80 78
Vedere J. Vuilleumier, o.c., pp. 156,157. H. Edson, o.c.. 80 Apocalisse 10:11. Il verbo al plurale legousin “essi dicono”, “stanno dicendo a me”, all’inizio del versetto è stato oggetto di alcuni commenti. Ci saremmo normalmente aspettati un verbo al singolare come anche viene tradotto: «Egli mi disse». Seguendo Charles, Ford suggerisce che la funzione del plurale è quella di fornire un soggetto indefinito (o.c., p. 160), Mounce suggerisce che potrebbe avere un significato passivo (o.c., p. 216). Si può per contro pensare che la voce del potente angelo e quella che viene dalla nuvola parlino assieme. Potrebbero anche essere la voce degli angeli con le 79
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«Questa parola - che avrebbe potuto prevenire l’errore del 1844 - annunciava che l’opera era solo cominciata. Così, spiegato l’errore, il nuovo compito fu coraggiosamente intrapreso e perseguito, al punto che esso abbraccia oggi i cinque continenti del mondo. Prendiamo l’esempio degli apostoli. Sulla fede di tutto l’Antico Testamento e del passo di Daniele IX:24-26, essi avevano annunciato che “il tempo era compiuto”, ma senza accorgersi che nello stesso tempo si doveva realizzare la soppressione del Messia. Imbevuti della credenza popolare, essi attendevano, per la fine delle 70 settimane, un Messia Re che li avrebbe liberati dal giogo dei Romani. Come si sa, davanti alla crocifissione del Salvatore, essi conobbero una delusione vicina allo scoraggiamento. Ma questo sbaglio non dimostrava per nulla che le profezie annuncianti la gloria del Messia fossero menzogne, né che i discepoli non fossero i suoi inviati. Qualche giorno prima - in armonia con la profezia di Zaccaria i dodici discepoli avevano acclamato Gesù entrante trionfalmente a Gerusalemme, cosa che essi non avrebbero fatto se avessero compreso la sorte che attendeva il loro Maestro e Amico. La loro ignoranza parziale compiva la profezia. I credenti del 1844, pure, spinti da una volontà irresistibile, compirono la volontà di Dio, proclamando un messaggio basato su dei principi incontestabili. Il loro errore fu di accettare una interpretazione non controllata dei versetti 13 e 14 dell’VIII capitolo di Daniele. Lo studio del santuario celeste - studio che i teologi fino a quel momento non avevano ancora affrontato - fatto con lacrime e preghiere all’indomani della delusione, aprì davanti a loro degli orizzonti nuovi inondati di luce celeste. Pieni di gioia, animati da un coraggio senza limiti, si misero all’opera che era stata loro assegnata. Questo compito, più vasto, più potente, più universale del primo era formulato al versetto 11: “Bisogna che tu profetizzi di nuovo sopra molti popoli e nazioni lingue e re”».81 «Questo “ancora” (di nuovo), indica che in quel tempo tale testimonianza era già stata largamente fatta, ma bisognava ancora darla. La Chiesa durante il primo secolo annunciò l’evangelo alla parte del mondo civilizzato. Gli apostoli, e i loro immediati successori, erano stati presi dallo Spirito del loro Signore: “Andate in tutto il mondo”. Nessuna difficoltà, o pericolo, o opposizione arrestarono i loro progressi. Andarono avanti con la forza del loro glorificato Re, e conquistarono nel suo nome. Poteva sembrare ad alcuni che questo lavoro fosse finito. La storia della Croce era stata fatta conoscere dappertutto. Ma no. Il lavoro doveva continuare. Di nuovo l’opera doveva essere portata avanti in ogni luogo della terra dalla Chiesa. “Ancora”, con zelo, energia e con la consacrazione dei tempi apostolici. Non ci si deve fermare mai nel compire questo lavoro. Se la stanchezza, l’opposizione, la mancanza di successo, tentano di neutralizzare i suoi sforzi, si deve sentire ancora la voce dell’invito da parte di Dio, “ancora”, e così di giorno in giorno e di secolo in secolo ripetere la sua storia d’amore e chiamare le nazioni a inginocchiarsi ai piedi di Gesù. La sua è una grande trombe. Un’altra spiegazione vede gli anziani e le creature viventi entrate nel quadro profetico. Qualsiasi spiegazione non cambia in nulla il messaggio che viene dato. 81 J. Vuilleumier, o.c., pp. 157,158.
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missione, non deve mai cessare di lavorare; ancora “tu devi profetizzare di nuovo” fino a quando il mistero di Dio è compiuto e l’ultimo suono della tromba del settimo angelo annuncerà la sua opera finita e la gloria completa».82 Questa opera la ritroviamo presentata al capitolo XIV:6-13. Gesù aveva detto: «Quando questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo allora verrà la fine».83 È evidente che la scena profetica va oltre a quella del tempo di Giovanni e quindi l’Apostolo rappresenta quelli che portano il messaggio nel tempo della fine. Del resto, sarebbe stato impossibile per Giovanni compiere in prima persona l’opera che qui viene presentata. Charles ha notato: «È interessante che la sua elencazione (popoli, nazioni, lingue e re) ritorni sette volte in Apocalisse… Qui è data in forma diversa e basileusin-re è messo nel posto del phulais-tribù. I re sono quelli menzionati nel capitolo XVII:1012. Il messaggio deve essere rivolto a pollois (molti)». Come J.M. Ford ha notato, «pollois, “molti”, si riferisce alla vastità del campo della missione, applicandosi non soltanto ad un impero, ma a una moltitudine di razze e regni e teste incoronate. Quindi interpretare questo come il mondo intero, sembra esprimere al meglio il significato di questo verbo».84 Mounce evidenzia la natura di questo messaggio finale: «È l’atto finale nel grande dramma dell’attività creatrice e redentrice di Dio. Il significato della storia diventa cruciale al tempo della fine… La sua profezia è il culmine di tutte le profezie precedenti per il fatto che porta alla distruzione finale del male e all’inaugurazione dello stato eterno».85 Quest’opera in favore dell’umanità è compiuta dalla Chiesa che agisce in conformità alla purificazione del Santuario celeste e che ha ereditato e rivalutato le verità calpestate, riproponendo la grazia dell’evangelo nella sua integrità. Giovanni dice: «Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù».86 All’indomani della delusione quel gruppo di credenti aveva delle certezze: la Bibbia quale Parola di Dio, il ritorno di Gesù e l’importanza del messaggio profetico. Espulsi dalle numerose denominazioni del tempo conservavano le credenze e gli insegnamenti dottrinali del gruppo di appartenenza. La delusione fu fermento di riflessione, di studio della Bibbia, di confronto, creando un ecumenismo non dove ognuno continuava a credere alla propria tradizione, ma dove gli insegnamenti erano confrontati con quelli che Dio aveva detto. Così la delusione, drammatica per la realtà del momento, divenne salutare, fermento di vita in cui la verità dottrinale riemerse e la profezia divenne elemento di identità per la propria missione.
82 83 84 85 86
RAMSAY James Beverlin., Exposition of the First Eleven Chapters, Pennsylvania, 1977, p. 432. Matteo 24:14. J.M. Ford, o.c., p. 161. R.H. Mounce, o.c., p. 217. Apocalisse 14:12. Quando la profezia diventa storia
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La settima tromba e il mistero di Dio L’angelo giurando disse: «Ma nel giorno in cui il settimo angelo suonerà, quand’egli incomincerà a suonare, si compirà il mistero di Dio, come egli ha annunciato ai suoi servitori i profeti».87 «La settima tromba è unica perché annuncia la realizzazione della redenzione. È l’antitipica festa delle trombe che precedeva il giudizio finale nel quale avviene la ricompensa dei giusti e la retribuzione degli increduli alla venuta di Cristo».88 Come il suono di ogni tromba non ha manifestato un qualcosa che si è compiuto in un momento nella storia, ma il suono ha dato origine al divenire di fatti; come non è la durata di un istante l’effetto di una piaga, così il suono della settima tromba non è un semplice atto, ma indica l’inizio di un periodo di tempo. Scrive D.G. Barnhouse: «La voce del settimo messaggero è sentita per un periodo di tempo considerevole, “nei giorni della voce”. Non è un grido acuto e penetrante, ma un lungo giudizio prolungato».89 Possiamo dire che la settima tromba ha iniziato a suonare a seguito dell’annuncio «non c’è più tempo» e quando finirà il suo suono si compirà il mistero di Dio. L’inizio del suono della tromba è garanzia di ciò che avverrà. La VII tromba è quella finale, l’ultima. Giovanni scrive: «Ed il settimo angelo suonò, e si fecero gran voci nel cielo, che dicevano: “Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo; ed egli regnerà nei secoli dei secoli”. E i ventiquattro anziani seduti nel cospetto di Dio sui loro troni si gettarono giù sulle loro facce e adorarono Iddio, dicendo: “Noi ti ringraziamo, o Signore Iddio onnipotente che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo gran potere, ed hai assunto il regno. Le nazioni s’erano adirate, ma l’ira tua è giunta, ed è giunto il tempo di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servitori, i profeti, ed ai santi e a quelli che temono il tuo nome, e piccoli e grandi, e di distruggere coloro che distruggono la terra”. E il tempio di Dio che è nel cielo fu aperto, e si vide nel suo tempio l’arca del suo patto, e vi furono lampi e voci e tuoni e un terremoto ed una forte gragnola».90
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Apocalisse 10:7; traduzione letterale. Vedere La Buona Notizia - Il Nuovo Testamento, ed. Lanterna, Genova 1972. 88 BACCHIOCCHI Samuele, God’s Festivals, in Scripture and History, Biblical Perspectives n. 12, Berrien Springs, Michigan, 1996, p. 104. 89 D.G. Barnhouse, o.c., p. 184. 90 Apocalisse 11:15-19.
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Osserva il professor S. Bacchiocchi: «È notevole che l’annuncio del giudizio sia seguito dall’apertura del luogo Santissimo nel tempio celeste dove l’arca del patto è vista. Questa è una chiara allusione al giorno dell’espiazione che trova la sua antitipica realizzazione nella venuta finale di Cristo come indicato dalla manifestazione dei segni cosmici della fine.91 L’associazione dei segni della fine con il rituale del giorno delle espiazioni suggerisce che la venuta di Cristo rappresenta la realizzazione dell’antitipica disposizione dei peccati nella rappresentazione tipica del giorno dell’espiazione. È importante notare che la settima tromba è dipinta in modo differente dalle precedenti sei. Mentre il suono delle prime sei trombe annunciano dei giudizi sulla terra, il suono della settima tromba annuncia l’intronizzazione di Dio e il giudizio che avviene nel cielo. “Si fecero gran voci nel cielo, che dicevano: ‘Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo; ed egli regnerà nei secoli dei secoli’. Allora i ventiquattro anziani menzionati nel capitolo IV e V cadono in adorazione e cantano una lode che contiene tre temi principali. Il primo tema è la celebrazione dell’intronizzazione di Dio: “Noi ti ringraziamo, o Signore Iddio onnipotente che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo gran potere, ed hai assunto il regno”. Questa ci ricorda il suono dello shofar nel giorno di Rosh Hashanah, che era un simbolo dell’intronizzazione di Dio. Il tema del giudizio e quello del regno sono strettamente connessi perché il re era intronizzato per giudicare i popoli. Il secondo tema è l’annuncio del giudizio di Dio e la presentazione della sua ira per stabilire il suo regno di grazia nel mondo: “Le nazioni s’erano adirate, ma l’ira tua è giunta, ed è giunto il tempo di giudicare i morti”. Questo ci ricorda il giudizio che era annunciato dal suono delle trombe nel giorno del Rosh Hashanah. Il giudizio era di salvezza per coloro che si erano pentiti e di punizione per i peccatori impenitenti. Terzo tema è la venuta del giudizio in favore dei giusti e la distruzione dei senza Dio. Il tempo è venuto “di dare il loro premio ai tuoi servitori, i profeti, ed ai santi e a quelli che temono il tuo nome, e piccoli e grandi, e di distruggere coloro che distruggono la terra”. Questo annuncia l’esecuzione del giudizio finale, alla venuta di Cristo rappresentato nell’antitipico giorno dell’espiazione. Infatti l’annuncio del giudizio è immediatamente seguito dall’apertura del luogo santissimo in cielo dove è vista l’arca del patto».92 Lo sviluppo del tema della settima tromba annuncia un giudizio sulla terra, l’intronizzazione di Dio quale inaugurazione del suo giudizio celeste. Il tema del giudizio, la festa delle trombe e la settima tromba riteniamo che siano in relazione con il giudizio di Daniele VII:7-28. S. Bacchiocchi osserva un triplice parallelismo tra questi due testi. 91
Apocalisse 11:19; confr. 16:18; 6:12-14. S. Bacchiocchi, o.c., pp. 104,105. «Lo stesso movimento può essere visto nel suono delle trombe durante le sette lune nuove del calendario religioso ebraico. Durante le lune nuove dei primi sei mesi le trombe suonavano per avvisare il popolo dell’avvicinarsi del giudizio, ma alla luna nuova del settimo mese le trombe venivano suonate per annunciare l’inaugurazione del giudizio celeste. Queste assomiglianze tematiche suggeriscono che le sette trombe rappresentano l’anticipato adempimento delle feste delle trombe» idem, p. 105. 92
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Primo: l’intronizzazione di Dio:
Daniele VII Versetto 9: «Io continuavo a guardare fino al momento in cui furono collocati i troni, e un vegliardo si assise».
Apocalisse XI Versetto 17: «I ventiquattro anziani lodavano Dio perché aveva incominciato a regnare».
Secondo: giudizio celeste: versetto 10: «Il giudizio si tenne e i libri furono aperti».
Versetto 18: «È giunto il tempo di giudicare i morti».
Terzo: Dio vendica i santi e distrugge le potenze che Lo negano. Versetto 11,22: «Guardai finché la bestia non fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso… Finché non giunse il vegliardo e il giudizio fu dato ai santi dell’Altissimo, e venne il tempo che i santi possederanno il regno».
Versetto 18: «È giunto il tempo … di dare il premio ai tuoi servitori, i profeti e ai santi e a quelli che temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra».
Questi tre temi sono seguiti in Daniele VII:13,14 dalla venuta del Figlio dell’uomo per stabilire il suo regno eterno. L’evento corrispondente nella settima tromba è l’apertura del luogo santissimo nel cielo che manifesta i segni cosmici in relazione all’avvento.93 I temi del giudizio nella festa delle trombe sono anche messi in relazione con il triplice messaggio di Apocalisse XIV. «Questi messaggi sono gli appelli finali di Dio. Le trombe sono richiami all’umanità. Come i giudei annunciavano gli inizi del giudizio nella festa delle trombe con un massiccio suono dello shofar, così il primo angelo annuncia l’arrivo del tempo del giudizio con una “gran voce” dicendo: “Temete Dio e dategli gloria perché l’ora del suo giudizio è venuta”. Il secondo angelo proclama il giudizio di Dio su Babilonia caduta quale raffigurazione della sbagliata adorazione nei confronti dalla falsa trinità: il dragone, la bestia ed il falso profeta. Il terzo angelo avvisa le persone del giudizio punitivo di Dio su chiunque “adora la bestia e la sua immagine”. Questi tre messaggi di giudizio sono seguiti dalla venuta del Figlio dell’uomo per la mietitura della terra. La sequenza di questi avvenimenti è istruttiva. Come il giudizio annunciato dalla festa delle trombe era seguito dalla purificazione finale dei credenti e la punizione degli increduli nel giorno 93
Idem, pp. 104-106.
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IL SORGERE DI UN MOVIMENTO MONDIALE
dell’espiazione, così il giudizio annunciato dai tre angeli è seguito dalla salvezza dei credenti (rappresentati dalla raccolta del grano) e la punizione degli increduli (rappresentati dai grappoli d’uva gettati nel tino dell’ira di Dio) nel giorno della venuta di Cristo.94 Il tempo del messaggio di giudizio dei tre angeli è significativo. Viene, come è stato notato da John A. Bollier, tra la fine e l’inizio di due serie di giudizi (sette sigilli e sette trombe)95 e l’inizio dell’ultima serie di giudizi (le sette piaghe, la punizione di Babilonia, della bestia, del falso profeta, di Satana e dei malvagi).96 Questo significa che il giudizio celeste inizia prima del versamento delle sette ultime piaghe che terminano con la venuta di Cristo».97 «Mistero98 significa qualcosa di formalmente nascosto e non ancora rivelato. Sembra qui denotare “l’intera proposta di Dio”, la felice soluzione di tutti i problemi della storia, la consumazione della divina promessa dell’ultima benedizione per il mondo, che costituiscono l’evangelo, la felice notizia che Dio ha “dichiarato ai suoi servitori i profeti”».99 Isaia invita: «Cercate l’Eterno, mentre lo si può trovare; invocatelo, mentre è vicino. Lasci l’empio la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; e si converta all’Eterno che avrà pietà di lui e al nostro Dio che è largo nel perdonare».100
Conclusione La Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno nella lettura del capitolo X dell’Apocalisse vede dipinte le fasi che hanno dato origine al sorgere del proprio movimento mondiale e il messaggio che il Signore le ha affidato di proclamare al mondo intero. «La fine del tempo profetico è ora conosciuto. Questa predicazione inizia nel “tempo della fine”. La fine di tutte le cose è giunta. Il settimo angelo suonerà presto questa tromba, E allora i regni di questo mondo diventeranno il Regno del nostro Signore e del Suo Cristo!».101
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Apocalisse 14:14-20. Apocalisse 6 e 13. Apocalisse 15-20. Vedere BOLLIER John A., Judgement in Apocalypse, in Interpretation, gennaio 1953, p. 22. Idem, pp. 116. Mistero di Dio. Efesi 6:19, 1 Timoteo 3:16; Romani 16:25-26. ERDMAN Charles R., The Revelation of John, Philadelphia 1936, p. 98,99. Isaia 55:6,7. W.H. Shea, o.c., p. 325. Quando la profezia diventa storia
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Capitolo XV LA PROFEZIA E GLI STATI UNITI D’AMERICA «Il popolo americano ha il genio delle azioni superbe e generose, ed è nelle mani dell’America che Dio ha posto i destini dell’infelice umanità» Papa Pio XII.1 L’America è un Paese «segnato dalla grazia» Papa Giovanni Paolo II. «Ho sempre pensato che questo Paese benedetto sia stato collocato volontariamente in un contesto particolare, che un piano divino abbia posto questo grande continente tra gli oceani perché possa essere un punto di approdo per tutti coloro che, in qualche parte del mondo, hanno particolarmente a cuore la fede e la libertà» Ronald Reagan.2 «Sta alla responsabilità degli americani eleggere dirigenti che guidino l’America in modo giusto, sulla strada di Dio» Jerry Falwell. «C’erano dirigenti fondamentalisti religiosi nella nazione... che dicevano alla folla che il 1980 sarebbe stato solo l’inizio, che i precetti della Bibbia avrebbero potuto diventare la Legge del paese. Era uno spettacolo stupefacente: migliaia di cristiani, pastori compresi, che per tutta la loro vita avevano creduto nel ritorno imminente di Cristo, alla crescita delle forze di Satana e all’inevitabile sconfitta della Chiesa nella conversione del mondo, acclamavano ormai altri pastori che avevano anch’essi creduto per tutta la vita in questa dottrina della sconfitta terrena, ma che ora annunciavano prossima la vittoria sulla terra...» North Gary.
Introduzione In questo capitolo noi considereremo la seconda parte di Apocalisse XIII, in cui Giovanni descrive il sorgere di una bestia con due corna di agnello.
1 2
LANARÈS Pierre, Qui dominera le monde, Dammarie-les-Lys 1959, p. 25. Dichiarazione all’Associazione Nazionale degli Evangelici, 1982.
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Scrive il teologo avventista William Johnsson: «Ammettiamo francamente che la piena comprensione della realizzazione di questa profezia del mostro che sale dalla terra riguarderà ancora il futuro».3 Si è creduto che questa bestia rappresentasse gli eretici (Umberto di Silva, XI secolo), i gesuiti, i sacerdoti indegni (Beato di Liebana), il clero cattolico (Gioacchino da Fiore nel XII secolo e il padre Manuel Lacunza nel XVII secolo), l’inquisizione, la tirannia ecclesiastica, il papa Benedetto XI (Ubertino di Casale nel XIV secolo), il papato in generale (Olivi, nel XIII secolo, Lutero e Osiander nel XVI), la chiesa mondiale (Schnepel).4 Generalmente però è stata identificata come una metamorfosi di Roma sia pagana sia papale, considerata sotto l’aspetto prettamente religioso o morale, come potenza spirituale che agisce tramite la parola. Sebbene questo modo di vedere sia ancora sostenuto da diversi teologi contemporanei, cattolici e protestanti, le prime varianti (a questa spiegazione) appaiono con la Rivoluzione Francese e con quanto il papato ha subìto con la deportazione in Francia nel 1798: la sua ferita mortale. Si è vista la Francia sotto la guida di Napoleone che, dopo aver umiliato il papato, firma il Concordato nel 1802. Napoleone divenne egli stesso un despota e, pur avendo detronizzato il potere religioso, ne accettò la potenza in occasione della sua incoronazione come imperatore. Le due corna sono state viste come simbolo della libertà e dell’uguaglianza, i due principi che costituiscono i diritti dell’uomo nel nome dei quali si sono fatte le varie rivoluzioni europee nella prima metà del XIX secolo. Nel XVII secolo il dr. Thomas Goodwin, direttore del Magdalen College e vice cancelliere dell’Università di Oxford, verso il 1680, convinto del ritorno di Cristo e stupefatto del protestantesimo del suo Paese, fu il primo interprete della profezia che vide in questa seconda bestia del capitolo XIII la raffigurazione del protestantesimo stesso.5 Sebbene esso non sia blasfemo e non si sia coperto di sangue dei martiri, come il potere raffigurato dalla prima bestia, parla però ugualmente come un dragone ed egli stesso è stato intollerante con chi non accettava la sua autorità e la sua tradizione. Impose credi, modi di vita, mise il marchio di sette e di partiti. Alla fine del XVIII secolo due teologi americani: Isaac Backus, nel 1767, storico battista e difensore della libertà religiosa,6 e Jhon Bacon, nel 1799, pastore congregazionalista, giudice di pace, per anni membro della legislatura del Massachusetts, anche lui molto impegnato nella difesa dei diritti della libertà civile e religiosa7, riprendono questo modo di comprendere la Parola di Dio aggiungendo che 3
JOHNSSON William, La victoire des Saints dans les temps de la fin, in Servir, II, 1995, p. 23. Vedere BRÜTSCH Charles, La Clarté de l’Apocalypse, 5a ed., Labor et Fides, Genève 1966, p. 236. 5 GOODWIN Thomas, The Expositions of that Famous Divine Thomas Goodwin, D.D., on Part of the Epistle to the Ephesians, and on the Book of Revelation, London 1842, pp. 602,603: «Certi protestanti tendono a realizzare una “immagine” del vecchio papato sulle basi della Riforma Protestante». 6 BACKUS Isaac, The infinite Importance of the Obedience of Faith, and of Separation from the World, 2a ed., Boston 1791, p. 26. Commentando Apocalisse 13:11-18 scriveva: «Poiché la bestia protestante ha portato sangue e schiavitù su tutta la terra...» e aggiungeva che quella «tirannia spirituale» era penetrata in «diversi Stati degli Stati Uniti d’America». 7 BACON Judge John, Conjectures on the Prophecies; written in the Forepart of the Year 1799, Boston 1805, pp. 26,27. «Può questa visione profetica riferirsi al clero in generale che comparirà qualche tempo dopo la ferita mortale 4
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le due corna devono rappresentare le due forze del protestantesimo: la libertà civile e religiosa. Nel secolo scorso, 1830, McCorkle Samuel M. diceva che «nel XIII capitolo abbiamo la Chiesa Cattolica e quella Protestante... rappresentate da due bestie».8 Quattro anni dopo, 1834, un altro americano, Smith Samuel B., sosteneva che la seconda bestia di Apocalisse XIII è un potere ecclesiastico, differente da quello papale, e lo identifica con il settarismo protestante. Le due corna raffigurano, anche per lui, la libertà civile e religiosa.9 È nella metà del XIX secolo che si giunge a una chiara identificazione di questa seconda bestia. «Poi vidi un’altra bestia, che saliva dalla terra, ed aveva due corna come quelle di un agnello, ma parlava come un dragone. Ed esercitava tutta la potestà della prima bestia, alla sua presenza; e faceva sì che la terra e quelli che abitavano in essa adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata sanata. E operava grandi segni, fino a far scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini. E seduceva quelli che abitavano sulla terra coi segni che le era dato di fare in presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di fare una immagine della bestia che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita. E le fu concesso di dare uno spirito all’immagine della bestia, onde l’immagine della bestia parlasse e facesse sì che tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia fossero uccisi. E faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio; cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intendimento conti il numero della bestia, poiché è un numero d’uomo; e il suo numero è 666».10 «Come il dragone ha comunicato alla prima bestia la sua potenza, il suo trono e la sua autorità, così pure ispira i sentimenti, le idee, i voti della seconda bestia. E come egli è omicida e bugiardo dal principio, sono delle dottrine di menzogna e di che è stata data alla testa della bestia precedente e che incurante delle pure dottrine... sarà così corrotto da imitare il comportamento della prima bestia, - continuando ad agire secondo gli stessi principi ed essendo influenzato dallo stesso spirito? Così che la prima bestia vivrà ancora nella seconda bestia o nell’immagine che le farà? ... “Con le corna dell’agnello”, qualcuno di loro che si definisce protestante, non comincia già a “parlare come un dragone”?». 8 McCORKLE Samuel M., Thoughts on the Millennium, With a Comment on the Revelation, Nashville 1830, p. 54. 9 SMITH Samuel B., The “Image of the Beast”, New York 1862, pp. 15,18,19. 10 Apocalisse 13:11-18. Quando la profezia diventa storia
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perdizione che egli insinua e fa prevalere... Essa esercita la potenza della parola... Parlerà dunque nei consigli delle nazioni o del governo, nelle sale dei tribunali o nelle assemblee... Se la prima bestia è l’opposto del Cristo Re, la seconda bestia è l’opposto del Cristo profeta; così essa viene nominata più avanti».11
Caratteristiche e identificazione della seconda bestia di Apocalisse XIII I: il significato simbolico di bestia Le bestie delle visioni di Daniele e di Giovanni rappresentano sempre dei governi politici o politico-religiosi. Una bestia «indica sempre un potere persecutore».12 «Il mostro terrestre è della stessa natura del mostro marino (il greco impiega allos e non eteros). Bisogna aspettarsi che compia la stessa opera nei confronti dei santi e li combatta lui stesso. Ma la sua relazione con il dragone appare ancora più intima. Poiché, se il primo animale agisce nel nome del dragone dal quale ha ricevuto la potenza e l’autorità (versetto 2), il secondo ne è l’anima stessa, il suo linguaggio esprime la sua natura profonda».13
II: il suo carattere Una bestia nella profezia è sempre un impero, e una bestia con corna d’agnello, ma che parla come un dragone, è un potere che cerca di imitare o di rimpiazzare l’Agnello, che ha della forza ecclesiastica, è dolce, ama la libertà e si presenta nel nome di Dio, ma è un “falso profeta”, come viene detto in Apocalisse XIX:20.14 «“Falso profeta” cioè come un profeta funzionario al servizio dell’istituzione, piuttosto che al servizio di Dio;15 un profeta della pace che rassicuri piuttosto che
11
REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanne 1904, pp. 346,345,346,347; vedere Apocalisse 19:20. GAUSSEN Louis, Daniel le prophète, t. II, Paris 1848, p. 15. 13 LEHMANN Richard, Le faux prophète et l’image de la bête, in AA.VV., Études sur l’Apocalypse, vol. I, Conferenze Bibliche Divisione Euroafricana, Collonges sous Salève 1988, p. 174. 14 «Due soli commentatori a mia conoscenza, scrive O. Cocorda, distinguono tra la Bestia della Terra e il falso Profeta, e lo fanno solo in parte; sono il Guers e l’Henriquet. Il Guers dice. “Questi fa dinanzi alla bestia imperiale la stessa parte della Bestia bicornuta, ed in fondo il falso Profeta non è altro che questa Bestia, ma modificata. Da potenza chiesastica che era in origine, è diventata un semplice profeta, ha perduto la sua metropoli, il suo potere temporale, le sue ricchezze; ma è sempre animata dello stesso spirito”. Lo Henriquet scrive: “Il falso Profeta è lo stesso che la Bestia bicornuta, il clero romano. Cosa strana! La chiesa apostata è caduta, Babilonia è distrutta, ma il suo clero sussiste ancora, vi sono ancora dei preti, e certo col loro capo! È vero che non sono più la Bestia dalle due corna, non formano più un corpo potente; non v’ha più che un falso profeta, un ordine di dottori al servizio dell’Anticristo”» COCORDA Oscar, Le Sette Teste dell’Apocalisse, una Chiave Profetica, Torre Pellice 1892, pp 25,26. Il Cocorda sostiene ancora più nettamente la distinzione tra questa Bestia e il falso Profeta. Ma considerando che l’opera che svolge è la stessa non è possibile credere che si tratti di due poteri distinti. 15 Geremia 5:30,31; 23:14. 12
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disturbi;16 un profeta che dà l’apparenza dell’ispirazione e dello spirito (ruah) ma che non porta l’oggettiva parola di Dio (davar)17».18
III: il luogo geografico della sua apparizione Da dove sorge questa bestia? L’abate A. Crampon commenta: «La prima bestia usciva dal mare, cioè dall’agitazione e dal rovesciamento dei popoli; questa bestia, la bestia a due corna, sale dalla terra, elemento più calmo; essa nasce in uno stato sociale tranquillo, nel seno della civiltà».19 «In questa regione di sicurezza apparente, il dragone utilizza le sue seduzioni per lottare contro la donna».20 «In Apocalisse XIII:11 bisogna comprendere questo termine (“terra”) a partire dalla descrizione degli attacchi del dragone contro la donna. Noi leggiamo in Apocalisse XII:16: “E la terra soccorse la donna”. Il fatto che la seconda bestia del capitolo XIII salga dalla terra sarebbe da mettere in relazione con il suo carattere seduttore. La visione ci dice in sostanza: nella regione in cui la donna si trova apparentemente in sicurezza, il dragone va a continuare la sua guerra contro di lei. È molto probabile che la “terra” del versetto 11 sia il complemento del “mare” del versetto 1, questi due termini indicano l’universalità degli sforzi distruttori del dragone. Una tale visione delle cose trova un appoggio supplementare in Apocalisse XII:12: “Guai a voi o terra o mare! Poiché il diavolo è sceso a voi con gran furore, sapendo di non avere che breve tempo”».21 «L’anabainon ex ten ges, la sua salita dalla terra ricorda il falso profeta (nelle vesti di Samuele morto che si presenta al re Saul chiamato dalla fattucchiera di Endor) che saliva anche lui dalla (anabainontas ex tes ges.)».22 Questa potenza non può sorgere dall’Oriente, perché, nella prospettiva storico profetica di Daniele, la storia si sposta dall’Oriente verso Occidente. Non può essere una potenza pagana, perché è un “profeta”, anche pur falso, parla nel nome dell’Eterno, ma non accetta pienamente la sua legge, deve avere una forma protestante, ha corna simili all’agnello. Non deve far parte del territorio dell’impero latino che, unito a quello greco, persiano e babilonese, è ricordato dal corpo geografico della prima bestia. Non può neppure sorgere dai territori limitrofi a questi imperi, travagliati da secoli di guerra, dall’agitarsi delle acque dei popoli. 16
Geremia 6:14; 8:11. Geremia 5:13; 23:16. 18 DOUKHAN Jacques, Le Cri du Ciel, Dammarie les Lys 1996, p. 212. 19 CRAMPON Auguste-Joseph-Théodore, La Sainte Bible, t. VII, l’Apocalypse, Paris 1904, nota. 20 W. Johnsson, o.c., p. 22. 21 JOHNSSON William G., La Trinité Satanique: une exégèse d’Apocalypse 13, in AA.VV., Prophétie et Escatologie, vol. I, Collonges sous Salève 1982, p. 358. 22 1 Samuele 28:13, versione dei LXX. R. Lehmann, o.c., p. 174. 17
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Deve essere una nuova potenza occidentale che si pone di fronte alla prima bestia. Come abbiamo ricordato appena sopra, Apocalisse XII:16, e commentato nel nostro Capitolo VIII, la “terra” che geograficamente soccorre la donna raffigura il Paese che è al di là dell’Atlantico dove approdarono coloro che nel vecchio continente avevano difficoltà per vivere in libertà la propria fede. IV: epoca di apparizione La prima bestia rappresenta il potere papale la cui testa è ferita a morte alla fine dei 42 mesi, cioè nel 1798. Il testo di Giovanni, non contento di fissarne la data, ci dice ciò che è avvenuto di straordinario in quell’anno: l’inizio della cattività del pontefice, come conseguenza naturale della sua attività svolta da secoli. «Se uno mena in cattività, andrà in cattività, se uno uccide con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada».23 Come conseguenza di questi fatti, Giovanni dice: «Poi vidi». Il “poi” crediamo che indichi una relazione cronologica con gli avvenimenti dei versetti precedenti. Questo uso è caratteristico dell’Apostolo e del greco della koinè che, sotto l’influsso dell’ebraico, usa la particella congiuntiva kai per introdurre una proposizione causale, consecutiva o temporale, come è il nostro caso. John Wesley, nelle sue note esplicative del Nuovo Testamento, aveva scritto nel 1754: «Questa bestia non si è ancora manifestata, ma non tarderà poiché deve apparire alla fine dei 42 mesi della prima bestia»24, lui stesso però non pensava al Paese che lo ospitava, terra di missione e di rifugio per i perseguitati d’Europa. Verso la fine del XVIII secolo sorse la potenza americana con la Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio 1776. Il 30 aprile 1789 George Washington assunse la carica di presidente degli Stati Uniti. «La fine del secolo scorso - scriveva A. Vinet nel 1825 - è stata testimone di un avvenimento le cui conseguenze morali devono essere immense. Una nazione si è improvvisamente formata. Le colonie dell’America settentrionale si sono elevate alla dignità di popolo indipendente e sovrano. Questa nuova società politica ha elevato l’edificio delle sue leggi su un suolo che non ingombrano le rovine di un altro stabilimento. Essa non ha per nulla dovuto fare i conti con i ricordi, i pregiudizi e le pretese di un altro secolo».25 Per la prima volta l’umanità assiste alla nascita di una nuova nazione che non ha le sue origini nella notte dei tempi.
23
Apocalisse 13:9. WESLEY John, Explanatory Notes upon the New Testament, vol. III, Commentary on Revelation 13:11, Philadelphia 1791, p. 704,735. 25 VINET Alexander, La liberté des cultes, p. 179; cit. da VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse, Dammarie-les-Lys 1938, p. 241. 24
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Le due bestie di Apocalisse XIII ora coesistono, stanno di fronte l’una all’altra e l’oceano le separa. V: il suo sorgere Giovanni vede la «bestia salire dalla terra». Il verbo tradotto per “salire” significa letteralmente “crescere”, “ingrossare”, “innalzarsi come una pianta”. Sorta, all’inizio, dall’unione di pochi Stati, si estende oggi sulla terra che è bagnata dai due oceani: Atlantico, Pacifico. Ricca nel suo suolo e nel sottosuolo, praticamente deserta prima dell’emigrazione europea, era una terra vergine, quasi un nuovo pianeta che attendeva l’uomo. Da 262.000 abitanti nel 1701 la popolazione passò a un milione nel 1749, a 4 milioni nel 1789, a 13 milioni nel 1830, a 50 milioni nel 1880, a 76 milioni nel 1900, a 113 milioni nel 1925, a 130 milioni nel 1929 per arrivare oggi a 220 milioni. «L’industria proliferava con quella rapidità caratteristica di tutto ciò che è americano. A poco a poco il paese perdeva il suo carattere eminentemente rurale: la popolazione della città (che nel 1860 non rappresentava che il 17% della nazione) raggiunse, nel 1900, il 40% e l’ascesa continua. Durante i quaranta ultimi anni del XIX secolo, gli Stati Uniti erano passati, fra le nazioni industriali, dal quarto al primo posto. Per coronare il tutto, due anni prima della fine del secolo, essi avevano bruscamente posto la loro candidatura al titolo di potenza mondiale, battendo la Spagna ed acquistando dei possedimenti coloniali situati a diverse migliaia di chilometri dalle loro coste».26 Sebbene sembri che l’America si sia ingrandita nella pace, e non dalle guerre come le potenze europee ed orientali, essa stessa ha ucciso, estirpato le civiltà indiane preesistenti e si è costituita con la forza delle armi: Giovanni la rappresenta con una bestia. La repubblica americana non possiede solamente il tenore di vita, il consumo energetico e delle materie prime tra i più alti del mondo, ma detiene la flotta militare e quella mercantile più imponenti, alle quali si deve aggiungere l’egemonia finanziaria e la potenza militare più forte.
VI: corna simili a quelle di agnello «Aveva due corna come quelle di un agnello». Come rileva D. Ford questa seconda bestia è la contraffazione dei testimoni di Apocalisse XI.27
I due testimoni-profeti di Apocalisse XI
La seconda bestia di Apocalisse XIII
- I testimoni sono due profeti che
- Questa bestia è chiamata «il falso
26 27
MENDE Tibor, Regards sur l’histoire de demain, p. 19; cit. da P. Lanares, o.c., ed. 1959, p. 169. FORD Desmond, Crisis !, 1982, p. 520. Quando la profezia diventa storia
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insegnano agli uomini a seguire gli insegnamenti di Dio; - Erano capaci di fare dei miracoli straordinari; - «Stanno nel cospetto del Signore della terra» XI:4; - Hanno un potere speciale sul fuoco (XI:5); - Il palcoscenico finale della testimonianza di questi martiri si pone dopo la loro morte quando lo “spirito di vita di Dio” li rianima; - Convincono l’umanità del supremo potere di Dio; - Sono i due candelabri e i due alberi (XI:4).
profeta» XVI:13; 19:20; 20:10; - Realizza grandi meraviglie; - Esercita la piena autorità alla presenza della prima bestia (XIII:12); - Fa scendere fuoco dal cielo (XIII:13); - Anima l’immagine della prima bestia con il suo spirito di vita, imitando il potere del Creatore; - Uccide tutti coloro che non adorano l’immagine fatta (XIII:15; vedere Deuteronomio XIII:15) - Ha due corna come l’agnello (XIII:12).
Questo potere si presenta simile a un nuovo nato, ad una nazione giovane. Non ha le corna di un becco o di un montone, come le vecchie potenze viste da Daniele che raffiguravano la Medo-Persia e la Grecia, ma quelle di un agnello. Giovanni vede il sorgere di questa nazione nel 1798, alla fine dei 42 mesi, cioè dieci anni dopo che gli undici Stati dell’Unione avevano ratificato la Costituzione del 26 luglio 1788. L’agnello è un animale che ha fiducia nell’uomo, ignora che lo si possa uccidere. Questo potere è portatore di principi di fiducia nei confronti dell’umanità. Diversi commentatori, in considerazione di questa descrizione, hanno presentato il bufalo a raffigurazione di questa seconda bestia. «L’indipendenza degli Stati Uniti costituisce, nella storia di tutti i tempi, un fatto d’importanza capitale, perché inaugura una concezione di potere completamente nuova».28 Il grande sigillo degli Stati Uniti ha concretizzato questo pensiero di nazione giovane con concezioni nuove adottando il motto: Novus ordo seculorum (un nuovo ordine dei secoli). Le corna vengono indicate non tanto per volere presentare la coesistenza di due popoli, come per il montone medo-persiano,29 ma per indicare la loro caratteristica rassomiglianza con quelle dell’agnello.30 28
PIRENNE Jacques, Les grands courants de l’histoire universelle, t. II, ed. Albin Michel, 1950, pp. 388, 389. Daniele 8:3,20. 30 «Le due corna sono simili a quelle dell’agnello; esse sono un simbolo della forza e non rappresentano due potenze riunite, ma significano semplicemente che la bestia aveva tutta l’apparenza esteriore dell’agnello» (come abbiamo detto, apparenza evangelica), BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, l’Apocalypse, edizione rivista ed ampliata da SCHRŒDERT Alfred, Lausanne 1905, p. 406. 29
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Sebbene abbiamo sempre considerato le corna dei vari animali come rappresentanti di popoli, dinastie, regni, perché il testo biblico lo precisava, qui esse indicano, ed è anche conforme al linguaggio biblico, due forze,31 due forme di potere attraverso le quali la bestia esercita la sua influenza, la sua autorità. Questo modo di vedere è avallato dalla somiglianza di queste corna con quelle dell’agnello. Di esse non è detto che sono e che saranno incoronate, come quelle della prima bestia, della quale però il testo biblico non dà nessuna raffigurazione, e ciò fa supporre, di conseguenza, che si tratti di una forma di autorità non centralizzata, non assoluta come quella di re. Queste due corna sono state identificate con le due forze fondamentali che caratterizzano gli Stati Uniti: potere repubblicano e libertà di coscienza; potere temporale e potere spirituale; l’autorità militare è stata subordinata all’autorità civile. Gli Stati Uniti sono il Paese nel quale si è sancita la tolleranza religiosa e la Chiesa si è separata dallo Stato. L’11 novembre 1620, le 41 persone riunite sul May Flower, che fuggivano dall’Europa, al fine di poter essere fedeli alla propria coscienza, s’impegnarono a creare una società nella quale il diritto di ognuno sarebbe stato rispettato, una società che fosse per il bene di coloro che la formano e alla gloria di Dio. Questo pensiero fu alla base della prima Dichiarazione dei Diritti dell’uomo. Nella Costituzione dello Stato della Virginia si legge: «Il Congresso non potrà promulgare nessuna legge per stabilire una religione, o per proibire il libero esercizio, o per restringere la libertà di parola o di stampa, o il diritto del popolo di riunirsi pacificamente e di indirizzare al Governo delle petizioni... Nessuno sarà costretto a frequentare qualsivoglia luogo di culto o a contribuire al mantenimento di alcun culto, edificio religioso o ministro di culto. Nessuno può essere costretto, limitato, molestato o aggravato, nella sua persona o nei suoi beni, o soffrire in qualsiasi altro modo, a causa delle sue opinioni o credenze religiose. Ognuno sarà libero di professare e di difendere le sue opinioni in materia religiosa e queste non toccheranno, né diminuiranno, o né aumenteranno in alcun modo la capacità civile. La legislazione non può prescrivere nessuna dichiarazione di credo religioso o attribuire alcun privilegio particolare a una setta o confessione religiosa, o votare qualche legge che obblighi o autorizzi una società religiosa o la popolazione di un distretto situato nei limiti di questo Stato a prelevare fra loro, o su altri, alcuna imposta per la costruzione o la riparazione di un edificio pubblico culturale e per l’intrattenimento di una chiesa o di un clero. Ogni persona sarà libera di scegliere coloro che l’istruiranno nella religione e di concludere per il loro mantenimento qualsiasi contratto privato desideri».32 31
Deuteronomio 33:17; 1 Samuele 2:1,10; 2 Samuele 22:3; Esodo 27:2; Salmo 22:21; Geremia 48:25; Michea 4:13; Apocalisse 5:6. 32 Costituzione della Virginia del 1872 art. 1 e 15, in Annuario dei Diritti dell’uomo, Nazioni Unite, New York 1947, pp. 236,237; cit. da P. Lanarès, o.c., pp. 171,172. Quando la profezia diventa storia
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«Una stessa idea, una stessa forza, ha spinto gli emigrati del XVII secolo sulle rocce di Plymouth... ha coperto l’America di comuni indipendenti e di governi liberi; questa idea, questa forza, è la religione dell’Evangelo sotto la sua forma più austera, il puritanesimo. Come Atene rappresenta l’arte e la poesia, Roma lo spirito di conquista e di governo, l’America rappresenta la fioritura del protestantesimo. Una Chiesa repubblicana ha generato una società che le rassomiglia. In America la libertà è uscita dalla religione... Questa civiltà è uscita dall’Evangelo... Padroni del loro destino, liberi di un passato che calpestava i loro fratelli d’Europa, essi hanno tratto dal protestantesimo una società e un governo conforme al loro ideale religioso. Una fede individuale ha creato una società in cui regna l’individuo. Sono gli Americani che per primi e soli hanno dato per principio alla democrazia il rispetto del diritto individuale e hanno anche protetto la coscienza, il pensiero, la parola, contro la tirannia della maggioranza non meno pericolosa di quella dei re... La libertà è passata nei costumi, io direi quasi nel sangue della nazione. La Chiesa cristiana è nata fuori dallo Stato, essa è diventata grande per la libertà; ha declinato, si è corrotta nel giorno in cui la mano dei principi l’ha sostenuta; si è rialzata dappertutto dove la si è resa a se stessa... il cristianesimo ha restaurato in America i bei giorni della sua infanzia... È nell’anima del cittadino che troviamo la garanzia della pace pubblica. Ciò che rimpiazza il regno della forza è l’obbedienza alla legge, obbedienza volontaria che fa di ogni uomo un guardiano della pace pubblica, e quasi un magistrato. La sovranità del popolo è uscita dalla sovranità dei fedeli. Una Chiesa senza vescovi, senza preti, dove l’autorità riposa tra le mani dei credenti... dove la religione tutta intera è contenuta in un libro che deve rispondere da solo ai dubbi dei credenti... poteva essa generare altra cosa che una democrazia? Quando, seguendo l’espressione di Lutero, ogni cristiano è sacerdote e ogni cristiana sacerdotessa devono trovare gli elementi del privilegio e come creare un potere che non sia una delegazione?... Si assiste a uno dei più begli spettacoli della storia... È la storia di un credere... È un momento elevato del protestantesimo, e meglio ancora dell’Evangelo... (È) la storia di un popolo che non si è stabilito con una conquista, e che è diventato grande per mezzo della pace».33 Gli Americani hanno adottato il principio che vede il governo trarre il potere dal popolo e, mediante la Costituzione, hanno legalizzato la possibilità di ogni riforma. Il potere del governo è limitato, con un sistema di controllo che dovrebbe impedire, a chi lo detiene, di svolgere una autorità superiore a quella che gli è stata conferita.
VII: Parla come un dragone Questa potenza dalle corna simili a quelle dell’agnello e la cui forza sembra provenire dall’Evangelo, però «parla come un dragone, ed esercita la potenza della prima bestia alla sua presenza». 33
LABOULAYE E., prefazione, ASTIÉ J.F., Histoire des Etats Unis, cit. J. Vuilleumier, o.c., pp. 245,246.
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Le parole: «Esercita la potenza della bestia alla sua presenza» indicano che questo potere non è una forma successiva della prima bestia del capitolo XIII, bensì una potenza distinta da essa, che le sta di fronte. Questi due poteri occupano due territori geografici distinti, l’oceano Atlantico li separa, ma sono portati ad agire di mutuo e comune accordo. Il potere del dragone sta nella sua voce. Siccome il linguaggio di una nazione è rappresentato dalle sue leggi, ne consegue che la sua legislazione ha una veste evangelica. E sebbene la Costituzione degli Stati Uniti si fondi sui valori dell’Evangelo, la nazione manifesta sovente uno spirito che è in aperto contrasto con la legge e la parola di Cristo. Il dragone è il simbolo dell’autorità accompagnato dalla violenza e dalla tirannia. Il dragone, per la mole della suo corpo, farebbe pensare ad una voce possente come quella del tuono, nella realtà la Parola di Dio ce la presenta come soave, persuasiva e seducente34. Crediamo di vedere un parallelismo tra la triplice tentazione di Gesù nel deserto della Palestina, quando vi si era ritirato per meditare sul come avrebbe dovuto conquistare il mondo al Padre, ed il comportamento degli Stati Uniti d’America nella conquista ideologica del mondo. a) A Gesù la voce del dragone propone: «Di’ a queste pietre che diventino pane»35, in altre parole gli suggerisce di conquistare gli uomini non per amore (anche se c’è della carità nel dare del pane agli affamati) ma per interesse. L’umanità ha fame, conquistala, portala dalla tua parte, dandole da mangiare e vedrai che ti seguirà, non per quello che sei, ma per quello che dai. Gli aiuti economici e finanziari che gli Stati Uniti danno alle varie nazioni sono considerevoli e non hanno pari nel mondo.36 La nostra critica non verte sulla sincerità degli uomini politici e di altri, che promuovono iniziative altamente umanitarie da parte del loro Paese per altri popoli. Vogliamo semplicemente constatare, malgrado la sincerità delle iniziative di pace e di libertà, che nel secolo scorso le potenze europee che estendevano i loro domini e la loro protezione sulla maggior parte della terra, oggi, rientrate nei loro confini, sono state rimpiazzate dagli Stati Uniti i quali hanno esteso il proprio imperialismo ovunque con la loro influenza sociale, economica, politica, finanziaria e militare. Vietnam, Cambogia, Sud America, ecc., sono il frutto dell’azione del dragone. Parla di benessere e di libertà, fa del bene, ma e nella realtà sostiene i regimi totalitari e oppressori che non siano rossi.37 34
Vedere Genesi 3:1-5. Luca 4:3 e seguenti. 36 Gli aiuti per la cooperazione e lo sviluppo nel Terzo Mondo sono elargiti a Paesi nei quali gli USA proteggono i loro interessi. 37 Il testo che segue illustra il comportamento degli USA nei confronti del Guatemala. Esso può essere considerato un esempio, fra tanti episodi simili, del loro atteggiamento nei confronti di tanti altri paesi. Questo fatto illustra come gli Stati Uniti d’America, che sono considerati i paladini della libertà e dei valori democratici, agiscono sul piano economico-sociale, animati dallo spirito del dragone. Documento tratto dal Cuadernos 19, El Estados de Seguridad 35
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b) La voce del tentatore propone al Cristo di fare miracoli: «Gettati giù di qui» affinché il mondo, vedendo che non ti fai male, meravigliato ti seguirà, perché per avere il dominio sui popoli, affascinati dalle cose straordinarie, bisogna che il leader s’imponga con i suoi portenti, li sappia ammaliare ed entusiasmare. Per questa seconda tentazione l’avversario fa uso della Parola di Dio: «Sta scritto». Giovanni dice che il falso profeta «operava grandi segni, fino a fare scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini. E seduceva quelli che abitavano sulla terra coi segni che le era dato di fare in presenza della bestia». A seguito della Nacional, edito dal Citigua anno 7, gennaio 1991: «Per comprendere lo sviluppo del Guatemala, occorre ricordare che il Paese si trova nella “sfera d’influenza” degli Stati Uniti e di una politica economica dominata dal capitalismo nordamericano. Agli inizi degli anni ’50, i funzionari nordamericani si allarmarono per le riforme realizzate dal governo di Arbenz. Le riforme - si diceva - minacciavano l’egemonia del capitalismo e favorivano il comunismo. Si sa che la “provocazione finale” si ebbe quando, nel 1954, venne decretata la nazionalizzazione della terra nelle mani della United Fruit Company (Compania Frutera)». Un breve cenno storico può essere molto illustrativo. Fino al 1944 il Guatemala era stato dominato da una oligarchia formata dal 2 per cento della popolazione, che si arricchiva grazie al possesso del 70 per cento della terra – circa la stessa distribuzione di oggi. Il Capo di Stato era il Generale Jorge Ubico, un dittatore brutale con simpatie per il fascismo. Gli indigeni lavoravano come compesinos nelle enormi tenute dei proprietari terrieri, in condizioni molto vicine alla schiavitù. Fra il 1944 e il 1954, il Guatemala conobbe una crescente e riuscita rivoluzione democratica con governi progressisti. Due presidenti, Juan José Arévado e Jacobo Arbenz, misero in atto una serie di riforme sociali ed economiche essenzialmente nazionalistiche e popolari. Cercarono di liberare il Guatemala dalla propria dipendenza economica e di migliorare le condizioni della popolazione mediante la sicurezza sociale, la libera educazione, il diritto al sindacato e, finalmente, la riforma agraria. Esisteva anche il pluralismo politico: venne legalizzato il partito comunista e, nel 1953, quattro dei suoi rappresentanti furono nominati membri del congresso. Nel 1952 i modesti programmi di Arbenz in materia di riforma agraria suscitarono l’ira del potente nemico: la United Fruit Compagny, che controllava enormi estensioni di terreno nel Paese. Gran parte della terra della Compagnia veniva utilizzata per la coltivazione di banane, ma le grandi estensioni non coltivate erano viste come un’anormalità dai campesinos senza terra e dallo stesso governo. Inoltre, la Compagnia possedeva parti notevoli delle infrastrutture del Paese, quali le ferrovie, l’unico porto sull’Atlantico, il sistema di telecomunicazioni e la compagnia elettrica. Il governo di Arbenz nazionalizzò parte della terra non utilizzata dalla United Fruit Company, offrendo di pagare il prezzo da questa stabilito nella propria dichiarazione dei redditi. La Compagnia reclamò, paradossalmente, che la terra valeva molto di più e cominciò a fare pressioni sul governo statunitense affinché intervenisse. L’amministrazione nordamericana avvertì i cambiamenti come una minaccia al principio della proprietà privata e, in particolare, all’impegno di capitali nordamericani nel Paese. L’“instabilità” prodotta dai mutamenti sociali “minacciava” gli interessi politici, economici e di sicurezza degli Stati Uniti. Dal punto di vista dei funzionari statunitensi, la provocazione del Guatemala non poteva essere tollerata, dato che occorreva proteggere le “materie prime nordamericane” mantenere lo status quo. Strette erano le relazioni fra la United Fruit Company e l’amministrazione Eisenhower. John Foster Dulles, in qualità di Segretario di Stato, era stato membro del gruppo degli avvocati della Compagnia, Allen Dulles, suo fratello e capo della CIA, era stato membro del Consiglio dei Tesorieri della stessa. I funzionari cominciarono a tramare per fare cadere il governo di Arbenz. Improvvisamente, il Guatemala venne accusato di essere comunista e perciò di costituire una minaccia per la sicurezza nazionale nordamericana. Nel 1954, il governo degli Stati Uniti lanciò la sua prima forza “contro”, un piccolo gruppo di mercenari guatemaltechi comandati dal colonnello Carlos Castillo Armas, armati e finanziati dalla CIA. Il governo Arbenz crollò… Vennero così revocate gran parte delle riforme sociali dei governi precedenti. La partecipazione politica fu ridotta, numerosi sindacati dovettero cessare le attività e vennero abolite le leggi sul lavoro; i libri bruciati, la riforma agraria abrogata, le organizzazioni popolari dichiarate illegali e migliaia dei loro membri incarcerati, sottoposti a pena capitale o esiliati. Tutte le terre distribuite ai campesinos tornarono alla United Fruit Company. Il nuovo regime, con l’aiuto nordamericano, impose ancora il potere economico e il controllo politico della classe tradizionale dei proprietari terrieri e degli interessi stranieri, ponendo fine al periodo di modernizzazione populista. Dopo i regimi militari che si ebbero nei trent’anni successivi, almeno centomila guatemaltechi vennero assassinati e quarantamila divennero desaparacidos. Le vittime erano leaders sindacali, membri di partiti politici di centro fino alla linea liberale, campesinos, professori universitari e religiosi. I regimi militari continuarono a contare sull’appoggio e sul finanziamento degli Stati Uniti fino all’amministrazione Carter. Dal 1954, gli USA cominciarono a militarizzare il Guatemala: finanziarono e organizzarono polizia ed esercito, per integrarli nel sistema militare e di sicurezza che si andava formando nel Continente.
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seconda guerra mondiale, la conquista dello spazio, la tecnologia USA, lo spettacolo della guerra del Golfo, il suo stile di vita, potrebbero forse essere considerati come dei «grandi segni» che hanno stupito, condizionato ed ammaliato i popoli alla sudditanza di questa super potenza. L’America, malgrado tutte le sue contraddizioni, affascina i Paesi occidentali e meridionali. c) La voce del serpente propone al Cristo di adorarlo e per questo Satana, il principe di questo mondo, gli avrebbe dato tutti i regni della terra. Il potere dalla voce di dragone «dice agli abitanti della terra di fare una immagine della bestia... e faceva sì che tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia fossero uccisi». Due modi per conquistare il mondo: alla maniera del nemico dell’umanità con gli interessi, gli intrighi, le menzogne i crimini e la guerra, non di liberazione, ma per la produzione e la vendita di armi che arricchiscono i mercanti di morte; alla maniera di Dio che combatte sì in questo mondo, ma con altre armi, con l’amore la cui strada porta al sacrificio, al dono di sé, a scendere dal trono per salire sull’altare. Gli USA hanno espresso in occasioni e tempi diversi la presa di coscienza del loro mandato, della loro ragion d’essere, la loro realtà ultima ha però smentito i buoni propositi, le belle intenzioni e forse, perché no, la sincerità delle loro affermazioni. I Padri Fondatori nel XVII secolo si sentivano investiti di una missione da compiere a beneficio di tutti i popoli del loro tempo e del futuro. Oggi, dopo duecento anni, il contrario può essere messo in evidenza. La tecnologia americana e la sua vita sociale occupano il primo posto nel consumo/spreco delle risorse geologiche ed idriche, l’ambiente viene inquinato e la costruzione delle potenti armi, oltre a rinforzare gli antagonismi razziali e nazionali, attentano alla creazione di Dio. Per conservare il proprio benessere, la porta dell’immigrazione è solo socchiusa per i poveri e gli oppressi del mondo. Più che alleggerire il fardello degli altri cerca, mediante la propria politica di aiuti, di trarre vantaggio o mantenere il proprio tenore di vita. All’interno del Paese il diritto di uguaglianza fra tutti gli uomini non ha trovato ancora la sua realizzazione. I neri sono sempre gente di colore e la loro dignità di uomini non è stata di fatto ancora completamente riconosciuta. Le corna simili a quelle dell’agnello non hanno abbattuto le barriere razziali e la tratta dei neri e gli indiani spodestati dalle loro terre, che combattono ancora per avere un diritto che la Costituzione dichiara di garantire, confermano che la voce del dragone si manifesta attraverso questa bestia che, come la prima, cerca il potere, il dominio, il regno di questo mondo.
Guarigione della ferita mortale del papato
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«E faceva sì che la terra e quelli che abitavano in essa adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata sanata». La bestia con le corna simili a quelle dell’agnello mette la sua influenza al servizio della prima bestia, portando gli abitanti della terra ad adorarla. Il protestantesimo americano non creerà certamente un culto al Papato o a delle statue che lo raffigurano, ma imporrà il segno dell’autorità cattolica che si esprime nel suo marchio. Vivendo ora nel tempo in cui il papato è guarito dalla ferita mortale del XVII secolo, vogliamo considerare l’evoluzione della sua guarigione.
Periodo della ferita mortale: 1798-1870 Il 1798 è l’anno in cui il papato viene colpito a morte e, nella prospettiva profetica, costituisce il punto di partenza dei “tempi della fine”. Dal 1798 al 1870 la Santa Sede visse degli anni tragici. Il papa venne spogliato del suo potere temporale, dopo essere stato portato in cattività a più riprese. Napoleone lo tenne prigioniero a Parigi. Nel 1848 il popolo di Roma invase il Vaticano, obbligando il papa a fuggire dalla Città eterna. Il 20 settembre 1870 i bersaglieri del generale Cadorna entrarono in Roma da Porta Pia e gli Stati della Chiesa, ridotti al solo Lazio, vennero definitivamente annessi al Regno d’Italia e Roma divenne la capitale. Il papa si rinchiuse come prigioniero volontario nel palazzo del Vaticano fino al 1929.
Periodo della lotta contro la morte: 1870-1914 Il papato nel 1789 non morì, fu solo ferito mortalmente. L’8 dicembre 1869, nel periodo più critico, venne convocato il Concilio Vaticano I. Quel Concilio pose la Chiesa sulla strada del trionfo. Nell’anno in cui questo potere ecclesiastico venne spogliato del suo potere temporale, compì una trasfusione di sangue che lo salverà miracolosamente dalla morte, proclamandolo, contro tutte le opposizioni, “infallibile”. Questa nuova prerogativa, ora del tutto spirituale, costituisce il siero alla guarigione. Il Conte Wladimir d’Ormesson così commenta quel periodo: «Nel momento in cui il Santo Pontefice vedeva dissolversi e forse scomparire lo stato sul quale era stabilito il suo potere - e tutto concorreva a persuadere Pio IX che ormai non si trattava che di una questione di tempo - ecco il Papa guadagnare in autorità spirituale ciò che stava per perdere in autorità temporale. In altri termini, ecco l’immenso vantaggio che, senza alcun dubbio, il Papa traeva da questi eventi dolorosi. Aprendo qualche mese dopo una breccia nelle mura aureliane, i soldati del generale Cadorna davano, senza 582
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saperlo e, soprattutto, senza volerlo, al Papato l’occasione di rinnovare ed accrescere il proprio prestigio... La nobiltà d’animo di Leone XIII, l’intelligenza e l’abilità della sua azione non potevano non portare i loro frutti... Sotto il suo pontificato, il papato, lungi dall’indebolirsi, come si poteva temere all’indomani della fine del suo potere temporale, riprese sotto altra forma - e quanto più vantaggiosa - il terreno che aveva perduto... Sembra che la Provvidenza assegni ad ogni papa uno specifico apostolato. L’apostolato di Pio X è consistito nel rinnovare il fervore del sacerdozio immergendolo nuovamente nelle sue sorgenti, ravvivando dovunque la purezza della fede cristiana».38 La guarigione non fu ancora assicurata, ma la lotta contro la morte aveva avuto inizio e, malgrado gli assalti che il papato avesse subito, sopravvisse fino alla prima guerra mondiale. Mentre le nazioni cristiane scendevano in guerra tra di loro, quel periodo fu per la Santa Sede un tempo di pausa nella lotta per il potere. I servizi che il papato aveva reso durante il conflitto prepararono la sua convalescenza.39
Periodo della convalescenza: 1914-1945 I regimi dittatoriali d’Europa hanno avuto la funzione di “stampella” o di “infermieri”. Firmando i Patti Lateranensi l’11 febbraio 1929 con Mussolini, il Papa sostenne il fascismo ottenendo contemporaneamente la sua liberazione: «Lo Stato pontificio è restaurato».40 38
ORMENSSON Wladimir de, Il Papato, ed. Paoline, Catania 1958, pp. 133,137. Benedetto XV, nei quattro anni di guerra, si sforzò di addolcire le condizioni delle vittime del conflitto. Il 19 dicembre 1914 chiese ai belligeranti di scambiarsi i grandi feriti; l’11/1/1915 propose lo scambio di diverse categorie di prigionieri civili; nel maggio dello stesso anno suggerì l’internamento dei prigionieri ammalati in Svizzera e Danimarca, paesi neutrali; nell’agosto domandò che il riposo domenicale fosse assicurato a tutti i prigionieri di guerra. Nello stesso tempo si interpose tra le potenze belligeranti perché fossero proibite tutte le misure di rappresaglia senza comunicazione preventiva dei motivi; nel luglio del 1916 suggerì che i prigionieri, padri di tre figli, dopo diciotto mesi di prigionia potessero essere internati in territori neutrali; nello stesso anno sollecitò dal governo ottomano la sepoltura cristiana dei soldati cristiani caduti allo stretto dei Dardanelli. Infine creò l’Agenzia d’Informazione dei prigionieri di guerra che ebbe sede a Berna e che, sotto gli auspici del Vaticano, rese numerosi servizi a innumerevoli famiglie. Vedere Idem, pp. 146,147. Non dobbiamo dimenticare che «Pio X, nel suo odio per gli ortodossi, non cessò di eccitare l’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria e d’Ungheria a “castigare i serbi”. Dopo Serajevo, 26 luglio 1914, il barone Ritter, che rappresentava la Baviera presso la Santa Sede, scrisse al suo governo: “Il papa approva che l’Austria proceda severamente contro la Serbia. Non stima molto gli eserciti della Russia e della Francia in caso di guerra con la Germania. Il cardinale Segretario di Stato non vede quando l’Austria possa fare la guerra se non si decide ora...”» PARIS Edmond, Le Vatican contre l’Europe, Paris 1969, p. 344. 40 «Per le Democrazie la legge è l’espressione democratica della volontà generale. Niente di ciò in Vaticano. Concedendo la legge di organizzazione del 1929, la Santa Sede è restata fedele alla lettera e allo spirito dell’Enciclica Diuturnum del 1881 con la quale Leone XIII caratterizzava la legge: “Come una disposizione della ragione fatta per il bene di tutti e promulgata da colui che ha la cura della Comunità”. Era la conferma del potere assoluto. La “legge” stessa testimonia, nei suoi articoli più significativi, il pensiero della Santa Sede; a tale proposito essa può dunque 39
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«I concordati non furono che il sigillo giuridico di una complicità di natura ideologica che nel mondo moderno ha sempre messo la chiesa - anzi le chiese all’unisono con le classi dominanti ».41 Con il 1929 inizia lo sviluppo del capitalismo vaticano e il suo impero economico finanziario. Lo Stato italiano versa alla Santa Sede 750 milioni di lire in contanti e un miliardo in consolidato in conto riparazioni.42 Pio XI definisce Benito Mussolini “l’uomo della provvidenza”. La soluzione della cosiddetta “questione romana” ha avuto una enorme risonanza mondiale ed è stata considerata per quello che in realtà è: una vittoria della Chiesa. «I1 potere temporale veniva definitivamente superato di fatto e di diritto».43 Il papa negozia con Hitler «un concordato particolarmente vantaggioso che susciterà l’indignazione di numerosi cattolici».44 Inoltre mantiene nei suoi confronti un silenzio colpevole. In Spagna divide il potere con Franco e, sostenendolo, si fa sostenere. La fine della II guerra mondiale segnerà anche l’inizio della fine della sua malattia. Il papa Pio XI diceva: «Il papato non ha bisogno che d’uno scanno» che lo sollevi dalla terra ed ormai lo possiede. È piccolo, minuscolo, 44 ettari, la creazione dello Stato del Vaticano è perfettamente sufficiente per evitare di essere il suddito di qualcuno, per avere uno stato autonomo, per poter godere sul piano internazionale di tutte le prerogative della sovranità. A quello scanno si volgono gli occhi del mondo... essere considerata come il modello a cui si deve ispirare uno Stato il cui Governo cattolico sarebbe libero di agire a suo piacere. Nel suo articolo I la legge di organizzazione indica che il Papa ha la pienezza del Potere legislativo, esecutivo e giuridico. Questo testo ha almeno il merito della chiarezza e non si conosce, in questo secolo, una monarchia o una dittatura così assoluta. L’articolo 3 proibisce ogni diritto di associazione e l’articolo 4 ogni diritto di riunione sul territorio della Città del Vaticano. Per una preoccupazione particolare dell’ordine pubblico, l’articolo 7 autorizza ogni perquisizione dell’Autorità in qualunque luogo e a qualsiasi ora. In effetti, per coronare questo piccolo edificio politico, l’articolo 8 della legge proibisce ogni libertà di espressione e stabilisce la religione di Stato. Ben candidi sono coloro che si stupiscono dei rigori della legge di organizzazione della Città del Vaticano. Questa legge è assolutamente conforme alle disposizioni del Syllabus dell’8 dicembre 1864. Quando la Chiesa ha i mezzi per agire a suo piacere, la sua azione nel corso del XX secolo è rigorosamente condotta negli aspetti delle prescrizioni formulate nel 1864» MITTERRAND Jacques, La politique extérieure du Vatican, Paris 1959, pp. 20,21. 41 BALDUCCI Ernesto, prefazione a: ZAHN, I cattolici tedeschi e le guerre di Hitler, Firenze 1973, p. XIII. 42 In Italia ha diretto la Banca Commerciale Italiana, il Banco di Santo Spirito, il Banco di Roma (vi sedeva Giulio Pacelli, nipote di Pio XII, membro del Guardaroba Pontificio e avvocato della Sacra Rota). «Dai Casinò ai Tessili di Francia, dallo zucchero dell’UNRRA., dall’Electro-Bank della Svizzera, fino al Trust Guggenheim, negli Stati Uniti, dalla Banca Morgan d’Eisenhower fino alla Cattolica Chase Bank di Rockfeller, il cristianesimo bancario e affarista sale allo zenit del grande capitalismo moderno» J. Mitterrand, o.c., p. 25. «Dall’accumulazione alla speculazione non c’è che un passo» GARAUD Roger, Les mystères du Vatican, in Ce Soir, 10/4/1948; cit. E. Paris, o.c., p. 336. Entrare nei misteri delle gestione delle finanze del Vaticano e presentare un quadro aggiornato è impossibile. Ogni dato che verrebbe segnalato è solamente un punto di riferimento storico. 43 SABA-CASTIGLIONI, Storia dei Papi, vol. II, Torino 1966, p 720. 44 HOFFET Frédéric, Politique romaine et démission des protestants, Paris 1962.
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«Il papato, spogliato del suo potere secolare, aveva avuto con Leone XIII un genio politico; con Pio X, un santo; con Benedetto XV un precursore; con Pio XI avrà “un uomo di stato”, uno dei più vigorosi della sua storia».45
Periodo della guarigione: dal 1945 Dopo la II guerra mondiale il prestigio di Roma cresce enormemente per la sua presa di posizione contro il marxismo con il Decreto del S. Ufficio del 1° luglio 1949 e l’ammonizione del 28 luglio 1950. Ne seguono delle polemiche e gli Stati Uniti, che già avevano mandato presso il Vaticano Myron C. Taylor come rappresentante personale del presidente F.D. Roosevelt fin dal 1940, vedono nel papato un fortissimo alleato contro l’Unione Sovietica. La Chiesa cattolica si pone alla ribalta della politica mondiale entrando in rapporto con altri stati, tra di loro alleati nella linea politica sia militare che economica. Nel tempo in cui si inaspriscono i rapporti tra i vincitori della seconda guerra mondiale divisi dalla “cortina di ferro”, Roma si pone con l’Occidente. Manifesta la sua grande popolarità con il giubileo dell’“Anno Santo” del 1950 e proclama il 1° novembre, davanti a 600 vescovi, il dogma dell’assunzione di Maria; visitata da milioni di persone, cattoliche, protestanti, pagane si meravigliava della sua riacquistata potenza davanti alla quale si inchinavano statisti di vari paesi. Dopo Pio XII che è stato molto contestato, la Chiesa ha avuto l’uomo di cui aveva bisogno e che ha saputo darle nuovamente lustro: il “papa buono” Giovanni XXIII, che ha ottenuto l’ammirazione del mondo intero, spingendo numerosissimi evangelici e protestanti a essere sempre più confusi sulla vera identità di questo potere. Possiamo dire con l’apostolo Giovanni: «...e tutta la terra meravigliata andò dietro alla bestia». L’11 ottobre 1962 Giovanni XXIII apre il Concilio Vaticano II e pronuncia il suo discorso davanti a 2350 cardinali, arcivescovi, vescovi e superiori generali di ordini religiosi. Uomini che sanno influenzare i popoli e i Paesi nei quali svolgono la loro missione, quali rappresentanti di un potere vecchio di secoli che sempre viene ascoltato. Il XXI Concilio ecumenico è stato «la più grande assemblea che il mondo abbia conosciuto», molto superiore a quella dell’ONU che riunisce 750 delegati e 220 osservatori. L’Enciclica Pacem in terris dell’11 aprile 1963 ha suscitato un vivo interesse in tutto il mondo. L’allora segretario delle Nazioni Unite U Thant ha dichiarato: «È con una soddisfazione profonda che ho letto l’enciclica»; a Strasburgo il porta parola del segretario del Consiglio dell’Europa ha dichiarato: «L’Enciclica Pacem in Terris si aggiunge alle grandi Carte della storia»; l’agenzia Tass ha detto: «La nuova enciclica... ha suscitato una eco immensa nel mondo intero»; Khrouchtchev: «Noi 45
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applaudiamo alle prese di posizione del papa Giovanni XXIII in favore della pace»; a Parigi il guardasigilli ha detto: «Una vera dichiarazione dei diritti dell’uomo, monumento dottrinale dal punto di vista della presentazione d’insieme, che rifà il lavoro delle costituzioni del 1789 modernizzandolo» e il rabbino Mack dagli Stati Uniti ha detto: «I1 papa ci mostra l’immagine di una Chiesa cattolica che è uscita dal suo stato d’istituzione stretta e monolitica per diventare una forza universale e veramente cattolica».46 Il 17 febbraio 1965 a New York si è aperto un convegno sulla Enciclica promosso dal Centro Internazionale per gli studi democratici, a cui hanno partecipato uomini politici e studiosi di tutto il mondo. Hanno parlato il segretario dell’ONU U Thant, Quaison, Sackev, Adlai Stevenson, Paul Hoffman, Pietro Nenni, unico inviato per l’Italia. Nel discorso di apertura il vice presidente degli Stati Uniti, Humphrey, ha detto che l’Enciclica Pacem in Terris rappresentava una serie di principi che possono guidare le azioni degli uomini, di tutti gli uomini a prescindere dalle differenze di classe, di religione o di fede politica. Un linguaggio nuovo ed universale per una nuova impostazione dei problemi. Paolo VI eredita lo scanno da Giovanni XXIII e fa rifulgere di nuova luce la gloria della Santa Sede con i suoi viaggi dalla Città del Vaticano. Durante il viaggio in Terra Santa, 4-6 gennaio 1964, terra in passato contesa dal cristianesimo e dall’islam, oggi dal mondo arabo e israelitico, il papa parla il linguaggio della fratellanza e le due civiltà, che da millenni sono tra di loro in contrasto, gli presentano i loro omaggi. «Certo Paolo VI, recandosi in Palestina, intende segnare l’avvento di una nuova era del Papato...».47 In India, 2-5 dicembre 1964, in terra pagana, ad un popolo che soffre la fame, Roma parla il linguaggio della carità. In occasione del XX anniversario dell’ONU, il 4 ottobre 1965, Paolo VI interviene spettacolarmente nella grande arena indicando lui stesso il senso straordinario dell’avvenimento: «Sapete bene, qualunque sia la vostra opinione sul pontefice di Roma, conoscete la nostra missione: siamo latori di un messaggio per tutta l’umanità... E come il messaggero che, al termine di un lungo viaggio, consegna la lettera che gli è stata affidata, così noi abbiamo coscienza di vivere l’istante privilegiato - per breve che sia - in cui si compie un voto che noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ve ne ricordate. Siamo in marcia ormai da tempo e portiamo con noi una lunga storia. Celebriamo qui l’epilogo di un laborioso pellegrinaggio alla ricerca di un colloquio con il mondo intero... Ora siete voi che rappresentate tutte le nazioni. Lasciatecelo dire, noi abbiamo per voi tutti un messaggio, sì, un felice messaggio, da consegnare a ognuno di voi». A New York, nella terra della politica e della diplomazia, Roma ha parlato il linguaggio della pace. A Istanbul, 25-26 luglio 1967, in terra ortodossa, dopo l’incontro con il Presidente della Repubblica turca, nella cattedrale di Santa Sofia, il papa prega in ginocchio, 46 47
Costruire, gennaio 1964. Cit. da Informations Catholiques Internationales, n. 191, 1/5/1963, pp. 25-32; cit. da P. Lanarès, o.c., ed. 1963, p.
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Paolo VI e il Patriarca Atenagora I si abbracciano fraternamente. Dopo aver incontrato i capi delle comunità israelitica e armeno-ortodossa, da Efeso, sede del III Concilio ecumenico, che nel 431 riconobbe a Maria il titolo di Dei genetrix (Madre di Dio), il papa rivolge un messaggio eucaristico alla gerarchia cattolica ed ai capi di tutte le Chiese cristiane. In quell’occasione Roma usa il linguaggio del perdono. Il 27 aprile 1966 e il 24 gennaio 1967 sfilano davanti alla guardia svizzera che presenta le armi Andrei Gromiko e Nikolai Podgorny, ministero degli esteri e capo dell’URSS che si recano in visita al papa. La terra è in meraviglia davanti a questa visita di Roma. La Fondazione Hailé Selassié assegna a Paolo VI il premio Menen 1969 «per gli eccezionali servizi resi all’umanità». La morte di Paolo VI, il brevissimo pontificato di papa Luciani, l’abilità di Giovanni Paolo II fanno volgere gli occhi del mondo verso Roma. I viaggi compiuti nell’America del Sud, in Polonia, l’enciclica Redemptor Hominis, le udienze del mercoledì, la sua mediazione tra Argentina e Perù, i suoi viaggi in varie parti del mondo e a Cuba sono un segno dei tempi che deve portare a riflettere coloro che amano la Parola di Dio. Con Sandro Magister possiamo dire che il papato con «l’ascesa di Karol Wojtyla alla cattedra di Pietro, ha valicato il crinale verso una rinnovata universalità».48 L’attività di Giovanni Paolo II, i suoi viaggi in Italia e attraverso il mondo, le sue encicliche, i suoi discorsi esprimono una dinamicità considerevole e il solo elencarli riempirebbe dei libri. Roma è guarita, la sua influenza è grande nel mondo, ma per realizzare completamente il suo piano ha bisogno, come la storia insegna, dell’appoggio d’una grande potenza e l’America già la sostiene. Il processo di guarigione del Vaticano è iniziato. È iniziato con la fine della seconda guerra mondiale. Il 1945 segna il periodo della rinata potenza di Roma, e l’avvento degli Stati Uniti d’America alla direzione degli affari del mondo. Nel maggio di quell’anno, infatti, comanda la pace al mondo e nell’agosto impone la sua incontestabile potenza con l’esplosione della prima bomba atomica. Mentre la piaga mortale della prima bestia guarisce, la potenza che sembrava un agnello si manifesta agendo come un dragone: «Esercitava tutta la potestà della prima bestia, alla sua presenza». È precisamente ciò che si vede. Da cinquant’anni gli USA esercitano la loro autorità sulle nazioni in presenza del Papato, il quale, a sua volta, sta riscoprendo e riacquistando la sua potenza, con grande sorpresa di tutti. Frédéric Hoffet nel suo libro L’Imperialisme protestant, pubblicato nel 1948, manifestava il suo stupore osservando che, nel momento in cui le nazioni protestanti
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MAGISTER Sandro, La politica vaticana e l’Italia 1943-1978, Roma 1979, p. VII. Quando la profezia diventa storia
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trionfavano nel mondo, non si sa per quale influsso machiavellico, esse hanno finito per fare la politica del Vaticano. «Nel momento stesso in cui i paesi cattolici cessano di fare parte di quelli che dirigono i destini del mondo, e che l’ultimo fra di loro che ancora svolge una funzione di una qualche importanza, la Francia, non si mantiene che a stento fra le grandi potenze, essa (la Chiesa romana) si mostra più intraprendente, più audace che mai. Con quel senso di opportunismo che possiede al più alto grado, essa fa oggi una politica che richiama, per l’ampiezza dei suoi progetti, quella delle più grandi epoche della sua storia. La politica americana stessa ha subìto per questa via tortuosa l’influsso della Chiesa romana... che è così riuscita ad intaccare davanti al mondo l’immagine della grande Repubblica protestante... Se, spinta dal timore del comunismo, l’America, accecata, cede tuttavia alle sollecitazioni di Roma, faccia attenzione: essa sarà infedele a se stessa. Alleata con una Chiesa che rappresenta sempre se non l’assolutismo, almeno l’intolleranza, essa perderebbe subito, con quel prestigio morale che fa volgere verso di lei gli sguardi di quanti non vogliono abbandonare il proprio ideale di libertà, il diritto di difendere nel mondo i grandi principi sui quali è stata fondata la sua democrazia».49
Il papato acquista potere negli Stati Uniti La storia dello sviluppo del cattolicesimo negli Stati Uniti è tanto straordinaria e sorprendente quanto quella della repubblica americana. Sorta da qualche migliaio di emigrati, per la maggior parte poveri e senza cultura, la Chiesa cattolica negli Stati Uniti ha conquistato in due secoli, grazie alla vigilanza del suo clero e alla disciplina dei suoi fedeli, un posto importante nel seno della nazione, sa fare intendere la sua voce e gioca la sua parte con grande efficacia nei destini della nazione. Con i suoi l8.200 membri e i suoi 21 sacerdoti, nel 1781, soprattutto nella valle del Mississippi, era un fenomeno senza importanza, per una popolazione complessiva di 4 milioni di abitanti, lo 0,5%. Ma già Pio VII, all’inizio del secolo scorso, iniziò a organizzare la gerarchia cattolica nel nuovo continente e le statistiche fanno pensare che già nel 1980 la maggior parte della popolazione statunitense poteva essere cattolica.50 Nel 1974 i 49 milioni di cattolici erano il 37,1% della popolazione religiosa. I membri di tutte le Chiese protestanti nella loro totalità erano 73 milioni, pari al 55%
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HOFFET Frédéric, L’imperialisme protestant, Paris 1948, pp. 227,234,244. Benché negli anni cinquanta i protestanti fossero più numerosi, il concentramento dei cattolici in alcune parti del Paese ha fatto sì che questi avessero la maggioranza in 38 delle 50 più grandi città statunitensi e in 35 Stati. Vedere J. Mitterrand, o.c., p. 92. 50
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della popolazione, ma, a differenza dell’unità della struttura cattolica, erano estremamente divisi e agivano in maniera indipendente l’uno dall’altro.51 Il cardinale Agostino Bea faceva notare nel 1961 che in Inghilterra le conversioni al cattolicesimo erano in media diecimila l’anno, mentre negli Stati Uniti più di centomila.52
In campo religioso Dal punto di vista religioso l’intesa tra cattolici e protestanti si fa sempre più stretta. Se un tempo si parlava di abisso tra le due forme religiose, ora questo abisso sta per essere colmato o livellato. Il cardinale Cushing, nella sua lettera pastorale del 6 maggio 1960, aveva scritto: «Nel corso dei secoli passati c’è stato sia un grande silenzio, sia una specie di discussione amara tra noi e coloro che, come noi, portano il nome di cristiani. Anche se c’è stato silenzio o recriminazione, c’è un grande precipizio tra noi, che vogliamo colmare». Non dobbiamo inoltre dimenticare che l’intervento di Paolo VI all’ONU, che celebra l’epilogo del laborioso pellegrinaggio alla ricerca di un colloquio con il mondo intero, è avvenuto sotto gli auspici degli USA, il cui presidente lo ha voluto ricevere personalmente. Il vescovo metodista James K. Matthews, presidente del Consiglio delle chiese nel Massachusetts, nel 1963 dichiarò su Liberty: «Una voce si fa udire sempre più chiaramente ai nostri giorni, attraverso ciò che avremmo potuto definire un abisso di 51
La religione negli Stati Uniti d’America. 223 organizzazioni religiose. I - Chiese protestanti Comunità Battiste 12.000.000 Unione Metodista 10.000.000 Unione Presbiteriana 3.000.000 Chiesa Presbiteriana (del Sud) 900.000 Unione Chiese di Cristo 2.000.000 Concilio Nazionale delle Chiese di Cristo (associazione di 32 chiese cristiane) 41.000.000 Diversi 3.500.000 TOTALE 73.000.000 Il - Chiesa cattolica 49.000.000 III - Comunità israelitica 6.000.000 IV - Chiese orientali 4.000.000 V - Buddisti 100.000 U.S. News and World Report, 20 maggio 1974; e Rapport du National Concil of the Churches of Christ; cit. da Concience et Liberté, n. 9, 1975, p. 82. Secondo il sondaggio della rivista Christianity Today, del 1978, il 22% degli americani si considerano evangelici, il 35% si dichiarano protestanti liberali, il 30% cattolici, il 4% non cristiani e il 9% laici (cit. HUNTER James Davison, American Evangelicalism, Conservative Religion and the Quandary of Modernity, Irutgers, New Jersey, 1983, p. 49); nel 1986 un sondaggio Gallup rilevava che il 35% della popolazione adulta si definiva evangelica, il che corrispondeva a circa 58 milioni di persone (cit. MARTZ Larry - CARROL Ginny, Ministry of Greed, Weindenfeld e Nicholson, New York, 1988, p. 23); cit. da KEPEL Gilles, La Rivincita di Dio, ed. Rizzoli, 1991, p. 125. 52 BEA Agostino card., I1 cattolicesimo di fronte al problema dell’unione dei cristiani, in Civiltà Cattolica, 21/1/1961, p. 121. Quando la profezia diventa storia
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separazione... il grido di “fratello” è un grido partito dalle due parti. Noi ci accorgiamo che questo abisso non è forse così profondo come credevamo».53 Il padre Francis J. Cornel, teologo dell’Università Cattolica d’America, si espresse con queste parole nell’editoriale del Christian Heritage, giugno 1964: «Una buona intesa fra tutti i cristiani è una tappa immediata molto utile - ma l’obiettivo finale dell’ecumenismo, quale lo concepiscono i cattolici, è l’unità della fede, del culto, e il riconoscimento della suprema autorità spirituale del vescovo di Roma. Secondo le parole del cardinale Bea: “L’azione ecumenica più importante del Concilio sarà quella di gettare le basi, Dio volendo, di un’eventuale unione, migliorando le relazioni tra cattolici e non cattolici”. Papa Giovanni XXIII, rivolgendosi ai fratelli separati da Roma, disse: “Che si possa noi sperare, pieni d’amore fraterno, in un vostro ritorno”. L’onestà vuole che si faccia sapere ai fratelli separati che questa è la ragione fondamentale per la quale partecipiamo al movimento ecumenico e che noi manifestiamo praticamente cercando di convertire perfino i protestanti zelanti». Il dottor Tamburro della Chiesa episcopale pronunciò nello stesso anno una frase con la quale voleva unire il protestantesimo americano a Roma. Il Religious News Service del 19 maggio 1964 riporta: «Un pastore della chiesa episcopale ha proposto che il cardinale Richard Cushing, arcivescovo cattolico romano di Boston, sia invitato a occupare, dopo le dimissioni di Arthur Lichtenberger, vescovo della chiesa episcopale, il posto che diverrà vacante». Il reverendo Wendell B. Tamburro, rettore della Chiesa dei Santi Innocenti di Highlands Falls, New York, ha avanzato questa proposta in una “lettera all’editore” del Living Church (17 maggio), settimanale episcopale locale: «Dal momento che le dimissioni, per motivi di salute, del vescovo Lichtenberger pongono un problema alla Chiesa, sarei felice se una persona autorevole proponesse alla prossima assemblea generale, in modo da ben mostrare quali sono le nostre intenzioni, il cardinale Richard Cushing come nuovo presidente vescovo». Il pastore riconobbe che «se il cardinale Cushing, guidato dallo Spirito Santo», avesse accettato, questo avvenimento sarebbe stato la più grande breccia mai fatta nelle «mura ecclesiastiche» da numerose generazioni. Faceva notare anche che una tale apertura necessitava sia del permesso di papa Paolo VI sia di una revisione della legge del canone episcopale. Il Catholic Review del 10 gennaio 1962 scriveva: «Filadelfia Pa. Un libro in cui si mettevano in rilievo le differenze esistenti tra cattolici e luterani è stato messo all’indice dai ventuno membri del comitato dell’educazione parrocchiale della Chiesa luterana unita. Si spiegherà che nel momento in cui il libro fu autorizzato esistevano tra le due Chiese delle profonde differenze che in seguito però sono state ridimensionate nel corso di alcune «conversazioni tra le due denominazioni e dopo una comprensione reciproca».
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MATTHEWS K, Liberty, maggio-giugno 1963.
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Il settimanale Christian Beacon di giovedì 27 agosto 1964 scriveva, dopo aver detto che il 18 agosto il papa Paolo VI aveva ricevuto a Castel Gandolfo G. Hawkins, presidente ed anziano della chiesa presbiteriana unita degli USA, accompagnato dal reverendo dott. Eugene Carson Blake, segretario dell’assemblea generale presbiteriana e da Richard L. Davies, presidente del comitato presbiteriano delle relazioni ecumeniche: «Uno per uno i capi religiosi del mondo protestante che hanno relazioni con il Concilio Mondiale delle Chiese e il movimento ecumenico si dirigono verso Roma... In primo luogo il largo e tollerante inclusivismo dei moderni protestanti ha reso possibile l’accesso della Chiesa cattolica romana (nel loro mondo religioso). In seguito, la subordinazione delle Scritture alla volontà della Chiesa ha fatto evolvere il protestantesimo liberale verso una posizione identica a quella del cattolicesimo romano per quel che riguarda la dottrina della Chiesa». Il cattolicesimo assomiglia molto al protestantesimo attuale per il fatto che questo ha perso di vista lo scopo che si sono prefissati la Riforma e i movimenti di risveglio del XVIII e XIX secolo. Di fronte ad un protestantesimo disorientato e dimissionario che non considera più vitali le differenze teologiche con Roma, la Chiesa cattolica non nasconde le sue chiare pretese. Il 31 luglio 1960 in Our Sunday Visitor si scriveva: «Il Protestantesimo oggi è nell’errore quanto lo era nel 1517. Il nostro dovere di cattolici è di “diffondere la parola”, e di cattolicizzare l’America.., Padre Isaac Hecker ha fondato l’ordine dei padri Paolisti col preciso fine di “rendere l’America cattolica”. Questi padri sono sempre all’opera e svolgono un ottimo lavoro. Tale è lo scopo di ogni vescovo, prete e ordine religioso del paese. Nessun cattolico può, in tutta coscienza, essere favorevole a una politica di pacificazione o anche a una semplice coesistenza con una comunità non cattolica». E il cardinale Agostino Bea, presidente del segretariato del Vaticano per l’unità dei cristiani, all’Università di Harward, dichiarava nel marzo 1963: «Si commetterebbe un grave errore se si interpretasse l’atteggiamento indulgente e liberale adottato attualmente dalla Chiesa cattolica romana in campo ecumenico, come una preparazione da parte sua a rimettere in discussione una qualunque delle sue posizioni dogmatiche fisse. Ciò che la chiesa invece è pronta a fare è di prendersi la responsabilità di presentare in maniera più suggestiva e moderna le sue posizioni stabilite».54 E quale paradosso se pensiamo che, nel momento in cui l’influenza del papato diminuiva nelle coscienze cattoliche, essa aumentava la sua forza di attrazione nel protestantesimo. Ed è così che i luterani americani, a conclusione di un dialogo ufficiale con i cattolici, sono giunti alle seguenti conclusioni pubblicate in un rapporto del 4 marzo 1974: « ...i luterani riconoscono sempre più il bisogno di un 54 Liberty, maggio-giugno 1963; cit. da CHAIJ Ferdinando, Preparazione per la crisi finale, ed. AdV, Firenze 1979, pp. 159-162.
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ministero che serva l’unità della Chiesa universale. Essi ammettono che, per l’esercizio di questo ministero, bisogna prendere seriamente in considerazione quelle istituzioni che sono radicate nella storia. La Chiesa deve utilizzare i segni di unità che ha ricevuto, dal momento che non è facile inventarne di nuovi. Il papato, proprio come struttura, è uno di questi “segni”, che aiutano a collegare il presente cristianesimo con il passato apostolico... I luterani possono anche riconoscere il ruolo benefico del papato in vari periodi della storia... Poiché crediamo nella sovrana libertà di Dio, non possiamo negare che Dio possa di nuovo mostrare in futuro che il papato è un dono della sua grazia per il suo popolo. Forse ciò potrebbe comportare un primato, in cui il servizio del papa all’unità nei confronti delle Chiese luterane potrebbe essere più pastorale che giuridico. L’unica cosa necessaria dal punto di vista luterano è che il primato papale venga strutturato e interpretato in modo tale che esso serva chiaramente il vangelo e l’unità della Chiesa di Cristo e che il suo servizio del potere non pregiudichi la libertà cristiana». Ed ecco la conclusione: «Chiediamo seriamente alle nostre Chiese di considerare se non sia questo il tempo di adottare un nuovo atteggiamento verso il papato per amore della pace e della concordia nella Chiesa e, più ancora, per amore di una testimonianza unitaria resa a Cristo nel mondo. La nostra dottrina luterana sulla Chiesa e sul ministero ci costringe a credere che il riconoscimento del primato papale è possibile, nella misura in cui un papato rinnovato favorirebbe in effetti la fedeltà al vangelo ed eserciterebbe in maniera genuina una funzione petrina all’interno della Chiesa».55 Nel ventennio che è seguito sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, se delle barriere si sono consolidate dei ponti si sono costruiti. Il 29 marzo 1994 quaranta responsabili cattolici e protestanti hanno firmato Evangelicals and Catholics Togeteher: The Christian Mission in the Third Millennium – ECT - Evangelici e cattolici assieme: la missione cristiana nel terzo millennio, documento di 25 pagine. È stato scritto dal protestante Chuck Colson e dal protestante diventato cattolico Richard John Neuhaus. Tra i cattolici firmatari ci sono: John cardinal O’Connor, Richard John Neuhaus, Keith Fournier, Nathan Hatch e Matthew Lamb. I firmatari protestanti sono Pat Robertson, Bill Bright, Chuck Colson, Mark Noll e Richard Mouw. Il 30 marzo 1994 il giornale americano USA Today commentava l’avvenimento con queste parole: «Questa si può considerare come una dichiarazione storica – non è una dichiarazione ufficiale da entrambe le parti - questo martedì gli evangelici Pat Robertson, alleandosi con i capi conservatori cattolici romani, questo martedì esaltano i legami di fede che uniscono i gruppi più importanti e più attivi della nazione… I leader nella loro dichiarazione stanno sollecitando i 52 milioni di cattolici e i 13 milioni di evangelici a non svolgere più una attività evangelistica di proselitismo nei confronti dell’altro gruppo e a non discutere più sugli argomenti teologici che li
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STIRNIMANN Heinrich - VISCHER Lukas, Dialogo Ufficiale Luterano - Cattolico Romano negli U.S.A. Ministero e Chiesa Universale, atteggiamento divergente di fronte al primato papale, 4 marzo 1974, ed. Paoline, Alba 1976, pp. 128,129,149,150.
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differenziano - in breve a girare la propria arma teologica verso il riconoscimento di una fede comune». La rivista Christianity Today ha scritto il 16 maggio 1994: «“Come le cose erano prima e come le cose sono adesso”. Nel 1534, l’abate Paul Bachmann pubblicò un libretto virulento anti protestante dal titolo A Punch in the Mouth for the Lutheran Lying Wide-Gaping Throats - Una coltellata nella bocca del luterano bugiardo che grida ad alta voce. In risposta il protestante cappellano di corte, Jerome Raucher, diede alle stampe un proprio trattato dal titolo One Hundred Select, Great, Shameless, Fat, Well-Swilled, Stinking, Papistical Lies - Cento bugie papali selezionate, grandi, svergognate, grasse, molto gonfiate e puzzolenti. Questo era il tono teologico tra i riformatori classici protestanti e il risorgente cattolicesimo romano del XVI secolo. Sarebbe sorprendente per questi riformatori vedere i loro eredi, cinque secoli più tardi e separati da un oceano, trovarsi così d’accordo in questo documento». Questa coalizione cristiana diede origine a notizie di prima pagina nelle pubblicazioni confessionali americane. «Dopo più di quattro secoli di divisioni e ostilità i protestanti e i cattolici hanno fatto un passo importante verso l’unità. Quaranta leader importanti evangelici e cattolici hanno firmato un documento presso l’Istituto di Religione e Vita Pubblica nella città di New York il 29 marzo1994, sollecitando i loro fedeli ad accettarsi gli uni e gli altri come cristiani, mettendo da parte ogni differenza e contesa alla fine di raggiungere scopi comuni civili». «“Questa è l’onda del futuro. È una coalizione significativa per la politica futura americana, come l’unificazione tra neri ed ebrei durante la battaglia dei diritti civili” diceva il dr. Ralph Reed, direttore esecutivo della Christian Coalition, riferita al Wall Strett Journal». La sindrome del “nemico comune” è presente anche qui, come dichiara Pat Robertson: «La crisi morale cui la società di oggi deve far fronte e l’ovvio collasso sociale ci ordinano una stretta cooperazione tra gruppi di credenti. Il tempo è arrivato in cui noi dobbiamo mettere da parte i punti minori di differenze dottrinali e mettere in risalto il Signore Gesù Cristo… Questa dichiarazione getta le basi per una costruzione in uno spirito di cooperazione». E ancora: «Io sostengo questa causa perché credo che sia imperativo il compito di unificare il corpo di Cristo» Christian American, maggio-giugno 1994. Naturalmente non tutti gli evangelici credono che questo ECT sia un passo positivo. «Bob Jones III considera come evidente che la chiesa ecumenica costituirà la Chiesa dell’Anticristo, che si sta formando rapidamente» scriveva il Christianity Today, 16 maggio 1994. Dave Hunt è molto preoccupato per questa iniziativa verso l’unità e ha scritto: «L’evento più significativo nei cinquecento anni di storia della Chiesa è stato rivelato come fatto compiuto il 29 marzo 1994. In quel giorno i leader evangelici e cattolici americani hanno firmato una dichiarazione comune … Il documento in effetti ha capovolto la Riforma e senza dubbio avrà una ripercussione in tutto il mondo Quando la profezia diventa storia
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cristiano per molti anni a venire». E ancora: «L’elemento chiave di questa dichiarazione storica è l’ammissione, un tempo impensabile da parte dei protestanti, che la partecipazione attiva nella Chiesa cattolica renda una persona cristiana. Se questo è vero, allora la Riforma è stata un errore tragico. I milioni di martiri morti perché hanno rigettato il cattolicesimo come falso evangelo sono morti invano. Se, nell’altro caso, i Riformatori avevano ragione, allora questa intesa tra cattolici ed evangelici potrebbe essere il colpo mortale portato contro l’evangelo in tutta la storia della Chiesa. In ogni caso le conseguenze sono molto gravi».56 È però più forte la voce di chi è favorevole all’alleanza. «Le reazioni del mondo protestante e ortodosso erano generalmente positive» riporta il U.S. News and World Report del 12 giungo 1995. Alla fine del suo libro, l’avvocato cattolico Keith Fournier scrive: «Cattolici, protestanti, ortodossi possono unirsi, devono unirsi e si uniranno. Il muro di separazione crolla e sta già crollando. I cristiani si stanno svegliando e stanno incominciando a vedersi gli uni gli altri come membri della stessa famiglia. La strada è molto lunga e difficile davanti a noi, però è la strada che dobbiamo inoltre prendere con coraggio e fiducia».57 ECT comincia con queste parole: «Noi siamo Evangelici, Protestanti e Cattolici Romani condotti attraverso la preghiera, studi e discussioni sulle convinzioni comuni circa la missione e la fede cristiana. Il secondo millennio sta per terminare e la missione cristiana nel mondo affronta un momento di opportunità e responsabilità gravi. Se nelle vie misteriose di Dio il ritorno di Cristo è ritardato, noi entriamo nel terzo millennio con le parole di papa Giovanni Paolo II: “Una primavera di missioni mondiali”». Il documento mette l’enfasi sulla missione monolitica: «Come Cristo è uno, così è la missione cristiana: una». Altre dichiarazioni del documento illustrano la natura dell’intesa: «Noi affermiamo assieme che tutti coloro che accettano Cristo come Signore e Salvatore sono fratelli e sorelle in Cristo. Evangelici e Cattolici sono fratelli e sorelle in Cristo». «I cristiani individualmente e le Chiese hanno la responsabilità di organizzare la società civile… Esercitando questa cariche pubbliche c’è stata negli anni recenti una convergenza crescente della cooperazione tra evangelici e cattolici… Noi promettiamo di lavorare per sviluppare, costruire ed espandere questo modello di convergenza e cooperazione. Assieme noi lavoriamo per la verità. La politica, la legge e la cultura debbono essere garantite dalle verità morali». «Lo sviluppo dell’alleanza tra questi gruppi di evangelici e cattolici come si vede oggi è completamente diversa per il fatto che questi gruppi cristiani prendono le dottrine molto seriamente».
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HUNT Dave, A Woman Rides the Best - the Roman Catholic Church and the Last Days, Harvest House Publishers, Eugene, Oregon 1994, pp. 5,6. 57 FOURNIER Keith, House United, p. 336; cit. REID G. Edward, Sunday’s Coming! - Eye-opening evidence that these are the very last Days, Omega Produzione, Fulton 1996, p. 36.
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Colson conclude: «I cristiani non hanno il lusso di limitare le loro forze in dibattiti teologici. I veri cristiani devono raggiungersi andando oltre le diversità teologiche e abbracciarsi come fratelli e sorelle in Cristo».58 L’avvocato cattolico Keith Fournier, direttore esecutivo del Christian Coalition’s American Center for Low and Justice, dice: «È il ruolo di ogni membro fedele rinnovare l’ordine temporale secondo la teologia cattolica. Ciò vuol dire che la seconda natura del devoto cattolico è quella di portare le sue convinzioni nell’arena politica e ciò significa che non è cattolico chi fa della fede una questione riservata».59 L’influenza di Billy Graham, che è l’uomo protestante più conosciuto nel mondo, ha fatto molto per riscaldare le relazioni con i cattolici. Nel 1978 fu il primo leader protestante ad essere stato accolto nel santuario di Czestochowa in Polonia. Nel 1981 è stato ricevuto in Vaticano, dopo di che è stato autorizzato a predicare nelle chiese cattoliche nelle sue campagne evangelistiche. Il dr. Noll, alla fine del suo capitolo, scrive che: «I cattolici e i protestanti d’Europa hanno concluso che le condanne della Riforma erano basate su concezioni sbagliate, animate da posizioni estreme e non hanno nessun riscontro oggi».60 Michael Semlyen dichiarava il 10 settembre 1990: «La Riforma protestante è stata abbandonata effettivamente dalla Chiesa inglese ed è ampiamente presentata come un errore tragico».61 Nell’aprile del 1997 una delegazione della Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti (PCUSA), guidata dal moderatore, pastore John Buchanan, visitò le Chiese valdesi e metodiste in Italia e il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. In tale occasione il moderatore ha precisato: «La disponibilità a discutere sul papato non riguarda, ovviamente, il riconoscimento della giurisdizione del papa: come presbiteriani non saremmo fedeli alla nostra tradizione riformata. Si tratta piuttosto di verificare se il papato non possa diventare, per tutti i cristiani, un simbolo della natura globale della chiesa, della sua universalità».62 Crediamo che le parole dell’apostolo Giovanni troveranno sempre più la loro realizzazione: «Tutta la terra è in ammirazione» davanti a questo potere.
In campo educativo M. Paul Bianchard, nella sua opera American Freedom and Catholic Power del 1949, analizzava la nascita e lo sviluppo del potere cattolico nel suo paese. La Chiesa cattolica ha compiuto uno sforzo considerevole nell’organizzazione di scuole, che in quel periodo erano circa ottomila, accogliendo tre milioni di allievi. A queste si dovevano aggiungere duecento collegi ed università e 228 seminari. Nel solo Stato di 58 59 60 61 62
Cit. idem, p. 38. K. Fournier, o.c., p. 32; cit. G.E. Reid, o.c., p. 97. Cit. G.E. Reid, Idem, p. 41. SEMLYEN Michael, All Roads Lead to Rome, p. 15; cit. idem, . 41. NEV - notizie evangeliche, 9.4.1997, anno XVIII, n. 15, p. 2. Quando la profezia diventa storia
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New York 450.000 bambini frequentavano scuole cattoliche. La crescita dell’influenza cattolica era certa e non stupisce che da decenni molte cariche importanti di quella nazione siano nelle mani di persone cattoliche o, sebbene protestanti, di educazione cattolica. L’impegno finanziario per mantenere queste scuole è notevole. La Chiesa cattolica cerca di ottenere dei finanziamenti dal Governo anche se ciò sia in contrasto con la Costituzione che stabilisce come principio la separazione della Chiesa dallo Stato. L’autorità romana, non accettando questo principio, spinge i suoi fedeli a combatterlo. È abbastanza facile che avvenga un cambiamento, del resto il 10 dicembre 1963 è stato presentato un progetto di legge, già accettato, che chiede di accordare a delle istituzioni scolastiche delle sovvenzioni da parte del Tesoro. La politica cattolica è quella di introdurre dei religiosi nel corpo insegnante delle scuole pubbliche o fare eleggere dei cattolici alla direzione dei collegi allo scopo che qui chiamino dei sacerdoti in qualità di professori. In entrambi i casi, come membri del corpo insegnante, esercitano la loro influenza sugli allievi e sui colleghi a spese della Repubblica. Non pochi sono gli americani che vedono nelle scuole private cattoliche il sostegno all’istruzione pubblica. L’influenza cattolica viene esercitata in tutti gli altri campi della cultura e dello spettacolo. Mediante l’Associazione per la decenza, il clero cattolico controlla il cinema, la radio e la televisione, filtrando tutto ciò che può spiacere alla Chiesa romana. A Hollywood i gesuiti hanno ottenuto dei risultati straordinari convertendo al cattolicesimo attori come Gary Cooper, Clark Gable e altri. L’influenza dei gesuiti è stata tale che scrittori di fama mondiale come Sirgrid Undset, Elliott ed altri sono passati al cattolicesimo.63
In campo politico I Gesuiti sono molto impegnati tra i protestanti per riportare nel grembo della madre chiesa i rappresentanti della grande industria, della finanza e della diplomazia. È da notare che la più importante università americana che prepara i diplomatici statunitensi è quella gesuita di Georgetown presso Washington. Coloro che usciranno dirigeranno la politica estera degli Stati Uniti. La conversione di Ford, della signora Luce, direttrice della rivista Life, e di altre personalità sono state alla base della presidenza Kennedy. L’azione del cattolicissimo Mac Carthy, senatore del Wisconsin, sotto il manto dell’anticomunismo e del nazionalismo, è riuscito a spazzare via i liberi pensatori dai posti influenti dello Stato. 63
Quando il vescovo cattolico californiano Pike passò al protestantesimo, dopo una lotta eroica contro 1a gerarchia cattolica, nessun giornale ha dato la notizia.
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La conversione di Forster Bulles junior, diventato gesuita, influenzò considerevolmente la politica degli USA. Suo padre era Segretario di Stato del governo Eisenhower e membro influente del Consiglio Federale delle Chiese di Cristo. In occasione dell’ordinazione, la stampa fu al servizio del Vaticano. I settimanali di tutto il mondo presentarono il figlio Forster, gesuita, che benediceva il padre Dulles protestante. Nel 1939 i1 presidente Roosvelt inviò Myron Taylor come rappresentante personale presso la Santa Sede, aggirando quando il Congresso, nel 1867, aveva vietato al presidente di avere un’ambasciata Statunitense in Vaticano iniziando una tradizione che è durata per numerosi decenni. John Kennedy fu il primo presidente degli Stati Uniti di confessione cattolica. Questa presidenza fu ottenuta grazie a una evoluzione della posizione di molti pastori protestanti e la dichiarazione di membri influenti del Federal Concil of Churches of Christ che affermavano che non bisognava tenere conto del fattore religioso per l’elezione del presidente. I1 fatto che il presidente si attorniasse di collaboratori protestanti fu un’azione politica che portò l’americano a non vedere più la differenza tra cattolici e protestanti. Roma ha continuato a sostenere l’azione politica statunitense, tacque allo scoppio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, ma condannò con energia l’atomica nel giorno in cui l’America dovette dividere il potere atomico con l’URSS. Quando l’USA abbandonò la Cina e si trincerò a Formosa, il Vaticano lasciò i suoi missionari sul territorio di Tchang Kai Check, per farli operare in proprio favore e a vantaggio degli Stati Uniti. Roma denunciò la Repubblica Popolare Cinese continentale e considerò Formosa come il bastione della verità. Con il 25% della popolazione americana di confessione cattolica, la maggiore del paese se si tiene conto che i protestanti sono suddivisi in diverse denominazioni, l’amministrazione Reagan ha cambiato la figura del rappresentante personale del presidente, creata nel 1939. Il 10 gennaio 1984, con il reciproco riconoscimento diplomatico fra Stati Uniti e Santa Sede, che nomina un nunzio apostolico a Washington, il presidente americano invia il rappresentate della Nazionale. Il quotidiano Il Messaggero di Roma considera l’avvenimento come il risultato di una diminuita opposizione delle varie confessioni religiose protestanti d’America nei confronti del pontefice e di ciò che rappresenta. Si legge: «Vista l’importanza politica mondiale assunta dal Vaticano con il pontificato di Wojtyla, Reagan ha deciso di dare al suo rappresentante, William A. Wilson, lo status di ambasciatore». Il TG2 delle ore 19,45 ha definito gli Stati Uniti l’«Impero d’Occidente» e il Vaticano uno stato «piccolo e diverso dagli altri».64
64 Vedere Daniele 7:24; 8:9. Il Messaggero, 10 gennaio 1984; citato da FANTONI Giovanni, Aumenta l’intesa fra gli Stati Uniti e il Vaticano, in Bibbia e Pulpito, 1984, pp.59-61.
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Perché il papato acquista potere negli USA? Diverse sono le cause che ci permettono di comprendere questa apertura degli Stati Uniti nei confronti di Roma. La prima, e più importante, riguarda, come abbiamo detto, il protestantesimo storico in genere che ha perso la propria identità, il senso della rivelazione biblica e non vede più nel vescovo di Roma il potere che per secoli ha disgregato l’Europa ed è stato la causa di tanti mali. Non riconoscendo più lo spirito che ha animato la Santa Sede, e vedendo i mutamenti verificatisi nel suo modo di porgersi l’America ha provato in essa un buon alleato contro il comunismo, considerato come il pericolo comune. Di fronte a questo pericolo comune ha perso di conseguenza ciò che religiosamente poteva dividere. Credendo forse di rendersi amica Roma, l’America offre ai cattolici posti di responsabilità politica. L’America non vuole perdere la sua influenza in Europa. Il vecchio continente è diviso dai suoi nazionalismi, quindi la Chiesa cattolica, tradizionalmente dominatrice nel vecchio mondo occidentale nel quale ha saputo far giostrare a suo piacere i vari principi, sovrani e re, gli può essere di aiuto e il suo tessuto religioso, mediante la propria azione, può essere cucito dove ora è strappato. L’allora vicepresidente degli Stati Uniti, Nixon, non mancò di lodare la Chiesa con queste parole: «La più ferma soluzione della civiltà occidentale».65 Anche Roma sa adulare l’America. Pio XII, nel suo discorso di Natale nel 1945, dichiarava: «Il popolo americano ha il genio delle azioni superbe e generose, ed è nelle mani dell’America che Dio ha posto i destini dell’infelice umanità».66 J. Mitterrand ricorda che L’Osservatore Romano riportava questa dichiarazione del presidente Truman: «Noi riusciremo a stabilire una pace durevole se sapremo costruire su dei principi cristiani». Nella stessa data, il 18 novembre 1945, lo stesso giornale aggiungeva: «Le parole di Truman sono la Carta Atlantica della Pace». Il 26 agosto 1947 il presidente Truman indirizzava a Pio XII una lettera, tramite Myron Taylor, nella quale si leggeva: «Io credo che il più grande bisogno del mondo oggi sia la rinascita della fede. Per mezzo della fede, i disegni di Dio entrano nel cuore e nelle azioni degli uomini». A questa esaltazione dei principi religiosi il Papa risponde dicendo: «Certamente, vostra Eccellenza e tutti i difensori dei diritti della persona umana troveranno, nella Chiesa di Dio, una cordiale cooperazione». Nel novembre 1946 il cardinale Spellmann dichiarava sul Cosmopolitan Magazine: «Non è per difendere la mia fede che io condanno il comunismo ateo, ma in quanto americano che difende il suo paese, poiché, pur essendo un nemico del cattolicesimo, il comunismo è una provocazione per tutti coloro che credono nell’America e in Dio». 65 66
HOFFET Frédéric, L’equivoque Catholique, Paris 1956, p. 25. Cit. da P. Lanarès, o.c., p. 178, ed. 1959
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«Credere nell’America e credere in Dio, ecco ridotta in termini lapidari la carta d’unione tra USA e Vaticano».67 Negli Stati Uniti era «sufficiente evocare la minaccia comunista e il rischio di una divisione tra gli avversari cristiani del totalitarismo, perché subito i protestanti si alleassero ai clericali romani e votassero, ad occhi chiusi, i progetti di legge che questi ultimi avevano proposto».68 L’aspetto religioso determinerà in futuro l’azione politica. Tra America e Vaticano ci sono molte affinità: l’abisso religioso è colmato quasi completamente. Queste due potenze, sebbene diverse nella natura, una politica l’altra religiosa, si ispirano ambedue a degli ideali comuni cristiani. «L’autorità del papa è più grande di quanto lo sia mai stata: i nostri sommi pontefici non hanno nulla da invidiare ai loro predecessori più illustri; il rispetto che si ha nei loro confronti nel mondo intero li fa sovente, senza che ci si renda conto, arbitri tra gli Stati non cattolici. Quanto agli Stati a maggioranza o a forte minoranza cattolica, essi tendono a diventare, mediante la persona interposta di politici devoti alla causa della Chiesa, gli strumenti passivi e incoscienti delle imprese romane».69 Roma parla e il mondo ascolta. La Radio Vaticana lancia nello spazio i messaggi papali non solamente a Pasqua e a Natale, ma ogni volta che gli avvenimenti permettono al papa di presentarsi all’opinione pubblica. Le varie encicliche, i viaggi di Giovanni Paolo II, i suoi discorsi sociali all’ONU davanti ai rappresentanti dei vari popoli, le tournée negli Stati Uniti, le folle oceaniche che lo hanno accolto, il fascino della sua persona ha commosso milioni di americani. L’America paga questa alleanza, il Vaticano riceve dai suoi fedeli statunitensi un contributo finanziario superiore a quello di tutti gli altri fedeli del mondo riuniti. Alla fine della I guerra mondiale l’editore del Chicago Daily News, presiedendo un’assemblea di vecchi allievi di scuola superiore di Cretin, vicino a S. Paolo, dichiarava: «L’avvenire della Chiesa cattolica romana è, umilmente parlando, nelle mani della Chiesa degli Stati Uniti. Le condizioni economiche in altri paesi sono tali che non si può contare su loro. Qui noi abbiamo la ricchezza, il numero e le migliori guide nella persona dei nostri sacerdoti e dei nostri frati, delle nostre suore e della gerarchia...». Meravigliosa e dolorosa storia quella degli Stati Uniti, in cui la dolcezza dell’agnello si è trovata corrotta dalla violenza del dragone. La statua che si drizza all’entrata del porto di New-York innalza nel cielo questa fiamma delle libertà umane che ha illuminato l’Europa e il mondo per secoli, ma le raffiche venute dal vecchio continente ne fanno vacillare la fiamma, e la luce diminuisce progressivamente.
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Cit. da J. Mitterrand, o.c., pp. 98, 99, 97. F. Hoffet, o.c., p. 146. Idem, p. 166. Quando la profezia diventa storia
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Tuttavia, allorquando la notte sarà completa sulla terra, rapidamente, lascerà il posto all’alba di un mondo meraviglioso».70
I grandi prodigi del falso profeta «E operava grandi segni, fino a fare scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini. E seduceva quelli che abitavano sulla terra coi segni che le era dato di fare in presenza della bestia». «La natura di questo fuoco non è chiara. Si può supporre che si tratti di una contraffazione satanica dei miracoli realizzati dai due testimoni».71 Cosa sono questi grandi segni? Alcuni vi hanno visto la potenza bellica statunitense che si è manifestata mediante lo scoppio dell’atomica, ma questa esplosione, sebbene abbia suscitato grande stupore tra i popoli, non ha suscitato sentimenti di ammirazione e di plauso nei confronti degli Stati Uniti. Più che sul piano politico-militare, questi segni devono essere ricercati in quello religioso. La seconda bestia compie i suoi segni davanti alla prima bestia guarita, cioè davanti al papato che ha riacquistato potenza ed influenza. Questi grandi segni, scrive Giovanni più avanti, sono «miracoli»72, opere promosse dallo spirito religioso. «La parola semeion (segni) è impiegata sette volte nell’Apocalisse. Tre volte è al singolare e indica un segno nel cielo posto sotto il controllo dell’autorità di Dio.73 Quattro volte, per contro, è impiegata al plurale per indicare l’azione specifica del falso profeta.74 La bestia moltiplica i suoi prodigi allo scopo di alimentare una devozione inopportuna dell’immagine della prima bestia, devozione fondata sul sensazionale, il meraviglioso, il prodigioso. Compie un’opera simile ai miracoli di Gesù».75 Dal 1848 gli Stati Uniti sono diventati la culla ed il vivaio dello spiritismo, risurrezione moderna dell’antico occultismo. I prodigi che si sono fatti con l’evocazione dei morti sono dovuti all’intervento dei demoni, cioè degli angeli decaduti che sono al servizio di Satana. Un’altra forza, ancora più seducente, si sta oggi manifestando negli USA proprio nel tempo in cui si sta assistendo alla guarigione completa della prima bestia. Questa forza si presenta sotto l’aspetto prettamente religioso, nel nome di Dio o meglio nel 70
P. Lanarès, o.c., pp. 178, 179, 181. Apocalisse 11:5. W. Johnsson, La victoire..., p. 22. 72 Apocalisse 19:20. 73 12:1, la donna aureolata dal sole; 12:3, il dragone precipitato a terra; 15:1, sette angeli tengono i flagelli della collera di Dio. 74 Apocalisse 13:13,14; 16:14; 19:20. 75 Confr. Giovanni 2:12,24 ta semeia a epoisei. R. Lehmann, o.c., pp. 174,175. 71
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nome dello Spirito Santo: è il movimento carismatico. È esso che forse realizzerà la profezia. Quando nel 1906 il pentecostalismo ebbe in America un momento di vaste manifestazioni e la gente accorreva per ricevere il “battesimo dello Spirito Santo”, il cui segno iniziale è il “dono delle lingue”, la reazione delle Chiese protestanti fu tale che minacciarono di scomunica quei fedeli che aderivano a tale movimento. Ciò che è nuovo in questo fenomeno è che oggi si manifesta fuori dal pentecostalismo tradizionale, cioè fuori dalla Chiesa pentecostale, ed ha uno sviluppo rapido. Per questa ragione si chiama neo-pentecostalismo. Questo fenomeno ha avuto la sua origine sempre in America, nel 1960, con il pastore episcopale Bennis J. Bennet della California. I doni spirituali si manifestarono con quello delle lingue e delle guarigioni miracolose. Nel 1962 il settimanale Time segnalava l’inizio straordinario del movimento. L’altro settimanale Life lo indicava come «la terza forza», comparandolo al cattolicesimo e al protestantesimo. Altri ancora lo annunciavano come «il movimento di risveglio», «il ritorno della vera Chiesa di Dio», «la nuova Pentecoste».76 Già nel 1963 tale corrente carismatica era presente in più di quaranta diverse denominazioni protestanti e circa duemila membri del clero delle Chiese affiliate al Consiglio Nazionale manifestavano il dono delle lingue. Nel 1967 questo fenomeno entra nella Chiesa cattolica, facendo la sua apparizione tra gli studenti dell’Università di Duquesne, mediante l’aiuto di «alcuni pentecostali (evangelici) ai quali è stato chiesto di pregare su di loro per ricevere il battesimo dello Spirito». Il 13 marzo 1967 si tenne il primo incontro. «Quella notte - dice uno di loro, Kevin Ranaghan - lo Spirito Santo cominciò ad abbattere le secolari barriere tra cattolici e protestanti... In poco tempo il movimento si propaga in altre università e in quasi tutti i cinquanta Stati degli USA. Nell’aprile 1967, circa cento persone celebrano il primo Congresso nazionale del Rinnovamento Carismatico e, come si chiamò in principio, del Movimento Pentecostale Cattolico».77 Questo movimento carismatico neo-pentecostale, sia protestante che cattolico, si è collocato in un momento particolare della storia: circa la metà dell’umanità vive sotto regimi autoritari che professano ufficialmente l’ateismo e la società cristiana realizza ciò che Paolo scrive a Timoteo (III:1-5). Viviamo nel tempo in cui l’uomo moderno ha perso la capacità di discernere il bene dal male, cioè non ha più la coscienza del peccato. In un tempo in cui la crisi religiosa investe tutte le Chiese, tutte le fedi, non si rinnega più un credo, o parte di esso, ma ogni credo, non si passa da una Chiesa all’altra, ma si disertano tutte le Chiese. In un tempo in cui le Chiese sono viste come un ostacolo al progresso e le leggi sociali sono l’unica risposta ai problemi dell’uomo, esso dimostra che gli uomini non possono fare a meno della religione. Non crediamo che tutto questo provenga da Dio. Lo spirito soffia su religioni e chiese opposte tra di loro quanto alla dottrina, e dice: «Restate nelle vostre chiese!» Il 76 77
ZURCHER Jean, Le mouvement charismatique, in Revue Adventiste, aprile 1974, p. 3. FALVO Serafino, L’ora dello Spirito Santo, ed. Paoline 1976, p. 44. Quando la profezia diventa storia
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pastore Wohlfahrt di Strasburgo, presidente dell’Alleanza Nazionale delle Chiese Luterane francesi, nel 1972 ha fatto parte di una delegazione che si è recata negli Stati Uniti per studiare questo fenomeno spirituale. A commento di quanto ha visto scrisse: «Sembra che con il movimento carismatico ci si trovi di fronte a un movimento comandato da nulla di visibile e che si manifesta nella maggior parte delle Chiese tradizionali nello stesso modo (battesimo dello spirito, doni diversi, ecc...), ma non sollecita mai coloro che ne fanno l’esperienza a lasciare la loro chiesa, piuttosto a restarvi. Non è un movimento separatista, ma un movimento di rinnovamento nelle nostre chiese».78 Lo spirito di Dio dice, per contro, in Apocalisse: «Uscite da essa o popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non abbiate parte alle sue piaghe».79 Lo spirito che agisce nel neo-pentecostalismo approva, con la sua unzione, credenze opposte e non fa nulla per modificare gli insegnamenti sbagliati, mentre Gesù, promettendo lo Spirito Santo, diceva che avrebbe guidato gli apostoli e la Sua Chiesa in tutta la verità.80 Bisogna riconoscere l’albero dai suoi frutti, diceva Gesù. Dio non si contraddice, Satana sì, non si fa alcuno scrupolo. Rinviando le persone nelle proprie chiese, le restituisce ai loro errori, rafforzandoli. Giovanni chiama tutto questo: BABILONIA. Gesù, parlando dei tempi della fine, diceva: «Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, che faranno segni e prodigi, da sedurre se fosse possibile anche gli eletti».81 Come abbiamo detto, dopo una prima reazione di scomunica dei propri membri che seguivano le manifestazioni carismatiche all’inizio del secolo, oggi tutte le Chiese protestanti approvano questo fenomeno. Serafino Falvo nel suo libro si domandava: «La nuova Pentecoste, o meglio, il risveglio carismatico, come fenomeno di massa, per il rinnovamento della Chiesa nel clima della Pentecoste, nacque in America, e fuori dalla Chiesa cattolica. Perché in America? I luoghi non hanno alcuna importanza. Come non ha alcuna importanza il fatto che il Monachesimo occidentale sia nato a Montecassino, il Francescanesimo in Umbria (ecc.).. A noi cattolici, abituati da secoli a ritenerci gli unici depositari della predicazione del Padre; a considerare la Chiesa come una fortezza assediata da ogni parte da nemici sui quali abbiamo rovesciato l’olio bollente delle nostre scomuniche e i dardi infuocati del nostro disprezzo, non sembra possibile che lo Spirito Santo abbia potuto distribuire i suoi doni anche fuori dei confini segnati dai nostri bastioni».82 Se per Falvo i luoghi non hanno importanza, alla luce della Rivelazione invece ne hanno. Giovanni nell’Apocalisse situa il momento storico in cui questo fenomeno si sarebbe dovuto manifestare: nel tempo in cui la prima bestia è guarita; lo spazio geografico nel quale avrebbe dovuto prendere forma: sul territorio della seconda bestia; la potenza politico-religiosa che lo avrebbe dovuto sostenere: il protestantesimo americano; e lo scopo di questi prodigi è: «Sedurre quelli che abitano 78 79 80 81 82
WOHLFAHRT Alfred, Espérance pour l’Eglise, in Revue Foi et Vie, n. 4, 5, luglio-ottobre 1973, pp. 10,11. Apocalisse 18:4. Giovanni 16:13. Matteo 24:24. S. Falvo, o.c., pp. 28, 29.
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sulla terra per poter dire agli abitanti della terra di fare una immagine della bestia che aveva ricevuto la ferita mortale della spada ed era tornata in vita». Il segno distintivo del movimento carismatico è il dono delle lingue. Giovanni dice: «Faceva scendere del fuoco dal cielo sulla terra in presenza degli uomini». Il fuoco dal cielo è una espressione favorita dal pentecostalismo e dai neo-pentecostali per indicare il “battesimo dello Spirito Santo”. Giovanni Battista diceva di Gesù: «Vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco» e la discesa dello Spirito Santo si manifestò alla Pentecoste con «delle lingue come di fuoco».83 Ma il dono delle lingue che lo Spirito Santo diede agli apostoli permise a questi di parlare le lingue di tutti coloro che erano presenti in Gerusalemme o di farsi comprendere da loro nelle rispettive lingue84 e non ha nulla a che vedere con il parlare incomprensibile del pentecostalismo e del neo-pentecostalismo. Niente di strano quindi che si compia una contraffazione dello Spirito Santo «alla vista degli uomini», prima che lo Spirito di Dio si manifesti per far annunciare al mondo intero il ritorno di Cristo con una predicazione da illuminare tutta la terra.
La creazione dell’immagine della bestia «E seduceva quelli che abitavano sulla terra coi segni che le era dato di fare in presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di fare una immagine della bestia che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita. E le fu concesso di dare uno spirito all’immagine della bestia, onde l’immagine della bestia parlasse e facesse sì che tutti quelli che non adorassero l’immagine della bestia fossero uccisi».85 È qui contenuta la parte più importante della profezia. «Questo passo, a causa delle difficoltà che presenta e del cattivo successo degli interpreti, è stato chiamato dal de Rougemont: “La croce dei commentatori”». «Tutti i riferimenti dell’Apocalisse a una immagine (eikon) si riferiscono all’immagine della bestia. La sua adorazione è al centro della maledizione pronunciata sui riprovati. Per aver adorato la bestia e la sua immagine, devono bere la coppa della collera di Dio, essere colpiti di ulcera maligna e finalmente essere gettati nello stagno di fuoco.86 Nebucadnetsar ha fatto gettare nella fornace di fuoco i tre compagni di Daniele perché avevano rifiutato di adorare l’immagine, qui sono gli adoratori ad essere precipitati nel fuoco divino. L’immagine della bestia è terrificante quanto la bestia stessa. Non c’è concorrenza tra l’adorazione della bestia e l’adorazione della sua immagine. Inoltre entrambe 83 84 85 86
Matteo 3:11; Atti 2:3. Atti 2:7-11. Apocalisse 13:14-16. Apocalisse 14:9; 16:2; 14:10,11. Quando la profezia diventa storia
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hanno lo stesso scopo: vincere i santi, metterli a morte, esercitare l’autorità su tutti gli abitanti della terra».87 Questo potere seduce gli abitanti della terra, non si impone con la forza bruta, bensì con la parola, dice di fare questo e quello, propone, insinua. Nella forma non si presenta come potere dispotico, ma democratico che, pur facendo appello ai princìpi della libertà, li occulta. Se, come abbiamo detto, la prima bestia di Apocalisse XIII simboleggia Roma papale, quale potenza persecutrice, potenza politico-ecclesiastica, nemica di Dio, «l’immagine della bestia» deve essere qualcosa di analogo: un connubio tra chiesa e stato, tra politica e fede, l’impiego della legge per imporre valori religiosi. Il maestro A.F. Vaucher scriveva: «Quanto all’immagine della bestia, è ancora troppo presto per dire con precisione ciò che essa sarà: forse una federazione di Stati protestanti a imitazione di quelli cattolici».88 «Imitazione moderna della società politico-religiosa del Medio Evo, e strumento del dispotismo religioso».89 «L’immagine della bestia rappresenta quella forma di protestantesimo apostata che si andrà gradualmente sviluppando quando le chiese protestanti cercheranno l’aiuto del potere civile per imporre i loro dogmi... Quando le principali chiese degli Stati Uniti, unendosi sui punti di dottrina che sono loro comuni, influiranno sullo stato per imporre i loro decreti e sostenere le loro istituzioni, allora l’America protestante avrà formato una immagine della gerarchia romana, e l’applicazione di pene civili ai dissidenti sarà l’inevitabile risultato».90 Questo testo dell’Apocalisse rievoca il primo omicidio sulla terra, conseguenza di un conflitto di fedeltà all’Eterno. Esso si trova in Genesi IV quando Caino uccise il fratello Abele per il suo modo di adorare l’Eterno. Questo conflitto, che è stato più o meno violento nel corso dei secoli, Dio lo aveva annunciato già nell’Eden. In Genesi III l’umanità sarà divisa in due gruppi: la progenie della donna che si contrappone alla progenie del serpente. La mancanza di fiducia nella parola di Dio ha destinato l’umanità alla morte, mentre alla fine della storia sarà la fiducia nella Rivelazione di Dio ad aprire la porta dell’eternità all’umanità fedele. Apocalisse XIII ricorda anche Daniele III quando Nebucadnetsar fece costruire una statua tutta d’oro a immagine del suo regno, che avrebbe dovuto dominare per sempre la storia degli uomini in contrapposizione a quanto il profeta gli aveva detto sul suo impero, la testa d’oro, che sarebbe durato fino a quando un altro regno lo avrebbe soppiantato. Questa immagine della bestia viene proposta al mondo come il re di Babilonia la propose ai rappresentanti di tutti i popoli in cattività. Come al tempo degli amici di Daniele davanti alla statua non c’era possibilità di neutralità, così alla fine della storia una scelta di campo si imporrà all’umanità.
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R. Lehmann, o.c., pp. 176,177. VAUCHER Alfred Félix, L’homme son origine sa destinée, Dammarie-Les-Lys 1974, p. 67. VAUCHER Alfred Félix, L’Histoire du salut, 3a ed., Dammarie-Les-Lys 1951, p. 387. WHITE Ellen, I1 gran conflitto, Firenze 1977, p. 325.
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Gli adoratori della bestia violano il I comandamento perché adorano la bestia, il II comandamento perché adorano l’immagine della bestia; il III comandamento perché preferiscono il nome della bestia a quello di Dio; il IV comandamento perché gli idolatri non possono osservare un comandamento che è il memoriale della creazione operata dall’Eterno. La prima tavola delle legge precisa “chi” sarà fedele, “come” lo sarà e “quando”, costoro sono i veri adoratori dell’Eterno. Gli adoratori idolatri seguiranno le tradizioni degli uomini, i veri adoratori osservano i comandamenti di Dio, in particolare il sabato che è una protezione contro tutti i sistemi idolatri. Il quarto comandamento è il test della legge. Come abbiamo detto, mentre gli altri nove si possono osservare senza credere in Dio, il quarto lo si osserva solo se si crede nel Creatore. Tutto ciò è ricordato nel triplice messaggio di Apocalisse XIV:6-12.
Il potere religioso in America La storia passata e contemporanea ci presenta la volontà della forza religiosa di fare dell’America un paese teocratico. La libertà religiosa in America si è realizzata mediante una evoluzione che ha avuto però in tutti i tempi i suoi oppositori, particolarmente tra i religiosi favorevoli ad avere una nazione confessionale. Il giudice della Corte suprema, Hugo Black, scriveva nel 1947: «I secoli che hanno preceduto lo stabilirsi delle colonie americane e quelli durante... furono pieni di disordini, di lotte civili e di persecuzioni, provenienti generalmente dalle sette stabilite, decise a mantenere la loro supremazia politica e religiosa. I cattolici perseguitarono i protestanti, i protestanti perseguitarono i cattolici, i protestanti si perseguitarono tra loro, i cattolici fecero la stessa cosa e tutti assieme perseguitarono gli ebrei».91 I Padri Pellegrini che sbarcarono a Plymouth e che fondarono nel 1609 la colonia del Massachusetts si impegnarono, perché esiliati dal Vecchio Mondo, a creare per i loro discendenti una società con piena libertà religiosa. I rifugiati religiosi che fondarono le tredici colonie americane sfuggivano all’intolleranza cattolica e protestante europea e cercavano di stabilire una libertà religiosa, che consisteva però nel praticare la propria fede all’esclusione di tutte le altre. Nel 1610, la Virginia pubblicava un decreto con la seguente disposizione: «Se qualcuno blasfema Dio sarà condannato a morte: se giura illegalmente, se pronuncia il nome di Dio invano, se maledice, o rigetta il suo nome; sia sottoposto a punizione severa per la prima offesa, ad avere la lingua forata per la seconda, e nel caso in cui il blasfemo del santo nome di Dio persista, sarà condotto davanti ai giudici e sarà condannato a morte».
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PICHOT André, L’évolution de la liberté religieuse aux Etats-Unis, in Conscience et Liberté, n. 9, 1975, p. 54. Quando la profezia diventa storia
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Roger Williams, cristiano convinto, per aver sostenuto la libertà di coscienza, dovette fuggire in pieno inverno e la sua voce nel XVII secolo fu quella di uno che gridava nel deserto. I quaccheri furono perseguitati tra il 1656 e il 1661, fu incendiato il convento delle Orsoline nel 1834, ci furono dei morti a Philadelphia nel 1844, la persecuzione dei pentecostali nel l85l, un massacro a Mountain Meadows nel 1857 e altri ancora. Sul territorio del Massachusetts ci fu la “caccia alle streghe” e fu l’ultimo Stato che rinunciò all’intolleranza religiosa. Sebbene l’evoluzione filosofica europea del secolo dell’illuminismo influenzasse l’America e i diritti dell’uomo espressi da Montesquieu, da John Locke, da JeanJacques Rousseau, da Voltaire ed altri trovassero un’eco nelle opere di Thomas Jefferson, James Madison, Thomas Paine, George Washington, essi non assicurarono però una rigorosa neutralità tra governo e Chiesa nella redazione della prima Costituzione, convocata nel 1787. Essa non presentava nessuna garanzia particolare per la libertà di religione, di stampa o per le libertà individuali. Gli emendamenti riportati successivamente, a garanzia della libertà personale, permisero la sottoscrizione degli Stati. Il primo di questi emendamenti in vigore dal 1791 dichiarava tra l’altro: «Il Congresso non potrà pronunciare leggi che riguardino un’istituzione religiosa o che ne impediscano il libero esercizio». Esso garantisce la separazione della Chiesa dallo Stato. Siccome gli Stati avevano le proprie costituzioni che permettevano di favorire una o più religioni, il governo federale promulgò il XIV emendamento il quale toglie allo Stato l’autorità di limitare o abolire la libertà religiosa. Esso dice: «Nessuno Stato potrà promulgare o imporre delle leggi che tendano a diminuire i privilegi o le immunità dei cittadini americani, nessuno sarà privato della vita, della libertà o della proprietà, senza che siano state prima applicate nei suoi confronti le procedure previste dalla legge». Il presidente T. Jefferson era talmente convinto che lo Stato e la Chiesa dovessero essere due istituzioni separate che nel 1802 rifiutò di proclamare dei giorni di ringraziamento e di digiuno a commemorazione della Rivoluzione americana, come l’Associazione Battista di Danbory gli aveva proposto. Nella sua risposta si trova la frase che ancora oggi è al centro delle violenti controversie che scuotono gli Stati Uniti sulla questione dell’aiuto finanziario che lo Stato dovrebbe accordare alle scuole religiose, particolarmente cattoliche: «Crediamo fermamente con voi che la religione sia una questione che riguarda l’uomo e il suo Dio; che egli non debba rendere conto a nessuno per ciò che riguarda la sua fede ed il suo culto; che le potenze legislative del governo non riguardano che le azioni e non le opinioni, io contemplo con riverenza sovrana questa azione del popolo americano che dichiara che la sua legislatura non passerà nessuna legge concernente lo stabilimento della religione `o proibendone il libero esercizio erigendo così un muro di separazione tra la Chiesa e lo Stato». Poi ci fu la guerra civile, che causò un bagno di sangue, e numerosi protestanti americani pensarono che questa effusione avrebbe rigenerato la nazione e che la
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migliore prova di una rinascita spirituale del paese sarebbe stata la promulgazione di leggi incorporanti le leggi originali di Dio. Nella prima convenzione di una società da poco formata, The National Reform Association - Associazione Nazionale per l’emendamento religioso alla Costituzione degli Stati Uniti - l’oratore principale, John Alexander, a Kenia, Ohio, il 4 febbraio 1863, sottolineò che la guerra civile proveniva dal fatto che l’America non si dichiarava nella Costituzione «nazione cristiana». Questo errore poteva essere rimediato da ora in avanti con un emendamento costituzionale che riconosceva e onorava Dio. Nell’articolo II dei suoi statuti si legge: «Ottenere un emendamento alla Costituzione con il quale gli Stati Uniti proclameranno la loro obbedienza a Gesù Cristo e metteranno tutte le leggi, le istituzioni e i costumi cristiani dello stato su una base incontestabilmente legale, nella legge fondamentale del paese». Nel suo organo d’informazione principale, nell’ottobre del 1884, si leggeva: «Noi affermiamo altamente di essere una nazione cristiana, e di dovere ad ogni costo mantenere il nostro carattere cristiano o perire. Incidiamo questo carattere nella nostra costituzione. Imponiamo le leggi della moralità cristiana a tutti coloro che vengono a stare in mezzo a noi».92 La grande ed influente Woman’s Christian Temperance Union (WCTU) - Società di Temperanza cristiana delle donne - aderiva con entusiasmo a questo programma. Nel 1887 dichiarava con candore: «Gesù Cristo diventerà il re di questo mondo... Il regno del Cristo deve penetrare nel dominio della legge per la via della politica... Una vera teocrazia sarà fondata, e noi assisteremo alla supremazia del Cristo sulla legge e sulle legislazioni».93 Per realizzare questo si dovrà forse ottenere un emendamento della Costituzione? M.E. Loewen scrive: «Per più di una generazione l’emendamento religioso non ha fatto alcun progresso; però da quando la Corte ha preso delle decisioni per permettere la preghiera e la lettura della Bibbia nelle scuole pubbliche, da varie parti sono sorte nuovamente delle pressanti richieste affinché si accetti un emendamento religioso alla Costituzione. Dopo l’annuncio della decisione della Corte, alcune religioni furono in preda a una reazione emotiva isterica... Nel 1964 furono presentati al Congresso 140 progetti di leggi allo scopo di emendare la Costituzione... ».94 Quando l’autorità ecclesiastica dirigerà quella politica, si verrà a creare negli Stati Uniti d’America l’immagine della bestia. Spetterà al potere politico «dare uno spirito all’immagine della bestia », cioè dare vita, animare il connubio, contro natura, tra Stato e Chiesa protestante, che potrà essere anche alleata con quella cattolica. L’autorità politica farà sentire nel mondo la voce di questa nuova creatura e renderà effettive le misure legislative che faranno riaccendere i fuochi delle persecuzioni religiose che illuminarono i secoli bui del Medio Evo. Questa immagine farà sentire la sua voce e la sua influenza emanando leggi e decreti che il braccio secolare statunitense cercherà di far osservare. L’immagine parlerà, e non saranno parole di 92 93 94
Christian Statesman 2/10/1884; cit. da J. Vuilleumier, o.c., p. 256. WCTU Monthly Reading, settembre 1866 (?); cit. Idem, p. 256; vedere nota n. 78. LOEWEN M.E., Appendice in F. Chaij, o.c., p. 169. Quando la profezia diventa storia
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perdono e di vita, come quelle che scaturiscono dalla croce, ma saranno parole di odiose minacce, di scomunica e di morte contro coloro che, come Daniele e i suoi amici, vivranno secondo la Parola di Dio. Giovanni scrive che chi non accetterà e presenterà il suo appoggio, chi non adorerà l’immagine della bestia, sarà ucciso.
Il marchio della bestia «E faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome».95 «Di primo acchito decifrare il marchio della bestia non è stato l’oggetto delle ricerche appassionate dei Padri della Chiesa.96 In effetti, se l’uso della ghematria era frequente nel mondo greco, la ghematria numerica ebraica non appare che nei tannaim del II secolo. Conosce il suo pieno utilizzo nel XII e XIII secolo e il suo uso sarà essenzialmente mnemonico».97 Fino alla fine del XIII secolo, i commentatori dell’Apocalisse non hanno tentato alcuna spiegazione per il numero della bestia. Bisognerà attendere la Riforma per riconoscervi un marchio di sottomissione al papato.98 «La bestia propone la comunione a una falsa libertà: quella dell’uniformità. Tutti devono subire la decisione della bestia in virtù della quale si potrà fare del commercio, acquistare e vendere. Tutti devono così sottomettersi alla stessa adorazione dell’idolo e sfuggire alla morte».99 «Ad una prima analisi, il sigillo di Dio e il marchio della bestia occupano nell’Apocalisse una posizione di cerniera. Il sigillo di Dio è menzionato per la prima volta nella parentesi che unisce il sesto e settimo sigillo,100 permette di riconoscere i servitori di Dio, il cui numero è 144.000. È menzionato una seconda volta nella quinta tromba per descrivere le disgrazie che colpiranno coloro che non l’hanno 95
Apocalisse 13:16,17. Ippolito di Antiochia (170-235), Commentaire sur Daniel, vol. IV, testo stabilito e tradotto da LEFEVRE M., ed. Le Cerf, Paris 1947, p. 1739; vede nel sigillo di Dio il segno della croce che ricevono i nuovi battezzati. Per Origene, Commentaire sur Saint Jean, 1,6, testo greco, avant-propos, traduzione e note di BLANC C., ed. Le Cerf, Paris 1966, p. 61; si tratta del nome dell’Agnello o di quello del Padre. 97 Encyclopedia Judaica, Jérusalem, vol. VII, 3o ed., 1974, p. 372. 98 FROOM LeRoy Edwin., The Prophetic Faith of our Fathers, vol. II, Washington D.C. 1954, p. 86. Walter Brute, un ycliffita scrive che il marchio corrisponde all’autorità dei sacramenti ai quali si sottopongono i fedeli della Chiesa cattolica. John Purvey, dopo la morte di Wycliff, diceva che il marchio posto sulla mano lo considera come la compiacenza per i lavori prescritti dalla Chiesa cattolica e il marchio sulla fronte corrisponderebbe alla confessione pubblica degli insegnamenti del papato. Per gli scrittori della Riforma il marchio corrisponde alla sottomissione ai decreti e alle tradizioni di Roma o al suo potere di scomunicare. Nel Nuovo Mondo i commentatori sostengono vedute simili. Vedere Seventh-Day Adventist Encyclopedia, t. X, ed. rivista, Washington D.C. 1966, p. 856. 99 R. Lehmann, o.c., p. 183. 100 Apocalisse 7:24. 96
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ricevuto.101 Dopo questo passo il sigillo di Dio non è più menzionato. Per contro, il testo introduce la nozione del marchio della bestia dal capitolo XIII:16 e lo riprende poi in forma ricorrente102 per specificare le disgrazie che colpiranno coloro che l’hanno ricevuto. Prima osservazione: si può notare qui una opposizione tra questi due segni. Non ricevere il primo significa esporsi al giudizio di Dio posto su coloro che accettano il secondo. Non c’è nessuna posizione intermedia di qualcuno che non avrà né il sigillo di Dio né il marchio della bestia. Al contrario, colui che non avrà il sigillo di Dio conoscerà i mali riservati a coloro che hanno il marchio della bestia. Seconda osservazione: il primo versetto che menziona il marchio della bestia annuncia le minacce nei confronti di coloro che non l’hanno: non possono né comprare né vendere. L’ultimo versetto che parla del marchio103 presenta lo stato di grazia di cui beneficiano coloro che non l’hanno ricevuto; tornano alla vita e regnano con il Cristo per 1000 anni. Così il giudizio di Dio, inserito tra il capitolo XIII e il capitolo XXI, ha per oggetto il capovolgimento del giudizio della bestia. Mentre la bestia condanna coloro che non hanno il marchio, Dio punisce coloro che l’hanno ricevuto e rende giusti coloro che l’hanno rigettato. Il giudizio finale e le sette piaghe hanno per centro, strutturalmente parlando, l’accettazione o il rifiuto del marchio della bestia».104 Il marchio della bestia sarà quindi uno stile di vita che caratterizzerà il modo di vivere di coloro che non accetteranno la realtà vivente dell’Eterno nella propria vita nell’ultima fase della storia del pianeta Terra. Esso si contrappone al sigillo di Dio con il quale vengono sigillati i componenti della folla incalcolabile che simbolicamente per la loro pienezza vengono indicati con la cifra 144.000 e che saranno viventi al ritorno di Gesù.105 Come già sosteneva Isaac Newton, il marchio della bestia e il sigillo di Dio sono tra loro opposti. Crediamo di vedere in questa dichiarazione di Giovanni la descrizione dell’azione del governo degli Stati Uniti d’America nell’imporre, nel proprio Paese, un qualcosa che è di chiara marca del potere papale. Si può credere che successivamente questa imposizione potrà essere estesa a quei Paesi in cui l’influenza americana e romana hanno un peso considerevole. Cosa è questo marchio? Il marchio anticamente era posto sulla mano o sulla fronte degli schiavi e di coloro che si erano macchiati di gravi errori. I cristiani che dall’Italia venivano trasportati in Numidia nelle miniere venivano marchiati a causa della loro infamia. Il marchio preso però dagli adoratori della bestia e della sua immagine manifesta la devozione e l’associazione a questo potere.
101 102 103 104 105
Apocalisse 9:4 e seg.. Apocalisse 14:9,11; 16:2; 19:20; 20:4 Primo annuncio del marchio Apocalisse 13:17; l’ultimo testo che parla del marchio è Apocalisse 20:4. R. Lehmann, o.c., pp. 195,196. Vedere il nostro Capitolo XVIII. Quando la profezia diventa storia
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«Il marchio della bestia è l’opposto del sigillo messo sulla fronte dei servitori di Dio».106 Il marchio rappresenta la caratteristica della bestia stessa e non solamente di una delle sue teste. Esso è il segno del potere, della volontà umana che si oppone a quella di Dio e trova la sua manifestazione più completa nella testa che è stata ferita dalla spada ed è stata guarita. Il marchio rappresenta il segno idolatrico dell’umanità che ha nel potere papale il suo erede e continuatore. «Il marchio della bestia deve dunque indicare una istituzione religiosa che sia non solamente un prodotto autentico e caratteristico del papato, ma che gli serva in qualche modo da bandiera, da simbolo, da paladino. Rileviamo anche che un marchio è un segno visibile e deve denotare, nell’ordine religioso, una forma di culto o un rito avente una forma esteriore e visibile, come anche uno scopo spirituale e invisibile. Questo è indicato dal fatto che il marchio può essere messo sulla mano destra o sulla fronte. Tale è il caso delle feste religiose che hanno sì uno scopo spirituale, indicato dalla fronte, ma che non possono essere celebrate senza la partecipazione della mano, senza l’interruzione del lavoro».107 La fronte e la mano sono la sede dei pensieri, della volontà e dell’azione. Mediante l’accettazione di questo marchio gli uomini, volontariamente o involontariamente, acconsentiranno a lavorare e pensare secondo un ordine costituito. Riteniamo evidente che nel messaggio biblico il marchio della bestia ed il sigillo di Dio siano in relazione con la Legge dell’Eterno. Alla fine del capitolo XI di Apocalisse Giovanni vede nel santuario del cielo l’arca del patto nella quale, sulla terra, venivano custodite le due tavole di pietra sulle quali Yahvé aveva inciso i suoi 10 Comandamenti. Alla fine del capitolo XII la Chiesa del rimanente, del tempo finale della storia, è caratterizzata dalla fede di/in Gesù e dall’osservanza dei Comandamenti di Dio. In Apocalisse XIV:12 i messaggeri che annunciano il triplice messaggio, che precede il ritorno di Gesù, descritto dal versetto 14, hanno annunciato l’ora del giudizio, invitato ad adorare il Creatore e gridato di non prendere il marchio della bestia, anche loro sono indicati con le stesse caratteristiche del capitolo XII. In risposta alla minaccia di morte di chi non prende il marchio della bestia del nostro capitolo, i primi versetti del capitolo XIV presentano i vincitori, i 144.000 sigillati da Dio, in piedi sul Monte Sion. Questa opera di sigillamento viene descritta nel capitolo VII ed è compiuta poco prima del ritorno di Gesù, ed è questa azione di segnatura che procrastina i venti, le piaghe, che sconvolgeranno la terra. Il sigillo permetterà di avere sulla fronte il nome dell’Agnello e di Dio.108 La bestia, che corrisponde a ciò che il profeta Daniele scrive del “piccolo corno”, durante il tempo della sua supremazia di 1260 anni ha pensato di «cambiare i tempi e la legge»109, cioè i Comandamenti di Dio, il II ed il IV. Il IV comandamento è l’unico che presenti il nome del legislatore: «l’Eterno Iddio tuo»; il suo titolo: Creatore; la giurisdizione 106 107 108 109
L. Bonnet, o.c., p. 405. J. Vuilleumier, o.c., p. 265. Apocalisse 14:1. Daniele 7:25.
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sulla quale esercita la sua autorità: cieli, terra e mare; e si può vedere che sia questo comandamento a esprimere il sigillo di Dio quale segno dato agli adoratori dell’Eterno, in quanto il sabato è segno di appartenenza all’Eterno, e mezzo di santificazione da parte di lui.110 «Gli Avventisti del 7o Giorno hanno collegato ben presto il marchio della bestia con l’osservanza della domenica sotto forma di una imposizione obbligatoria a tutti da parte di Roma. Nel 1847 Joseph Bates affermava già che il primo giorno della settimana è un marchio della bestia.111 Nell’aprile dello stesso anno Ellen White gli scriveva che ricevere il marchio della bestia significava abbandonare il sabato di Dio per osservare il sabato del papa.112 J.N. Loughborough scriveva, il 28 marzo 1854, sulla Review and Herald, che il marchio è la domenica... Nel 1868, un trattato largamente diffuso portava questo titolo: Marchio della bestia e sigillo di Dio: mostrare come possiamo sfuggire al primo ed assicurarci il secondo. Tuttavia, già nel 1852, James White si sentiva in dovere di precisare: “Noi non insegniamo che coloro che osservano il 1o giorno come un sabato, e che pensano che il sabato sia abolito, hanno il marchio della bestia”. Avrà l’appoggio di Uriah Smith nel 1874 e di Ellen White nel 1888. Infine, quest’ultima farà autorità quando nel 1889 dichiarerà: “Nessuno ha ancora ricevuto il marchio della bestia. Il tempo di prova non è ancora arrivato. Ci sono degli autentici cristiani in tutte le Chiese, senza eccezione, anche nella comunità cattolica romana. Nessuno è condannato prima di aver ricevuto la luce e di avere riconosciuto l’obbligatorietà del quarto comandamento”.113».114
Il segno del sigillo di Dio Solo l’Apocalisse per otto volte presenta la fronte che viene sigillata.115 Ciò caratterizza coloro che hanno beneficiato dei favori di Dio e hanno sulla fronte il nome di Gesù Cristo e di suo Padre, di Dio o dell’Agnello.116 Non sembrerebbe eccessivo credere che il sigillo di Dio sia il nome stesso di Dio e di Gesù Cristo. «Noi giungiamo alla conclusione che il sigillo di Dio, nell’Apocalisse, è l’impronta della persona stessa di Dio e dell’Agnello. Più ancora che al suo carattere, il riferimento all’Agnello implica un cammino, una sofferenza, la cui conclusione può essere il martirio. Questo calvario precede la gloria. Il carattere protettore del sigillo ci sembra che sia stato troppo accentuato. Esso protegge sì dai giudizi di Dio, ma non protegge dai morsi della bestia e dei suoi accoliti. Ricevere il sigillo di Dio significa morire per lui, come l’Agnello. Per contro, ricevere il marchio della bestia significa aderire a certi valori, praticare un culto totalmente opposto a quello che Dio propone: 110 111 112 113 114 115 116
Ezechiele 20:12,20. Vedere il nostro Capitolo XVI. Marck of the Beast, in Seventh Day Adventist Encyclopedya, RHPA, Washington D.C. 1966, p. 757. Idem. WHITE Ellen, Evangelism, p. 224. LEHMANN Richard, Le sceau et la marque de la bête, in AA.VV., o.c., p. 189. Apocalisse 7:3; 9:4; 13:16; 14:1,9; 17:5; 20:4; 22:4. Apocalisse 14:1; 22:4. Quando la profezia diventa storia
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portare il suo nome significa identificarsi totalmente a lui. Più che una questione di giorno di riposo, si tratta di ricevere la sua legge, di accogliere la sua volontà. La questione del sabato o della domenica non è che l’ultimo punto di un immenso iceberg di valori diabolici interamente opposti a quelli di Dio... Se il sigillo di Dio è il segno della benevola protezione, non può essere che messo su coloro che hanno rigettato la menzogna.117 Il marchio delle bestia è imposto dal profeta menzognero descritto in Apocalisse XIII. Babele, confusione, menzogna e minacce hanno il solo scopo di distogliere l’adorazione dei servitori di Dio per rivolgerla verso un sistema, un pensiero, un potere politico-religioso, che vuole farsi passare sottilmente per l’autorità suprema delle coscienze. Come ha ben detto il prof. Schwarzenau P.: “Per gli avventisti, il comandamento del sabato e la sua osservanza sono in qualche modo il segno che essi incidono nella loro carne e per cui ricordano a loro stessi e al mondo che mai crederanno ad una sintesi di impero mondiale e Regno di Dio e alla quale mai daranno il loro consenso. Nel rifiuto di riconoscere la domenica, o meglio nell’osservanza del sabato, si manifesta la presenza di un gruppo che leva il dito e chiama la cristianità a uscire da Babilonia, qualunque sia l’entità designata da questo nome”.118».119 La Parola di Dio dimostra che questo modo di spiegare il testo di Giovanni è corretto e la prova ci è data dalla celebrazione della festa di Pasqua la quale «sarà come un segno sulla tua mano, come un ricordo fra i tuoi occhi». Mosè, esortando Israele all’osservanza e all’insegnamento della legge, dice: «Te li legherai alla mano come un segnale, ti saranno come un frontale fra gli occhi».120 Il marchio della bestia è qualcosa che si contrappone al sigillo di Dio. Il sigillo di Dio è l’opera dello Spirito Santo nella vita del credente121 che fa di lui un rigenerato e lo fa vivere in unione con il suo Creatore. La dimostrazione esterna di questa realtà interiore è data dall’osservanza dei comandamenti di Dio. Nel santificare il giorno di sabato, IV comandamento, si ha una manifestazione pratica, che si ripete settimanalmente, del credente che si tiene a disposizione del suo Creatore e vive quotidianamente conformandosi alla Sua volontà. L’osservanza del sabato implica una doppia sottomissione a Dio: la propria mente, volontà, rappresentata dall’espressione fronte; attività: comportamento, modo di operare rappresentato dalla mano. È per questo motivo di pura fede che Dio, giustificando l’osservanza di questo comandamento, lo presenta come “segno” di relazione tra lui e le sue creature. «Santificate i miei sabati, e siano essi un segno fra me e voi, dal quale si conosca che io sono l’Eterno il vostro Dio».122 È dall’osservanza di questo giorno che il mondo
117 118 119 120 121 122
Apocalisse 14:5. SCHWARZENAU P., Exposé sur la communauté des adventistes du 7o jour, in Servir, 1/1983, p. 67. R. Lehmann, o.c., pp. 197-199. Esodo 13:9; Deuteronomio 6:8. Efesi 4:30; 1:13. Ezechiele 20:20,12.
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può identificare coloro che si sottraggono al potere costituito e vivono realmente la Parola di Dio testimoniando che la loro salvezza è nella fede in Cristo Gesù. La Bible Annotée, commentando Geremia XVII:27, dice: «Ci si può stupire del fatto che il profeta unisca delle così grandi benedizioni all’osservanza di un comandamento così particolare come quello del sabato; sembra, a seguito delle sue parole, che sarebbe sufficiente essere fedeli su questo solo punto perché le calamità annunciate siano scongiurate. In effetti, l’osservanza sincera e leale di questo solo dovere verso Dio condurrebbe a quella di tutti gli altri».123
Roma rivendica la sua autorità sull’osservanza della domenica Roma rivendica al mondo protestante l’accettazione della sua autorità per il fatto che esso continua ad osservare la domenica quale giorno di culto, principio che non trova riscontro in nessuna dichiarazione biblica. Il dr. Eck, campione della Chiesa cattolica, dimostrò al grande Lutero la sua implicita accettazione dell’autorità di Roma, osservando la domenica. «La Scrittura dice: “Ricordati di osservare il sabato; per sei giorni tu lavorerai e farai tutte le tue opere; ma il settimo giorno è il sabato dell’Eterno tuo Dio”, ecc. Tuttavia, in virtù della sua propria potenza, e senza la Scrittura e senza dubbio sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, la Chiesa ha trasferito l’osservanza del sabato alla domenica... Se la Chiesa ha avuto il potere di cambiare il sabato della Bibbia, e di ordinare l’osservanza della domenica, perché non eserciterebbe lo stesso potere riguardo agli altri giorni?».124 Il cardinale del Perron, vescovo di Evreux, nel castello di Fontainebleau, al tempo di Enrico IV e Caterina dei Medici, sostenne una controversia con diversi dottori della Riforma e disse: «La traslazione della festa dal sabato alla domenica non la si può giustificare con nessuna prova della Scrittura... Ognuno sa come il precetto del sabato fosse rigoroso nell’antica Legge e come le più grandi minacce o promesse di Dio fossero fatte a coloro che violavano o osservavano i suoi sabati. E nondimeno, questo comandamento di Dio, che Dio aveva voluto scrivere di sua propria mano tra i dieci precetti del decalogo... la Chiesa l’ha cambiato senza alcuna ordinanza scritta, sia per quanto riguarda il fine (lo scopo), sia per quanto riguarda la forma e la materia. In primo luogo, per quanto riguarda il fine, il sabato era ordinato per commemorare la creazione del mondo e il riposo di Dio dopo il completamento delle sue opere; mentre la domenica noi non la celebriamo con questa intenzione, ma per onorare la memoria della resurrezione di nostro Signore... Quanto alla forma, noi non osserviamo per nulla la domenica come il settimo giorno della settimana, ma come il primo... al contrario di ciò che si osserva nell’antica legge... (Questa) solennità non ha niente in comune con la festa del sabato... Quanto alla materia, è certo che per osservare il giorno comandato da Mosè ai figli d’Israele, bisognerebbe prendere, non 123 124
La Bible Annotée, o.c., Les prophètes, t. I, Jérémie, Neuchâtel, p. 372. ECK, Enchiridion, 1533, pp. 78,79; cit. da J. Vuilleumier, o.c., p. 266. Quando la profezia diventa storia
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un giorno a piacere... ma quello (che)... Dio ha indicato come giorno del suo riposo, dopo la creazione del mondo, per la commemorazione della quale l’aveva istituito... E nondimeno questa soppressione assoluta del sabato, nel quale lo scopo, la forma e la materia del comandamento sono aboliti, e questa nuova introduzione della domenica non è basata su nessun ordine scritto, né del nostro Signore, né dei suoi apostoli».125
Leggi per fare osservare la domenica negli USA I modi e i tempi con i quali la profezia avrà la sua realizzazione ci sono completamente sconosciuti e riteniamo che non sia possibile né opportuno fare delle congetture. Riteniamo però utile, come documentazione storica, segnalare che la problematica di fare della domenica un giorno di riposo per tutti ha avuto dei precedenti fin dal secolo scorso ed è una problematica che viene sollevata anche nel nostro tempo. Queste aspirazioni, progetti, leggi del passato sono state circoscritte geograficamente e nel tempo. Ciò che si realizzerà nel futuro non pensiamo che sia lo sviluppo e l’evoluzione della realtà del passato, ma una risposta urgente alle difficoltà del momento. Nel 1829 in America ci si allarmò all’idea di imporre l’osservanza della domenica mediante il potere civile. I sostenitori della separazione dello Stato dalla Chiesa dicevano che non si deve dimenticare che «quando l’uomo pretende di farsi difensore di Dio, diventa demonio. Spinto dalla frenesia del suo zelo religioso, perde ogni sentimento di amore, dimentica i precetti più sacri della sua fede, diventa feroce e implacabile».126
XIX secolo
Già agli inizi del XIX secolo si fecero delle petizioni al governo per chiedere una legislazione che salvaguardasse l’osservanza della domenica quale giorno di riposo. I termini di questo rifiuto si trovano in un doppio rapporto adottato dal Senato nel 1829-1830, in risposta ad una campagna che durava da più d’una ventina di anni, che domandava con insistenza l’abolizione del servizio postale di domenica. Il rapporto redatto dal colonnello Johnson, del Kentucky, conteneva parole di una sana politica e di buon senso come possiamo leggere: «La vostra Commissione ha cercato invano (nella Costituzione) una disposizione che permetta al governo di determinare se l’Onnipotente ha santificato una porzione del nostro tempo, e quale... La Costituzione considera la coscienza dell’ebreo sacra tanto quanto quella del cristiano, e non 125
Réfutation de l’écrit de Maistre Daniel Tilenus contre le discours de Mr. l’évesque d’Evreux touchant les Traditions apostoliques. Par dit sieur Evesque. - A Evreux, chez Antoine Lemarie, 1601. (282 pagine seguite da un supplemento intitolato: Discours recuilli par le Sieur de Beaulieu des propos que Monsieur l’Evesque d’Evreux tint à Monsieur de Sancy sur l’autorité et nécessité des Traditions apostoliques, pp. 14,15,19 ss.; cit. da J. Vuilleumier, o.c., pp. 267,268. 126 J. Vuilleumier, o.c., p. 262.
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autorizza nessuna misura nei confronti sia di un solo individuo che di tutto un popolo. Se il Congresso dichiarasse giorno sacro il primo giorno della settimana, non convincerebbe gli ebrei né i sabatisti... Ciò costituirebbe una soluzione legislativa d’una controversia religiosa. ... Sarebbe un precedente pericoloso che comporterebbe un lungo seguito di leggi in cui perirebbero i diritti più sacri: quelli della coscienza... Gli obblighi del governo sono gli stessi nei confronti delle due classi di persone (gli osservatori del sabato e quelli della domenica) e la vostra commissione è incapace di scoprire alcun principio che stabilisca che i reclami degli uni siano più degni di considerazione di quelli degli altri, a meno di ammettere che la coscienza della minoranza sia meno rispettabile di quella della maggioranza... Se, mediante una legge solenne, il governo potesse, su un solo punto, definire la legge di Dio o indicare al cittadino uno solo dei suoi doveri religiosi, potrebbe, con lo stesso diritto, definire e rendere obbligatori tutti gli altri, fino a comprendervi le forme e le cerimonie del culto, la dotazione delle chiese e il mantenimento del clero».127 Dopo questi anni The National Reform Association dopo aver suscitato nei suoi confronti, grazie alla sua potenza economica, l’attenzione di uomini di legge, giudici, politici, educatori, capi religiosi di alcune città degli Stati Uniti, a causa della corruzione negli affari pubblici, domandava una riforma morale facendo dell’obbligatorietà dell’osservanza della domenica una dimostrazione di rinnovamento etico. Nel 1871, pur rivendicando il sostegno di numerosi capi di Stato come: Kansas, Vermont, Pennsylvania, Delaware, Ohio, Massachusetts, Missouri, la sua petizione di emendamento della Costituzione venne respinta, ma nel 1879 riuscì a fare votare una legge che rinforzava l’osservanza della domenica nello Stato della Pennsylvania. «Fu la prima del genere». Fece arenare una clausola di esenzione che tendeva a proteggere i cittadini di quello Stato che osservavano un giorno diverso. Chi non osservava la domenica incorreva in sanzioni severe. Prima del 1879 delle leggi simili erano state presentate ai parlamentari dell’Ohio e del New Jersey. Le società di temperanza lavorarono in accordo con i gruppi in favore delle leggi della domenica per chiedere la chiusura dei locali pubblici al fine di diminuire il consumo delle bevande alcoliche. Nel 1887 si fece una alleanza tra WCTU Woman’s Christian Temperance Union - Unione di Temperanza delle Donne Cristiane - e The National Reform Association. Nello stesso anno il reverendo Wilburn Crafts fondò l’American Sabbath Union Party - Partito Americano del sabato (leggere domenica). Nel 1888 il Partito del Proibizionismo venne ad ingrossare il gruppo, che ebbe anche il sostegno della potente Conferenza Generale Metodista, della Società Missionaria Battista, dell’Assemblea Generale Presbiteriana, del Sinodo della Chiesa Riformata e di altre organizzazioni religiose. Questi elementi cristiani formarono un comitato interconfessionale per l’osservanza della domenica e per votare il progetto di legge, presentato in aprile dal senatore Blais, presidente del Comitato di Educazione al Senato, destinato a proibire il servizio postale, i treni e le sfilate di domenica per tutto l’esercito e la marina. Per avallare la richiesta, la WCTU 127
Idem, pp. 258,259. Quando la profezia diventa storia
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presentò una lunga lista di firme. Ci fu un grande fermento nell’opinione pubblica, ma il progetto non passò. Successivamente il parlamentare Breckenridge del Kentucky presentò alla Camera dei Rappresentanti, il 6 gennaio 1890, una proposta di legge destinata ad impedire il lavoro di domenica nel distretto della Columbia. Anche questo progetto non passò.128 Un sentimento di profonda collaborazione tra cattolici e protestanti appare in occasione del Congresso Internazionale per il riposo domenicale organizzato in concomitanza con l’Esposizione Colombiana a Chicago. Per quell’incontro si invitarono rappresentanti di numerose denominazioni e alte personalità del mondo del lavoro e dell’economia degli Stati Uniti e dell’Europa che furono raccolte attorno al problema della domenica. Una pubblicazione, redatta per l’occasione, presentava i risultati più importanti che si sperava di poter realizzare: 1. un apprezzamento più generale e intelligente del riposo domenicale e del dovere che incombe nel proteggerlo con delle leggi sagge e giuste; 2. una più grande cooperazione tra cattolici romani e protestanti allo scopo di mantenere il riposo domenicale; 3. una riconoscenza più grande da parte dei salariati, per gli sforzi compiuti da cristiani e da filosofi per garantire a loro, nella misura del possibile, il loro diritto al riposo domenicale; 4. una migliore comprensione del pericolo che minaccia il riposo settimanale quando questo sia utilizzato dai salariati in modo da privare altri dei suoi benefici; 5. l’accordo manifestato da cristiani di diverse denominazioni quanto all’autorità divina dell’istituzione e al dovere di utilizzarla per aumentare il benessere fisico e spirituale dell’uomo e della società.129 Sono soprattutto gli elementi umanitari, economici e sociali che vengono evocati, ma la realizzazione delle leggi sociali e umanitarie sono considerate sia da parte cattolica sia da parte protestante come “un omaggio reso alla religione” e un mezzo fondamentale per raggiungere uno scopo più alto: quello della santificazione della domenica sancita dalla legge. Tra il 1885 e il 1900 in diversi Stati, specialmente del Sud, le antiche leggi sulla domenica servivano di pretesto a odiose persecuzioni nei confronti dei cittadini che volevano osservare il sabato. Non fu una esplosione locale di fanatismo religioso, bensì delle decisioni giuridiche riflettute e ragionate “emanate dai teorici della nuova teocrazia”. Le parole del reverendo dottor Mac Allister influenzarono molto i verdetti resi dai giudici e dai giurati. Alla “convenzione domenicale” di Lakeside, Ohio, nell’agosto 1887 disse: «Coloro che si oppongono alle nostre opere scopriranno ... che se non giudicano
128
SYME E.D., Les Lois du Dimanche aux Etats-Unis, in Concience et Liberté, n. 9, 1975, pp. 74-77. The Sunday Problem, Boston 1894, p. 18; cit. BAUMGARTNER Erch W., Les lois du dimanche, Mémoire de Théologie au Séminaire Adventiste du Salève, Collonges-sous-Salève, 1975, p. 94. 129
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giusto mettersi d’accordo con la maggioranza, dovranno sopportare le conseguenze o cercarsi un clima più conforme ai loro gusti». Nel Nébraska, il reverendo E.B. Graham, vice presidente della National Reform Association arricchiva il pensiero con queste parole: «Noi potremmo aggiungere in tutta giustizia che, se gli avversari della Bibbia (o meglio: gli avversari della nostra interpretazione della Bibbia) non amano il nostro governo e il suo aspetto religioso, non devono fare altro che recarsi in un paese selvaggio e isolato, dissodarlo ed installarvisi, nel nome del diavolo e per l’amore del diavolo, un governo a modo loro, fondato sulle loro idee atee, per restarvi fino alla morte».130 XX secolo
Nel 1904 e 1907 venivano prese delle decisioni per la chiusura dell’Esposizione Universale di Chicago e di diverse esposizioni nazionali. Da quel momento ci si sforzò di far passare simili decreti nel distretto di Columbia dove si trovava la capitale e che dipendeva esclusivamente dal governo federale. Nel 1913 altre voci si facevano udire in favore del rispetto religioso della domenica. Il reverendo dottor Beall, predicando nella sua chiesa di New York, disse: «Se gli ebrei non desiderano conformarsi alle nostre leggi sulla domenica, essi non hanno altra scelta che andarsene». Il reverendo dottor Mutchler gli faceva eco: «Noi dobbiamo conservare la domenica, nostro sabato americano, e invitare l’ebreo a lasciare il paese se non è contento delle nostre istituzioni». Il reverendo dottor Boscom Robins lavorava senza dubbio alla realizzazione delle parole scritte da Giovanni quando dichiarava: «C’è una categoria di persone che non vogliono osservare il sabato cristiano (cioè la domenica), a meno di essere obbligate; ma ciò si farà abbastanza facilmente. Supponete che si dica: “Noi non venderemo a loro nulla; non acquisteremo da loro nulla; non lavoreremo per loro e non li impiegheremo”: vedete come li si farà sparire, e come tutti osserveranno il sabato cristiano».131 Sebbene i protestanti rimangano tali e i cattolici mantengano la loro fede, c’è un avvicinamento crescente tra le due religioni. L’osservanza del giorno di domenica è il terreno d’incontro sul quale c’è una completa intesa e non è mai stato un problema di ostilità tra le Chiese cristiane. Anzi viene considerato «un segno particolarmente chiaro dell’unità misteriosa ma reale, lasciata dalla bontà di Dio ai cristiani».132 I vari governi prima della Grande Guerra si preoccupavano di più del progresso economico e sociale che di quello del miglioramento delle leggi sulla domenica. Dopo il conflitto la tensione politica e sociale si concentrò sul successo economico anziché su quello religioso. La crisi degli anni Trenta e la seconda guerra mondiale 130 131 132
Cit. da J. Vuilleumier, o.c., pp. 258,259,263. J. Vuilleumier, o.c., p. 263. LEURA J.L., prefazione, Verbum Caro, n. 79, vol. XX, 1965, p. 4; cit. da E.W. Baumgartner, o.c., p. 95. Quando la profezia diventa storia
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impegnarono le energie della Nazione nella stessa direzione. Dopo il conflitto, la guerra fredda tra USA e URSS fu motivo di preoccupazione pubblica. «È solamente nel 1956 che si produceva un cambiamento di situazione in vista della legge domenicale».133 Diversi sono i fattori che hanno concorso a questo risveglio: - la minaccia della sicurezza causata dalla diffusione del comunismo risvegliò un nuovo interesse per le cose religiose; - l’olocausto atomico spinse diverse persone a vedere nel cristianesimo il rifugio per l’incombente pericolo; - la secolarizzazione ed il materialismo della nazione non soddisfacevano più i bisogni dell’uomo e si sentiva un bisogno sempre più crescente di religiosità e spiritualità. Questi interessi per la religione erano però più motivati da una paura per l’avvenire che da una ricerca autentica di Dio. La Chiesa romana fa sentire la sua voce e non si accontenta dei fedeli che credono di santificare il giorno di riposo con la sola presenza alla messa e vivere come si vuole le restanti ore della giornata. Con forza prende posizione nei confronti della domenica. I sindacati insistono sulla necessità d’un week-end di riposo. Sebbene la chiusura domenicale causi reazione da parte di quei commercianti ebrei che già tengono chiuso il sabato, e crei disordine in quegli Stati in cui il turismo domenicale apporta al loro commercio un incremento delle vendite e la maggioranza del popolo americano sia contraria, ugualmente vengono emanati provvedimenti a favore di una legge per la domenica. Nel 1959 lo Stato della Pennsylvania vota una nuova legge sulla domenica elevando la multa da 4 a 100 dollari per la prima trasgressione e a 200 per la seconda.134 Le multe per la non osservanza di questa legge ora variano da uno Stato all’altro, anche se poi di fatto non vengono applicate. «Gli avvocati degli Stati del Massachusetts,135 della Pennsylvania e del Maryland insistono che le leggi moderne sulla domenica non devono essere considerate come 133
E.D. Syme, o.c., p. 78. Questa decisione annulla le pratiche anteriori dei commercianti che preferivano pagare le multe piuttosto che rinunciare agli affari di domenica. 135 «Nel 1962, nel Massachussetts, un emendamento alle leggi domenicali allora esistenti permetteva agli osservatori del sabato di aprire i loro negozi la domenica. Tale emendamento fu approvato il 7 giugno 1962 con una maggioranza di 21 voti favorevoli contro 14 contrari. Su Pilote, giornale dell’arcivescovo cattolico, apparve subito un articolo che attaccava con veemenza i senatori che avevano votato l’emendamento. Il nome di questi senatori era stampato sul giornale, e si prometteva loro che non sarebbero stati dimenticati al momento delle elezioni. L’articolo diceva: “I senatori hanno ceduto a influssi che finiranno per distruggere l’osservanza della domenica in favore di coloro soprattutto ebrei ed avventisti - che tengono il loro culto in giorno di sabato”. Questo significa riconoscere che il motivo religioso era determinante. La domenica seguente, i cattolici che assistevano alla messa nel territorio di Boston furono esortati a mettersi in contatto con i senatori in questione, affinché rivedessero l’emendamento. Si dice che sia stato organizzato, nei confronti di quei senatori, un attacco di una tale violenza da renderlo pressoché insopportabile. Il lunedì mattina veniva votata la revisione dell’emendamento e, dopo una breve discussione, il decreto fu annullato con 31 voti contro 8... 134
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leggi religiose, poiché in effetti sono leggi per la salute, per il benessere, per la sicurezza, ed entrano in definitiva nel quadro delle funzioni dello Stato in vista del progresso di tutti. Lo Stato deve stabilire delle leggi per il benessere dei suoi cittadini».136 Si aggira così l’ostacolo della incostituzionalità di una legge sulla domenica presentandola non sotto l’aspetto religioso (che potrebbe far credere a un connubio tra Chiesa e Stato), ma sotto quello civile, sebbene di fatto abbia poi in America la sua componente religiosa, essendo la domenica il giorno di riposo comune alla maggioranza dei cittadini. «I1 29 maggio 1961 la Corte suprema degli Stati Uniti decideva che le leggi domenicali erano costituzionali».137 Le leggi domenicali continuano a progredire nella via della secolarizzazione. «Esse vengono presentate come offerenti ai cittadini del tempo libero per gli svaghi e la riflessione, lontano dal rumore e dall’agitazione delle attività commerciali... (Ora) queste leggi ottengono il sostegno dei commercianti dei centri urbani che desiderano eliminare la pericolosa concorrenza creata dalle grandi superfici commerciali di periferia. Sono spalleggiati dai sindacati che vogliono proteggere il riposo dei loro membri durante il week-end. Diversi importanti gruppi protestanti li sostengono ugualmente, e la Chiesa cattolica accorda loro il suo più energico contributo... La National Reform Association, alleata delle importanti società di temperanza, reinterpreta queste leggi della domenica in un senso secolare piuttosto che religioso.138 Nel nuovo clima degli anni del dopoguerra queste leggi ottengono il sostegno completo della Chiesa cattolica, dei sindacati e dei commercianti urbani, che spererebbero che la sparizione della concorrenza domenicale ridia il via ai loro affari Il dr. Samuel Jarnes, segretario esecutivo della Lega a favore del Giorno del Signore del New Jersey, scriveva un articolo intitolato “Mai la domenica” sul giornale Christianity Today del 26 ottobre 1962. Benché la sua organizzazione abbia messo in evidenza più d’una volta l’importanza della legislazione domenicale per proteggere il carattere sacro della domenica, la prima frase del suo articolo era la seguente: “Bisognerebbe dire una volta per tutte che nel nostro paese le leggi sulla domenica non sono leggi religiose”. M.E. Loewen per mostrargli l’illogicità della sua dichiarazione gli scriveva: “Si afferma che le leggi sulla domenica non siano leggi religiose; ma, per quanto si cerchi di camuffarle, nulla potrà cancellare il loro significato religioso. Sebbene Giacobbe abbia ricoperto le proprie braccia con pelli di pecora e abbia indossato gli abiti di Esaù, ciò non cambiò né la sua voce né il fatto che egli era il secondogenito; allo stesso modo nessun mascheramento civile potrà nascondere l’origine religiosa delle leggi sulla domenica...”» M.E. Loewen, o.c., pp. 170,171,166. 136 E.D. Syne, o.c., p. 80. 137 M.E. Loewen, o.c., p. 165. 138 «I1 governatore del Maryland designò una commissione affinché esaminasse la legislazione relativa alla domenica. Fu annunciata una riunione aperta al pubblico con lo scopo di sentire il parere della gente su questo argomento. Durante tutto il pomeriggio si tennero vari discorsi, alcuni a favore, altri contro le leggi sulla domenica. Alla fine il presidente si rivolse ai suoi colleghi e disse: “In tutto il pomeriggio non si è sentita che una sola obiezione alle leggi domenicali, e cioè che queste sono di carattere religioso. Se potessimo fare una legge sulla domenica che non fosse religiosa, non avremmo più difficoltà”. A quel punto un signore seduto in fondo alla sala si alzò e chiese il permesso di esprimere il suo parere in proposito. “Sono il reverendo Frank Brassington, pastore della chiesa battista di Silver Spring. Signor Presidente, se ha bisogno di prove tratte dalle Sacre Scritture riguardo all’osservanza del sabato, le raccomando vivamente di andare a trovare i nostri amici Avventisti del 7° Giorno. Perché, vede, signor Presidente, lei può leggere la Bibbia dal principio alla fine e non troverà una sola parola che dichiari la domenica giorno sacro, come invece è detto del sabato. Ecco perché potete votare tutte le leggi domenicali che volete. La domenica non ha niente di sacro”» M.E. Loewen, o.c., p. 167. Quando la profezia diventa storia
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e alle loro città moribonde... Molti americani pensano oggi che il carattere materialistico della cultura li abbia condotti nella stasi in cui si trovano attualmente. L’ondata crescente di crimini, la corruzione in seno al governo, l’insicurezza generale hanno fatto nascere l’aspirazione a una nuova vita religiosa che trasformerebbe tutta la nazione».139 Il rev. Charles A. Platt ha dichiarato, in occasione della 82a riunione annuale dell’Alleanza per il giorno del Signore, che nei nuovi svaghi la domenica deve essere considerata come giorno “unico” che offre l’occasione a ognuno di sviluppare la sua esperienza spirituale. Aggiunge che l’Alleanza per il giorno del Signore deve allargare e approfondire il suo programma persuadendo le Chiese importanti, gli organi di stampa, i motel, a promuovere attivamente l’osservanza della domenica a titolo di «servizio pubblico».140 Il pensiero cattolico sul significato della domenica è ben espresso da J. Duval con queste parole: «I testi ufficiali della Chiesa pubblicati in questi ultimi anni non cercano di dare una definizione delle opere permesse o proibite, ma tendono a restituire ai cristiani il vero senso della domenica e di conseguenza il vero senso del riposo domenicale».141 Alle soglie del 2000 gli Stati Uniti, oltre alle preoccupazioni indicate sopra, assistono a un degrado morale senza precedenti causato da: - dilagare della droga; - pornografia e promiscuità nelle relazioni dei giovani con una incidenza rilevante di aborti,142 e dei danni e drammi causati dall’AIDS; - crescita dell’omosessualità, dove l’America dei predicatori viene paragonata a Sodoma e Gomorra; - sgretolamento della famiglia in un Paese dove solo un matrimonio su due dura nel tempo; - corruzione e immoralità che si avvertono ad ogni livello; - crescita dell’ateismo conseguenza di una cultura umanistica e dell’insegnamento dell’evoluzionismo; a ciò si deve aggiungere che: - ogni anno il Paese subisce danni ingenti causati dal maltempo, da dissesti geologici ed ambientali. Per arginare questa situazione si auspica un risveglio spirituale che preveda: 139 140 141
Idem. E.D. Syme, o.c., p. 81, DUVAL J., La doctrine de l’Eglise sur le travail domenical et son évolution, in La Maison de Dieu, n. 83, 1965, p
114. 142 «Negli Stati Uniti il dibattito sull’aborto ha origine nel 1973, con la sentenza della Corte Suprema, nella causa Roe-Wade, che rese lecito l’aborto su richiesta della donna incinta (testo e commento accessibile in TOINET Marie France, La Cour suprème, les grands arrêts, Presses Universitaire de Nancy, 1989, p. 169 e seg.). Per i fondamentalisti questa sentenza viola in modo esplicito i dettami più sacri del Cristianesimo, in particolare il quinto comandamento “Non ammazzare”. Autorizzando questa violazione della legge di Dio, le autorità dello Stato hanno posto se stesse al di fuori della legge suprema, cosa che rende lecita la disobbedienza civile in nome dell’obbedienza a Cristo» G. Kepel, o.c., p. 140.
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- di iniziare le lezioni nelle scuole con la preghiera; - l’insegnamento della religione nelle scuole; - una politica che rifletta e risvegli i valori dello spirito; - l’osservanza generale del “giorno del Signore” (la domenica) visto come una diga che argini lo straripamento della fiumana di immoralità e di degenerazione e sia come condizione che ponga la nazione nella situazione che possa essere benedetta da Dio e preservata dalle catastrofi naturali. Con l’inizio degli anni ‘80 a seguito della creazione della Moral Majority o nuova destra cristiana, con numerosi altri gruppi di pressione, anch’essi provenienti dal fondamentalismo evangelico, si iniziava una crociata di ricristianizzazione degli USA attraverso un’azione di influenza sulle decisioni politiche. Jerry Falwell, nella prefazione del suo libro Listen America! – America, ascolta! scriveva: «Secondo recenti sondaggi, ci sono oggi in America più di 60 milioni di persone che si dichiarano cristiani born-again (nati di nuovo, rigenerati), altri 60 milioni che si considerano favorevoli all’etica religiosa e ancora 50 milioni che desiderano vedere crescere i loro figli in una società morale... L’84% del popolo americano crede ancora nella validità dei Dieci Comandamenti. Comunque, pur considerando queste statistiche, bisogna ammettere che noi, popolo americano, abbiamo permesso ad una minoranza di uomini e donne senza Dio di trascinare l’America sull’orlo dell’abisso... È ormai tempo che gli americani che credono alla morale uniscano le loro forze per salvare la nostra amata nazione».143 Il proibizionismo, legalizzato dal 1919 fino al 1933, è stato possibile perché la nazione attraversava un periodo di disorientamento e un risveglio sociale, caratterizzato da valori religiosi, ha giocato un ruolo importante. È stato quindi possibile grazie all’etica evangelica conservatrice e rigorista che ha influenzato il sistema americano. La crisi economica del 1929 ha messo in discussione le fondamenta dell’economia moderna e il suo progresso concepito solo nella produzione industriale. Nella visione fondamentalista: «La grande depressione era un segno della punizione e della vendetta di Dio contro l’apostasia dell’America, e l’annuncio dell’imminente ritorno di Cristo».144 «Questa capacità di iscrivere tutti gli avvenimenti del mondo in una successione di cause obbedienti ad un piano divino di cui essi - gli evangelici fondamentalisti - sarebbero gli interpreti per eccellenza permetterà loro di prendere lo spunto da qualunque genere di crisi vissuta dalla società americana fino ai giorni nostri per fare la diagnosi e proporre una terapia attraverso la redenzione».145 Se a questa visione spiritualista si aggiunge il fenomeno carismatico, che oltre al parlare in lingue è portatore di guarigioni miracolose, la componente religiosa nel vivere quotidiano delle persone acquista un valore primario. «Per trovare un rimedio (alle cause indicate sopra, n.d.a.) non basta cercare la salvezza individuale, bisogna anche salvare l’America. Con questo tipo di 143 144 145
FALWELL Jerry, Listen America!, ed. Doubleday, New York 1980, p. XI. J. Hunter, o.c., p. 39; cit. G. Kepel, o.c., p. 128. G. Kepel, idem, pp. 128,129. Quando la profezia diventa storia
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movimento, negli Stati Uniti emerge una nuova cultura politico-religiosa: essa prende dalla tradizione fondamentalista del dopoguerra l’interesse per le questioni politiche, ma vuole conquistare la politica partendo dalla morale individuale, che nella società laica è in pericolo, e non più partendo dall’opposizione al comunismo, come avveniva all’epoca della guerra fredda. Della tradizione evangelica degli anni Cinquanta e Sessanta essa conserva le forme di mobilitazione di massa e le strutture di risocializzazione, facendo però superare loro la fase della costituzione di comunità infrapolitiche e veri credenti per lanciarle all’assalto del Campidoglio».146 «Il successo di Ronald Reagan nel 1980, e poi nel 1984, è stato rivendicato dai movimenti fondamentalisti della “nuova destra cristiana” (Moral Majority, Christian Voice, Religious Roundtable, ecc.) che hanno attribuito la schiacciante vittoria del candidato del Partito repubblicano al fatto di avere saputo mobilitare in massa, e per la prima volta, da due a quattro milioni di evangelici che di solito non si interessavano di politica. ... Rispetto alle elezioni precedenti, nel 1980 la partecipazione elettorale aumenta tra essi in modo considerevole, passando dal 61,1% al 77% tra gli evangelici bianchi degli Stati sudisti e dal 60,8% al 74,6% nel resto del Paese, mentre la partecipazione dei non evangelici è stabile o in ribasso... Questo fenomeno di rinascita politica dell’evangelismo americano, a partire della seconda metà degli anni Settanta, presenta vari aspetti: se indica senza dubbio una nuova teologia, esprime allo stesso tempo delle preoccupazioni sociali che corrispondono al nuovo tipo di inserimento degli evangelici nella società globale».147 L’impegno politico dei fondamentalisti è anche una reazione all’“umanesimo laico” che sembrava trionfasse senza difficoltà non solo perché capace di insegnare e diffondere i propri valori, ma anche di attribuire a loro forza di legge. Dagli anni Settanta questa prassi viene recepita dai fondamentalisti come un’ingerenza minacciosa che diventa causa di risveglio politico. In occasione di un incontro per sostenere la candidatura di R. Reagan, un fondamentalista politico, Gary North, presente, scriveva: «C’erano dirigenti fondamentalisti religiosi della nazione... che dicevano alla folla che il 1980 sarebbe stato solo l’inizio, che i precetti della Bibbia avrebbero potuto diventare la Legge del paese. Era uno spettacolo stupefacente: migliaia di cristiani, pastori compresi, che per tutta la loro vita avevano creduto al ritorno imminente di Cristo, alla crescita delle forze di Satana e all’inevitabile sconfitta della Chiesa nella conversione del mondo, acclamavano ormai altri pastori che avevano anch’essi creduto per tutta la vita a questa dottrina della sconfitta terrena, ma che ora annunciavano prossima la vittoria sulla terra...».148 Un dato rivelante, motivo di riflessione nella prospettiva del futuro, di questa situazione è che, se nel passato gli evangelici fondamentalisti facevano parte della classe sociale a basso indice di scolarità ed il reddito era basso o medio inferiore e 146 147 148
Idem, p. 140. Idem, pp. 142,143. GARY North, Christian Reconstruction, Pamphlet pubblicato dall’Istitute for Christian Economics; cit. idem, p.
145.
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dediti ai lavori manuali, l’accesso all’istruzione dei giovani evangelici è progredito sensibilmente negli anni Settanta ha raggiunto per gli studi universitari il 23% rispetto al 7% del 1960. Nessun gruppo religioso ha avuto questo sviluppo nello stesso periodo. Inoltre la popolazione evangelica fondamentalista è quella che ha la percentuale più alta di popolazione medio-giovane, al contrario dei protestanti liberali. Nel 1978,79 il 54% a livello nazionale avevano una età tra i 18 e 50 anni; nel 1984 solo il 17% superare i 65 anni. Un impegno considerevole è profuso per formare i giovani ad occupare posti nel campo delle telecomunicazioni delle reti generali nazionali, sia pubbliche sia commerciali. «Tra tutti i movimenti di riaffermazione del religioso che si sono affacciati nel mondo, sulla scena politica, a partire dalla metà degli anni Sessanta, evangelici e fondamentalisti occupano una posizione singolare e al tempo stesso un ruolo centrale».149 Le cause che porteranno all’imposizione della domenica saranno socio-politiche o morali-religiose? È difficile stabilirlo. Forse tutti questi fattori ne sono coinvolti. L’Apocalisse dice che il marchio distintivo del papato sarà imposto e chi rivendicherà la fedeltà a Dio sarà privato di ogni diritto e considerato cittadino pericoloso. I1 cardinale Cushing dichiarava: «I cattolici degli Stati Uniti credono, come lo credo anch’io, che la sola cosa che possa salvare l’America latina, anche nelle relazioni con il nostro paese, è la religione cattolica. È il solo legame che tutti condividono... Alcune sette non cattoliche, come i testimoni di Geova, gli Avventisti del 7o Giorno e altri estremisti, fanno un male incalcolabile distruggendo la fede della povera gente. Essi non fanno che aprire la strada all’esercito dei comunisti».150 Una ulteriore indicazione della volontà dei cristiani ad operare per una legge sulla domenica è in relazione col Concilio delle Chiese del Massachusetts e stampata a Boston nel gennaio 1993. Gli articoli erano scritti sotto il titolo LE LEGGI SULLA CHIUSURA DELLA DOMENICA RIVEDUTE, Uno Studio Biblico Etico e Sociologico sul Giorno di Riposo Comune. G.E. Reid riporta che la dottoressa Barbara Darling-Smith ha scritto una serie di articoli dal tema: «Il significato del riposo sabbatico (leggi domenica o giorno di riposo) nel mondo del commercio». «I benefici del sabato (leggi domenica o giorno di riposo) sugli esseri umani e sull’ambiente sono troppo preziosi per essere lasciati al mercato, al tipo di lavoro, o alle buone maniere di un datore di lavoro. Come le assenze dal lavoro per motivi familiari sono sostenute da leggi per impedire lo sfruttamento dei lavoratori, così deve essere anche per il sabato (leggi domenica o giorno di riposo)». Per quelli che non osservano la domenica come mussulmani, ebrei, avventisti, David M. Barney della Chiesa Episcopale della Trinità nella città di Concord, Massachusett, scrive in un articolo il punto di vista di una parrocchia: «Facendo due considerazioni, i diritti delle minoranze e il comandamento di osservare il sabato 149 150
G. Kepel, idem, p. 159. CUSHING, Sign, rivista cattolica, ottobre 1961, p. 73; cit. M.E. Loewen, o.c., p. 171. Quando la profezia diventa storia
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(leggi domenica o giorno di riposo), su che cosa basiamo una legge sull’osservanza della domenica?». La sua risposta è: «In America la domenica rimane il nostro giorno di riposo comune in mancanza di ogni altra alternativa. Naturalmente ciò è condiviso dalla maggioranza dei cristiani, anche altre comunità religiose e non si sono adattate più o meno felicemente. Non posso immaginare di avere due o più giorni in cui le leggi sui giorni di riposo siano applicate. Siccome dobbiamo scegliere un giorno, allora non vedo nessuna alternativa alla domenica. I benefici dei lavoratori e della comunità sono molto più rilevanti sui profitti finanziari. In nome della giustizia, mettiamo un limite alle richieste fatte ai lavoratori». Il dr. Ruy Costa del Consiglio delle Chiese ha detto: «Soltanto con una visione nuova e con uno sforzo a livello popolare per tutta la nazione e con la volontà politica in difesa delle legge sulla domenica, sarà difeso il giorno comune di riposo nella nostra Nazione per poterci preservare contro l’incertezza a difesa delle leggi correnti sull’osservanza della domenica». 151 «La Chiesa romana ha del prodigioso per la sua abilità e per la sua sottigliezza. Essa ha il dono di leggere l’avvenire. Vedendo le Chiese protestanti renderle omaggio nell’accettare il suo falso sabato152 e nel tentare di imporlo con gli stessi mezzi da essa usati, può tranquillamente aspettare la sua ora. Coloro che rigettano la luce della verità ricorreranno all’aiuto di questa potenza cosiddetta infallibile per sostenere una istituzione da essa stabilita. Con quanta rapidità correrà in aiuto dei protestanti non è difficile presagirlo. Del resto, chi meglio dei dirigenti papali conosce il modo di procedere nei confronti di coloro che disubbidiscono alla Chiesa?».153
Conseguenze
Lo sviluppo delle leggi sull’obbligatorietà della domenica minacceranno la libertà religiosa e di fatto modificheranno i diritti costituzionali.154
151
Cit. da G. E. Reid, o.c., p. 87. Papa Giovanni XXIII, Enciclica Mater et Magistra, scriveva: «La Chiesa non ha mai dimenticato di sottolineare l’importanza del III comandamento: “Ricordati del giorno del sabato per santificarlo”» (Sic!). 153 E. White, o.c., p. 422. 154 Riportiamo quanto ha detto il collega R. Rizzo nel suo seminario tenuto a Firenze, agosto 1996: «Perché quel quadro si realizzi sarà necessario: 1. Che gli USA eliminino uno tra i caratteri a loro peculiari da sempre: la separazione tra la chiesa e lo stato; e che rinneghino tutta una storia orgogliosa di libertà religiosa che ha permesso il libero sviluppo del maggior numero di confessioni religiose nello spazio e nel tempo. 2. Che accettino di rinunciare a ciò che fa il loro orgoglio: la struttura profondamente democratica dello stato di cui destra e sinistra vanno da sempre fieri. 3. Che gli USA accettino uno stato che interferisca nelle libertà individuali: uno tra i valori più peculiari al mondo anglosassone. 4. Che una democrazia come quella nord americana che, al pari delle democrazie europee, si fonda sulla triplice divisione e autonomia dei poteri (Legislativo, Esecutivo, Giudiziario), si frantumi per lasciare il posto ad un unico potere, in parole povere a ritornare alle monarchie teocratiche dell’antichità. 152
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Il dr. Nussbaum, che si è occupato per numerosi anni della libertà religiosa nel mondo, in una sua conferenza tenuta a Parigi, diversi anni fa diceva, a proposito di ciò che stiamo considerando: «Le Chiese protestanti degli Stati Uniti hanno pronte delle leggi, queste leggi si trovano di già alla Camera dei Rappresentanti; esse sono talmente inique che non si è ancora trovata una maggioranza per votarle».155 Quando la legge domenicale sarà imposta, l’autorità del papa sarà innalzata al di sopra di quella di Dio, si renderà omaggio a Roma e alla potenza che imporrà il segno dell’autorità di Roma e ciò corrisponderà ad adorare la bestia e la sua immagine. Sarà un tempo di distretta e di difficoltà: i figli di Dio non potranno né comprare né vendere, «questa lotta suprema non è per la sposa di Cristo un castigo, ma un tempo di purificazione destinato a pulirla perfettamente da tutte le scorie che potrebbero esserle ancora attaccate».156 Ma poiché la vittoria è certa, Giovanni vede il trionfo dei fedeli. Riprende quanto aveva già detto prima sui 144.000 che, rifiutando il marchio della bestia, sono stati sigillati dalla grazia di Dio e sono vincitori sul Monte Sion con l’Agnello. La vittoria di Roma e il successo del falso profeta saranno di corta durata. Allora la fine sarà prossima. Come abbiamo detto, sebbene non siamo in grado di sapere ed immaginare come ciò avverrà, riteniamo però che possiamo dire: sul piano tecnico è già ora possibile impedire a delle persone ogni transazione commerciale. Con il numero fiscale di ogni persona le autorità sono nelle condizioni di conoscere ogni movimento finanziario. Ogni conto bancario potrebbe essere bloccato. Però in una realtà come quella del mondo occidentale, società di diritto, riteniamo allo stato attuale delle cose che sia impossibile promulgare una simile legge illegale e discriminatoria sul piano giuridico. Una simile legge solleverebbe numerose e consistenti proteste. Ma come la storia ci documenta, anche in un passato recente: nell’estate del ‘39 le spiagge erano gremite di persone che in vacanza prendevano il sole e facevano i bagni e nessuno supponeva che si era alla vigilia della seconda guerra mondiale; nessuno avrebbe immaginato che delle leggi di sterminio sistematico venissero promulgate nel Paese più civile e progredito del mondo; che Hitler avrebbe potuto compiere l’eccidio del popolo ebraico, sostenuto dalle menti più stimate della Germania. Alla fine degli anni ‘80 nessuno avrebbe immaginato il crollo, in alcuni giorni, dell’impero sovietico. Nessuno avrebbe immaginato che negli anni ‘90 si sarebbe assistito, nel cuore dell’Europa, all’eccidio di popolazioni serbe, bosniache, croate. Ciò che allo stato presente può sembrare impensabile, a causa della stupidità o meglio della malvagità umana, che non ha limiti - il peggio è sempre, purtroppo, possibile – nel futuro avremo la realizzazione di questa pagine della rivelazione.. Riteniamo opportuno ricordare le riflessioni di I. Newton il quale metteva in relazione il sigillo di Dio al quale si contrappone il marchio con quanto veniva fatto 5. Che l’intero pianeta così intimamente diviso (le dieci dita della statua) diventi unito nella sudditanza ad un unico potere». 155 NUSSBAUM T., Causerie sur l’Apocalypse, vol. II, Paris, p. 41. 156 AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 342. Quando la profezia diventa storia
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in Israele in occasione del rito della purificazione del santuario, conseguenza dell’espiazione, che nell’insegnamento della Bibbia corrisponde, come abbiamo proposto nei nostri capitoli XI e XII, all’opera di giudizio che è iniziata nel santuario celeste dalla metà del secolo scorso, la cui conclusione è quella di indicare coloro che erediteranno il regno di Dio e coloro che liberamente lo hanno rifiutato. «Questo sigillamento allude alla tradizione degli ebrei, secondo cui nel giorno dell’espiazione tutto il popolo di Israele veniva segnato definitivamente nel libro della vita o in quello della morte.157 Perché gli ebrei nel loro Talmud ci dicono che il settimo mese dell’anno sacro tre libri sono aperti in giudizio, il libro della vita, nel quale vengono scritti i nomi di quelli che sono perfettamente giusti; il libro della morte, nel quale vengono scritti i nomi di quelli che sono atei o molto cattivi; e un terzo libro è quello in cui il giudizio viene sospeso fino al giorno dell’espiazione, e quei nomi non vengono scritti né nel libro della vita né in quello della morte prima di quel giorno. I primi dieci giorni di questo mese sono chiamati giorni di penitenza; e in tutti quei giorni che trascorrono veloci si prega molto, e si è molto devoti; nel decimo giorno i loro peccati possono essere rimessi e i loro nomi possono essere scritti nel libro della vita; quel giorno è perciò chiamato giorno di espiazione. E in quel decimo giorno, ritornando a casa dalle sinagoghe, essi dicono l’uno all’altro, “Dio il Creatore ti sigilli un buon anno”. Perché essi concepiscono che i libri sono ora sigillati e che la sentenza di Dio rimane inalterata da quel momento fino alla fine dell’anno. La stessa cosa è insegnata dai due capri, che annualmente sono posti di fronte al sommo sacerdote nel giorno dell’espiazione, uno è per Dio e l’altro è per Azazel; quello destinato all’Eterno indicava che il popolo era sigillato con il nome di Dio sulle loro fronti; e quello per Azazel, che era inviato nel deserto, rappresentava quelli che ricevono il marchio e il nome della bestia, e veniva abbandonato nel deserto con la grande prostituta».158 Anche N.H. Young giunge alle stesse conclusioni rifacendosi agli insegnamenti ebraici. «C’è una possibilità che secondo la dicotomia di Giovanni, tra quelli che hanno il marchio della bestia e quelli che lo hanno rifiutato (e hanno il sigillo di Dio), tra quelli di Satana e quelli di Cristo, tra quelli che si trovano nel libro della Vita e quelli che sono nel libro della Condanna, ci sia di nuovo l’immagine dei due destini di Levitico XVI. Questo tipo di esegesi si trova in Filone e in Origene e, in una apocalittica chiave, in Qumran. In un documento dell’inizio del secondo secolo, che può avere la sua origine nei circoli esseni nell’Apocalisse di Abrahamo, troviamo l’immagine nuovamente usata, e in una forma apocalittica simile a 1 Enoc». 159
Il numero del nome della bestia: “666”
157
BUXTORF Johann, in Synagoga Judaica, Basilea, 1680, col. 18,21. WHITLA William, Sir Isaac NEWTON’S Daniel and the Apocalypse, London 1922, pp. 315,316. 159 YOUNG N.H., The Impact of the Jewish Day of Atonement upon the Thought of the New Testament, ed. Ph. Dthesis, Manchester 1973, p. 363. 158
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«Chi ha intendimento conti il numero della bestia, perché è un numero d’uomo e il suo numero è 666».160 «Arithmos gar tou anthropou estin - letteralmente: poiché è una cifra dell’uomo. Può avere questi significati: “è una cifra umana” o “è una cifra di un uomo”. La prima traduzione è preferibile, poiché questa visione identifica il mostro del mare, che è manifestato come potenza politico-religiosa piuttosto che individuale».161 Ricordiamo, la bestia non rappresenta mai una persona, ma un sistema, un potere, una dinastia. Essa però può anche rappresentare, in un momento specifico della storia, una persona che incarni, esprima il sistema, il potere che rappresenta. In questo caso, la seconda traduzione indicherebbe la persona rappresentante l’uomo del peccato, la bestia. Nome di persona, non come individuo, ma come espressione di una autorità, istituzione. Il numero del suo nome non si riferisce al nome e cognome anagrafico di una persona,162 come qualcuno ha cercato di fare, ma corrisponde sempre a quello del sistema, del potere che incarna e/o pretende di rappresentare. Esattezza del numero
«Questo numero si trova in tutti i manoscritti esatti e antichi, ed è attestato da tutti coloro che hanno visto Giovanni a faccia a faccia».163
Forma letteraria
«Un’arte praticata soprattutto agli ebrei... s’applicava a rappresentare un nome con un numero uguale alla somma delle lettere».164 Questo metodo era conosciuto però anche sia presso i Greci che presso i Latini sotto il nome di ghematria. Né gli Ebrei, né i Greci, né i Latini avevano i numeri con segni diversi dalle lettere dell’alfabeto.165 Addizionando le lettere dell’alfabeto, secondo il loro valore numerico, si arrivava a un totale che indicava il nome. Se ne sono trovati degli esempi presso i grafici di Pompei. Un innamorato scriveva: «Amo colei il cui nome è 545», un altro diceva: «Amerimnos serba un buon ricordo della sua diletta Armonia (nome convenzionale), 45 è il numero del suo bel nome».166 160
Apocalisse 13:17. W. Johnsson, o.c., p. 25. 162 Numerose sono le persone alle quali è stato attribuito il 666. La persona a cui correntemente si attribuisce questo numero è l’imperatore Nerone. Zahn T. fa notare che «... l’interpretazione del numero 666 in forma ebraica ... del nome di Nerone... è estremamente improbabile. L’Apocalisse era scritta per i cristiani greci, e non sarebbe stata necessaria la traduzione in numeri di un nome ebraico...» ZAHN Theodor von, Introduction to the New Testament, Edimburg 1909, p. 443. 163 GODET Frédéric, Commentaire Evangile de S. Jean, t. I, Neuchâtel l881, p. 60. Scriveva Ireneo: «Coloro che hanno visto Giovanni con i loro propri occhi attestano... che la cifra del nome della bestia contato alla maniera dei greci è 666» Contro gli Eretici, V,30:1. «La variante 616, Ireneo la menziona per rigettarla» Loisy, p. 260. 164 L. Bonnet, o.c., p. 407. 165 La numerazione con le lettere dell’alfabeto fece parte del sistema aritmetico di tutte le nazioni del mondo finché vennero gli Arabi. 166 BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 98. 161
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Spiegazione del numero 666 De Morgan Augustus nella sua opera A Budget of Paradoxes, pubblicata a Londra nel 1872 con una seconda edizione nel 1915, presenta più di cento interpretazione di questo numero. Ireneo, discepolo di Policarpo, che era stato a sua volta discepolo di Giovanni, diceva: «Se questo nome della bestia avesse dovuto essere apertamente esposto al suo tempo, colui che ebbe le visioni apocalittiche (Giovanni) lo avrebbe fatto conoscere».167 Già questo è un indizio che ci dovrebbe portare a capire che Giovanni non pensava a qualche personaggio o potere del suo tempo. Si è pensato, e questo è anche il parere di F. Godet, a tre lettere maiuscole dell’alfabeto. La prima della quali vale 600, la seconda 60 e la terza 6. Ora la prima di queste lettere è la X del nome greco di Cristo. La terza lettera C, la prima del nome latino Cristo; tra queste due lettere si insinua una lettera la cui pronuncia assomiglia al simbolo del serpente. L’idea sarebbe quindi che il serpente (usando un’espressione di Paolo, l’uomo del peccato) si insinua nell’opera del Cristo. Nella Genesi il numero 6 indica la creazione senza il riposo di Dio,168 la creazione imperfetta; il numero 7 indica la perfezione. Se il triplo di sette indica il massimo della perfezione, il triplo di sei indica il massimo dell’imperfezione anche se vicino alla perfezione. Il potere spirituale di Roma nel suo fasto, nella sua universalità, nelle sue suggestioni è certamente ciò che sulla terra più evoca la maestà di Dio, pur essendone la sua massima caricatura.169 Sei «è la fine della creazione senza il completamento della benedizione divina e del riposo sabbatico (dove si ha la benedizione del dialogo nell’adorazione). È l’uomo che arriva al termine dell’evoluzione dove il fine si ferma a se stesso e rifiuta di considerare Dio come il suo scopo supremo perché egli si divinizza».170 «Il numero 6 è il simbolo dell’imperfezione e come tale è il numero dell’uomo che non è perfetto. L’uomo mancante e difettoso non potrà mai, con le sue forze, arrivare alla perfezione... Il numero 666 è un numero triplo e rappresenta la massima espressione dell’uomo imperfetto nel suo triplice aspetto di uomo senza timore di Dio, senza dipendenza da Lui, senza comunione con Lui...».171
167
Ireneo, o.c., libro IV; cit. da Eusebio, Storia Ecclesiastica, III, 18. Genesi 2:1-3. 169 «Essendo 7 l’emblema di una divina totalità, l’essenza divina espressa in cifre sarebbe rappresentata da 777, quindi la cifra 666 sarebbe l’espressione di una aspirazione intensa, ma impotente, alla pienezza della vita e della forza divina» F. Godet; cit. da A. Reymond, o.c., p. 357. «666... suggerisce una parodia della perfezione: imperfezione su imperfezione, malgrado le mostruose pretese della bestia» W. Johnsson, o.c., p. 25. 170 LECERF A., Le nom de la bête, in Le Christianisme au XX Siècle, 3 settembre 1942; cit. Ch. Brütsch, o.c., p. 232. 171 BIAGIO Giuseppe di, Il colosso mondiale con piedi d’argilla, 2a ed., Roma 1970. 168
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«Una moderna definizione del numero 666 rafforza il concetto del marchio della bestia come personaggio evoluto. Essa è suggerita da Beatrice Neall172e accredita alcune sue idee a Hermas Hoeksema e a Hans LaRondelle: “Sei è legittimato quando porta a sette; esso rappresenta l’uomo nella prima notte della sua esistenza che entra nella celebrazione del potere creativo di Dio. La gloria della creatura è giusta se porta alla gloria di Dio. 666, sempre, rappresenta il rifiuto dell’uomo di procedere verso il sette, di dare gloria a Dio come Creatore e Redentore. Esso rappresenta l’uomo fissato a se stesso, l’uomo che cerca la gloria in se stesso e nelle sue proprie creazioni. Essa parla della pienezza della creazione e di tutto il potere creativo senza Dio... la pratica dell’assenza di Dio. Esso dimostra che un uomo non rigenerato è persistentemente malvagio. Le bestie di Apocalisse XIII rappresentano l’uomo che esercita la sua sovranità lontano da Dio, l’uomo conformato all’immagine della bestia piuttosto che all’immagine di Dio. L’uomo lontano da Dio diventa bestiale, demoniaco... Il marchio della bestia quindi è un rifiuto della sovranità di Dio... il principio del sabato è designato per incoraggiare l’uomo a cercare la sua dignità non in se stesso o nella natura, ma nella comunione con Dio e nella partecipazione al riposo di Dio. È il sabato che, tra la creatura e il Creatore, rivela chi merita adorazione e colui al quale non è dovuta. È il sabato che dimostra la sovranità di Dio e la dipendenza dell’uomo. Il 666, per contro, è il simbolo dell’adorazione della creatura piuttosto che del creatore”».173 «Nella tradizione biblica il numero 6 è riferito all’uomo creato nel sesto giorno, l’uomo che non è ancora entrato nella comunione religiosa con Dio, l’uomo senza Dio. Il numero 6 simboleggia l’orgoglio umano che non tiene conto di Dio. Il numero 6 è ripetuto tre volte, e questo ritmo di tre accresce ancora l’intenzione di usurpazione delle dignità divina. Poiché tre è il numero di Dio. Ripetere tre volte il numero 6 è elevare l’uomo al livello del Dio “tre volte santo” (Isaia VI:3; Apocalisse IV:3)».174
Identificazione
172 NEALL Beatrice, The Concept of Character in the Apocalypse with Implications for Caracter Education, Washington D.C. 1983, pp. 153-155. 173 MAXWELL C. Mervyn, The Mark of the Beast, in AA.VV., Symposium on Revelation - Book II, ed. Franc B. Holbrook, Silver Spring, MD 20904, 1992, nota pp. 118,119. «È vero che il 7, come il 10, descrive la perfezione delle cose di Dio, del bene, non del male. Ma Satana tenta sempre di imitare il Signore, quindi alle sette corna dell’Agnello (Apocalisse 5:6), vuol contrapporre sette teste e dieci corna, le quali se non perfette per la loro natura e durata, lo sono almeno per il loro numero. “E Dio lo permette, dice de Rougemont, per mostrare, colla distruzione dell’ultimo di questi Imperi, la perfetta e definitiva distruzione del suo nemico”. Ma si osservi che Satana non riesce. Come dal 10 cade nell’11, con l’undicesimo corno (Daniele 7), così dal 7 cade nell’8, con l’ottavo re. “Le sette teste, dice Auberlen, sono la caricatura dei sette spiriti di Dio. L’incontro del 7 e del 10 nel Diavolo e negli Imperi terreni dà a conoscere la lotta che li travaglia. Non hanno diritto a quelle cifre. Dapprima un ottavo re si aggiunge ai sette. Poi le vere cifre delle potenze terrene sono 6 e 8. Mirano al 7 senza toccarlo mai”. E de Rougemont aggiunge: “Sei è la cifra del male che aspira insolentemente a sette senza poterlo raggiungere. E la triplice ripetizione di 6, cioè 666, è il nome della Bestia del mare”. Così 8 è tra il 7 e il 9 simboli di perfezione divina. E 11 e tra 10 e 12, simboli anch’essi di pienezza nell’opera del Signore. Satana non può uguagliare Iddio, è sempre al di qua o al di là. Perciò l’opera sua perirà» O. Cocorda, o.c., pp. 21,22. 174 J. Doukhan, o.c., pp. 162.
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Ch. Brütsch così sintetizza alcuni tentativi di identificazione: Ireneo proponeva Titano, uno dei nomi di Apollo; Andrea di Cesarea con lamptùetes in greco o Benedictus in latino; Primasio con Antemos, Aprigius con DICLUX (in relazione con Diocleaziano); Bruston con Nimrod; Couchoud con Attei, dio Attis. Si è preso questo numero attribuendolo a delle persone fisiche, Bossuet ha pensato a Giuliano l’Apostata, si è proposto Gianserico, Attila, Maometto, Bonifacio VIII, Ignazio di Loyola, Lutero, Luigi XIV, Napoleone (in Guerra e Pace di Tolstoi), Hitler, con i caratteri latini si è creduto anche di calcolare il nome di Ellen Gold White. Valentin Weigel nel XVI secolo ha pensato che «Gesù stesso sia l’uomo, il suo nome è la Parola di Dio, la sua potenza infinita; è la bestia e la sua cifra è 666» e il rabbino David Berman hanno creduto, lui pure, di dimostrare che il numero si riferisse a Gesù Cristo scritto in ebraico. Berengardo nel IX secolo consigliava: «Cessate di calcolare; altrimenti troverete pure il vostro nome!» Nel XVII secolo Angélus Silésius, luterano convertito al cattolicesimo diceva. «L’anticristo? Perché, o uomo, guardare da ogni parti? L’anticristo è la bestia, e se tu non sei in Dio, i due sono in te».175 Crediamo che non si possa non vedere in questo numero: «L’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo che è Dio».176 Del resto Ireneo, già nel II secolo, aveva identificato il «piccolo corno» del profeta Daniele, con «l’uomo del peccato» di Paolo e la «bestia» di Apocalisse XIII. L’aspetto sotto il quale è presentato il Papato nella prima parte del capitolo XIII di Apocalisse, prima bestia, è piuttosto politico, mentre in Paolo è religioso. In Apocalisse appare come l’erede delle quattro monarchie anteriori ed esercita un potere dispotico sul mondo intero. Nella lettera ai Tessalonicesi, è il capo di una apostasia religiosa aspirante alla sua propria apoteosi. Pur non condividendo, desideriamo introdurre quanto segue con le parole discutibili di W. Johnsson: «Le interpretazione che esigono di cambiare lingue (sia l’ebraico, sia il latino) per calcolare questa cifra sembra che superino la portata di questo testo... Ogni spiegazione di questo numero misterioso non può che essere una suggestione».177 Come abbiamo detto Ireneo identificava, in lettere greche, il 666 col nome di “LATEINOS”, “TEITAN” (o Titano) fratello maggiore di Saturno,178 cioè l’imperatore che deteneva anche il potere spirituale. Il numero 666 forma ancora la parola greca “EKKLESIA ITALICA” o Chiesa d’Italia, cioè Chiesa romana. 175
C. Brütsch, o.c., p. 236. BRISSET J. Pierre, Les prophéties accomplies, Paris 1906, p. 205. 177 W. Johnsson, o.c., p. 25. 178 Il nome Saturno in Caldeo si pronuncia Satur, e si compone solamente di quattro lettere STUR (60-400-200). Il nome primitivo di Roma era Saturnia, città di Saturno come scrivevano Ovidio, Plinio, Aurelio Vittore. Vedere HISLOP Alexandre, Les deux Babylone, Paris 1972, p. 410. 176
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Considerando che la comprensione del nome della bestia, come suggerisce Ireneo, era per un tempo successivo a quello dell’Apostolo, crediamo sia valido trovare la identificazione di questo nome in espressioni latine, anche se questo modo di fare può essere in contrasto con il pensiero di Johnsson presentato sopra. Di conseguenza lo si è identificato con il “DUX CLERI”, “LATINUS REX SACERDOS”. «Un numero d’uomo», cioè un nome ordinario, comune che ha il suo valore di nome proprio, è il nome con il quale si identifica il potere della bestia perché è il numero del suo nome. Questa cifra 666, «simboleggia la potenza diabolica»179, è il numero del nome con il quale si presenta il “VICARIUS FILII DEI”. «Il vicario di Gesù Cristo: questa espressione, per una coincidenza strana, ha lo stesso significato del nome aborrito dell’Anticristo. Anticristo, all’origine significa un pro-Cristo, o un delegato del Cristo, o un falso Cristo, che usurpa la sua autorità e che agisce al suo posto».180 Il titolo che ha unito la storia di 150 papi e che lo ha aiutato a mantenere e rivendicare il suo potere è stato quello che abbiamo indicato per ultimo: VICARIUS FILII DEI. Questo titolo è riportato per la prima volta nel documento delle false “donazioni di Costantino” creato negli Uffici Vaticani negli anni 750. Con quel documento papa Adriano ricordava a Carlomagno ciò che Costantino avrebbe donato alla Chiesa e come i re avrebbero dovuto relazionarsi con il Vescovo di Roma. Questo documento inizia con le parole: «Sembra utile, a noi e a tutti i nostri satrapi, al senato unanime, all’aristocrazia e a ogni popolo sottomesso al glorioso impero di Roma, che, sull’esempio del beato Pietro, che è stato stabilito sulla terra come “vicario del figlio di Dio” (sicut beatus Petrus in terris Vicarius Filii Dei esse videtur constitutus), i pontefici che esercitano questa funzione al suo posto, ottengano, concessa da noi e dal nostro impero, una potenza sovrana superiore a quella che possiede qui sulla terra la nostra benevola serenità imperiale». Sembra che il titolo di Vicarius Filii Dei fosse riportato sulla tiara che il papa aveva sul capo nel giorno di Pasqua del 1845.181 179
CECCHELLI C., 666, in Studi in onore di G. Funaioli, Roma 1955, p. 23; cit. da Ch. Brütsch, o.c., p 232. HALES William, A new Analisys of Chronology, vol. II, 2a ed., London 1830, p. 505; cit. A. Vaucher, o.c., pp. 366,367. 181 Il pastore FERRONI Gianfranco nelle sue note, Vicarius Filii Dei, in Bibbia e Pulpito, s.d., p. 29 e seg., riporta la seguente risposta che il giornale Kirchenbote di Zurigo ha dato al lettore F.U. che aveva chiesto: «Ho udito che sulla corona del papa, in latino, c’è qualcosa. Mi può dire che cosa ci sia e che cosa in tedesco si dica o si pensi?». «Da parte di esperti cattolici romani ottenemmo riguardo a ciò la seguente spiegazione, di cui ringraziamo molto. Riguardo alla domanda per la spiegazione della tiara del papa, come copricapo non liturgico, con i tre cerchi, per cui si chiama tiara, che viene portata nelle grandi occasioni di festività, possiamo dire da parte dei nostri esperti che su quella non esiste nessuna iscrizione o sovrascritta. La domanda si riferisce direttamente all’asserzione degli avventisti che il papa porta una tiara con la scritta “Vicarius Filii Dei” - Vicario del Figlio di Dio, il cui titolo convalida il noto numero 666, dell’Apocalisse. Mai è stata prodotta una simile tiara, come d’altronde il papa non ha mai portato tale titolo, in codesta forma. Parimente il papa non ha mai portato l’altro titolo Latinus Rex Sacerdos - il re sacerdote latino, le cui lettere, secondo gli avventisti, danno ugualmente il numero 666. L’opera famosa del decano dei protestanti, SCHEURLEN, Sulle sette attuali, annota, riguardo la cosiddetta iscrizione sulla tiara: “Questa prova, con cui gli avventisti vogliono deporre l’odiato papa, deve essere considerata come follia”». G. Ferroni precisa che gli avventisti non hanno mai preteso che ogni papa abbia portato una tale corona, ma solo una volta e cioè al tempo di Gregorio XVI. Pur non essendo in grado di dimostrare che una simile tiara esista ancora, il dipartimento dei predicatori della Conferenza Generale degli avventisti, nel 1948, mediante un articolo di The Ministry, consigliò ai predicatori di non adoperare 180
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Il giornale cattolico Our Sunday Visitor, del 18 aprile 1915, alla domanda: «“Quali sono le lettere che si suppone siano sulla tiara del papa, e che cosa significano?” risponde: “Le lettere iscritte sulla mitra del Papa sono queste: VICARIUS FILII DEI, cioè Vicario del Figlio di Dio. I cattolici sostengono che la Chiesa, società visibile, debba avere un capo visibile”».182 Giovanni invita ad avere sapienza per potere calcolare il numero del nome. LETTERE GRECHE LETTERE LATINE L 30 A 1 T 300 E 5
E K K L
5 20 20 30
V 5 I 1 C 100 A
D V X
500 5 10
L A T I
50
1
questo argomento. Inoltre gli avventisti non hanno presentato l’idea che sulla corona ci fosse la scritta Vicarius Filii Dei, ma questo pensiero è stato appreso e quindi ereditato da altri protestanti. Il maestro Andreas HELWIG (circa 15721643) risulta essere il primo evangelico ad applicare questa cifra al papa indicando tre espressioni latine tra cui quella citata. Per primo applicò la cifra 666 al papa mediante lettere ebraiche e indicò anche cinque nomi greci, come per esempio Lateinos. A. Helwig giunse a questo titolo perché il papa si autodefinisce sempre Luogotenente o Vicario di Cristo e tali pretese si conciliano anche con la definizione Vicarius Filii Dei. In fin dei conti anche il Kirchenbote di Zurigo si distanzia dai propri padri protestanti. G. Ferroni riproduce la fotocopia della 18a edizione di SCHAFFHAUSEN del 1890, che riporta l’opuscolo del Dr. Wilhelm JOOS, In Coena Domini. W. Joos, scrittore di avanguardia e membro della vecchia chiesa romana, spiega il 666 con i seguenti titoli: Vicarius Filii Dei, Latinus Rex Sacerdos, in latino e Ekklesia italika in greco. Il cavaliere Gaetano MORONI, secondo camerlengo e vescovo suffraganeo di S. Santità Pio IX, autore del Dizionario di Erudizione storico ecclesiastico, scrive sul brano Vicario di Gesù Cristo quanto segue: «Si vuole che esista nel Vaticano un’iscrizione che chiama il papa Vicarius Filii Dei» (Venezia 1905-1914. Vol. XCIX; Pio X, Pontificis Acta, Romae, Typographia Vaticana 1905-1914, vol. I, p. 59, par. 2). Sotto i titoli: Nomi e titoli onorifici del papa, compaiono in quest’opera anche le seguenti espressioni: «Protopapa, Pastor Christianorum, In terra Vicarius Salvatoris Nostri Jesu Christi. Vicarius Dei. Vicarius Christi. Vicarius Jesu Christi», Nelle sue lettere pastorali Pio X aggiunse anche questi titoli: Christi in terra Vicarius. Vicarius Apostolicus. Vicarius Filii sui (Dei). G. Ferroni, dopo aver riportato il testo delle donazioni di Costantino, ricorda che Papa Leone XIII nella sua enciclica del 20 giugno 1894 scriveva: «Noi abbiamo su questa terra, nel bel mezzo, il posto dell’Iddio Onnipotente». Quando morì, la casa Editrice Benziger e soci, pubblicò una cartolina con l’immagine del papa morto. Sul retro si trova una preghiera, in cui il papa “Vicarius del Suo unigenito Figlio” sulla terra viene così nominato. Il Volkszeitung di Colonia del 25 aprile 1926 riguardo alla tiara del papa dice: «È certo che la tiara fu accettata nell’alto Medio Evo da parte dei papi romani. La prima corona appartenne al X secolo, la seconda fu al principio del XIII secolo, fatta fare per disposizione di Bonifacio VIII, la terza, non molto tempo dopo, per ordine di Benedetto XII. Fino a questo tempo parla il decano dei cardinali diaconi, mentre egli pone la tiara sulla testa del Pontifex Maximus della Chiesa, pronuncia la formula festosa: “Ricevi in consegna la tiara ornata con le tre corone e sappi che tu sei il padre dei principi e re, la guida attorno alla terra, il Vicario di Gesù Cristo”. Queste tre corone, per cui esiste la tiara, dimostrano le tre potenze papali». Inoltre bisogna precisare, continua G. Ferroni, gli avventisti non hanno mai dichiarato che il papa abbia mai portato il titolo: Latinus Rex Sacerdos (Re e Sacerdote Latino), però, malgrado ciò, è interessante che altri protestanti siano arrivati a questa operazione. Non è difficile individuare chi sia il Sacerdos Latinus. Già da Lutero, ed anche prima da altri, questo titolo fu considerato in relazione con la cifra 666. 182 Ours Sunday Visitors, 18/4/1915. HELWIG (HELWICH) Andrea (circa 1572-1643), insegnante di latino e greco classico per trent’anni, autore del Etymological Greek Dictionary e Greek Vowels and Synonymus (1602), rettore di Berlino quando scrisse la sua opera Antichrist Romanus, in Proprio Suo Nomine, Numerum Illum Apocalypticum (DCLXVI) Continente Proditus, Wittemberg: Typis Laurentij Seuberlichs, 1612, alla identificazione con i nomi: Lateinos, Vicarius Filii Dei, Dux Cleri, aggiungeva: Ordinarius Ovilis Christi Pastore, Dic Lux. Del Vicarius Filii Dei diceva che era l’equivalente dello storico ed espansivo titolo di Vicarius Christi. CRAMER Daniel (Apocalypsis oder Offenbarung S. Johannis, sampt einer richtigen Erklerung, Alten Stettin: Johann Christoff Landrachtinger, 1618, fol. 50,55), dava diverse versioni e considerava possibile identificare il 666 con il papa PAULO V VICE DEO.
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I 10 N 50 O 70 S 200
E S I A I T A L I K A
666 Conclusione
8 200 10 1 10 300 1 30 10 20 1
666
R I V S F I L I I
1 5
C L E R I
100 50
N V S
1
R E X
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A conclusione di questo capitolo riportiamo le parole del pastore Jean Zurcher pronunciate in una conferenza davanti ad universitari e diplomati francesi: «Solo gli Stati Uniti d’America rispondono alla descrizione profetica della bestia che sale dalla terra e che ha due corna simili a quelle di un agnello. Per me non vi è alcun dubbio che vi sia una relazione diretta tra le origini del movimento avventista (Chiesa Cristiana Avventista del VII Giorno) e il ruolo profetico degli USA. Non accidentalmente il messaggio di Apocalisse XIV fa seguito alle macchinazioni del dragone di Apocalisse XIII. Seguendo la cronologia del testo, si potrebbe credere che Dio abbia suscitato il movimento avventista negli USA per opporsi all’influenza del Papato, che agisce per mezzo degli USA. Penso piuttosto che La Santa Sede si servirà degli USA per meglio opporsi all’opera dell’ultima Chiesa di Cristo i cui inizi si situano in America e il cui sviluppo continua a dipendere in gran parte dagli avventisti degli USA. Nel dicembre del 1911 il deputato dell’Alabama R.P. Hobson pronunciava queste parole: «... La storia non offre più speranze verso l’Oriente, e non ce ne sono più all’Occidente. Noi abbiamo raggiunto le ultime spiagge dell’Oceano. La stella degli imperi in marcia verso l’ovest finisce con l’America di fare il giro del mondo».183 Gli USA non sono menzionati nella Bibbia per un sentimento pro o antiamericano, né perché gli USA sono una grande nazione, precisamente la più grande e 183
Cit. da J. Vuilleumier, o.c., pp. 253,254. Quando la profezia diventa storia
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la più potente che si sia mai vista nel corso della storia. Il criterio di una “recensione biblica”, se posso esprimermi così, non ha niente a che fare con simili considerazioni. Vi sono stati altri grandi imperi... dei quali la profezia non ha mai fatto parola. Perché la Bibbia parla degli USA e non dell’URSS? Perché fa più volte allusione alla Francia e non alla Germania? Perché la profezia di Daniele fa iniziare la storia con Babilonia e non con l’Egitto, la cui storia è tuttavia molto più antica? Diciamo semplicemente che la Bibbia non contiene una storia universale, come noi oggi l’intendiamo. Essa contiene, certamente, la storia più antica e la più autentica che vi sia, ma è una storia scritta secondo una filosofia della storia che le è propria e secondo la quale il popolo di Dio costituisce il centro attorno al quale si svolge tutto il dramma umano. Così, ciò che spinge la profezia a menzionare una nazione non è la sua grandezza o la sua piccolezza, la sua antichità o la sua apparizione sulla scena del mondo, ma soprattutto e unicamente il suo ruolo nel piano di Dio nei riguardi del suo popolo. La storia del popolo di Dio in relazione con le nazioni che dominavano il mondo ha indotto i profeti a parlare dell’Egitto, dell’Assiria, di Babilonia, della Persia, della Grecia e di Roma. È un principio che noi dobbiamo sottolineare con forza: una nazione entra nel campo della profezia biblica soltanto quando lo sviluppo e il destino del Popolo di Dio si trovano legati alla sua storia... Felici i paesi che non sono menzionati nella Bibbia, poiché quelli che lo sono, lo sono sempre in relazione con l’opera dell’Anticristo». Uno sguardo retrospettivo184 In seguito al collasso dell’impero sovietico cambiarono le relazioni tra America e URSS, tra Europa e Unione Sovietica, tra America e Unione Europea. Ogni cosa militare, politica, diplomatica cambiò e noi siamo entrati in una grigia nebulosa zona chiamata «il nuovo ordine mondiale». L’ex presidente degli USA, George Bush, diceva il 30 ottobre 1990: gli Stati Uniti possono «favorire l’inizio di un nuovo giorno... un nuovo ordine mondiale». Yasser Arafat chiamava Washington D.C.: «la nuova Roma».185 Ieri l’antica “Roma” capitale del mondo; oggi la “nuova Roma”, Washington, capitale del mondo. Due capitali che devono ancora svolgere un ruolo considerevole nel nostro tempo. L’Atlantic Monthly riporta che George Bush, il 22 agosto 1992, diceva: «A me piacerebbe che fossimo noi gli indiscutibili leader del mondo». Jim Hoagland in Washington Post, il 29 agosto 1992, scriveva: «America, dovremo ora determinare tutti i maggiori eventi». Il corrispondente del National Public Radio chiamava George Bush: «Il presidente del mondo». 184 In questa sezione approfittiamo dell’opera di GOLDSTEIN Clifford, Day of the Dragon, ed. Marvin Moore, 1993, pp. 19-49. 185 Newsweek del 12 agosto 1991, p. 33.
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Questa visione dell’ordine mondiale ha le sue origini nel passato. Già nel 1946 Robert Hutchins dell’Università di Chicago diceva: «L’umanità ha la scelta fra la pace ed il suicidio, e l’unica soluzione per impedire la guerra è di stabilire un governo mondiale». 186 Winston Churchill nel 1959 diceva: «L’avvenire dell’umanità è oscuro se non si realizza un governo mondiale»,187 e già nel 1947 aveva pronunciato una frase dal contenuto profetico: «Gli Stati Uniti in questo momento si elevano sul pinnacolo del potere mondiale. Questo è un momento solenne per la democrazia nordamericana, perché al primato del potere si unisce una terribile responsabilità per il futuro».188 J. Warburg, associato a Rotschild e alla Rockefeller, annunciò nel Senato americano: «Ci piaccia o no, avremo un governo mondiale unico. La domanda è se lo si avrà mediante consenso o per conquista».189 Non si deve dimenticare la dichiarazione di Franklin Delano Roosvelt: «In politica nulla è casuale. Se succede qualcosa c’è da stare sicuri che è stato pianificato».190 Ora gli Stati Uniti sono l’unica superpotenza e lo saranno per molto tempo. Si propongono diversi obiettivi: - prevenire l’emergere di un nuovo rivale, anche sul territorio della precedente Unione Sovietica, che possa essere una minaccia per il nuovo ordine mondiale; - mostrare una leadership capace di stabilire e proteggere il nuovo ordine mondiale che mantenga le promesse e che convinca eventuali nuovi aspiranti, competitori, che per loro non c’è posto sulla scena mondiale, se non si vuole mettere in discussione i legittimi interessi che sono capaci di difendere; - avere un meccanismo capace di deteriorare potenziali competitori; - permettere alla Russia di diventare una superpotenza militare con gli USA e non senza di loro. E. White nella sua opera Il Gran Conflitto, che ebbe più di una scrittura tra il 1848 e il 1859 e in forma definitiva nel 1884, scriveva: «Quale è la nazione del Nuovo Mondo che nel 1798, ancora giovane, richiamava già l’attenzione del mondo e prometteva potenza e grandezza? L’applicazione del simbolo non lascia nessuna possibilità di incertezza. Una nazione, una nazione sola ha i requisiti indicati dalla profezia: gli Stati Uniti d’America».191 Riteniamo di avere buoni motivi per pensare che i pionieri avventisti siano stati illuminati dallo Spirito Santo, perché pur avendo, come ogni americano, una profonda fiducia e grande ammirazione nei confronti del proprio Paese, araldo di libertà, ugualmente lo hanno identificato con la seconda bestia di Apocalisse XIII. 186
Gazzetta di Losanna 19.2.46; cit. René PACHE, Cristo Ritorna, ed. EUN, 1992, p. 32. Cit. da Buon Combattimento, marzo 1959 ; cit. da R. Pache, Idem, p. 32. 188 Cit. da NIXON Richard in ABC, 20.3.1992, p. 52 ; Cit. da ANTOLÍN DIESTRE Gil, El Sentido de la Historia y la Palabra Profética, vol. II, Editorial Clie, 1995, p. 548. 189 Más Allá, numero monografico, giugno 1993, p. 14; cit. Antolín Diestre Gil, Idem, p. 610. 190 Idem, p. 14; cit., idem, p. 610. 191 E. White, Il gran ..., p. 322; ed. americana, p. 440. 187
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Se consideriamo questa comprensione della Parola di Dio mediante un ritorno nel passato, abbiamo motivo per essere stupiti ed ammirati. Mai come oggi gli USA sono il gigante buono/cattivo del mondo. È l’unico gigante mondiale politico, economico, culturale e militare. Ancora una decina d’anni fa gli amanti della profezia criticavano la comprensione del testo che abbiamo esposto interrogandosi sul perché la Bibbia non diceva nulla dell’Unione Sovietica, che con gli Stati Uniti si erano divisi il mondo. Se gli USA non sono stati in grado di far tacere Fidel Castro a causa della sua alleanza con la lontana Russia, come avrebbero potuto imporre il marchio della bestia al mondo intero? Nel 1950 gli Stati Uniti si impegnavano in una guerra in Corea, cui dopo 3 anni di azioni belliche avevano causato 54.000 morti. Quando 41 anni dopo - mentre si curavano ancora le ferite perché negli anni ‘60, dopo la morte del presidente Kennedy, il governo americano, pressato dall’industria produttrice di morte, iniziò la guerra nel Sud-Est asiatico, nel Vietnam - le forze statunitensi si collocarono in Arabia Saudita e in tre settimane, con 143 morti piegarono umiliarono l’arrogante Saddam Ussein. Il mondo ne fu impressionato. C’è una siccità omicida in Etiopia o una alluvione nel Bangladesch? Gli USA sono chiamati in aiuto. Il nuovo presidente della Russia, Boris Yeltsin, appena nominato, dopo lo sgretolamento dell’URSS, fa il primo viaggio per il suo riconoscimento in America. Gli Stati baltici si staccano dall’impero sovietico e si rivolgono all’Ovest, all’America per avere la Carta costituzionale sulla falsariga della quale scrivere la propria. Il Kuwait invaso dall’Iraq chiede l’aiuto degli USA. Quando nel 1933 Hitler andò al potere, gli Stati Uniti avevano il 16o esercito del mondo, più piccolo di quello di Spagna, Turchia, Polonia. Nel 1914 tutto l’esercito americano era numeroso tanto quanto i combattenti nella battaglia di Waterloo, combattuta un secolo prima. In quel tempo gli USA si affacciarono sulla soglia internazionale. Nel 1867, 17 anni prima dell’affermazione di E. White menzionata sopra, l’esercito statunitense combatteva ancora con gli indiani e non sempre con successo. James White il 12 agosto 1862, durante la guerra di secessione, in Review and Herald, The Nation, pubblicava un articolo nel quale scriveva: «Attualmente godiamo della tutela dei nostri diritti civili e religiosi da parte del miglior governo che vi sia sotto il cielo... È conforme all’insegnamento di Cristo onorare tutte le buone leggi del nostro paese». Nel 1851, 33 anni prima della dichiarazione di E. White, Andrews J.N., nel suo scritto Thoughts on Revelation 13 and 14, in Second Advent Review and Sabbath Herald, del 19 maggio, fu il primo teologo nella storia ad identificare il suo Paese con questa seconda bestia, il falso profeta di Apocalisse XIII. 636
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Nel 1850 Herman Melville, in White Jacket, diceva: «Noi americani siamo il peculiare popolo scelto, l’Israele del nostro tempo; noi porteremo l’arca di libertà del mondo... Dio ha predestinato, l’umanità aspetta grandi cose dalla nostra razza e grandi cose noi sentiamo nel nostro animo». In quel tempo le grandi potenze erano: Impero austro-ungarico, Inghilterra, Polonia, Francia. L’esercito americano era di soli 20.000 uomini. È significativo osservare che già centocinquantanni fa si credeva che l’America avrebbe creato l’immagine della bestia e avrebbe perseguitato, ucciso chi avrebbe rifiutato il suo marchio. In quegli anni, nel vecchio continente, in Europa, a Roma, il Papa era in una situazione difficile, drammatica. I moti carbonari, il progetto dell’unità d’Italia, per fare del nostro Paese una unica nazione mettevano la curia romana in grande agitazione. Nel 1848, a causa dei progressi dell’unità d’Italia, compiuta dalla borghesia liberale e anticlericale, Pio IX fuggiva nella fortezza di Gaeta, dove rimase per due anni, mentre a Roma veniva proclamata la Repubblica Romana. Il nuovo vento di libertà, le nuove concezioni sociali, economiche urtavano contro l’autoritarismo papale. Il vescovo di Roma era sempre più isolato nella sua arroganza ed il Sillabus, 1864, condanna tutti quei valori e diritti che oggi sono alla base di stati liberi, indipendenti e democratici. Nel 1869 il papa veniva dichiarato infallibile in seguito a una diatriba tra i religiosi che per poco non è finita in uno scisma. La presa di Porta Pia, l’8 settembre 1870, ha fatto di Roma la capitale d’Italia e il papa si è ritirato in Vaticano considerandosi prigioniero. Nella prima metà del nostro secolo il Vaticano ha avuto bisogno del nazismo, del fascismo e del franchismo per riprendersi. Nel 1929 firma i Patti Lateranensi con l’Italia e nel 1933 il Concordato con Hitler. Il 5 ottobre 1979, dopo 100 anni, l’opinionista cattolico George Wil scriveva su Newsweek: «Nell’ultimo quarto di questo secolarizzato secolo, il più galvanizzante uomo del mondo lavora su un altare». Nel maggio del 1980 su Atlantic Monthly, si legge che Giovanni Paolo II «ha senza dubbio restituito al Vaticano il centro del palcoscenico internazionale».192 Riporta Goldstein: «Il Papa, non Gorbaciov, ha fatto esplodere i cambiamenti in Europa» si leggeva nell’editoriale del Gerusalem Post del 21 aprile 1990. Sul Time del 13 maggio 1991 si leggeva: «Il papa polacco, Giovanni Paolo II ha fatto più di tutti per condurre il comunismo alla tomba». Nel Baltimora Sun, 20 giugno 1992, William Pfaff scriveva: «Liberare i Paesi dell’Est fu dall’inizio il tema principale del papato di Karol Wojtyla, dopo che fu eletto come papa Giovanni Paolo II nel 1978. I 192
Atlantic Monthly, maggio 1980, p. 43. Quando la profezia diventa storia
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suoi viaggi in Polonia e altrove nei paesi comunisti, e le reazioni che ricevette, sono stati i fattori maggiori di indebolimento dei governi comunisti che cercavano legittimazione». Perfino Gorbaciov ammise: «Tutto ciò che è accaduto nell’Est dell’Europa negli ultimi anni non sarebbe stato possibile senza la presenza di questo papa».193 La collaborazione del protestante Reagan con il vescovo di Roma per far crollare il comunismo era abbastanza nota. Riporta Goldstein: «La rivista Time (24.2.1992) mostrò questa cooperazione che si accorda con la profezia, e che infine si avvererà. La rivista che uscì con un’immagine in copertina del Papa Giovanni Paolo II e di R. Reagan assieme con la didascalia: “Santa Alleanza: come il Papa e Reagan cospirarono per assistere Solidarnosch e accelerare la cancellazione del Comunismo”». La sostanza dell’articolo narrava che dal 1982 sino al collasso del comunismo polacco, gli Stati Uniti e il Vaticano, sotto la leadership di papa Giovanni Paolo e del presidente Reagan, cooperarono in operazioni clandestine per liberare la Polonia dal Comunismo e sconfiggere il dominio sovietico nell’Est Europa. «Questa fu una delle più grandi alleanze segrete di ogni tempo» disse Richard Allen, il primo consigliere della sicurezza nazionale di Reagan, che fece parte del team che lavorò con il papa».194 Crediamo che si possa affermare che, pur percorrendo strade diverse, lo sviluppo degli USA avviene in contemporanea con la crescita del Vaticano. Il gesuita Malachi Martin nel suo libro The Keys of this Blood,195 dedicato al cuore immacolato di Maria, scriveva: «Giovanni Paolo ha dato notizia che intendeva prendere ed esercitare efficacemente ancora un volta il ruolo internazionale che era stato centrale nella tradizione di Roma, e nello specifico mandato che i cattolici sostengono sia stato conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori».196 Martin non considera il papa come un leader fra altri, ma come colui che in vista della sua posizione sarebbe la preminente autorità politica e religiosa del mondo, e scrive: «Che autorità, che energia c’è nel simbolo della Chiavi di Pietro, lavate nel sangue del Diouomo Gesù Cristo. Giovanni Paolo è e sarà il solo possessore delle Chiavi di questo sangue in quel Giorno».197 Quale giorno? Il giorno nel quale Giovanni Paolo assumerà la supremazia politica che egli considera come un suo compito: «Poiché in ultima analisi, Giovanni Paolo II, come colui che rivendica di essere il Vicario di Cristo, chiede di essere come l’ultima corte di giustizia su quella società degli Stati come su una nazione».198 Nel nuovo ordine mondiale il papa non accetta né l’ideologia marxista e atea, né il capitalismo materialista con le sue inique finalità. «La principale difficoltà per il papa Giovanni Paolo in questi due modelli per il nuovo ordine mondiale è che nessuno di 193
«Pape Was Vital to Fall of Communism, Says Gorbachev», in Newsnet Item, 2 marzo 1992, Reuters News Service. 194 C. Goldstein, o.c., p. 43. 195 MALACHI Martin, The Keys of this Blood, Simon and Schuster, New York 1990; ed. lingua spagnola, Las Claves de Esta Sangre, Lasser Press, Mexicana, s.a., México, D.F. 1991. 196 Idem, p. 22. 197 Idem, p. 639. 198 Idem, p. 375; ed. spagnola, p. 11.
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loro è radicato nella legge morale del comportamento umano rivelato da Dio tramite gli insegnamenti di Cristo, come proposti dalla Chiesa di Cristo (cioè dalla Chiesa Cattolica Romana)».199 «Ci si può chiedere se le leggi esistenti e il vivere delle società industrializzate garantiscano efficacemente nei nostri giorni il diritto fondamentale del riposo domenicale».200 Per «più di 15 secoli Roma ha mantenuto un potere il più forte possibile in ogni parte del mondo ... Generalmente parlando ed ammettendo alcune eccezioni, quello era stato il modo di vedere romano fino a quando sono stati imposti sul papato duecento anni di inattività dai maggiori poteri secolari del mondo».201 Cosa è avvenuto 200 anni fa? Fine del XVIII secolo, Rivoluzione Francese, nel 1798: la ferita mortale del papato. Viviamo nel tempo in cui il papa è «il leader morale del mondo», come disse Gorbachov e il Vaticano è diventato il palcoscenico della diplomazia internazionale, e si è consumata l’alleanza tra la Santa Sede e gli USA di Reagan per fare cadere il comunismo nell’Unione Sovietica. Questa alleanza però non è germogliata improvvisamente, è la conseguenza non programmata sul piano religioso e sociale, di un dialogo, di una intesa, di un impegno in azioni comuni iniziate da tempo tra cattolici e protestanti. In questo contesto riteniamo opportuno mettere in parallelo alcune dichiarazioni del secolo scorso di E. White scritte nella sua opera The Great Controversy, riguardo al futuro del potere papale e degli USA e ciò che oggi possiamo leggere della realtà del nostro tempo. Non facciamo questa operazione in una prospettiva polemica, ma con lo scopo di mostrare che, quando la parola di Dio è ben compresa, viene poi confermata dalla storia. Desideriamo rilevare ancora che quanto è stato scritto nel secolo scorso, come abbiamo detto sopra, non faceva affatto prevedere l’apoteosi del papato come lo stiamo vedendo oggi. Solamente la comprensione del testo biblico annunciava questo.
Ellen White seconda metà XIX secolo
Autori vari della fine XX secolo
«Essa (la Chiesa cattolica) sta utilizzando ogni mezzo per estendere il proprio influsso e accrescere la propria potenza in previsione di un deciso e feroce conflitto per riconquistare il domi-
Questo papa203 «è in lotta contro chi terrà ed eserciterà il doppio potere della autorità e del controllo su di noi come individui e su noi tutti come comunità, sui 6 miliardi di persone attese dagli
199
Idem, p. 19. Centesimus Annus, 16/5/1991, p. 6. 201 M. Malachi, o.c., p. 22. 202 E. White, o.c., 412; ed. americana, pp. 565,567. 203 Le valutazioni del gesuita M. Malachi su Giovanni Paolo II per noi non sono importanti nella prospettiva della sua persona, ma le riteniamo interessanti per il valore che hanno per un sistema di cui l’attuale papa regnante non è che l’espressione momentanea di un potere che esiste da secoli. 204 M. Malachi, o.c., p. 15. 200
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nio del mondo».202
«Fa parte della sua politica assumere il ruolo che meglio si adatta ai suoi disegni per riuscire ad attuarli».205
«Il papato ha rivestito gli abiti che sembrano di Cristo».207
«La Chiesa cattolica non ha rinunciato alla sua pretesa di supremazia».209
«C’è una crescente indifferenza sulle dottrine che separano le Chiese riformate dalla gerarchia papale. Acquista, così, sempre più terreno l’idea che tutto sommato sui punti vitali non c’è poi quella grande differenza che si pensava».211
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studiosi di demografia che abiteranno la terra dai primi anni del III millennio».204 «Giovanni Paolo ha una certa immunità di inestimabile valore all’occhio sospettoso e scrutatore. Quel vestito bianco, lo zuccotto, l’anello di pesca-tore nel dito indice, i paramenti della liturgia papale, gli appannaggi della vita pontificale, lo pongono nel rango dei leader mondiali, benché la maggior parte degli osservatori e commentatori lo vedrebbero quasi esclusivamente co-me leader religioso».206 «La certezza di Giovanni Paolo deriva dalla sua fede cattolica, dalla sua personale qualità di essere il solo Vicario di Dio fra gli uomini e che qualunque sforzo umano che non sia basato sull’insegnamento morale e sulla religione di Cristo sia destinato a fallire».208 «Giovanni Paolo II, come colui che rivendica per sé la f unzione di Vicario di Cristo, sostiene di essere la corte suprema di giudizio sulla società degli Stati in quanto società».210 «L’inganno orribile è reso molto più persuasivo e distruttivo dai leader protestanti che suggeriscono che la Chiesa Cattolica Romana predichi il vangelo biblico. Per esempio il conduttore di un popolare programma televisivo cristiano (che primeggia nei più grandi network) dà frequentemente agli ascol-
E. White, o.c., p. 416. M. Malachi, o.c., p. 23. E. White, o.c., p. 415; ed. americana, p. 571. M. Marchia, idem, p. 480. E. White, idem, p. 327. M. Malachi, o.c., idem, p. 375. E. White, Idem, p. 410; ed. americana, p. 563.
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«Quando il sabato sarà il principale punto di controversia nel mondo cristiano ...».213 «Ogni principio del papato professato in passato esiste tuttora. Esso conserva le dottrine elaborate durante i secoli bui».214
«Oggi i protestanti considerano la chiesa di Roma con maggior favore che in passato».216
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tatori la falsa impressione che la dottrina cattolica non sia diversa da quella evangelica. In un programma, mentre intervistava tre leader cattolici, il presentatore dichiarò che le differenze tra le dottrine protestanti e quelle cattoliche erano semplicemente una questione di semantica».212 «Questa è stata sempre una pratica essenziale per Roma, prendere decisioni sulla premessa che il bene della comunità mondiale debba avere la precedenza su tutti i vantaggi locali. Le politiche internazionali dovrebbero essere guidate e regolate in accordo con i benefici che devono favorire certi gruppi o nazioni al costo di altare».215 «Il cattolicesimo diventerà più cattolico nel futuro, è quello che mi aspetto sotto il presente papa, quindi le differenze teologiche diventeranno più sottili, ma le nostre alleanze con i cattolici contro la cultura secolare possono diventare più profonde».217 «È già da tempo che tutti noi che siamo cristiani ci riuniamo senza badare alle differenze delle nostre confessioni e tradizioni e facciamo una causa comune per portare i valori cristiani nella nostra società. Quando i barbari stanno scalando le mura, non c’è tempo per i litigi insignificanti/meschini nel campo».218 Pat Robertson promuove l’unità con i cattolici sulla base di preoccupazioni comuni. «Io credo francamente che gli
HUNT Dave, Global Peace and the Rise of the AntiChrist, Eugene Ore, Harvest House, 1990, p. 145. E. White, o.c., p. 447. E. White, o.c., p. 415. M. Malachi, o.c., p. 22. E. White, o.c., p. 410; ed. americana, p. 563. WELLS David, Catholicism at the Crossroads, in Eternity, settembre 1987, p. 14. COLSON Chuck nell’Introduzione a FOURNIER Keith, Evangelical Catholics, Thomas Nelson, Nashville 1990. Quando la profezia diventa storia
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«I protestanti … spalancheranno addirittura la porta perché il papato riconquisti nell’America protestante la supremazia perduta in Europa».221
«L’influsso che Roma esercitò nei paesi che un tempo ne riconoscevano
evangelici e i cattolici in America, se lavorassero assieme, potrebbero vedere realizzate molte iniziative per la famiglia nella nostra società, e potrebbero essere un contrappeso efficace ad alcune delle iniziative radicali di sinistra».219 William Bentley Ball, avvocato cattolico, in Christianity Today, Why can’t we work together? sottolinea che i cattolici conservatori e gli evangelici hanno in comune molte dottrine: Divinità di Cristo, nascita verginale, lo Spirito Santo, inerranza biblica, l’esistenza di Satana, la salvezza dell’uomo attraverso Cristo. Avrebbe dovuto menzionare anche la sacralità della domenica e l’immortalità dell’anima. «Da queste credenze comuni molti a cattolici e molti evangelici derivano chiare posizioni in materia di leggi e pubblica amministrazione».220 Nell’aprile del 1992 cattolici e battisti (i due gruppi religiosi più numerosi e non amici storicamente) hanno avuto i loro leader uniti nella singolare richiesta affinché la Corte Costituzionale degli Stati Uniti riconsideri attentamente la costituzionalità della legge sull’aborto. Il giornale conservatore cattolico The Wanderer nel 1984, a seguito di risultati politici ottenuti dalla Chiesa di Roma in quegli anni, parlava di un «inizio dell’era cattolica nella storia Nord americana».222 «Qualsiasi sia il futuro del comunismo il mondo non è destinato ad
219
ROBERTSON Pat, Quoted in Church and State, Agosto 1988, p. 15. BENTLEY BALL William, Why Can’t We Work Together, in Christianity Today, 16 luglio 1990, p. 23. 221 E. White, o.c., p. 417; ed. americana, p. 573. 222 The Wanderer, 15 novembre 1984; cit. da GOLDSTEIN Clifford, Le vrai visage de Dieu, ed. Vie et Santé, Dammarie les Lys, 1997, p. 12; traduzione francese di False Balamces, Pacific Press Publishing Association, 1992. 220
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l’autorità è lungi dall’essere distrutto. D’altra parte la profezia predice la restaurazione del suo potere».223
«Roma mira a ristabilire la sua autorità e a riconquistare la supremazia perduta».225
«Prima che si abbattano sulla terra i giudizi finali di Dio, vi sarà in seno al popolo del Signore un risveglio della primitiva pietà quale non si è più vista dopo i tempi apostolici. Lo Spirito e la potenza di Dio saranno riversati sui suoi figli. Allora molti lasceranno le chiese nelle quali l’amore del mondo ha sostituito l’amore per Dio e per la sua Parola. Molti, predicatori e laici, accetteranno con gioia le grandi verità che Dio vuole siano proclamate in questo tempo per preparare un popolo per il secondo avvento di Gesù. Il nemico delle anime intende ostacolare quest’opera, e prima che giunga il tempo di questo movimento, egli cercherà di prevenirlo contraffacendolo. Nelle chiese che riuscirà ad attirare sotto il suo potere ingannevole, farà credere che Dio sta operando meravigliosamente per esse, mentre in realtà si tratta dell’azione di un altro spirito. Sotto l’aspetto della religione, Satana cercherà di estendere il suo influsso sul 223 224 225 226
andare sotto il dominio di un dittatore marxista, ma dell’Anticristo. L’ateismo non trionferà, ma una falsa religione sì. La Chiesa cattolica romana giocherà un ruolo chiave nel realizzare questo, e così nel determinare il destino del genere umano».224 Durante un simposio di quattro giorni avuto in Roma, il papa disse che una riscoperta delle «radici cristiane sono la chiave dell’unità dell’Europa».226 «Negli ultimi decenni, l’influsso dei sessanta milioni di cattolici carismatici sparsi nel mondo ha abbattuto più barriere (tra cattolici e protestanti n.d.t.) di qualunque altro fattore dal Concilio Vaticano II in poi. “Protestanti e cattolici carismatici insegnano vita cristiana” - scrive J.I. Paker senior in Christinity Today - ed essi hanno propositi e intenti identici, non è forse significativo tutto ciò per il futuro?” I carismatici tendono sempre ad enfatizzare i doni spirituali a scapito della dottrina. Una tipica chiesa carismatica è composta da premillenniali, amilenniali, post-millenniali, tramillenniali, ed ancora. Fatte salve poche dottrine basilari come la divinità di Cristo, il diavolo, lo Spirito Santo, i carismatici possono essere in disaccordo quasi su ogni altra dottrina. L’importante è esse-re ‘ripieni dello Spirito Santo’ (sic ! ndt).
E. White, o.c., p. 421. D. Hunt, o.c., p. 146. E. White, o.c., p. 423. Giovanni Paolo II, Christians’ Roots Are Key to United Europe, in Religious News Service, 5 novembre 1991, p.
8. Naturalmente per Roma le radici cristiane sono le radici cattolico romane; i valori cristiani sono i valori cattolici; e una re-cristianizzazione dell’Europa significa ristabilimento del dominio cattolico. Quando la profezia diventa storia
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mondo cristiano».227
Il movimento carismatico cattolico non sembra essere una moda passeggera. Nel giugno del 1992 diciassettemila carismatici cattolici si sono incontrati a Pittsburgh per celebrare il venticinquesimo anniversario del movimento. Essi sono stati legittimati dal Vaticano, con la piena benedizione di Papa Giovanni Paolo II. L’International Charismatic Renewal Office ha un ufficio in Vaticano. Congressi carismatici vengono organizzati in tutto il mondo e ovunque vi sono cattolici che dichiarano come i do-ni carismatici abbiano approfondito la loro esperienza del rosario, della messa e fatto crescere la loro devozione per Maria. Preti, suore, monaci alzano le mani, parlano in ‘lingue’ e rivelano ‘profezie’. In un raduno carismatico il leader Vision Synan ha definito questi incontri “I soli grandi meeting nel mondo dove protestanti e cattolici sono uniti”.».228
Concludiamo con una dichiarazione di E. White: «Nella confessione cattolica romana vi sono dei sinceri cristiani. Migliaia di membri di quella chiesa servono Dio secondo la luce che possiedono; non hanno la possibilità di accedere alla sua Parola, perciò ignorano la verità... Dio osserva con pietosa tenerezza queste anime educate in una fede ingannevole... e provvederà perché dei raggi di luce... rivelino ad esse la verità... Molti, allora, si schiereranno col suo popolo».229
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E. White, o.c., p. 339; ed. americana, p. 464. C. Goldstein, Day…, p. 46. E. White, o.c., p. 411; ed. americana, p. 565.
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Capitolo XVI L ’ U L T I M A T U M1 «I1 mondo ha bisogno di un profeta il quale proclami, con la voce in cui si uniscono le potenze del tuono ed il più profondo senso di compassione, che la strada su cui sta andando l’umanità è una strada sbagliata, una strada che porta alla morte e all’estinzione di ogni speranza...» Bertrand Russel.2 «Il termine “adorare” è nel nostro passo l’espressione più completa della nostra relazione con Dio o con il nemico. Lo scopo di questi messaggi, che sono descritti come essendo “l’evangelo eterno”, è di convincere l’uomo dei vantaggi che ha nell’adorare Dio come suo Creatore, la sorgente e lo scopo della sua vita sia fisica sia spirituale. Questo scopo ha anche quello di dimostrare che l’evangelo, attraverso l’esperienza della nuova nascita, in quanto opera della creazione, libera l’uomo della schiavitù del culto idolatrico che lo porta sempre verso la seduzione e la morte» Robert Badenas.
Introduzione Lohmeyer dice che con Apocalisse XIV si giunge al punto culminante del libro. All’inizio del capitolo viene dipinta la conseguenza dell’ultima battaglia: i vincitori sono con l’Agnello sul Monte Sion. La conclusione del capitolo, dal versetto 14, presenta come il Signore li raccoglierà. Nella parte centrale, dal 6 al 13, l’Apostolo tratteggia l’opera finale che i fedeli compiranno per far conoscere il progetto di Dio e il compimento della storia all’umanità. Questo testo centrale, Apocalisse XIV, è la realizzazione di Marco XIII:10, Matteo XXIV:14 che riportano le parole di Gesù quando afferma che l’evangelo sarà presentato al mondo intero, a tutti i suoi abitanti e allora si realizzerà lo scopo dell’evangelizzazione: il Regno eterno di Dio. Con questa sezione dell’Apocalisse l’umanità è posta davanti a un bivio le cui strade hanno delle conseguenze eterne o nella vita o nella morte. Scrive W.A. Criswell: «Il capitolo XIV è l’aspetto opposto del capitolo XIII. Sono contemporanei nella storia. Quelle cose accadranno tutte in una volta. Il capitolo XIV è la controparte del capitolo XIII. Se da una parte c’è la buia descrizione della bestia. 1
È il titolo del lavoro del pastore BOURQUIN Yvan pubblicato a Dammarie-Les-Lys 1976, che considera lo stesso nostro capitolo dell’Apocalisse. 2 RUSSEL Bertrand, Ritratti a memoria, ed. Longaresi, Milano, p. 243.
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di Satana e del giudizio di Dio sugli adoratori della vile immagine, dall’altra, per contro, c’è la magnifica scena di quei glorificati che servono Dio e Lui solo. Nel capitolo XIII c’è la bestia; nel capitolo XIV c’è l’Agnello, gentile e prezioso, sul Monte Sion. Nel capitolo XIII ci sono i non fedeli, la contraffazione e il falso. Nel capitolo XIV c’è il vero, il genuino e il bello. Nel capitolo XIII c’è il marchio della bestia, e nel capitolo XIV il marchio di Dio. Nel capitolo XIII c’è l’opera dell’idolatria e la corruzione della terra. Nel capitolo XIV c’è l’adorazione del vero Agnello di Dio e i santi sono separati dalla corruzione del mondo. Il capitolo XIII presenta coloro che vanno con la bestia e gli idolatri che cadono nella dannazione e nella perdizione. Nel capitolo XIV ci sono i redenti dalla terra che vengono portati su nel cielo. Nel capitolo XIII ci sono quelli che seguono la bestia in tutte le sue vie. Nel capitolo XIV ci sono quelli che seguono l’Agnello ovunque vada. Nel capitolo XIII c’è il numero della bestia, 666, tre volte sei. Nel capitolo XIV ci sono i 144.000, il compimento e la pienezza della gloria, la grazia e la beatitudine di Dio. I due capitoli sono posti uno di fronte all’altro». 3 In un contesto più ampio, il testo dell’Apocalisse che prendiamo in considerazione in questo capitolo si colloca tra la descrizione degli attacchi delle forze del male, presentati da Giovanni nei capitoli XII, XIII e prima della mietitura per l’eternità, capitolo XIV terza parte, e le piaghe che colpiranno l’umanità presentate nei capitoli XV e XVI. Il messaggio che viene proposto agli abitanti della Terra vuole proprio aiutarli a non essere colpiti da quei flagelli. «In effetti, le visioni del capitolo XIV (di Apocalisse) sono tutte concepite in funzione del giudizio che deve abbattersi sul mondo e concludersi con la distruzione della grande Babilonia. Sono delle visioni premonitrici. Annunciano la crisi finale. Chiamano gli uomini di questo mondo al pentimento, ma soprattutto sollecitano la Chiesa a restare salda nella persecuzione, poiché già la vittoria è acquisita e il riposo di Dio è promesso ai credenti fedeli fino alla morte. La visione dell’evangelo eterno si situa in questa prospettiva. Dio, nel momento di giudicare il mondo, fa annunciare “un evangelo eterno” a tutti gli uomini e a tutti i popoli. E questo evangelo, come il suo stesso nome indica, non darà loro nulla che non sia già stato dato dal principio: Dio, il Creatore dei cieli e della terra, è il loro Creatore, ed essi sono nella verità se riconoscono in lui il loro Signore e lo adorano. Non è nuovo. È l’ordine eterno della creazione, nel quale gli uomini devono trovare la vita e fuori dal quale essi trovano la morte».4 A conclusione del capitolo X, l’angelo aveva detto a Giovanni, quale rappresentante della Chiesa degli ultimi tempi: «Bisogna che tu profetizzi di nuovo sopra molti popoli e nazioni e lingue e re». Questo parlare al mondo da parte del Signore, Giovanni lo presenta nei versetti da 6 a 13 del capitolo XIV, indicando anche la caratteristica di coloro che realizzano tale mandato: «Santi che osservano i comandamenti di Dio e hanno la fede in Gesù». 3 4
CRISWELL W.A., Expository Sermons on Revelation, vol. IV, Grand Rapids, 1962, pp. 137,138. MASSON Charles, L’Evangile éternel de l’Apocalypse XIV: 6 à 7, Neuchâtel 1946, pp. 66,67.
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Queste caratteristiche Giovanni le ha già introdotte alla fine del capitolo XII, dove ha presentato la progenie finale della cristianità fedele, generata dopo il dominio millenario papale, che vive nel mondo «serbando i comandamenti di Dio e ritenendo la testimonianza di Gesù». Giovanni, nel testo che prendiamo in esame vede tre messaggeri, angeli simbolici, e ognuno mette in risalto un appello particolare. Dalla proclamazione del loro triplice messaggio, che è come un “ultimatum” rivolto all’umanità, si viene a creare la pienezza del rimanente del Popolo di Dio che, con perseveranza e fedeltà, aspetta la manifestazione della gloria di Cristo. Il triplice messaggio presenta tre conflitti: - conflitto di autorità: al timore, al rispetto di Dio, si contrappone l’obbedienza alla bestia e alla sua immagine; - conflitto di verità: alla predicazione dell’evangelo eterno si contrappongono gli errori di Babilonia; - conflitto di culto: all’invito ad adorare Dio creatore si contrappone la divinazione della bestia. È contemporaneamente profetico ed evangelico. Profetico nel senso che riassume l’insegnamento dei profeti relativo al tempo della fine; evangelico, perché è una buona novella che si estende al mondo intero. Questo ultimatum al mondo fa eco alle parole del precursore del Messia: Giovanni Battista, il quale preparava la via al Signore. Gli angeli rappresentano dei messaggeri con un compito particolare, come il Battista, il cui mandato è stato indicato con lo stesso termine di angelo.5 Del resto la predicazione dell’evangelo, l’annuncio al ravvedimento e alla conversione, è sempre stata affidata a degli uomini. Gli esseri celesti hanno la direzione di quest’opera, dirigono i grandi movimenti che tendono alla salvezza degli uomini, ma la proclamazione effettiva è fatta dai servitori di Cristo che abitano sulla terra.
Primo appello «Poi vidi un altro angelo che volava in mezzo al cielo, recante l’evangelo eterno per annunciarlo a quelli che abitavano sulla terra, e ad ogni nazione e tribù e lingua e popolo: e diceva con gran voce: “Temete Iddio e dategli gloria poiché l’ora del suo giudizio è venuta; e adorate
5
Marco 14:6,7. Gli angeli sono degli esseri reali che operano in favore della salvezza degli uomini (Ebrei 1:13,14). L’Apocalisse è stata data a Giovanni tramite un angelo (1:1; 19:9), vengono presentati mentre adorano il Signore (7:11), eseguono i suoi ordini (14:15,17,18). In considerazione del fatto che la parola “angelo” significa “messaggero” e che la predicazione dell’evangelo, l’annuncio della Parola di Dio agli uomini, da sempre è stata affidata a profeti, apostoli, credenti, riteniamo che nel linguaggio figurato di Giovanni, Apocalisse 14:6 e seg.; 18:1, la parola angelo raffiguri il messaggero celeste, ma nella missione realizzata dai fedeli della Chiesa di Cristo Gesù. Quando la profezia diventa storia
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Colui che ha fatto il cielo e la terra e il mare e le fonti delle acque”».6 Il primo angelo vola in mezzo al cielo «vola allo zenit, cioè, secondo le idee dell’epoca, nel punto del cielo in cui può essere visto e sentito dagli uomini sparsi su tutta la superficie della Terra. Questa posizione dell’angelo indica di primo acchito l’universalità del suo messaggio, destinato a tutti gli uomini e portato alla conoscenza di tutta l’umanità».7 «Il messaggio del primo angelo è dunque di speranza. Annuncia che la tragedia umana è giunta alla sua fine».8 Questo primo quadro presenta quattro particolari: - annuncio dell’evangelo eterno in tutto il mondo; - invito a temere Iddio e dargli gloria; - l’ora del suo giudizio è venuta; - adorare il Creatore, ricordare la sua realtà perché è lui che ha fatto ogni cosa.
Annuncio dell’evangelo eterno in tutto il mondo È nel nostro testo che si trova per l’unica volta negli scritti di Giovanni la parola evangelo. «Questo evangelo è eterno, perché il fatto annunciato è irrevocabile e prolunga le sue conseguenze nell’eternità».9 «È detto evangelo eterno, non per opporlo all’evangelo predicato dal Cristo e dai suoi, ma per indicare la sua estensione indefinita nel tempo: comincia con la promessa che Dio fece alle prime generazioni, si svilupperà nei secoli successivi e sfocerà nella vita eterna».10 «L’evangelo eterno è di una vastità immensa. Esso comprende la preesistenza di Gesù, il quale era con il Padre “avanti che il mondo fosse”. Comprende l’incarnazione, l’insondabile mistero per cui “la Parola è stata fatta carne”. Abbraccia la vita di Gesù, i suoi insegnamenti e i suoi miracoli, il suo amore, manifestato nelle parole e negli atti di lui. Comprende la croce sulla quale è stato pagato il prezzo della redenzione dell’uomo. Comprende la tomba vuota, giacché è stato dichiarato che Gesù è il Figlio di Dio, mediante la potenza della “risurrezione dai morti”. 6
Apocalisse 14:6,7. C. Masson, o.c., pp. 63, 64. 8 DOUKHAN Jacques, Le cri du ciel, Dammarie les Lys 1996, p. 172. 9 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, L’Apocalypse, ed. rivista e aumentato da SCHRŒDER Alfred, Lausanne 1905, p. 410. «Conviene precisare che l’aggettivo eterno (in greco aionios) non significa che dura perpetuamente, ma che concerne l’eone (tempo) futuro, non bisognerebbe concludere che la buona novella, di cui si parla, non ha nulla portato nell’eone presente, ma si tratta della buona novella che allaccia il nostro eone a quello che viene». BRÜTSCH Charles, L’Apocalypse de Jésus Christ, 4a ed., Genève 1955, p. 154, nota n. 63. 10 BONSIRVEN Joseph C., L’Apocalypse de S. Jean, Paris 1951, p. 242. 7
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Comprende l’ascensione di Gesù al cielo e il suo secondo avvento, che è stato promesso chiaramente alla sua ascensione. L’evangelo eterno comprende ancora qualcos’altro di molto importante per voi e per me: il ministero di Gesù nel cielo a partire dalla sua ascensione fino al suo ritorno. Gesù è più che un personaggio storico, è più che la speranza di eternità dei cristiani. “Vivendo egli sempre per intercedere per loro”. Questa è una verità ammirabile, ricca di significato e di conforto per ogni credente. Vi è un altro aspetto del ministero di Cristo nel santuario celeste. Egli vi presiede non soltanto come mediatore, ma anche come giudice. “Oltre a ciò il Padre non giudica alcuno, ma ha dato tutto il giudizio al Figlio”».11 Quanto viene annunciato con forza non è diverso da quanto hanno insegnato gli apostoli. È lo stesso evangelo riportato alla luce negli ultimi tempi. È l’evangelo che affonda le sue origini nella verità eterna di Dio, trasmessaci dalla sua Parola, e che ha una ripercussione eterna per tutti coloro che l’accettano. È l’evangelo che permette di sentire nel presente la presenza di Dio e permette di gioire delle beatitudini che Gesù ha presentato nel suo sermone sul monte. Invita gli uomini a rispettare Dio e ad osservare le sue leggi. Questo evangelo è quello inalterabile, permanente che, pur contrastato dall’Avversario, rimane intatto. La precisazione che viene fatta fa pensare che ci sia stato nella storia un tempo nel quale sia stato anche insegnato e accettato in una forma alterata e per questo motivo, prima del ritorno del Signore, bisogna che sia fatto conoscere nell’integrità della verità. Annunciare l’evangelo significa invitare le persone a fare un patto12 col Signore, di cui la Cena è la rievocazione e il battesimo il segno di accettazione.13 Questa buona 11
PEASE Norval F., Con Cristo nel Santuario celeste, in Il Messaggero Avventista, numero speciale, novembre 1965, pp. 11,12; vedere Giovanni 17:5; 1:14; Romani 1:4; Atti 1:11; Giovanni 5:22. 12 Il patto o l’alleanza che la Bibbia propone prevede quanto segue:
Caratteristiche dell’alleanza
1. Preambolo (il re, come autore dell’alleanza, menziona il suo nome, i suoi titoli e i suoi attributi) 2. Prologo storico (Menzione delle relazioni anteriori tra le due parti che contraggono il patto)
3. Stipulazioni (si menzionano gli obblighi del vassallo)
4. Testimoni
Caratteristiche dell’alleanza in Apocalisse XIV
1. Dio, il Creatore del cielo e della terra, ecc. a tutte le nazioni, tribù, lingue e popoli (versetti 6,7)
2. Riferimento all’«evangelo eterno», avere ciò che Dio ha fatto per salvare l’umanità; versetti 6; confr. 13:8 e 4:1-5 concernente l’opera redentrice dell’Agnello) 3. «Temete Dio e dategli gloria... e adorate» (vers. 7) «la perseveranza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (vers. 12) 4. «... davanti ai santi angeli e davanti all’Agnello» (versetto 10) «lo Spirito» (versetto 13)
5. Benedizioni e maledizioni
5. «Felici... coloro che sono morti nel Signore poiché
(si riferisce all’obbedienza o alla disobbedienza futura del vassallo nei confronti dell’alleanza)
si riposano dalle loro fatiche» (versetto 13) «Se qualcuno adora la bestia... e riceve un marchio... sarà tormentato... ecc.» (versetti 9 e seg.).
BADENAS Roberto, Vrai et fausse adoration dans les messages des trois anges, in AA.VV., Études sur L’Apocalypse, t. I, Collonges sous Salève 1988, p. 156. Quando la profezia diventa storia
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notizia annunciata con forza ha lo scopo di preparare l’umanità per l’incontro con il Signore che deve venire a mietere il raccolto per il suo regno eterno. È quanto viene descritto dopo la conclusione di questo triplice messaggio.14 L’accettazione del terzo messaggio preserva i credenti dalle piaghe che colpiranno la terra prima del ritorno di Gesù.15 Questo brano dell’Apocalisse fa da compendio a quanto Gesù aveva detto: «Quando questo evangelo del Regno sarà predicato in tutto il mondo allora verrà la fine».16 «Dopo duemila anni, Dio non si è ancora stancato di amare gli uomini e di offrire loro la salvezza. Anzi, Dio ci invita oggi a proclamare ad alta voce che il Vangelo è ancora offerto a loro. La salvezza è ancora disponibile per i peccatori che vogliono accettarla. Nessuno deve trovarsi nella condizione di non averlo saputo: Gesù desidera che la messe dei salvati sia abbondante: nel Regno che sta preparando “vi sono molte dimore”, che saranno tutte abitate da gente felice. Per questo ancora una volta: “il Vangelo ci è offerto”».17 Questo messaggio di salvezza annunciato “con gran voce” è per coloro che, al contrario di Abrahamo che si considerava pellegrino e forestiero in questo mondo, abitano sulla terra, cioè hanno fatto della terra la loro fissa dimora, il loro regno, si sono installati, seduti, fermati, abbarbicati, legati. È rivolto a coloro che non hanno altro orizzonte che i confini geografici della propria casa, nazione, mondo. J. Mager fa notare che l’espressione «risiedono sulla terra» è presentata con il verbo greco kathêsthai che in particolare rievoca la dignità del Signore «seduto» sul suo trono.18 E si chiede quindi: «Gli uomini degli ultimi tempi considerano la terra come un seggio regale, dove potere “troneggiare”, come dei monarchi? Si comporterebbero come dei despoti dopo aver conquistato tutto il pianeta, troppo felici di aver sfruttato le sue risorse? O piuttosto questa espressione lascia intendere che essi non credono che ai valori materiali, immanenti, perché hanno rigettato ogni forma di trascendenza? Comunque sia, la formula profetica (“coloro che risiedono sulla terra”) svela lo stato dell’umanità proprio prima della parusia. Gli uomini dominano, ma nello stesso tempo sono asserviti dalle loro proprie passioni; idolatrano la materia pur sfruttando sconsideratamente le risorse naturali. Che atteggiamento contraddittorio! Pongono le loro speranze nel terrestre e nello stesso tempo distruggono il pianeta.19 Pur tuttavia, il Dio d’amore cerca un’ultima volta di raggiungere questi umani attaccati ai valori qui
13
Matteo 26:28; Marco 14:24; Luca 22:20; 1 Corinzi 11:25; Romani 6:3; 2 Corinzi 3:6. Apocalisse 14:14 e seg. 15 Apocalisse 14:10; confr. Apocalisse 15 e 16. 16 Matteo 24:14. 17 LEONARDI Giovanni, Tre angeli al servizio della speranza, in AA.VV., Siamo pieni di Speranza, ed. AdV, Falciani 1992, p. 245. Vedere Giovanni 14:1-3. 18 Apocalisse 4:2,3,9,10; 5:1,7,13; 6:16; 7:10,15; 19:4; 20:11; 21:5. 19 Apocalisse 11:18c. 14
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in basso, in rivolta contro il Creatore, occupati a sfuggirlo con ogni mezzo. Pieno di compassione li invita a ritornare a lui».20 Abbiamo qui presentato, per il tempo della fine, il compimento dell’impegno della Riforma di dare ai credenti, espressione del sacerdozio universale, la predicazione dell’evangelo depurato dalle incrostazioni sincretiste che ha impoverito la Chiesa attraverso i secoli, dal momento che le ha fatte proprie. La Riforma, sorta con il desiderio di proporre: “sola Scrittura, sola Grazia, sola Fede”, non è riuscita nel suo intento perché essa stessa, pur in buona fede, nella sincerità di coloro che l’hanno accettata, ha riproposto troppi errori ereditati dalla Chiesa di Roma, predicando non l’evangelo eterno, ma un vangelo che risentiva del pensiero corrotto dell’uomo. La comunità religiosa suscitata da Dio e raffigurata dall’angelo invita gli abitanti della terra a “temere Iddio e dargli gloria”. L’invito «si rivolge ad una umanità idolatra e superstiziosa sedotta dalla bestia e dal falso profeta... Il primo passo richiesto da questa umanità è che essa riconosca l’autorità sovrana di Dio e l’onori come Dio vuole essere onorato».21
Invito a temere Iddio e dargli gloria «Temere Dio, non nel terrore ma nel rispetto,... non solamente con le labbra, ma con una conversione totale».22 Il verbo fobéo, temere, non significa avere paura, ma rispetto, riverenza, venerazione. Non è un sentimento, esso esprime un comportamento religioso. Il timore-rispetto per l’Eterno è la manifestazione della conversione. «Il timore dell’Eterno è il principio della sapienza», «è odiare il male», è trovare piacere nei comandamenti di Dio, perché «temere Dio ed osservare i suoi comandamenti è il tutto dell’uomo». Temere Dio è un atto di fede, ma anche un atto di obbedienza alla sua legge.23 «Temere Dio significa essere attenti al bene, al diritto, al giusto… Ogni passo, ogni decisione, ogni opera e ogni pensiero sono posti sotto il controllo dell’alto. È per
20
MAGER Johannes, Proclamer le Message Prophétique: Mission Permanente de l’Eglise, in AA.VV., Prophétie et Eschatologie, Conférences Bibliques Division Eurafricaine, vol. II, 1982, p. 142. 21 C. Masson, o.c., pp. 64, 65. 22 C. Brütsch, o.c., p. 245. Se paura ci deve essere non è tanto nei confronti di Dio, ma di utilizzare in un modo sbagliato la nostra libertà per allontanarci da lui. 23 Salmo 111:10; Proverbi 1:9; 9:10; 8:13; Ecclesiaste 12:15; Deuteronomio 4:10; Esodo 20:20; Ezechiele 12:13; Apocalisse 12:17. C’è da chiedersi se questo messaggio che invita ad avere rispetto nei confronti di Dio possa essere messo in contrapposizione al potere che Daniele ha descritto nel suo capitolo 7 che avrebbe «cambiato i tempi e la legge», che l’apostolo Paolo riprende nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi 2:3,4 presentandolo come «empio», «avversario», «che s’innalza sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino a porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio», che Giovanni presenta nel capitolo 13. Questa istituzione avrebbe proferito parole arroganti, bestemmie nei confronti di Coloro che erano nel santuario celeste. Quando la profezia diventa storia
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questo che il temere Dio costituisce un leitmotiv importante nella letteratura di saggezza».24 Riconoscere Dio come Creatore, Giudice e Signore significa prendere Dio sul serio.
«L’ora del suo giudizio è venuta» - tempo nel quale si colloca il primo appello L’urgenza di questo primo appello è motivata dall’imminenza del giudizio: «L’ora è venuta». Oltre a mettere in risalto un particolare aspetto dell’insegnamento biblico, è un invito a prendere una decisione in un breve tempo, non motivata dalla paura, ma dall’evangelo, dall’amore che Dio ha per l’uomo. Questa precisazione ci permette di collocare la predicazione in un’epoca ben determinata: nel tempo della fine, nel tempo che precede il ritorno del Figlio dell’uomo, nel tempo in cui Cristo Gesù, come Sommo Sacerdote, compie la sua opera di giudizio nel Santuario celeste. Sebbene l’evangelo predicato sia quello degli apostoli, questo messaggio del primo angelo verte sull’aspetto del giudizio che sia Cristo che i suoi discepoli hanno collocato in un tempo lontano. La predicazione apostolica consisteva nel testimoniare ai loro contemporanei che la grazia di Dio era apparsa, e non si proponeva altro che far conoscere Cristo e Cristo crocifisso. Il tempo del giudizio è «a venire» diceva Paolo a Felice, e ad Atene ricordava che Dio giudicherà il mondo con giustizia.25 La predicazione di questo messaggio non corrisponde neppure a quella che ha caratterizzato il risveglio della Riforma del XVI secolo. Essa verteva essenzialmente sulla “giustificazione per fede”, non ebbe un carattere universale, e fu circoscritta alla sola Europa. Il tema della Riforma era: «Solo la grazia».26 L’insegnamento della Riforma voleva essere un ritorno alle origine apostoliche, ma non è riuscito.
24
J. Doukhan, o.c., p. 173. Daniele 7:13; Tito 2:11,12; 1 Corinzi 2:21; Atti 17:31; 24:25. 26 Nel XVI secolo, all’epoca della Riforma diversi teologi luterani hanno creduto di vedere in Lutero l’angelo dell’Apocalisse, altri hanno identificato l’angelo di Apocalisse 14:16 con il luteranesimo e altri ancora con la Riforma in generale. Vedere VAUCHER Alfred Félix, Le Jugement, 1966, p. 13. «Già nel 1530 (Lutero) era convinto che la fine fosse imminente e che essa arrivasse con una rapidità catastrofica. Decise allora di pubblicare immediatamente la sua traduzione di Daniele, al fine di potere compiere la sua opera prima del grande e terribile giorno del Signore. Espresse lo stesso timore che la venuta del Signore si sarebbe manifestata prima che avesse terminato la traduzione delle Scritture. Restò in questa ardente attesa escatologica fino alla sua morte, ma calcolò sempre di più il momento della fine. Nel 1541 pubblicò un libro intitolato Supputatio annorum mundi che fece ristampare nel 1545, in una edizione aumentata. In questo libro calcolò gli anni della storia secondo il vecchio stile patristico, e trovò che l’anno 1540 dopo Gesù Cristo doveva corrispondere all’anno 5500 dopo la creazione. Cinquecento anni dovevano ancora passare prima dell’eterno sabato ma il Signore aveva promesso di abbreviare il tempo per amore dei suoi eletti. Come il Signore stesso non era stato tre giorni e tre notti intere nella tomba, così pure il giorno della resurrezione della Chiesa sarebbe stato affrettato. Tutt’al più cento anni potrebbero 25
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Questa predicazione è quella del tempo della fine. Il brano del testo biblico che segue il triplice messaggio, come abbiamo detto, descrive la mietitura e quindi ciò che viene annunciato all’umanità ha lo scopo di preparare e portare a compimento il popolo di Dio per il suo Regno. Ciò corrisponde alla predicazione iniziata nella metà del XIX secolo e che continua nel nostro in vista della «consumazione dell’opera missionaria sulla terra».27 È nel nostro tempo che il quadro profetico si sta compiendo nella storia e possiamo dire con A. Berthoud: «Se siamo attenti ai segni dei tempi, sembra proprio di essere nell’epoca descritta nei termini di Apocalisse XIV:6».28 L’appello annuncia quanto è iniziato alla scadenza dei 2300 anni profetici di Daniele, l’opera del giudizio con la sua conseguente purificazione del Santuario celeste.29 Si ha quindi in Apocalisse XIV la realizzazione di quanto viene ordinato nel capitolo X al popolo di Dio, rappresentato dall’apostolo Giovanni, che aveva divorato il «piccolo libro» del profeta Daniele: «Bisogna che tu profetizzi sopra molti popoli e lingue e re».30 La Chiesa di Dio annunciando «l’evangelo eterno», purificato da secoli di apostasia, insegna la verità, realizza questo mandato. Mentre sulla terra avviene questa proclamazione della salvezza, in cielo si compie il giudizio preliminare, che precede il ritorno di Gesù, presentato da Daniele VII, dove i libri che descrivono le opere degli uomini vengono aperti e il Re entra nella sala delle nozze per vedere se tutti gli invitati hanno l’abito di giustizia e per allontanare coloro che, pur avendo accettato l’invito e avendo fatto parte della Chiesa, non hanno accettato pienamente quanto il Signore ha fatto e preparato per loro.31 C’è un doppio parallelismo tra Colui che si presenta alla chiesa di Laodicea, la Chiesa del tempo del giudizio dei popoli: «il testimone fedele e verace, il principio della creazione di Dio» e il primo appello che la Chiesa del giudizio preliminare deve fare conoscere: oltre ad annunciare l’evangelo eterno nella sua fedeltà alla rivelazione, invita gli uomini ad adorare il Creatore.32
ancora passare prima della fine» TORRANCE T.F., Les Réformateurs et la fin des temps, in Cahiers Théologiques, n. 35, Neuchâtel, p. 16. 27 GODET Frédéric, Études Bibliques - Nouveau Testament, 5a ed., Neuchâtel 1888, p. 321. 28 BERTHOUD Aloys, Le drame de la fin, Lausanne 1922, p. 25. 29 Vedere i nostri Capitoli XI e XIII, p. 440 e seg., e p. 536 e seg. 30 Apocalisse 10:11. Vedere il nostro Capitolo XIV - Il Sorgere di un movimento mondiale. 31 Vedere il nostro Capitolo XIII, p. 525 e seg. 32 Apocalisse 3:14; 14:7.
Parallelismo tra Apocalisse 3:14
Apocalisse 14:7
- il Principio della creazione di Dio.
- (Qui è la costanza dei santi) ... recante l’evangelo eterno - Adorate Colui che ha fatto il cielo e la terra.
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- «Questo dice l’Amen, il testimone fedele e verace
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Nel XIX secolo assistiamo alla messa in discussione dell’ esistenza di Dio e del suo Regno in nome del socialismo reale; dell’opera creativa di Dio nel nome dell’evoluzione; del valore della rivelazione biblica nel nome della ragione. Dio risponde a questa povertà umana facendo annunciare l’evangelo eterno che ricorda il Regno di Dio che viene, la perennità della sua parola e la realtà del suo essere Creatore. Fino ai primi decenni del XIX secolo il vivere degli uomini attraverso i secoli si è svolto su un piano alquanto lineare. Dal secolo scorso in poi, la linea del “progresso”, se la possiamo tracciare su un grafico, ha avuto una curva verso l’alto presentandosi oggi in forma pressoché verticale. In campo militare, si passa da guerre campali a guerre totali. Non è più una nazione contro un’altra, è un blocco contro un altro. Nel campo tecnico si costruisce la macchina a vapore, si creano le prime automobili, si vola e le distanze si accorciano. L’era industriale ed il progresso tecnico sono alla base del rinnovamento socio-politico del marxismo, movimento filosofico che in breve tempo, per la sua carica ideologica, conquista milioni di persone. Usando gli stessi mezzi dei potenti che lo hanno preceduto, cerca d’imporsi con la propaganda e la violenza. La sua filosofia di carattere universale è in favore della masse lavoratrici. Essa «oltrepassa tutte le filosofie sorte nell’Evo Moderno e che peraltro le avevano preparato la strada; dall’Illuminismo al Positivismo, dall’Idealismo all’Esistenzialismo, dallo Storicismo a tutte le filosofie laiche moderne ed ogni forma di ateismo moderno filosofico. L’ateismo marxista non è teorico, ma è un ateismo pratico; si presenta come un messianismo destinato a trasformare il mondo in una palingenesi sociale, diretto a sostituire al paradiso dell’oltretomba il paradiso in terra».33 «Il marxismo ai nostri giorni è diventato il tutore di tutti coloro che cercano il pensiero confortevole della verità indiscutibile e del senso unidimensionale; ecco perché numerosi sono i pastori e i preti che camminano al passo dietro alla bandiera della demitizzazione il cui colore ci fa capire che la stella rossa si deve sostituire a quella di Betlemme. In effetti, se demitizziamo l’escatologia, ci si dirà, troviamo la storia; se demitizziamo il male, troviamo l’alienazione e lo sfruttamento degli uomini sugli uomini; se demitizziamo la Chiesa, troviamo l’umanità; se demitizziamo il combattimento contro Satana, troviamo la lotta contro il capitale; se demitizziamo il Regno e il Paradiso, troviamo la società senza classe; se demitizziamo la crociata, troviamo la guerra rivoluzionaria; se demitizziamo la lotta del bene contro il male, troveremo il buon combattimento della Sinistra contro la Destra; se demitizziamo la grazia, troviamo la praxis; in breve, se demitizziamo il Cristianesimo, troviamo la politica marxista che metterà la Rivoluzione sul trono della Redenzione».34 Il Settecento, l’epoca dei lumi, prepara l’uomo ai profondi sconvolgimenti del XIX secolo. L’uomo vuole staccarsi da “superate” concezioni del mondo per ricercare 33 34
SABADIN Gavino, La storia come Passato presente e futuro, 1967, p. 55. BRUN Jean, Idéologie de la démythisation, in La Revue Reformée, n. 103, 1975/3, pp. 97,98.
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una sua nuova identità, che sia rispettosa della sua libertà e della sua nuova volontà di erigersi a protagonista della sua storia. Lo sviluppo tecnico dilata i confini del sapere e le comunicazioni annullano le distanze che separano i Paesi ma allontanano gli uomini tra di loro. Ogni nuovo successo dell’uomo è considerato una sconfitta di Dio! Dal punto di vista scientifico esiste la volontà di trovare una forma atta a spiegare il mondo nel suo insieme e l’evoluzione interpreta tale ruolo. Questa teoria costituisce il coagulo di varie tendenze e s’impone per il suo fascino. Essa pensa di dare un significato al lavoro dei naturalisti, prima ridotti a semplici strumenti di classificazione del mondo vivente. È servita a giustificare l’imperialismo occidentale con la sua spinta coloniale e il modo di porsi di fronte alle razze di colore, facendo del bianco l’apogeo della scala evolutiva della specie.35 Questa teoria, dopo oltre un secolo, è ancora oggi a livello di ipotesi e sembra che non abbia delle valide fondamenta scientifiche. Ma questo pensiero ha talmente influenzato le menti degli insegnanti che lo si presenta nelle scuole come dogma, un dato di fatto.36 Oggi «per tentare di dissimulare il fallimento della nostra civiltà materialistica, i sostenitori della scienza ufficiale proclamano più forte il dogma che da tempo è la loro risorsa vitale, in mancanza di meglio».37 Ciononostante «l’evoluzione è una specie di dogma al quale i sacerdoti38 non credono più ma che mantengono per il popolo. Bisogna avere il coraggio di dirlo perché gli uomini della generazione futura orientino le loro ricerche in altro modo».39
35 FANTONI Vittorio, Brevi note sul problema dell’evoluzione, Malcesine 1977, ciclostilato. SISMONDI Giuseppe e FONDI Roberto, Dopo Darwin, critica all’evoluzionismo, ed. Rusconi, Milano 1980. 36 Se la maggioranza dei paleontologi continua ad affermare che l’evoluzione è un fatto, è molto probabilmente perché, immersi fin dalla loro giovane età e durante tutti i loro studi in un ambiente in cui l’evoluzione è ammessa come dogma indiscusso, essi arrivano a non pensare più per un solo istante di mettere da parte questa teoria. Il professore L. Bounoure stesso ha denunciato questo comportamento quando racconta che, come studente di biologia, era naturalmente evoluzionista perché i suoi maestri lo erano, e a lui non veniva l’idea per nessuna cosa al mondo di poter essere diverso. Mostra bene come dovette lottare contro l’imprigionamento della teoria quando, diventato professore di biologia all’università, si accorse che i fatti si opponevano alla teoria, portandolo, per onestà intellettuale, a combattere la teoria che aveva da tempo accettato ed insegnato come una realtà evidente. BOUNOURE L., Recherche d’une doctrine de la vie, Paris 1964; vedere FLORI J. - RASOLOFOMASOANDRO H., Evolution ou creation?, Dammarie Les-Lys 1973, p. 101. ROSTAND Jean, biologo di fama mondiale, pur essendo evoluzionista riconosce: «Si vede male come degli incidenti indipendenti gli uni dagli altri avrebbero potuto concatenarsi per dare nascita a degli organi complessi come l’occhio, il cervello, l’orecchio. Le mutazioni che conosciamo offrono quasi tutte un carattere limitativo, distruttivo, sottrattivo. Pure quelle che si possono considerare come aggiuntive non apportano nella specie qualcosa di assolutamente nuovo e sufficientemente rivoluzionario per essere veramente evolutivo», L’homme, Paris 1952, p. 126. «Certi biologi sostengono che gli esperimenti di laboratorio sono troppo brevi per essere significativi, ma non si vede quale potrebbe essere qui l’apporto della durata: se l’effetto ereditario è nullo, come l’esperienza indica, resterà ugualmente nullo per qualunque numero lo si moltiplichi» Idem, p. 102. GUYÉNOT Émil, egli stesso evoluzionista, riconosce: «L’ipotesi della generazione spontanea della vita, se essa ci appare la sola razionale, solleva molti problemi e non si basa su alcun dato positivo... Dell’origine della vita, noi non sappiamo assolutamente niente» L’origine des espèces, ed. PUF, Paris 1966, p. 19. 37 SERVIER Jean, L’uomo e l’invisibile, ed. Borla, Torino 1967; Rusconi, Milano 1973, p. 26. 38 Termine religioso per indicare gli scienziati che sostengono come verità di fede l’evoluzione. 39 LEMOINE, Encyclopédie Française, 1938; cit. da CARLES Jules, Le Transformisme, Paris 1970, p. 86.
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Con l’evoluzione «siamo qui in pieno mito, al centro di un colossale falso scientifico... Tutte queste teorie, tutti questi sistemi, tutte queste conclusioni che precedono l’osservazione dei fatti, hanno per unico scopo quello di calmare l’angoscia dell’uomo bianco isolato da così lungo tempo dal resto dell’umanità e di farlo sentire tranquillo nonostante i suoi crimini e le sue oppressioni... Questa certezza (dell’evoluzione) valida per i nostri nonni, non può soddisfare oggi uno spirito scientifico, come non può dare un senso al nostro cammino nella notte».40 Questa teoria insegnata oggi da teologi e riconosciuta anche dalla Santa Sede, smantella l’origine dell’uomo, la sua innocenza e la sua ribellione nei confronti di Dio, il senso dell’incarnazione dell’Eterno e la storia della salvezza. Ed è così che, nel nome dell’evoluzione, il Dio creatore è stato evacuato dalla scienza. In campo religioso non si accetta più la Rivelazione, la si discute, e la scuola detta razionalista del Graf-Wellhausen, che l’archeologia degli anni Venti ha demolito, continua oggi a intossicare gli studi biblici. Il risultato è che alla fine del XX secolo la teologia non crede più nell’escatologia41 e sembra che le Chiese non abbiamo più niente da dire al mondo se non ripetere quello che gli uomini sanno di già e ancor meglio delle Chiese. «Mi ricordo - scrive Jaques Ellul, professore all’università di Bordeaux dell’orrore che mi ha colto, quando nella grande assemblea Chiesa e Società del Consiglio Ecumenico fu ripetuta la formula di Nkruman: “Ricercate prima di tutto il regno politico, e tutto il resto vi sarà sopraggiunto”. Questa frase fu colta da una tempesta di applausi di centinaia di cristiani. La politica era là, diventata il dio! Essa è ora considerata come la sola possibilità seria dell’incarnazione della fede».42 Il pensiero teologico protestante ha umanizzato e storicizzato la Parola di Dio, cioè ha posto al suo centro non il Dio trascendente che entra nella storia e si rivela, ma l’uomo che stabilisce la verità e il bene nel confrontarsi con la realtà di Dio.43 40
J. Servier, o.c., pp. 38,31,34. L’espressione significa discorso sulle cose ultime. «L’escatologia serve per dare a Dio e alla causa del bene l’ultima parola nell’universo: essa rivolge un supremo omaggio contemporaneamente alla bontà, alla giustizia e alla potenza di Dio» GRETILLAT A., Dogmatique, t. II, 1890, p. 531. «La generazione che superava i 20 anni prima della prima guerra mondiale aveva ereditato dal XIX secolo una ferma fiducia nell’uomo. Coloro che allora si azzardavano a parlare di “escatologia” sollevavano in generale un grido di protesta indignata. Nietzsche predicava con risolutezza il superuomo e Gide invitava la gioventù ai festini terrestri. Ci si aspettava tutto dal futuro. Tutto, tranne due guerre mondiali in meno di 25 anni.. Da allora e fino alla nausea, Sartre canta il “nulla”, mentre Camus è assalito dall’assurdità dell’esistenza» DUC Daniel, Luci ed Ombre del nostro tempo, ed. AdV, Firenze 1960, p. 77. 42 ELLUL Jacques, Réflexion sur la politique de l’Eglise, in Conscience et Liberté, n. 6, 1973, p. 52. 43 Un esempio di questo scollamento tra rivelazione di Dio e umanizzazione e storicizzazione del testo sacro lo abbiamo nel documento Relazione della Commissione mista FCEI (Federazione Chiese Evangeliche Italiane) / UICCA (Unione Italiana della Chiese Cristiane Avventiste del 7o Giorno) in vista di una futura collaborazione, agosto 1994, dattiloscritto. Nelle pp. 2 e 3 si legge: «Diverso è invece apparso il modo di porsi davanti alla Legge. Per le Chiese della Federazione l’ubbidienza alla Legge non è oggettivabile in osservanze “universali”, identiche in ogni tempo e in ogni luogo, ma deve essere interpretata, attualizzata e applicata in ogni tempo - e da persona a persona alla luce di una conoscenza della Parola di Dio illuminata dalla riflessione della comunità dei credenti e indirizzata dallo Spirito Santo. La Legge non dà precetti positivi dettagliati, ma offre orientamenti generali e insegna un 41
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Le Chiese non più coerenti con la Parola di Dio, non ascoltandola sempre come la rivelazione del Signore, si presentano al mondo nello scandalo delle loro divisioni, cercando l’unità sul piano sociale, nel rispetto dei propri dogmi e tradizioni, visti come ricchezza del patrimonio dell’evangelo, che di fatto le impoverisce se non si crea l’unità della fede nella «sana dottrina» che è verità, producendo un reale ritorno al «così ha detto l’Eterno». La fede non ha un riferimento nella rivelazione e la Bibbia, quale documento storico del Dio che ha parlato attraverso i secoli, ha sempre più un valore archeologico. La Nuova Era, panacea della fine del XX secolo, è un puré di tradizioni e culture religiose dei popoli, affascina ed è bevuta come un frappé e vaccina l’uomo nei confronti del Dio personale, creatore, che si è incarnato nella storia, artefice della Nuova Terra quale risultato del suo intervento nel tempo e dono per coloro che lo hanno accolto.
Adorare il Creatore è riconoscere che ha fatto ogni cosa Questo primo messaggio, come il terzo, si pone sul piano dell’adorazione. La Chiesa, annunciando l’evangelo, invita le nazioni a dare gloria all’Eterno, cioè a porlo al di sopra di ogni valore, di ogni creatura, autorità, a esaltarlo, a lodarlo con parole e azioni. «Rendere gloria a Dio è lo scopo di ogni vita. È con questo scopo che Gesù Cristo ha vissuto sulla terra».44 «La glorificazione di Dio è identica alla vita di obbedienza della creatura che riconosce il suo Signore. La creatura non ha più che una sola possibilità: ringraziare Dio e servirlo».45 L’apostolo Paolo insegnava a «glorificare» Dio nel proprio corpo, essendo questo il tempio dello Spirito Santo.46 Il credente realizza questo anche mediante una vita temperata, dove il vizio e le abitudini dannose che minano la salute sono banditi. L’uomo riscattato da Dio, padrone di se stesso, si alimenta tenendo conto di quei principi sanitari ed igienici che Dio aveva espresso già nell’Antico Testamento per “metodo” per attuare l’ubbidienza. Per le Chiese Avventiste del Settimo Giorno la Legge contenuta nell’Antico Testamento, essendo nella sua totalità espressione di una reale rivelazione divina, rimane valida quando non sia stata esplicitamente superata dalla rivelazione che Dio ci ha dato in Cristo (per esempio la circoncisione, le leggi relative ai sacrifici o quelle che consentivano l’uso della violenza), anche se molti altri comandamenti vanno visti nel contesto storico del tempo in cui furono dati (per esempio il non mietere gli angoli dei campi per lasciarli ai poveri) e vengono tradotti in iniziative di solidarietà sociali verso coloro che sono meno tutelati. In altri termini: gli Avventisti distinguono nella Legge norme che esprimono valori assoluti ed eterni, non condizionati dal peccato del popolo di Dio, e norme che, pur svolgendo un ruolo pedagogico in vista della riconquista dei valori assoluti, sono condizionate da tale stato di peccato ed hanno quindi bisogno della nuova rivelazione in Cristo per essere vissute secondo il loro intento profondo. Gli Avventisti ritengono pertanto che rimangano prescritte l’osservanza del sabato, la decima, la distinzione di cibi puri e impuri (anche se l’ideale rimane quello vegetariano, all’origine della creazione Genesi 1:29, N.d.A.) e tutti quei comandamenti, presenti sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, che, illuminati dall’esempio e dall’insegnamento di Cristo, spingono ad un atteggiamento etico teso ad esprimere il progetto di Dio per l’individuo e la collettività, nonché il rapporto tra Dio stesso e il credente. Questi comandamenti vanno sempre osservati, non per ricadere nella “servitù delle opere”, ma come atto di grata e gioiosa ubbidienza oltre che di testimonianza al mondo». 44 C. Brütsch, o.c., p. 245; vedere Giovanni 17: 4. 45 BARTH Karl, Dogmatique, t. II, I, 2, p. 431. 46 1 Corinzi 6:20,19. Quando la profezia diventa storia
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risalire, mediante la grazia di Dio, ad un vivere secondo quanto stabilito nell’Eden. Purtroppo la cristianità nella sua apostasia ha dimenticato che il Dio della creazione è il Padre del cielo che si occupa della salute dell’umanità. A causa di questa trascuratezza il cristianesimo si presenta al mondo come una grande religione che ha tralasciato il vero stile di vita anche se poi è impegnato in una attività umanitaria con dispensari e ospedali. Questo stile di vita, nel rispetto delle leggi fondamentali della salute, deve essere riproposto nuovamente agli uomini per liberarli da un modo di vivere che indebolisce le facoltà fisiche, psichiche e morali. «Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate alcun’altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio».47 Per 8 volte, in forma sproporzionata, i capitoli XIII e XIV riportano il verbo adorare che in tutta l’Apocalisse è presentato 24 volte, mentre in tutto il Nuovo Testamento lo si ha 60 volte. Giovanni, anche nel suo evangelo, in 5 versetti usa 9 volte questo verbo per contrapporre il vero al falso culto.48 Adorare significa abbassarsi per prendere la mano o i piedi. Da qui il verbo greco proskuneo significa prostrarsi davanti a qualcuno. È l’espressione tecnica per presentare il culto. «È importante rilevare che “adorare” non è mai qui inteso come un semplice rito cultuale. Adorare nel senso proprio di proskunéo indica principalmente “obbedire a qualcuno”, cioè sottomettere completamente la propria volontà a colui che si adora. Quindi, adorare Dio significa riconoscere in lui la più alta sovranità e in noi la più profonda dipendenza; è riconoscere che Dio e solo Lui regna su noi. Di conseguenza questo genere di culto come dice A. Molien: “Non è la semplice confessione che Dio è tutto, né la semplice ammissione della sua infinita perfezione, né un timore rispettoso provato davanti alla sua maestà suprema. Tutto questo è incluso, ma nella sua essenza, il culto è l’atto volontario di assoggettamento di sé a Dio in una intera sottomissione alla sua volontà”».49 La glorificazione di Dio ha la sua espressione nel culto, nella presa di coscienza della sua presenza e nel poter dire come Gesù: «Io ti ho glorificato sulla terra avendo compiuto l’opera che tu (o Padre) mi hai dato da fare».50 La motivazione che porta gli esseri celesti ad adorare l’Eterno è: «Degno sei, o Signore e Iddio nostro, di ricevere la gloria e l’onore e la potenza: poiché tu creasti tutte le cose, e per la tua volontà esistettero e furono create».51 Adorare Dio non è servilismo, ma esultare della nostra dignità di figli. «Dio, creando, ha dimostrato la sua potenza e la sua grazia. La sua grandezza infinita obbliga alla riverenza, e la sua prossimità permette l’incontro e l’amore. Dio è prima e al di sopra di tutti e di tutto, assolutamente indipendente ed unico, ma è anche all’origine di tutto e di tutti. Noi non esistiamo che grazie a lui e mediante lui. Noi siamo dipendenti da lui. È questa la lezione della creazione e che giustifica l’adorazione. Poiché l’adorazione è fatta di questa tensione tra il senso della distanza di Dio e l’esperienza intima della sua presenza. 47 48 49 50 51
1 Corinzi 10:31. Giovanni 4:20-24. R. Badenas, o.c., p. 148. Giovanni 17:4. Apocalisse 4:11.
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Dalle prime pagine della Bibbia, i due racconti della creazione testimoniano di questa esigenza. Nel primo testo Genesi I-II:4a, Dio, Eloim, è presentato nella sua trascendenza, Dio potente e padrone dell’universo. Nel secondo testo Genesi II:4b-24, Dio, Yahvé, è presentato nella sua immanenza, personale, Dio dell’esistenza e della storia, Dio della relazione».52 Osserva ancora J. Doukhan: «Questa associazione giudizio/creazione costituisce in effetti l’essenza della festa della Espiazione. I riti cerimoniali di Kippur riportati nei testi biblici53e nelle preghiere tradizionali della liturgia ebraica testimoniano della stessa verità. Il grande giudizio di Dio contiene in sé il messaggio di una vera ricreazione ed è proprio ciò che significa “la purificazione del santuario”. Poiché nel pensiero ebraico, il santuario rappresentava l’universo umano creato da Dio. Il tempio e il tabernacolo sono visti dagli antichi israeliti come una metafora “microcosmica” della creazione. L’idea è esplicitamente espressa nei Salmi: “Edificò il suo santuario come dei luoghi eccelsi, come la terra ch’egli ha fondato per sempre”.54 Il rapporto tra la creazione e il santuario traspare già nel racconto della costruzione del santuario che si sviluppa in parallelo con il racconto della creazione.55 Come il racconto della creazione, il testo del santuario segue una struttura che progredisce in sette tappe e che si conclude alla settima con la stessa frase stilizzata e le stesse parole ebraiche tradotte con “compié l’opera”.56 È ugualmente da rilevare che il racconto della costruzione del tempio di Salomone descrive lo stesso itinerario in sette tappe, in sette anni57e ha nella conclusione lo stesso linguaggio “così fu compiuta tutta l’opera”.58 È altamente significativo che in tutta la Bibbia ebraica questa associazione delle parole non si incontra che in questi tre passi, suggerendo un rapporto tutto particolare tra il santuario e la creazione. Questo rapporto è ugualmente rilevato nella Bibbia nel senso inverso. La creazione è descritta in termini che evocano il santuario israelitico: “Distende i cieli come una cortina e li spiega come una tenda per abitarvi”.59 - La fine della costruzione del santuario è dunque vissuta come la fine della creazione dell’universo. Questi due momenti sono d’altronde visitati dalla stessa presenza gloriosa di Dio.Per gli antichi Israeliti, la festa delle espiazioni, Kippur, significava molto di più che una semplice pulizia della tenda o dell’edificio. Il rituale di Kippur aveva una 52
J. Doukhan, o.c., p. 175. Levitico 16. 54 Salmo 78:69; confr. 134:3; 150:1,6. «Questa associazione del tempio di Gerusalemme con “i cieli e la terra” non è senza parallelo nel Medio Oriente. Nell’antica Sumer, il tempio Duranki significa “luogo del cielo e della terra” e a Babilonia si conosceva un altare con il nome Etenanki, “la casa in cui si trova la fondazione del cielo e della terra” (vedere D. LEVENSON, Creation and the Persistence of Evil, New York 1988, pp. 78,79; confr, G.W. AHLSTROM, Antiquity, ed. B.A. Person, Missoula 1975, p. 68» J. Doukhan, o.c., p. 186. 55 Esodo 25-40. 56 Genesi 1-2:4a, Esodo 40:33; confr. Genesi 2:3. Vedere P.J. KEARNEY, Creation and Liturgy - The Redaction of Exodus 25-30, in Zeitschrift für Alttestamentliche Wissenschaft, n. 89, 1977, p. 375; confr. J. BLENKNSOPP, The Structure of P, in Catholic Biblical Quarterly, n. 38, 1976, pp. 276,278. 57 1 Re 6:38. 58 1 Re 7:51. 59 Isaia 40:22. 53
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intenzione cosmica. La purificazione del santuario indicava la purificazione del mondo, cioè la sua ricreazione. È per questo motivo che la creazione futura di “nuovi cieli e di una nuova terra” è unita alla creazione di una “nuova Gerusalemme”.60 È ugualmente la ragione per la quale il profeta Daniele descrive il Kippur cosmico di Daniele VIII:14 in termini presi dal linguaggio della creazione: “sere e mattine”. Questa espressione molto rara si trova solo nel contesto del racconto della creazione.61 In seguito, come prolungamento della voce biblica, la tradizione ebraica ha assimilato il giudizio di Kippur a una creazione. Secondo uno dei più antichi commentatori ebraici della Genesi, la nascita del Kippur coincide con quella dell’universo: “Ci fu una sera, ci fu un mattino, giorno unico, ciò significa che il Santo Benedetto diede a loro (a Israele) un giorno unico che non è nient’altro che il giorno di Kippur”.62 La preghiera recitata in quel giorno, le riflessioni teologiche che ispira, portano invariabilmente lo stesso riferimento al giudizio e alla creazione. “Benedetto sia tu, Eterno nostro Dio, re dell’Universo, che ci apri le porte della misericordia e che illumini gli occhi di coloro che attendono il perdono di colui che crea la luce e l’oscurità, e crea ogni cosa”.63 Si ritrova pure l’appello al timore di Dio che si ascolta in Apocalisse XIV nello stesso riferimento al giudizio e alla creazione, nelle preghiere: “Noi dobbiamo dare tutta la santità a questo giorno poiché è un giorno di timore e di terrore. È in quel giorno che il tuo regno è stabilito e che il tuo trono è affermato… Poiché tu sei il giudice, il procuratore e il testimone, colui che scrive e che sigilla. Ti ricorderai di tutte le cose dimenticate e aprirai i libri dei ricordi… Allora suonerà il grande schofar (corno, tromba), e la voce del sottile silenzio si farà sentire, e gli angeli si precipiteranno tutti presi da timore e da tremore e diranno: ‘Ecco il giorno del giudizio!?”.64 Attraverso questa associazione del giudizio e della creazione, bisogna comprendere l’intenzione di evocare la festa delle espiazioni. L’Apocalisse raggiunge Daniele fino nel movimento della sua struttura letteraria. Come Daniele, l’Apocalisse trova qui sul giudizio il suo centro geometrico. Ma mentre Daniele vedeva la faccia celeste dell’avvenimento, l’Apocalisse rivela la sua faccia terrestre. La proclamazione del giudizio e della creazione sulla terra è la contropartita del Kippur nel cielo». 65
L’invito di Dio
60 61 62 63 64 65
Isaia 65:17,18; Apocalisse 21:1. Genesi 1:5,7,13,19,23,31. (Midrash Rabbah, Genesi IV,10). (Yotser leyom Kippur). Raccolta di preghiere, Mahzor min rochachana weyom haKippourim, prima parte, p. 31. J. Doukhan, o.c., pp. 186,187, 201, 186,187,188,189.
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In un contesto senza precedenti come quello del XIX e XX secolo Iddio suscitava il suo portavoce per invitare gli uomini per il loro bene: «Temete Iddio e dategli gloria perché l’ora del suo giudizio è giunta. Adorate Colui che ha fatto il cielo e la terra e le fonti delle acque». Già nella Chiesa apostolica l’accettazione dell’evangelo implicava il timore dell’Eterno e la pratica del culto al Creatore. Leggiamo infatti nel libro degli Atti: «Vi predichiamo ... (affinché) vi convertiate all’Iddio vivente, che ha fatto il cielo, la terra e tutte le cose che sono in essi».66 Poiché l’uomo non si riconosce più come creatura di Dio, come essere voluto, risultato di un progetto, si dà al materialismo. Crede alla morte di Dio e si procura l’agonia nella sua esistenza. Non ha più tempo per pensare, segue l’andazzo del mondo. Non cessa di rubare a causa del proprio egoismo. Distrugge la creazione e non ha tempo per la famiglia e per il proprio Creatore. Proprio quando l’uomo cominciava ad affermare il suo ateismo moderno, seconda metà del XIX secolo, con le conseguenti sue deviazioni filosofiche, Dio preveniva la catastrofe ricordandogli la sua origine. Questo invito ad adorare il Creatore è anche una proposta di osservanza del IV comandamento, in quanto in esso Dio si presenta come il creatore del cielo e della terra. «È stato rilevato che il susseguirsi delle parole utilizzate in Apocalisse XIV:7, per esortare ad adorare Dio quale Creatore, è un riferimento all’Esodo XX:11, il comandamento del sabato, nel decalogo: “Adorate colui che ha fatto il cielo, la terra, il mare... Poiché l’Eterno ha fatto il cielo, la terra, il mare...” Si può vedere in questo riferimento un segno che dimostra che adorare Dio nella qualità di Creatore significa anche osservare il giorno che egli stesso ha fissato come memoriale della sua creazione. In ogni caso, l’intenzione del testo è chiara: l’adorazione non è dovuta che a Dio, e questo per tre motivi: - perché è il Signore (“adorate il Creatore del cielo, della terra..”); - perché è il Salvatore (“l’evangelo eterno”); - perché è il Giudice dell’umanità (“l’ora del suo giudizio è venuta”). È interessante constatare che queste tre ragioni di obbedire a Dio sono esplicitamente presentata nella prima parte del decalogo: - IV comandamento: “Poiché in sei giorni Dio ha creato...”; - Introduzione: “Io sono l’Eterno il tuo Dio che ti ha fatto uscire dalla ... casa di schiavitù”;
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- II comandamento: “Poiché io sono un Dio geloso, che punisco l’iniquità... di coloro che mi odiano, ma che uso benignità... nei confronti di coloro che mi amano e che osservano i miei comandamenti”.67 È chiaro che la prima tavola della legge è in gioco».68 «Il fatto che il sabato occupi un posto così considerevole nel decalogo come mostra il linguaggio di questo comandamento così solenne, e che questo comandamento sia ripetuto molte volte nell’Antico Testamento mostra che si tratta di una istituzione centrale nella vita del popolo di Dio».69 «Alla sua entrata nell’esistenza terrena, l’anima umana, questa nobile fidanzata dello Spirito Santo, ha ricevuto il pegno della sua vocazione alla vita celeste. Questo pegno, questo anello di fidanzamento, se lo si può chiamare così, è il sabato. Il riposo sabbatico, come Dio lo ha istituito dal primo giorno dell’esistenza umana, racchiude virtualmente nel suo seno tutte le ricchezze future della vita superiore alla quale l’uomo è stato chiamato».70 Dio, lasciando all’uomo quell’anello, lo aiuta ad attendere il giorno delle nozze. Purtroppo su questo anello di fidanzamento si parla poco e si scrive ancor meno e ciò che sovente viene detto tende ad annullare il comandamento del Signore. «In generale, l’etica teologica ha trattato questo comandamento di Dio... con una leggerezza e una negligenza che non corrispondono né all’importanza che gli attribuisce la Scrittura, né al significato essenziale che possiede oggettivamente».71 L’osservanza del sabato non ha come base nessuna legge della natura. Il giorno è la durata di tempo che la terra impiega a ruotare su se stessa; il mese è il tempo che la luna impiega a ruotare attorno alla terra; l’anno è il tempo che la terra impiega a girare attorno al sole. La settimana non è collegata a nessun tempo cosmico, in tutte le culture e tradizioni, ha la sua giustificazione nel tempo con il quale la divinità ha scandito i giorni di lavoro con quello dell’adorazione, del riposo di Dio. «Dio compì l’opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno», dice la Genesi. Perciò nel IV comandamento si legge: «Ricordati del giorno del sabato per santificarlo... poiché in sei giorni, l’Eterno fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò ch’è in essi e si riposò il settimo giorno; perciò l’Eterno ha benedetto il giorno del riposo e l’ha santificato».72 «La creazione non si spiega da sola, ma ha il suo senso nel riposo di Dio, che è lo scopo della creazione del Signore... Nei racconti della creazione il sabato ha lo scopo di indicare che il lavoro compiuto dal Creatore ha la sua ragion d’essere nel suo riposo. Il peccato dell’uomo è il rifiuto di accettare questo e un tentativo per trovare una interpretazione autonoma della creazione. Il significato del sabato di Dio non è abolito dal peccato dell’uomo, ma è intensificato da questa ribellione. Ora, più che 67 68 69 70 71 72
Esodo 20:11,2,5,6. R. Badenas, Idem, p. 153. VISSER’T HOOFT W.A., in A.A.V.V., L’ordre de Dieu, Genève 1946, p. 50. GODET Frédéric, Le dimanche, Genève 1889, pp. 8, 9. BARTH Karl, o.c., III, 4, t. 15, p. 50. Genesi 2:2; Esodo 20:8,10,11.
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mai, il sabato diventa segno della grazia di Dio verso un mondo che dipende da lui ma che rifiuta di riconoscerlo. Questo aspetto del riposo di Dio stabilisce una continuità tra la creazione e la redenzione. Il sabato ha ora un senso soteriologico. È un segno particolarmente concreto della grazia divina nei confronti dell’uomo. Il riposo di Dio non è distrutto dalle azioni degli uomini; esso sussiste, e resiste alla loro indifferenza e alla loro irrazionalità, come testimone della necessità dell’uomo. La caduta aggiunge anche una nuova dimensione al senso del sabato di Dio. Il sabato di Dio parla non solamente del suo riposo dopo la creazione, ma anche della redenzione futura della creazione. Nel suo riposo Dio guarda indietro, ma anche in avanti, al futuro escatologico e alla consumazione del riposo. Segno della creazione, il sabato lo è ugualmente della creazione rinnovata. Dio è Signore dell’una e dell’altra, ed esse dipendono tutte e due dalla sua opera. Quando Dio salva il suo popolo e fa alleanza con lui, ordina il sabato come segno della grazia redentrice».73 Questo insegnamento in forma sintetica è stato espresso già da Mosè, quando, dopo aver ricordato le parole del IV comandamento, aggiunge, a commento e spiegazione del perché dell’osservanza del sabato: «Ricordati che anche tu fosti schiavo in Egitto, e di lì ti cavò il Signore Dio tuo con mano forte e braccio potente. Per questo ti comandò di osservare il giorno di sabato».74 Mosè sottolineò che Dio è contemporaneamente creatore e redentore, e quindi il sabato, questo giorno messo da parte nella vita israelitica, è segno della sua attività creatrice e redentrice. Nel suo aspetto sociale il sabato è il giorno di riposo del servo, dell’operaio e fa ricordare al padrone che colui che lavora per lui è suo fratello; e che lui stesso, se ora è libero, quale datore di lavoro, ieri era schiavo nel paese d’Egitto. «Il sabato segna l’atto di redenzione compiuto nel corso della storia della salvezza... Se dunque il primo Adamo conobbe un riposo come signore vassallo nel dominio delle cose create e ricevette l’esortazione di entrare pienamente nel riposo di Dio mediante l’obbedienza, all’uomo disobbediente non è più possibile entrare nel riposo. Dopo la caduta, il riposo è offerto all’uomo mediante la grazia. Il senso del sabato nella storia dell’alleanza è quello di orientare l’uomo verso la salvezza futura. È contemporaneamente un segno del giudizio e della grazia: di giudizio, perché il tentativo umano di entrare nel suo proprio riposo d’autogiustificazione è condannato; e della grazia, perché indica in anticipo la realizzazione del riposo escatologico di Dio. Per il popolo di Dio, osservare il sabato è cogliere il segno della salvezza escatologica offerta da Dio.75 Rifiutare il riposo, al contrario, è separarsi dal popolo di Dio e porsi sotto il giudizio escatologico.76 L’osservanza del giorno del sabato è fondata sulla storia della salvezza e si definisce nel contesto di questa storia. Essa fissa nella memoria ciò che Dio ha fatto (e ciò che l’uomo ha mancato di fare) e 73 74 75 76
WELLS Paul, Le sabbat signe eschatologique, in Revue Réformée, 1976, p. 140. Deuteronomio 5:15; edizione Salani. Isaia 58:13,14; 56:1-7; Geremia 17:19-27. Esodo 31:14; 35:2; Numeri 15:32-36; Ezechiele 20:13; Nehemia 13:17,18. Quando la profezia diventa storia
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precisa la necessità della consumazione escatologica. Essa segna l’indicativo di ciò che è già compiuto da Dio e l’imperativo del completamento finale. - Il sabato che appartiene alla creazione, ha un valore escatologico che lo supera. Il riposo escatologico è questa realtà di cui il sabato settimanale è un tipo. L’osservanza del tipo è il mezzo mediante il quale il principio del compimento si introduce negli atti divini di giudizio e di grazia».77 Coloro quindi che attendono di entrare nel riposo eterno di Dio, che è futuro, oggi sulla terra hanno «un riposo di sabato»78 che permette di godere per anticipazione ciò che ancora si deve compiere. La santificazione del sabato è nel presente il monumento che commemora la creazione futura dei nuovi cieli e della nuova terra. Questo primo messaggio ci mostra, come dice K. Barth, che «L’evangelo e la Legge non devono essere disgiunti, essi costituiscono una sola entità».79 Possono presentare gli altri due messaggi coloro che accettano la realtà del giudizio che si compie nel cielo, che trovano mancanti i pensieri degli uomini e si purificano dalle ideologie umane, sociali, educative e vivono tentando di produrre nel quotidiano i valori dell’eternità, permettendo che la grazia di Dio li prepari per la Nuova Terra.
Secondo appello «Poi un altro angelo, seguì dicendo: “Caduta, caduta è Babilonia la grande, che ha fatto bere a tutte le nazioni del vino dell’ira della sua fornicazione”».80 L’espressione «Babilonia la grande» è presa in prestito da Daniele IV:30. Il nome di questa città viene posto in Apocalisse in opposizione con la Nuova Gerusalemme, dimora degli eletti di Dio. L’origine di Babilonia si confonde con un progetto smisurato dell’orgoglio degli uomini nell’opporsi a Dio: la costruzione della città, con la sua torre chiamata Babel, al tempo di Nimrod. La ribellione di Satana in cielo continua attraverso gli uomini in terra. La torre di Babele è, nella mente dei suoi promotori, un edificio alla gloria dell’uomo. Il suo nome significa “porta dei cieli”; essa però diventa la testimone della loro follia e la radice di Babele “bll” vuole dire: “mischiare”, “confondere”.81
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P. Wells, o.c., pp. 141, 142. Ebrei 4:9. La parola che qui viene impiegata per indicare il riposo del giorno di sabato è sabbatismos cioè celebrazione del sabato. Questa espressione greca la si trova solamente in questo passo nel Nuovo Testamento. Deriva dal verbo sabbatizo ed è impiegato nella versione dei LXX in Esodo 16:30 che dice: «Così il popolo si riposò il settimo giorno» o «Il popolo osservò il riposo sabbatico, il giorno settimo». La Bibbia, ed. Marietti traduce Ebrei 4:9: «Un riposo sabbatico per il popolo di Dio». 79 BARTH Karl, Esquisse d’une dogmatique, Neuchâtel 1950, p. 15. 80 Apocalisse 14:8. 81 C.Brütsch, o.c., p. 245; vedere Genesi 10:8-10; 11:1-9. 78
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Lo spirito di Babilonia si manifesta in tre direzioni: - volontà di potenza, di dominio, di supremazia: «Edifichiamoci una città ed una torre la cui cima giunga fino al cielo»; - ricerca della gloria: «Acquistiamoci fama», diceva il re Nebucadnetsar e aggiungeva: «Non è questa la gran Babilonia che io ho edificato come residenza reale con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà?»;82 - desiderio di unione, di forza e di sicurezza al di fuori della parola di Dio: «Edifichiamoci una città e una torre... onde non siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra». L’Eterno aveva detto dopo il diluvio: «Crescete e moltiplicate e riempite la terra».83 Babilonia, dalla torre di Babele in poi, è il simbolo dell’orgoglio dell’uomo deificato, del potere che vuole dominare sulle cose spirituali e materiali. Sebbene non rimanga nulla della torre di Babele se non forse un ammasso di rovine, vive però oggi ancora il suo spirito. «Qualsiasi tentativo per conseguire il potere universale, temporale o spirituale, qualsiasi esaltazione di terrestre sovranità sul trono, o nelle comuni vie dell’umana vita, qualsiasi aspirazione alla gloria ed alla fama... tutto questo rivela lo spirito che animò gli abitanti dell’antica Babele».84 «Babilonia si manifesta così come l’antitesi di Gerusalemme. L’uomo si è esaltato, e ricerca l’immortalità mediante le sue realizzazioni prestigiose. Questa opulenta capitale diventa il centro del regno satanico».85 Babilonia è il simbolo della ribellione contro Dio, ma anche dell’inimicizia contro il popolo che Dio si è scelto.86 Babilonia si è estesa nel mondo avvelenandolo con le sue dottrine adulterate facendo «bere a tutte le nazioni del vino dell’ira della sua fornicazione». Per questa sua estensione l’Apocalisse, con questo nome, presenta la sintesi dell’attività religiosa umana rappresentata dal dragone, dalla bestia che sale dal mare e dalla bestia che sale dalla terra, che è il falso profeta. Questo nome ricorda uno stato di confusione e la confusione delle lingue alla torre di Babele corrisponde, nella spiritualità, al disordine religioso e dottrinale anche di una cristianità divisa in chiese con dottrine opposte e contraddittorie. I profeti avevano annunciato la distruzione dell’impero di Babilonia mediante l’opera dei persiani87 a seguito della quale gli ebrei in esilio sarebbero ritornati nella terra promessa. Giovanni riprende questo quadro profetico della Chiesa di Dio dell’Antico Testamento, per applicarlo al popolo di Dio del tempo della fine che beneficia e vive del patto fatto dal Signore. «Babilonia è quindi, in senso generale, la società umana che vive seguendo strade diverse da quelle divine: possiamo 82 83 84 85 86 87
Daniele 4:30. Genesi 11:4; Daniele 4:30; Genesi 11:4; 9:1. CONRADI L.R., Il mistero dei misteri, 1913, p. 100. Y. Bourquin, o.c., p. 36. Ribellione: Genesi 11:1p.p.; inimicizia: Isaia 52:11; Geremia 50:8; 51:6; Apocalisse 18:4. Isaia 13:14; Geremia 32:26-29, 36-40. Quando la profezia diventa storia
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comprendervi tutto ciò che su questa terra si oppone a Dio e al suo popolo, sotto l’aspetto sia politico che economico e religioso. Nell’Apocalisse però Babilonia ha una caratteristica prevalentemente religiosa in quanto viene descritta come un potere che si allea con i re della terra - è quindi distinta da essi - trascinandoli nell’idolatria e spingendoli a perseguitare il popolo di Dio.88 Babilonia è un misto di vera religione e di paganesimo. Il suo esponente principale, il re Nebucadnetsar, oscilla continuamente tra il riconoscimento del vero Dio d’Israele e l’esaltazione del suo potere personale.89 Anche per questa via si può pensare alla Babilonia dell’Apocalisse come a un potere che formalmente riconosce Dio come vero Dio, ma che in realtà innalza i suoi dèi e ricerca la sua propria gloria».90 L’annuncio: «Caduta è Babilonia» fa sapere che il potere che dirige il mondo e opprime i fedeli non dominerà per sempre, potrà contrastare e dominare, ma di fatto è di già stato condannato ad una imminente distruzione che Giovanni descrive nei capitoli XVII-XIX.
Babilonia è la cristianità apostata La cristianità, non accettando il primo messaggio annunciato con gran voce, diventa Babilonia. Babilonia è l’insieme delle chiese apostate del mondo cristiano.91 Non è quindi una chiesa ma è l’insieme delle chiese che hanno in comune l’oblio della legge di Dio. «Caduta, caduta è Babilonia». A quale momento si deve collocare la sua caduta? Possiamo pensare che Dio abbia, in un primo tempo, rigettato la Chiesa di Roma per i suoi errori. L’ha richiamata alla Sua Parola con le forti personalità di diversi suoi membri e con i movimenti della preriforma sorti e sparsi in tutta Europa. Ha suscitato poi nel XVI secolo la Riforma per richiamarla ancora con più forza. Questa potenza politico-religiosa, che ha dominato nel Medio Evo, pur beneficiando della luce di uomini e donne che hanno vissuto la bellezza dell’evangelo, è stata per molti secoli tanto in basso nella scala, quanto sia possibile ad una Chiesa scendere. Ma in questa comunità di credenti c’è sempre stato e ancora ci sono, ad ogni livello, dei figli di Dio che amano il Signore e spendono la propria vita per i valori dell’evangelo e per gli ideali di pace, di giustizia e di solidarietà.
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Apocalisse 17:1,2,5,6,12-14. Daniele 2:47; 3:15,28; 4:30,37. 90 Leonardi G., o.c., p. 249. 91 Babilonia non è una città (Roma). Apocalisse 18:4 non si rivolge agli abitanti di una città. Non è la Chiesa cattolica in particolare. Essa stessa fa parte di Babilonia. Roma papale è chiamata la madre delle meretrici (17:5), la grande, ha anche delle figlie. Del resto l’invito di Apocalisse 18:4 si rivolge anche alle anime sincere che si trovano nelle Chiese non cattoliche. 89
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Essendo caduta anche la Chiesa protestante nel formalismo e nell’errore, in una fede nelle tradizioni del passato, Iddio ha suscitato un risveglio nel XVII e XIX secolo per richiamare i credenti ai valori della Parola di Dio. Nel tempo della fine l’Eterno fa proclamare questo appello di avvertimento al mondo perché in tutte le confessioni religiose, gloriose per il loro passato di testimonianza e di perseveranza, c’è stata e c’è una schiera di fedeli che hanno ingrossato, con la loro fedeltà, la «schiera dei testimoni» del popolo di Dio.92 Nelle varie espressioni della cristianità ci sono ancora uomini e donne che, di settimana in settimana, nutrono il popolo di Dio con la Sua Parola, altri sopportano ingiustizie e violenze a causa della loro fedeltà alla Rivelazione, altre si spendono per fare sì che La Sacra Scrittura sia diffusa e conosciuta, altre ancora combattono il buon combattimento delle fede manifestando perseveranza. Tutti, secondo la conoscenza che hanno, sono portatori di speranza, mantenendo viva la realtà di Dio nei confronti dei propri confratelli. Questo secondo messaggio come il primo e il terzo, esprimono la speranza di Dio, la sua fiducia nell’uomo. Questi messaggi desiderano realizzare il vero ecumenismo dei credenti, che va oltre il rispetto delle fedi, delle tradizioni di ogni gruppo religioso, di ogni forma di credo e filosofia e di collaborazione in iniziative a difesa e a sostegno dell’uomo. Questi messaggeri che con chiarezza annunciano la Verità di Dio, vedono in ogni persona «un figlio di Abramo».
Babilonia e il mondo protestante ed evangelico Il mondo protestante, purtroppo, non sempre vive con coerenza i valori della Parola:93
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Ebrei 12:1. Non consideriamo l’intolleranza religiosa che si è anche manifestata nel mondo protestante e ortodosso. In Oriente la Chiesa ortodossa si è imposta anch’essa con la forza e i “pope” hanno saputo e sanno essere intolleranti. La propria alleanza con chi deteneva il potere, ad esempio gli zar, ha dato alla Chiesa ortodossa una tale autorità e ricchezza che dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917, per arginare questo sfruttamento del popolo, si è avuta la stessa reazione che più d’un secolo prima c’era stata in Francia: si è proclamato l’ateismo di stato, prendendo un atteggiamento contro natura. L’intolleranza ortodossa è stata tale che, qualcuno ha pensato, la piaga del socialismo reale dei Paesi dell’Est, per oltre settanta anni, sia stata quell’elemento che, a seguito della propria caduta, fine anni ottanta, in un tempo in cui la Chiesa ortodossa era ancora in uno stato di debolezza, abbia permesso una evangelizzazione evangelica che non ha riscontri nella storia di quei popoli, che la Chiesa ortodossa, stando al potere con le classi dominanti, non avrebbe mai permesso. In Grecia, in epoca recente, nel 1993, la legge ha imposto che nella Carta di Identità si debba precisare la fede di appartenenza malgrado che l’Unione Europea, di cui la Grecia è membro, abbia contestato queste disposizioni alle autorità di Atene. Questo atteggiamento, che ricorda quello di un tempo passato della storia Occidentale, deve portare a riflettere. La religiosità fa parte della natura della persona. In Occidente quando le chiese protestanti raggiunsero il potere, diventarono nazionali, imposero la loro dottrina. Un esempio tipico: la Chiesa protestante d’Inghilterra perseguitò i cattolici che dovettero fuggire in America e a loro volta, giunti al di là dell’Atlantico, per motivi religiosi, si resero intolleranti: impiccarono i quaccheri e fustigarono i battisti. Dall’Europa si recarono in America molti membri delle minoranze religiose per vivere, in quella nuova terra, in libertà la loro fede. Giunti però nel Nuovo Mondo a loro volta 93
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- Nella vita morale: lusso, ricerca del piacere, adorazione di un dio diverso da quello del Vangelo.94 - Nelle dottrine: abbandono della «sana dottrina» che è la “verità”, come dice l’apostolo Paolo.95 Anche nelle Chiese evangeliche e protestanti essa è stata sostituita con le proprie tradizioni. Sovente l’insegnamento biblico risente dell’influsso della tradizione di Roma e del razionalismo che vi domina. Le Chiese, tranne qualche gruppo, non accettano il ritorno di Cristo come soluzione ai problemi del nostro mondo e quindi predicano il raggiungimento di un mondo migliore mediante lo sforzo umano. Si tende a spiritualizzare il ritorno di Cristo e quindi a negare la parusia. Il millennio biblico viene insegnato, da chi lo accetta, come mille anni di pace in terra con conversioni generali, spingendo quindi la cristianità a sonni tranquilli. Il battesimo, dimostrazione della conversione, viene spesso impartito ai bambini o, comunque, non secondo l’insegnamento di Gesù Cristo. Si continua ad insegnare e a credere all’immortalità dell’anima e alle pene eterne. Il teologo protestante Jean Cadier scriveva: «I riformati come gli altri sono più sottomessi alla tradizione di quanto vogliano riconoscere. Sulla questione della celebrazione della domenica, della lavanda dei piedi.... del battesimo dei bambini,... l’apporto della tradizione è stato nettissimo. Allorquando una confessione cristiana, come gli avventisti, inizia su questi difficili soggetti, nel nome della Scrittura, una controversia con i riformati, essa è in anticipo vittoriosa, e i testi con i quali la nostra Chiesa difende la sua posizione, al di fuori del ruolo della tradizione, o senza invocare lo spirito della Rivelazione, sono rari e non apportano l’adesione. Noi preferiamo dirlo molto chiaramente e affermare che c’è una tradizione protestante».96 L’incredulità, e la pietà vengono sostituite da cerimonie liturgiche. - Nel mandato evangelico. Staticità nei confronti delle missioni e dell’evangelizzazione. Già la rivista americana Newsweek del 30 dicembre 1963, parlando della Conferenza Missionaria del Messico, tenuta in quell’anno sotto l’egida del Consiglio Ecumenico, scriveva: «Una volta i bravi ecclesiastici pensavano che i profani brancolanti nelle tenebre avevano la fortuna di accogliere dei missionari. Oggi, alcuni responsabili di varie Chiese mettono in dubbio il diritto di evangelizzazione... Il cristiano deve rendere testimonianza della sua fede non sforzandosi di convertire i pagani, ma soccorrendoli materialmente». Se è vero che la fede senza le opere è morta, è altrettanto vero che le opere senza la fede sono morte. Nel rapporto di Nyburg è detto: «Le chiese protestanti occidentali si sono talmente impoverite sul piano spirituale, che sentono incombente la mancanza di
si manifestarono intolleranti verso altre comunità di minoranza finché la Costituzione americana non sancì la libertà assoluta di coscienza. 94 Un esempio. Un sondaggio fatto dalla Fédération Protestant de France sui protestanti in Francia ha dato i seguenti risultati: L’infedeltà coniugale è considerato come peccato dal 14%; l’aborto dall’11%; l’omosessualità dal 10%; la convivenza dal 3%; il furto in un grande magazzino dal 10%. Il 76% crede che ognuno possa autonomamente stabilire la propria religione indipendentemente dalle Chiese. Christianisme, n. 516, 29 ottobre - 4 novembre 1995. 95 2 Timoteo 4:3,4. 96 CADIER Jean, Christianisme sociale, dicembre 1973, p. 318.
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risorse interiori: come affrontare i bisogni spirituali del loro proprio popolo, per non parlare dei paesi lontani...».97 Il protestantesimo tende sempre più ad assomigliare al cattolicesimo Il mondo protestante tende sempre più ad assomigliare a quello cattolico98: la tavola della comunione viene spesso sostituita da un altare largo e profondo, spesso di pietra, grandi croci vengono innalzate e si dispone il battistero vicino alla porta. In occasione della cerimonia della confermazione i catecumeni si presentano vestiti di bianco con una cordicella sui fianchi, scenografia cattolica e tipicamente medioevale. Si chiede che gli officianti protestanti portino dei vestiti di un colore appropriato alle epoche liturgiche dell’anno, che l’assemblea ritorni all’uso dell’inginocchiatoio, segno dell’adorazione, e all’abbellimento del luogo di culto mediante candele. Senza rendersene conto si torna ai simboli e alle immagini che la Riforma aveva contestato. La liturgia si avvicina sempre di più a quella romana. In diverse chiese il Padre nostro è recitato assieme e le “parole di grazia” pronunciate dal pastore, prendono la forma di quelle che escono dalla bocca di un sacerdote: «Come servitore di Gesù Cristo e della Chiesa, a coloro che si pentono e che credono, annuncio in questo momento il perdono di Dio». La Chiesa Riformata francese prevede anche una liturgia diversa che è la traduzione parola per parola del messale romano. In altre Chiese, particolarmente quella luterana, lo svolgersi del culto ricalca quello cattolico: Introit, Gloria, Patri, Kyrie, Gloria in excelsis, Collecte, Epitre, Graduel, Alleluia, Evangile, Credo (simbolo apostolico e di Nicea). Nelle enumerazioni delle parti della liturgia si preferiscono sempre di più i termini latini. La parola culto, in Francia, viene sostituita con quella di “servizio”, il pastore prende il nome di officiante e la preghiera viene chiamata orazione. Da qualche tempo il presidente della Facoltà di Teologia di Montpellier viene chiamato “priore”.99 Al culto della parola si sostituisce quello dell’eucarestia. La santa Cena, che nella maggioranza delle Chiese veniva celebrata due o tre volte all’anno, viene celebrata ora tutti i mesi e anche tutte le settimane. La confessione, che è stata apertamente condannata dai protestanti, ora viene anche da loro fatta in ginocchio ed il pastore, che gioca il ruolo del sacerdote, dice al confessante: «Che nostro Signore ti assolva, e io, mediante la sua autorità, ti accordo
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ZURCHER Jean, L’epoca delle missioni è davvero tramontata?, in Segni dei Tempi, marzo 1975, pp. 51, 52. PACHE René, Les tendances catholicisantes au sein du Protestantisme, edit. de l’Union des Chrétiens Évangéliques Français, Lot-et-Garonne. HOFFET Frédéric, Politique romaine et démission des protestants, Paris 1982, p. 77 e seg. 99 Il presidente di questa facoltà presiede il culto del mattino dal vecchio pulpito del deserto che nel passato fu muto testimone di tante atrocità. In questo personaggio oggi si dovrebbe vedere l’erede degli ugonotti. I priori, per contro, erano i dignitari cattolici che condannavano alle galere e alla morte gli antenati di quelli che oggi si chiamano riformati. 98
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l’assoluzione dei tuoi peccati». Poi, facendo il segno della croce sul fedele pronuncia il nome trinitario. Ciò avviene specialmente nelle chiese di tipo luterano. I monasteri che venivano considerati da Lutero come «degli antri del vizio, delle case di Satana, ecc.». vengono edificati nell’ambito protestante sul tipo di quello di Taizé a Grandchamps (Svizzera), Darmstadt e Loccum (Germania) e altri in Inghilterra, Scandinavia ed in America. I monaci e le monache, che vivono in questi edifici, sono vestiti di scuro o in bianco e pronunciano i voti - nei quali Lutero aveva voluto vedere «uno dei peggiori agguati inventati dal diavolo per corrompere le anime» - di castità, di povertà e di obbedienza implicando di conseguenza un superiore che deve essere ubbidito ed una gerarchia ecclesiastica. La vita si svolge come nei monasteri cattolici. I monaci hanno le loro celle, si consacrano alla liturgia e alle arti sacre. Si vedono con occhio sempre più favorevole i matrimoni misti e per qualche pastore il fatto che vengano celebrati in una chiesa piuttosto che in un’altra è solamente una questione di posto.
Dimissione del protestantesimo La forma più spettacolare della dimissione protestante è data dalle conversioni. Nel XIX secolo e nei primi decenni del XX esse avvenivano generalmente a profitto dei protestanti e ciò anche nelle classi più colte e preparate, tra gli uomini di pensiero e di lettere; oggi c’è un ritorno verso Roma. La rivista cattolica Vivre del 1960, n. 5, affermava che dei pastori riuniti a Taizé hanno rinunciato, mediante dichiarazione iscritta, a fare del proselitismo. Ma non si dice se la stessa cosa hanno fatto anche i sacerdoti e i vescovi presenti per l’occasione. Sempre con più piacere si invitano alti esponenti cattolici alle riunioni protestanti. La loro abilità è tale che esercitano un’influenza deleteria sull’uomo protestante, sviluppando in lui un profondo complesso di inferiorità, facendogli apparire la sua Chiesa come una povera cosa rispetto a quella di Roma. Il protestantesimo ha perso il senso della sua identità e questo anche perché: «Una società che violi i comandamenti del Decalogo... finisce per crollare».100 Il Pastore L.R. Conradi nel 1913 scriveva: «Qualsiasi tentativo contro Dio, la sua legge o il suo Vangelo - ogni volta che la tradizione umana prende il posto della parola di Dio, che al vero culto di Dio si antepongono i riti dell’invenzione umana, la chiesa diventa Babilonia. Tutti gli sforzi che tendono a costringere le coscienze degli uomini a rendere omaggio ad un culto non ordinato da Dio e dalla sua Parola, sono manifestazioni che testimoniano dello spirito di Babilonia - frutti delle subdole arti della fraudolenza intellettuale di Satana».101 100 101
DIÉTRIC Suzanne de, Il Piano di Dio, Torino 1963, p. 65. L.R. Conradi, o.c., pp. 100, 101.
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Il pastore luterano Giovanni Borelli diceva: «Volendo affermare un paradosso (ma in realtà non è un paradosso, è una constatazione di fatto) possiamo arrivare a dire che il Protestantesimo storico ha ormai esaurito il suo compito».102 Il teologo Paolo Ricca così introduceva la sua conferenza tenuta presso il Centro Evangelico di Cultura di Firenze e di Roma il 13 e 14 settembre 1973: «Parlare oggi di identità protestante significa anzitutto affrontare il problema della crisi di questa identità... Che il protestantesimo stia oggi attraversando una crisi di identità diffusa e profonda è un dato di fatto facilmente documentabile. La stessa Die Religion in Geschishte und Gegenwart, la grande enciclopedia storico-religiosa del protestantesimo moderno, lo riconosce senza difficoltà: “Effettivamente non si può ignorare che nel XX secolo si diffonde nei protestanti una disposizione d’animo tendente alla rassegnazione e allo scetticismo nei confronti di se stesso - espressione di una certa insicurezza di fronte al compito di padroneggiare la realtà e di realizzare la propria esistenza”. Si tratta di un fenomeno che non è circoscritto a questi ultimi anni ma abbraccia in pratica tutto il nostro secolo».103
I protestanti porgono la mano al papato I protestanti non riconoscono più, come nella loro tradizione, in Roma l’Anticristo e il teologo svizzero Karl Barth lo ha scritto chiaramente dopo essersi incontrato con Paolo VI: «Il papa non è l’Anticristo». Ciò che è contrario al protestantesimo nei decreti del Concilio di Trento, esiste solo sulla carta, cioè nel testo del Denzinger. Le conversioni all’una o all’altra Chiesa non hanno senso se non come conversioni a Gesù Cristo, Signore dell’Una, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa. Che ognuno si lasci chiamare, nel proprio posto e nella propria Chiesa, alla fede nell’unico Signore e al suo servizio.104 Forse qualche pastore si è anche inginocchiato davanti al papa. Un pastore ecumenico eminente non vi avrebbe trovato in questo nulla d’importante se fosse avvenuto, ricorda l’avvocato F. Hoffet. Oscar Cullmann da parte sua scriveva: «Non si tratta di fare un salto a Roma... ma, insieme con la Chiesa cattolica, di mano in mano, noi vogliamo camminare verso la stessa mèta, e questa mèta comune si chiama Gesù Cristo, e la strada che ci conduce si chiama Spirito Santo. Questo è il cammino dell’unità».105 In occasione della conferenza di Stoccolma, di portata mondiale, l’arcivescovo evangelico luterano della città di Soederblom, uno dei principali rappresentanti del movimento ecumenico, disse: «Gli apostoli Paolo e Giovanni sono qui riuniti 102 BORELLI Giovanni, Ecumenismo e riforma della Chiesa, Napoli 1974, p. 28, ciclostilato; siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. 103 RICCA Paolo, L’identità protestante, Torino 1973, pp. 1,2. 104
BARTH Karl, Ad limina Apostolorum, in EVZ - Verlag, Zurigo 1967, p. 18; cit. BERTALOT Renzo, Ecumenismo Protestante, Torino 1968, p. 64. 105 CULLMANN Oscar, Entre deux sessions du Concile, in Foi et Vie 1/1963, p. 42; cit. R. Bertalot, o.c., pp. 65, 66. Quando la profezia diventa storia
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alludendo ai rappresentanti delle Chiese evangeliche ed ortodosse - Pietro tarda ancora». La Chiesa romana aveva declinato l’invito e nella sua enciclica Mortalium animos accusava il movimento ecumenico di relativismo dogmatico, di “pancristiano” e l’unica possibilità di riunione era il ritorno a Roma.106 In occasione dell’incontro mondiale ecumenico di Evaston, 1954, diversi pastori proposero di inviare un messaggio al papa invitandolo a mettere fine alle persecuzioni che i protestanti subivano in Spagna e in Columbia. Il pastore Westphal si oppose con violenza a questa mozione, minimizzò la cosa per evitare di creare dissapori in un momento in cui si iniziava un dialogo con Roma. In occasione di una assemblea ecumenica della gioventù europea, alla quale intervennero giovani di ogni confessione non cattolica, tenuta a Losanna nell’estate del 1960, si invitarono al raduno cinque osservatori cattolici. Al momento dell’apertura del congresso si fece celebrare una messa ed il pastore Visser’t Hooft chiese ai delegati di unire le loro preghiere per il successo del prossimo Concilio ecumenico. Quell’incontro evangelico coincideva con il Congresso eucaristico che si teneva a Monaco e si inviò un telegramma all’arcivescovo della città per esprimergli l’interesse che la gioventù riunita a Losanna aveva per quella manifestazione. Alla morte di Pio XII, l’arcivescovo di Canterbury, dr. Ficher, quale primo dignitario della Chiesa anglicana, espresse ufficialmente le sue condoglianze al Sacro Collegio per la perdita «di un capo venerato che servì il cristianesimo con coscienza e fedeltà, e che fu l’oggetto del più grande rispetto da parte di tutti i cristiani per la sua santità, per il suo coraggio e la sua sincerità»; mentre il vescovo protestante di Berlino, Dibelius, affermò: «Le Chiese protestanti manterranno rispettosamente la memoria della santa personalità di questo papa». Diverse dichiarazioni simili vennero fatte da altri, accompagnate da preghiere di numerosi protestanti che esaltavano un uomo la cui ostilità nei confronti dei protestanti era conosciuta e la cui politica aveva appoggiato Hitler, Mussolini e Franco. Nel 1961 all’assemblea ecumenica di Nuova Delhi parteciparono per la prima volta ufficialmente gli osservatori cattolici. E così: «Ad Amsterdam ci siamo impegnati a restare insieme. Ad Evanston abbiamo ringraziato Iddio di averci concesso la grazia di rimanere insieme e ci siamo proposti di crescere insieme. Possiamo ora ricevere la grazia di consacrarci a Dio per avanzare insieme, a partire da Nuova Delhi, verso l’unità visibile che abbiamo già ricevuto e che riceveremo ancora dal Cristo, Luce del mondo».107 Paolo Ricca, nel suo interessante quaderno, Si o no all’ingresso della Chiesa di Roma nel Consiglio ecumenico, fa una analisi molto franca e critica del problema, non minimizzando le difficoltà, facendo delle constatazioni ed affermazioni con le quali ancora una volta conferma come il mondo protestante abbia perso la sua identità e non veda più nella istituzione romana un nemico. 106
HEUSSI Karl - MIEGGE Giovanni, Sommario di storia del Cristianesimo, 2a ed., Claudiana, Torino 1960, pp. 298,299. 107 R. Bertalot, o.c., p. 14.
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«È il cattolicesimo che sta diventando ecumenico o è l’ecumenismo che sta diventando cattolico? Oppure le due cose stanno avvenendo contemporaneamente? È chiaro che, con la Chiesa cattolica nel CEC - Consiglio Ecumenico delle Chiese, si accelererà il processo di deprotestantizzazione del movimento ecumenico. Questo non può non dispiacere ai protestanti, ma non costituisce necessariamente un passo indietro, un sintomo di decadenza o di deterioramento dell’ideale ecumenico. Può al contrario costituire il suo inveramento o almeno il principio del suo inveramento. Se però il processo di deprotestantizzazione è accompagnato o addirittura determinato da un parallelo processo di cattolicizzazione del movimento ecumenico, allora non si può parlare di un suo inveramento ma solo della sua prossima integrazione nella nuova cattolicità del cattolicesimo».108 Il 5 luglio 1996 l’articolo centrale del settimanale di Riforma usciva con il seguente titolo: Con Pietro, forse, sotto Pietro, mai. Il protestante Reinhardt Frieling, direttore di uno dei maggiori istituti di studio delle Confessioni, intervistato da Luciano Deodato affermava: «Un traguardo ecumenico non è l’assorbimento di uno nell’altro, ma piuttosto il riconoscimento reciproco. Per la Chiesa Romana significa trovare una via di uscita tra “la eliminazione del papato” e la “sottomissione al papa”. Una comunione ecclesiastica con il papa è possibile, dal mio punto di vista evangelico, se vi è una comprensione comune dell’evangelo e se il papa non pretende dai cristiani non cattolici il riconoscimento del primato giurisdizionale e del dogma dell’infallibilità. L’autorità del papa sarebbe dunque una cosa per i cattolici e un’altra per i non cattolici. La comunione universale della cristianità potrebbe strutturarsi in “una comunione conciliare delle confessioni”, comunque “con il papa e non sotto il papa”. Questo come capo della più grossa chiesa cristiana potrebbe anche assumere iniziative a nome dell’intera chiesa e eccezionalmente, d’accordo con gli altri cristiani, parlare a nome dell’intera cristianità».109 Ricordiamo quanto già riportato nel nostro capitolo precedente. Nell’aprile del 1997, una delegazione della Chiesa Presbiteriana degli Stati Uniti, appartenenti al ramo riformato-calvinista del protestantesimo che negli USA costituiscono una delle denominazioni più antiche ed influenti, guidata dal moderatore John Buchanan, dopo aver visitato il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha precisato: «La disponibilità a discutere sul papato non riguarda, ovviamente, il riconoscimento della giurisdizione del papa: come presbiteriani non saremmo fedeli alla nostra tradizione riformata. Si tratta piuttosto di verificare se il papato non possa diventare, per tutti i cristiani, un simbolo della natura globale della chiesa, della sua universalità».110
Verso una nuova forma di unione
108 109 110
P. Ricca, o.c., pp. 44, 45. Intervista a FRIELING Reinhardt, Con Pietro, forse, sotto Pietro, mai, in Riforma, 5/7/1996. NEV - notizie evangeliche, n. 15, 9.4.1997, anno XVIII, p. 2. Quando la profezia diventa storia
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Sebbene l’ecumenismo sia sorto da un desiderio di unità delle Chiese, visto che queste si presentavano nei paesi di missione nello scandalo della loro divisione e nei loro contrasti religiosi,111 l’unione delle Chiese la si sta cercando superficialmente. Le vie che vengono seguite sono sul piano: - spirituale: rispettiamoci112, vogliamoci bene, amiamoci, perché abbiamo in comune la fede in Cristo Gesù nostro Signore e vediamo nelle differenze teologiche l’arricchimento che le tradizioni diverse hanno apportato alle Chiese senza però che le verità bibliche che le caratterizzano siano vincolanti per le altre, come obbligo morale di lasciare le proprie teologie non in armonia con il testo della rivelazione; - liturgico: preghiamo assieme formando così la Chiesa una e santa; - pragmatico: i problemi sociali sono urgenti e grandi e l’impegno del cristiano si deve manifestare nel liberare gli oppressi sociali. La Parola di Dio, pur tenuta in considerazione, non è vista dal mondo protestante come la rivelazione normativa del «così dice l’Eterno» ma come una verità che si adatta nel tempo mediante una sua interpretazione e attualizzazione. Sebbene questo pensiero possa essere corretto in via di principio, di fatto però, nel suo nome, il Decalogo, ad esempio, come il battesimo, l’immortalità dell’anima, non viene visto come esprimente delle norme, dei comandamenti espliciti per tutti i tempi, ma come un metodo per attuare l’obbedienza. Anche se la Bibbia viene rivalutata nel mondo cattolico e la comprensione delle dottrine ha avuto un approfondimento che porterebbe ad abbandonare delle prassi ormai secolari, di fatto, l’autorità della Scrittura continua ad essere subordinata a quella del magistero ecclesiastico e la pratica sancita dalla tradizione permane normativa.
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Il grido di allarme che qui riportiamo risale alla Conferenza Universale delle Società Protestanti di Missioni, riunite ad Edinburgo nel 1910: «Voi ci avete inviato dei missionari che ci hanno fatto conoscere Gesù Cristo; non possiamo che ringraziarvi. Ma ci avete portato anche le vostre divisioni; alcuni ci predicano il metodismo, altri il luteranesimo, il congregazionalismo e l’episcopalismo. Noi vi domandiamo di predicare il Vangelo e di lasciare a Cristo il Signore di suscitare Lui stesso all’interno dei nostri popoli, sotto la sollecitazione del suo Spirito Santo, la Chiesa conforme alle sue esigenze, che sarà la Chiesa di Cristo in Giappone, la Chiesa di Cristo in Cina, la Chiesa di Cristo in India, libera finalmente da tutti gli “ismi” con cui voi avete classificato la predicazione dell’Evangelo in mezzo a noi» cit. da PATTARO, Origini del problema ecumenico, in Humanitas, 11/12/1964, Brescia, p. 1248; cit. da R. Bertalot, o.c., p. 14. 112 Crediamo che si possa attribuire all’ecumenismo il merito di avere creato una mentalità di rispetto tra le diverse denominazioni. Si deve anche dire però che l’interesse per il vero senso dottrinale della Parola di Dio si è perso sia nel mondo protestante che cattolico. La società italiana è passata dall’intolleranza ancora degli anni ‘40-‘50, quando chi non era cattolico e andava nei paesi per testimoniare della propria fede poteva essere allontanato a sassate o, in segno di disprezzo, se era un residente, si chiudevano le imposte al suo passaggio nella strada; agli anni ’60 quando la spiegazione della propria fede, mediante il testo biblico, era motivo di riflessione e di curiosità per il cattolico; alla mancanza di tempo e di interesse dagli anni ’70; al senso di superiorità dell’opinionista man televisivo degli anni ’90 che a volte si vanta, davanti alle telecamere, di essere ateo quasi in segno di superiorità rispetto agli sprovveduti che dicono di credere; al considerarsi credenti perché si conserva ancora nella propria mente qualche nozione religiosa molto approssimativa dell’insegnamento della propria Chiesa. Si assiste ad una cristianità, e meno male che ci sono delle eccezioni, che crede a tutto ma senza alcun interesse per quello che dice la Parola del Signore. Inoltre negli anni ’90 non è più importante ciò in cui si crede, ma al fatto di dire che si crede. Ci si rispetta, anche perché a nessuno interessa nulla, l’importante è essere lasciati tranquilli, non avere altri problemi. In questo contesto si assiste all’espansione del New Age, dove ognuno crede a ciò che gli piace e i pensieri trascendentali della reincarnazione e soteriologici hanno le loro radici nelle religioni tradizionali dell’Oriente.
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I movimenti ereticali della pre-Riforma, di Lutero con la Riforma e quelli delle Chiese evangeliche del XVIII e XIX secolo, sono sorti partendo da posizioni bibliche, o ritenute tali, con dottrine riscoperte nella Sacra Scrittura; mentre gli inquisitori francescani e domenicani avevano in comune la spiritualità: vogliamoci bene; la liturgia: preghiamo assieme; l’impegno sociale: solidarietà con il debole. Questo ecumenismo a livello di superficie in cui «la sana dottrina» non trova posto mentre si parla del Signore, ricalca l’atteggiamento che già la Chiesa romana ha avuto negli anni che hanno seguito la Riforma per recuperare i fratelli separati. «I propagandisti cattolici si sottrassero sempre di più alla discussione teologica, cercando invece di conquistare, mediante conversazioni private, i protestanti che lasciavano sperare di poter essere convertiti; a gente abituata a pastori che presentavano la religione quasi esclusivamente sotto forma di dogmatica e di controversia, bastava parlare di bontà e di vita cristiana perché questo cambiamento di genere, che corrispondeva alle sue segrete aspirazioni, la disarmasse completamente. Così agì il noto gesuita Jean-Francois Régis (1597-1640), l’apostolo delle Cevenne e del Vivarais. Una sua convertita appartenente alla nobiltà protestante, Louise de Romezin, di Le Chambon-sur-Lignon, ne dà una precisa testimonianza: “Quando opponevo testardamente a ogni sua parola i testi della Bibbia, di cui m’avevano riempito la testa contro le verità cattoliche e specialmente contro la realtà del corpo di Gesù Cristo nell’adorabile Eucaristia, dandomi stupidamente l’aria di una persona dottissima, il buon padre non mi diceva nulla che potesse offendermi; non mi rimproverava mai il mio orgoglio né la mia ignoranza, ma mi guardava e mi ascoltava con una modestia incantevole e una dolcezza senza eguali, limitandosi a sorridere dell’ardore con cui combattevo la verità, tanto che poi riuscì a convincermi con una sola parola... Nel mio spirito si fece a un tratto una gran luce che mi persuase al punto da non aver più il minimo dubbio”».113 Questo voler tendere all’unione generale, pur lasciando che ognuno creda come preferisce, ricorda lo spirito medioevale. Come in quel tempo non si concepiva una cristianità divisa in chiese separate, così oggi si tende alla loro unione. «La nozione di unità giocava in effetti, nel Medio Evo, un ruolo di importanza capitale. Non si poteva concepire una cristianità divisa ed è nel nome dell’unità cristiana che gli inquisitori compirono la loro opera criminale. Sul piano politico, non si concepiva un mondo che non fosse unito sotto lo scettro dell’Imperatore: il Santo Impero incarnava questa entità mistica. - Se si guarda da vicino, e se si analizzano le cause profonde dei fenomeni storici più terribili della nostra epoca: campi di concentramento, torture, processi politici, ecc., ci si rende conto che si spiegano tutti mediante l’ideologia dell’unità. Alla fine di questa, c’è sempre il totalitarismo, con il corteo dei mali che l’accompagnano, e ciò è vero in materia di religione come in materia di politica».114 Sono ormai anni che Giovanni Paolo II ricorda le radici comuni dell’Europa affinché si possa realizzare, sul vecchio continente, una unità che vada dall’Atlantico 113 114
LÉONARD Emile G., Storia del Protestantesimo, t. II, I1 consolidamento, Milano l971, p. 541. F. Hoffet, o.c., p. 178. Quando la profezia diventa storia
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agli Urali. Per la Chiesa di Roma il patrimonio comune del passato era la sua cattolicità, la sua dottrina, la sua autorità. Una rivalutazione del passato darà una nuova tinteggiatura al vecchio edificio, nel quale ognuno continuerà a credere a quello che vuole e a non credere, l’importante però è che ognuno sia presente nei grandi momenti e riconosca ufficialmente, anche se in privato è diverso, che la voce dell’autorità religiosa deve essere ascoltata. «Babilonia era nelle mani dell’Eterno una coppa d’oro, che inebriava tutta la terra; le nazioni hanno bevuto del suo vino, perciò le nazioni sono divenute deliranti. A un tratto Babilonia è caduta, è frantumata. Mandate su di lei alti lamenti, prendete del balsamo per il suo dolore, forse guarirà! Noi abbiamo voluto guarire Babilonia, ma essa non è guarita, abbandonatela... poiché la sua punizione arriva sino al cielo, s’innalza sino alle nuvole. L’Eterno ha prodotto in luce la giustizia della nostra causa; venite raccontiamo in Sion l’opera dell’Eterno, del nostro Dio».115 Nonostante le pericolosità di ogni aggregazione che non tenga in dovuto conto la rivelazione divina, noi continuiamo ad essere nell’ammirazione quando incontriamo persone che credono ad insegnamenti che non sempre riflettono la Parola rivelata ma che vivono la loro fede nella coerenza della loro coscienza e per le loro convinzioni sanno sopportare e vincere difficoltà. Nell’esprimere quanto abbiamo scritto non è nostra intenzione giudicare chicchessia. Del resto non è neppure sufficiente avere conoscenza della “verità” per essere membri del popolo di Dio.
Terzo appello «E un altro, un terzo angelo, tenne dietro a quelli, dicendo con gran voce: “Se qualcuno adora la bestia e la sua immagine e ne prende il marchio sulla fronte o sulla mano berrà anch’egli del vino dell’ira di Dio mesciuto puro nel calice della sua ira: e sarà tormentato con fuoco e zolfo nel cospetto dei santi angeli e nel cospetto dell’Agnello. E il fumo del loro tormento sale ne’ secoli dei secoli - e non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia e la sua immagine e chiunque prende il marchio del suo nome. Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù”».116 Con il terzo appello ci troviamo di fronte alla denuncia più terribile che si possa trovare nella Sacra Scrittura; si risente la voce dei profeti dell’Antico Testamento: «Il vino dell’ira di Dio è versato puro (senza miscuglio) nel calice della sua ira».
115 116
Geremia 51:7-10. Apocalisse 14:9-12.
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La severità del tono si spiega a causa dell’audacia della prima bestia e della creazione della sua immagine fatta dalla seconda bestia presentate nel capitolo XIII dell’Apocalisse. Il capitolo XIV è la risposta alle pretese della bestia, la quale, colpita a morte, dopo la sua supremazia millenaria, e guarita dalla sua ferita mortale nel nostro tempo, è seguita da tutta la terra meravigliata la quale l’adora con il dragone che le aveva dato il suo trono. Si dirà: «Chi è simile alla bestia? e chi può guerreggiare con lei?».117 Mentre Babilonia crede allo stabilimento di un’era di pace mediante l’alleanza del trono e dell’altare, come si manifestava nell’antica Babilonia, Dio ricorda che sarà lui stesso a instaurare il suo Regno che realizzerà «senza opera di mano» e che sarà un «regno che non passerà sotto la dominazione di nessuno». Alla conclusione di questo terzo messaggio abbiamo la caratteristiche di coloro che lo annunceranno e sono impegnati nel fare conoscere i due precedenti. Il Signore li valuta perseveranti, costanti, cioè hanno tenuto forte, sono stati fermi contro ogni ostilità. Hanno avuto coraggio, hanno resistito anche quando non avevano, a vista umana, una garanzia di successo. Credono contro ogni realtà visibile nella potenza dell’Eterno. La loro fiducia in Dio è data dalla coscienza della fedeltà al patto fatto con lui.118 La loro accettazione della grazia di Dio, la costanza nell’essere fedeli ai comandamenti e alle parole di Gesù li porterà alla vittoria finale.119
Rapporto con gli appelli precedenti Il primo messaggio mette in risalto tre aspetti del vero rapporto con Dio: - temere Dio - rendere a Dio la gloria - adorare il Creatore Il secondo messaggio presenta l’istigatrice del falso culto, Babilonia che è caduta, ma la sua opera è stata negativamente efficace, la si crede ed è presente in tutto il mondo. Il terzo messaggio mette in guardia contro una nuova forma di autorità, che si contrappone nel nome di Dio, all’adorazione del vero Dio e quindi impone di: - adorare la bestia - adorare la sua immagine - ricevere il suo marchio. In contrapposizione a questa realtà si presentano i veri adoratori di Dio che: - sono santi perseveranti - amano i comandamenti di Dio - hanno la fede in Gesù. 117 118 119
Apocalisse 13:3,4. Sofonia 3:8-11. Daniele 12:1,2; Zaccaria 6:14; Isaia 25:9; 49:23; 51:5. Quando la profezia diventa storia
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Il primo ed il terzo appello sono proclamati «con gran voce», forse perché essi sono più importanti del messaggio della caduta di Babilonia, per il fatto che nella cristianità, fino al terzo appello ci saranno delle persone che amano Dio, ma che non conoscono la verità dell’evangelo eterno. Un’altra spiegazione del perché il secondo appello non sia dato «con gran voce», può essere fornita dalla lettera alla Chiesa di Laodicea che Giovanni riporta nel capitolo III. Questa Chiesa, che è sorta a causa del giudizio che si compie nel cielo e vive nel tempo del «giudizio dei popoli», tale è il significato del suo nome (Laodicea), ha iniziato la sua opera con potenza, ma una volta che ha preso coscienza della sua ricchezza dottrinale nell’aver riscoperto, mediante la guida dello Spirito Santo, le verità bibliche abbandonate, ed ereditato quelle trasmesse attraverso i secoli, si è detta: «Io sono ricca, e mi sono arricchita, e non ho bisogno di nulla». Questa istituzione lavora, non è inattiva, annuncia l’evangelo, soccorre i diseredati, realizza programmi di cooperazione e di sviluppo, ma forse, non beneficiando di tutta la grazia che Cristo Gesù le vuole accordare. Forse non permette che la sua potenza animi la sua vita e, pur attendendo lo sposo, come le dieci vergini della parabola, anche lei, come le cinque savie, si è addormentata ed il Signore le dice: «Io conosco le tue opere, tu non sei né fredda, né fervente. Oh fossi tu pur fredda o fervente. Ma perché sei tiepida e non fervente né fredda, sto per vomitarti dalla mia bocca». Il Salvatore l’invita ad acquistare gratuitamente da lui oro, vesti bianche e collirio esortandola: «Abbi dunque zelo e ravvediti. Ecco io sto alla porta e picchio: se uno ode la mia voce ed apre la porta io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli meco».120 Nel rispondere a questo invito che purificherà l’infedeltà e l’incoerenza sarà salvata. Un terzo motivo può essere dato dal fatto che quando si annuncia il secondo messaggio i tempi sono caratterizzati da un disorientamento generale, da una indifferenza tale nei confronti dell’Eterno che la parola non è accolta perché non fa parte delle aspirazioni e degli interessi delle persone. È proprio il tempo di Babilonia, di confusione, di disorientamento, nel quale ognuno cerca ed è preoccupato del proprio tornaconto. Crediamo che, come non mai, le parole dell’apostolo Paolo trovino oggi la loro realizzazione: «Verrà il tempo che non sopporteranno la sana dottrina; ma per prurito di udire si accumuleranno dottori secondo le loro proprie voglie e distoglieranno le orecchie dalla verità e si rivolgeranno alle favole».121 Il terzo messaggio sebbene sia annunciato già nel nostro tempo, gli eventi e le situazioni che presenta, riguardano il prossimo futuro. Allora la situazione politica, sociale e religiosa sarà tale che l’impatto con la gente, per lo scuotimento che causerà e la sua ripercussione, risulterà fatto con potenza e gran voce. I tre messaggi sono susseguenti l’uno all’altro, ma sono anche annunciati assieme. Sorgono uno dopo l’altro per continuare assieme la loro proclamazione.122 Di modo 120
Apocalisse 3:15-20. Il versetto 16 è della versione Salani, La Sacra Bibbia, ed. Marietti, I1 Nuovo Testamento - la Buona Notizia. La versione Luzzi: «Io ti vomiterò» non è esatta. Il verbo greco è un aoristo infinito. 121 2 Timoteo 4:3,4. 122 Il verbo akolouteo tradotto “seguo” vuole dire anche: accompagno, vado insieme. In Marco 5:24; 1 Corinzi 10:4; Apocalisse 14:4 è evidente l’idea di “andare insieme” e di essere “in compagnia”. È per questo che possiamo
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che al primo si aggiunge il secondo e quando si proclama il terzo si annunciano anche il primo ed il secondo. Nel terzo messaggio, all’alleanza di fedeltà alla bestia e alla sua immagine, espressa mediante l’accettazione del suo marchio, si contrappone la fedeltà a Dio. Il triplice messaggio ha come centro focale Dio, la sua santità, i suoi comandamenti, il suo evangelo, la sua autorità. All’Eterno si contrappone una umanità che ha fatto della terra la propria residenza. La vita religiosa, politica e sociale ha come autorità il potere che ha dominato nei secoli del passato e nel tempo della fine sarà sostenuto anche dal falso profeta che gli fa da luogotenente. Il prof. R. Badenas123 scrive che il conflitto tra Dio, la bestia e il falso profeta è un conflitto di autorità nel quale è coinvolta l’osservanza dei primi tre comandamenti del decalogo: Testo dei 10 comandamenti: Apocalisse XIII-XIV Esodo XX - Non avere altri dèi al mio cospetto. - «... adorarono il dragone... la bestia... e la sua immagine» (XIII:4; XIV:911). - Non ti farai scultura alcuna né - (Il falso profeta) «... seduceva immagine alcuna delle cose che sono quelli che abitavano sulla terra... lassù nei cieli o sulla terra... non ti dicendo... di fare una immagine della prostrare dinanzi a tali cose...(vv.4-6). bestia» (XIII:14,15; XIV:9-11). - Non usare il nome dell’Eterno, che è - La bestia sulle sue teste aveva nomi di l’Iddio tuo in vano; perché l’Eterno bestemmia... E aprì la bocca per non terrà per innocente chi avrà bestemmiare (XIII:1,6). utilizzato il suo nome in vano (v. 7). Nel contrasto tra l’oppressore di questo mondo e il popolo di Dio si rinnova il prologo del decalogo: - Io sono l’Eterno l’Iddio tuo che ti ho - Uscite da essa (Babilonia) o popolo tratto dal paese d’Egitto, dalla casa di mio affinché non siate partecipi dei schiavitù (Esodo XX:2). suoi peccati e non abbiate parte alle sue piaghe (XVIII:4). Dei dieci comandamenti il quarto è quello più importante degli altri e può diventare un segno per distinguere i veri dai falsi adoratori perché è in relazione diretta con il culto e prescrive il giorno di riposo. Inoltre il sabato è il solo comandamento dato esplicitamente per essere un segno di alleanza tra Dio e il suo popolo.124 In questa prospettiva le allusioni presentate nel nostro testo: «l’osservanza dei comandamenti di Dio» e «l’adorazione di Dio in quanto Creatore» sono meglio compresi se esse si riferiscono, più che a qualsiasi altra cosa, al sabato. concludere che il secondo ed il terzo angelo seguono in senso cronologico il primo, al quale si uniscono e proclamano assieme con lui i loro appelli. 123 R. Badenas, o.c., p.p. 158-163. 124 Esodo 31:13-17. L’Eterno stesso lo giustifica come segno: Ezechiele 20:12,20. Quando la profezia diventa storia
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Se inoltre si confronta l’ordine delle parole del quarto comandamento con diverse espressioni di Apocalisse XIII e XIV, non possiamo evitare di rilevare un parallelismo scioccante che non può essere spiegato che come il risultato di una allusione intenzionale.
Testo del comandamento del sabato Esodo XX:8-11
Il marchio della bestia e la questione della sua adorazione in Apocalisse XIII e XIV
- Ricordati del sabato per santificarlo - tu, il tuo figlio e la tua figlia - il tuo servo e la tua serva - tu non farai alcun lavoro, poiché in sei giorni
- la bestia obbliga - tutti, piccoli e grandi - liberi e servi - nessuno poteva comprare o vendere, se non chi avesse il marchio sulla mano o sulla fronte (XIII:16,17; XIV:9-11).
- l’Eterno ha fatto - il cielo, la terra, - il mare e tutto ciò che è in esso, - e l’Eterno si è riposato il settimo giorno. - È per questo che l’Eterno ha benedetto il giorno di sabato e lo ha santificato.
- Essi non hanno riposo né giorno né notte - perché si sono prostrati davanti alla bestia, davanti alla sua immagine, e hanno ricevuto il marchio del suo nome (XIV:11).
Il testo dichiara che la lotta finale si situa tra i comandamenti di Dio e i comandamenti degli uomini. I veri adoratori osservano i comandamenti di Dio, osservare i comandamenti degli uomini implica adorare la bestia e ricevere la sua immagine. Il libro dell’Apocalisse, in particolare il capitolo XIII, presenta le potenze del male che utilizzano un specie di mimetismo e usurpano gli attributi esclusivi di Dio (autorità, potenza, comandamenti), ma non il carattere di Dio, per sedurre le genti ed essere l’oggetto dell’obbedienza che è dovuta al vero Dio. - Dio agisce sulla terra mediante il vero Agnello, Gesù Cristo (XIV:1); - È stato immolato, ma ora è in piedi, risuscitato (XIII:8; confr. VI:6; XIV:1; ecc.); - Un angelo volando annuncia l’evangelo eterno agli abitanti della terra... poiché l’ora del suo giudizio è venuta, e 680
- Satana agisce sulla terra mediante un falso agnello, è una bestia (XIII:1116); - Una delle teste è come immolata, ma la sua ferita mortalmente è stata guarita (XIII:9,12); - Il diavolo è sceso dal cielo sulla terra pieno di furore sapendo che ha poco tempo (XII:12);
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- per salvare l’umanità Dio chiede di essere adorato secondo l’evangelo eterno.
- la bestia permette che gli uomini vivano se accettano il suo marchio, e adorano il dragone che aveva dato la sua autorità alla bestia (XIII:16,17,4).
I destinatari dell’azione di Dio e dell’Avversario sono gli stessi: l’umanità. La richiesta dei due protagonisti è la stessa: l’adorazione.
I mezzi utilizzati da Dio sono: la predicazione: - l’annuncio dell’evangelo eterno - il suggellamento dei credenti.
I mezzi utilizzati da Satana sono: la predicazione: - dice agli abitanti della terra di fare un’immagine alla bestia - di prendere il marchio dei perduti.
I risultati di questa scelta sono:
La realtà immediata dell’uomo
La realtà ultima di Dio
- Sul trono di questa terra, la bestia e la sua immagine regnano a Babilonia - Gli adoratori della bestia hanno dei privilegi. - Dio e il suo tabernacolo sono oggetto di blasfemi (XIII:6). - Gli adoratori di Dio sono perseguitati e sono oggetto di discriminazioni. - La bestia e i suoi adoratori regnano per un tempo ed esercitano il loro potere tirannico sul popolo di Dio.
- Sui troni dell’universo, Dio e l’Agnello regnano sul monte Sion. - Gli adoratori di Dio hanno vinto e gioiscono della felicità eterna. - La bestia e la sua immagine sono tormentati con Babilonia. - Gli adoratori della bestia sono puniti e distrutti. - Giovanni vede questi poteri già distrutti. Il popolo di Dio è davanti al suo Creatore e canta inni di trionfo (XIV:3; XV:2).
Il combattimento per i credenti sarà talmente difficile che l’angelo conclude il suo messaggio dicendo: «Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore». Il contrasto tra il vero e il falso culto di Apocalisse XIII e XIV può essere così schematizzato:
Mezzi mediante i quali è ottenuta l’adorazione Il vero culto a Dio e all’Agnello
Il falso culto al dragone, alla bestia e all’immagine della bestia
Nel rispetto delle creature mediante:
Nel terrore mediante:
- la predicazione dell’evangelo, - l’amore (Dio chiama e avverte), - la verità (l’evangelo è eterno). Quando la profezia diventa storia
- la pressione del potere (XIII:3,7), - la forza (XIII:12), - la minaccia di morte (XIII:15), 681
CAPITOLO XVI
la seduzione (XIII:13,14), l’interesse economico (XIII:13 e seg.)
In cosa consiste il culto - Timore di Dio (rispetto) - Lode a Dio /attribuzione di gloria; - Adorazione volontaria;
- Timore delle bestie (terrore) XIII: 14,15. - Autoesaltazione, obbedienza per interesse (XIII:16,17); - Seduzione (XIII:5; confr. XII:9); Alienazione (XIV:8)
Implicazione: cosa fanno gli adoratori - Sottomissione al Dio Creatore (XIV: 7); - Amore per il Redentore; - Fedeltà / Purezza religiosa («Non si sono contaminati con donne» XIV:4); - Verità («Non sono state trovate menzogne nella loro bocca» XIV:5); - Perseveranza nell’alleanza (XIV:12; XIII:10); - Hanno la loro parte nella comunità dei «santi» (XIV:12); - Obbediscono ai comandamenti di Dio (XIV:12). Sono resi giusti per la fede in Cristo Gesù (hanno lavato le loro vesti e le loro vite sono cambiate);
- Accettazione del «sigillo» di Dio (XIV:1; confr. VII:1-8); - Seguono l’Agnello che li conduce nella vita eterna (XIV:4).
- Sottomissione alle potenze di distruzione (rigetto di Dio come Creatore); - Ribellione contro Dio; - Apostasia / Impurità religiosa («Hanno fornicato con Babilonia» conf. XVIII:3); - Errore («Hanno bevuto il vino della prostituzione di Babilonia» (XIV:8); - Rigetto dell’alleanza; - Combattono i santi; - Obbediscono a dei comandamenti umani (rigetto dei comandamenti di Dio). Autogiustificazione. Adesione ai sistemi della bestia (giustificazione mediante le opere e rifiuto di essere cambiati); - Accettazione del marchio della bestia (XIII:16,17; XIV:9-11); - Seguono la bestia nella sua caduta.
Conseguenze immediate Persecuzione: - I veri adoratori sono perseguitati e anche messi a morte (XIII:15,16). - Privazione e discriminazione (XIII: 16,17) - «Non possono né acquistare né vendere». - Sono considerati da Dio come 682
Non persecuzione: - I falsi adoratori sono «protetti» dalla bestia (XIII:16,17). - Vantaggi materiali: - Possono acquistare e vendere (XIII: 16,17). - Sono considerati da Dio come colQuando la profezia diventa storia
ULTIMATUM
«irreprensibili» (XIV:5)
pevoli (XIV:8,9)
Conseguenze eterne Salvezza - «Sono riscattati dalla terra» (XIV:4) e dimorano per sempre con l’Agnello sul monte Sion (XIV:1).
Distruzione - «Sono tormentati nel fuoco e nello zolfo» (XIV:10) e saranno distrutti per sempre con la bestia e con la sua immagine nella caduta di Babilonia.
Il primo e il terzo messaggio hanno lo scopo di sostenere la Chiesa e di denunciare il pericolo dell’idolatria e del compromesso. La bestia e la sua immagine Adorare la bestia, adorare la sua immagine e/o prendere il marchio della bestia corrispondono alla stessa cosa. «L’uso della nozione d’immagine, sia nel Nuovo Testamento sia nel mondo greco, non è ridurre l’icona a una rappresentazione funzionale di una realtà. Al contrario, l’immagine è la realtà stessa, la sua essenza. Ha le stesse capacità di sentimenti e di azioni dell’originale. L’immagine della bestia è terrificante tanto quanto la bestia stessa. Non c’è concorrenza tra l’adorazione della bestia e l’adorazione della sua immagine. Inoltre, entrambi hanno lo stesso scopo: vincere i santi, metterli a morte, esercitare l’autorità su tutti gli abitanti della terra.125 Siccome non ci potranno essere due poteri universali sulla terra, noi siamo indotti a pensare che l’immagine della bestia non è che una forma religiosa del potere rappresentato dal mostro marino (la bestia). Essa è la sua bocca, poiché è mediante la bocca che proferisce delle bestemmie contro Dio, e mediante la bocca che l’idolo aggredisce i figli di Dio».126 La bestia, come abbiamo già detto, è «il potere politico incarnato nel papato: l’impero latino che giunge fino ai nostri giorni nei diversi stati sorti dallo smembramento dell’Impero Romano dal V secolo dopo Cristo. L’immagine della bestia è una società delle nazioni doppiata da una società delle Chiese: imitazione della società politico religiosa del Medio Evo, e strumento del dispotismo religioso».127 La bestia è il potere papale che nel tempo della fine riacquisterà potenza, influenza e dirigerà l’Europa. La sua immagine è una organizzazione politico-religiosa, distinta dall’Europa, separata geograficamente dall’Atlantico che agirà sotto il suo influsso. 125
Apocalisse 13:7,15, 3,16. LEHMANN Richard, Le Faux Prophète et l’Image de la Bête, in AA.VV., Études ..., p. 177; vedere Apocalisse 13:6,15. 127 VAUCHER Alfred Félix, L’Histoire du Salut, 3a ed., 1951, pp. 286, 187. 126
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CAPITOLO XVI
Questo terzo messaggio echeggerà in tutta la sua potenza quando i poteri rappresentati dalla bestia, ritornata ad avere la sua antica influenza, e dal falso profeta, saranno alleati nell’imporre il marchio. La crisi finale è nel futuro. Allora gli uomini saranno chiamati a scegliere il proprio signore. Allora l’umanità sarà divisa apertamente in due gruppi: coloro che accetteranno la sovranità del Dio Creatore e manifesteranno il sigillo della sua grazia, e coloro che accetteranno la sovranità della rivolta umana con il marchio della bestia. «I deportati della Riforma sul battello Notre Dame de Bonne Esperance, inviati nel 1687 alle isole dell’America per essere venduti, dichiaravano che erano stati obbligati ad abbandonare le loro Cévenne native “perché noi non vogliamo adorare la bestia, né ci vogliamo prosternare davanti a delle immagini”.128 In ogni epoca Dio ha avuto un popolo fedele che ha rifiutato di piegare il ginocchio davanti a un Baal qualunque, espressione premonitrice dell’ultimo Anticristo».129
Il marchio della bestia Il marchio della bestia, posto sulla fronte e sulla mano, si riferisce al pensiero e all’azione sia religiosa sia secolarizzata ciò è confermato dal fatto che la bestia espleta l’aspetto religioso e politico.130 Alla fine del terzo messaggio si opera un accostamento che non ci deve sfuggire: «Non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia e la sua immagine e chiunque prende il marchio del suo nome». È l’ora della «perseveranza dei santi «che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù». All’evangelo eterno di Cristo si contrappone un evangelo che, seppure predicato nel nome di Dio, è però una contraffazione. Gli assomiglia in molti valori, insegnamenti e comportamenti, ma comporta una evidente disobbedienza a Dio. «Questo appello è solenne. Noi siamo di fronte alla radicalizzazione finale del conflitto».131 Crediamo che si possa giungere alla seguente conclusione: «In un avvenire più o meno lontano il marchio della bestia si concretizzerà nella contestazione del potere creatore di Dio e nell’indifferenza o nell’opposizione riguardo al giorno di riposo divinamente istituito».132
128
SERRES E., Déportés pour la foi, Laffite reprints, Marseille 1985; cit. da P. DOMBRE, Le Christianisme au XX siècle, n. 110, 1987, p. 5; cit. R. Lehmann, o.c., p. 184. 129 R. Lehmann, o.c., p. 184. 130 Apocalisse 13:16. 131 R. Badenas, o.c., p. 151. 132 Y. Bourquin, o.c., p. 50.
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ULTIMATUM
Frédéric Godet nel 1861, terminando un rapporto presentato al congresso dell’Alleanza Evangelica a Ginevra, già si domandava se il cambiamento del giorno di riposo non fosse «uno dei tratti salienti del marchio della bestia».133 Ogni tentativo di abolire o rimpiazzare il giorno del IV comandamento con qualsiasi altro e d’imporlo non può che essere il frutto dell’opera dell’Anticristo. È proprio nei confronti di coloro che, pur dicendo di accettare la parola di Dio, alteravano il senso della legge del Signore, che Cristo Gesù ha le parole più severe: «Voi (siete) ipocriti. Questo popolo mi onora con le labbra, ma il cuore loro è lontano da me. Invano mi rendono il loro culto insegnando dottrine che sono precetti d’uomini. Voi lasciate il comandamento di Dio, state attaccati alla tradizione degli uomini. - Come ben sapete annullare il comandamento di Dio per osservare la tradizione vostra!»134 A causa di una situazione sociale particolare, forse gli imperativi di una crisi economica e morale senza precedenti, i governi saranno portati a prendere delle decisioni per il bene comune e il giorno di riposo avrà allora un ruolo notevole nella organizzazione della vita dei paesi degli Stati Uniti e dell’antico impero latino. Le chiese moltitudiniste non avranno nulla da ridire, perché anch’esse sono impegnate in un’azione politica e sociale, promossa nel nome della fede, nello stabilire un giorno a differenza di un altro. La legge di Dio può ben essere aggiornata e non considerata per una questione circostanziale. Sebbene oggi il giorno di riposo settimanale lo si rivendichi sempre di più sotto l’aspetto sociale, non motivandolo per questioni religiose, si riconosce che la sua scelta però è condizionata dalle tradizioni religiose. Il BIT - Bureau International du Travail - propone che «il riposo settimanale venga fissato nel giorno consacrato dalla tradizione o dagli usi del paese o della religione». La Convenzione 14, articolo 2, paragrafo 3, la formula in questi termini: «(Il riposo settimanale) coinciderà, finché è possibile, con i giorni consacrati dalla tradizione o dagli usi del paese o della regione».135 Il costume popolare corrisponde in generale a una educazione religiosa tramandata da tempo. Per l’Europa e l’America e la maggioranza dei Paesi, anche di religione mussulmana e di altre fedi, è la domenica. Questa dichiarazione dimostra l’impossibilità di separare la domenica, come istituzione civile, dalla domenica, istituzione di chiesa. Babilonia la grande ha condiviso con tutti il vino della sua fornicazione. Cattolici e protestanti sono uniti in un unico interesse. La domenica è un argomento indiscusso di unione e sulla sua base si stabilisce l’intesa a livello spirituale, religioso e sociale.
133
GODET Frédéric, Le Jour du Seigneur et les meilleurs moyens d’en assurer la santification, Genève 1861, p. 28. Marco 7:6-9. 135 ROSSI Gianfranco, Le repos hébdomadaire dans les conventions internationales, in Conscience et Liberté, n. 1, 1971, p. 60. 134
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Sebbene il BIT stabilisca: «Le tradizioni e gli usi delle minoranze religiose saranno rispettate in tutta la misura del possibile»136 nella realtà il «possibile» non è sempre praticabile. Per esempio nella Costituzione svizzera, con gli articoli 49, 50 si garantisce la libertà di coscienza del credente: «La libertà di coscienza è inviolabile», mentre al paragrafo 5 si trova una restrizione: «Nessuno può, per motivi di opinione religiosa, sottrarsi al compimento del proprio dovere civile».137 In Belgio: «Il servizio dello Stato è una necessità, coloro che sono incaricati di doverlo compiere non possono sottrarsi a questo obbligo invocando le loro opinioni religiose. L’interesse sociale primeggia le convinzioni religiose dei cittadini».138 In attesa che venga il tempo di imporre il marchio della bestia, già oggi viene proclamato l’invito a conformarsi alla volontà del Signore.
La conseguenza di chi ha il marchio della bestia «Berrà del vino dell’ira di Dio mesciuto puro nel calice della sua ira; e sarà tormentato con fuoco e zolfo nel cospetto dei santi angeli e dell’Agnello». Questo avvertimento vuole sottrarre i credenti, i veri adoratori, a due pericoli: - il primo pericolo, il castigo immediato, quello delle ultime piaghe che colpiranno l’umanità ribelle alla fine del tempo di grazia, descritte nel capitolo XVI di Apocalisse perché, avendo rifiutato il Signore della grazia, non hanno più alcun rifugio e protezione. Il vino, elemento che stordisce, ed abbatte, simboleggia la collera di Dio manifestata nei suoi giudizi. Il vino puro senza nessun’altra miscela è il giudizio non addolcito da nessuna misericordia. - il secondo pericolo o secondo giudizio, a differenza del primo che avviene prima del ritorno di Gesù, è il giudizio finale, che avverrà dopo il millennio descritto nei capitoli XX e XXI dell’Apocalisse e comporterà la distruzione finale, la morte seconda, di chi non ha accettato il Signore. Sebbene questi avvenimenti siano futuri: la prima, precede il millennio; la seconda lo segue. Il testo biblico dice: «Il fumo del loro tormento sale (nel presente, fin da ora) e non hanno pace (neppure nel nostro tempo) coloro che adorano (o seguono) la bestia e la sua immagine».
I tre messaggi sono un annuncio di salvezza
136
G. Rossi, idem, p. 61. Constitution Fédérale Suisse, 12 settembre 1848; Vedere BAUMGARTNER W., Les lois du dimanche, Collonges sous Salève, p. 108. 138 BARA, Essai sur les rapports de l’Etat et des religions, p. 151; cit. in Reportoire du Droit Belge, p. 315; cit. da E.W. Baumgartner, o.c., p. 110. 137
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Questi avvertimenti aiutano l’uomo a prendere coscienza che il Signore non terrà il colpevole per innocente e che il male non potrà essere incorporato nel bene, verrà annientato e distrutto per sempre sotto ogni forma. Ma lo scopo di questo messaggio non è quello di fare paura, la paura non ha mai convertito una sola persona. È l’amore di e per Cristo Gesù, morto e risuscitato che permette la coerenza con la Parola di Dio. Il Dio della rivelazione è il Dio della misericordia, della grazia. La sua parola, l’evangelo, la buona notizia, non è la predicazione del giudizio e della distruzione, ma l’annuncio del perdono, della sua pazienza, della grazia; è l’invito che ci rivolge fino all’ultimo momento: fare dell’uomo un figlio di Dio. L’evangelo non è il cattivo messaggio della perdizione, è il messaggio della liberazione, della salvezza, ma annunciando questa negatività, ancora una volta ci dice che gli uomini sono morti, di già morti e distrutti se non accettano la vita. Questo triplice messaggio ha il solo scopo di preparare un popolo di santificati nel Signore che attendono il suo ritorno. Il risultato del terzo messaggio è quello di completare il rimanente del popolo di Dio che si identifica con due caratteristiche: osserva i comandamenti di Dio e ha la fede in Gesù. Il triplice messaggio ha iniziato ad essere proclamato nel secolo scorso e molti di coloro che lo hanno accettato si sono addormentati nel Signore. Per costoro Dio dice: «Beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. “Sì” dice lo Spirito, “essendo che si riposano dalle loro fatiche, poiché le loro opere li seguono”».139 Questi credenti si sono addormentati attendendo la resurrezione. Sono nelle tombe, non partecipano più a tutto ciò che si svolge sotto il sole, ma la loro opera, la loro fatica, il loro sostegno alla causa di Dio non è stato inutile. La loro testimonianza è stata accolta e continuata.
Riepilogo Questo triplice messaggio è ripreso all’inizio del XVIII capitolo dell’Apocalisse quando Giovanni scrive: «E dopo queste cose vidi un altro angelo che scendeva dal cielo, il quale aveva gran potestà; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Ed egli gridò con voce potente, dicendo: “Caduta, caduta è Babilonia la grande, ed è diventata albergo di demoni e ricetto di ogni spirito immondo e abominevole, e i re della terra hanno fornicato con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti con la sua sfrenata lussuria”. 139
Apocalisse 14:13. Quando la profezia diventa storia
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Poi udii un’altra voce dal cielo che diceva: “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non abbiate parte alle sue piaghe; poiché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle iniquità di lei”».140 Questo brano è preso in considerazione da noi nel nostro Capitolo XIX, ma riteniamo opportuno anticiparlo qui perché riteniamo che esso riepiloghi i tre messaggi di Apocalisse XIV, porta i veri adoratori dell’Eterno, che sono nella confusione di Babilonia, a prendere le distanza da ciò che non è vero per uscire dalle proprie tradizioni e credenze, perché illuminati da Dio possano adorarlo in «spirito e verità». Quando si sa che cosa rappresenta Babilonia non si può più rimanere dentro. Oggi molti non hanno ancora capito il senso dell’esistenza di questa istituzione, sistema. Non si può aiutare Babilonia rimanendo dentro. Si può fare qualcosa per lei uscendo. Lasciare Babilonia significa fare delle scelte senza compromessi in favore della verità. Coloro che rimangono in Babilonia hanno fatto una scelta «non hanno aperto il cuore all’amore della verità per essere salvati».141 È l’ultimo appello che il Signore rivolge all’umanità prima che le piaghe colpiscano questo mondo, prima che l’ultima pagina della storia venga drammaticamente scritta. L’invito di Dio è un grido di speranza, di salvezza, di fiducia nella sincerità dell’uomo. Gesù dice che quando ritornerà sarà «come ai tempi di Noè» quando «si mangiava e si beveva, si prendeva moglie e di andava a marito... e di nulla si avvide la gente, finché venne il diluvio che portò via tutti quanti».142
Conclusione Questo triplice messaggio prepara l’umanità per il tempo della mietitura e della vendemmia che si realizzerà al ritorno di Gesù. Ha iniziato ad essere proclamato con il primo appello nel secolo scorso, allo scadere dei 2300 anni profetici di Daniele che segnavano il tempo dell’inizio del giudizio nel santuario celeste e l’annuncio sulla terra dell’evangelo eterno, invitando gli uomini a onorare il Dio della creazione. La cristianità che, non recependo questo invito di un ritorno alle origini del cristianesimo, decade è diventata Babilonia e i tentativi che fa per autorealizzarsi l’allontanano sempre più da Dio. Il teologo protestante di Tubinga, Ernest Käsemann, in occasione della XIII grande assemblea popolare di studio e dibattito dei cristiani evangelici tedeschi, svoltasi ad Hannover dal 21 al 25 giugno 1967, dichiarava: «Solo un folle può fingere di non accorgersi che il rovescio della medaglia del riavvicinamento ecumenico è la morte 140 141 142
Apocalisse 18:2-4. 2 Tessalonicesi 2:10. Matteo 24:37-39.
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della Chiesa in ogni parte del mondo. E non occorre essere profeti per rendersi conto che le strutture organizzative del cristianesimo occidentale non reggeranno ancora per molto tempo alla marea crescente della secolarizzazione che preme su loro. Potrebbe essere opportuno iniziare in futuro i nostri culti con le parole del Battista: “Già la scure è posta alla radice degli alberi”, e comunque mi sembra che le celebrazioni della Riforma di quest’anno avrebbero ragione d’essere solo come occasione di ravvedimento, mediante il tema: “Ricordati donde sei caduto”».143 Il teologo protestante italiano Vittorio Subilia, scriveva: «Le Chiese devono mettersi alla ricerca di una via nuova. Questa via con ogni probabilità sarà diversa tanto dalla via seguita in questo cinquantennio di ecumenismo, quale ci appare nelle sue evoluzioni più recenti, quanto dalle prospettive proposte dal Concilio Vaticano. Questa via con ogni probabilità non seguirà neppure la pista che le viene offerta dai miti del dialogo, del servizio, del comunitarismo, che hanno conferito alla Cristianità della nostra generazione una vitalità fittizia, illudendola di inserirsi nel mondo col fermento dell’evangelo, mentre si tratta troppo spesso della consacrazione religiosa dell’etica occorrente alla società borghese e marxista per superare la crisi di trasformazione delle sue strutture. C’è dunque da presumere che la via non potrà essere né tradizionale-conservatrice, né ecumenica, né vaticana, né marxista. Allo stato attuale delle cose nessuno è in grado di indicare in anticipo quale sarà il tracciato di questa nuova via: a meno che nella nostra generazione sorga un profeta, che pronunci una parola tale da liberarci dalla nostra disorientata e amara inquietudine di uomini alla ricerca di qualche cosa che non sanno né esprimere né individuare, ma che segretamente sanno essere l’essenziale e non trovano a nessuno degli indirizzi noti. Si può soltanto dire - ma si deve dirlo - che l’udienza e l’autorità che il messaggio cristiano potrà ancora avere nel mondo di domani, dipenderà dalla capacità o meno di trovare questa via».144 In questa Babilonia il Signore ha comunque degli uomini e delle donne che lo hanno accettato sinceramente. Il terzo messaggio, che si compirà in un momento particolare della storia in cui i poteri religiosi manifesteranno il loro vero volto, permetterà alle persone di buona volontà di schierarsi per il Signore. È una testimonianza che oggi, come al tempo del profeta Elia, ci sono «settemila uomini il cui ginocchio non si è piegato a Baal».145
143 144 145
KÃSEMANN Ernest, Cristo fra noi, Torino 1970, p. 30. SUBILIA Vittorio, La nuova cattolicità del cattolicesimo, ed. Claudiana, Torre Pellice 1967, pp. 302,303. 1 Re 19:18. Quando la profezia diventa storia
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Capitolo XVII LE ULTIME PIAGHE PRIMA DELLA LIBERAZIONE «Cercate l’Eterno mentre lo si può trovare, invocatelo, mentre è vicino» Isaia.1 «L’irrefrenabile sviluppo industriale è stato compiuto non in millenni, non in secoli, ma solamente negli ultimi ventotto anni, dal “45 in poi. I gruppi di scienziati che abbiamo indicato hanno eseguito calcoli computerizzati su diverse varianti di sviluppo economico e tutte queste varianti sono risultate senza speranza, tali da far prevedere una catastrofica fine dell’umanità tra il 2020 e il 2070 ... In tali calcoli sono stati presi in considerazione cinque fattori principali: la popolazione, le risorse naturali, la produzione agricola, l’industria e l’inquinamento dell’am-biente. Se si deve credere alle informazioni esistenti sulle risorse della terra, alcune di esse sono destinate ad un rapido esaurimento; fra vent’anni sarà esaurito tutto il petrolio, fra diciannove il rame, fra dodici il mercurio, e molte altre sono vicine alla fine; limitatissime sono le risorse energetiche e l’acqua dolce. Ma se anche le risorse dovessero risultare in seguito a nuove esplorazioni, doppie o triple a quelle che oggi conosciamo, e se la produzione dell’agricoltura raddoppiasse, e l’uomo disponesse di una energia nucleare illimitata, in ogni caso nei primi decenni del secolo XXI si avrà la morte in massa della popolazione, dovuta se non all’arresto della produzione (esaurimento delle risorse) all’eccesso di produzione (rovina dell’ambiente)» Aleksandr Solzenicyn (Solgenitzin).2 «La collera divina non si esaurisce contro i peccatori impenitenti semplicemente a causa di peccati che hanno commesso, ma piuttosto quando, essendo chiamati al pentimento, preferiscono continuare a resistere a Dio e a persistere nei loro peccati, disprezzando la luce che è data a loro» Ellen White.3
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Isaia 55:6. Lettera aperta a Breznev. WHITE Ellen, Conquérantes Pacifiques, Dammarie les Lys, p. 55.
CAPITOLO XVII
Introduzione «La visione dei sette sigilli espone le misure governative con le quali Dio prepara lo stabilimento finale del suo regno. La visione delle sette trombe descrive i castighi con i quali l’Eterno colpisce una cristianità degenerata e idolatra, in vista della conversione. La visione delle sette ultime piaghe mostra la consumazione della collera divina. Le prime due visioni sono parallele e coprono tutta la dispensazione evangelica, la terza visione fa seguito alle precedenti nell’ordine cronologico, e segna la fine di questa dispensazione».4 «I capitoli XV e XVI dell’Apocalisse contengono un’unica visione come indica il primo versetto del capitolo XV che ne dà il contenuto essenziale. Non si tratta più qui soltanto di avvertimenti preannuncianti l’avvicinarsi del giudizio, né di prefigurazione di esso come nella messe e nella vendemmia della terra, ma si tratta del principio effettivo del giudizio sui nemici, giacché le sette ultime piaghe non sono più dei castighi disciplinari destinati a produrre il ravvedimento, come quelli che seguivano l’apertura dei sigilli e il suono delle trombe, ma sono assai più gravi nei loro effetti di distruzione: sono il vento che precede la tempesta. A rassicurare il veggente e i suoi lettori intorno alla sorte dei fedeli, gli è concesso però, fin dal principio della visione, di contemplarli, raccolti al sicuro, davanti al trono di Dio e intenti a celebrarne le perfezioni; dopo di che, con cuore più tranquillo, egli può seguire i preparativi e quindi l’esecuzione dei prodromi del giudizio che segnerà la vittoria del Cristo sui nemici».5 Questa «visione delle coppe dell’ira6 di Dio che devono essere versate sulla terra... riguarda tutto l’impero anticristiano»,7 il mondo che è in rivolta contro Dio. «È la storia delle piaghe d’Egitto che si rinnova».8 4
VAUCHER Alfred-Félix, L’Histoire du Salut, 3a ed., Dammarie-les-Lys 1951, p. 391. BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 109. 6 Il pastore RIZZO Rolando scrive: «I profeti sembra abbiano soprattutto quasi la vocazione a essere i portavoce dell’ira di Dio; eppure, esaminata in profondità la presenza dell’ira di Dio, così come si esprime attraverso i profeti, dà la misura della straordinaria sollecitudine di Dio verso l’uomo. - L’ira di Dio è il segno estremo di una divinità che non è impassibile, è il limite del suo intervento nel mondo, della sua partecipazione. La completa soppressione dell’ira, in un uomo, significa resa e capitolazione nei confronti del male. L’ira dell’uomo è spesso irrazionale; l’ira di Dio è estremo coinvolgimento e ha di mira il lupo che sbrana l’agnello, e se ha per oggetto l’agnello è atto estremo per ricondurlo all’ovile. All’ira umana si accompagnano l’irrazionalità, il rancore, l’iniquità, l’ingiustizia, la parzialità. L’ira di Dio è solo giustizia. È un ritornello dei profeti affermare che Dio è lento all’ira (Esodo 34:6; Numeri 14:18; Geremia 15:15; Giovanni 4:2, ecc.), ma la sua ira è contingente, destinata a creare mutamento, a mostrare il volto del male, ciò a cui ci si espone abbandonando la verità e la giustizia.... L’ira di Dio non è mai vendetta, è strumentale; quando raggiunge il suo scopo, sempre redentivo, si arresta d’incanto... È un uragano la cui vocazione è di lasciare la scena al sole d’estate.- L’ira di Dio nei profeti è la certezza del trionfo della giustizia; Dio è amore ma l’amore non è mai complicità con il male o indifferenza nei suoi confronti; la giustizia è un aspetto del suo amore (Geremia 23:20). L’ira di Dio è avvenimento, ma appartiene alle cose che passano (Geremia 7:18,19; Osea 11:9). Ciò che resta è l’amore», Il veicolo della Speranza, in AA.VV., Siamo pieni di Speranza, ed. A.d.V., Falciani 1992, pp. 40,41. L’ira di Dio è ciò che di male succede all’uomo come conseguenza della sua separazione da Dio. Qui nel nostro testo dell’Apocalisse si assiste alla conseguenza finale della frattura dell’uomo da Dio. 7 JURIEU Pierre, L’accomplissement des prophéties, t. I, Rotterdam 1686, p. 308. 5
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Diverse sono le posizioni che i teologi hanno su queste ultime sette piaghe. Alcuni commentatori hanno collocato la realizzazione di questa pagina dell’Apocalisse durante i giorni di Lutero, altri al tempo della Rivoluzione francese, e altri ancora hanno precisato che si riferisce all’ultimo quarto del nostro XX secolo. Altri hanno applicato questo scritto al giudizio finale, altri, già dal tempo del vescovo anglicano Newton, fino ai recenti giornalisti, al “pericolo giallo”. Così oggi si può leggere una ricca letteratura sull’Eufrate, su Meghiddo e i re dell’Est. I preteristi, come lo Stuart, hanno visto le piaghe sui nemici della Chiesa, dalla morte di Nerone alla distruzione di Gerusalemme, con una applicazione alla distruzione del mondo pagano al tempo di Costantino. I dispensazionalisti ed altri vi vedono un convergere di eserciti nel Medio Oriente che provocano un oceano di sangue per l’ultima battaglia. A causa di questo ventaglio di spiegazioni Milligan, preso forse da un sentimento di sconforto, diceva: «Sui dettagli di queste piaghe non è necessario insistere. Nessun tentativo di stabilire il significato specifico di quanto viene colpito dalla collera di Dio - la terra, il mare, i fiumi, le sorgenti delle acque e il sole - non è ancora stato, o forse mai lo sarà, sufficientemente spiegato con successo».9 Questo libro apostolico alla fine della prima parte, capitolo XI, presenta il suono della settima tromba, il giudizio di Dio sulle nazioni e la sua presa del Regno.10 Nella seconda metà abbiamo: Apocalisse XII, il dragone che tenta di sopprimere il figlio della donna, la quale, dopo che il Figlio è stato rapito in cielo, fuggirà nel deserto; nel capitolo XIII abbiamo l’ampliamento dell’opera del dragone contro la donna durante il tempo che è nel deserto e nei secoli che vengono dopo mediante i due poteri da lui suscitati: le due bestie e, sempre alla fine del capitolo XIII, al popolo di Dio è tolto il diritto di risiedere su questa terra. Nel capitolo XIV si annuncia il giudizio di Dio e nei capitoli successivi XV e XVI si ha la descrizione che la Chiesa, essendo ancora su questa terra, sarà messa al riparo durante le piaghe finali che colpiranno l’umanità. Questi due capitoli, di cui il XV è il prologo al XVI, vengono commentati nei successivi capitoli XVII, XVIII e XIX. Alla conclusione di quest’ultimo il dragone, la bestia e il falso profeta e i re della terra verranno vinti, uccisi e, nel capitolo XX, il dragone, dopo essere stato vinto, viene relegato in una posizione di inattività e giungerà alla sua fine, con tutti gli oppositori all’Eterno, quale conseguenza del giudizio universale. Concordiamo con Milligan quando dice che nel capitolo XVI si raggiunge «un supremo momento nella storia della Chiesa e del mondo». Le piaghe colpiranno l’umanità dopo che essa avrà scelto il suo campione: l’Eterno, il Creatore o l’Avversario, Satana. Questa scelta è la conseguenza della predicazione dell’Evangelo del Regno, dell’annuncio che verrà fatto al mondo intero,
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GODET Frédéric, Études Bibliques, t. II, 5a ed., Paris 1899, p. 308. MILLIGAN William, The Revelation of St. John, London 1887, p. 265. Apocalisse 11:15-18. Quando la profezia diventa storia
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il triplice messaggio di Apocalisse XIV e l’invito ad uscire da “Babilonia la grande”, come lo stesso Giovanni scrive nel capitolo XVIII:4. Il periodo che precede la grande liberazione della Chiesa sarà un tempo di angoscia senza precedenti per tutto il mondo.11 Le piaghe che colpiscono l’umanità saranno la conseguenza diretta del rifiuto della protezione divina: «La tua propria malvagità è quella che ti castiga, e le tue infedeltà sono la tua punizione... Ecco io faccio venire su questo popolo una calamità frutto dei loro pensieri; perché non hanno prestato attenzione alle mie parole; e quanto alla mia legge l’hanno rigettata... È proprio me che offendete? dice l’Eterno, non offendono essi loro stessi, a loro propria confusione?... Le vostre iniquità hanno sconvolto queste cose, e i vostri pensieri vi hanno privato del benessere».12 Gesù tornerà per togliere dalla terra quella parte dell’umanità che, contrariamente ai costumi, alla mentalità del mondo, ha posto la propria fiducia in lui, nel Dio vivo, vero, personale e si è preparata nell’aspettarlo. La descrizione dettagliata delle sette ultime piaghe è preceduta da un quadro preliminare che offre una visione preparatoria. «Poi vidi nel cielo un altro segno grande e meraviglioso: sette angeli che avevano sette piaghe, le ultime; poiché con esse si compie l’ira di Dio. E vidi come un mare di vetro e di fuoco e quelli che avevano ottenuto vittoria sulla bestia e sulla sua immagine e sul numero del suo nome, i quali stavano in piè sul mare di vetro avendo delle arpe di Dio. E cantavano il cantico dell’Agnello, dicendo: “Grandi e meravigliose sono le tue opere, o Signore Iddio onnipotente; giuste e veraci sono le tue vie o Re delle nazioni. Chi non temerà o Signore, e chi non glorificherà il tuo nome? Poiché tu solo sei santo; e tutte le nazioni verranno e adoreranno nel tuo cospetto, poiché i tuoi giudizi sono stati manifestati”».13 «Il primo versetto è una specie di soprascritta di tutto il brano che segue, poiché i sette angeli non entrano in scena che dal sesto versetto».14 «Questo verso annuncia in modo riassuntivo il soggetto che, iniziando al versetto 5, giunge alla fine del testo
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Daniele 12:1,2. Geremia 2:19; 6:19; 7:19; 5:25. 13 Apocalisse 15:1-4. 14 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, l’Apocalypse, 3a ed., rivista ed ampliata da SCHRŒDER Alfred, Lausanne 1905, p. 413. 12
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(XVI:21). È il titolo che descrive l’intera sezione, come XVII :1 annuncia il tema di quanto viene presentato poi nei capitoli XVII-XIX:5».15 «Al capitolo XII, la “donna”, popolo di Dio in gestazione del Messia, costituiva un “grande segno”, opposto al “segno” terribile di Satana. Qui, di nuovo c’è un “segno grande ed ammirevole”: quello del giudizio divino. La santa indignazione di Dio contro la rivolta degli uomini e dei demoni deve essere manifestata in tutto il suo rigore».16 La ripetizione di questa espressione non può che introdurre la fine della guerra tra la donna e il dragone. «L’espressione “altro segno” indica chiaramente l’apertura di una nuova visione... Il segno è chiamato “grande” perché si riferisce al mondo intero e “ammirabile” perché le sette piaghe, nelle quali si svolge, sono la manifestazione della perfezione di Dio, specialmente della sua santità, della sua giustizia vendicatrice e della sua onnipotenza... Questi giudizi, sebbene siano così severi, non operano più la conversione del mondo come i precedenti, sono anche gli ultimi, con i quali si compie la collera di Dio. Immediatamente dopo verrà Gesù in persona per giudicare definitivamente i suoi nemici e glorificarsi nei suoi fedeli».17 Queste piaghe sono «le ultime e con esse si compie il giudizio di Dio».18 La gloria di Dio viene esaltata nel momento in cui i suoi giudizi si manifestano. «Il mare di vetro che nel capitolo IV:6 è posto davanti al trono di Dio e simboleggia la sua grazia, serve di rifugio a coloro che sono vincitori della bestia, della sua immagine e del numero del suo nome».19 «Esso rappresenta - nel capitolo IV - la vita divina contemporaneamente nella sua pienezza, nella sua calma profonda, nella sua durezza e nella sua serenità pacifica».20 Qui il mare di vetro è mescolato col fuoco, segno del giudizio di Dio. T.F. Torrance, a proposito di questo mare di vetro mescolato con il fuoco, commenta che «nella precedente visione del capitolo IV c’era lo stesso mare chiaro come cristallo e perfettamente calmo. Era il mare dell’umanità in perfetta armonia con Dio, senza l’increspatura dei disordini delle sue molte acque. Successivamente quel mare venne colpito da tempestose furie e spaventosi mostri emersero dalla sua profonda oscurità per devastare la terra. Ora noi vediamo lo stesso mare mescolato con il giudizio di Dio e quindi le sue acque diventano rosso sangue. È un mare di vetro mischiato con il fuoco: di vetro, poiché i giudizi di Dio sono chiari come cristallo e penetrano nelle oscure profondità dell’iniquità e nulla rimane nascosto alla sua luce investigatrice... C’è un giorno nella storia dell’evangelo in cui degli uomini terrorizzati videro il Figlio di Dio che camminava sull’abisso e furono chiamati a 15
BECKWITH Isbon T., The Apocalypse of John, Studies in Introduction, New York 1919, p. 673. BRÜTSCH Charles, La clarté de l’Apocalypse, 5a ed., Genève 1966, p. 257. 17 Idem. 18 «Se nulla si oppone alla spiegazione che pone in parallelismo le sette chiese ... e le sette trombe, la stessa cosa non può dirsi riguardo alle sette piaghe. Esse sono le ultime; poiché con esse si compie l’ira di Dio (15:1; confr. 11:18). Hanno errato, per conseguenza, quegli interpreti che le hanno cercate nel passato, come il Jurieu, il Rosselet, ecc...» VAUCHER Félix-Alfréd, Le sette ultime piaghe, in Araldo della Verità. 19 L. Bonnet, o.c., p. 414. 20 REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. II, Lausanne 1906, p. 7. 16
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seguirlo e calpestare la furia delle onde sotto i loro piedi. Così ora vediamo quelli che seguono l’Agnello dovunque vada che sono in piedi sul mare mescolato con il fuoco, perché avevano ottenuto la vittoria sulle acque agitate e infestate da bestie e sul loro dominio oppressore. Chi segue l’Agnello, chi cammina con Gesù il figlio di Dio, passerà attraverso un fuoco che non avrà nessun potere su lui...»21 Su questo mare di vetro sono riuniti, al sicuro, i fedeli viventi dell’ultima generazione, che vedranno Gesù ritornare nella sua gloria, perché hanno risposto all’appello del triplice messaggio, non hanno preso il marchio della bestia, sono usciti da Babilonia, e costituiranno la grande folla che è vissuta al tempo della grande tribolazione il cui numero simbolico di pienezza, di totalità e di perfezione è rappresentato dalla cifra 144.000, che è stata suggellata dallo Spirito di Dio.22 Questo mare ricorda quello del Mar Rosso, luogo di distruzione e morte per Faraone e le sue ostilità, ma di salvezza e libertà per il popolo di Dio. Si ripete l’esperienza di Esodo XV dopo la liberazione. Qui in Apocalisse l’Israele di Dio, del Nuovo Testamento, è visto liberato dai nemici e sta in piedi sul celeste mare di vetro. Il fuoco è frequentemente utilizzato a simbolo del giudizio, ed è enfatizzato in questo versetto, il cui significato non si trova nel precedente mare di cristallo. Siamo così all’apice della descrizione di un altro Esodo, quello della liberazione del popolo di Dio da Babilonia. Il secondo versetto è quindi una descrizione per anticipazione di un avvenimento futuro. Non si deve pensare, come alcuni hanno creduto, che i santi verranno trasportati in cielo prima che le piaghe si riversino sulla terra. Questa spiegazione, presente nel mondo evangelico fondamentalista, non può essere accettata. Con questa descrizione anticipata della vittoria, Dio ha voluto far conoscere i risultati finali. Dio presenta i vincitori già in possesso del frutto della loro vittoria, perché vuole assicurare che le piaghe non li colpiranno. Che gli eletti siano ancora sulla terra durante le piaghe, e quindi non possano essere stati rapiti in cielo, è dimostrato dal fatto che il testo di Giovanni insiste nel dire che i flagelli colpiscono chi ha il marchio della bestia e ciò presuppone che sulla terra ci siano anche coloro che non l’abbiano, altrimenti le piaghe, se non ci fossero i figli di Dio, colpirebbero semplicemente l’umanità che vive e il testo non avrebbe avuto motivo di precisare l’accettazione del marchio. Inoltre, in occasione della VI piaga abbiamo tra parentesi, in mezzo alla descrizione del flagello, una promessa e una esortazione che invita alla perseveranza i credenti che sono sulla terra: «Ecco io vengo come un ladro; beato colui che veglia e serba le sue vesti onde non cammini ignudo e non si vedano le sue vergogne».23 «Il canto di Mosè e il canto dell’Agnello, cioè il canto di Mosè che è anche il canto dell’Agnello, indica l’unità indissolubile delle due alleanze, tramite le quali si compie la redenzione. Questo canto vuole celebrare l’opera della salvezza tutta intera, così come Dio l’ha preparata con Mosè e compiuta da Cristo. Se questa spiegazione può sembrare troppo sottile, si può supporre che voglia dire semplicemente: questo 21 22 23
TORRANCE T.F., The Apocalypse Today, London 1960, pp. 126,127. Apocalisse 7. Vedere il nostro Capitolo XVIII. Apocalisse 16:15.
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canto celebra la liberazione compiuta dall’Agnello nei termini simili a quelli del canto di Mosè».24 È il canto dell’Agnello perché lui è il nuovo Mosè che introduce il suo popolo nella vera Terra promessa, il Regno di Dio, la Canaan celeste. Questo canto è cantato dal rimanente, dalla parte finale della Chiesa che osserva i comandamenti di Dio e ha la fede di e in Gesù. «Il cantico proclama che grandi ed ammirevoli sono le opere del Signore Dio,25 il dominatore sovrano,26 giuste e vere, cioè veramente divine sono tutte le sue vie.27 Chiama Dio re delle nazioni come Geremia.28 Prende in prestito dallo stesso profeta anche le parole “chi non ti temerebbe” o Signore, e “chi non glorificherà il tuo nome”. Due motivi sono dati per temere e per glorificare il nome del Signore: solo lui è santo e tutte le nazioni verranno e gli si prostreranno davanti.29 Questo ultimo fatto è motivato dalla manifestazione dei suoi giudizi. I giudizi di Dio, le prescrizioni e le leggi morali che ha stabilito30 sono sconosciuti e trasgrediti dai peccatori: ma quando Dio li manifesterà, dando a loro la suprema sanzione nei grandi giorni delle retribuzioni, tutte le nazioni dovranno prostrarsi davanti a lui».31
Fine del tempo di grazia «E dopo queste cose vidi, e il tempio del tabernacolo della testimonianza fu aperto in cielo: e i sette angeli che recavano le sette piaghe usciranno dal tempio, vestiti di lino puro e risplendenti, e col petto cinto di cintura d’oro. E una delle quattro creature viventi diede ai sette angeli sette coppe d’oro piene dell’ira di Dio, il quale vive nei secoli dei secoli. E il tempio fu ripieno del fumo a cagione della gloria di Dio e della sua potenza; e nessuno poteva entrare nel tempio finché fossero compiute le sette piaghe dei sette angeli».32 L’espressione “la collera di Dio” è un antropomorfismo, è un rappresentare gli attributi divini sotto l’immagine delle passioni umane. Vuole indicare la perfetta equità dei giudizi di Dio e che il Dio di amore, di misericordia e della grazia, non è il buon dio, non è colui che confonde il giusto con il colpevole e viceversa. 24
«Il canto di Mosè è secondo diversi interpreti quello che noi leggiamo in Esodo 15, e il canto dell’Agnello quello che Giovanni ci ha dato nel capitolo 5:8,9. È più probabile che non si tratti di questi due canti, ma d’uno solo, di quello le cui parole seguono immediatamente (versetti 3 s.p., 4)» L. Bonnet, o.c., p. 414. 25 Salmo 111:2; 139:14. 26 Apocalisse 11:17. 27 Salmo 145:17. 28 Geremia 10:7. Secondo il manoscritto Sinaiticus si dovrebbe leggere «re dei secoli» L. Bonnet, o.c., p. 414. 29 Salmo 86:9. 30 È il senso delle parole di Luca 1:6; Romani 1:32; 2:26. 31 L. Bonnet, o.c., p. 414. 32 Apocalisse 15:5-8. Quando la profezia diventa storia
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«Questa collera, le sette coppe, - diceva A. Reymond - è tutto un tesoro ammassato da lunga data, accumulato durante i secoli, di cui la terra intera deve subire gli effetti... In questo santuario, punto centrale della dimora di Dio e del suo trono, aperto agli sguardi del profeta, si trova la testimonianza di Dio scolpita su delle tavole di pietra che sono esse stesse depositate nell’arca dell’alleanza e che sono la rivelazione della santità dell’Eterno, della sua giustizia retributiva e vendicatrice. Le esigenze della legge devono essere dunque soddisfatte col castigo dei colpevoli».33 Con altre parole possiamo dire che la legge di Dio, che presiede all’ordine dell’universo e alla vita fisica e morale delle persone, rigettata dagli uomini, li espone a subire lo squilibrio che essi hanno scelto. La porta del santuario celeste che Giovanni vede aperta è quella del luogo santissimo. Questa porta si è aperta non per far entrare il nostro sommo Sacerdote Cristo Gesù, ma per farlo uscire. La sua opera in favore dei credenti è stata completata, l’evangelo è stato annunciato, lo Spirito Santo viene ritirato dalla terra, non dai credenti, nei quali trova il suo riposo, perché, oltre agli eletti, non ha più cuori umani che permettano la sua dimora; l’opera di salvezza è stata quindi compiuta; il tempo per cercare l’Eterno è finito e il Figlio dell’uomo viene insignito della sua regalità, avendo terminato l’opera di giudizio nel cielo, come ha descritto Daniele. Il trono della grazia, della misericordia, diventa il trono della gloria, si manifesta nella sua santità ed esprime la sua giustizia. Mentre questo si compie nel cielo, sulla terra si manifestano i discendenti di Set e quelli di Caino. Nel tempo delle piaghe, Giovanni dice: «Gli uomini... non si ravvidero delle loro opere». «Chi è ingiusto sia ingiusto ancora; chi è contaminato si contamini ancora; e chi è giusto pratichi ancora la giustizia e chi è santo si santifichi ancora. Ecco io vengo tosto, e il mio premio è meco per rendere a ciascuno secondo che sarà l’opera sua». E in quei giorni «dice il Signore, l’Eterno, io manderò la fame nel paese, non fame di pane o sete d’acqua, ma la fame e la sete di udire la parola dell’Eterno. Allora errando da un mare all’altro, dal settentrione al levante, correranno qua e là in cerca della parola dell’Eterno e non la troveranno. In quel giorno, le belle vergini e i giovani verranno meno per la sete».34 Gli angeli che Giovanni aveva menzionato all’inizio del capitolo, li presenta ora che escono dal santuario. «Escono dal tempio, cioè dall’immediata presenza di Dio a significare che la missione punitiva di cui sono incaricati procede dall’Eterno e fa parte dei suoi disegni divini»,35 sono stati previsti da Dio. «Essi dispongono delle sette piaghe che vanno a versare sulla terra. Escono dal tempio, sono i rivelatori dei supremi disegni di Dio. Sono vestiti come il sommo
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A. Reymond, o.c., t. II, pp. 12,10,11. Apocalisse 16:9,11; 22:10,11; Amos 8:11-13. E. Bosio, o.c., p. 196.
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Sacerdote e come Cristo stesso nella visione iniziale.36 Le coppe d’oro, che contengono i castighi decretati dal Dio che vive nei secoli dei secoli e che si manifesta come tale nei suoi giudizi, sono consegnate agli angeli da una delle quattro creature viventi, che rappresentano la forza della natura, impiegate da Dio per il compimento dei suoi disegni».37 Le coppe sono d’oro, dunque sante e preziose.38 Che gli uomini abbiano messo fine, con le loro decisioni, all’opera di Dio per la loro salvezza e che questa cessazione dell’azione di grazia del Signore sia raffigurata dal tempio celeste che si riempie di fumo e nel quale nessuno può entrare alla presenza dell’Eterno è stato compreso da diversi interpreti. 39 Commentava A. Reymond: «Allora il tempio si riempì di una “spessa fumata” immagine della gloria di Dio, dell’insieme delle sue viventi perfezioni, in questo caso particolare della sua potenza, della sua maestà temibile e velata, di cui il peccatore non può sopportare la vista. Allorquando la gloria dell’Eterno coprì il tabernacolo, Mosè non vi poté entrare. In occasione della dedicazione del tempio, quando la nuvola riempì ugualmente la casa dell’Eterno, i sacerdoti non si poterono tenere in piedi per fare il servizio. Là nell’oscurità nella quale l’Eterno si avvolge, nessuno può penetrare finché siano compiute le sette piaghe dei sette angeli. L’accesso alla grazia è chiuso, e così, nessuna creatura, nessun santo saprebbe entrare né intercedere per qualcuno. Il destino di ciascuno è allora irrevocabilmente fissato».40 L’antitipico giorno dell’espiazione finale che riguardava la purificazione del santuario celeste è vissuto dal nostro grande sommo Sacerdote che abbandona il santuario nel quale aveva operato dal giorno della sua ascensione in favore della salvezza dell’umanità. Alla fine del giudizio preliminare tutti i destini degli uomini sono decisi.41 Come Richardson scrive: «Nessuno può entrare alla sua presenza, (alla presenza dell’Eterno) nessuna preghiera potrebbe sviare la punizione che incombe».42 «Il tempo dell’intercessione è finito» scrive F.F. Bruce.43 «Quando il tempo stabilito da Dio è giunto, nulla può fermare il giudizio finale».44 36
Secondo una variante gli angeli sono vestiti di pietre anziché di lino. È uno sbaglio del copista; le parole pietre e lino non differiscono in greco se non di una lettera. 37 L. Bonnet, o.c., p. 415. 38 BENOIT Pierre de, Ce que l’Esprit dit aux Eglises - Commentaire sur l’Apocalypse, Vennes sur Lausanne 1941, p. 90. 39 Diversi commentatori vedono in questa espressione la fine del tempo di grazia per l’umanità. Per esempio: KUYPER A., The Revelation of St John, Eerdmans, 1935, 1963, pp. 172-174; LIGNE A. de, Apocalypsis, Bruxelles, TDT, 1971, p. 230; MOUNCE R.M., The Book of Revelation, Nicnt, Eerdmans, 1977, p. 290; CHARLES R.H., The Revelation of St. John, ICC, vol. II, 1976, p. 40; BÖTTCHER M., Weg und Ziel der Gemeinde Jesu, STA, Berlin 1978, p. 236. 40 A. Reymond, o.c., t. II, p. 12; confr. Esodo 40:34,35; 1 Re 8:10,11. 41 Apocalisse 22:11,12. 42 RICHARDSON Donald W., The Revelation of Jesus Christ, Atlanta 1976, p. 99; FORD Desmond, Crisis !, Newcastle 1982, p. 625. Vedere 2 Cronache 7:2,3; Isaia 6:4; Ezechiele 10:3,4. 43 BRUCE F.F., The Revelation to John, in A New Testament Commentary, ed. G.C.D. Howley, F.F.Bruce, H.L. Ellison, London 1969, p. 656. 44 MORRIS Leon, The Revelation of St. John, - An Introduction and Commentary, Grand Rapids, London 1969, p. 191. Quando la profezia diventa storia
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Il tempo della grazia è passato e le conseguenze del rifiuto dell’Eterno e della sua protezione, deve ora fare il suo corso.45 «Durante questi ultimi flagelli, l’accesso al santuario è sbarrato. Nessuno potrà avvicinarsi a Dio finché dureranno queste manifestazioni della sua collera. Non ci si prende gioco di Dio. Se c’è un tempo di grazia, c’è anche un tempo di giudizio. Se noi disprezziamo gli appelli d’amore del nostro Dio, negligiamo di ascoltarli quando c’è tempo, un giorno sarà troppo tardi e dovremo bere la coppa della sua ardente collera».46 La fine del tempo di grazia non è un momento della storia stabilito dalla volontà di Dio nel quale interrompe la propria azione nei confronti dell’uomo, ma è dato dalla volontà di Dio che si arresta di fronte alla volontà dell’uomo, del quale rispetta l’individualità, la scelta di non volerlo come proprio Signore. «Il tempo di grazia è passato; la giustizia deve avere il suo corso».47 Quando l’uomo si pone la domanda del perché i malvagi trionfano e sono tranquilli, mentre il giusto soffre, la risposta, come Asaf nel suo Salmo LXXIII, la si può trovare solamente entrando «nel santuario di Dio». In termini antropomorfici possiamo dire che la santità divina è così inesorabile come la sua misericordia è infinita. A noi scegliere oggi se accettare di essere collaboratori di Dio o essere contro di lui; se combattere con lui o contro di lui. Queste ultime piaghe sono l’espressione di un giudizio di Dio su una umanità babilonica impenitente che ha raggiunto i limiti della grazia, della misericordia divina, i cui «peccati si sono accumulati fino al cielo, e Dio si è ricordato delle sue iniquità».48 Queste piaghe che colpiranno l’umanità sono la conseguenza del fatto che l’Agnello l’ha abbandonata a se stessa perché ha rifiuto di accettare il triplice messaggio di avvertimento di Apocalisse XIV; ha indurito il proprio animo all’invito di un suo rinnovamento nella potenza dello Spirito Santo; ha rifiutato di uscire da Babilonia e ha preferito il marchio della bestia al Suo sigillo; ha adorato la sua immagine e ha contrastato colui che si è sacrificato per la salvezza degli uomini e ha cercato di eliminare da questo mondo il rimanente dei suoi fedeli.49 45 «La santità della legge è enfatizzata... da una allusione complessa a un numero di passi dell’Antico Testamento circa la gloria del Signore... l’opera di grazia ... del Suo santuario è stata completata» LENSKI R.C.H., The Interpretation of St John’s Revelation, Minneapolis 1943, p. 462.Vedere anche CAIRD G.B., The Revelation of St John the Divine, ICC, London 1966, p. 200. 46 P. de Benoit, o.c., p. 90. 47 L. Bonnet, o.c., p. 417. 48 Apocalisse 18:5; 16:5,6,9,11,21. 49 Apocalisse 18:4; 17:14; 16:2-6. Crediamo si possa fare un parallelismo tra la distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. e le ultime piaghe. Dopo che i Giudei hanno coscientemente deciso di eliminare Gesù, il Signore pronuncia il suo settimo discorso sulla città impenitente: «Guai a voi... Voi colmate la misura dei vostri padri!... venga su di voi tutto il sangue sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria... che voi uccideste fra il tempio e l’altare. Io vi dico la verità tutte queste cose avverranno su questa generazione». Gesù rivolse l’ultimo appello: «Gerusalemme, Gerusalemme...» (Matteo 23:29,32,35,36,37-39). Allo stesso modo Paolo qualche anno dopo scriverà ai Tessalonicesi dicendo che i Giudei che «hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti» ci proibiscono di «parlare ai Gentili perché siano
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Queste piaghe sono la conseguenza del rifiuto che l’umanità fa all’invito del Signore, e la conseguenza del «persistere nel rimanere nei propri peccati, disprezzando la luce che le è data».50 In occasione del terzo messaggio l’umanità è stata avvertita che chi avesse preso il marchio e avesse adorato l’immagine della bestia avrebbe, come conseguenza, bevuto «del vino dell’ira di Dio, mesciuto puro», cioè senza essere mitigato dalla grazia dell’Eterno. Questa espressione è l’annuncio delle piaghe che colpiranno la Terra. Con queste sette piaghe, che sono le ultime, è detto che «si compie l’ira di Dio».51 Queste piaghe fanno parte dell’annuncio dell’evangelo eterno, dell’annuncio del giudizio su una umanità incosciente in rivolta contro l’Eterno la cui azione sfocia nelle calamità di Harmaghedon, nella quale ci compie il «furore dell’ira» di Dio.52 I Salmi presentano il vino inebriante dell’Eterno come espressione del suo giudizio sui malvagi.53 Coloro che subiranno queste piaghe, bevendo il vino dell’ira di Dio, hanno di già bevuto il vino di Babilonia, cioè si sono ubriacati di Babilonia prendendo il marchio e adorando la sua immagine, in contrasto con il sigillo dell’Iddio vivente che viene posto sulla fronte dei credenti, ed esprime la propria unione con Dio e con l’Agnello, dei quali «osservano i comandamenti» e «ritengono la testimonianza di Gesù».54 Anche questa opera si compie nel tempo della fine in contrapposizione a quella dell’avversario.55 Possiamo quindi pensare che in quel tempo l’umanità sarà divisa in due gruppi di adoratori. Tutto quello che Dio poteva fare in favore delle sue creature lo ha fatto. Chi ha scelto altro della sua grazia subirà le conseguenze delle proprie azioni.
Le sette ultime piaghe
salvati. Essi vengono così a colmare senza posa la misura dei loro peccati; ma ormai li ha raggiunti l’ira finale» 2 lettera 1:16. Così dopo gli ultimi messaggi di misericordia di Dio e a seguito dell’espressione ultima della ribellione degli uomini (Apocalisse 14:6-12; 13:15-17), dopo che tutto quanto era possibile compiere per la salvezza dell’umanità sarà stato fatto, si compie il giudizio di Dio». Come il sangue di tutti i giusti che sono stati messi a morte sulla terra ricadde sulla generazione che rigettò Gesù al tempo della sua prima venuta (Matteo 23:34-36), sarà la stessa cosa alla fine dei tempi. Dobbiamo ricordare che i terribili giudizi sono inflitti come conseguenza degli atti descritti nella conclusione del capitolo 13 di Apocalisse» ANDREWS John Nevins, Three Messages of Revelation 14, Review and Herald Publishing Company, Battle Creek, Michigan, 1892; ristampata da Southern Publishing Association, Nashville, Tenessee, 1970, p. 119. 50 E. White, o.c., p. 55. 51 Apocalisse 14:10; 15:1. 52 Apocalisse 14:6; 16:17,19. 53 Salmo 75:9. Il vino simboleggia la distruzione (Giobbe 21:20), ed è una espressione ebraica per indicare la guerra di Yahvé. Vedere LaRONDELLE Hans, Chariots of Salvation: The Biblical Drama of Armaghedon, Review and Herald Publishing Association, 1983, capitoli 2,3,4. Pure Israele ebbe a bere la collera di Dio, quale coppa di desolazione e di distruzione, quando, a causa della propria apostasia, è stato invaso e vinto dai nemici (Salmo 60:1-3). 54 Apocalisse 14:12; 12:17. L’espressione «Parola di Dio e testimonianza di Gesù» Apocalisse 1:2,9; 6:9; 12:17; 14:12; 20:4, è il tema teologico dello scritto di Giovanni. «Nel libro dell’Apocalisse, la fedeltà alla “Parola di Dio” e alla “testimonianza di Gesù” separa i fedeli dagli infedeli e provoca la persecuzione, l’esilio stesso dell’apostolo Giovanni e il martirio degli altri» STRAND Kenneth A., The Two Wittnesses of Revelation, AUSS, 21,3, 1983, pp. 251264; cit. da H.K. LaRondelle, La signification..., p. 214. 55 Apocalisse 14:9; 7:2,3,4; 14:1. Quando la profezia diventa storia
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«E udii una gran voce dal tempio che diceva ai sette angeli: “Andate e versate sulla terra le sette coppe dell’ira di Dio”».56 Prima di passare alla considerazione delle sette piaghe vogliamo precisare la loro durata, la loro estensione e la loro natura.
Durata
Lo scritto di Giovanni al capitolo XVI non ci dice nulla riguardo alla durata di questi flagelli, ma si può dedurre che avranno complessivamente una durata breve per diverse ragioni: - se durassero molto renderebbero la vita impossibile; - vengono versati tra la fine del tempo di grazia ed il ritorno di Gesù, questi due avvenimenti devono essere vicini tra di loro; - al capitolo XVIII:8 è detto che in uno stesso giorno verranno le sue piaghe. Questo ha fatto pensare che si tratti di un giorno-anno, ma sembra preferibile vedere un periodo di tempo breve; - sotto la quinta piaga gli uomini colpiti dalla prima piaga si lamenteranno e bestemmieranno Dio per le sofferenze da essa causate.
Estensione
Per quanto riguarda l’estensione di queste piaghe dobbiamo cercare di capire la rivelazione che ci fa Giovanni. Il testo sacro dice che le piaghe colpiranno coloro che hanno il marchio della bestia, hanno adorato la sua immagine e hanno preso il numero del suo nome. Ciò è precisato per la prima piaga. In occasione del VI flagello si menziona la bestia, il falso profeta, il dragone, che implicano anche i loro specifici territori geografici ai quali si deve aggiungere quello dei «re di tutto il mondo». A questa geografica estensione mondiale era stato annunciato il triplice messaggio di salvezza di Apocalisse XIV:6-12, l’invito di Apocalisse XVIII:4 e la predicazione dell’evangelo di Matteo XXIV:14. Per questi motivi possiamo pensare ad una estensione mondiale, ma con una accentuazione nei territori che riguardano i due mostri, protagonisti principali della conclusione della storia con i paesi nei quali esprimono la loro autorità. Dobbiamo anche dire che se le piaghe fossero universali e colpissero tutti gli abitanti della terra, essi verrebbero sterminati; la prima sarebbe già sufficiente e le altre sarebbero inutili. La IV riguarda le nazioni che sostengono Babilonia la quale, pur essendo la rappresentante della religiosità dei popoli, ha nelle nazioni europee, le 10 corna, i suoi principali sostenitori. 56
Apocalisse 16:1.
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La V riguarda il trono della bestia, il cui regno viene oscurato. La VII è universale e gli effetti saranno così dirompenti che una orogenesi riporterà la Terra ad essere nuovamente abitabile per le creature umane. Inoltre, il marchio della bestia riguarda principalmente il territorio del falso profeta, della bestia stessa e di quelle nazioni sulle quali questi poteri eserciteranno direttamente la loro influenza.
Natura
Tutti i commentatori vi riscontrano un’analogia con le piaghe che colpirono l’Egitto prima della liberazione d’Israele e quanto portò alla distruzione Babilonia prima del ritorno degli Ebrei in Palestina. «Bisogna quindi dare a questi flagelli un senso letterale o un senso figurato? Noi optiamo per il senso letterale, e ciò per le ragioni seguenti: - le piaghe d’Egitto, che hanno molta analogia con queste, furono letterali; - nei libri profetici della Bibbia, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, il castigo dei malvagi alla fine del mondo non è simbolico come non lo è la loro malvagità».57 Precisa giustamente il protestante italiano E. Bosio: «Crediamo doveroso attenerci finché è possibile al senso letterale».58 Il linguaggio apocalittico non deve però essere influenzato dalla nostra mentalità occidentale, cartesiana, ma da quella orientale. Dobbiamo anche accettare la fluttuazione del testo che può passare a volte dalla descrizione letterale a quella simbolica. Ma in questo caso il testo stesso lo suggerisce. Si può ritenere che queste piaghe siano la conseguenza diretta del modo sbagliato di vivere dell’umanità in particolare dei Paesi del Nord, che causano un depauperamento criminale, irresponsabile delle ricchezze naturali della Terra. È significativo come negli anni ‘60, inizio anni ‘70, quando si è cominciato a prendere coscienza dei danni causati all’ambiente, ripescando dal greco l’espressione ecologia, dei libri introducevano il dissesto del pianeta con dei brani dell’Apocalisse. Nella presentazione di queste piaghe non desideriamo fare delle previsioni sul come si realizzeranno, anche se crediamo che ci siano delle sufficienti motivazioni per pensare che siano nella relazione uomo-ambiente. Del resto Giovanni dice che il 57
VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse, Dammarie-les-Lys 1938, pp. 289,290. Le allusioni a questo periodo calamitoso sono numerose nei profeti dell’Antico Testamento. Daniele 12:1 lo chiama: «Tempo di angoscia, quale non se ne ebbe mai da quando esistono nazioni fino a quell’epoca». Isaia 63:4: «Giorno della vendetta» dove la «terra è in lutto e spossata» e «l’allegrezza dei tamburelli è cessata» 24:4,8. Sofonia 1:14,15 parla lungamente di questo giorno «di castigo, di lamenti, di devastazione, di furore, di distretta, d’angoscia e di gridi amari». Amos 8:11,12 segnala i fenomeni atmosferici e cosmici, poi contempla il dolore delle popolazioni che avranno, ma troppo tardi «la fame e la sete di udire le parole dell’Eterno». È il tempo dell’angoscia di Giacobbe quando il popolo di Dio chiederà al Signore di sentire la sua benedizione del perdone, della salvezza, come il patriarca ha combattuto a Peniel (Genesi 32:24-32). 58 E. Bosio, o.c., p. 111. In nota alle spiegazioni delle piaghe riporteremo il pensiero di chi vede diversamente. Quando la profezia diventa storia
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Signore deve intervenire, con il suo ritorno, per «distruggere quelli che distruggono la terra» e sarà allora che giudicherà «i morti», darà «il premio ai suoi servitori, ai profeti e ai santi, e a quelli che temono il suo nome, e piccoli e grandi».59 Sarà in occasione di questa situazione che non ha avuto precedenti nella storia che i credenti potranno vedere il braccio soccorritore dell’Eterno che li preserverà.60
Prima piaga «E il primo andò e versò la sua coppa sulla terra ed un’ulcera maligna e dolorosa colpì gli uomini che avevano il marchio della bestia e che adoravano la sua immagine».61 Dal momento che Dio non può agire, mediante il suo Spirito, nei confronti dell’umanità decaduta, perché gli uomini hanno deliberatamente fatto la loro scelta, Satana ne approfitterà per danneggiare la terra con ogni sorta di male. Le forze della natura alterate dallo squilibrio del male diventeranno causa di sofferenza. Cosa sarà quest’ulcera dolorosissima? Mistero! L’avvenire ci darà la spiegazione. Esplosioni atomiche, Seveso 1977, centrali nucleari come Chernobyl 1986, e casi analoghi possono darcene un’idea. Quelli che hanno il marchio della bestia ricevono il marchio della piaga nella loro carne: una terribile ulcera. La parola greca che Giovanni utilizza è elkos. La si trova nella versione dei LXX in Levitico XIII in relazione con la lebbra, simbolo del peccato. I lebbrosi erano allontanati dal popolo, per non contaminarlo e forse, ritenendoli responsabili del loro peccato, per farglielo espiare.62
Seconda piaga «Poi il secondo angelo versò la sua coppa nel mare; ed esso divenne sangue come di morto; ed ogni essere vivente che si trovò nel mare morì».63 «Si tratta qui del mar Mediterraneo, nominato dagli scrittori sacri semplicemente “il mare” o “il gran mare”, o di tutti i mari e di tutti gli oceani? La prima spiegazione sembra la più plausibile»64 anche se, per quanto detto sopra, non possiamo escludere 59
Apocalisse 11:18. Salmo 91:5-8. 61 Apocalisse 16:1. 62 Vedere 2 Re 5:27; 2 Cronache 26:16-21. In Isaia 1:4-6 la malattia e le ulcere erano presentate come la conseguenza diretta del peccato. Desideriamo però precisare che non si deve fare di questa affermazione circostanziale del profeta una regola generale e accusare di peccato coloro che sono ammalati. 63 Apocalisse 16:2. 64 J. Vuilleumier, o.c., p. 291. 60
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assolutamente gli altri mari. Il mare subirà una trasformazione tale, un inquinamento, che impedirà la vita. La stessa cosa accadde in Egitto. Questo disastro ecologico, questa piaga avrà delle ripercussioni terribili sulla vita economica e sociale delle popolazioni marittime. Non sarà la conseguenza del fatto che l’uomo scarica, seppellisce in mare relitti di navi portatrici di morte, cariche di scorie radioattive e prodotti chimici altamente tossici, sigillati in fusti, più e molto meno sicuri, che l’acqua salmastra corroderà?65
Terza piaga «Poi il terzo angelo versò la sua coppa nei fiumi e nelle fonti delle acque; e le acque divennero sangue. E udii l’angelo delle acque che diceva: “Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo, per aver così giudicato. Hanno sparso il sangue dei santi e dei profeti, e tu hai dato loro a bere del sangue; essi ne sono degni!” E udii l’altare che diceva: “Sì, o Signore Iddio onnipotente, i tuoi giudici sono veraci e giusti”».66 La donna che era ebbra del sangue dei martiri, Babilonia, si troverà di fronte ad una calamità terribile. Le fonti delle acque, che permettono la continuazione della vita, sgorgano acqua sanguigna. Come gli Egiziani ebbero da bere del sangue perché avevano fatto soffrire e morire i figli degli Ebrei, così gli abitanti della terra avranno da bere del sangue perché avranno ucciso e impedito ai figli di Dio di comprare o vendere, cioè vivere come tutte le altre persone, e quindi, avendoli fortemente contrastati e combattuti,67 si renderanno così solidali con tutti coloro che attraverso i secoli perseguitarono e uccisero gli adoratori dell’Altissimo, come lo fu, per il popolo d’Israele, la generazione di Gesù con quelle che nel passato avevano ucciso i profeti.68 Questa piaga sarà particolarmente terribile, ma il giudizio divino è approvato dagli esseri celesti, essendo questa la debita conseguenza del peccato degli uomini, dimostrazione della dirittura divina e della necessità della piaga. 65
Questa piaga su un piano spirituale può significare che coloro che hanno rigettato l’Altissimo non possono avere la vera pace in loro stessi e con il prossimo. La guerra è la conseguenza del peccato. Chi rifiuta l’Eterno e l’opera del suo Spirito entra in conflitto con il fratello (vedere Genesi 4). 66 Apocalisse 16:4-7. «L’angelo delle acque è, secondo diversi interpreti, lo stesso che esercita il giudizio di Dio sulle acque (v. 4); secondo altri, è un angelo tutore delle acque. La stessa concezione si trova nell’angelo che ha il potere sul fuoco (14:18) e nei quattro angeli “che trattengono i quattro venti della terra” (7:2)» L. Bonnet, o.c., p. 416. 67 Apocalisse 13:15-17; 17:14. 68 Matteo 23:34-36. Quando la profezia diventa storia
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Con questa voce dall’altare Giovanni presenta la promessa fatta quando, in occasione dell’apertura del quinto sigillo, il sangue dei martiri gridava: «Fino a quando, o nostro Signore che sei santo e verace, non hai tu giudizio e non vendichi il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?» A loro fu detto che si «riposassero ancora un po’ di tempo, finché fosse completato il numero dei loro fratelli e compagni che saranno uccisi come voi».69 Con la guerra fatta ai credenti, presentata in Apocalisse XIII:16, con i suoi imprigionamenti e morti si completa il numero dei martiri. Questa terza piaga ne è la conseguenza: il giudizio di Dio su una generazione ribelle. La persecuzione descritta in Apocalisse XVII:14 non provocherà martiri perché, dopo il tempo concesso da Dio agli uomini perché si ravvedano, il sangue dei martiri non sarà più fermento di nuove vite e conversioni.70
Quarta piaga «Poi il quarto angelo versò la sua coppa sul sole; e al sole fu dato di bruciare gli uomini col fuoco. E gli uomini furono arsi di gran calore; e bestemmiarono il nome di Dio che ha la potestà su queste piaghe, e non si ravvidero per dargli gloria».71 La quarta piaga comporta una arsura insopportabile. La campagna, i raccolti rovinati dalla mancanza di acqua verranno bruciati dal sole. Saranno le conseguenze del buco dell’ozono? Questi primi quattro flagelli si completano a vicenda. Pur essendo universali non si estenderanno su tutta la terra altrimenti distruggerebbero la vita stessa. Come per l’Egitto si è cercato di dare una spiegazione sulle cause di quelle calamità, così la scienza domani cercherà di sentenziare sul perché dei disastri ambientali; ma come il cuore di Faraone si indurì di fronte alla parola di Dio annunciata da Mosè, così, invece di un sentimento di rimorso e di perdono, dalla bocca degli uomini, colpiti dai flagelli, eromperà un fiume di atroci bestemmie. Quadro di disperazione e di angoscia, ma purtroppo veritiero, che presenta la conseguenza dell’atteggiamento dell’uomo nell’aver non abbandonato l’Eterno, ma rifiutato. 69
Apocalisse 6:9-11. Vedere Appendice n. 10, p. 1025. Questa piaga su un piano spirituale può significare che quegli elementi della società che sono stati ritenuti sorgenti di vita, di luci e nel nome dei quali l’uomo si è sentito sufficiente per rifiutare la Parola di Dio e per costruire un mondo senza di lui, anche se a lui si riferiva, sono ora valutati corrotti e vengono rigettati perché diventati elementi di morte. Chi ha rifiutato l’acqua di vita del Signore non trova più neppure il piacere di dissetarsi alla propria acqua che è diventata sangue, simbolo di morte. Vedere Deuteronomio 8:7,8; Salmo 36:8,9 ; Proverbi 13:14; 14:2 ; 25:26; Isaia 12:3; 41:18; Geremia 2:13; 6:7; 17:8,13; 50:12,38; Ezechiele 47:1-12; Osea 13:15,16; Gioele 3:18-20; Zaccaria 13:1 ; Giovanni 4:10,11. 71 Apocalisse 16:8,9. 70
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Se, come conseguenza del peccato, la natura ha dovuto produrre spine e triboli, nel tempo della fine l’umanità raccoglierà o meglio subirà i risultati della sua azione lenta, ma costante nel tempo. Nel tempo della chiusura dei conti il testo biblico mette in risalto la separazione profonda che c’è tra le creature e Dio.72
Quinta piaga «Poi il quinto angelo versò la sua coppa sul trono della bestia; e il regno d’essa divenne tenebroso, e gli uomini si morsero la lingua dal dolore, e bestemmiarono l’Iddio del cielo a motivo dei loro dolori e delle loro ulcere; e non si ravvidero delle loro opere».73 Al tempo della quinta piaga viene detto che i flagelli, seppure terribili, non provocano la morte istantanea di coloro che vengono colpiti, gli uomini soffrono ancora della prima, una malattia non ancora esplosa sul pianeta Terra. Questa V piaga colpirà il trono della bestia che non è altro che la città di Roma,74 antica capitale del mondo e dei cesari, la città eterna, che divenne la sede del potere religioso temporale. Che tenebre sono quelle che copriranno questo regno? Fisiche come in Egitto o morali? Se restassimo fedeli al principio adottato fino alla quarta piaga, dovremmo dire che saranno di carattere fisico, ma, ponendola in relazione al fatto che questa piaga riguarda chi ha accettato l’autorità, l’influenza, lo splendore del potere politico religioso che caratterizza lo scritto di Giovanni, abbiamo motivo di credere che siano delle tenebre morali, spirituali. Dal piano della natura, dopo i primi quattro flagelli, con il quinto si passa a quello ideologico, politico, economico, spirituale. Roma, il trono di Babilonia, cade improvvisamente in disgrazia, il suo regno si copre di tenebre e l’epoca della sua prosperità è finita. Apocalisse XVIII descrive bene questo declino e le sue conseguenze. I sogni di grandezza e di gloria vanno in fumo. Questa piaga produce un ulteriore smarrimento in tutti coloro che avevano posto nella sede papale le loro speranze. «Poiché ella diceva in cuor suo: “Io siedo regina e non sono vedova e non vedrò mai cordoglio”, perciò in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, mortalità, cordoglio e fame, e sarà consumata dal fuoco; poiché potente è il Signore Iddio che l’ha giudicata. E i re della terra che fornicavano e lussureggiavano con lei la 72 Questa piaga su un piano spirituale può significare che coloro che hanno il marchio della bestia e hanno rifiutato la grazie dell’Eterno sentono che il sole della giustizia rimorde la loro coscienza tormentandoli. È un rimorso non come quello di Pietro traditore, che piange e spera (Matteo 26:75; Giovanni 21:15 e seg. ), ma è come quello di Giuda che maledice e si dispera ( Atti 1:16-19). 73 Apocalisse 16:10,11. 74 Apocalisse 13:2; vedere il nostro Capitolo IX.
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piangeranno e faranno cordoglio per lei quando vedranno il fumo del suo incendio; e standosene da lungi per tema del suo tormento diranno: “Ahi! Ahi! Babilonia, la gran città, la potente città! Il tuo giudizio è venuto in un momento!” I mercanti della terra piangeranno e faranno cordoglio per lei, perché nessuno comprerà più le loro mercanzie... I mercanti... che sono stati arricchiti da lei se ne staranno da lungi per tema del suo tormento, piangendo e facendo cordoglio, e dicendo: “Ahi! Ahi! la gran città ch’era vestita di lino fino e di porpora e di scarlatto, e adorna d’oro e di pietre preziose e di perle! Una cotanta ricchezza è stata devastata in un momento”».75 Questa piaga presenta la sospensione di ogni attività sociale e commerciale sul territorio di quello che era l’antico Impero Romano: la città di Babilonia. La piaga cade sul trono e il regno della bestia viene oscurato. Malgrado questo, nella sesta piaga, i rappresentanti dei tre grandi blocchi: bestia: Europa; falso profeta: Stati Uniti d’America; dragone: gli antichi territori degli imperi di Babilonia, Persia e Grecia, si incontreranno per mediare una soluzione al problema mondiale, e dal sesto flagello si passerà alla catastrofe del settimo.76
Sesta piaga «Poi il sesto angelo versò la sua coppa sul gran fiume Eufrate e l’acqua ne fu asciugata affinché fosse preparata la via ai re che vengono dal levante. E vidi uscire dalla bocca del dragone e dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi simili a rane; perché sono spiriti di demoni che fan dei segni e si recano dai re di tutto il mondo per radunarli per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente. (“Ecco io vengo come un ladro; beato colui che veglia e serba le sue vesti onde non cammini ignudo e non si vedano le sue vergogne”). Ed essi li radunarono nel luogo che si chiama in ebraico Harmaghedon (monte di Meghiddo)».77 Già W. Milligan nel secolo scorso, a proposito di questa piaga, diceva : «Probabilmente nessuna parte dell’Apocalisse ha ricevuto una varietà maggiore di interpretazioni quanto la prima asserzione di questa piaga. Chi sono quei re che vengono dal sol levante è il punto che deve essere determinato; e la risposta che generalmente viene data è che essi sono parte delle milizie anti cristiane, parte di quei 75
Apocalisse 16:7sp,11,15,16. Chi ha rifiutato la luce della rivelazione cammina nelle tenebre, nel buio della notte. La sede dell’idolatria si spegne. L’evangelo dice che quando Giuda uscì dalla camera alta, dove aveva condiviso l’ultima cena del Signore «era notte» Giovanni 13:30. 77 Apocalisse 16:12-16. 76
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re del mondo intero di cui si parla dopo, davanti ai quali Dio asciuga l’Eufrate affinché essi possano continuare una ininterrotta marcia verso una completa distruzione. Qualcosa può essere certamente detto su tale modo di vedere; esso si espone a serie obiezioni».78 Il fiume Eufrate viene interpretato con due prospettive differenti: - prospettiva letterale; - prospettiva allegorica.
Eufrate: prospettiva letterale
Questa spiegazione è debole e crediamo che sia poco sostenibile sul piano esegetico. Coloro che sostengono questa spiegazione, riconoscendo che il prosciugamento di un fiume, come l’Eufrate, non deve essere preso in senso letterale, perché un fiume non è mai stato un ostacolo insormontabile alla marcia di un esercito, e ancor meno oggi con la tecnologia d’avanguardia che le forze armate possiedono, considerano l’Eufrate nella prospettiva geografica. Il fiume nella simbologia profetica raffigura le nazioni che esso attraversa,79 idea del resto che si esprime anche nel linguaggio corrente e letterario. Si parla delle rive del Tevere, della Senna, del Tamigi, per indicare i Paesi che questi fiumi bagnano: Italia, Roma; Francia, Parigi; Inghilterra, Londra. È il linguaggio della metonimia che con la parte indica il tutto. L’Eufrate sta dunque ad indicare le nazioni Iraq, Siria, Turchia i cui territori sono attraversati da questo fiume e anche l’Iran del quale segna il confine.80 Il loro prosciugamento è una diminuzione di influenza per permettere ai re dell’Oriente di invadere l’Occidente. I re dell’oriente vengono identificati con i popoli che sono all’Est dell’Eufrate. Napoleone aveva detto nel 1811: «La Cina dorme. Lasciatela dormire! Solo Dio sa quello che succederà quando si risveglierà». 78
Che noi riassumiamo: Già nel capitolo 9:14 il fiume Eufrate è lontano dall’essere un ostacolo al progresso dei nemici di Cristo, è perciò il simbolo del loro inondante e distruttivo potere; 2. Nel capitolo 7:2 con l’espressione “dal sol levante” si indica la direzione dalla quale viene l’angelo per suggellare il popolo di Dio... 3. I re del “sol levante” non è detto che siano una parte dei re del mondo intero. Sono distinti e contrapposti a loro. 4. “Per preparare la via”; anche il Battista ha preparato la via 5. Il prosciugamento del fiume è una espressione che corrisponde nell’Antico Testamento alla liberazione del popolo d’Israele dai suoi nemici di Babilonia. MILLIGAN William, The Revelation of St John, London 1887, pp. 269-270. 79 Vedere Isaia 8:7. 80 Nella sesta tromba (Apocalisse 9:13-21; vedere Appendice n. 11, p. 1084 e seg.) il gran fiume Eufrate, come hanno spiegato numerosi commentatori, rappresenta l’espansione della potenza turca che ha costituito l’Impero Ottomano. Il prosciugamento del fiume dovrebbe quindi rappresentare il declino di questa potenza. Nel 1878, il Rosselet, la cui opinione era condivisa da altri, scriveva: «Il fiume Eufrate, la cui acqua viene meno, indica sia la soppressione, sia per lo meno la riduzione al nulla dell’Impero Turco», oggi repubblica,. ROSSELET d’IVERNOIS Gustave-Adolphe, L’Apocalypse et la Histoire, Paris 1878. Il territorio dell’Impero Ottomano non è più un blocco, è stato suddiviso in Stati indipendenti che, seppure uniti etnicamente, mantengono tra loro delle profonde fratture. 1.
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La Cina con il suo miliardo di abitanti, è un paese che ha bisogno di grandi aiuti per il suo sviluppo. Il Giappone, sconfitto nella seconda guerra, è diventato in poco più di vent’anni una delle principali potenze industriali. I suoi cento milioni di abitanti non trovano più spazio nel proprio Paese. L’immigrazione dell’Oriente verso l’Occidente è sempre crescente. Il pericolo giallo non è un mito, esiste e basta, l’Oriente alza la voce e l’Occidente lo sente alla propria porta. L’Oriente sta invadendo l’Occidente mettendolo in crisi con la sua industria, con la sua manodopera a basso costo, con i suoi prodotti e con la sua emigrazione. Anche religiosamente gli occidentali, che hanno delle credenze superficiali, vengono conquistati dallo spirito, dai misteri e dal fascino dell’Oriente. Senza fare della fantapolitica, il Medio Oriente, i Paesi ad Ovest dell’Eufrate, sono al centro dell’interesse mondiale, sono il crocevia, la piazza pubblica sulla quale si giocano i destini dell’Occidente: Europa e Stati Uniti, Africa e Oriente. In questi territori c’è l’oro nero, il petrolio. Sono il nodo delle vie aere e marittime. La guerra del Golfo lo ha ampiamente dimostrato. Il conflitto arabo-israeliano non oppone solamente due popoli, la loro tensione si ripercuote su tutti i popoli.
Eufrate: prospettiva simbolica
Come la Babilonia storica era protetta dal fiume Eufrate, così la Babilonia religiosa del tempo della fine è difesa, sostenuta dai popoli che la seguono.81 Come la Babilonia storica è stata conquistata dal messia Ciro82 - tipo del finale Messia liberatore - che ha fatto deviare il fiume Eufrate,83 così la Babilonia spirituale giungerà alla sua fine quando le nazioni che la sostengono, abbandonandola, saranno la causa della sua distruzione.84 In questa prospettiva i «re che vengono dall’Oriente» sono identificati con il Signore e i suoi angeli descritti in Apocalisse XIX. Il teologo Gerge Stéveny scrive: «La comparazione di questa espressione - “apo anatolès hélios” letteralmente: dal levante del sole - nei passi seguenti Luca I:78; Matteo XXIV:27; Apocalisse VII:2; 81
Apocalisse 17:15. Il fiume Eufrate è menzionato per la prima volta in Genesi 2:4. Il nome significa: ruscello, mare, inondazione, fiume. Molti testi lo descrivono come una linea di confine che separa la terra d’Israele da quella di Babilonia (vedere Giosuè 24:2,3,14,15; Genesi 15:18, ecc.). In Isaia 8:7,8 abbiamo un tipico esempio dell’uso di questo fiume con riferimento alla catastrofica invasione dell’Assiria. Sia Daniele che Giovanni utilizzano il termine inondazione come sinonimo di invasione (Daniele 9:26; 11:40; Apocalisse 12:15,16). Ci sembra quindi probabile che l’Apostolo con il suo riferimento all’Eufrate in Apocalisse 16 si riferisca alla guerra che viene menzionata in 17:14. Le acque sono chiaramente dichiarate “popoli e moltitudini e nazioni e lingue” che sono ostili al popolo di Dio, Apocalisse 17:15. 82 Isaia 44:28; 45:1-13. 83 Isaia 41:44-47; Geremia 50 e 51; Daniele 5. 84 Apocalisse 17:2,16.
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XVIII:1; rivela che la parola greca “anatoles” può essere indicata per designare l’origine celeste di un messaggio o di un avvenimento. È pure applicata più volte al Cristo in persona in una forma esplicita. Non è lui precisamente il sole di giustizia, luce del mondo?85 Si rileva ancora che Gesù è nominato “leone della tribù di Giuda”,86 tribù che aveva le sue tende - nel deserto del Sinai dopo la liberazione d’Israele dall’Egitto - a Oriente, verso il levante.87 Inoltre, il redentore (il liberatore Ciro) che trionfa su Babilonia, appare lui stesso anche “dal sole levante”.88 Per tutto ciò, i re che vengono dall’Oriente possono designare Gesù che ritorna sulle nuvole dei cieli con “gli eserciti che sono nel cielo”,89 che corrisponde all’effetto ottico, per un osservatore che assiste alla scena in visione: a causa della rotazione della terra, Gesù appare naturalmente a levante. E si annuncia esplicitamente: “Ecco io vengo come un ladro”!90 Ecco ancora un dettaglio da non negligere. Due visioni solamente, nell’Apocalisse, sono accompagnate da “un gran segno nel cielo”91: la prima si riferisce senza alcun dubbio all’incarnazione di Gesù. Rispettiamo il parallelismo dicendo che la seconda si applica alla sua venuta in gloria».92 A. Plummer si esprime nello stesso modo: «“I re dell’est” sono certamente le forze che vengono da parte di Dio. Molti scrittori vedono un’allusione a Cristo e ai suoi santi. Il sole è una frequente figura di Cristo nella Scrittura93. I re dell’est possono così essere identificati con gli eserciti del capitolo XIX:11-16».94
I protagonisti della battaglia Giovanni presenta i protagonisti principali di questa piaga, che sfocia «nella battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente»: dragone, bestia, falso profeta e i re della terra. Noi riteniamo di identificarli nel modo seguente: - la bestia ha per corpo geografico quello dell’antico Impero Romano latino, cioè l’Europa, il cui trono è Roma. Parlando della fase finale della storia, l’Apocalisse precisa: «Le dieci corna... (cioè la nazioni che occupano il territorio dell’antico Impero Romano)... hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia per un’ora».95 85
Malachia 4:2; Giovanni 9:5; 2 Pietro 1:19; ecc. Apocalisse 5:5. 87 Numeri 2:1-3. 88 Isaia 41:2,25; 46:11. 89 Apocalisse 19:14. 90 Apocalisse 16:15. 91 Apocalisse 12:1-3; 15:1. 92 STÉVENY George, Harmaguédon, in Signes des Temps, n. 2, 1976, p. 24. Vedere Appendice n. 13. 93 Confr. Malachia 4:4; Zaccaria 3:8 e 6:12; Luca 1:78 e 7:2; 12:1; 22:16. 94 PLUMMER A, Revelation - The Pulpit Commentary, ed. H.D.M. Spence - Joseph S. Exell, New York e London 1909, p. 395. 95 Apocalisse 17:12,13; vedere il nostro Capitolo XIX. 86
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- Il falso profeta, o la seconda bestia di Apocalisse XIII, ha come corpo geografico quello degli Stati Uniti d’America con il suo protestantesimo fondamentalista che si avvarrà del potere politico per esercitare un’azione dispotica come il cattolicesimo nel Medio Evo. - Il dragone non crediamo rappresenti l’ateismo o lo spiritismo, come è stato creduto da diversi studiosi. Riteniamo che il dragone rappresenti i territori geografici delle prime tre bestie presentate dal profeta Daniele nel capitolo VII del suo libro. L’Apocalisse, al capitolo XII, presenta il dragone come il principe di questo mondo, che esercita il suo dominio mediante gli imperi della statua di Daniele II che si contrappongono al popolo di Dio; ha le sue sette teste incoronate. All’inizio del capitolo XIII viene detto che il dragone donò alla bestia il suo trono. Il potere del dragone aveva all’origine la sua sede in Babel, Babilonia, da dove si è irradiato in tutto il mondo. Da Babilonia, la sede del dragone, il culto alla creatura, all’uomo, si sposta verso Occidente, transitando da Pergamo,96 per poi trasferirsi definitivamente a Roma dove il dragone, dopo aver ceduto, nel V secolo, il suo trono al potere che la domina, il quale nel nome dell’evangelo, diviene il suo luogotenente. Il dragone scomparso dal palcoscenico profetico, riteniamo che sia ritornato sui suoi passi in Oriente per creare un nuovo sistema politico-religioso che nel tempo sarebbe stato di grande ostacolo all’annuncio della verità di Dio. Giovanni nel testo che noi prendiamo in considerazione dice che il dragone si presenta nuovamente, nel tempo della fine, in occasione di questa VI piaga. Daniele parlando del potere delle tre prime bestie, che vide sorgere dal mare e che rappresentavano gli Imperi di Babilonia, Medo-Persia, Grecia, disse: «Il loro dominio fu tolto, fu loro concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato»97 nel quale dovranno esercitare nuovamente la loro forza, un loro potere, prima di essere assieme alla quarta bestia o alla bestia di Giovanni, distrutte per sempre. Pensiamo quindi che le popolazioni dei primi tre imperi di Daniele, caratterizzate da secoli di fede islamica, nel tempo della fine ritorneranno a svolgere un ruolo determinante per i destini della terra. Crediamo quindi che si possa pensare che, nella fase finale della storia, il dragone raffiguri i Paesi mussulmani dell’Oriente. - I re della terra riteniamo che corrispondano ai popoli e ai territori geografici che non sono incorporati da quelli del dragone, della bestia e del falso profeta. Giovanni vede uscire dalla bocca della triade satanica,98 dalle tre grandi divisioni del mondo politico-religioso, tre spiriti immondi simili a rane che vanno da tutti i re della terra per unirli per la battaglia del giorno dell’Onnipotente. 96
Apocalisse 2:13. Daniele 7:12. 98 Crediamo opportuno rilevare una caratteristica che accomuna questi tre mostri. In tutti i territori geografici del corpo di queste tre potenze, l’elemento religioso è la forza che si ripercuote nella vita politica e sociale dei popoli sui quali esse estendono la propria egemonia. Sul territorio della bestia, l’Europa dell’antico Impero Romano, la figura del papato con la sua influenza religiosa è già stata espressa in diverse occasioni in questo lavoro. Sul territorio del falso profeta, gli Stati Uniti, l’elemento religioso cristiano (fondamentalista) riuscirà a condizionare la vita politica e i suoi governanti emaneranno delle leggi con le quali imporranno il marchio della bestia 97
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L’immagine delle rane è particolarmente eloquente. Questo animale è impuro, considerato da molti popoli del passato come strumento di maledizione, è anche, come dice L. Bonnet: «Un simbolo dell’ampollosità ridicola e della loquacità chiassosa». Questi spiriti di demoni hanno la loro origine nelle seduzioni di Satana, hanno in comune la dottrina dell’immortalità naturale dell’anima, la continuazione della vita dopo la morte, insegnamento centrale del cristianesimo apostata, dello spiritismo e di tutte le religioni. Nel nome di questa credenza si sono compiuti e si realizzeranno dei grandi segni, miracoli e prodigi. Nel passato re e imperatori avevano i loro maghi, astrologhi e indovini. Oggi, nel secolo della razionalità, della scienza, della tecnologia e del post industriale, assistiamo allo stesso delirio. Ci sono capi di stato, di espressione cattolica, protestante o laica che si fregiano di avere il proprio referente evocatore di spiriti o/e di forze paranormali. La New Age è l’ideologia sincretista di fine secondo millennio che unifica in una ideologia religiosa l’Occidente all’Oriente, il Sud al Nord del mondo. I «re di tutto il mondo» indicano i governi di quelle nazioni i cui popoli, pur con differenti forme religiose e anche atei, saranno sedotti dai segni di matrice spiritica della triade diabolica e si alleeranno ai popoli del dragone, della bestia e del falso profeta nel tentativo di arginare lo squilibrio del mondo a causa delle piaghe già
creando una forma di governo, un sistema politico religioso simile a quello medioevale dell’Europa, quando la componente religiosa influenzava direttamente quella politica. Vedere il nostro Capitolo XV. Nei territori geografici del dragone, l’integralismo islamico, che ambisce alla islamizzazione della Terra, è una doppia reazione sociale nel nome di Allah. È una duplice reazione. All’esterno, nei confronti dei Paesi Occidentali, all’interno nei confronti della propria classe governante. Nei confronti dell’estero si contesta l’imperialismo dell’America e dell’Europa le cui ricchezze sono viste come il risultato dello sfruttamento delle nazioni povere. All’interno, nei confronti dei propri governanti perché non sono in una posizione di rottura con l’Occidente, vivono con le sue stesse ambizioni di ricchezza, e non operano nell’ambito dei propri paesi per rendere la vita meno difficile alla stragrande maggioranza della popolazione. Si assiste quindi a uno sfarzo iniquo, colposo, al godimento di beni da parte di pochi e a una miseria offensiva della dignità umana da parte dei più. Vedere KEPEL Gilles, La Rivincita di Dio, ed. Rizzoli, Milano 1991, pp. 25-62. La triade satanica nella battaglia del gran giorno si contrappone alla trinità di Dio. Il testo biblico presenta dei parallelismi significativi. Apocalisse 4 e 5 presenta Dio Padre, l’Agnello immolato e lo Spirito Santo attorniati dai santi. La bestia (capitolo 13) ha sette teste e dieci corna, è ricoperta da nomi di bestemmia e perseguita i santi. È la controfigura del dragone stesso descritto con sette teste e dieci corna e perseguitante il popolo di Dio (Apocalisse 12). Questa bestia ferita mortalmente ha ricevuto dal dragone il suo trono e la sua podestà. Come Gesù, immagine dell’Eterno (Ebrei 1:1,2), dopo la sua ferita mortale è risuscitato grazie al Padre ed è asceso al cielo dove si è posto a sedere sul trono di Dio (Efesi 2:20-22), così la bestia, quale controfigura ed immagine dell’Avversario, anche lui padre, ma della menzogna, sale dal mare, si siede sul trono di Satana e la testa ferita a morte guarita porta gli uomini ad adorare il dragone. Come la divinità è presentata da Padre, Figlio e Spirito Santo attorniati e adorati dai credenti e dagli angeli, così la triade satanica: dragone, bestia e falso profeta, sono attorniati dai re e dagli abitanti della terra che li ammirano. Come lo Spirito Santo, del quale il Cristo era ripieno, compie l’opera miracolosa di riportare le persone al Padre (Giovanni 16:13,14), così il falso profeta, che ha le corna simili a quelle dell’Agnello ma parla come un dragone, compie dei falsi miracoli per portare le persone ad adorare la bestia nella propria immagine (Apocalisse 13:14,15). Come il messaggio finale di avvertimento è stato dato dalla Chiesa, raffigurata dai tre angeli di Apocalisse 14, sostenuti dalla potenza divina, e coloro che l’hanno fatto proprio hanno accettato i comandamenti di Dio (14:12) e sono usciti da Babilonia (18:4), così nel tempo della fine tre spiriti immondi, espressione che richiama la triade satanica, andranno per tutta la terra per coalizzare gli oppositori di Dio per la grande battaglia. Vedere LaRondelle H.K., Chariots..., pp. 149,150. Quando la profezia diventa storia
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cadute. Ma questa alleanza senza Dio e contro Dio sfocerà nella «battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente».
La battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente Questa battaglia crediamo che avrà due poli: - guerra religiosa delle nazioni contro Dio e il suo popolo; - guerra tra i popoli che sfocia in una guerra civile tra gli abitanti della terra. Che questa guerra sia militare la crediamo possibile perché l’unione tra le nazioni non ha come base la verità, l’amore, la Parola di Dio, Dio stesso, bensì il compromesso, l’inganno, la reciproca convenienza, l’utilità. Di conseguenza, come sempre, non potrà che sfociare nella rivolta. L’apostolo Paolo parlando di quel tempo, di ciò che le nazioni riusciranno a realizzare in modo insolito, lo considera come un segno precursore dell’imminente ritorno di Gesù. Scrive: «Quando diranno: “Pace e sicurezza”, allora di subito una improvvisa rovina piomberà loro addosso».99 Questa guerra militare con spostamento di eserciti crediamo sia descritta da Daniele negli ultimi versetti del capitolo XI, e quel tempo è presentato come un tempo d’angoscia quale non se ne ebbe mai, da quando esistono nazioni fino a quell’epoca.100 Questo conflitto tra popoli diventa anche una guerra nell’interno degli stessi Paesi perché le nazioni che hanno sostenuto Babilonia le si rivolteranno contro e «odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda, e mangeranno le sue carni e la consumeranno col fuoco».101 Che la guerra sia religiosa si deduce dall’esortazione alla vigilanza che Cristo rivolge alla sua Chiesa: «Io vengo come un ladro; beato colui che veglia». Il termine greco usato da Giovanni è “polemos” battaglia. Questa espressione, oltre ad indicare le guerre militari, serve frequentemente ad indicare un conflitto spirituale, nella prospettiva della guerra102 millenaria tra Cristo e Satana.103 Giovanni ha descritto questa battaglia quando scrive al capitolo XVII: «Costoro - le nazioni europee vassalle di Roma si pongono al servizio della donna Babilonia - guerreggeranno contro l’Agnello, e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re; e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e fedeli».104 Il testo di Giovanni ci presenta un «combattimento universale, di natura eminentemente spirituale, nel quale si oppongono tutte le forze del male sotto la 99
1 Tessalonicesi 5:3. Daniele 11:40-45; 12:1. Vedere il nostro Capitolo XX. 101 Apocalisse 17:11. 102 L’espressione greca polemos - “guerra” si contrappone a machè - “battaglia” 2 Corinti 7:2; 2 Timoteo 2:23; Giacomo 4:1. 103 Apocalisse 11:7; 12:17; 13:7; 19:19; 20:8. 104 Apocalisse 17:14; 13:17. 100
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bandiera di Satana a tutte le forze del bene sotto quella di Cristo».105 Questa coalizione delle forze del mondo nasce per combattere Cristo Gesù e la sua Chiesa. Giovanni, parlando di questa battaglia, scrive: «E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per muovere guerra a colui che cavalca il cavallo e all’esercito suo. Colui che cavalca il cavallo si chiama il Fedele ed il Verace... dalla bocca gli usciva una spada affilata per percuotere con essa le nazioni; ed egli le reggerà con la verga di ferro, e calcherà il tino dell’ardente ira dell’Onnipotente Iddio. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: Re dei re, Signore dei signori. - La bestia fu presa e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto i miracoli davanti a lei. Ambedue furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo».106
Luogo della battaglia: Harmaghedon
In ebraico Harmaghedon significa semplicemente monte (Har) di Meghiddo. E. Renan, scoraggiato, dichiarava a proposito di Harmaghedon: «Enigma per noi indecifrabile».107 L’Antico Testamento parla della “valle di Meghiddo” e delle “acque di Meghiddo”. Questa valle è situata sull’altopiano di Esdrailon, vasta distesa triangolare la cui ipotenusa misura 50 chilometri. Essa ricorda il trionfo di Barac su Sisera, cantato da Debora; la battaglia nella quale morì il re di Giuda, che volle contrastare il faraone Neco; in guerra per ordine di Dio, contro l’Assiria che negli anni precedenti aveva fatto soffrire il popolo d’Israele;108 e altre ancora fino a Napoleone. La valle di Meghiddo richiama alla mente il monte Carmelo109 con il quale confinava a Nord-Ovest, sul quale il profeta Elia, contrapponendosi ai sacerdoti di Baal, vince il sincretismo del popolo d’Israele che aveva minato la fede nell’Eterno. Questa pagina di storia sacra del passato ci invita a riflettere sulla realtà del presente dove un sincretismo religioso cristiano (pseudo ecumenico dove ognuno crede in quello che vuole della Parola di Dio) e di influenza orientale, come la New Age, tendono a minare la spiritualità e l’identità dei figli di Dio prima del ritorno del proprio Signore. Non essendoci il monte di Meghiddo e non potendolo identificare con nessuna montagna vicina,110 bisogna trovare il significato di Harmaghedon nella parola stessa. «Il greco “eis ton topon”, tradotto per “nel luogo”, può essere reso anche con l’espressione “nella situazione di”. Questo uso non è raro nel Nuovo Testamento.111 Noi siamo dunque in presenza di una convocazione simile a quella che ha avuto Elia 105
G. Stéveny, o.c., p. 24. Apocalisse 19:19,11s.p.,15,16,20; vedere 17:13,14. 107 Lo stesso Renan per Harmaghedon faceva allusione a Zaccaria 12:11 dove si parla del «lutto di Harmaghedon nella valle di Meghiddo», vedere C. Brütsch, o.c., p. 270. 108 Giudici 4:5-19; 2 Cronache 35:20 e seg. 109 1 Re 18:16-18,21,36-39. 110 Si parla della città di Meghiddo. Viene menzionata nel XV secolo a.C. sulla tavoletta di El-Amarna. 111 Confr.: Atti 1:25; Romani 15:23; 1 Corinzi 14:16; Efesi 4:27; Ebrei 12:17. 106
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sul monte Carmelo, largamente descritta nell’Antico Testamento. Al tempo di Elia una scelta cruciale s’imponeva tra il vero Dio e i falsi dèi. Sul Carmelo si ebbe un celebre e terribile giudizio. Dio ebbe una eclatante vittoria. Tutti i sacerdoti di Baal e di Astarte perirono. L’Harmaghedon apocalittica sarà il compimento solenne, la realizzazione definitiva, terribile e pur tuttavia meravigliosa, dello stesso conflitto giunto alla sua fase ultima. Noi siamo in presenza di un nome immaginario come segno di confronto tra il Cristo e l’Anticristo accompagnati dai loro rispettivi sostenitori».112 Harmaghedon significherebbe: “Har-mo-ed”, “montagna della riunione”113 o come la trascrizione greca indica “Har-mo(gu)ed”, “montagna dell’assemblea” dove si riuniscono le potenze avverse a Dio, che rivendicano l’assomiglianza con lui e gli si contrappongono. Questo ricorda l’oracolo del profeta Isaia che descrive l’orgoglio di Lucifero del quale è scritto: «Tu dicevi in cuor tuo: “Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio; io mi assiderò sul monte dell’assemblea (Harmaghedon), nella parte estrema del settentrione, salirò sulla sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo”».114 Harmaghedon, Har Megiddo, “montagna del massacro”, rievoca la valle di Giosafat e quindi il pensiero di Giovanni farebbe eco alle parole di Gioele: «Proclamate questo fra le nazioni! “Preparate la guerra! Fate sorgere i prodi! S’accostino, salgano tutti gli uomini di guerra! Fabbricate spade con i vostri vomeri e lance con le vostre roncole! Dica il debole: ‘Sono forte!’ Affrettatevi, venite, nazioni d’ogni intorno, e radunatevi!” Là, o Eterno, fa sorgere i tuoi prodi! “Si muovano e salgano le nazioni alla valle di Giosafat!115 Poiché là io mi assiderò a giudicare le nazioni d’ogni intorno. Mettete la falce, poiché la messe è matura! Venite, calcate, poiché lo strettoio è pieno, i tini traboccano; poiché grande è la loro malvagità”. Moltitudini! moltitudini! nella valle del Giudizio. Poiché il giorno dell’Eterno è vicino, nella valle del Giudizio. Il sole e la luna s’oscureranno, e le stelle ritireranno il loro splendore. L’Eterno ruggirà - e i cieli e la terra saranno scossi; ma l’Eterno sarà un rifugio per il suo popolo».116 Harmaghedon, nella «battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente» indicherebbe la ribellione universale dell’umanità contro Dio. 112
G. Stéveny, o.c., p. 25. Vedere C. Brütsch, o.c., p. 270. LARRAYA J.A.O., Armaghedon, in Enciclopedia della Bibbia Elle-di-Ci, vol. I, col. 758,759. 114 Isaia 14:13,14. 115 «Secondo l’opinione di alcuni critici, che risale ad Eusebio, pare che questa valle abbia assunto il nome di Giosafat per il ricordo della vittoria ottenuta dal monarca contro i nemici di Giuda: Moab, Meunim e Ammon (2 Cronache 20:1-18); alluderebbe cioè al trionfo di Dio e degli Ebrei su tutte le nazioni nemiche. Il nome di questa valle non si trova in nessun testo precedente al IV secolo, però da allora la tradizione giudaica e cristiana e, più tardi, quella mussulmana l’hanno identificata con la parte della valle del Cedron che va da Sitti Maryam sino a Bi’r Eyub. Questa è la tradizione adottata da Eusebio, da san Gerolamo, ... e da altri. Fu combattuta già dal secolo V da san Cirillo di Alessandria... Basandosi sul gioco di parole possibile in questo passo, alcuni traducono “...nella valle del Giudizio di Yahvé” (Giosafat significa “Yahvé giudica”) al posto di “...nella valle di Giosafat”». Vedere voce Giosafat, valle di, Enciclopedia della Bibbia, Elle-di-Ci, vol. III. 116 Gioele 3:9-16; vedere Matteo 24:29; Apocalisse 6:12-17. 113
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Riprendendo un pensiero di L.F. Were, che si oppone al letteralismo, possiamo dire che il letterale Est, il letterale trono, il letterale pane, la letterale “santa” acqua, il letterale altare, i letterali sacerdoti, i letterali vestiti, i letterali candelabri, il letterale incenso, il letterale santuario terrestre, la letterale immagine, invece di considerarle delle illustrazioni dalle quali trarre un insegnamento, le letterali interpretazioni delle profezie che riguardano Israele e l’anticristo, il letterale “Harmaghedon” della Palestina, sono tutti letterali contraffazioni di quegli insegnamenti che sono, nel Nuovo Testamento, una applicazione alla Chiesa che è l’Israele spirituale.117 «Questa profezia - scrive G. Stéveny - interpella ogni uomo individualmente. Chi non è con Gesù è contro di lui. Felice chi veglia».118 Il raduno è la sesta piaga, la settima descrive la rovina.119
Settima piaga «Poi il settimo angelo versò la sua coppa nell’aria; e una gran voce uscì dal tempio, dicendo: “È fatto”. E si fecero lampi e voci e tuoni; e ci fu un gran terremoto, tale che da quando gli uomini sono stati sulla terra, non si ebbe mai terremoto così grande e così forte. E la gran città fu divisa in tre parti, e le città delle nazioni caddero: e Dio si ricordò di Babilonia la grande per darle il calice del vino del furore dell’ira sua. E ogni isola fuggì e i monti non furono più trovati. E cadde dal cielo sugli uomini una gragnola grossa dal peso di circa un talento; e gli uomini bestemmiarono Iddio a motivo della piaga della gragnola; perché la piaga d’essa era grandissima».120 Con la settima piaga tutto si compie: «È fatto». «Nei giorni della voce del settimo angelo, quando egli suonerà, si compirebbe il mistero di Dio. Ed il settimo angelo suonò, e si fecero gran voci nel cielo, che dicevano: Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo; ed egli regnerà nei secoli dei secoli».121 Nel capitolo XVII:17 Giovanni scrive: «Le Parole di Dio sono compiute». L’affermazione «è fatto» risuona tre volte nella storia dell’uomo:122 - sulla croce Gesù inaugura il tempo della fine, il Regno dei cieli si compie; 117
WERE L.F., The Certainty of the Third Angel’s Message, pp. 78,79. G. Stéveny, o.c., p. 25 119 «Chi provoca l’assemblea? La maggioranza delle traduzioni dicono: “essi li radunarono”, al plurale, mentre l’originale impiega il singolare: “egli li riunì”, in coordinazione con ciò che precede. Poiché è il Cristo in persona che parla al versetto 15, non sarebbe anche qui il soggetto del verbo? Generalmente si va a cercare il soggetto al versetto 14, “gli spiriti dei demoni”, che essi pure “riuniscono”. In questo caso l’armonia tipologica è meno chiara, poiché al Carmelo è Elia, tipo di Cristo, che ha lanciato la sfida» Idem. 120 Apocalisse 16:17-21. 121 Apocalisse 10:7; 11:15. 122 Giovanni 19:30; Apocalisse 16:17; 21:5. 118
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- qui in occasione della VII piaga a conclusione di questo tempo della fine; - dopo il giudizio universale con l’inaugurazione della nuova terra. La settima piaga conduce all’epilogo del dramma terrestre. Viene versata nell’aria, elemento più vasto che si estende quanto il firmamento sulla terra e sul mare. In questo flagello sono mescolati fenomeni cosmici e fenomeni raffigurati sotto l’emblema di simboli. Giovanni contemplando l’apertura del sesto sigillo, come già aveva annunciato Gioele, vide: «Un gran terremoto, il sole divenne nero come un cilicio di crine. e tutta la luna diventò come sangue; e le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da gran vento lascia cadere i suoi fichi immaturi. Il cielo si ritrasse come una pergamena che si arrotola; e ogni montagna e ogni isola fu rimossa dal suo luogo. E i re della terra e i grandi e i capitani; e i ricchi; e i poveri e ogni servo e ogni libero si nascosero nelle spelonche e nelle rocce dei monti, e dicevano ai monti e alle rocce: “Cadeteci addosso e nascondeteci dal cospetto di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello”»; Gesù aveva predetto: «Dopo l’afflizione di quei giorni, il sole si oscurerà e la luna non darà più il suo splendore». Isaia aveva annunciato: «La terra si schianterà tutta; la terra si screpolerà interamente, la terra tremerà e traballerà. La terra barcollerà come un ebbro, vacillerà come una capanna. Il suo peccato grava su lei; ed essa cade, e non si rialzerà mai più».123 Allora sul campo di battaglia le “uve” (i non salvati), a differenza del “buon grano” (i salvati) raccolto nei granai di Dio, vengono gettate «nel gran tino dell’ira di Dio. Dal tino uscì del sangue che giungeva sino ai freni dei cavalli per una distesa di milleseicento stadi»124 circa 300 chilometri: «la lunghezza approssimativa della Palestina», di poco superiore da Dan a Béersebah, le due località di confine dal Nord al Sud, come hanno riconosciuto diversi commentatori. Scrive il prof. J. Doukhan: «Il numero è sicuramente simbolico. Gioca sulla cifra “quattro” (4x4x100), che come si sa è una connotazione dell’universalità geografica “tutta la terra”, in Apocalisse come nel libro di Daniele125, una maniera per dire che il castigo prende delle proporzioni mondiali. Inoltre è il solo numero al quadrato (4x4) dell’Apocalisse con i centoquarantaquattromila (12x12), e questa corrispondenza suggerisce un certo rapporto tra le due entità che questi due numeri al quadrato rappresentano: il campo della terra (numero 4) è la controparte del campo dell’alleanza con Dio (numero 12=4x3)».126 «E Dio si ricordò di Babilonia la grande per darle il calice del vino del furore della sua ira». Apocalisse XVII e XVIII presenta come questo versetto avrà la sua realizzazione. «La gran città fu divisa in tre parti»; può corrispondere al «mondo cristiano, che oggi tenta di mantenere un certo equilibrio ed una parvenza di unità fra
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Apocalisse 6:12-16; vedere Gioele 3:9-16; Matteo 24:29; Isaia 24:19,20. Apocalisse 14:19,20. Apocalisse 4:6; Daniele 7:3,4. DOUKHAN Jacques, Le cri du ciel, ed. Vie et Santé, Dammarie-les-Lys 1996, p. 192.
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i diversi stati che lo comprendono, si romperà violentemente, a seconda delle sue credenze religiose, in tre parti: romana, protestante, greca».127 Le nazioni europee che avevano dato il loro potere alla Santa Sede, che già in precedenza era riuscito a raccogliere attorno a sé tutta la cristianità apostata (Babilonia), rigetteranno la sua politica, rompendo la loro breve alleanza con lui durata «un’ora»128. A causa della natura empia delle sue azioni i popoli gli si rivolteranno contro e «le dieci corna-regni... odieranno la meretrice, e la renderanno deserta, e nuda; e mangeranno le sue carni, e bruceranno lei col fuoco. Perché Iddio ha messo nel cuor loro di eseguire la sua sentenza...».129 « E le città delle nazioni caddero». L’alleanza avvenuta al tempo della VI piaga tra il dragone, la bestia e il falso profeta e con tutti i re della terra si frammenterà e allora crediamo si compiranno le parole del profeta Zaccaria: «Questa sarà la piaga con la quale l’Eterno colpirà tutti i popoli che avranno mosso guerra a Gerusalemme (simbolo del popolo di Dio): la loro carne si consumerà mentre staranno in piedi, gli occhi si struggeranno loro nelle orbite, la loro lingua si consumerà nella loro bocca. E avverrà in quel giorno che vi sarà tra loro un gran tumulto prodotto dall’Eterno; ognuno d’essi afferrerà la mano dell’altro, e la mano dell’uno si leverà contro la mano dell’altro...».130 Ad abbattere l’umanità impenitente, ribelle, non saranno le armi degli uomini che con i loro mezzi di distruzione atomici potrebbero sgretolare la terra, ma il braccio soccorritore di Dio, il quale, togliendo la sua protezione all’umanità, lasciando che il male prenda il sopravvento sulla natura che l’uomo ha alterato, permetterà che le stelle, cadendo, colpiscano gli uomini con una gragnola del peso di un talento, circa 45 Kg. È la grazia che trasforma i cuori non il castigo; «gli uomini impenitenti bestemmieranno Dio a motivo della piaga della grandine perché era grandissima».
Conclusione Il segno che gli apostoli avevano chiesto a Gesù per potere conoscere il momento del suo ritorno si compirà con i fenomeni della VII piaga. E allora: «Subito dopo l’afflizione di quei giorni, il sole si oscurerà, e la luna non darà il suo splendore, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scrollate... E quando l’angelo ebbe aperto il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa lo spazio di mezz’ora... Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo, ed allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio perché vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle 127
ROUGEMONT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, Neuchâtel 1866, p. 312. «La gran città è prima di tutto la bestia intera e in generale è la cristianità che comprende le nazioni civilizzate. È la Chiesa mondanizzata, romana, greca e protestante» STEINHEIL G., Étude prophétique, Paris 1861, pp. 80,83. 128 Apocalisse 17:12. 129 Apocalisse 17:16,17; versione Diodati. 130 Zaccaria 14:12,14. Quando la profezia diventa storia
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nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba a radunare i suoi eletti dall’un capo all’altro dei cieli... (Al suonare della tromba) i morti in Cristo risusciteranno (e i) viventi... verranno insieme con loro rapiti sulle nuvole ad incontrare il Signore nell’aria; e così saranno sempre col Signore... (Zaccaria aveva detto, dopo aver descritto l’ultima piaga), e avverrà che tutti quelli che saranno rimasti di tutte le nazioni venute contro Gerusalemme (cioè che non hanno partecipato alla battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente perché nelle loro nazioni erano i cittadini della capitale del regno di Dio) saliranno d’anno in anno a prostrarsi davanti al Re, all’Eterno degli eserciti».131 La nuova realtà della vita passerà attraverso un parto doloroso. Il quadro profetico è buio, ma è anche messaggero di speranza, di luce. Nel Signore il domani è sempre portatore di vita. Beato chi ha fatto del Signore il proprio Dio.
131
Matteo 24:3,29; Apocalisse 8:1; Matteo 24:30,31; 1 Tessalonicesi 4:10,17; Zaccaria 14:15. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi.
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Capitolo XVIII I 144.000 DELL’APOCALISSE “È in questo momento che i fedeli devono levarsi e far brillare la loro luce, poiché la gloria del Signore li avvolge” Ellen White1.
Introduzione I 144.000 dell’Apocalisse sono stati motivo di dispute e controversie tra gli studiosi dell’Apocalisse ed il loro numero è familiare ai lettori della Bibbia. Leggiamo questa cifra due volte e in due capitoli distinti del libro dell’apostolo Giovanni: VII e XIV.2 Diverse sono state le spiegazioni date e ci è gradito dare il nostro contributo. Il capitolo VII dell’Apocalisse è una parentesi tra il sesto ed il settimo sigillo. “Tra il sesto ed il settimo sigillo Giovanni vede un doppio quadro destinato a consolare i servitori di Dio in mezzo ai terribili giudizi annunciati, dando a loro, da una parte, la sicurezza che nessun membro della Chiesa militante perirà con il mondo, poiché tutti saranno sigillati con il sigillo del Dio vivente; e dall’altra parte, lasciando loro intravedere la felicità celeste di cui gode la Chiesa trionfante, visione propria a ravvivare la speranza e a sostenere il coraggio di coloro che stanno ancora combattendo”.3 Con l’apertura del VI sigillo Giovanni descrive “i disordini che si produrranno nella natura immediatamente prima del gran giorno della collera dell’Agnello. Diversi tratti del quadro sono presi dal linguaggio dei profeti”.4 “Poi vidi quando ebbero aperto il sesto sigillo: e si fece un gran terremoto, e il sole divenne nero come cilicio di crine, e tutta la luna diventò come sangue; e le stelle del cielo caddero sulla terra come quando un fico scosso da un gran vento lascia cadere i suoi fichi immaturi. E il cielo si ritrasse come una pergamena che si arrotola, ed ogni 1
WHITE Ellen, Messages choisis, t. II, Edition Inter-Americaines, Pacific Press, USA, 1969, p. 428. “Questa identità è stata negata da qualche esegeta, in particolare dal cattolico Allo e dal protestante GEYMONAT, il quale dice: “I 144.000 che sono con l’Agnello (capitolo 14), non sono gli stessi del capitolo 7” (Essai sur l’Apocalypse, Genève 1861, p. 114). Tuttavia la maggioranza degli interpreti, da Origene e Gerolamo, si pronunciano in favore dell’identità (Alcazar; Bengel, Burnier, Elliott, Alford, Gaussen, Reuss, Loisy, Seiss, Auberlen, Keil, Zahn, Antomarchi, ecc.ecc.” VAUCHER Alfred Félix, Les 144.000 marquées, in Deux essais sur la prophétie biblique, Collonges sous Salève, 1969, p. 36. Vedere nota n. 22. 3 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, l’Apocalypse, rivista da SCHRŒDER, 3a ed., Lausanne 1905, pp. 382, 383. 4 Idem. 2
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montagna ed ogni isola fu rimossa dal suo luogo. E i re della terra e i grandi e i capitani e i ricchi e i potenti e ogni servo e ogni libero si nascosero nelle spelonche e nelle rocce dei monti; e dicevano ai monti e alle rocce: ‘‘Cadeteci addosso e nascondeteci dal cospetto di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è giunto il gran giorno della sua ira, e chi può rimanere in piedi?””.5 Questo quadro descrive ciò che la terra subirà nel tempo dell’ultima piaga. L’angoscioso spettacolo che Giovanni vede accomuna persone di tutti gli strati sociali che hanno rifiutato l’invito al ravvedimento annunciato dal triplice messaggio di Apocalisse XIV:6-12 e l’invito di Apocalisse XVIII:4 ad uscire da Babilonia affinché non partecipino ai suoi peccati e non abbiano parte alle sue piaghe. L’amore di Dio sul quale si è tanto speculato, e che l’umanità ha tanto deriso con la sua indifferenza, sarà ciò che causerà il grande tormento all’apparizione dell’Agnello. L’ira dell’Agnello non è la manifestazione incontrollata di Cristo, ma il senso di giustizia e di angoscia che sentiranno gli uomini alla vista di Colui che ha dato se stesso per la loro liberazione. Questa scena di angoscia, di disperazione suscita una domanda: “Chi può reggere in piè?” cioè “chi può resistere?”, “chi può rimanere in vita dopo questi avvenimenti?”, “chi può stare alla presenza di Colui che è seduto sul trono e di Cristo Gesù che si è sacrificato per noi ed è risuscitato?”. Nel testo greco abbiamo un infinito aoristo passivo che indica un’azione passata ma i cui effetti si ripercuotono, durano ancora nel presente. Il senso letterale della frase, di fronte allo sgomento delle persone che gridano alle montagne di cadere loro addosso, sarebbe dunque: “Chi può essere rimasto fermo?” Il verbo greco “stathenai” indica la posizione di coloro che, durante lo svolgimento dell’ultima fase della storia, sono riusciti a mantenersi saldi nei loro principi grazie alla loro stretta unione con Dio, riuscendo a superare la crisi. Come una quercia che, fortificandosi, rendendo stabili le proprie radici nel terreno, riesce a rimanere eretta durante l’imperversare degli elementi della natura, così sarà per i credenti nell’Agnello, perché egli è il loro Dio nel quale hanno creduto, in lui hanno riposto le loro speranze e da lui sono salvati. Il grido: “Chi può reggere in piedi?” è un grido di terrore al quale non può seguire una risposta umana. Il profeta Malachia aveva scritto: “Chi potrà sostenere il giorno della sua venuta? Chi potrà rimanere in piedi quando egli apparirà? Poiché egli è come un fuoco d’affinatore, come la potassa dei lavatori di panni. Egli si siederà, affinando e purificando l’argento; e purificherà i figli di Levi, e li depurerà come si fa dell’oro e dell’argento; ed essi offriranno all’Eterno offerte di giustizia”.6 In quel giorno tutti i valori, tutta la sicurezza degli uomini crolleranno. Affinché ci possa essere una risposta che non sia umana, Giovanni riceve una nuova rivelazione che rinfrancherà il suo coraggio messo a dura prova. Il capitolo VII riporta questa 5 Apocalisse 6:12-17; confr. Gioele 2:10,30,31; 3:15,16; Isaia 2:10,19,21; Nahum 1:6; 3:12; Matteo 24:29,30; Luca 21:25,26; Marco 13:24. 6 Malachia 3:2,3.
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risposta. “Il messaggio di questo capitolo non ha il carattere secondario d’una parentesi. Ha la priorità assoluta sugli annunci dei flagelli e dei giudizi. Due parti compongono questo capitolo: il sigillamento dei 144.000 e la folla innumerevole davanti a Dio”.7 “La storia del mondo non giunge alla sua fine con il sesto sigillo. L’ultima parola di Dio non è quella del giudizio. La sua ultima parola è quella della vita”.8
Primo quadro: La Chiesa militante sigillata prima della fine del tempo di grazia “Dopo queste cose, io vidi quattro angeli che stavano in piè ai quattro canti della terra, ritenendo i quattro venti della terra, affinché non soffiasse vento alcuno sulla terra, né sopra il mare, né sopra alcun albero. E vidi un altro angelo che saliva dal sol levante, il quale aveva il sigillo dell’Iddio vivente; ed egli gridò con gran voce ai quattro angeli ai quali era dato di danneggiare la terra e il mare, dicendo: “Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché abbiamo segnato in fronte col sigillo i servitori dell’Iddio nostro”. E udii il numero dei segnati: centoquarantaquattromila segnati di tutte le tribù dei figli d’Israele: della tribù di Giuda dodicimila; della tribù di Gad dodicimila, della tribù di Aser dodicimila, della tribù di Neftali dodicimila, della tribù di Manasse dodicimila, della tribù di Simeone dodicimila, della tribù di Zabulon dodicimila, della tribù di Giuseppe dodicimila, della tribù di Beniamino dodicimila segnati”.9 Il sigillamento dei servi di Dio riguarda la storia finale della salvezza. L’apertura del sesto sigillo ci porta nei tempi della fine, al collasso dell’ecosistema del nostro pianeta, prima della venuta in gloria di Cristo Gesù, al tempo della settima piaga. Questi angeli che hanno il potere di danneggiare la terra, il mare e gli alberi, trattengono i venti, simboli dei giudizi di Dio e delle guerre scatenate dalle passioni degli uomini, secondo il linguaggio allegorico dei profeti.10 Essi hanno il compito di mantenere un certo equilibrio fisico, ecologico e bellico fino a quando nel santuario celeste l’opera di giudizio sia compiuta e allora “nessuno potrà entrare nel tempio finché siano compiute le sette piaghe”.11 La loro azione di 7 8 9 10 11
BRÜTSCH Charles, La Clarté de l’Apocalypse, 5a ed., Genève 1966, p. 138. SCHNEPEL Erich, Die Offenbarung des Johannes, Stuttgart 1957, p. 97; cit. C. Brütsch, o.c., p. 138. Apocalisse 7:1-8. Geremia 4:11-13; 49:36; Daniele 7:2. Apocalisse 15:8; vedere il nostro Capitolo XVII. Quando la profezia diventa storia
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lasciare i venti e di danneggiare la terra è descritta dai flagelli che cadranno sull’umanità che ha preferito accettare il marchio della bestia e adorare la sua immagine piuttosto che porsi sotto la protezione dell’Eterno e accettare la sua signoria espressa dal suo sigillo. Dopo che l’evangelo eterno del regno sarà stato annunciato ad ogni creatura con una potenza tale da illuminare tutta quanta la terra, l’umanità sarà divisa in due schiere: “Chi è ingiusto sia ingiusto ancora; chi è contaminato si contamini ancora; chi è giusto pratichi ancora la giustizia; chi è santo si santifichi ancora”.12 L’angelo sale dal sol levante, cioè da dove vengono la luce e tutte le sue benedizioni, viene dall’oriente, come il sole, esso porta la buona novella, rappresenta l’opera di salvezza che la Chiesa compie prima della fine del tempo di grazia: “Le forze di distruzione suprema, pronte a scatenarsi simultaneamente e a consumare la rovina del mondo, sono ritenute”.13 L’alt statunitense alle navi sovietiche dirette a Cuba, l’arresto improvviso dell’avanzata egiziana sul canale di Suez, il 7 ottobre 1973, che non ha nessuna spiegazione militare, ha permesso che l’ordine di caricare sui caccia a reazione Phanton israeliani le bombe atomiche, di 20 mila tonnellate di TNT, venisse sospeso. Il mondo fu, nell’ottobre 1973, a cinque minuti dalla catastrofe, ma l’opera di Dio sulla terra non era stata ancora compiuta e i venti vennero così trattenuti.14 Chissà quante altre volte sono successe cose analoghe, ma i mezzi di informazione al servizio dei potenti hanno taciuto. Mentre la storia degli uomini si avvia verso la sua fine, al suo tracollo, l’opera di Dio, “la storia della salvezza” giunge al suo compimento. “Non danneggiate la terra, né il mare, né gli alberi, finché abbiamo segnato in fronte col sigillo i servi dell’Iddio nostro”. Questo plurale finché “noi abbiamo suggellato” non è un plurale maiestatis, ma presenta l’insieme di coloro che predicano oggi la sana dottrina, il triplice messaggio di Apocalisse XIV e, come Abrahamo intercedeva per Sodoma e Gomorra, essi gridano a Dio di procrastinare i suoi giudizi e, come sale della terra, impediscono la piena e totale corruzione, rendendo il mondo ancora vivibile. “La storia mondiale è in qualche modo stoppata in pieno declino, sospesa nei suoi ultimi effetti. L’altra storia, quella di Dio con gli uomini, va verso il suo compimento”.15 Appena le operazioni per sigillare gli eletti termineranno, i venti saranno lasciati soffiare. Questa visione ricorda due episodi biblici: il primo si riferisce alle case degli Ebrei che furono segnate col sangue dell’agnello immolato prima dell’esodo dall’Egitto, nella notte in cui il Paese fu colpito dall’ultima piaga; il secondo si riferisce alla visione di Ezechiele IX nella quale il profeta vede degli uomini che vengono segnati
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Apocalisse 22:11. C. Brütsch, o.c., pp. 138,139. Vedere DE MEO Giovanni, Abbiamo sfiorato la fine, in Segni dei Tempi, n. 469, novembre-dicembre 1976. C. Brütsch, o.c., p. 141.
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sulla fronte perché soffrono per il rifiuto dei loro connazionali di vivere la parola di Dio, e commettono ogni sorta di peccato.16 Tutti coloro che Dio sigillerà non saranno colpiti dalle sette ultime piaghe con le quali si compie il giudizio di Dio. Più avanti considereremo la natura del sigillo.
Chi sono i 144.000 Giovanni “ode” il numero dei sigillati: centoquarantaquattromila di tutte le tribù dei figli d’Israele. Su questi sigillati dei figli d’Israele gli studiosi si dividono in due gruppi: - gli uni, i letteralisti, vi vedono Israele come nazione ebraica;17 - gli altri vedono Israele in senso spirituale, cioè la Chiesa.18 Se si vuole considerare la dichiarazione “le tribù d’Israele” in senso letterale, riguardante il popolo d’Israele degli ultimi tempi, ci si trova di fronte ad una difficoltà d’ordine genealogico pressoché insormontabile. Inoltre, il modo di Giovanni di elencare le tribù non trova nessun riscontro nell’Antico Testamento. Non segue né l’ordine di nascita dei figli di Giacobbe, né l’ordine con il quale Giacobbe ha benedetto i capostipiti delle tribù sul suo letto di morte.19 Giovanni menziona la tribù di Giuseppe, ma questa tribù, quando gli Ebrei entrarono nella terra promessa, venne indicata con i nomi dei suoi figli Efraim e Manasse, che Giovanni menziona pure nel suo elenco; quindi ci sarebbe una sovrapposizione. L’apostolo non indica la tribù di 16
Esodo 12; Ezechiele 9. “Nell’antichità Vittorino e Andrea di Cesarea; nei tempi moderni, i cattolici: Bossuet, Calmet, Joubert, Zoppi, Martini, Allioli, Drach, ecc.; i protestanti: Bullinger, De Launay, Bengel, ecc. Era già l’opinione di William MILLER (Evidence, 1842, p. 187), alla quale si è unito Ludwing Richard CONRADI nella sua ultima opera, The Impelling Force of prophetic Truth, London 1935, pp. 21,22. “È la totalità del popolo ebraico convertito” affermava il cattolico Philippe Auguste de LAMBILLY, L'Église et les Prophètes ou Vision du Temps, vol. II, Nantes 1868, p. 77. Il plimontista Charles Andrews COATES gli fa eco: “Questi 144.000 sono evidentemente l’universalità degli ebrei convertiti” Une esquisse du livre de l’Apocalypse, Livron 1927, p. 180” A.F. Vaucher, o.c., p. 36. 18 “Nell’antichità Primasio, Beatus, Beda il Venerabile; nei tempi moderni, i cattolici Du Guet, F. de Bovet, Pothier, Holzhauser, Brassac, ecc.; i critici Renan, Loisy, Charles, Vernes, Couchoud, ecc.; i protestanti Elliott, Keil, Alford, Lange, Gaussen, Burnier, F. de Rougemont, Bonnet, Reuss, ecc.” A.F. Vaucher, o.c., pp. 36,37. Geymonat convinto che i 144.000 del capitolo 14 sono dei cristiani di tutte le nazionalità, ma desideroso di salvaguardare l’interpretazione letterale del capitolo 7, adotta una soluzione mista: Israele letterale al capitolo 7, Israele spirituale al capitolo 14: “Il numero impiegato precedentemente (capitolo 7) per le tribù d’Israele durante il tempo dei gentili, indica qui (capitolo 14) gli eletti dell’umanità in generale durante il tempo dell’anticristo” o.c., p. 114” Cit., Idem. 19 Ordine di elencazione in Apocalisse 7: Giuda, Ruben, Gad, Aser, Neftali, Manasse, Simeone, Levi, Issacar, Zabulon, Giuseppe, Beniamino. Ordine di nascita: Genesi 29:31-30:24; 35:16-21: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Dan, Neftali, Gad; Ascer, Issacar, Zabulon, Giuseppe, Beniamino. Ordine nella benedizione: Genesi 49: Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Zabulon, Issacar, Dan, Gad, Ascer, Neftali, Giuseppe (nei figli Efraim e Manasse), Beniamino. 17
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Dan, sostituendola con quella di Levi, probabilmente per il fatto che nella tradizione rabbinica e nel Talmud la tribù di Dan è associata all’idea di apostasia e d’idolatria. Dan è anche l’oggetto di una profezia che ha in sé l’idea di una maledizione: “Dan sarà un serpente sulla strada, una cerasta sul sentiero”.20 La tribù di Giuda, contrariamente all’Antico Testamento, viene qui menzionata per prima forse per il fatto che da essa è nato il Messia. Se si dovesse accettare il letteralismo che i sigillati sono del popolo d’Israele, si dovrebbe spiegare nella forma letterale tutto il brano e quindi affermare che lo stesso sigillo sarà qualcosa di visibile sulla fronte degli uomini. Nel testo non c’è nulla che autorizzi a usare questo doppio registro: letterale e simbolico, anzi, si forzerebbe il testo se lo si spiegasse in questo modo. Non si deve dimenticare che Giovanni non vede la realtà, ma, nelle sue visioni, vede la rappresentazione figurata della realtà. Quindi riteniamo che le tribù d’Israele siano da comprendere in senso figurato. La Chiesa è chiamata Israele ed i veri israeliti non sono quelli che hanno i genitori o uno di loro ebreo, ma quelli che come Abrahamo, padre dei credenti, credono veramente nelle promesse di Dio e vivono per fede la loro vocazione di figli di Dio.21 Questi segnati sono definiti al versetto 3 col termine generico di “servitori dell’Iddio” e sono presentati come sparsi in tutto il mondo, come viene confermato nel capitolo XIV dove è detto di loro: “Sono stati riscattati dalla terra”.22 “Noi abbiamo qui la concezione che si trova in tutta l’Apocalisse e che fa del popolo di Dio sotto la nuova alleanza la realizzazione perfetta di ciò che Israele prefigurava sotto l’antica”.23 “I 144.000 segnati formano l’Israele spirituale, che è quanto dire la Chiesa di Cristo senza distinzione di nazionalità”.24 Ciò che può avere indotto Giovanni a rappresentare la Chiesa sotto il simbolo delle dodici tribù d’Israele, crediamo che siano le analogie tra le piaghe che colpirono l’Egitto, risparmiando i figli delle dodici tribù d’Israele, e le piaghe che colpiranno l’umanità preservando i membri del Popolo di Dio che, come gli israeliti, sono stati sigillati.25 Giacomo, nella sua lettera, chiama la Chiesa: “Le dodici tribù che sono nella dispersione”.26 I 144.000 dell’Apocalisse sono l’Israele spirituale, la comunità dei fedeli, che Dio “riscatta fra gli uomini” e che si trova sparso su tutta la terra, fra tutti i popoli. 20
Genesi 49:17. Romani 9:6; Galati 6:16; 3:29; Isaia 45:22-25. 22 Apocalisse 14:3. “È impossibile non riconoscere qui (in Apocalisse 14:3) i 144.000 del capitolo 7 che erano stati sigillati” GODET Frédéric, Études Bibliques, 5’ ed., Paris 1899, p. 321. 23 L. Bonnet, o.c., p. 383. 24 BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, ed. Claudiana, Firenze 1924, p. 64. 25 L. Bonnet, o.c., p. 383. 26 Giacomo 1:1. 21
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Cosa indica la cifra 144.000 Anche sulla cifra 144.000 i pareri sono divisi tra i letteralisti,27 che vedono in questo numero una cifra chiusa, un numero definito, e coloro che vedono in questa cifra un numero simbolico.28 Nel linguaggio simbolico i numeri 7 e 12 indicano la perfezione (3 la divinità, 4 la creazione). Il numero 12: le 12 tribù d’Israele, i 12 apostoli. Rappresenta il popolo di Dio, il risultato del patto, sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, conseguenza dell’intervento di Dio nella storia degli uomini. “Le 12 tribù rappresentano l’idea della totalità; il numero 12 ed il suo quadrato (144) è il numero perfetto ed assoluto, il coefficiente 1.000 segna l’idea della moltitudine”.29 144.000 corrisponde al numero perfetto nella sua moltitudine. “Quanto ai numeri 12.000 e 144.000 si ha ragione di dire che essi non sono né matematici, né statici, ma simbolici. Quale è il significato? 12, cifra del popolo di Dio, è portata al suo quadrato 144, e questo è moltiplicato per il cubo di 10 cioé 1.000. Ora, essendo 10 la cifra della perfezione, il numero 144.000 rappresenta questo popolo nel suo perfetto compimento”.30 “Il carattere simbolico del numero è evidente, quadrato della cifra sacra 12, moltiplicato per il coefficiente di moltitudine 1.000, significa che a Dio solo appartiene l’enumerazione dei suoi e che essa si realizza in tutta la sua pienezza”.31 “Il quadrato di 12 rappresenta il popolo di Dio nella sua pienezza. Moltiplicato per 1.000 evoca l’idea di una moltitudine”.32 “La cifra 12 volte 12.000, ossia un totale di 144.000 mostra che l’opera perfetta di Dio si compie nella debolezza degli uomini. Prima risposta alla domanda “chi può reggere in piè?”; “ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio”; “le porte del soggiorno dei morti non prevarranno contro la Chiesa”, popolo di Dio”.33
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NEWELL William Reed, The Book of the Revelation, Chicago 1935, p. 210, nota. Opinione condivisa da un piccolo numero d’interpreti: Banholzer, Krueger, Jules Rey. Jean NUSSBAUM sembra averla adottata con questa riserva: “Si tratta di 144.000 persone o di 144.000 famiglie? io non so nulla”, Couseries sur l’Apocalypse, vol. I, p. 40” A.F. Vaucher, o.c., p. 39. 28 “Questo numero è evidentemente simbolico; indica una moltitudine contemporaneamente numerosa e perfettamente ordinata” A.J.T. CRAMPON, nota su Apocalisse 7:4. “Questa cifra di 144.000 è simbolica. Indica una totalità” ANTOMARCHI, L’Apocalypse, 2a ed., 1933, p. 112. ROSSELET d’IVERNOIS Gustave Adolphe, L’Apocalypse et l’Histoire, vol. II, Paris 1878, p. 220,. la considera una “cifra tipica”. Scrive il Maestro A.F. Vaucher: “Sarebbe fastidioso elencare tutti gli autori cattolici e protestanti che hanno espresso questa opinione. Tra gli avventisti, bisogna segnalare, L.R. CONRADI, Der Seher von Patmos, 1911, pp. 179-181; W.L. EMMERSON God’s Good News, Watford 1950, p. 377; GREGORY Benjamin F., A Study of Events and of the Sealed Ones during the Time of Trouble, Bakersfield 1957, pp.76-78,84; P. WINANDY: “Si tratta, probabilmente di una cifra simbolica”. Vedere anche il SDA Bible Commentary, vol. VII, p. 783. 29 REUSS Edouard, L’Apocalypse, Paris 1878, p. 79. 30 REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanne 1904, p.184. 31 C. Brütsch, o.c., p. 140. 32 L. Bonnet, o.c., p. 383. 33 C. Brütsch, o.c., p. 142. Quando la profezia diventa storia
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“Dell’Israele spirituale Giovanni aveva udito il numero, ma era numero non aritmetico, bensì simbolico, inteso ad insegnare che Dio conosce e conta i suoi uno per uno come il pastore le sue pecore, ch’egli trae da tutte le famiglie dell’umanità e tutte le protegge come sua proprietà”.34 Concludendo questa serie di citazioni, possiamo dire che la cifra 144.000 indica la totalità vivente del popolo di Dio pronta al ritorno del suo Signore. Il ritorno di Cristo Gesù non viene ad interrompere nessuna conversione probabile (la cifra indica completezza nella perfezione), e che quindi, quando si vedrà nella gloria il Salvatore del mondo, tutto ciò che lo Spirito Santo poteva compiere per la redenzione degli uomini lo ha fatto completamente. Se coloro che non saranno salvati grideranno: “Montagne e rocce cadeteci addosso e nascondeteci dal cospetto di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello” e si rammaricheranno perché è venuto il gran giorno della sua ira, è perché coscientemente ed in piena libertà hanno respinto la grazia di Dio. Essi non avrebbero accettato la salvezza anche se Cristo Gesù avesse tardato la sua venuta. In contrapposizione a questo quadro drammatico c’è quello dei sigillati, i quali, alla vista del Signore che viene, grideranno: “Ecco questo è il nostro Dio: in lui abbiamo creduto, ed egli ci ha salvati”.35 Prima di passare al secondo quadro di questo capitolo, vogliamo ancora ricordare che Giovanni non “vide” questo Israele sigillato da Dio, ma “udì” cioè sentì pronunciare il numero 144.000. Giovanni ha visto l’angelo che avrebbe dovuto sigillare la Chiesa militante sulla terra, quindi non ancora gloriosa, non ancora portata alla presenza del trono di Dio.
Secondo quadro: La grande folla o la Chiesa trionfante “Dopo queste cose vidi, ed ecco una gran folla che nessun uomo poteva noverare, di tutte le nazioni e tribù e popoli e lingue, che stava in piè davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di vesti bianche e con delle palme in mano”.36 “Si è molto discusso sui rapporti di questa grande moltitudine con i centoquarantaquattromila”.37 Tre sono le posizioni: - i 144.000 sono un gruppo distinto della grande folla;38 34
E. Bosio, o.c., p. 64. Isaia 25:9: 36 Apocalisse 7:9. 37 L. Bonnet, o.c., p. 384. 38 “È l’opinione più diffusa. I suoi sostenitori vedono nella prima parte del capitolo 7 un gruppo distinto, che non deve essere confuso con la grande moltitudine descritta nella seconda parte dello stesso capitolo, anche se non c’è un perfetto accordo sulla composizione del gruppo e della folla (Bossuet, Calmes, Martini, Allioli, Drach, Allo, ecc., presso i cattolici; Bullinger, Bengel, Elliott, Alford, Seiss, Lange, Fausset, Darby, Kliefoth, Reymond, Godet, 35
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- i 144.000 sono la grande folla;39 - i 144.000 si distinguono dalla grande folla, ma vengono nuovamente indicati in questo secondo quadro nei versetti 13-17. Di questa terza posizione diciamo subito che “niente nel testo autorizza la dissociazione dei riscattati “rivestiti di vesti bianche” del versetto 13 dagli eletti “rivestiti di vesti bianche” di questo versetto 9”.40 Le ragioni che ci obbligano a identificare i 144.000 con la grande folla sono diverse. Giovanni udì il numero della pienezza dei suggellati e quando vide il corrispondente di questo numero, i trionfanti con la palma della vittoria in mano, erano una moltitudine che nessuno poteva contare.41 Così “si passa dall’audizione alla visione, così come dal piano terrestre si passa al piano celeste”.42 “Bisogna guardarsi bene dal vedere nella seconda visione un’altra categoria di fedeli distinta dalla prima”.43 “I due quadri profetici sono distinti e successivi (dopo questo). Il primo ci pone sulla terra e ci mostra la Chiesa militante, così come è costituita al momento in cui incominciano i mali degli ultimi tempi. Il secondo ci trasporta nel cielo alla fine dei tempi, e ci fa vedere la Chiesa trionfante, che è una grande moltitudine di ogni nazione, formata da coloro che vengono dalla grande tribolazione”.44 Che i 144.000 siano la grande folla ci viene confermato da due espressioni del testo stesso. La prima: mentre nel capitolo VII è detto che la folla proviene da tutte “le nazioni e tribù e popoli e lingue” della terra, nel capitolo XIV Giovanni esprime lo stesso pensiero dicendo che i 144.000 “sono stati riscattati dalla terra”. La seconda: la grande folla del capitolo VII come i 144.000 del capitolo XIV “stava in piedi davanti
Auberlen, ecc, presso i protestanti; J, Vuilleumier, Jules Rey, W.L. Emmerson presso gli avventisti” A.F. Vaucher, o.c., p. 37. 39 “È già l’opinione di Ticonio, ed è stata adottata dai cattolici F. de Bovet, Brassac, Lusseau e Collomb, ecc.; dai critici Reuss, Loisy, Charles, Schoen, Vernes, ecc.; dai protestanti Mede, Lange, Burnier, Wordsworth, Steinheil, H. de Perrot, Lilje, Bruetsch, ecc.; tra gli avventisti: Kranz, che si appoggia su E. WHITE, Testim., vol. V, p. 215. Si potrebbe anche citare il vol. IX, pp. 267,268; Grand Controversy, pp. 648,649 e Acts of the Apotres, p. 602, ma nessuno di questi passi è decisivo. Grand Controversy, p. 665, sembra che faccia una distinzione tra i 144.000 e la grande folla. Il SDA Bible Commentary, vol. VII, p. 784, espone le tre soluzioni, senza pronunciarsi, facendo rilevare che gli avventisti, in generale hanno preferito la prima soluzione” A.F. Vaucher, o.c., p. 38.. 40 A.F. Vaucher, o.c., p. 38. “È il punto di vista di qualche avventista (Smith, Haskell, Conradi, per Nussbaum è “molto probabilmente” vol. I, p. 42, Winandy”, cit. Idem, p. 37. 41 Giovanni usa qui una iperbole per indicare una moltitudine che corrisponde alla manifestazione visibile dei 144.000. Questa iperbole la troviamo diverse volte nell’Antico Testamento. In Deuteronomio 1:10; 10:22; 1 Samuele 13:5; 2 Cronache 1:9; si dice che Israele è numeroso come le stelle del cielo, quando invece nel libro dei Numeri vengono continuamente riportati dei censimenti. Anche i filistei che combattevano Israele erano considerati come una gente così numerosa da essere paragonata alla rena del mare. Dopo che Davide censì il popolo (1 Cronache 21:1), Salomone che gli succedette al trono, pregando Dio, dichiarava: “Tu mi hai fatto re di un popolo numeroso come la polvere della terra”. 42 C. Brütsch, o.c., p. 142. 43 HENRIQUET Alexandre, L’Apocalypse ou Révélation de Jésus Christ, Paris 1873, p. 72. 44 L. Bonnet, o.c., p. 384. Quando la profezia diventa storia
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al trono e davanti all’Agnello”.45 Questa constatazione crediamo risponda bene alla domanda: “Chi può reggere in piè?” Contrariamente ad alcuni che credono che questa grande folla siano i salvati che rimangono sulla terra, a differenza dei 144.000 che sono sul Monte Sion,46 in cielo, questo secondo quadro presenta la grande folla in cielo. Essa è “davanti al trono di Dio”. Questa espressione viene ripetuta diverse volte da Giovanni nel suo libro e indica sempre il luogo della presenza di Dio in cielo.47
La folla incalcolabile dei 144.000 viene dalla grande tribolazione “E uno degli anziani mi rivolse la parola dicendomi: “Questi che sono vestiti di vesti bianche chi sono, e da dove sono venuti?”. Io gli risposi: “Signor mio, tu lo sai”. Ed egli mi disse: “Essi sono quelli che vengono dalla gran tribolazione, e hanno lavato le loro vesti, e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello””.48 A Giovanni viene posta una domanda, forse retorica, tendente più a suscitare un quesito nell’Apostolo che ad avere da lui una risposta. In ogni caso Giovanni è stupito di vedere questa grande folla così trasformata da non riconoscervi la cristianità terrestre, così rinnovata dalla grazia di Dio. Questa Chiesa vivente al ritorno di Cristo è stata trasformata in un battere d’occhio; passando da una realtà corruttibile a una incorruttibile, da disprezzabile a gloriosa. Rispondendo: “Tu lo sai” Giovanni vuol dire che qualcosa conosce circa quella moltitudine, lo deduce dalle vesti bianche e dal cantico che intonano, ma il Signore sa molto più e meglio di lui. L’Apostolo risponde all’anziano dicendo: “Signor mio, tu lo sai”. Giovanni impiega l’espressione greca kurios, Signore, che in tutta l’Apocalisse è impiegata unicamente nei confronti di Dio e dell’Agnello. Più che essere quindi una risposta rispettosa, all’anziano che gli ha fatto una domanda, Giovanni, nel rispondere, si è rivolto al Signore stesso essendo lui che ha operato in forma così straordinaria nella vita di queste persone. L’anziano risponde dicendo che essi “vengono dalla grande tribolazione”. Una esatta comprensione di questa dichiarazione ci aiuta ancora meglio a comprendere il valore dei 144.000. Quale è questa grande tribolazione? Tre sono le posizioni sostenute dagli studiosi.
45
Vedere Apocalisse 7:9; 14:3; 7:9,15. Apocalisse 14:1. 47 Apocalisse 3:21; 4:2 e seg; 20:11; 22:1. 48 Apocalisse 7:13,14. Calvino nella sua Istituzione Cristiana, III,5,2 cita il versetto 14 per combattere contro le indulgenze. Scriveva: “San Giovanni dice che tutti i santi hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello; coloro che vendono le indulgenze c’insegnano a lavare i nostri vestiti nel sangue dei santi” C. Brütsch, o.c., p. 147. 46
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La tribolazione conseguenza della fedeltà all’Evangelo
È la tribolazione di tutti i secoli, cioè la battaglia individuale alla quale ogni cristiano è chiamato per la sua testimonianza e per superare la propria concupiscenza. Perché come Paolo diceva: “Dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”.49 Ma l’espressione “grande tribolazione” nel linguaggio profetico non è qualcosa di vago, di generico, al contrario è molto precisa e si riferisce a qualcosa di specifico.
La tribolazione del Medio Evo
La tribolazione dei 1260 giorni profetici, periodo nel quale la Chiesa viene oppressa con la spada, con il bando e le carceri. Periodo nel quale la Chiesa deve fuggire dai luoghi abitati per sottrarsi al potere ecclesiastico e temporale.50 Anche questa spiegazione è poco sostenibile per il fatto che il sigillamento dei 144.000, la grande folla, avviene poco prima del ritorno di Cristo Gesù e preserverà la Chiesa militante dalle ultime piaghe.
La tribolazione finale
Giustamente Digby rileva: “Non sono delle tribolazioni ordinarie della vita umana, neppure quelle della Chiesa militante causate da parte dei suoi nemici, ma qui si riferisce a quella di cui parla il profeta Daniele nel capitolo XII:1”.51 “Questa grande tribolazione è l’ultima e suprema tribolazione che la generazione presente dovrà sopportare... È completamente sbagliato comprendere questa tribolazione in un senso generale, la prova del credente nel mondo. Questa grande tribolazione è ancora nell’avvenire”.52 Il profeta Daniele, parlando del tempo finale, scriveva: “Sarà un tempo di angoscia quale non se ne ebbe mai da quando esistono le nazioni”. E l’evangelista Marco, riportando le parole di Gesù relative a quel tempo, dice: “Poiché quelli saranno giorni di tale tribolazione, che non v’è stata l’uguale dal principio del mondo che Dio ha creato, fino ad ora, né mai più vi sarà”.53
49
Atti 14:22. Vedere Antomarchi, o.c., p. 80; Emmerson, o.c., p. 378. Vedere LAUNAY Pierre de, Paraphrase et Exposition sur l’Apocalypse, Genève 1651, pp. 180,181. PHILIPOT Jacques, Eclarcissements sur l’Apocalypse, Amsterdam 1687, p. 143. 51 DIGBY William, Courte explication historique des sceaux et des trompettes de l’Apocalypse, Toulouse 1839, p. 23. 52 CHARLES R.H., A critical and exegetical commentary of the Révélation of St. Jean, vol. II, Edimburg 1920, p. 213. 53 Daniele 12:1; Marco 13:9. Vedere E. White, Testimonies, vol. V, p. 215; vol. IX, p. 268; Grand Controversy, p. 649. “È la spiegazione adottata dalla maggioranza dei commentatori. Tra i cattolici: Rondet, Nicolas, Drach, ecc.; presso i protestanti Seiss, 50
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“È tuttavia fuori di dubbio che le parole “la grande tribolazione” indicano quella degli ultimi tempi, dell’ultimo periodo del presente secolo, che sarà marcato dallo spiegamento del furore di Satana e di cui Gesù ha detto: ‘‘poiché vi sarà una grande afflizione’’. Bisogna insistere sul tempo presente del verbo greco erkomenoi, che vuol dire “coloro che vengono” e non coloro che sono venuti. Questo tempo esprime fortemente che coloro che fanno la loro entrata nel cielo escono dalla tribolazione (appena finita). La tribolazione è il loro luogo d’origine, la loro patria quaggiù, l’atmosfera che li ha avviluppati fino a questo momento, ora essi respirano l’aria pura delle cime”.54 “Il presente “vengono”, non implica, come si è supposto, che, essi seguitano, continuano ad arrivare, ma indica che il loro venire è cosa recente, giacché la visione ci porta al tempo in cui sarà terminata la tribolazione di cui si parla e che è chiamata la grande perché supererà, se non in durata, in intensità ed in estensione, tutte le precedenti. Non si tratta dunque dei dolori e delle penose fatiche a cui l’umanità è stata sottoposta a cagione del peccato, e neanche di tutte le tribolazioni dei cristiani di ogni tempo, considerate come un tutto; ma “la grande tribolazione” accenna alla più terribile di tutte, a quella che si estenderà ai credenti del mondo intero e quando Satana si servirà dei suoi più potenti strumenti e metterà in opera i mezzi più efficaci per abbattere il regno di Cristo e distruggere i suoi seguaci... Si tratta soprattutto dell’opera del potere in cui si concentrerà tutto l’odio, tutta l’astuzia e la potenza di Satana. Da questo terribile cimento vengono i redenti che stanno davanti al trono”.55 Per gli evangelici che credono a un rapimento della Chiesa prima del ritorno di Cristo rileviamo che: “Non c’è posto per l’insegnamento singolare, estraneo alla Bibbia e in fondo poco cristiano di un “rapimento” della Chiesa dei credenti prima della “grande tribolazione””.56 Questa tribolazione sarà la conseguenza del marchio della bestia. In quel tempo allora sarà manifesta la differenza tra chi è stato sigillato del sigillo di Dio e coloro che, pur non negando l’esistenza del Signore preferiranno il sigillo della bestia. In quel tempo allora il Dragone manifesterà tutta la sua ira, che sta preparando da decenni nei confronti del rimanente della progenie della donna che serba i comandamenti di Dio e conserva la fede di Gesù.57 I credenti saranno purificati dal peccato; il loro abbandono al Signore sarà completo, totale, senza riserve. La Chiesa passerà per un’esperienza unica nel corso della storia: “Il residuo d’Israele non commetterà più iniquità, non dirà più menzogne, né si troverà nella sua bocca lingua ingannatrice”.58
Bosio, Fausset, Kliefoth, Rossier, Zahn, Darby, Coates, De Haan, Lilje, ecc.; presso gli avventisti, Smith, Nussbaum, Kranz”, A.F. Vaucher, o.c., p. 39. 54 A. Reymond, o.c., t. I, pp. 190,191. 55 E. Bosio, o.c., pp. 64,65. 56 PFENDSACK Werner, Der herr ist nahe. Kap. 1-11 der Offenbarung des Joannes, Bâle 1963, p. 108; cit. da C. Brütsch, o.c., p. 144. 57 Vedere Apocalisse 12:17; 14:12. 58 Sofonia 3:13.
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Proprio perché quella tribolazione sarà grande (chi non adorerà la bestia e la sua immagine e non prenderà il numero del nome della bestia sulla mano o sulla fronte, sia essa una persona importante o piccola, influente o meno, non potrà né comprare né vendere e potrà essere uccisa). Giovanni presenta come garanzia di vittoria il trionfo della grande folla mediante un numero simbolico di 144.000, in piedi sul monte Sion con l’Agnello.59 Come per Gesù il suo ministero passò dal Getsemani e si concluse al Golgota prima del trionfo glorioso della resurrezione, così sarà per la sua sposa, la Chiesa. Sebbene essa stessa abbia dovuto contrastare il principe di questo mondo durante tutti i secoli, all’epilogo della sua storia la sua sofferenza sarà più profonda. E come fu per il Salvatore, essa stessa berrà l’amaro calice e sarà battezzata del suo stesso battesimo per giungere poi, per la grazia di Cristo, al trionfo della sua gloria. Daniele, dopo aver parlato della distretta finale, aggiunse: “In quel tempo sorgerà Micael, il gran capo, il difensore dei figli del tuo popolo; e sarà un tempo d’angoscia, quale non se n’ebbe mai da quando esistono nazioni fino a quell’epoca; e in quel tempo il tuo popolo sarà salvato; tutti quelli, cioè, che saranno trovati scritti nel libro”. In quel tempo, Daniele precisa che nel momento della resurrezione dei giusti ci sarà una parziale risurrezione dei malvagi. “E molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni per la vita eterna, gli altri per l’obbrobrio, per una eterna infamia”.60 Questa parziale risurrezione dei malvagi viene ricordata da Giovanni all’inizio del suo scritto precisando anche chi saranno: “Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero e tutte le tribù della terra faranno cordoglio per lui. Sì, Amen”. Questo insegnamento è la realizzazione della promessa che Gesù fece ai suoi carnefici quando davanti al sommo sacerdote Caiafa disse: “Io vi dico che voi vedrete il Figlio dell’uomo... venire sulle nuvole del cielo”.61 Quando avverrà questa parziale risurrezione? Considerando che Daniele la pone dopo la guerra di Harmaghedon, che descrive negli ultimi sei versetti del capitolo XI, e che l’apertura del sesto sigillo descrive gli effetti fisici e cosmici della settima piaga e tutto questo precede di poco la manifestazione in gloria di Cristo Gesù, crediamo che questa parziale risurrezione degli increduli e dei credenti debba essere collocata tra l’ultimo flagello ed il ritorno di Gesù. Questa parziale risurrezione degli empi e dei giusti precede la grande risurrezione dei salvati alla venuta in gloria del Signore Gesù.
I 144.000 sono un gruppo particolare di salvati
59 60 61
Apocalisse 14:1. Daniele 12:1,2. Apocalisse 1:7; Matteo 26:64. Quando la profezia diventa storia
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Questa moltitudine è una élite di credenti che si distinguerà da tutto il resto della Chiesa. Sono persone che hanno fatto un’esperienza particolare con Dio e manifestano il suo carattere. L’esperienza dei 144.000 è del tutto diversa, ma non superiore o migliore di quella degli altri salvati. A tutti i riscattati verrà data “una pietruzza bianca sulla quale c’è scritto un nome che nessuno conosce se non colui che la riceve”.62 Questo nome esprime l’esperienza personale ed intima che il credente ha fatto con il suo Creatore, esperienza diversa, distinta da quella fatta da tutti gli altri, suoi fratelli, come è diversa l’esperienza fatta con Dio da coloro che hanno subìto il martirio da quelli che sono morti nel loro letto. Come i martiri non vanteranno nessuna superiorità rispetto a coloro che non sono stati uccisi per l’evangelo, così è dei 144.000 che hanno vissuto in un momento particolare della storia della salvezza, diverso da tutti gli altri. Essi avranno fatto con Dio un’esperienza distinta dal resto della Chiesa. A loro sarà riconosciuta una posizione diversa, ma non per questo superiore, a quella degli altri fratelli di tutti i tempi i quali nell’eternità avranno anch’essi il nome di Dio e dell’Agnello sulle loro fronti.63 “Perciò sono davanti al trono di Dio e gli servono giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono spiegherà su loro la sua tenda. Non avranno più fame e non avranno più sete, non li colpirà il sole né alcuna arsura perché l’Agnello che è in mezzo al trono li pasturerà e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita; e Iddio asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro”.64 Queste parole di Giovanni ricordano la descrizione che egli fa della nuova terra dove i salvati di ogni tempo si nutriranno dei frutti dell’albero della vita e vedranno la faccia di Dio. Su questo gruppo di eletti Dio “spiegherà la sua tenda”. Questa espressione ricorda la promessa messianica che si è compiuta con la venuta di Cristo che ha posto la sua tenda in mezzo a noi. Questa promessa di Dio si estende anche alla Chiesa universale nella quale abiterà in modo perfetto come perfettamente abitò in Gesù. Per questo Paolo scrive: “Affinché Dio sia tutto in tutti”.65 “Poi vidi ed ecco l’Agnello che stava in piè sul monte Sion, e con lui erano centoquarantaquattromila persone che avevano il suo nome e il nome di suo Padre scritto sulle loro fronti. E udii una voce dal cielo come rumore di gran tuono; e la voce che udii era come il suono prodotto da arpisti che suonano le loro arpe. E cantavano un cantico 62 63 64 65
Apocalisse 2:17. Apocalisse 22:3,4. Apocalisse 7:15-17. 1 Corinzi 15:28.
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nuovo davanti al trono e davanti alle quattro creature viventi ed agli anziani; e nessuno poteva imparare il cantico se non quei centoquarantaquattromila, i quali sono stati riscattati dalla terra. Essi sono quelli che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini. Essi sono quelli che seguono l’Agnello dovunque vada. Essi sono stati riscattati di fra gli uomini per essere primizia a Dio ed all’Agnello. E nella bocca loro non è stata trovata menzogna: sono irreprensibili”.66 Coloro che escono dalla grande tribolazione, Giovanni li vede sul monte Sion, sul monte della presenza di Dio, non quello dell’odierna Gerusalemme, ma quello che si viene a creare dalla pietra, che Daniele descrive nel suo capitolo II, che, colpendo la statua alle sue estremità, si estenderà su tutta quanta la terra che sarà abitata da tutta l’umanità salvata. I 144.000 sono un gruppo particolare della Chiesa universale; cantano un cantico nuovo che nessuno può imparare tranne loro perché: “Sono quelli che non si sono contaminati con donne, poiché sono vergini”. Il termine “vergine” si trova solamente qui nell’Apocalisse. Delle tre caratteristiche di questi salvati: “sono vergini”, “seguono l’Agnello dovunque vada”, e “sono la primizia di Dio”, la prima è quella che ha suscitato più discussioni. Chi prende letteralmente questa affermazione e non segue la stessa regola con la quale si specificano le altre caratteristiche: monte Sion, seguire, primizia, senza macchia, vi vede espresso il celibato cattolico e l’ascetismo dei monaci, delle suore, e di tutti gli ecclesiastici che hanno fatto voto di castità.67 Si è pensato anche che si tratti di persone che non si sono contaminate con pratiche di prostituzione sacra.68 “È assolutamente impossibile che uno scrittore del Nuovo Testamento possa indicare la vita coniugale come un mezzo di contaminazione... Il fatto stesso che la maggior parte degli apostoli fossero sposati esclude una tale interpretazione”.69 Del resto il matrimonio è il coronamento della creazione e il piacere della vita coniugale era stato benedetto di già nell’Eden prima della rivolta dell’uomo. Altri vi hanno visto persone che, viventi in un secolo di degenerazione morale, non hanno contratto unioni extraconiugali. Come abbiamo detto, tutto il brano è simbolico, lo stesso numero ha un valore simbolico e quindi crediamo che non si possa prendere l’espressione “vergini” in senso letterale. “L’espressione deve essere presa in senso spirituale, poiché il contesto 66
Apocalisse 14:1-5. “Il capitolo 13 mostra il calvario della Chiesa... il capitolo 14 mostra all’evidenza che per la Chiesa la croce è il passaggio alla resurrezione” ERWUN Reisner, Das Buch mit den sieben Siegeln, Goettingue 1949, p. 134; cit. da C. Brütsch, o.c., p. 238. 67 Vedere critica a questa comprensione SCHUESSLER FIORENZA Elisabeth, The Book of Revelation, Justice and Judgment, Fortress Press, Philadelphia 1985, pp. 55,56. 68 MOUNCE Robert H., The Book of Revelation, Wm. B. Eerdmanns, Grand Rapids, 1976, p. 270. 69 SOE N.H, Ethik, pp. 297,501; cit. da C. Brütsch, o.c., p. 240. Quando la profezia diventa storia
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sembra bene indicarlo”.70 “La verginità è la caratteristica di coloro che hanno il cuore puro. Essi sono quindi qualificati per seguire l’Agnello ovunque egli vada. Mounce ha dimostrato che c’è un simbolismo nella descrizione della Chiesa come composta da vergini. E non bisogno dimenticarlo. Riferendosi all’Antico Testamento, dichiara che a diverse riprese Israele è designato con il nome di vergine. È la figlia vergine di Sion, la vergine Israele;71 ma quando il popolo è coinvolto nell’idolatria, è qualificato come prostituta.72 Questo modo di parlare si ritrova nel Nuovo Testamento: dove in II Corinzi XI:2 Paolo scrive: “Vi ho fidanzati a uno unico sposo, per presentarvi come una casta vergine a Cristo”. I 144.000 sono qui rappresentati come la sposa promessa al Cristo, così come indicata al capitolo XXI:9. Essi hanno resistito. Mentre aspettavano il giorno delle nozze, si sono conservati puri da tutte le relazioni contaminanti con il sistema del mondo pagano. Hanno resistito alle seduzioni della grande prostituta, Roma, con la quale i re della terra hanno commesso adulterio, e hanno conservato una relazione di stretta alleanza con il loro Dio”.73 Sono vergini perché immuni da ogni idolatria, non sono caduti nell’apostasia generale del tempo della fine, non si sono lasciati ammaliare dalle seduzioni delle Chiese apostate alleate tra di loro. In due importanti versioni copte: sadica e boaria, come anche nella versione etiopica e qualche importante manoscritto greco, si legge il singolare “gunaikos” anziché il plurale “gunaikon”. Si tratta quindi di coloro che non si sono lasciati circuire dalla “donna”, cioè la grande prostituta, Babilonia,74 non sono coinvolti nella sua idolatria, non hanno adorato la bestia né la sua immagine. Il termine “guné” donna è usato nel capitolo XII per presentare il popolo di Dio, ed è utilizzato per Babilonia nel capitolo XVII dove si presenta la nuova cattolicità del cattolicesimo. Il popolo di Dio, che attraverso i secoli di intolleranza ha saputo mantenere alta la fiaccola della fedeltà, nella parte finale della storia troverà la piena realizzazione nella sua progenie. “Attraverso questa immagine della verginità del popolo eletto, non è la qualità dell’astinenza sessuale che è esaltata, ma piuttosto la virtù dell’attesa di Dio. Ciò che qui viene preso in considerazione è essenzialmente la natura della relazione con il futuro sposo. Il popolo di Dio, resterà sempre vergine perché il suo sposo sarà sempre atteso. Il regno non è di questo mondo”.75 Con l’espressione: “sono vergini, non si sono contaminati con donne”, Giovanni vuole forse rilevare che questi salvati che hanno visto Gesù tornare costituiscono la donna-chiesa che ha un unico modo di credere e la Chiesa invisibile si identifica con la Chiesa visibile. Tra loro non ci sono coloro che hanno amato il Signore 70 71
OSTY (canonico), N.T; cit. C. Brütsch, o.c., p. 240. Per Sion: 2 Re 19:21; Isaia 29:12; 37:22; Geremia 14:17; Lamentazioni 2:13; per Israele Geremia 18:13; Amos
5:2. 72
Geremia 3:6; Osea 2:5. KIESLER Herbert, Études exégétique d’Apocalypse 14, in AA.VV., Études sur l’Apocalypse, Conference Biblique Division Eurafricaine, Institut Adventiste du Salève, 1988, p. 85. 74 Vedere C. Brütsch, o.c., p. 241. BARUCH V., Antropology and the Apocalypse, 1939. 75 DOUKHAN Jacques, Le cri du Ciel, Dammarie Les Lys 1996, p. 168. 73
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sinceramente e che hanno vissuto in buona fede dottrine di apostasia, credute verità perché insegnate nelle loro Chiese. Prima del ritorno di Gesù ai veri adoratori che vivranno ancora in Babilonia sarà stato rivolto l’appello di uscire da essa per non essere partecipi dei suoi peccati, cioè delle sue contaminazioni. Essi hanno risposto a questo invito e quindi sono considerati: “vergini”. Crediamo quindi che quando Gesù ritornerà i credenti che si sono preparati ad incontrare il Signore, pur provenendo da tutte le espressioni religiose, tradizioni e concezioni di fede, saranno caratterizzati dal credere nelle stesse verità, nelle stesse dottrine, negli stessi valori, nella stessa etica. L’annuncio del ritorno di Gesù ha comportato sulla terra la vittoria della verità sugli insegnamenti sbagliati. Tutto ciò che non corrisponde all’insegnamento dell’“Evangelo eterno” sarà abbandonato, lasciato in Babilonia. Ci sarà un’unica fede, un solo credere. La Chiesa sarà ecumenica, non nel senso che nel rispetto reciproco ognuno continuerà a credere agli errori che corrispondono alle proprie tradizioni e costumi, ma ecumenica nel senso che i credenti uniti in Cristo abbandoneranno tutto ciò che non è in armonia con la sua parola. I credenti avranno avuto la loro origine nelle diverse forme religiose, ma si presenteranno al Signore che viene con le stesse convinzioni, come un solo popolo forgiato nella propria vita e nella propria speranza dalla parola di Dio. Queste persone sono la “primizia” dei riscattati di tutti i secoli e a loro Giovanni applica espressioni che vengono altrove riferite al Messia. La loro santificazione sulla terra è stata tale che “nella loro bocca non è stata trovata menzogna, sono irreprensibili”, senza difetto, appaiono come un monumento insigne della grazia di Dio, sono primizie di Dio e dell’Agnello. Questa primizia si “è preparata” per la venuta dello Sposo, ha purificato il proprio cuore, ha permesso che lo Spirito Santo imbiancasse le sue vesti, e il Signore la fa quindi apparire in sua presenza “gloriosa, senza macchia né ruga, né nulla di simile, ma santa ed irreprensibile”.76
Il sigillo “In lui avendo creduto, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che è stato promesso il quale è pegno della vostra eredità. Non contristate lo Spirito Santo di Dio col quale siete stati sigillati per il giorno della redenzione”77. “Prima dunque che esploda tutta la ribellione umana degli ultimi tempi, nei confronti dell’Eterno, Dio segnerà i suoi servitori sulla fronte col sigillo indelebile della grazia che li confermerà nella possessione di tutti i loro privilegi, facendone dei testimoni inaccessibili alla paura, pienamente affermati, irremovibili nella fede,
76 77
Efesi 5:27. Efesi 1:13; 4:30. Quando la profezia diventa storia
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offrendo ai loro carnefici un viso simile a quello del diacono Stefano morente, viso splendente della dolcezza della gloria”.78 Questo sigillo consiste nell’aver scritto sulla fronte il nome dell’Agnello e il nome di suo Padre, come viene affermato nella presentazione dei 144.000 in Apocalisse XIV:1. “Il sigillo di Dio che riunisce (i 144.000) in un solo fascio deve indicare una istituzione divina avente un aspetto visibile ed esteriore e nello stesso tempo invisibile e spirituale”.79 Il sigillo deve manifestare la grazia che Dio offre nella sua legge di amore e la grazia che Cristo manifesta nella sua opera di salvezza. Il sigillo deve essere in rapporto col nome di Dio e con l’opera della redenzione. Questo sigillo, quale opera della grazia, trova la sua manifestazione esteriore nell’obbedienza spontanea e gioiosa dei comandamenti di Dio di cui il IV, nel tempo della fine, si pone in contrapposizione allo stile di vita sociale e religiosa proposta dalla seconda bestia di Apocalisse XIII che impone l’adorazione dell’immagine della bestia e vivere secondo quanto stabilisce il suo marchio. Alla signoria di Gesù Cristo si contrapporrà l’ideologia umana. È infatti nel comandamento del Sabato che troviamo il nome di Dio: “Ricordati di santificare il giorno di Sabato perché l’Eterno in sei giorni ha fatto il cielo, la terra ed il mare e tutto ciò che è in essi e il settimo giorno si riposò” e il nome dell’Agnello: “Perché il figlio dell’uomo è Signore del Sabato”.80 Questo comandamento, come abbiamo già detto, nello stesso tempo in cui ci ricorda l’origine della creazione, ci annuncia la Nuova Terra nella sua ricreazione. “Come il mondo del riposo sabbatico di Dio ha raggiunto il suo ultimo perfezionamento, così l’uomo deve, mettendosi a disposizione di Dio al Sabato, testimoniare che la sua esistenza è legata a lui”.81 “È con il giorno del Signore che l’uomo si ricorda della sua nobile origine e della sua gloriosa destinazione”.82 Perché il Sabato, come scrive F. Godet: “È il monumento di un paradiso perduto, la lettera di nobiltà di una famiglia decaduta, la caparra di un paradiso da riscoprire, la garanzia della nostra destinazione sublime al libero e glorioso stato di Figli di Dio”. Quando il mondo si assoggetterà alla bestia prendendone il marchio, adorando la sua immagine, allora coloro che saranno stati sigillati dallo Spirito Santo manifesteranno questo loro essere proprietà di Dio vivendo spontaneamente, mediante una convinzione della mente e una ferma decisione del cuore, la legge santa, giusta, buona del loro Padre e del loro Signore Gesù Cristo. La conclusione del sigillamento degli eletti corrisponde anche alla fine della conversione al Signore da parte dell’umanità, al compimento della predicazione dell’evangelo, infatti dopo che sarà stata finalmente predicato in tutto il mondo, 78 79 80 81 82
A. Reymond, o.c., t. I, p. 181; vedere Atti 7:55-56. VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse, Dammarie-Les-Lys 1938, p. 93. Esodo 20:8; Marco 2:28. SCHEDL Claus, Storia del Vecchio Testamento, t. I, Roma 1963, p. 22. VUILLEUMIER Jean, Le jour de repos à travers les âges, Dammarie-les-Lys, p. 41.
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I 144.000 DELL’APOCALISSE
“verrà la fine”.83 Si giungerà al tempo in cui l’umanità sarà divisa in due gruppi contrapposti con destini differenti, risultato delle decisioni prese: “Chi è ingiusto sia ingiusto ancora; chi è giusto pratichi ancora la giustizia e chi è santo si santifichi ancora”.84
Il canto dei 144.000 ““La salvezza appartiene all’Iddio nostro il quale siede sul trono, ed all’Agnello”. E tutti gli angeli stavano in piedi attorno al trono e agli anziani e alle quattro creature viventi; e si prostrarono sulle loro facce davanti al trono, e adorarono Iddio dicendo: “Amen! All’Iddio nostro la benedizione e la gloria e la sapienza e le azioni di grazie e l’onore e la potenza e la forza nei secoli dei secoli! Amen””. Questo cantico indica una esperienza particolare fatta da questi figli di Dio che sono passati dalla vita all’eternità. Non cantano il loro successo, ma esaltano la grazia di Dio. Gli esseri celesti che hanno partecipato al dramma della redenzione, nel vedere pienamente realizzato il piano della rigenerazione che riporta l’uomo caduto nel peccato a riflettere l’immagine di Dio, non possono che prostrarsi davanti al suo trono e dire: “Amen! All’Iddio nostro appartiene la benedizione e la gloria e la sapienza e le azioni di grazia e l’onore e la potenza e la forza nei secoli dei secoli. Amen”.
Conclusione Daniele, nel capitolo II, parla del ristabilimento del regno, con l’emblema della pietra che colpisce la statua; nel capitolo VII, dopo la descrizione del giudizio, presenta il ristabilimento del Re; nel capitolo VIII presenta il ristabilimento del Santuario, dopo 2300 anni; nei capitoli X-XII il ristabilimento del popolo per l’eternità. Nell’insieme risulta che il ristabilimento del regno dipende dal ristabilimento del Re. Il ristabilimento del Re dipende da quello del santuario. Il ristabilimento del santuario dipende dal ristabilimento dei figli di Dio perché essi dimorano nella realtà celeste tramite la fede. L’Apocalisse, nel tracciare la storia della Chiesa sino all’ultima generazione, presenta coloro che fanno l’esperienza del ristabilimento annunciato dal profeta Daniele. Questi particolari credenti sono chiamati 144.000, hanno il nome del Padre e dell’Agnello scritto sulle loro fronti. Sono “vergini” e sono la primizia di Dio e 83 84
Matteo 24:15. Apocalisse 22:11. Quando la profezia diventa storia
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dell’Agnello. Tramite loro, Dio raggiunge il completamento della sua opera di salvezza. Rivelano Gesù Cristo nella loro vita e la sapienza di Dio nella loro diversità.
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Capitolo XIX LA CHIAVE DELL’APOCALISSE “E se non fosse ch’ancor lo mi vieta la reverenza delle somme chiavi che tu tenesti nella vita lieta, io userei parole ancor più gravi; ché la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni e sollevando i pravi. Di voi pastor s’accorse il Vangelista, quando colei che siede sopra l’acque puttaneggiar coi regi a lui fu vista; quella che con le sette teste nacque, e dalle dieci corna ebbe argomento, fin che virtute al suo marito piacque. Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento: e che altro è da voi all’idolatre, se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco parte!”. “O navicella mia, com’ mal se’ carca!” Poi parve a me che la terra s’aprisse tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago che per lo carro su la coda fisse; e come vespa che ritragge l’ago, a sé traendo la coda maligna, trasse del fondo, e gissen vago vago. Quel che rimase, come da gramigna vivace terra, dalla piuma, offerta forse con intenzion sana e benigna, si ricoperse, e funne ricoperta e l’una e l’altra rota e ‘l temo, in tanto che più tiene un sospir la bocca aperta. Trasformato così ‘l dificio santo mise fuor teste per le parti sue, tre sovra ‘l temo e una in ciascun canto: le prime eran cornute come bue, ma le quattro un sol corno avean per fronte: simile mostro visto ancor non fue. Sicura, quasi rocca in alto monte, seder sovr’esso una puttana sciolta m’apparve con le ciglia intorno pronte; e come perché non li fosse tolta, vidi di costa a lei dritto un gigante; e baciavansi insieme alcuna volta” Dante.1
1
Alighieri Dante, La Divina Commedia - Inferno XIX:100-117; Purgatorio XXXII:129-153.
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“L’intera Apocalisse... fu libro fatale a Roma. Quel solo scritto apostolico fé’ più guerra ai papi che tutte le opere protestanti unite insieme” Gabriele Rossetti.2 “I protestanti hanno fraternizzato col papato, giungendo a compromessi e a concessioni che stupiscono gli stessi cattolici, i quali non riescono a capirli. Gli uomini chiudono gli occhi dinanzi al reale carattere del Romanesimo e ai pericoli che la sua supremazia determina. La gente deve essere risvegliata dal suo sonno per poter resistere alle sollecitazioni di questo nemico così pericoloso per la libertà civile e religiosa” Ellen White.3 “Questa evoluzione che caratterizza l’Europa, con le sue istanze etiche e con tutte le sue fragilità e indeterminatezze, interpella profondamente la Chiesa e ciascuno di noi. Apparentemente potrebbe sembrare che i cristiani non siano direttamente coinvolti in tutto questo processo. Invece è la Chiesa stessa a essere provocata e interrogata da questi avvenimenti. Su un piano propriamente pastorale ad essa spetta operare un discernimento spirituale, con il quale guidare e orientare le scelte ai vari livelli e da parte delle diverse persone... Come ha ricordato Giovanni Paolo II, l’imperativo che nasce è quello della costruzione di una nuova Europa: “Il momento è propizio per raccogliere le pietre dei muri abbattuti e costruire insieme la casa comune”. Un’Europa unita e intera - dall’Atlantico agli Urali, dal Mare del Nord al Mare Mediterraneo -, non più divisa in due tronconi o ridotta alla sola parte occidentale. E nello stesso tempo, un’Europa la cui unità è proiettata su un orizzonte planetario, nella piena consapevolezza che l’unificazione europea dev’essere una tappa fondamentale e ineludibile verso la meta finale da raggiungere che è l’unificazione e la pacificazione di tutto il mondo. - In ogni caso, come la storia ci insegna, l’identità culturale dell’Europa non può prescindere dal riferimento alle sue radici cristiane - tanto che l’identità europea risulta incomprensibile senza il cristianesimo che ne è l’anima. - La nuova situazione del nostro continente ci chiede, perciò, di fare ogni sforzo in questo senso, per assicurare un’unità che o sarà 2
3
ROSSETTI Gabriele, Sullo spirito antipapale che produsse la Riforma, London 1832, pp. 2-5. WHITE Ellen, Il gran conflitto, ed. AdV, Firenze 1977, p. 412; prima edizione in lingua americana 1888, p. 566.
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cristiana o non esisterà affatto” Card. Carlo Maria Martini S.I.4
Introduzione “Il capitolo XVII dell’Apocalisse eleva la mente ad altezze dalle quali abbraccia la storia intera dell’umanità”.5 “Questo capitolo... è come una chiave di tutta la profezia”.6 La difficoltà che trovano gli studiosi nell’interpretarlo ha due cause: la prima deriva dal fatto che non vogliono riconoscere ed accettare l’evidenza del suo insegnamento; la seconda per la realizzazione futura di alcuni particolari; ma, grazie ad una sana esegesi, anche questi particolari risultano chiari. I capitoli XVII, XVIII e la prima parte del XIX, che considereremo in questa sezione del nostro lavoro, si riallacciano intimamente con una parte della visione delle sette ultime piaghe, e hanno per oggetto il giudizio finale di Dio su “Babilonia la grande per darle il calice del vino del furore dell’ira sua”7, che inizia con la V piaga. Noi abbiamo qui in dettaglio ciò che era stato annunciato nel triplice messaggio di avvertimento di Apocalisse XIV e quanto viene descritto in forma generale nelle piaghe di Apocalisse XVI. In questo capitolo XVII noi abbiamo: versetti 1 e 16 il giudizio sulla donna; versetti 8 e 11 il giudizio sulla bestia; versetto 10 il giudizio sulle sette teste; versetto 14 il giudizio sulle corna. Questo giudizio è ciò che corrisponde, nell’insegnamento del Santuario, alle conseguenze del giorno dell’espiazione. Abbiamo in questo capitolo una grande parodia: - La donna, nello splendore della sua prostituzione, come parodia della Chiesa di Dio nello splendore del sole di giustizia. - Babilonia “la grande città che impera sui re della terra” come parodia della nuova Gerusalemme che si estenderà su tutta la terra. - La bestia nello sviluppo ultimo della sua potenza come parodia dell’Agnello glorificato. - La bestia ferita, che per un certo tempo “non era”, è ritornata a dominare come ottavo re; è la parodia del Cristo stesso colpito a morte e risuscitato.
I parte: la Prostituta e sua identificazione
4
MARTINI Carlo Maria S.I., Le responsabilità dei cristiani nell’Europa in costruzione, in La Civiltà Cattolica, quaderno 3375, vol. I, 1991, pp. 228,229,234. 5 CHAUFFARD Anatole Marie Emile, L’Apocalypse et son interprétation historique, t. II, 2a ed., Paris 1899, p. 262. 6 BOVET François de, L’Esprit de l’Apocalypse, Paris 1840, p. 431. 7 Apocalisse 15:19. Quando la profezia diventa storia
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“E uno dei sette angeli che avevano le sette coppe venne, e mi parlò dicendo: Vieni; io ti mostrerò il giudizio della gran meretrice, che siede su molte acque, e con la quale hanno fornicato i re della terra; e gli abitanti della terra sono stati inebriati del vino della sua fornicazione. Ed egli, nello Spirito, mi trasportò in un deserto; e io vidi una donna che sedeva sopra una bestia di colore scarlatto, piena di nomi di bestemmia e avente sette teste e dieci corna. E la donna era vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle; aveva in mano un calice d’oro pieno di abominazioni e delle immondizie della sua fornicazione, e sulla fronte aveva scritto un nome: Mistero, Babilonia la grande, la madre delle meretrici e delle abominazioni della terra. E vidi la donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. E quando l’ebbi veduta mi meravigliai di gran meraviglia. E l’angelo mi disse: “Perché ti meravigli? Io ti mostrerò il mistero della donna... Le acque che hai veduto e sulle quali siede la meretrice, sono popoli e moltitudini e nazioni e lingue... La donna che hai veduta è la città che impera sui re della terra””.8 Il centro di questo capitolo XVII dell’Apocalisse è la donna, mentre la bestia, come vedremo, sebbene ci aiuti a capire in quale momento della storia Giovanni considera la visione, gioca un ruolo di secondo piano. La visione è una profezia escatologica, cioè riguarda i tempi della fine: “Uno dei sette angeli che avevano le sette coppe venne, e mi parlò dicendo: Vieni! Io ti mostrerò il giudizio della gran meretrice”. Quindi, “bisogna trasportarsi non al tempo in cui S. Giovanni scriveva, ma a quello che ora è il soggetto della profezia”.9 Diceva il Bossuet: “L’angelo parlava a San Giovanni, non in rapporto al tempo in cui viveva (I secolo), ma in rapporto a un certo tempo in cui egli lo pone, lo situa, e per il quale riguarda ciò che gli dice”10, cioè un tempo futuro rispetto al suo, al momento in cui questa profezia si compie. “Questa ipotesi è tanto naturale, osserva il de Rougemont, che difficilmente si spiega lo scarso favore che incontra presso i commentatori. Rigettatela, e tutto il capitolo XVII diventa incomprensibile; ammettetela e tutto si rischiara meravigliosamente”. “L’epiteto di grande prostituta è dato qui per la prima volta a Babilonia, ma quanto è stato detto di lei nel capitolo XIV:8, ha preparato il lettore a vederla presentata in questo modo”.11 8
Apocalisse 17:1-6,15,18. CALMET Antoine Auguste, Les épîtres canoniques et l’Apocalypse, Paris 1716, p. 587. 10 BOSSUET Jacques Benigne, L’Apocalypse avec une explication, Paris 1689, p. 265. 11 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, vol. IV, L’Apocalypse, 3a ed., rivista e ampliata da SCHRŒDER Alfred, Lausanne, 1905, p. 421. Vedere Apocalisse 17:15. 9
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Questo capitolo XVII offre un quadro che contrasta con il capitolo XII, dove già si vede una donna simbolica (Chiesa) e una bestia (Impero). Questa volta non abbiamo però la Chiesa-madre, perseguitata dal dragone; abbiamo invece la Chiesa-prostituta, persecutrice, seduta sulla bestia addomesticata. C’è un parallelismo contrastante tra questi due capitoli
Apocalisse XII - la donna è vista in cielo - mette al mondo un figlio maschio
Apocalisse XVII - la donna è vista nel deserto - è madre delle meretrici abominazioni della terra
e
delle
Entrambe sono splendidamente vestite - rivestita dallo splendore del sole - ha la luna sotto i piedi
- vestita di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle - siede sopra una bestia di colore scarlatto
Entrambe svolgono un ruolo primario, fondamentale nella storia - rappresenta la purezza e la fedeltà - è odiata - è perseguitata - vive confidando in Dio
- ha un calice d’oro pieno delle abominazioni della sua fornicazione - è amata e riverita - perseguita: è ubriaca del sangue dei martiri - vive nell’incredulità e nell’errore
Entrambe vanno nel deserto - per trovare rifugio e conservare la propria fede.
- dove vive la propria solitudine e smarrimento, pur nella ricchezza e nel dominio sui popoli.
Per l’identificazione di questa donna si sono fatte diverse congetture.
Identificazione della prostituta 1. Babilonia ricostruita
Prendendo alla lettera il nome di Babilonia, si è creduto alla ricostruzione dell’antica città.12 12 “Questa donna rappresenta un sistema in relazione con una certa città; questa città è Babilonia, situata sulle rive dell’Eufrate, nel paese di Schinear... Il Paese di Schinear fu la culla della civiltà, ed è là che essa ritornerà. L’abisso si aprirà tutto d’un colpo per seppellirla” NEWTON Benjamen Wills, Pensées sur L’Apocalypse, Paris 1847, p. 275. Vedere il gesuita ROBERTI Giovanni Battista, Lezioni sacre sopra la fine del mondo, t. I, Rossano 1792, pp. 102-118. Questa è anche la posizione dei dispensazionalisti del mondo evangelico. Ad esempio J.F. Walvoord sostiene che l’antica Babilonia sarà ricostruita e diverrà la capitale del mondo durante la grande tribolazione. Scrive: “È più
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A questa interpretazione si oppone un elemento geografico che è estremamente chiaro: la donna è seduta sulla bestia dalle dieci corna, questa bestia nell’Apocalisse, come abbiamo detto nei nostri capitoli precedenti e vedremo più avanti, rappresenta “sempre l’Impero dei Latini” nelle sue varie trasformazioni e in questo capitolo “durante l’ultimo periodo della sua storia”.13 “La bestia è la stessa che sale dal mare (del capitolo XIII). Ma la storia ha camminato con la visione, e la visione ci conduce, insieme con San Giovanni, dai secoli del Medioevo a quello delle sette ultime piaghe”.14 È uno degli angeli che ha una coppa delle sette ultime piaghe che va dall’Apostolo. Inoltre ricordiamo: “Una donna, chi non vede in essa identificata una Chiesa? Quand’è che si è visto nelle profezie un Impero, in quanto Impero, rappresentato sotto l’immagine di una donna? Non è l’emblema con il quale lo Spirito Santo si serve dappertutto per rappresentare o la vera Chiesa, la sposa di Cristo, o la falsa Chiesa, che è diventata infedele al suo sposo? Una donna montata su una bestia, chiaramente, è una Chiesa innestata, e montata, su un Impero. È la Chiesa Romana innestata sull’Impero Romano”.15
2. L’antica Roma
“Era l’interpretazione di Tertulliano, Ireneo, Ippolito, Metodio, Vittorino, Commodio, Ilario, Lattanzio, Gerolamo, ecc. Ancora quella di Bossuet,16 del benedettino Calmet,17 l’arcivescovo di Tolosa, di F. Bovet18 e di una folla semplice ipotizzare una ricostruzione di Babilonia come realizzazione letterale delle profezie dell’Antico Testamento che inglobi anche questo capitolo” WALVOORD John F., The Revelation of Jesus Christ, Chicago 1966, pp. 262,263. 13 GAUSSEN Louis, Daniel le Prophète, t. III, Paris 1849, pp. 283,284. 14 ROUGEMONT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, Neuchâtel 1866, p. 315. 15 JURIEU Pierre, L’Accomplissement des Prophéties, t. I, 3a ed., Rotterdam 1689, p. 186. 16 “È una tradizione costante di tutti i secoli che la Babilonia di San Giovanni sia l’antica Roma. San Giovanni le dà due caratteri che permettono di riconoscerla. Prima di tutto questa città ha sette montagne; in secondo luogo, è la grande città che comanda a tutti i re della terra. Se essa è anche presentata sotto la figura di una prostituta si riconosce lo stile della Scrittura, che bolla l’idolatria come prostituzione. Si è detto di questa città superba, che è la madre delle impurità e delle abominazioni della terra, il culto dei falsi dèi che essa cercava di stabilire con tutta la potenza del suo impero ne è la causa. La porpora di cui essa pare rivestita è il segno dei suoi imperatori e dei suoi magistrati. L’oro e le pietre di cui essa è coperta fanno vedere le sue ricchezze immense. La parola mistero che porta scritta sulla sua fronte non ci indica nient’altro che i misteri empi del paganesimo di cui Roma si era resa protettrice, e la seduzione che viene al suo soccorso non è altra cosa che i prestigi e i falsi miracoli di cui i demoni si servivano per autorizzare l’idolatria” J.B. Bossuet, o.c., prefazione pp. 17,18. Ma lo stesso Bossuet che ha cercato così di controbilanciare le posizioni protestanti si trova a disagio nel limitare la profezia alla rovina dell’Impero Romano e, quindi, aggira nuovamente l’ostacolo ammettendo la possibilità di una realizzazione futura dicendo: “Chi non sa che la fecondità della Scrittura non è sempre esaurita da un solo senso...? Chi non vede dunque che è possibilissimo trovare un senso molto seguito e molto letterale dell’Apocalisse perfettamente compiuto nel sacco di Roma sotto Alarico senza pregiudicare qualche altro senso che si compirà alla fine dei secoli?” idem, pp. 41,42. 17 A. Calmet, o.c., p. 585. 18 “L’abuso che i protestanti hanno fatto di questo posto della rivelazione non ha impedito i più giudiziosi interpreti cattolici di applicarlo alla città di Roma. Vi sono stati condotti dall’evidenza del testo, dall’autorità della tradizione; e tale è stata, tale ha dovuto necessariamente essere l’opinione di tutti coloro che hanno cercato nell’Apocalisse un senso letterale e storico. Si può dunque ammettere come un fatto confessato, o ormai incontestabile, che il capitolo 17 riguarda e non può che riguardare Roma” F. Bovet, o.c., p. 112.
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innumerevole di molti altri”.19 Ancora oggi la maggior parte dei commentatori cattolici e dei critici moderni identificano questa donna con la Roma antica, pagana, contemporanea dell’Apostolo, e il giudizio su di lei con la distruzione di Roma a causa delle invasioni barbariche.20 Questa spiegazione è altamente contraddittoria perché quando Roma cadde nel V secolo, ad opera dei barbari, essa era cristiana. Il testo dice nel capitolo XVIII:2 che Babilonia cade perché “è diventata albergo di demoni e ricetto di ogni spirito immondo e abominevole”. Se la Roma antica fu vinta dai barbari quando era cristiana, si deve dedurre che gli spiriti immondi ed abominevoli fossero i suoi papi ed il suo clero. Naturalmente nessun esegeta cattolico è disposto ad ammettere questo, che è la conseguenza logica del discorso. Inoltre dovrebbero questi interpreti, che applicano il brano alla Roma antica del V secolo, ormai diventata cristiana, accettare l’invito: “Uscite da essa o popolo mio”, il che equivarrebbe a: “Uscite dalla Chiesa cattolica”.21 Il domenicano Bernard Lambert ha fatto notare: “Se l’intenzione di Giovanni era di parlare dell’antica Roma pagana, cosa ci sarebbe stato di sorprendente e misterioso, di difficile a comprendere, di una città idolatra, apertamente nemica del Dio vero, impegnata ad abolire il suo culto, a sterminare i suoi adoratori; essa sarebbe odiosa ai suoi occhi, e votata a una perdizione eterna”.22 Il gesuita M. Lacunza fa due osservazioni: non ha senso applicare la fornicazione dei re della terra alla Roma pagana e il castigo annunciato: “Babilonia, la gran città non sarà più ritrovata” non si è ancora verificato.23
3. Totalità degli empi
Agostino e altri hanno visto in questa Babilonia la totalità degli empi. “È l’universo intero, la società dei malvagi da Caino fino all’Anticristo”.24 “Babilonia indica semplicemente il potere del mondo ostile a Dio”.25 Questa spiegazione è troppo generica. La “donna” non rappresenta il peccato in genere, ma la Chiesa e, in questo capitolo, la Chiesa degenerata, infedele. 19 VAUCHER Alfred Félix, Les Prophéties Apocalyptiques et leur Interprétation, Collonges-sous-Salève 1972, pp. 48,49. 20 Vedere ad esempio il domenicano ALLO Ernest Bernard Marie, L’Apocalypse, 2a ed., Paris 1921, pp. 244,245; il critico REUSS Eduard, L’Apocalypse, Paris 1878, pp. 124,125. 21 Apocalisse 18:2,4. L’arguta critica è stata fatta dall’olandese VITRINGA Kempe, Anakrisis Apocalypseons, 2a ed., Amsterdam 1719, pp. 578,579. Vedere anche GUINNESS Henri-Grattan, Les prophéties des derniers temps, pp. 24,25; Anonimo, L’Eglise et L’Apocalypse, ou 19 siècles d’existence de l’Eglise catholique sur la terre prédite par l’Apocalypse de S. Jean, Paris 1860, p. 130. 22 LAMBERT Bernard, Exposition des prédications et des promesses faites à l’Eglise, t. II, Paris 1806, p. 329. 23 LACUNZA Manuel, Venida del Messia en gloria y majestad, t. I, 2a parte, articolo 3, paragrafo 14. Vedere Apocalisse 18:21. 24 DUPRAT, L’Apocalypse, t. III, p. 32; vedere CRAMPON Auguste-Joseph-Théodore, La Sainte Bible, t. VII, I’Apocalypse, Paris 1904, p. 488. 25 LILJE Hanns, L’Apocalypse le dernier livre de la Bible, Paris 1959, p. 203.
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4. Roma futura
Riconoscendo il carattere escatologico della visione, alcuni esegeti cattolici suppongono che si tratti di una apostasia del cristianesimo di Roma cattolica, che ritorna al paganesimo, meritando di conseguenza i castighi descritti nel capitolo XVIII. Prima di questo, il papa e la sua gerarchia diserteranno questa chiesa apostata.26 26
In questa posizione di vero c’è quanto scrive il protestante CALLEGARI Giuseppe: “È un’opinione generale, e giusta, che i capitoli 17 e 18 dell’Apocalisse parlino di Roma degli ultimi tempi” Studi sopra l’Apocalisse, Mantova 1882, p. 118. I commentatori cattolici, preoccupati di salvaguardare l’onore del papato, si sono divisi in due gruppi: a) Il giudizio di Dio cadrà su una Roma che ha rinnegato il cattolicesimo. Alcuni esempi: “Che Babilonia apocalittica sia una città, e che questa città sia Roma, non sicuramente Roma cristiana, ma Roma infedele e pagana, quale era al tempo di S. Giovanni, e quale diventerà al tempo dell’Anticristo” Cornelis CORNELISSEN Van DEN STEEN (ALAPIDE), Comm. in Scripturum Sacrem, ed. Crampon, XXI, Paris 1863, p. 306. “Roma, non sicuramente Roma cristiana, ma Roma infedele e pagana” LAMBILLY Philippe Auguste de, L’Eglise et les prophètes, t. II, Nantes 1868, p. 169. Vedere il gesuita Giuseppe ZOPPI, L’Apocalisse di S. Giovanni Apostolo, Lugano 1781, p. 220. Quest’opera è stata messa all’indice per decreto del 20.1.1783. Il sacerdote Giuseppe CIUFFA, L’Apocalisse interpretata, vol. II, Roma 1925, pp. 215,219. Louis LAFONT-SENTENAC, morto nel 1892, Le Plan de l’Apocalypse et la signification des prophéties qu’elle contient, Paris 1872, pp. 282-284, 292-303,359. Joseph MAÎTRE, La prophétie des papes, 1901, p. 422. b) Il gesuita M. Lacunza, cileno, che viveva in Italia e scriveva tra il 1782 e il 1790, amante della propria Chiesa e tuttavia preoccupato per il progresso dell’incredulità, dopo aver criticato l’applicazione alla Roma antica e a quella futura ridiventata pagana, scriveva: “Roma, non pagana, ma cristiana, non testa di un impero immaginario, ma testa del cristianesimo, può ben diventare, davanti a Dio, colpevole di fornicazione con tutti i re della terra; e la stessa Roma, così identificata, può incorrere nel giudizio terribile descritto in questa profezia. Per la realizzazione di quanto è detto non è necessario che diventi il centro, la corte dell’Impero Romano risuscitato; non è neppure necessario che nuovi imperatori scaccino la religione cristiana e che vi introducano di nuovo l’idolatria. Tutte queste idee strane, queste supposizioni inverosimili, non sono, in realtà, che vane consolazioni che non possono avere altre conseguenze che portare a Roma il colpo più spaventoso, se essa si affida alle sue menzogne. No, la verità - verità che farà sgorgare delle lacrime che non si fermano - ecco: la terribile profezia si compirà integralmente. E ciò sarà giustamente quando la nostra buona madre si confiderà quanto più le convenga in queste parole consolatrici, non volendo vedere che queste non siano inspirate che da un rispetto e un amore mal compreso dei suoi sudditi, sarà allora che la catastrofe cadrà su di lei” (traduzione del pastore) ANTOMARCHI Antonio, Ben-Ezra, (pseudonimo di M. Lacunza), La Bâtie-Rolland, Drôme 1934, p. 151. Il giansenista domenicano Bernard LAMBERT, animato da sentimenti diversi da quelli del Lacunza, arriva alle stesse conclusioni. Dopo aver rigettato l’applicazione che la profezia si riferirebbe alla Roma pagana, scriveva: “Ci sono motivi per credere che portando i suoi sguardi su un avvenire di cui è ancora separato da un intervallo di diversi secoli, il santo apostolo ci mostra una città cristiana, ma che sarà allora depravata, corrotta, caricata d’iniquità, facendo servire la religione al suo orgoglio, al suo dominio, alla sua avarizia, e che merita che Dio versi su di Lei la coppa della sua collera. È a lei che attribuisce il funesto carattere di essere, verso la fine del secondo mondo, la madre delle fornicazioni e delle abominazioni della terra. È da lei che principalmente usciranno un giorno gli abusi e i disordini che, negli ultimi secoli, devono inondare la popolazione cristiana, e consumare il mistero dell’iniquità, sostituendo allo spirito evangelico un orgoglio sfrenato, un violento desiderio di invadere tutto e tutto asservire.- Accecata allora dalla propria ambizione, questa donna misteriosa cambierà delle prerogative auguste, ma modeste, in pretese folli e turbolente, che causeranno dei mali infiniti alla religione e agli imperi. Sarà ai suoi propri occhi, a quelli di tutta la terra, una dominatrice assoluta, libera da ogni regola, superiore a ogni potenza, l’unica sorgente e la pienezza di ogni autorità. Si sforzerà di mettere sotto i suoi piedi ciò che c’è di più grande nel secolo, ciò che c’è di più eminente nella religione. Crede di avere solo il diritto di fare delle leggi, senza riceverne da nessuno. Usurperà, almeno con le sue opere, il titolo augusto e incomunicabile di santo e di verace (Apocalisse 3:7).- Per dare seguito a questa attesa, vorrà che tutti i suoi ordini siano eseguiti senza resistenza, che tutte le sue parole siano riverite, come infallibili oracoli... - Essa sarà portata, per decreto,
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Quando la profezia diventa storia
LA CHIAVE DELL’APOCALISSE
Questa supposizione è priva di qualsiasi fondamento. Come Roma cattolica può allontanarsi dall’evangelo più di quanto lo sia di già? Questa spiegazione è intenzionalmente nata dalla preoccupazione di scagionare Roma cattolica attuale e di togliere ai controversisti protestanti un’arma pericolosa.
5. Una parte della Chiesa di Roma
I giansenisti, che sono stati accusati dai cattolici di dare la mano ai protestanti, nel vedere nella donna la Chiesa romana, hanno risposto dicendo che questa donna non è la Chiesa cattolica, ma una parte di essa.27 Se così fosse si dovrebbero invitare i veri credenti a espellere dalla propria comunità la parte degenerata, ma il testo di Giovanni si esprime in maniera opposta: dice che in Babilonia Dio ha un popolo e lo invita ad uscire e non a purificare la Chiesa.
fino a proscrivere, e a colpire di anatema le parti più importanti del sacro deposito della fede. Essa prostituirà i suoi favori, fornirà delle armi a una folla di dottori di menzogna, che hanno congiurato la rovina. Abusando dell’ascendente che le danno le prerogative, farà bere nella coppa dei suoi abusi, dei suoi errori, dei suoi attentati contro la giustizia e la verità, i re, i pontefici, i sacerdoti, i leviti, i fedeli di ogni specie e di ogni rango. Erigerà in leggi le più evidenti e le più colpevoli simonie, e il più vergognoso traffico di cose sante. Darà a tutti l’esempio del fasto e della dominazione. Addormenterà i peccatori con le sue dispense arbitrarie, e mediante una scandalosa dissipazione del tesoro della Chiesa. Diffamerà mediante le più inique censure i giusti che avranno rifiutato di incensare la sua dominazione, o di adottare i suoi traviamenti. Farà una guerra aperta alle più straordinarie meraviglie, che anche per poco contrastino il suo orgoglio o i suoi funesti impegni.- Tutti questi eccessi, e molti altri che noi passiamo sotto silenzio, formeranno le caratteristiche della donna simbolica che S. Giovanni non vede che con un profondo stupore, e che, verso la fine dei secoli, dovrà giocare un così grande ruolo nell’universo, causarvi tanti mali, farvi tante prevaricazioni e vittime, mettere sulla gentilità complice di questi crimini e di queste prevaricazioni, i flagelli spaventevoli così spesso annunciati nella Scrittura...- Possiamo amare sinceramente Gesù Cristo e la sua Chiesa, e non detestare i perniciosi errori, la profana politica, la superba dominazione, l’insaziabile avarizia, le colpevoli imprese di cui la corte di Roma ha, nel corso dei secoli, dato l’esempio all’universo? E se dopo una così lunga esperienza non c’è più posto di sperare che da sola e mediante un sincero pentimento ritorni sui suoi traviamenti, non è una parte considerevole della pietà cristiana e cattolica ad applaudire in anticipo i severi giudizi che il Signore deve un giorno fare esplodere su lei?” o.c., pp. 329-333. 27 Si legge in un libro che è stato considerato come opera dell’abate RAYMOND Jean-Baptiste di Pavia di Beccaria di Fourquevaux, ma che questi attribuisce a CHAPEROU Pierre Simon de Saint-André de Fernanville (morto nel 1757): “Non soltanto io rigetto con orrore questa empietà, che la Babilonia di San Giovanni sia la Chiesa Romana, ma io sono ugualmente lontano dal dire che è la Chiesa di Roma in particolare. Io rispetto questa Chiesa come essendo la prima in tutto a causa della sede di San Pietro e che il primato le appartiene di diritto divino. Ma ho imparato a distinguere da questa Chiesa e dalla santa Sede la Corte di Roma e il suo spirito: poiché sono delle cose ben diverse e pure opposte. Io non temo affatto di avanzare che è la corte di Roma, il suo orgoglio, le sue false pretese, le sue massime, la sua condotta, e in una parola tutto ciò che essa racchiude di corrotto, tutto ciò che essa ha di questo spirito così chiaramente opposto a quello della sua Chiesa e della Sede di San Pietro, che forma la Babilonia di San Giovanni... Sono molti di quegli stessi uomini, è vero, che d’una parte fanno grande una parte della Chiesa di Roma, e che dall’altra compongono una Babilonia abominevole agli occhi di Dio: spesso sono gli stessi che sono rivestiti della più grande autorità che abusano di questa stessa autorità. Ecco perché San Giovanni è colpito da stupore nel vedere questa città, questa prostituta composta di tali uomini. Idea della Babilonia spirituale predetta dalle sacre Scritture, in cui si fa vedere contro i protestanti e i costituzionari che questa Babilonia non può essere la Chiesa cattolica e che nondimeno essa si deve formare nel mezzo di questa Chiesa” Utrecht 1723, pp. 196-197; cit. da VAUCHER AlfredFélix, Babylone, in Signes des Temps, 1938, p. 10. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XIX
6. Roma papale
“Roma chiamata la Babilonia dell’Apocalisse da diversi suoi figli” è il titolo di una nota suggestiva contenuta nell’opera di É. Guers28 in cui la storia della Chiesa è studiata dal punto di vista profetico. Possiamo così elencare questi figli: Gunthar, arcivescovo di Cologne dall’850 all’864, e Theutgaud, arcivescovo di Trèves dall’847 all’868; Honoré d’Autun, verso il 1120; Bernard de Morlaix, nel XII secolo; Gerhoh von Reichersberg (verso 1093-1169), Giovanni di Parma (verso 1208-1289); il francescano provenzale Pierre de Jean Olieu (Olivi), nel 1297; Ubertino di Casale, verso il 1305; Michele di Cesena (verso 1270-1342); Jean de Roquetaillade, verso 1342; il cardinale Vital du Four, nel 1600; Dante Alighieri (1265-1321), Francesco Petrarca (1304-1374), il sacerdote ceco Matthias Janow (verso 1350-1393); Konrad von Megenberg, verso il 1337; Nicolas Oresme, nel 1364; Heinrich von Hessen (verso 1325-1397), Nicolas de Clémanges, verso il 1414, il francescano Johann Hilten (verso 1425-1500), il domenicano Gerolamo Savonarola (1452-1498); Pietro Bonaventura, nel 1516; Johannes Staphilaeus, vescovo di Sebenico in Dalmazia dal 1512 al 1528; Berthold Birstinger, vescovo di Chiemsee dal 1508 al 1525; il francescano Pietro Colonna (verso 1460-1540); Francisco Melchor Cano (15091560); il monaco agostiniano Manuel Santos de San Juan Berrocosa, nel 1758; il gesuita Manuel de Lacunza (1731-1801), il domenicano Bernard Lambert (17381813), Pierre Jean Agier (1748-1843).29 A conclusione di questo elenco ricordiamo che nella Bibbia luterana di Hans Lufft, pubblicata a Wittemberg nel 1534, la cortigiana ha il capo coperto da una tiara. La caduta della grande prostituta è stata rappresentata da L. Signorelli, nel XV secolo, nei suoi affreschi della cattedrale di Orvieto e nell’Apocalisse figurata da Jean Duvet nel 1561. Se pochi possono sembrare gli scrittori cattolici, per contro sono numerosissimi i protestanti che hanno ravvisato in questa donna la Roma papale.30 Sebbene questa 28
GUERS Émile, Histoire de l’Eglise de Jésus Christ, Genève 1832, p. 648. VAUCHER Alfred Félix, L’homme son origine sa destinée, ed. S.d.T., Dammarie les Lys 1974, pp. 62,63. 30 Riassumiamo qui le ricche pagine del Maestro A.F. Vaucher, Les prophéties apocal. ..., 1a e 2a ed., 1960, 1972, pp. 50-57. Numerose minoranze religiose, nel corso dei secoli, hanno giustificato la loro separazione dalla grande Chiesa denunciando in questa la prostituta apocalittica: 29
I Donatisti - Da un trattato anonimo, Contra Fulgentium, composto in Africa tra il 412 e il 420 da un membro del clero che circondava Agostino, la Chiesa cattolica era stata designata come essendo la prostituta in un Libellus de baptismo, del quale si conosce solamente il nome dell’autore, Fulgenzio, unito ai donatisti. “Questo sacramento (il battesimo) non può essere amministrato dagli scismatici o dagli eretici; ed il preteso battesimo dei sedicenti cattolici non è che una caricatura... C’è una sola sorgente di vita, che appartiene alla vera Chiesa, cioè alla Chiesa di Donato, e che è proibita a tutti i profani, a tutti i non donatisti. Alla sola idea che i cattolici osino avvicinarsi a questa sorgente Fulgenzio va in furore: “Se dunque, esclama, la vera Chiesa dei traditori non è che una caverna, si vanta delle sue molteplici acque, si inebria del suo battesimo, poi fornica con i re, seguendo le parole di Giovanni “Vieni, io ti mostrerò la condanna della grande cortigiana che siede su molte acque; e tutti gli abitanti della terra sono stati inebriati dal vino della sua fornicazione”, Apocalisse 17:1,2. Io chiedo, quali sono queste molte acque, se non la pluralità dei battesimi? quale è questa cortigiana, se non la caverna dei traditori, che si assoggetta ai piaceri dei re, che beve alla coppa delle persecuzioni, e che, accecata dall’ubriachezza, si mischia ai popoli per trascinare nella follia coloro che essa abbevera?” MONCEAUX Paul, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne depuis les origines jusqu’à l’invasion Arabe, t. II, Paris 1922, p. 227.
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LA CHIAVE DELL’APOCALISSE
I Catari - Un domenicano che scriveva verso il 1240 dichiarava che i catari identificavano la Chiesa romana con la Babilonia mistica (MONETA, Adversus Catharos et Valdenses, Roma 1743, pp. 397-399). Vedere il domenicano Nicolas ENYMERIC, che scriveva ad Avignone nel 1376, Directorium Inquisitorum, Venezia 1607, p. 274. Lo storico NEANDER Wilhelm, General History of the Christian Religion and Church, t. IV, 11a ed., New York 1871, p. 641, attribuisce questa professione di fede al pastore albigese Arnold HOT: “La Chiesa di Roma non è la sposa del Cristo, la santa Chiesa, ma la Babilonia di Apocalisse, ubriaca del sangue dei santi e dei martiri”. Gli Amalriciani - Amaury de Bène, morto verso il 1207, insegnava ai suoi discepoli che la grande prostituta doveva essere cercata a Roma. “Secondo Césaire d’Heisterbech (circa 1180-1240), l’orefice Guillauíne aveva annunciato a Maître Rodolphe di Nemours degli eventi meravigliosi: “Perciò profetizzò che cinque anni dopo sarebbero dovute venire quattro piaghe... nella quarta discenderà fuoco sopra i prelati della Chiesa che sono membra dell’Anticristo, diceva infatti che il papa era l’Anticristo e Roma Babilonia”” DELACROIX Henri, Le Mysticisme spéculatif en Allemagne, Paris 1900, p. 45, nota 2. CAPELLE Catherine, Amaury de Bède, Paris 1932, p. 102. Gli Arnaldisti - In un discorso pubblico tenuto a Carcassonne nel 1207, ARNALDO da Brescia sosteneva questa proposizione: “Roma papale è la Babilonia dell’Apocalisse” ELLIOTT Edward-Bishop, Horae Apocalypticae, t. II, 5a ed., London 1862, p. 371; t. IV, p. 430. I Valdesi - In un’opera polemica, Rainerio Sacconi, domenicano italiano, morto verso il 1262, dichiarava a proposito dei Valdesi: “Essi dicono che la Chiesa romana è la prostituta” SACCONI Rainerio, Contra Valdenses, c. VI, in Bibl. Max. Vet. Patr., XXV, Paris 1677, p. 272. Gli Ortliebiti - Ortlieb insegnava a Strasburgo nel 1212. I suoi discepoli si sono interessati alle teorie apocalittiche dei gioachiniti. Anche per loro Roma papale si confondeva con la prostituta. La grande chiesa è la cortigiana dell’Apocalisse. “Perciò dicono che il Papa fosse il capo di ogni male e quella grande meretrice sulla quale si legge in Apocalisse” H. Delacroix, o.c., pp. 68,69. I Guglielmiti - Membri di un ordine religioso fondato nel XII secolo, hanno denunciato Roma papale come la grande prostituta (AEGERTER Emmanuel, Les Hérésies du Moyen Âge, Paris 1939, p. 103). I Begarditi - Stessa applicazione delle profezie presso le comunità di Beghards stabilite principalmente nei Paesi Bassi e che subirono contemporaneamente l’influenza dell’abate Gioacchino da Fiore e quella di Ortlieb. Vedere EYMERIC Nicolas, Directorium Inquisitorum, scritto ad Avignone nel 1376, pp. 283,285. La lista che precede potrebbe essere allungata. Si può menzionare il francescano Gherardo SEGALELLI, morto verso il 1300 (vedere DOWNHAM Geroge, Papa Anticristus, 1620, p. 139); fra DOLCINO, capo degli apostolici, morto nel 1307 (vedere Alessandro ASPESI, L’angelo di Tiatiri. Studio sul movimento dolciniano, Torino 1932, p. 69); Joannes ROBITZANA, arcivescovo di Praga (1435) diceva: “Io dichiaro apertamente che la Chiesa romana è 1a Babilonia occidentale; dove regna il peccato contro lo Spirito Santo” cit. WOLF, Lect. Memor., vol. I, 1600, p. 822. Nel XIII secolo Salve BURCE, (vedere Antonino De STEFANO, Le eresie popolari del Medio Evo, in Questioni di storia medioevale, ed. E. Rota, Milano, s.d., p. 767). Il gioachimita ceco Jan MILICZ, morto nel 1374 (vedere Downame, o.c., p. 141). Un apologeta del cattolicesimo, il teologo spagnolo PELAYO Alvaro, faceva questa confessione, verso il 1320: “In presenza della simonia che dalla curia papale si è sparsa in tutta la Chiesa e di conseguenza nella corruzione di tutta l’istituzione religiosa, è naturale che gli eretici indichino la Chiesa come la prostituta” De statu et planctu Ecclesiae, t. II, c. 7. Vedere DOELLINGER Ignazio von, La Papauté, Paris 1904, pp. 97,329,330. Nel seno stesso della Chiesa delle voci si sono alzate ed hanno fatto eco a quelle degli eretici. Come abbiamo riportato nel testo: “Roma è chiamata la Babilonia dell’Apocalisse da diversi dei suoi figli” tale è il titolo di una nota suggestiva di un’opera in cui la storia della Chiesa è studiata dal punto di vista profetico, Guers É., o.c., p. 648. Nel IX secolo, Gunthar, arcivescovo di Colonia dall’850 al 864 e Theutgaud, arcivescovo di Trèves dall’847 all’868, constatavano che Roma, per le sue pretese all’infallibilità, usurpa i diritti della divinità e merita di essere chiamata Babilonia. Riportato da un analista bavarese, Johann THURMAIER - AVENTINUS (1466-1534), Annales Boiorum, Ingolst. 1554, p. 428. Parlando del papato nel IX secolo, il cardinale Baronius scrisse nei suoi annali: “Mai le divisioni, le guerre civili, le persecuzioni dei pagani, degli eretici e degli scismatici hanno causato alla santa sede tante sofferenze quanto i mostri che si sono istallati sul trono di Cristo per mezzo della simonia e l’omicidio. La Chiesa romana fu trasformata in una cortigiana svergognata, coperta di seta e di pietre preziose, che si prostituiva pubblicamente per loro; il palazzo del Laterano era diventato una taverna impura dove gli ecclesiastici di tutte le nazioni disputavano a delle prostitute il prezzo dell’infamia. Mai prima dei preti e dei papi commisero tanti adulteri, rapimenti, incesti, scroccherie e omicidi; e mai l’ignoranza del clero è stata così grande come durante questo deplorevole periodo... In questo secolo si vide Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XIX
l’abominazione della desolazione nel tempio del Signore; e nella cattedra di S. Pietro, riverita dagli angeli, si vide sedersi gli uomini più empi, non pontefici, ma dei mostri” VUILLEUMIER Jean, Les prophéties de Daniel, Genéve 1906, p. 338. Verso il 1120 HONORÉ d’Autun designava Roma con il nome di Babilonia. Inevitabile sive de praedestinatione et de libero arbitrio dialogus, pubblicato da CASSANDER Georges (1513-1566), Col. 1552, e riportato nelle sue Opere, Paris 1616, pp. 623-639. Gerhoh von REICHERSBERG (1093-1169), in un opuscolo composto verso il 1161, De investigatione Antichristi, pubblicato da Pertz, Monumenta germaniae historica. Libelli, III, Hannover 1897, pp. 304-395, identifica 1a Babilonia apocalittica con Roma cristiana. Bernard de MORLAIX, monaco di Cluny, che viveva, lui pure, nel XII secolo, ha tenuto lo stesso linguaggio nel suo De Contemptu mundi, París 1843. “I secoli d’oro sono passati, le anime pure non sono più; noi viviamo negli ultimi tempi; la frode, l’impurità, le rapine, gli scismi, le querele, le guerre, i tradimenti, gli incesti e gli omicidi desolano la Chiesa. Roma è la città impura del cacciatore Nimrod; la pietà e la religione hanno disertato le sue mura; ahimè! il pontefice o piuttosto il re di questa odiosa Babilonia calpesta l’Evangelo e il Cristo e si fa adorare come Dio” cit. da CHAVARD Fortuné, Le celibat, le prêtre et la femme, 6a ed. di Le celibat des prêtres et ses conséquences, Genève 1874, p. 328. Vedere anche J.H. HEIDEGGER, Histoire du Papisme, vol. I, Amsterdam 1685, pp. 132,133. Jules CLARAZ, Le mariage des prêtres, Paris 1911, p. 422. Giovanni BURALLI da Parma (1208-1289), generale dei francescani dal 1247, dimissionario nel 1257, gioachimita, si è espresso nello stesso senso. Vedere Umberto COSMO, Giornale Dantesco, vol. VI, p. 110. “Consigliò ai rappresentanti del partito rigorista che non potevano osservare l’Evangelo nel seno di Babilonia di emigrare in Asia” SCHNUERER Gustav, L’Eglise et la Civilisation au Moyen Age, t. III, Paris 1938, p. 33. Il francescano provenzale Pierre de Jean OLIEU (OLIVI), autore di un Commentario sulla Apocalisse, inedito, terminato un anno prima della sua morte nel 1297, attendeva la condanna della Chiesa carnale, che perseguitava i francescani spirituali. Sessanta articoli estratti dal suo libro furono censurati dai dottori di Roma, nel 1318, tra gli altri, gli art. 3 e 54 dove la Chiesa romana era identificata con la grande prostituta, e gli artt. 7 e 46, dove la Chiesa carnale e mondana era designata con il nome di Babilonia. Vedere BALUZE Étienne (1630-1718), Miscellanea Sacra, t. II, Lucca 1761, p. 269, sulla proposizione n. 54. UBERTINO da Casale, nella sua opera Arbor Vitae Crucifixae, composta nel 1305 e pubblicata a Venezia nel 1485, annunciava “1a disfatta della prostituta di Babilonia, cioè della Chiesa carnale piena di ricchezza e di godimenti” CALLAEY Jean-Baptiste Auguste (in religione Frédégand), L’idéalisme franciscain spirituel au XIV siècle. Étude sur Ubertin de Casale, Louvain 1911, p. 67. Si può dire la stessa cosa del francescano MICHELE da Cesena (1270-1342); vedere PACARD George, Description de l’Antichrist, Niort 1604, p. 175. Jean de ROQUETAILLADE (RUPESCISSA), chiamato a comparire ad Avignone davanti al papa Clemente VI, non si preoccupò di dire che la Chiesa romana era la prostituta babilonese. Vedere HERVORDIA Henricas de, Liber de rebus memorabilioribus, sive Chronicon, ann. 1342, ed. August Potthast, Goett 1859, p. 266. In un’opera latina, Commentario sull’Apocalisse, di autore ignoto, pubblicato a Venezia nel 1600 sotto il nome di Vital du FOUR, cardinale dal 1312, morto nel 1327, poi sotto quello di Alexandre de HALES, Paris 1647, infine inserito a torto nelle opere di S. BONAVENTURA, Trento 1773, che sostituì Giovanni Burelli nella guida dei francescani, Roma cattolica è designata come la Babilonia di Giovanni a causa della sua vanità, della sua mondanità e della sua simonia. DOELLINGER Ignace von riporta le parole di Vital du Four, che attribuisce a Bonaventura, che, a sua volta, aveva deplorato la corruzione della chiesa e il clero: “Un uomo pure come S. Bonaventura, che il papa aveva colmato di onori, e che, come generale del suo ordine e come cardinale, si trovava agganciato a Roma con i legami più stretti, non si è fatto alcuno scrupolo nel suo commentario sulla rivelazione di Giovanni, di dichiarare che Roma era la prostituta che inebriava i re e i popoli del vino della sua fornicazione, poiché, a Roma, dice, si riuniscono i principi e i dignitari della Chiesa che disprezza Dio, abbandonandosi alla deboscia, attaccandosi a Satana e predando i tesori di Cristo. Egli mostra in seguito come i prelati... contaminando con i loro crimini il clero e come questo, a sua volta, imitando l’esempio dell’alto a causa del suo orgoglio e della sua pigrizia avvelenata, renda miserabile l’intero popolo cristiano” Il Papato dalle origini fino al 1870, Mendrisio 1914; ed. francese, Paris 1904, p. 329, nota 327. Dante (Durante) ALIGHIERI nella sua Commedia riprende il linguaggio di Giovanni per descrivere la Chiesa di Roma. Vedere riferimento alla nota n. 1 di questo nostro capitolo. MASSERON Alexandre in nota all’Inferno, XIX, 106108, Paris 1947, p. 166, commenta: “La visione dell’evangelista S. Giovanni, nell’Apocalisse 17:1-8, generalmente interpretata come rappresentante la Roma imperiale, è applicata qui alla Roma dei papi”. Dello stesso autore, Pour comprendre la Divine Commédie, Paris 1939, p. 206: “Dante applica qui alla Roma cristiana, per condannare i suoi malvagi pastori, una immagine presa in prestito dall’Apocalisse e che i commentatori applicano alla Roma dei Cesari, alla Roma pagana. È la Chiesa ormai ad essere la grande prostituta che si contamina con i re”. Per il Purgatorio,
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LA CHIAVE DELL’APOCALISSE
XXXII, 149,150: “... Una puttana sciolta M’apparve, con le ciglia intorno pronte”, viene tradotto da Masseron, vol. II, Paris 1948, p. 293: “... Una puttana seminuda, che gioca con gli occhi attorno ad essa”. Francesco PETRARCA (1304-1374) ha fustigato l’empia e avara Babilonia dalla quale è assente ogni senso di vergogna, dove il bene è straniero, scuola di errori, tempio di eresie, Roma una volta, ora Babilonia falsa e cattiva, inferno dei viventi. I1 Canzoniere, sonetti XCI, CVI, CVII; in Le Rime Firenze 1896, pp. 160,211. Vedere anche Epistole sine titulo, XVI. Vedere ROSSETTI Gabriele, La Divina Commedia, t. II, London 1827, p. 130. Il prete ceco Matthias JANOW (verso 1350-1393) ha presentato la Babilonia romana nelle sue Regulae veteris et novi Testamenti, Insbruck 1908-1913, soprattutto nel libro III, tr. 6: Tractatus de abominatione desolationis. Vedere KYBAL Vlastimil, Étude sur les origines du mouvement hussite en Bohème. Matthias de Ianov, in Revue Historique, n. 103, I trimestre, Paris 1910, p. 22. Roma papale è stata identificata con Babilonia da Kornad von MEGENBERG nel suo trattato, Planctus Ecclesiae, pubblicato verso il 1337. Nicolas ORESME, morto nel 1382, nel suo sermone pronunciato nel 1364 alla presenza di papa Urbano V e dei cardinali, riconosceva la Chiesa del suo tempo nella prostituta. Vedere FLACICH (FLACIUS ILLIRYCUS) Matthias, Catalogus testium veritatis, Frankfort 1573, fol. CCCXXVIII-CCCXXXII, ed. Lyon 1597, vol. II, p. 778-787. Wolf, o.c., t. I, p. 648-653. Heinrich HEINBUCHE von LANGENSTEIN, o von HESSEN (1325-1397), ha scritto, Invectiva contra monstrum Babylonis, nel 1393. Vedere PASTOR Luigi, Histoire des Papes, vol. I, 6a ed., p. 170, n. 2; p. 172, n. 1; p. 187, n. 3. In un’opera composta nel 1414 e 1415 Nicolas POILLEVILLAIN de CLÉMANGES (De Corr. Ecclesia Statu, Paris 1671, pp. 51,52), rettore dell’università della Sorbona di Parigi, applicava alla Chiesa cattolica il capitolo 17 e 18 dell’Apocalisse. Esortava: “Risvegliati tu dunque infine dal tuo lungo sonno, infelice sorella della sinagoga... sonda gli scritti dei profeti;... essi hanno parlato di te... Ma, supposto che le loro profezie si applichino ad altri, che penserai tu della tua propria profezia, dell’Apocalisse di S. Giovanni?... Ricorda e leggi la condanna della grande prostituta... e là contempla le tue azioni e i tuoi destini che verranno” cit. da È. Guers, o.c., p. 648. Il francescano Johann HILTEN (1425-1500), di Fulda, dichiarava, a proposito dell’Apocalisse 17: “Questa prostituta è Roma” Opera Omnia, Biblioteca del Vaticano, Col. Palat. Lat. 1849, fol. 287. Che si tratti della Roma attuale è stato dimostrato da Leonid ARBUSOW, Die Einfuehrung der Reformation in Liv - Est - und Kurland, Leipzig 1921, p. 162. Il domenicano Gerolamo SAVONAROLA (1452-1498) gridava in uno dei suoi sermoni: “Fuggi, o Sion, che dimori presso la figlia di Babilonia; fuggi lontano da Roma, poiché Babilonia significa confusione, e Roma ha messo la confusione in tutta la Scrittura, essa ha confuso tutti i vizi, essa ha tutto confuso. Fuggite dunque da Roma ed emendatevi” COMBA Emilio, I nostri Protestanti, vol. I, Firenze 1895, p. 476. “Pietro BONAVENTURA sorse a Roma nel mese di maggio 1516... Questo predicatore compose uno scritto al Doge di Venezia. In questo scritto rappresentava la Chiesa romana sotto i tratti della donna dell’Apocalisse” MAÎTRE Joseph, La prophétie des papes attribuée à S. Malachie, Beaune 1901, p. 15 nota. A seguito della presa di Roma da parte delle armate imperiali, Johannes STAPHILAEUS pronunciò un sermone per mostrare che la Babilonia cattolica aveva attirato su di sé i giudizi divini. “Sotto Clemente VII nel XVI secolo, Jean STAPHILÉE, vescovo in Dalmazia (1512-1528), osò dire a Roma stessa, e in un discorso indirizzato agli uditori della Rota, che Roma era, alla lettera, senza figura, la Babilonia predetta nell’Apocalisse” É. Guers, o.c., p. 468. Nel 1524 appariva a Landshut uno scritto anonimo, Onus Ecclesiae, attribuito a Berthold PIRSTINGER, vescovo di Chiemsee dal 1508 a1 1525. Presentava un quadro dei costumi della Chiesa nel quale si esponevano le piaghe della Babilonia romana. Vedere Hans PREUSS, Die Vorstellungen vom Antichrist im spaeteren Mittelalter, Leipz 1906, pp. 47-49. Nello stesso anno 1524 il francescano italiano Pietro COLONNA, detto GALATINUS (1460-1540), componeva il suo Commentario in Apocalisse inedito (Biblioteca Vaticana, cod. lat. 5567, f. 204,296-505), dedicato all’imperatore Carlo V, dove stigmatizzava la Chiesa carnale col nome di Babilonia. La stessa identificazione è fatta da Francisco Melchor CONO (1509-1560). Per lui “Conosce male Roma chi pretende di guarirla”, poi cita Geremia 51:9: “Noi abbiamo voluto guarire Babilonia, ma essa non è guarita” Parecer (1555, 1736), p. 6. Vedere MENENDEZ Y PELAYO, His. de los Heter. Esp., V., 1947, p. 43. Henry-Charles LEA (1825-1909), Chapters from the religion History of Spain, Philadelphia 1890, pp. 134-137, ha consacrato un lungo paragrafo al monaco agostiniano Manuel SANTOS de San Juan (BERROCOSA), condannato dall’Inquisizione di Toledo, nel 1758 e nel 1711 per aver detto che Roma era diventata una Babilonia, un ricetto di demoni e di vizi. Vedere Juan Antonio LLORENTE (1756-1823), Histoire critique de l’Inquisition d’Espagne, vol. II, Paris 1817, p. 429. Concludiamo, scrive il maestro A.F. Vaucher, questo excursus ricordando un fatto: “Luigi XII ebbe delle gravi contese con Giulio II (1503-1513); irritato dalle pretese orgogliose di questo pontefice, fece coniare una medaglia sulla quale si leggono queste parole significative: “Nomen Babylonis perdam”, facendo così intendere che vedeva Quando la profezia diventa storia
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interpretazione sia quella classica e sia stata sostenuta in tutti i secoli, la crediamo un po’ esclusivista. 7. La cristianità infedele degli ultimi tempi o la nuova cattolicità del cattolicesimo
Crediamo che sia meglio identificare questa donna con la cristianità infedele degli ultimi tempi, descritta nell’abito della Chiesa romana, essendo questa la madre della cristianità apostata nella quale le Chiese trovano la loro origine e il loro fine. Enrico Bosio scriveva: “Roma non come la capitale politica dell’impero, ma come la capitale della cristianità decaduta e corrotta”. Scrivendo questo nel 1924, doveva aggiungere: “Può darsi che un avvenire forse non lontano mostri al mondo, ancora più chiaramente del passato, la Roma centro della cristianità apostata unita strettamente alla bestia di colore scarlatto che rappresenta il potere politico anticristiano”.31 Questo è il modo di vedere di diversi commentatori protestanti. Pierre Jurieu nel 1686 scriveva: “Bisogna ben sapere che in tutte le parti del cristianesimo dove si trova questo carattere, l’orgoglio e la tirannia d’Egitto, le abominazioni di Sodoma e le idolatrie di Babilonia, là si trova l’impero anticristiano in tutto o in parte. E bisogna per ciò concludere, che questo impero non è racchiuso in ciò che noi chiamiamo Papismo, i paesi soggetti al papa, la Chiesa latina. Nella Chiesa greca c’è l’idolatria, c’è Babilonia; poiché vi si invocano i santi, vi si adorano le immagini e le reliquie... C’è Sodoma per la corruzione dei cristiani... c’è l’Egitto perché c’è nella Chiesa la tirannia e l’orgoglio. I patriarchi e i prelati d’Oriente nel loro tempo e nella loro prosperità, hanno fatto i padroni e i tiranni, sebbene a questo proposito non siano saliti in alto quanto il vescovo di Roma. La Chiesa greca non si è separata dalla Chiesa latina che nel X secolo: nel tempo in cui la Chiesa latina era di già diventata Sodoma... Egitto per la tirannia e Babilonia per gli idoli. Queste due chiese non fanno che uno stesso corpo e una stessa Babel. E non bisogna immaginare che la Chiesa greca con la separazione sia diventata una Gerusalemme, poiché essa ha conservato la corruzione di Babel”.32 P. Claudel negli anni Quaranta scriveva: “Non è il paganesimo, è il cristianesimo moderno, è questa cristianità degenerata sulla fronte della quale le nazioni cercano la croce e non trovano altro che la parola: “Mistero””.33
nella Roma dei papi la Babilonia di Apocalisse” PUAUX François, Histoire de la Révolution Française, vol. I, Paris 1859, p. 32. Occorrerebbe un volume per enumerare tutti gli autori protestanti e la folla di commentatori e controversisti che hanno identificato Roma papale con Babilonia. 31 BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, pp. 116,117. 32 P. Jurieu, o.c., t. I, ed. 1686, pp. 66-68. 33 CLAUDEL Paul, Introduction à l’Apocalypse, Paris 1946, p. 60. “Non è... Roma, come pensa la maggioranza dei commentatori, o almeno contemporaneamente con Roma, è Costantinopoli, è Londra, è New York, è Parigi, sono tutte le capitali contemporanee di una civiltà mercantile, che noi contempliamo sotto la creatura scarlatta, inebriata... Questa donna non è nata nel crimine, ma l’ha sposato volontariamente” Idem.
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G. Steinheil nel secolo scorso scriveva: “È in generale la Chiesa mondanizzata, romana, greca o protestante”.34 All’inizio del secolo H. Parrot affermava: “Questa sinistra amazzone con la quale i re della terra si sono abbandonati all’impurità e che ha inebriato gli abitanti della terra del vino della sua fornicazione, non può essere che la Chiesa degenerata e caduta... È a torto, pensiamo noi, che gli interpreti non abbiano voluto vedere qui solo la Chiesa romana o quella dei papi. Si tratta di tutta la Chiesa infedele al suo celeste sposo, in Occidente come in Oriente, presso i protestanti come presso i papisti, e più particolarmente della Chiesa infedele degli ultimi tempi. - Se ora noi consultiamo la storia, pensiamo prima alla Chiesa romana, al suo lusso e alla sua pompa, alla livrea rossa dei cardinali, al sangue versato dall’inquisizione, al culto delle immagini e delle reliquie, e a molte altre cose simili. Ma le Chiese orientali sono esse esenti di rimprovero? In Russia, la Chiesa detta ortodossa favorisce le stesse superstizioni e perseguita i cristiani biblici. Nei paesi maomettani, queste Chiese asservite cercano di soppiantarsi le une con le altre e di guadagnare il favore dei padroni mussulmani! Il protestantesimo, a sua volta, ha i suoi razionalisti che sfigurano l’Evangelo, ha i suoi conduttori carnali che fanno del pulpito il loro braccio, ha le sue sette pericolose come i mormoni!... Tuttavia la realizzazione completa della visione non si avrà che nel tempo della VII coppa;35 è allora che si mostrerà, in tutto il suo orrore, Babilonia, la prostituta, seduta sulla bestia anticristiana. La Chiesa infedele della nostra visione si appoggia sui re della terra, in quanto essa è seduta sulle grandi acque che rappresentano i popoli e le nazioni. Essa cerca la sua forza nella democrazia così come nella monarchia, e sarebbe possibile che, negli ultimi tempi, essa si appoggi soprattutto sulla demagogia”.36 Questa donna ha una coppa piena delle impurità della sua fornicazione. Questa fornicazione non è altro che il culto idolatrico che nel nome dell’Eterno è stato da lei proposto e insegnato a tutti i popoli e a causa del quale si sono ubriacati. “La prima Babilonia era un impero colossale dedito alla magia e all’idolatria. La Babilonia mistica è una falsa Chiesa che governa i regni del mondo”,37 con le stesse arti ed errori nel nome del Dio fatto uomo. René Pache, più vicino a noi, ad introduzione del suo saggio sull’Ecumenismo, scrive: “Ora le profezie annunciano nettamente che alla fine dei tempi la religione apostata stessa si organizzerà sulla terra intera per formare un fronte comune, quello della falsa Chiesa d’Apocalisse XVII”.38 Questa donna crediamo rappresenti la nuova “Cattolicità del Cattolicesimo”, in cui tutto il mondo cristiano apostata è unito alla Chiesa madre in una unità organica nella quale si rispettano i valori e le tradizioni di ogni Chiesa. In cerchi concentrici il cristianesimo è ritornato unito alla santa Sede, che pensa di se stessa: “La Chiesa 34 35 36 37 38
STEINHEIL G., Étude prophétique, Lausanne 1861, p. 83. Desideriamo precisare che al tempo della 7a coppa avverrà la sua distruzione. Il suo dominio lo manifesterà prima. PARROT Henri de, Le voyant de Patmos, Lausanne 1902, pp. 181,183,184. G. Steinheil, o.c., p. 87. PACHE René, Œcuménisme, Vennes-sur-Lausanne 1950, p. 2. Quando la profezia diventa storia
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romana è la gran vite, in cui i tralci dell’umanità, vivificati dalla sua linfa, danno frutto; separati da questa vite i tralci seccano, “si gettano nel fuoco e si bruciano”,... Non si tratta di rinnegamento o di ritorno, si tratta di integrazione e di incontro. La cattolicità insomma si configura come un gigantesco movimento, con un centro ben determinato; ma aperto in tutte le direzioni, senza esclusioni... Che cosa infatti dovrebbe essere escluso? Nulla, salvo ciò che si esclude da sé rifiutando di lasciarsi integrare e condannarsi così all’inaridimento e alla morte. - Vittorio Subilia continua e commenta: Assumendo un criterio ecclesiologico invece che cristologico, si fa un ecumenismo non di ubbidienza, ma di compromesso, in cui si cerca di non disturbare posizioni costituite e di dare una relativa soddisfazione a tutte le tesi, illudendosi di ampliare la cristianità della Chiesa. E non ci si accorge, così facendo, che le Chiese collaborano a compromettersi a vicenda e a diffamare Cristo di fronte al mondo... Un vangelo insipido sommato a altri Evangeli insipidi non dà il sapore dell’Evangelo autentico. Le Chiese alla ricerca della propria vitalità perduta non possono illudersi di ricuperare l’Evangelo autentico nell’incontro con gli altri ecclesiasticismi ricchi di tradizioni arcaiche ma ugualmente vuoti d’anima. Le Chiese definiscono il mondo un mondo senza Dio: ma esse stesse, da gran tempo, partecipano, in forma religiosa, al suo ateismo... La Chiesa di Roma (con il Concilio Vaticano II) ha assunto una posizione critica verso il Cattolicesimo di ieri, che riteneva di essere in possesso di tutta la verità e di tutta la sostanza della Chiesa: oggi ritiene che la propria cattolicità è in divenire, in processo di attualizzazione, riconosce di non essere ancora “pienamente cattolica”, è in marcia verso la pienezza della cattolicità”.39 Ma il più alto responsabile del De Œcumenismo, il cardinale A. Bea, ha dichiarato in tutte lettere che il Concilio “per parlare molto chiaramente, non ha ritrattato nessuna definizione dogmatica di altri concili o papi, e non ne ha attenuato né cercato di attenuarne alcuna... Una cosa è chiara e sicura: in tutti i concili le definizioni dogmatiche anteriori venivano considerate come intangibili... Per le stesse ragioni, il Concilio non ha neanche ritrattato nessuna “condanna” pronunciata dai concili precedenti... le condanne riguardo l’errore dottrinale, esse dovranno sempre essere mantenute in vigore dalla Chiesa”40 e come diceva Pio XI nell’enciclica Mortalium animus: “I veri cristiani accordano la stessa fede tanto al dogma dell’Immacolata Concezione quanto a quello della Santa Trinità, tanto all’Infallibilità del Sommo Pontefice, quale l’ha definita il Concilio Vaticano (I), quanto all’Incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo”. Quando questa nuova cattolicità del Cattolicesimo si sarà realizzata allora, per breve tempo, si compiranno le parole: “Io siedo regina e non sono vedova e non vedrò cordoglio”.41 Perché possiamo pensare che questo tempo non sia lontano? 39 40
SUBILIA Vittorio, La nuova cattolicità del Cattolicesimo, ed. Claudiana, Torino 1966, pp. 280,285,286,300. BEA Agostino, Contributo del Concilio alla causa dell’unione dei cristiani, in La Civiltà Cattolica, 6/3/1965, p.
428. 41
Apocalisse 18:7 s.p.
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“In campo evangelico le armi dell’arsenale antipapale sembrano essersi spuntate o arrugginite; mentre diminuisce, scrive il teologo valdese Paolo Ricca, il potere del papato sulle coscienze cattoliche, aumenta la sua forza di attrazione in vari settori del protestantesimo, come simbolo di unità nella chiesa”.42 Il teologo riformato von Allmen, professore di teologia pratica all’Università di Neuchâtel (Svizzera), dichiara, quasi come scongiuro: “Il papato non dovrebbe suicidarsi”.43 “Il problema ecclesiologico ed ecumenico non è dunque “un papa o nessun papa” ma “quale papa per quale chiesa?” Io sono convinto che la fedeltà alle testimonianze della Scrittura ci obbligherà a riconoscere e a integrare nella struttura della Chiesa, una volta che sia ricomposta nell’unità, un ministero di primato come uno degli elementi costitutivi di questa struttura”.44 Ancora più esplicita è la presa di posizione di un altro teologo protestante molto in vista, Eberhard Jüngel, docente di teologia sistematica all’Università di Tubinga: “Il significato spirituale del papato si pone certamente per la cristianità evangelica in modo diverso da come si pone per la Chiesa cattolica. Tendenze antecedenti che senz’altro negavano al papato un significato spirituale per l’unità e la cattolicità della cristianità possono essere considerate teologicamente superate. Attualmente, nel giudizio della teologia evangelica, viene piuttosto assegnata al papato la posizione di un’istanza che non ha ancora per nulla scoperto le potenzialità che le sono proprie, o l’ha fatto in maniera solo insufficiente, e perciò merita il rispetto che dobbiamo a ogni tradizione, che è anche criticabile e per ciò da prendere sul serio come potenza. Malgrado tutte le riserve di dettaglio oggi non si può comunque più, come teologi evangelici, vedere nel Papato un motivo sufficiente di divisione tra le Chiese. Considerare il papa l’Anticristo non sembra più essere espressione di una auto-comprensione evangelica. Il papa è una possibilità istituzionale data per l’ecumene cristiana”.45 Per gli anglicani: “L’unica sede che rivendica un primato universale e che ha esercitato e ancora esercita tale “episkopé” è la sede di Roma, la città dove Pietro e Paolo sono morti. Sembra giusto che in ogni eventuale unione futura un primato universale... sia esercitato da quella sede...”.46 La voce di Paolo VI, all’udienza del 19 gennaio 1978, proclamò: “Essi (i fratelli separati) sono battezzati, credono nel vangelo... già esistono vincoli d’unione che non possiamo ignorare né sottovalutare: vincoli non perfetti...; vincoli che reclamano dalla Chiesa madre d’essere riallacciati con immensa pazienza ed esemplare umiltà”.47 42
CORSANI Bruno e RICCA Paolo, Pietro e il papato nel dibattito ecumenico odierno, Claudiana, Torino 1978, pp. 40,48. “Il papato è oggi molto discusso, sia in seno al cattolicesimo che nel più vasto mondo ecumenico, ma non è in genere, salvo eccezioni, messo veramente in questione. Si può dire che oggi il papa... è sempre meno oggetto di contestazioni radicali... in campo ecumenico” Idem, p. 40. 43 ALLMEN J.J. von, La primauté de l’Eglise de Pierre et de Paul, Fribourg 1977, p. 102; cit. da P. Ricca, o.c., p. 40. 44 ALLMEN J.J., Ministero papale, ministero di unità, in Concilium, 8/1975, p. 133; cit. P. Ricca, o.c., p. 41. 45 JÜNGEL Eberhard in G. Denzler, Papatum hente und marque, Postot Regensburg 1975, p. 85; cit. da P. Ricca, o.c., pp. 43, 44. 46 Cit. da SUBILIA Vittorio, Tu sei Pietro, Claudiana, Torino 1978, pp. 8, 9. 47 Civiltà Cattolica 20/1/1979, p. 165. Quando la profezia diventa storia
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I1 18 novembre 1978, Giovanni Paolo II, a conclusione dei lavori dell’Assemblea plenaria del Segretariato per l’Unione dei Cristiani, affermava: “La restaurazione dell’unità fra tutti i cristiani è uno degli scopi principali del Vaticano II”.48 E di questo papa, che s’impone all’opinione pubblica, Thurian Max, vice priore della Comunità di Taisé e teologo calvinista francese, disse: “Domenica 22 ottobre (1978), dopo la meravigliosa celebrazione eucaristica in Piazza San Pietro, egli (il papa) ha ricevuto una delegazione ecumenica e io ho avuto la gioia di incontrarlo personalmente. Mi ha abbracciato... Lì, davanti a Giovanni Paolo II, mi sentivo come rinnovato nel mio spirito... Egli è il papa del compimento del Concilio, il papa della Lumen gentium e della Gaudium et spes, il papa della parola di Dio e della liturgia viva. Sono convinto che, assieme a lui, la Chiesa conoscerà un rinnovamento della fede, nell’apertura e nella fedeltà alla grande tradizione”.49 È vero sì che per il momento queste testimonianze non esprimono certamente l’opinione comune del Protestantesimo mondiale sul papato e che manca una presa di posizione ufficiale del Protestantesimo riformato, ma a favore di Roma c’è il tempo e uno scopo ben preciso della sua volontà mentre il Protestantesimo, assumendo una posizione critica nei confronti del messaggio biblico, ha perso la luce della guida della profezia. Non c’è quindi da stupirsi se “The Reformed World”, organo dell’Alleanza delle Chiese Riformate, pubblica il testo di quattro lettere inviate dal suo presidente James Mc Cord e dal segretario Edmond Perret, in occasione della morte di papa Paolo VI, dell’elezione di Giovanni Paolo I, della morte del medesimo e della elezione di Giovanni Paolo II; ognuna ha un messaggio particolare: “Esprimiamo la nostra gratitudine a Dio per la vita e il lavoro di papa Paolo VI”. “La notizia dell’elezione di Vostra Santità come capo della Chiesa Cattolica Romana ci ha riempito di gioia”. “Siamo profondamente turbati per l’improvvisa morte di papa Giovanni Paolo I”. “Nell’occasione in cui vostra Santità inaugura il suo pontificato, presentiamo, a nome delle Chiese Riformate, i nostri auguri e l’assicurazione delle nostre preghiere”.50 L’evangelico Henri Albert Bolomey, commentando il nostro testo dell’Apocalisse, scriveva nel 1941, quando si sentivano le prime brezze di unità: “Il movimento “ritorno a Roma” riscuote sempre maggior successo... La Chiesa ufficiale di Roma diventa la testa di tutta la cristianità apostata, in modo che essa diventi un vasto e potente sistema ecclesiastico. Tutto le è subordinato. Controlla tutta la vita privata, sociale e commerciale, fino al giorno della sua disgrazia... Quasi alla fine della nostra civiltà cristiana, verso la quale marciamo con una rapidità vertiginosa, si produrrà un voltafaccia radicale, un ritorno a Roma di tutte le Chiese e di tutte le sette della
48
Idem, p. 167. WOJTYLA Karol, Fecondo Responsabile, Milano 1978, pp. 45,46. 50 Citato da, Idea, servizio informativo della Alleanza Evangelica in Italia, supplemento al n. 1 gennaio-marzo 1979, pp. 7,8. 49
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cristianità apostata... per non formare, con la Chiesa romana, che un solo e unico sistema religioso”.51 Come abbiamo già detto, esistono tutti i presupposti per formare questo nuovo sistema religioso. Nell’opera già citata di V. Subilia leggiamo: ““Con le parole e con i fatti il Concilio (Vaticano II) ha fatto capire che Roma sarà il punto capitale per la Chiesa dell’umanità universale del futuro. Nei discorsi del Papa quest’idea ritorna sempre di nuovo... Roma come la Patria communis, che può essere la casa Paterna di ognuno”. Si tratta di una nuova dimensione e di un nuovo esercizio della cattolicità romana, “di un nuovo ministero di Pietro, compreso in ampio senso cristiano-religioso-umanitario, come presupposto e punto di cristallizzazione per una unità dell’umanità in cui si operi la sintesi del moltep1ice”.52 Nel momento in cui il mondo vive “le più gigantesche trasformazioni della sua storia” e si dibatte senza trovare un criterio unificatore delle sue esigenze contrastanti, la Chiesa di Roma offre se stessa come la fidata custode delle tradizioni del passato, la guida sicura delle incertezze del presente, l’annunciatrice profetica delle vie del futuro. Essa è animata dalla convinzione di poter accogliere la totalità degli elementi del mondo, che possono venire a lei nella serena fiducia di ricevere in contraccambio l’integrazione necessaria alle loro lacune, alle loro unilateralità, ai loro squilibri, alle loro divisioni, e di trovare in lei l’incontrastata garanzia dell’unità che è loro necessaria per la pacifica coesistenza reciproca e per il loro armonioso sviluppo. Le religioni non cristiane,53 le razze e i popoli, le classi sociali e le competenze professionali, la scienza, la cultura, l’arte, la sociologia, l’economia, il mondo del lavoro e la famiglia, non devono per questo rinnegare nulla dei loro valori né rinunciare a nessuna delle loro leggi naturali, “le cose vecchie” per diventare “nuove”, cioè per risolvere i loro problemi, per non deflettere ed esaurire le loro energie in tensioni mortifere e salvarsi dalla disgregazione, non devono rompere con la propria esistenza, ma semplicemente lasciarsi appunto integrare, ricevere quel di più che in sé non possono avere, porsi in docile rapporto con la fonte della saggezza divina e umana, incarnata nella istituzione che ha già realizzato in sé la pace e l’ordine a cui il mondo aspira, che costituisce 51 BOLOMEY Henri Albert, Simple étude sur l’Apocalypse de Jésus Christ, La Tourde-Peils 1941, pp. 212,215. Ci discostiamo dal pensiero di questo pastore che crede che il ritorno delle Chiese a Roma avverrà dopo il rapimento della Chiesa. Vedere critica sul rapimento della Chiesa: nota 13, nostro Capitolo XXII. 52 MARON G., Der romische Katholizismus, p. 6; cit. V. Subilia, La nuova..., p. 271. 53 A esempio riportiamo le parole del cardinale Sergio Pignedoli, a seguito di un suo viaggio in Arabia nel maggio del 1974: “Da due mesi mi sono recato a Riad, dove sono stato ricevuto in una forma molto cordiale dal re Faisal. Io ero portatore di un messaggio del Papa Paolo VI, destinato non a un capo religioso, ma al protettore dei luoghi santi dell’Islam. Noi abbiamo sottolineato, nel corso del nostro incontro, l’importanza delle religioni monoteiste nel mondo di oggi che accorda la priorità alla materia, alla tecnica, alla ricchezza e non ai valori spirituali. Noi abbiamo riconosciuto che il nostro compito consiste nel dare un’anima al mondo nel quale viviamo... Io sono ottimista per due ragioni. Prima di tutto nel dialogo non cerchiamo mai di definire i dettagli dei dogmi delle diverse religioni alfine di evitare gli equivoci. Noi non pensiamo che alla sostanza della fede. Crediamo in un Altro, che ci è superiore, al di là del tempo e che è alla base della vita. Di questo essere misterioso, noi non diamo definizione. È chiaro che affermiamo la nostra fede cattolica poiché non vogliamo minimizzare il messaggio evangelico. Ma non è questione di aprire delle polemiche. Ho un secondo motivo per essere ottimista: è la realtà. In questi ultimi mesi, le visite dei non cristiani non hanno cessato di succedersi, e le conversazioni sboccano sull’amicizia. Sempre di più noi apprendiamo a conoscerci e a amarci... Noi non intendiamo convertirli. Al contrario, li incoraggiamo o restare fedeli alla loro religione”.
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l’anima segreta e profonda delle sue aspirazioni e delle sue realizzazioni... Il Cattolicesimo insomma si presenta come la religione delle religioni, la religione dell’umanità, la religione dell’ONU, la consacrazione provvidenziale di tutti i valori umani, a cui da tutti i punti dell’orizzonte gli uomini e le loro istituzioni possono ricorrere per avere pace e benessere e uscire dalle difficoltà senza soluzione in cui si dibattono. Si tratta della ripresa aggiornata nei metodi e nelle forme dell’antica aspirazione universalista del Cattolicesimo di raccogliere nel suo grembo tutto l’umano, consacrandolo col crisma di quell’unità, che appare come il mito fondamentale di un’epoca esasperata da eccessi pluralistici e stanca di tensioni”.54 Oggi, dopo vent’anni, sono ancora più valide le parole del Cardinale P. Felici, leader della destra curiale: “Alle spalle la Chiesa (di Roma) non ha più il mondo disgregato della crisi degli anni sessanta, ma un esercito alla riscossa, in continua espansione, fatto di truppe per la prima volta, dopo molto tempo unite dall’orgoglio della propria fede”. Il XIX Congresso eucaristico nazionale tenuto a Pescara dall’11 al 18 settembre 1977 ha mostrato con entusiasmo “il volto nuovo della Chiesa”. “Se la Chiesa è uscita vittoriosa dalla crisi che l’ha dilaniata durante e soprattutto dopo il concilio, le sue organizzazioni sono uscite a loro volta splendidamente rafforzate da un travaglio che ha isolato i deboli, emarginato i pavidi, seminato per la strada gli increduli”.55 Alla fine del secondo millennio nel cuore dell’Occidente cristiano fioriscono le religioni neo-pagane del passato: l’Occultismo, lo Spiritismo, il New Age, sotto l’influsso del vento del misticismo che soffia dall’Oriente, con la filosofia buddista, il fenomeno della parapsicologia e della reincarnazione. L’evangelico Juan Antonio Monroy ha rilevato, in un eccellente articolo, nel n. 25 di Cuadernos Alternativa, che tutto ciò corrisponde a quanto nel passato: “era il culto della natura, della materia, e del sentito”.56 Di fatto “questo paganesimo non è stato mai vinto. Il suo successo è consistito nell’allearsi con il Cristianesimo, influenzarlo nell’interiorità dei suoi dogmi, incarnarsi nelle sue festività maggiori, essere presente nei suoi ornamenti e nel suo culto, occupare un posto nei suoi riti, dirigere la preghiera dei suoi sacerdoti e condizionare l’adorazione dei suoi fedeli. Sebbene certe forme di spiritualità siamo avversate dalla Chiesa cattolica, il processo di metabolizzazione è sempre all’opera nella grande Chiesa di Roma. Il sacerdote José María Pilón, in seguito a una domanda sulla reincarnazione, risponde con l’opinione dei prestigiosi teologi
54
V. Subilia, o.c., pp. 269-273. MOLTENI MASTAI FERRETTI Gabriele, docente di diritto ecclesiastico all’Università Cattolica di Milano, pronipote di Pio IX, Panorama, 31/1/1978, p. 35. Riteniamo opportuno ricordare le parole dell’avvocato HOFFET Frédéric scritte nel 1962: “Le grandi organizzazioni ecclesiastiche nuove come quelle dell’Azione cattolica sono, sotto diversi aspetti, la riproduzione modernizzata delle confraternite e delle comunità del Medio Evo e delle sue corporazioni che erano profondamente impregnate dello spirito religioso. Il loro ruolo politico è comparabile a quello che giocarono quelle “leghe” senza le quali le crociate non si sarebbero potute fare. In verità, se guardiamo da vicino, il cattolicesimo, le cui dottrine sono immutabili, si avvicina ogni giorno di più col suo pensiero, le forme della sua attività e l’assolutismo dei suoi dirigenti a ciò che era prima della Riforma” Politique Romaine et Démission des Protestants, Paris, p. 167. 56 Cuadernos Alternativa, n. 25, marzo-aprile 1995, p. III. 55
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cattolici: “Non c’è nulla nella dottrina cattolica che si opponga esplicitamente alla reincarnazione”.57 Differenze tra i capitoli XIII e XVII dell’Apocalisse58
57
Cristianismo y Reencarnación in Más Allá, n. 63, maggio 1994; Cit. da ANTOLÍN DIESTRE Gil, El Sentido de la Historia y la Palabra Profética, vol. II, Editorial Clie, 1995, p. 608. 58 I sinonimi della espressione “bestia”. L’espressione “bestia” nel capitolo XVII la si trova in diversi versetti e con significati differenti. La comprensione di queste diversità crediamo ci permetta di capire al meglio il testo biblico. Anche il rapporto bestia, corna e donna riteniamo che sia importante prenderlo in considerazione. A. versetto 1: “giudizio delle meretrice che siede su molte acque”. B. versetto 3: “vidi una donna che sedeva sopra una bestia di colore scarlatto... aveva sette teste e dieci corna”. C. versetto 6: “la donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù”. D. versetto 8a: “la bestia che hai veduta era, e non è, e deve salire dall’abisso e andare in perdizione”. E. versetto 8b: “la bestia era, e non è, e verrà di nuovo”. F. versetto 9,10a: “le sette teste sono sette monti sui quali la donna siede, sono anche sette re”. G. versetto 10b: “sette re: cinque sono caduti, uno è, e l’altro non è ancora venuto; e quando sarà venuto, ha da durare poco”. H. versetto 11: “la bestia che era e non è, è anch’essa un ottavo re, e viene dai sette e se ne va in perdizione”. I. versetto 12: “le dieci corna che hai veduto sono dieci re,... riceveranno podestà come re, assieme alla bestia, per un’ora”. L. versetto 13: “costoro (10 corna/re) avranno un medesimo pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia”. M. versetto 15: “Le acque che hai veduto sulle quali siede la meretrice, sono popoli, moltitudini e nazioni e lingue”. N. versetto 16: “le dieci corna... e la bestia odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda e mangeranno le sue carni...”. O. versetto 17: “dare il loro (10 corna/re) regno alla bestia...”.
Dal confronto di questi testi possiamo dire che l’espressione “bestia” è sinonimo di
Nella storia la “bestia” rappresenta
I. - Insieme degli imperi universali: B. - Acque, popoli moltitudini nazioni lingue, sono rappresentati da: bestia, teste, monti, re, 10 corna: A, M, D, E, F, G, I.
a) Insieme degli imperi/monarchie universali. L’insieme degli imperi universali che occupavano i territori geografici di Babilonia, Persia, Grecia e Roma nelle sue differenti fasi.
II. “testa - monte - re” cioè: “impero” in un momento particolare della storia, in una delle fasi dell’intera monarchia universale: D, E, F, G, H.
b) Uno degli imperi/monarchie universali. Ogni singola testa rappresenta una delle sette monarchie universali: I testa, Babilonia; II testa, Persia; III testa, Grecia; poi seguono le quattro fasi dell’Impero Romano: IV testa Roma pagana; V testa Roma papale (descritta nei dettagli in Apocalisse 13 p.p.); VI testa Roma nell’evoluzione democratica, (sorta a seguito della Rivoluzione Francese come presentata nel capitolo 11 di Apocalisse); VII testa Roma ultima fase.
III. “VII testa-regno” cioè VII fase dell’impero universale che deve durare poco: D, E, G. Le 10 corna ricevono potestà come re nello stesso momento della “bestia”, cioè formeranno la VII fase/testa/re/impero universale dominando per un’ora: I
c) Periodo finale della storia. L’ultima fase della evoluzione dell’Impero Romano: durerà poco tempo. I 10 regni/corna assumeranno il potere di re assieme alla bestia, cioè creeranno la VII fase della storia universale, cioè la VII fase della bestia sul territorio geografico dell’antico Impero Romano latino, costituendo una federazione di stati autonomi, indipendenti, uniti da un comune interesse.
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Prima di passare all’analisi del testo biblico vogliamo precisare, secondo le riflessioni del maestro A. Vaucher, la differenza tra il capitolo XIII di Apocalisse, dove Roma papale, pur essendo un potere spirituale, è raffigurata dalla bestia o meglio da una testa, la V, mentre nel capitolo XVII, Roma papale, nella sua nuova cattolicità, cavalca la bestia, che guida, dirige e quindi è disgiunta dalla bestia stessa.
IV. VIII re che viene dai sette; cioè è uno dei sette che si presenta per la seconda volta; la prima volta come una delle cinque teste precedenti (noi crediamo che sia la V monarchia che ritornerà a esercitare la sua influenza): H. Le 10 corna daranno la loro potenza e autorità alla “bestia”, cioè alla V testa che ritornerà come VIII re, essendo uno dei sette: L.
d) Il papato a guida dell’ultima fase dell’Europa Occidentale. In questa VII fase riappare la “bestia” (cioè il papato) della quale si poteva dire, al tempo della VI testa, che cinque teste/regni erano caduti, passati, o la “bestia”, cioè la V testa (quella del capitolo 13 dell’Apocalisse non era più, e ora al tempo della VI testa/impero non c’è. Il tempo della VII testa/impero durerà poco. La “bestia” papato, del capitolo 13, riapparirà come un VIII re, perché viene dai sette, cioè si presenta per la seconda volta essendo la “bestia”, che è stata ferita mortalmente alla fine del tempo della V testa, per poi andarsene in perdizione.
V. La meretrice che siede sulle acque è la bestia e rappresenta i popoli: A, B, M.
e) Il sincretismo religioso, la nuova cattolicità del cattolicesimo, è sostenuta dai poteri di questo mondo. La religione di potere che non ha nulla a che vedere con la rivelazione dell’Eterno ha dominato, guidato i popoli ed è stata sostenuta dai regnanti. Per esercitare e conservare la propria autorità non ha insegnato la verità, ma ha sedotto e si è anche prostituita, adattandosi alle situazioni dei tempi. VI. La meretrice è ebbra del sangue dei santi e dei f) Alla donna ubriaca del sangue sparso si martiri di Gesù Cristo, siede sulle acque che sono attribuiscono le conseguenze dell’opera di popoli, moltitudini, nazioni e lingue: C, A, M. persecuzione svolta dal papato nel Medio Evo. La “bestia” di Apocalisse 13:7 ha fatto guerra ai santi e li ha vinti e come la meretrice ha avuto il potere sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione. VII. Le 10 corna/re e la bestia odieranno la meretrice, g) La nazioni che formano la federazione degli Stati la renderanno desolata e nuda e ne mangeranno la europei si rivolteranno contro al potere religioso al carne: N. quale si erano sottoposti. La VII testa (corna e bestia), cioè la federazione degli stati europei si ribellerà contro la religione espressione del potere esercitato dall’VIII re, il papato ritornato al medioevale splendore e dominio, al quale i governanti europei avevano dato la loro autorità. La complessità di questo testo è tale perché la storia stessa è complessa. Il papato si presenta all’umanità come un re, uno stato, un regno, ma nello stesso tempo si propone anche come una realtà religiosa che opera con i valori esistenziali delle persone. Se sul piano giuridico i confini del papato come stato sono definiti, sono quelli del suo regno, oggi, la Città del Vaticano, non è la stessa cosa per quanto riguarda i confini religiosi i quali superano quelli della sua Sede e si estendono fino ai confini della terra. A differenza di tutte le potenze di questo mondo, che hanno un solo tavolo sul quale giocare le proprie carte, quello della sovranità del proprio territorio geografico, il papato, per contro, è l’unico potere della Terra che da secoli gioca contemporaneamente su due tavoli: quello della sovranità del suo Stato e quello della sovranità religiosa. Quello che gli viene negato come sovranità politica di Stato, lo rivendica come sovranità religiosa; quello che non ottiene sul piano della sovranità religiosa, lo rivendica sul piano della sovranità di Stato. Questa doppia scacchiera cattolico/vaticana, gli permette di avere dello stesso colore due re, due regine, quattro alfieri, quattro torri, quattro cavalli e sedici pedoni. Non può che mettere in scacco gli avversari.
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Questi due quadri corrispondono a periodi storici differenti. Nel primo il potere religioso era fuso con quello politico; nel secondo i due poteri appaiono separati. Il papato perdendo lo Stato pontificio nel 1870 ha cessato di essere un regno, una bestia, ed è visto, nel tempo della fine, solamente come Chiesa. Questa donna è seduta sulla bestia che ha 7 teste e 10 corna e ciò significa che questa Chiesa non cesserà comunque di appoggiarsi sul potere politico degli Stati, i quali sia nel tempo passato sia nel futuro sempre sono suoi sudditi.59
59
Nell’opera Le Saint-Siège dans les relations internationales, leggiamo delle considerazioni importanti che prendiamo ad imprestito per spiegare lo scritto di Giovanni. “Il 27 novembre 1985, il cardinale Jean-Marie Lustigher, intervenendo nel Sinodo dei vescovi, dichiarava: “È chiaro ormai agli occhi di tutti che la Chiesa non coincide con gli imperi e che l’unità che opera è d’un ordine diverso da quello politico” (La Documentation catholique (DC), n. 1910, 1985, p. 107). La Chiesa cattolica romana è la sola istituzione confessionale al mondo ad aver accesso alle relazioni diplomatiche e a essere direttamente interessata dal diritto internazionale… Deve questo soprattutto alla sua storia, poiché il Papato è rapidamente diventato il centro della vita delle nazioni dell’Occidente cristiano. Lo fu in modo del tutto naturale all’epoca della Republica christiana per rendere degli arbitraggi e favorire la pace nel nome del jus gentium christianorum (tregua di Dio, pace di Dio, per la divisione del Nuovo Mondo tra la Spagna e il Portogallo, ecc.). Lo fu anche dopo, nonostante qualche eclissi dovuta ai tormenti nati dalla Riforma protestante, dalla Rivoluzione francese e dell’Annessione italiana… È a causa della sua sovranità essenzialmente spirituale che fu istituita una sovranità temporale per il Pontefice romano, che ricevette prima di tutto da Costantino la proprietà fondiaria del palazzo del Laterano, poi e soprattutto da Pipino il Breve uno Stato tagliato su misura nella penisola e chiamato “Patrimonio della Santa Sede” in ragione del deposito dell’atto di donazione sulla confessione del Principe degli Apostoli a Roma. Da quel momento, le due sovranità, religiosa e profana, sovrapponendosi per confondersi, il titolo della Chiesa per intervenire nelle relazioni tra i re e i popoli non fa più oggetto di nessuna discussione, neppure la sua qualità di soggetto del diritto internazionale, dal momento che gli uni l’attribuirono al suo potere spirituale ed ecclesiastico, gli altri al suo dominio temporale e statista. Le cose si modificarono notevolmente a partire dal 1870 quando il Sommo Pontefice fu espropriato di ogni territorio al tempo della presa di Roma da parte delle truppe italiane. La perdita della sua autorità temporale metteva in luce l’esistenza della sua autorità spirituale. In effetti, dal momento in cui è sparito lo Stato pontificio nel 1870 fino al regolamento della questione romana mediante gli accordi Laterani nel 1929, il Papa non esercitò che una attività religiosa, la sola che gli restava materialmente possibile. Tuttavia non limitava in nulla la sua attività internazionale; le relazioni diplomatiche pontificie si susseguirono normalmente: 14 Stati erano rappresentati alla corte di Roma nel 1870; furono 19 nel 1903 al sòglio di Pio X, 22 nel 1922 a quello di Pio XI, e 30 nel 1929 al tempo della firma del trattato del Laterano! Da parte loro i rappresentanti pontifici attraverso il mondo conservarono le loro funzioni come pure la loro dignità e immunità diplomatica. Una cinquantina di documenti internazionali (concordati, convenzioni, accordi, ecc.) furono conclusi e numerosi arbitraggi furono resi dal Papa per regolarizzare pacificamente delle divergenze fra gli stati. Durante questo periodo si succedettero al palazzo del Vaticano delle visite ufficiali dei capi di Stato che non erano né cattolici né cristiani… Nella dottrina internazionale, alcuni autori dell’inizio del secolo, principalmente anglofoni, esclusero la Santa Sede dal diritto internazionale. Per il britannico Westlake, il Papa, sprovvisto di territorio, aveva perduto ogni “posizione internazionale” e la Santa Sede si trovava bandita dal diritto internazionale (J. WESTLAKE, International Law, vol. I, 1904, p. 38); nell’opera ristampata dell’americano Wheaton, si sostenne che il Sommo Pontefice non beneficiasse più di alcuna personalità giuridica internazionale (H. WHEATON, Elements of International Law, 5a ed., 1916, p. 56) pensando alla stessa cosa, l’inglese Oppenheim concesse che la Sede apostolica conservasse comunque una “posizione quasi internazionale” (OPPENHEIM, International Law, vol. I, 1920, p. 185); più prudente, il suo compatriota e collega Lawrence si limitò a scrivere che, dal punto di vista del diritto internazionale, “la posizione del papato è indifendibile” (LAWRENCE, The Principles of International Law, 1911, p. 83)… Senza Stato, il governo pontificio non poteva avere il suo posto nelle relazioni internazionali; gli onori sovrani concessi dalla legge italiana non erano che un pallido riflesso di una “apparenza di sovranità” (H. WAGNON, Concordats et droit international, Ducolot, Gembloux 1935, p. 45), tollerato per pura benevolenza e per rispetto per l’augusto che occupa la sede petrina… Quando la profezia diventa storia
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Alla fine del secondo millennio la Chiesa si presenta al mondo come la rappresentante della religiosità universale, avendo in questo mondo solamente l’altare Tuttavia altri autori francesi percepirono la natura intrinseca della condizione giuridica della Santa Sede in diritto internazionale. Antoine Pillet e Louis Le Fur particolarmente sottolinearono il carattere essenzialmente spirituale della sovranità pontificia (A. PILLET, Note au Sire y, Recueil général des lois et arrêtés, 2, 1895, p. 57 e seg.; L. LE FUR, Le Saint-Siège et le droit de gens, Paris 1930; H. DONNEDIEU DE VABRES, La souvreraineté du Pape et la séparation des Églises et de l’Étata, RGDIP, 1914, pp. 339-368). Un grandissimo numero di internazionalisti condivisero la stessa opinione. Una lunga lista di questi autori la si trova nell’opera di H. Wagnon (o.c., p. 53). In Francia, i dirigenti politici d’allora furono regolarmente sollecitati o interpellati per la chiusura dell’ambasciata della Repubblica presso la Santa Sede, e la discussione del bilancio del Ministero degli Affari Esteri offrì diverse volte l’occasione a dei parlamentari repubblicani, come François Raspail nel 1879 e 1881, di far valere che la scomparsa degli Stati pontifici aveva portato per la Santa Sede quella del suo potere di accreditare degli ambasciatori stranieri; il governo rispose che non era presso il Sovrano di un piccolo Stato di 2 o 3 milioni di anime che la Francia si era fatta rappresentare fino a quel momento, ma presso il capo della Chiesa cattolica, cosa che il Papa continuava ad essere dopo la caduta di Roma nel 1870 (F. LE ROY, La personnalité juridique du Saint-Siège et de l'Eglise catholique en droit international, in L’Année canonique, II, 1953, p. 127). E, di fatto, indipendentemente dalle credenze religiose, è facile constatare che, dal 1870 al 1929, la Sede apostolica ha continuato a godere di prerogative che derivano pienamente dal diritto internazionale: diritto attivo e passivo di legazione, statuto diplomatico dei rappresentanti pontifici, mediazioni internazionali e sentenze arbitrali, firme di concordati qualificati come trattati internazionali e che suppongono quindi due contraenti soggetti sovrani del diritto internazionale, ricevimento ufficiale di capi di Stato di diverse confessioni, ecc., tanti indizi che dimostrano che era la Chiesa società spirituale ad essere coinvolta e non un antico Stato... La Santa Sede… fece valere che la Chiesa è sovrana jure proprio, per la sua stessa natura: essa ha sempre rivendicato l’indipendenza del suo governo e del suo diritto... Questo potere spirituale è cronologicamente anteriore agli Stati moderni; prima che nascessero, essa esisteva già. È per questo che la loro volontà di riconoscerlo o no è senza incidenza sulla sua esistenza e sulla sua qualità. La sua sovranità si esercita non su un territorio, ma su delle persone quanto alla loro vita religiosa e morale. Questo dominio non è estraneo al diritto internazionale né alle relazioni internazionali, lo provano le dichiarazioni e i trattati multilaterali o gli accordi bilaterali che garantiscono la libertà religiosa sotto tutte le forme. Questa questione, che, nei nostri giorni ancora rimane precisamente l’oggetto della viva preoccupazione della Santa Sede nell’ordine internazionale, presenta il vantaggio di rivelare chiaramente la personalità internazionale della Chiesa cattolica. I diversi documenti diplomatici che la Santa Sede negozia e ratifica, o quelli a cui aderisce, non riguardano unicamente i membri della curia romana o gli abitanti della Città del Vaticano; essi concernono tutti i fedeli della cattolicità. Come i trattati internazionali non legano due governi, ma due Stati, così un concordato o un convenzione multilaterale impegna, propriamente parlando, non unicamente la Santa Sede ma tutta la Chiesa. La Sede apostolica… non è che il governo centrale e supremo della Chiesa … il vero soggetto del diritto internazionale… Si è concordi nel vedere la Santa Sede rivestita di una “personalità internazionale” (H. THIERRY, J. COMBACAU, S. SUR, Ch. VALLÉE, Droit international public, Précis Domat, Monchrestien, Paris 1984, p. 51), dotato di uno “statuto particolare nelle relazioni internazionali” (P. REUTER, J. COMBACAU, Institutions et relations internationales, coll. Thémis, 3a ed., PUF, Paris 1985, p. 115) e beneficiando di una situazione “eccezionale e unica” (L. CAVARÉ, Le Droit international public positif, t. I, 3a ed., Pédone, Paris 1973, p. 476). Considerando che il Papa è riconosciuto come “la più alta forza morale” anche per i non credenti, e prendendo atto della qualità di comunità internazionale organizzata attribuita alla Chiesa, si conclude che il Pontefice romano è “un Sovrano di natura spirituale, senza regno visibile ma non meno reale” (idem)… La sovranità significa un diritto di comando supremo che d’altronde, tanto per la Chiesa quanto per lo Stato, si esercita in realtà più sulle persone che sulle cose. Di conseguenza, nella misura in cui si impone alle menti dei cittadini, la sovranità dello stato è, in un certo senso, tanto spirituale quanto la sovranità ecclesiale… Bisogna credere che è proprio così che l’hanno percepita i 117 Stati che, nel mondo, intrattengono presso la Santa Sede una rappresentanza diplomatica. La ragione di questa presenza internazionale è lungi dall’essere confessionale perché riguarda nazioni con religioni diverse e anche senza religioni, e di Stati con regimi politici differenti. Se le grandi potenze come i micro Stati sollecitano lo stabilimento di queste relazioni (si deve notare che la Santa Sede, che desidera essere accolta da tutti i popoli, ha per regola di non prendere mai l’iniziativa di stabilire delle relazioni diplomatiche né di romperle), è che deve ben esserci in questo “organismo atipico” (I. CARDINALE, Le Saint-Siège et la diplomatie, Desclée, Paris-Rome 1962, p. 41) qualche cosa di irriducibile, di inevitabile e d’indispensabile alla comunità delle nazioni. Forse per capirlo sarebbe sufficiente leggere l’articolo 2 del concordato del Laterano che dichiara la sovranità internazionale della Santa Sede come inerente alla sua natura. Poiché la Santa Sede non ha mai cessato di essere una potenza anche quando cessò un giorno di essere uno Stato. Non potrebbe dunque confondersi istituzionalmente con lo Stato della città del Vaticano” (pp. 11-20).
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della Città del Vaticano, per potersi presentare come autorità indipendente da qualsiasi nazione e paese. La donna, la Chiesa, non è seduta direttamente sulle acque, cioè sui popoli, come potrebbe far pensare il primo versetto, quale risultato della sua azione spirituale, ma sulla bestia stessa, espressione del potere politico che governa il popolo. Questo potere, lo Stato, è presentato come influenzato, diretto, dalla Chiesa degenerata. Giovanni viene portato a contemplare la visione nel “deserto”, luogo di residenza degli spiriti dei demoni. Scrive il de Rougemont: “L’angelo conduce Giovanni in ispirito nel deserto, non in quello che serve d’esilio alla Chiesa evangelica della Riforma e che ricorda quello del Sinai, ma in un deserto... nel senso simbolico, in un mondo ricco senza dubbio d’oro e d’argento, ma assolutamente sprovvisto dei veri beni, e di tutti quelli che possono dare una felicità reale ad un essere creato all’immagine di Dio”.60 Vestito e ricchezze della prostituta
Mentre nel capitolo XII lo splendore del firmamento era concentrato sulla donna e nel capitolo XIX la sposa dell’Agnello è ornata della gloria celeste, la donna seduta sulla bestia ostenta tutte le ricchezze della terra, si corona di gioielli per far dimenticare e nascondere la sua miseria. La porpora e lo scarlatto ornati d’oro, le pietre preziose e le perle sono il simbolo della sua opulenta ricchezza e della sua dignità regale.61 Guardando su tutto il nostro pianeta soltanto in Roma c’è quell’organizzazione religiosa ove al lusso delle vesti si aggiunge lo splendore dell’oro, delle pietre preziose, delle perle. È ancora Roma il centro della politica mondiale più lungimirante e accorta che, mediante l’intreccio più raffinato e mistificato, tesse la sua tela con la quale avvolgere l’insieme del suo potere. È ancora a Roma che la Chiesa mette in luce i suoi tesori terreni nel tentativo di nascondere le sue miserie spirituali e la sua povertà morale. Suo crimine
Il crimine di questa donna è di avere “fornicato” con i re della terra. “La prostituzione è un peccato più grave dell’adulterio. Si può cadere più d’una volta senza per questo essere una prostituta. Questa (Chiesa) ha l’abitudine del crimine: essa ricerca le occasioni di commetterlo. La fornicazione non è un incidente 60 F. de Rougemont, o.c., p. 315. REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. II, Lausanne 1906, p. 39, vede in questa donna quella del capitolo 12 fuggita nel deserto ora nella sua corruzione: “Evidentemente la grande maggioranza della Chiesa, indebolita nella sua vita spirituale era morta, stanca di subire il regime della persecuzione, di essere costantemente sotto l’odio sia sordo che aperto delle popolazioni intolleranti. Le ripugnava essere tenuta ancora per molto tempo al di fuori, e di non giocare nel mondo che un ruolo di nessuna importanza. In queste condizioni essa non seppe resistere alla tentazione di brigare il favore dei grandi e delle potenze”. 61 Luca 16:19; Ezechiele 28:13.
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nella sua vita, è al contrario il suo carattere generale, il segno distintivo”.62 Da questa sua prostituzione riceve quei vantaggi che le permettono sempre di essere nei primi posti. Giovanni la chiama prostituta perché ha rifiutato il suo celeste sposo, il suo Re, per godere dei privilegi dei re della terra. In questa prostituzione ”moicheusin” c’è la rottura dell’alleanza conclusa con Dio da Cristo Gesù e la propagazione delle false dottrine. Questa donna presenta al mondo il suo calice d’oro pieno delle sue abominazioni. Con questo calice porge ai re il nettare della sua idolatria.63 Non soddisfatta di farsi del male, trascina il mondo nella sua corruzione. Con il vino delle sue impudicizie, annebbia, stordisce gli abitanti della terra con le sue forme di tolleranza, d’indulgenza, di assolvimento e di accomodamento con il cielo, facendo del Dio tre volte santo, il buon Dio. Nell’osservare attentamente il vestito di questa donna pensiamo che si possa dire che la Chiesa, nella sua apostasia, continua ad indossare l’abbigliamento che il sommo sacerdote aveva durante l’espletamento delle sue funzioni. Le pietre ricordano quelle del pettorale. Il nome che ha sulla fronte richiama, per contrapposizione, la lamina d’oro che il sommo sacerdote portava sulla fronte con la scritta: “Santo all’Eterno”. Anche lei ha a che fare con il sangue, non più con quello della purificazione dei sacrifici, ma con quello degli uomini da lei sacrificati sull’altare della propria gloria. La coppa che tiene nelle mani, piena delle sue abominazioni, può richiamare il turibolo, utilizzato nel giorno dell’espiazione, nel quale si poneva l’incenso simbolo delle preghiere e con il quale il sommo sacerdote entrava, una volta all’anno, nel luogo santissimo del Tabernacolo o può indicare la coppa per la presentazione delle offerte. Questa donna che doveva operare per la gloria del Signore ha vissuto per se stessa. Suscita meraviglia, stupore, incomprensione. Il popolo di Dio, la sposa del Signore, che avrebbe dovuto estendere la sua testimonianza di verità su tutta la terra e fare di questo pianeta la città santa di Dio, la Gerusalemme del Signore, divenendo infedele, dopo aver operato per la propria gloria ha raggiunto il suo scopo, è diventato la “gran città che impera sui re della terra”. Giovanni rievoca qui ciò che il profeta Isaia aveva detto della sua Gerusalemme: “Come mai la città fedele è diventata una prostituta”.64 Questa Chiesa non rinnega Cristo, non lo ha rifiutato, lo continua a confessare ma lo propone all’attenzione del mondo, non alla gloria del Padre, ma nella prospettiva del proprio vantaggio. La sua empietà può sembrare non flagrante perché è razionalizzata, tutta spiegata, tutta giustificata. Soltanto coloro che ritengono importante il “così ha detto l’Eterno” e vogliono essere coerenti alla sua rivelazione possono capire la profondità del suo allontanamento. Questa immagine della donna che porge il suo calice al mondo la si trova su una medaglia commemorativa del Giubileo, coniata a Roma per ordine di Leone XII, nel 1823. La faccia rappresenta quella del papa, il rovescio quella di una donna, la Chiesa, che, con la coppa in mano, è seduta sul globo terrestre. La medaglia porta l’iscrizione: sedet super universum siede sull’universo.65 62 63 64 65
A. Reymond, o.c., p. 34. “Abominazione ha sempre nella Sacra Scrittura il senso di idolatria” A. Crampon, o.c., p. 489. Isaia 1:21. J. Vuilleumier, o.c., p. 309.
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LA CHIAVE DELL’APOCALISSE
Suo nome: “Mistero, Babilonia,… la madre delle meretrici”
“Mistero”, chi dice mistero dice religione. La Sacra Scrittura ci presenta due misteri: quello della “pietà, Dio manifestato in carne” e il suo opposto, quello dell’iniquità, la creatura, l’uomo che prende il posto di Dio, e si fa Dio.66 “Il carattere di Mistero è una particolarità del sistema della Roma moderna e dell’antica Babilonia. Il linguaggio del Nuovo Testamento che indica la Babilonia ci rimanda alla Babilonia antica. Nello stesso modo la donna di cui parla l’Apocalisse, l’antica Babilonia, viene descritta dal profeta Geremia LI:7, mentre tiene in mano una coppa per inebriare le nazioni: “Babilonia era nelle mani dell’Eterno una coppa d’oro, che inebriava tutta la terra; le nazioni hanno bevuto del suo vino, perciò le nazioni sono diventate deliranti””.67 Non è una analogia di linguaggio nel testo biblico. È la presentazione di un sistema, di un potere, di una religione che ha le sue origine in terra di Mesopotamia, riempie la terra intera e trova la piena, completa realizzazione e manifestazione alla fine dei tempi nella Babilonia apocalittica. “Bisogna capire che i re babilonesi si consideravano come dei capi religiosi e anche politici. Essi erano gli esecutori di Marduk (figlio del sole) il re dell’universo e signore supremo (Bel) che regnava al di sopra di 50 dèi maggiori che gli avevano dato i loro nomi e attributi... Babilonia ha anche acquisito la reputazione di essere una “città santa”.68 Il Dio supremo stabiliva l’ordine e la legge, mediante il re che era il suo “vicario” ufficiale o “gran sacerdote”, i cui ordini, come quelli di un dio, non potevano essere cambiati.69”.70 Già nell’antica Babilonia “la corrente monoteista nelle preghiere e negli inni rivolti a Marduk è a volte talmente pronunciata che, se si sostituisce Yahwé o Dio a Marduc, queste preghiere ed inni potrebbero fare parte del servizio giudaico o cristiano di oggi”.71 Il Mistero di Babilonia ha il suo germoglio ai tempi di Nimrod,72 la cui moglie Semiramide, regina di Babel, dopo la morte del marito ha dato origine ad un culto nel quale veniva adorata come Rhea, la Grande Madre degli dèi, identificata successivamente con Venere, la madre di tutte le immoralità, Iside, Astarte, ecc.
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1 Timoteo 3:16. Isaia 14:14; 2 Tessalonicesi 2:17. HISLOP Alexander, Les Deux Babylones, ed. Fischbacher, Paris 1972, pp. 6,7. 68 BOTTERO J., La religion babylonienne, Paris 1852; INGGREN H., Religions of the Ancient Near East, Philadelphia, Westminster 1973, pp. 83-85. 69 DHOME E., Les religions de Babylone et d’Assyrie, Mana, Paris 1949, pp. 198,199. 70 LaRONDELLE Hans, Jérusalem et Babylone: signification Théologiques, in AA.VV., Études sur l’Apocalypse, t. II, Istitute Adventiste du Salève, France, p. 90. 71 The Civilisation of Babylonia and Assyria, Bloom, New York 1915, 1973, p. 217; cit. H. LaRondelle, o.c., p. 91. 72 Genesi 10:8-11;11. Nimrod significa “il ribelle”. 67
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I culti originati in Babilonia presentano: il re divino, la dea madre, l’adorazione del sole, l’osservanza del primo giorno della settimana, l’immortalità dell’anima. Dalla Mesopotamia si sono estesi per tutta la terra e Roma li ha tutti assorbiti, metamorfosati in chiave evangelica, mascherati, e affinché non siano riconosciuti sono stati proposti nel nome della Parola di Dio. “Il sistema... nato nei recinti sacri dei grandi templi sumerici passò in Egitto verso il 2800 a.C., a Creta e nella valle dell’Indo verso il 2600 a.C., in Cina verso il 1600 a.C. e in America nei successivi mille anni... Frazer ha mostrato che il mito del dio Osiride, morto e risorto, assomiglia strettamente a quelli di Tammuz, di Adone e di Dioniso, e che tutti erano collegati, nel periodo del loro sviluppo preistorico, ai riti del re divino ucciso e risorto. Inoltre le più recenti scoperte archeologiche dimostrano che il primo centro da cui si diffuse l’idea di uno Stato governato da un re divino fu quasi certamente la Mesopotamia”.73 “Se la prima di queste parole ”mistero”74 è soprattutto destinata a mettere in risalto l’infedeltà della Chiesa verso Dio, la seconda “Babilonia”75 ci rivela piuttosto la sua profonda mondanità. Come la grande metropoli essa è seduta sulle grandi acque, cioè la sua influenza si esercita sui popoli più diversi... La donna abbraccia il mondo, si lascia abbracciare da lui, la sua universalità, la sua cattolicità non è per nulla quella che il profeta promette a Gerusalemme, ma quella di Babilonia.76 Man mano che penetrava presso i popoli pagani, essa stessa diventava pagana; al posto di elevare il mondo al suo livello, essa è discesa al livello del mondo. È così che anticamente Iezebel e Balaam, piuttosto di convertirsi al Dio d’Israele, hanno indotto il popolo eletto all’idolatria”.77 È la madre delle meretrici. Il termine “madre” implica che Babilonia ha delle figlie, delle imitatrici, che cercano di rivaleggiare con lei, da qui la “confusione” che regna nel mondo religioso. Questa espressione è corrente: “Gli occhi guardano verso Roma, madre e signora (padrona) di tutte le Chiese, noi attendiamo che la parola dell’avvenire ci sia data”. “Tutto (da dopo la prima guerra mondiale) tende finalmente
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CAMPBELL Joseph, Mitologia Orientale, Oscar Mondadori, p. 60. “M. de Montmorency, essendo ancora a Roma nel tempo in cui si parlava liberamente e del santo Padre e della Santa Sede, apprese da un uomo degno di fede che in verità la tiara pontificale aveva scritto sul frontale in lettere d’oro: MYSTERIUM. E che poi, essendo stata rifatta la tiara da Giulio, al posto di MYSTERIUM, c’era scritto il suo nome in lettere di diamanti, JULIUS PONTIFEX MAXIMUS. François Le Moyne e Brocard assicurarono ugualmente, in base a testimoni oculari, che fu Giulio III che fece sparire questa iscrizione. Vedere Vitringa, Daubuz e il vescovo Newton” Cit. da L. Gaussen, o.c., t. I, Paris 1850, nota f, pp. 438,439. 75 Babilonia non era solamente la capitale del traffico, ma anche dei culti: “Esistono in complesso a Babilonia 53 templi dei grandi dèi; 55 cappelle di Marduk; 300 cappelle per le divinità della Terra; 600 per le divinità del cielo. 180 altari per la dea Ishtar; 180 per gli dèi Nergal e Adab e 12 altri altari per i vari dei”. Simile politeismo con tanti culti e riti, che giungevano fino alla prostituzione palese, dovevano avere conferito alla città, secondo i nostri odierni concetti, un aspetto addirittura da fiera annuale. - Agli ebrei in esilio le abominevoli tentazioni e seduzioni che a Babilonia facevano parte della vita quotidiana rimasero impresse indelebilmente nella memoria. Attraverso i secoli, fino ai tempi di Cristo, la metropoli lussuosa fu per loro Babilonia la grande, la madre delle meretrici e delle abominazioni della terra (Apocalisse 17:5). Il concetto di “Babilonia peccaminosa è nel vocabolario di tutte le lingue” KELLER W., La Bibbia aveva ragione, t. II, ed. Garzanti, Milano, pp. 267,268. 76 Vedere Isaia 2:2-4; Geremia 50 e 51. 77 AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 301. 74
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ad avvicinare le diverse Chiese particolari alla Madre e Signora (padrona) di tutte le Chiese”.78 Il cardinale Bea scriveva: “I fratelli separati sono l’oggetto di un ardente e tenero affetto da parte della nostra santa Madre Chiesa... La Chiesa non può mai disinteressarsi dei suoi fratelli separati. Essi sono i suoi membri, benché non nel senso pieno; essi sono i suoi figli e, a causa di questo, essi sono necessariamente l’oggetto delle sue cure materne. Essa ha dunque lo stretto dovere di fare del tutto per ricondurli nel suo seno, affinché essi abbiano la vita nella sua pienezza, e gioiscano pienamente di tutti i loro diritti e privilegi di figli. E la Chiesa è sempre stata cosciente di questo dovere come lo mostrano i Concili di unione celebrati a Lione (1274) e a Firenze (1439-1442), come anche gli sforzi del Concilio di Trento...”.79 Sua ubriachezza
“Ebbra del sangue dei martiri di Gesù”. L’evangelico H. Bolomey, nel brano che segue, rievoca il passato, ma conclude con uno sguardo rivolto al futuro: “Queste righe richiamano alla nostra memoria i ricordi degli orrori indescrivibili e senza numero dell’Inquisizione, delle camere di tortura, dei palchi, dei roghi delle moltitudini di vecchi e giovani, uomini e donne, messi a morte con le più crudeli torture, su ordine del clero apostata assetato del sangue dei fedeli testimoni di Gesù Cristo. La Roma pagana ha ugualmente versato questo prezioso sangue. Tuttavia noi non abbiamo in questo passo il minimo sottinteso ai crimini della Roma pagana. Se questo versetto facesse allusione ai crimini degli imperatori romani contro i cristiani, l’Apostolo non sarebbe stato colto da grande stupore, poiché ciò sarebbe stato normale. Il fatto che la Roma pagana, votata al culto di Marte, di Giove, di Venere e di tante altre divinità della mitologia antica, si irritasse e giungesse fino a perseguitare i discepoli del Salvatore che mettevano alla luce tutte le loro depravazioni, era assolutamente naturale, e non era nessuna causa di stupore. Ma vedere la persecuzione venire da ciò che era supposto personificare la Chiesa era abbastanza sconcertante per riempire l’Apostolo di stupore. Ahimè! l’ultima pagina delle persecuzioni della prostituta non è ancora scritta. Cosa sarà quando ritroverà, presso le potenze di questo mondo, il suo prestigio e la sua autorità passata? Quando essa sarà seduta sulla bestia a dieci corna, esercitante tutta la sua autorità con l’approvazione e l’appoggio della bestia?”.80 Del passato riportiamo un pensiero di Tommaso d’Aquino: “Gli eretici che, dopo una seconda ammonizione, si ostinano nel loro errore, meritano non solamente di essere colpiti con una sentenza di scomunica, ma ancora di essere abbandonati alle potenze secolari per essere sterminati. Corrompere la fede che è la vita dell’anima è, 78
Dichiarazione dell’episcopato francese, Semaine religieuse de Paris, 25/8/1906, n. 251. - YVES de la Brière, L’Organisation internazionale du Monde, vol. I, Spes, Paris 1930, p. 285; cit. J. Vuilleumier, o.c., p. 308; siamo noi che abbiamo aggiunto quanto messo tra parentesi. 79 BEA Agostino, Documentation Catholique, del 15/1/1961. 80 H.A. Bolomey, o.c., pp. 207,208. Quando la profezia diventa storia
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in effetti, molto più grave che falsificare i soldi che servono unicamente alla vita temporale. Se dunque i falsari e altri malfattori, appena presi, sono giustamente messi a morte dai principi secolari, quanto più gli eretici, dal momento che sono convinti di eresia, possono essere giustamente uccisi. Così la Chiesa, dopo un primo e un secondo avvertimento, disperando di convertirli, se si ostinano nel loro errore, rigettarli dal suo seno mediante scomunica per proteggere la salvezza degli altri, poi essa abbandona i ribelli alla giustizia secolare affinché siano sterminati dal mondo mediante la morte”.81 Mons. d’Hulst, nella sua predicazione di quaresima del 1895 pur avendo un senso di disagio e vergogna cercò di convincere la Chiesa del giusto principio della morte degli eretici. “L’intervento del braccio secolare nella cause d’eresia ha lasciato dei ricordi che sono come un incubo per l’immaginazione dei nostri contemporanei. È per molti uomini di opinioni molto diverse il grande scandalo della storia ecclesiastica. I nostri nemici in cattiva fede vi trovano molto materiale per declamazioni furiose; i nostri avversari in buona fede vi trovano la pietra d’inciampo che li ferma sulla strada del ritorno; infine, tra i nostri amici, i nostri fratelli, non sono rari coloro che osano appena guardare in faccia questo problema storico. Essi chiedono alla Chiesa il permesso di ignorare o di rinnegare tutti gli atti del suo passato, tutte le istituzioni che hanno messo l’obbligo al servizio dell’ortodossia. E quando la Chiesa rifiuta a loro questo diritto, quando essa condanna la tesi del liberalismo assoluto, quando essa difende, se non nei dettagli delle sue applicazioni, almeno nei suoi principi, una legislazione che fosse quella dei grandi secoli della fede, allora è il disordine profondo che s’impossessa delle anime, che lascia la credenza esitante o rattristata di fronte all’empietà ironica e trionfante”.82 Nelle sue conferenze all’Istituto Cattolico di Parigi, il cardinale A. Baudrillart diceva: “Il soggetto che affronto oggi è più delicato e penoso: è un punto doloroso che vado a toccare. La Chiesa cattolica veniva ricordata recentemente con una donna di bel linguaggio nel pulpito di Notre-Dâme, ha il rispetto delle coscienze e della libertà; con San Bernardo, i Padri, i teologi, essa crede e professa che “la fede è opera di persuasione, non di forza, fides suadenda est, non imponenda”; essa ha e dichiara molto forte l’“orrore del sangue” e, tuttavia, di fronte all’eretico, non si stanca di persuadere; gli argomenti di ordine intellettuale e morale le sembrano insufficienti; essa ha ricorso alla forza, ai castighi corporali, ai supplizi; crea dei tribunali come quelli dell’Inquisizione; invoca le leggi dello Stato: se necessario, dichiara la crociata, la guerra santa, la guerra di religione e tutto il suo “orrore del sangue” va praticamente a farlo versare al braccio secolare quando è d’accordo, cosa che è quasi più odiosa del fatto di versarlo da sé. È quello che lei ha fatto particolarmente nel XVI secolo nei confronti dei protestanti. Essa non si è limitata a rigenerare moralmente, a predicare l’esempio, a convertire i popoli mediante predicatori e santi missionari, essa ha acceso in Italia, nei Paesi Bassi e soprattutto in Spagna, i roghi dell’Inquisizione; 81
D’AQUINO Tommaso, Summa, 11a, 11ae, question XI, articolo 3. HULST, L’Eglise et l’État, p. 127; cit. BAUDRILLART Alfred, L’Eglise catholique, la Renaissance, le Protestantisme, Paris 1905, pp. 241,242.
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in Francia, sotto Francesco I ed Enrico II, in Inghilterra, sotto Maria Tudor, ha torturato gli eretici; in Francia e in Germania, durante la seconda metà del XVII secolo, se non ha cominciato, almeno ha incoraggiato ed efficacemente sostenuto le guerre religiose... c’è là - nessuno mi può contraddire - in ogni caso un grande scandalo per gli uomini del nostro tempo”.83 Del canonico Muzzarelli, autore di un articolo sull’Inquisizione destinato ai seminaristi e al clero, si può leggere alla fine del V tomo della Histoire de l’Eglise de Berault-Bercastel: “Nella corruzione universale (del XVI e XVII secolo), quali sono i Paesi che sono rimasti più riparati da questa inondazione (della Riforma)? È la Spagna e l’Italia, precisamente i due regni in cui l’Inquisizione era meglio stabilita e più efficiente. È vero che è stato necessario sacrificare qualche migliaio di persone (sic!) al fuoco per salvare il resto dall’incendio divoratore... L’Inghilterra sprovvista di questa difesa, dopo essere stata bagnata dal sangue dei suoi più illustri cittadini, è restata la preda infelice e senza ritorno dell’idra uscita dal seno della nuova Riforma. L’Olanda ha subito la stessa sorte, la Germania e la Francia, dopo una lunga serie di guerre e di carneficine, non hanno potuto, in due secoli e più, cacciare le bestie feroci e pestilenziali che vi sono penetrate. Ora negare contro tali prove il fatto utile dell’Inquisizione, è negare ostinatamente la luce, in presenza pure del bagliore che emanano gli astri luminosi”. C. Gross, commenta: “È dunque chiaro che se la cattolicità di oggi non è passata al protestantesimo, è perché si è fissato un prezzo nel passato. Si sono sacrificati i padri per salvare i figli. Che il Signore perdoni, non sanno quello che dicono”.84 A1 Concilio Vaticano II si è dichiarato che la Chiesa ha, nel corso dei secoli, conservato e trasmesso la dottrina della libertà religiosa ricevuta da Cristo e dagli apostoli e che “i modi di agire meno conformi o addirittura contrari allo spirito evangelico” che si sono manifestati qualche volta nella vita del popolo di Dio, sono dovuti alle vicissitudini della storia umana. “Tali affermazioni, scrive il Subilia, sono degli insulti non solo alla verità storica ma anche al sangue dei martiri”,85 ma malgrado questo il mondo protestante ritorna piano piano a Roma. 83
A. Baudrillart, Idem. GROSS Charles, La Femme et la Bête, 2 Conférences sur le chapitre 17 de l’Apocalypse, Metz, senza data, p. 17. 85 Cit. in Segni dei Tempi, numero speciale, Daniele e le sue profezie, p. 29. L’arcivescovo di Praga dichiarò al Concilio Vaticano II: “Sembra che la Chiesa cattolica nel mio paese stia espiando gli errori e i peccati commessi in suo nome nei tempi passati contro la libertà di coscienza, come fu nel secolo XV il rogo di Giovanni Hus e nel secolo XVII la forzata conversione di gran parte del popolo boemo alla fede cattolica in base al principio “cuius regio eius religio”” Cit. da V. Subilia, o.c., p. 244. L’Inquisizione, scrive l’avvocato parigino Edmond Paris, fu poca cosa se ci si rende conto degli orrori che commisero i rappresentanti della Chiesa romana nel periodo nazista. Per non dimenticare, riportiamo come esempio quanto avvenuto in terra croata. Nel 1941 la Jugoslavia fu invasa dagli eserciti di Hitler e di Mussolini. Tedeschi e Italiani si divisero la Slovenia e la Dalmazia, il nord del paese, la Voîvodina fu ceduta all’Ungheria, il sud (Kosovo) all’Albania, la Macedonia alla Bulgaria. Con la Croazia, la Dalmazia, la Bosnia-Herzégovina e lo Srem fu formato lo Stato fascista satellite detto “Stato Indipendente di Croazia” la cui proclamazione è avvenuta il 10 aprile. A capo di questo Stato fu messo Anté Pavelitch, capo dei fascisti croati chiamati hustascia. Lo Stato di Pavelitch è considerato come Stato teocratico, una vera Civitas Dei. “Questo carattere divino è stato sottolineato dal cattolico Mile Budak in un discorso pronunciato a Karlovac, il 13 luglio 1941: “Il movimento hustascia è basato sulla religione. È prima di tutto la fede nella nostra 84
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giusta causa e nella nostra fede profonda verso l’Onnipotente che non abbandona mai il giusto. È sulla nostra fedeltà alla religione e alla Chiesa cattolica che riposa tutta la nostra azione”. “Dall’inizio del suo (Pavelitch) regno, il governo hustascia convertì, con la forza, la popolazione serba. Le relazioni strette tra la Chiesa cattolica croata e il governo hustascia sono ben conosciute e permettono di provare che fra i prefetti hustascia si trovava un numero importante di sacerdoti cattolici” Martyrdom of the Serbs - Palandech’s Press, Chicago. (Monsignor Stepinac diventa membro del Parlamento hustascia, porta delle decorazioni hustascia, assiste a tutte le grandi manifestazioni ufficiali e nel corso delle quali pronuncia anche dei discorsi). Se i Croati sono in maggioranza cattolici, i Serbi appartengono alla religione ortodossa. Essi sono dunque, agli occhi di Roma, degli scismatici. Una vera guerra di religione divenne il pretesto di massacri, d’un genocidio del quale non si trova nessun esempio nella storia. Abiurare a profitto del cattolicesimo croato, rinnegare la terra e le credenze dei propri avi, convertirsi per forza o morire... tale fu la lotta di diverse centinaia di migliaia degli abitanti serbi della Croazia tra il 1941 e 1945. Il 27 luglio, il dottor Mladen Lorkovitch, ministro degli Affari Esteri, dichiarava nel corso di una conferenza a Danji Miholjac: “Il popolo croato deve liberarsi dagli elementi estranei che indeboliscono i suoi sforzi. Questi elementi sono i Serbi e gli Ebrei”. La stessa confessione viene fatta nello stesso mese dal dottor Mile Budak, ministro dell’Educazione Nazionale e dei Culti, quando grida, il 22 luglio 1941, a Gospic: “Noi uccideremo una parte dei Serbi, ne deporteremo un’altra, e la terza parte, che sarà obbligata ad accettare la religione cattolica, si vedrà assorbita dall’elemento croato”. In Croazia furono i Gesuiti che impiantarono il clericalismo politico. Con la morte del grande tribuno croato, Raditch, la Croazia perde il suo principale oppositore al clericalismo politico che sposerà la missione dell’Azione Cattolica definita da Friédrich Muckermann. Questo gesuita tedesco, ben conosciuto prima dell’avvento di Hitler, la fece conoscere nel 1928 in un libro nel quale il cardinale Pacelli, in quell’epoca nunzio apostolico a Berlino, aveva scritto la prefazione. Muckermann si esprimeva in questi termini: “Il Papa chiama alla nuova crociata l’Azione Cattolica. È la guida che porta la bandiera del Regno di Cristo. Non si tratta soltanto della Chiesa, ma anche dello Stato, della Scienza e dell’Arte. L’Azione Cattolica deve inglobare l’Universo. L’Azione Cattolica significa la riunione del cattolicesimo mondiale. Essa deve vivere il suo tempo eroico perché è nel sangue dei martiri che è nata la prima èra del cristianesimo occidentale. E la nuova epoca può essere realizzata solamente al prezzo del sangue per Cristo”. (Ma il sangue dei martiri che viene versato non è quello dei cattolici, ma degli ortodossi). Il 28 aprile 1941, in piena notte, qualche centinaio di hustascia accerchiano i villaggi serbi di Gudovac, Tuke, Brezovac, Klokocevac e Bolac, nel distretto di Bjelovar. Arrestano 250 persone, fra le quali si annoverano il pope Bozin e l’istitutore Stevan Ivankovitch... La loro colonna, inquadrata dagli hustascia, esce lentamente dal villaggio e si ferma davanti a un campo. - “Scavate le vostre tombe!...”. Si legarono le loro mani dietro alla schiena con del filo di ferro, prima di gettarli nella buca che avevano scavato essi stessi e sotterrarli vivi. - La stessa notte, presso Vukovar, sulle rive del Danubio, altri hustascia sgozzarono circa 180 Serbi e gettarono i loro corpi nel fiume. - Nella città di Otocac l’ufficiale hustascia Ivan Saifer arresta il pope, che era anche deputato serbo, Branko Dobrosavljevitch, in compagnia di suo figlio e di 331 altri Serbi. Per restare fedele a una tradizione già sperimentata, il criminale fece scavare la tomba alle sue vittime, fece legare le loro mani dietro la schiena e li fece uccidere con l’ascia. Il pope e suo figlio furono suppliziati per ultimi, con questa atroce raffinatezza: il figlio fu tagliato a pezzi davanti a suo padre obbligato a recitare le preghiere degli agonizzanti. E appena il bambino rese l’ultimo respiro, i bruti si gettarono sul padre, strappandogli i capelli, la barba e la pelle, cavandogli gli occhi per non finirlo che dopo averlo torturato lungamente. Crimine ancora più terribile fu quello commesso dai banditi di Pavelitch al villaggio di Glina. Tutti gli abitanti furono uccisi ad eccezione di 20 bambini. Perché? Per impossessarsi di loro e legarli a delle assi che furono avvicinate a dei mucchi di fieno. Gli hustascia misero il fuoco ai mucchi affinché i bambini bruciassero, a cominciare dai piedi. Nei primi giorni del maggio 1941, il comandante di Banja Luka, un certo Viktor Gutitch, fece un viaggio attraverso tutta la Bosnia occidentale. Nella città di Sanski-Most si affrettò a far conoscere il suo programma: “Le grandi strade avranno il piacere di vedere passare dei Serbi, ma non ci saranno più Serbi. Ho dato, in effetti, degli ordini severi per sterminarli completamente. Io vi autorizzo a sterminarli dappertutto dove li incontrate e la benedizione vi sarà accordata, per questa azione, dal nostro Poglavnik Pavelitch e da me stesso. È così che voglio servire la volontà di Dio e quella del nostro popolo croato”. Nella conferenza pubblica del 2 giugno 1941, a Nova Gradiska, il dottor Milovan Zanitch, ministro della giustizia, tra l’altro diceva: “Tutti coloro che vennero nella nostra patria, 300 anni fa, devono sparire. Noi non nascondiamo il nostro pensiero. È la politica del nostro Stato, e quando noi l’avremo messa ad esecuzione, non faremo altra cosa ma solamente ciò che è scritto nei principi hustascia”.
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Con questo discorso si dava così il segnale ai grandi massacri, poiché nel giugno del 1941, più di 100.000 uomini, donne e bambini serbi furono uccisi in pochi giorni, torturati e massacrati nelle loro case, sulle strade, nei campi, nelle prigioni, nelle scuole e pure nelle loro chiese ortodosse. Un testimone oculare hustascia, Hilmia Berberovitch, prelevato il 20 ottobre 1942 da un gruppo di resistenti, diede descrizione alla polizia di Belgrado del massacro al quale partecipò nella Chiesa ortodossa serba di Glina: “Nella città di Glina avevamo arrestato e messo in prigione numerosi Serbi. In piccoli gruppi li abbiamo trasferiti dalla prigione alla chiesa. Il nostro capo ci munì di asce e di coltelli e poi cominciò il lavoro. Alcuni furono uccisi con un colpo al cuore. Altri furono sgozzati e altri ancora tagliati a pezzi a colpi di ascia. Non soltanto la chiesa fu trasformata in uno scannatoio, ma era un inferno di grida e di lamenti. Il massacro incominciò verso le ore 22 e finì solamente verso le 4 della mattina, e si rinnovò per otto giorni. Dopo ogni massacro, le nostre uniformi venivano cambiate, perché erano zuppe di sangue umano. Uno dei miei compagni hustascia mi ha confessato che, nella chiesa di Glina, 10.000 Serbi furono massacrati, tutti provenienti dal circondario di Topusko, Vrgin, Most e Glina”. Un altro testimone oculare sopravvissuto, Jednak Ljubon, così racconta quelle ore: “Gli hustascia hanno riunito qualche centinaio di persone del mio villaggio e del suo circondario e ci hanno trasferiti in camion a Topusko. Là, siamo rimasti prigionieri nel municipio fino alla nostra partenza per Glina, dove fummo direttamente condotti nella chiesa ortodossa della città. Gli hustascia ci spiegarono che la nostra presenza nella chiesa aveva lo scopo di farci assistere a un Te Deum cantato per la longevità del Poglavnik e quella dello ‘Stato Indipendente di Croazia’. Questa notificazione fece sorgere in noi qualche dubbio perché non ignoravamo che il Te Deum doveva essere fatto la sera. Ma, all’interno della chiesa, tutto sembrava essere preparato per la messa. Sentimmo che un camion si fermò davanti alla chiesa e un gruppo numeroso di hustascia non tardò a entrare, armato di asce e di coltelli. Dietro a loro si chiusero le porte. Gli hustascia cominciarono a massacrare il nostro gruppo nella chiesa... Benché ferito, facevo il morto... Un hustascia mi schiacciò la mano... Dalle grida che si alzavano vicino a me, compresi che un hustascia bruciava gli occhi di una vittima...” In uno dei suoi rapporti, il comandante di un gruppo di resistenza che, durante i terribili massacri dell’agosto 1941, arrivò con il suo distaccamento per proteggere la popolazione serba nella Bosnia orientale, descriveva gli avvenimenti con questi dettagli: “Durante il nostro viaggio al monte Javon, per Srebrenica e Ozren, tutti i villaggi serbi che attraversammo erano completamente deserti. Ma nelle loro case trovavamo qualche volta tutte le famiglie massacrate. Altrove, noi vedemmo dei bidoni riempiti di sangue umano. Sorpresi dall’arrivo del nostro distaccamento, gli hustascia non ebbero il tempo di portarli con loro. Nei villaggi tra Vlasenica e Kladanj, scoprimmo dei bambini impalati sui ferri appuntiti di un recinto, le loro piccole membra ancora ritorte dal dolore, come zampe di insetti infilati sugli spilli”. Il sangue serbo che gli hustascia hanno fatto colare durante la primavera del 1941 è come un fiume. L’autore di queste pagine, Hervé Laurière, precisa: “Abbiamo creduto indispensabile non presentare nulla che non fosse provato”. - (Un) campione (di questi orrori) fu un certo Peter Brzica, borsista del collegio francescano di Siroki Brijeg, in Herzégovina, e membro dell’organizzazione parareligiosa “Krizari” (i Crociati). Nella notte del 29 agosto 1942, Brzica riuscì, in effetti a sgozzare 1.360 persone. Anté Klaritch, frate francescano di Tramosnica, pronunciò queste parole nel corso di un sermone, nel luglio del 1941: “Voi siete delle vecchie donne e dovreste mettervi in gonnella, perché non avete ancora ucciso un solo Serbo! Se non avete delle armi servitevi delle asce, delle falci, e, dovunque incontrate un Serbo, tagliategli la gola”. I1 frate agostiniano Cievola, del monastero di S. Francesco, a Split, con gran stupore dei suoi concittadini, passeggiava nelle strade con una rivoltella sul suo saio, invitando il popolo ad abbandonarsi al massacro degli Ortodossi. L’arcivescovo Ivan Saritch era uno dei principali istigatori degli odi razziali e religiosi. Sapendo chi era Pavelitch, non ignorando la somma dei suoi crimini, questo prelato, che si credeva poeta, pubblicava dei versi a lui consacrati, per esempio una Ode a Poglavnik che inserì nel Hrvatski Narod, nel suo numero del 25 dicembre 1941. Uno di questi versi dice: “Dottore Anté Pavelitch, mio caro, La Croazia possiede in lui la felicità del Cielo, / Che il Signore del Cielo ti accompagni sempre, / O tu, nostra guida adorata!” (Affinché sia chiaro che lo sterminio dei Serbi sia avvenuto per motivazioni religiose) il 3 maggio 1941 il governo hustascia ha pubblicato il “Decreto sulla Conversione da una Religione all’altra”, istituendo presso 1a Direzione di Stato per 1a Ricostruzione, un servizio speciale, a capo del quale c’era il frate francescano Dionis Juricev, e nella competenza del quale convergevano tutti gli affari per la conversione degli ortodossi. Dodici giorni dopo, la cancelleria del Tribunale ecclesiastico dell’arcivescovado di Zagabria pubblicò, a proposito della conversione, una risoluzione di cui ecco i due articoli essenziali: “1. Solo possono essere accettate nella religione cattolica le persone capaci di provare che lo desiderano sinceramente e che sono convinte della sincerità della nostra religione e della sua necessità per la salvezza delle anime. 4- Le persone desiderose di abbracciare il cattolicesimo e che sono unite dal vincolo del matrimonio, che la Chiesa cattolica potrà convalidare, dovranno prendere l’impegno di fare battezzare i loro bambini alla nascita e di educarli Quando la profezia diventa storia
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nella fede della religione cattolica. Esse dovranno ugualmente imporre la loro conversione al cattolicesimo ai loro bambini (già nati) sui quali esercitano la patria potestà”.” LAURIÈRE Hervé, Assassins au nom de Dieu, Paris 1951, pp. 97,78,61,62,82,84,85,50,51,52,53,54-57,58,61,140,120,87-90,104,105. “Il 30 giugno 1941, il governo aveva indirizzato ai vescovi cattolici una ordinanza (n. 48468/41), che precisava in quali condizioni dovessero essere rilasciati dai municipi o dalla polizia, dopo avviso favorevole delle organizzazioni, i certificati d’onestà necessari agli ortodossi che desideravano convertirsi. Vi si leggeva: “3. Quanto al rilascio di questi certificati, bisogna fare attenzione che non siano rilasciati a sacerdoti, commercianti, artigiani e contadini ortodossi ricchi o in generale agli intellettuali ortodossi, salvo nel caso in cui si potrebbe provare la loro onestà (!) personale, poiché il governo ha adottato il principio che i certificati relativi a queste categorie di persone siano rifiutati. 4. I contadini potranno ottenere questa attestazione senza difficoltà, salvo se si tratta di casi eccezionali”. Il 16 luglio 1941, nella sua lettera n. 9259/41, il vescovado di Zagabria (Monsignore Stepinac) riconosce in questi termini la giusta ragione di questa discriminazione: “In ciò che concerne la conversione dei sacerdoti, degli istitutori, dei commercianti e degli intellettuali in generale, come degli ortodossi agiati, è fuori di dubbio che una estrema prudenza s’imponga in ciò che concerne la loro accettazione...”. Noi non siamo (scrive l’avvocato E. Paris) versati in diritto canonico, ma non possiamo non dire che questa disposizione autorizza ad accettare o rifiutare le conversioni secondo la categoria sociale dei candidati... L’episcopato croato, Monsignore Stepinac in testa, ammette chiaramente che il motivo di questa discriminazione è di ragione finanziaria e il R.P. Marcone, legato del papa, non trova nulla da ridire. La ‘grazia’ non fu dunque autorizzata a fare dei miracoli presso i Serbi troppo provvisti di beni temporali, e si vide, per la prima volta forse, la Chiesa applicare alla lettera la parola del divino maestro: “Più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli”. Il 18 maggio 1941 Pio XII ricevette con onore Anté Pavelitch e il suo seguito di omicidi, il massacro degli ortodossi batteva di già il suo pieno in Croazia... La gioventù hustascia dei ‘Crociati’, in numero di 206 e in uniforme, fu ricevuta in udienza dal papa il 6 febbraio 1942 in una delle sale più imponenti del Vaticano. Il redattore scrive che: “Il momento più toccante fu quando i giovani hustascia pregarono il papa di benedire Pavelitch, lo Stato Indipendente di Croazia e il popolo croato. Ogni membro ricevette una medaglia in ricordo” Katolicki Tjednik, settimanale cattolico, 15 e 22 febbraio 1942. Il 12 marzo 1942, per l’anniversario della sua intronizzazione, Pio XII scrive a Pavelitch: “Alle umili felicitazioni di vostra Eccellenza rispondiamo con i Nostri ringraziamenti e i Nostri desideri per la prosperità cristiana” Hrvatski Narod, 21 marzo 1942. Per il nuovo anno 1943, il papa ringrazia Pavelitch degli auguri che gli ha inviato con questo telegramma: “Per tutto ciò che Ci avete espresso a vostro nome e in nome dei Croati cattolici, Noi vi ringraziamo e inviamo con gioia la benedizione apostolica a voi e al popolo croato” Katolicki List, giornale cattolico, n. 3, 1943. Il 18 settembre 1946... il governo jugoslavo ordinò l’arresto di Monsignore Stepinac arcivescovo di Zagabria e primate della Chiesa cattolica in Jugoslavia. Le disposizioni erano: “Il Centro delle attività terroristica è l’arcivescovado” ha dichiarato il R.P. superiore Modesto Martinchitch, provinciale dei francescani. “Il palazzo dell’arcivescovo Stepinac a Zagabria è il centro dell’attività degli hustascia, dei ‘Crociati bianchi’ e dei ‘terroristi’”, ha affermato l’abate Yvan Salitch “Stepinac nascose gli archivi del governo di Pavelitch nel suo proprio palazzo. Nascose anche il tesoro hustascia, frutto dei saccheggi: trenta casse di oggetti d’oro, sinistre rassomiglianze con il contenuto delle casse trovate nelle cave della Reichsbank” Horizon, novembre 1946” PARIS Edmond, Le Vatican contre l’Europe, Paris 1959, pp. 251,252,225,244,245,239,241. “Monsignore Stepinac, che aveva, diceva lui, “la coscienza tranquilla” fu giudicato a Zagabria nel 1946. Condannato ai lavori forzati, gli fu di fatto, in effetti, assegnata la residenza nel suo villaggio natale. La penitenza era dolce, lo si vede, ma la Chiesa ha bisogno di martiri. L’arcivescovo di Zagabria è dunque stato posto, fin da quando era vivo, nella santa coorte, e Pio XII si affrettò a elevarlo alla dignità di cardinale per il “suo apostolato che brilla della più pura luce”. Si conosce il senso simbolico della porpora cardinalizia: colui che ne è rivestito deve essere pronto a confessare la sua fede “usque ad sanguinis effusionem” - fino all’effusione del sangue. Non si può negare in effetti che questa effusione fu abbondante in Croazia, durante l’apostolato di questo santo uomo, ma il sangue che fu sparso, come torrenti, non era quello del prelato, bensì degli ortodossi e degli Ebrei... I titoli al cardinalato a Monsignore Stepinac non sono contestabili. Nella diocesi di Gornjii Karlovac, che dipendeva dal suo arcivescovado, su 400.000 ortodossi che vi vivevano, 50.000 poterono rifugiarsi nelle montagne, 50.000 furono spediti in Serbia, 40.000 convertiti al cattolicesimo con terrore e 280.000 massacrati” (vedere HASSARD Jean, Vu en Yougoslavie, Lausanne 1947, p. 216.) PARIS Edmond, Histoire secrète des Jésuites, ed. Fischbacher, Paris 1970, pp. 249,250. “Il 10 febbraio 1960, il troppo famoso arcivescovo di Zagabria Alois Stepinac, è deceduto nel suo villaggio natale di Karlovice... La morte fornì al Vaticano l’occasione di una di quelle manifestazioni spettacolari, poiché numerosi
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sono i cattolici che non nutrono nessuna illusione sul “caso” Stepinac. Così, la Santa Sede non ha negletto nulla per dare tutto lo splendore possibile a questa apoteosi. L’Osservatore Romano in testa, tutta la stampa cattolica gli ha consacrato numerose colonne all’elogio ditirambico del “martire”, al suo “testamento spirituale”, al discorso di Sua Santità Giovanni XXIII, proclamando “i motivi di rispetto e di affetto soprannaturale” che l’avevano spinto ad accordare a questo cardinale, che non era della curia, gli onori d’un servizio solenne a San Pietro in Roma, dove lui stesso, il papa, dava l’assoluzione. E affinché nulla mancasse a questa glorificazione, la stampa annunciava l’apertura prossima di un processo - ma canonico questo - allo scopo di beatificare questo illustre defunto” E. Paris, idem, pp. 257,258 e come conclusione di questa valutazione della storia, in una vergognosa domenica del settembre del 1998, la cui data è da dimenticare, nel folclore dell’esaltazione religiosa, sua santità Giovanni Paolo II beatifica Alois Stepinac. “Ma quanto si è saccheggiato per quattro anni, non si è potuto del tutto camuffare. Dunque, così doveva testimoniare, il 15 novembre 1945, Ivan Salitch, il segretario personale di Monsignore Stepinac. Il ministro degli Affari Esteri, M. Alajbegovitch, alla vigilia della fuga del “governo”, si mise a pensare che il migliore nascondiglio fosse la residenza stessa dell’arcivescovo. Si portarono dunque al palazzo arcivescovile di Kaptol cinque pesanti casse che furono consegnate a Ivan Salitch e a un certo Laskovitch... C’era di tutto in quelle casse: i films, le fotografie e i discorsi di Anté Pavelitch, inoltre, ed era l’essenziale (gli archivi erano a parte), barre e pezzi d’oro, gioielli, pietre preziose, pezzi di apparecchi dentari in oro e in platino, fedi, orologi, braccialetti, in una parola tutto ciò che si era potuto spogliare a troppe vittime. Trecento chili d’oro e una grande quantità di pietre preziose, tale fu il bottino personale di Pavelitch... Anté Pavelitch si nascose per molto tempo - con il suo oro - nei conventi di S. Gilgen, vicino a Salzbourg, e di Bad-Ischl, vicino a Linz, in Austria. Egli portava degnamente la sua sottana. Da lì, sempre vestito da prete, raggiunse l’Italia dove visse a Roma, fino al 1948, sotto il nome di padre Gomez e Padre Benarez, in un convento che godeva del privilegio di extraterritorialità. Grazie al clero di Roma, partì per Buenos-Aires a bordo di un battello italiano nel novembre 1948. Arrivò in Argentina con un passaporto rilasciato dalla Croce Rossa Internazionale di Roma il 5 luglio 1948 a nome di Pal (Pablo) Aranyos. Due mesi dopo il suo arrivo in Argentina, Pavelitch ottenne dei documenti in regola dalle autorità, conservanti la sua falsa identità. Risiedette a Buenos-Aires, spendendo la sua fortuna acquistata come si sa, e che, al momento del suo arrivo in Argentina, era valutata a 250 chili d’oro e 1.100 carati di pietre preziose. Altri hustascia, meno fortunati di lui, arenarono in campi di concentramento che gli alleati avevano dovuto organizzare in Europa centrale, a Linz, Spital, Klagenfurt, Furnic, Trittling, Vajdmansdori, ‘Tristach, Walbach, Giasenbach, Trifajah, Volksberg, ecc..., come in Italia, a Fermo, Forlì, Modena, ecc... Si videro ben presto questi campi ricevere la visita di pii personaggi inviati da certe istituzioni cattoliche di Roma. Alla testa di una di esse si trovava una vecchia conoscenza di nome Krunoslav Draganovitch, hustascia dichiarato, uno dei membri del famoso “Comitato dei Cinque” per la conversione dei Serbi. A Draganovitch si erano aggiunti diversi ecclesiastici di origine yugoslava, più o meno traditori e collaboratori, ma che, come lui, erano riusciti, se non a imbiancarsi, almeno a non essere molestati. La banda andava da un campo all’altro, interessandosi soprattutto dei criminali di guerra, degli alti personaggi dell’ex “Stato Indipendente di Croazia”, dai loro più sanguinosi esecutori. Questa banda permise la fuga, dal campo di Fermo, di due abominevoli individui. Il primo, Lyubo Milos, che fu chiamato la iena umana, era responsabile della morte di più di 120.000 persone nel campo di Jasenovac. L’altro, lo spaventevole Max Luburitch, uno dei carnefici di Sarajevo, in una sola mattinata, aveva fatto appendere ai pali elettrici di questa città 56 persone appartenenti quasi tutte alla religione mussulmana. E ben presto in massa che la teppa hustascia uscì dai campi di concentramento alleati, vestita spesso, come Pavelitch, d’una sottana. I suoi salvatori la conducevano là dove essa era attesa. In Austria, questi hustascia trovarono degli asili sicuri nel convento dei Padri Francescani di Klagenfurt, in quello di Santa Catholica, proprietà dei Piccoli Fratelli di Salzbourg, ecc... In Italia, si offrì loro ospitalità a Rimini, Cento Celle, Conte Ferrata, San Paolo di Regola, San Giovanni Battista e al convento dei Francescani di Modena. A Roma, si vide rifugiare Max Luburitch, un celebre sgozzatore, e Krunoslav Draganovitch, davanti al quale si aprirono le porte dell’Istituto San Gerolamo. Egli riuscì pure ad essere protetto dall’I.R.O. (Organizzazione Internazionale dei Rifugiati, funzionante sotto il controllo delle Nazioni Unite). Questo Istituto di San Gerolamo è d’altronde rimasto, in Italia, il luogo di riallacciamento, il centro d’attività di tutti gli hustascia che non poterono approfittare dei buoni uffici di Draganovitch per emigrare in America del Sud. È la stessa cosa a Parigi di un convento francescano, animato da un prete croato, dove questi signori tennero delle conferenze. Dei comitati di hustascia esistono ugualmente nei campi attuali di Germania. Uno dei loro membri più attivi è l’abate Stjepan Kukolj, vecchio cappellano dei lavoratori forzati reclutati in Croazia... Quanto all’Austria, i comitati degli hustascia che vi esistono sono aiutati da Monsignore Rorbach, arcivescovo di Klagenfurt” H. Laurière, o.c., pp. 163-167. È per questa convivenza della Chiesa con i regimi sanguinari degli anni Quaranta che il 3 gennaio 1947 il Catholic Herald domandò una amnistia generale di tutti i criminali di guerra che chiamò “I prigionieri politici”, e si chiese: “Non è venuto il momento di passare la spugna?”. Quando la profezia diventa storia
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Osserva C. Gross: “La donna, dice Giovanni “è seduta sulla bestia” come un cavaliere sulla montatura che essa conduce secondo la sua volontà. Non è ciò che il papato ha fatto nel corso dei secoli, imponendo la propria autorità ai principi e ai re, che incoronava e pure decoronava qualche volta? A questo riguardo citerò un solo esempio, tra molti altri, quello dell’incoronamento di Enrico V, imperatore di Germania (il figlio pellegrino a Canossa). Ecco in qualche parola, il bravo e ingenuo abate Fleury, autore di una monumentale Histoire de l’Eglise, ci fa una relazione su quell’incoronamento: “Nostro signore, il papa, condusse Enrico V alla Chiesa, il sacro imperatore e sua moglie imperatrice. Ma, nostro Signore, il papa, seduto sulla sedia pontificale, teneva la corona imperiale tra i suoi piedi e l’imperatore e l’imperatrice abbassarono la testa, ricevettero la corona dai piedi di nostro Signore il papa. Ma, nostro Signore il papa improvvisamente colpì con il suo piede la corona dell’imperatore e la gettò a terra, allo scopo di dimostrare ch’egli aveva il potere di deporlo dall’impero se non si fosse mostrato degno. Ma i cardinali presero la corona e la posero sulla testa dell’imperatore”.86 Giovanni dice anche che questa donna “è seduta sulle grandi acque” delle quali l’angelo ci dice che è il simbolo “dei popoli, Pio XII inviava all’immondo Oswald Pohl la benedizione apostolica come garanzia della più alta consolazione celeste. “Pohl è stato condannato a morte al processo di Norimberga, ma fino ad ora la “giustizia” non ha applicato la sentenza. Pohl, che ha ricevuto la più alta benedizione di Pio XII, è l’uomo che ha ordinato la soppressione di milioni di Ebrei, in Polonia, e altri che sono stati assassinati nei campi di morte dei nazisti... È l’uomo che porta la responsabilità dei crimini più atroci. È su suo ordine che i campi di concentramento sono stati dotati di camere a gas (Parallèles, 19 aprile 1951)” vedere E. Paris, o.c., pp. 312,313. I1 nazismo ha potuto realizzare i suoi crimini e raggiungere il suo fine perché la sua organizzazione era come quella gesuita. “L’organizzazione delle SS era stata costituita da Himmler secondo i principi dell’Ordine dei Gesuiti. Le regole di servizio e gli esercizi spirituali prescritti da Ignazio di Loyola costituivano un modello che Himmler cercò con cura di copiare. Una obbedienza assoluta era la regola suprema; qualunque ordine doveva essere eseguito senza discussione. Il “Reichsführer SS” - titolo di Himmler come capo supremo delle SS - doveva corrispondere al “Generale” dell’Ordine dei Gesuiti e tutte le strutture della direzione erano ricalcate sull’ordine gerarchico della Chiesa cattolica” SCHELLENBERG Walter, Le Chef du contre-spionnage nazi parle, Paris 1957, pp. 23,24. “Mi ha detto Hitler: “Ho soprattutto appreso dall’Ordine dei Gesuiti... Fino a ora non c’è nulla di più grandioso sulla terra che l’organizzazione gerarchica della Chiesa cattolica. Io ho trasportato direttamente una buona parte di questa organizzazione nel mio partito... La Chiesa cattolica deve essere citata ad esempio...” RAUSCHNING Herman (vecchio capo nazionalsocialista del Governo di Dantzig), Hitler m’a dit, Paris 1939, pp. 266,267,273. Vedere E. Paris, L’Europe...., p. 279. Riportiamo un altro brano dell’avvocato E. Paris: “Quanto ai fuggiaschi, fecero ricorso alla Commissione Pontificia di Assistenza, creata apposta per salvare i criminali di guerra. Questa istituzione di carità li nascose nei conventi, principalmente in Austria e in Italia. I loro capi furono muniti di passaporti falsi che permisero loro di trasferirsi in paesi “amici” dove poterono gioire in pace del frutto delle loro rapine. Così fu per Anté Pavelitch, la cui presenza in Argentina è stata rivelata nel 1957, a causa di un attentato nel corso del quale fu ferito. In seguito, il regime dittatoriale si sciolse a Buenos Aires. Come l’ex presidente stesso, Peron, il protetto dovette lasciare l’Argentina. Dal Paraguay, dove si era trasferito prima, raggiunse la Spagna, ed è all’ospedale tedesco di Madrid che muore, il 28 dicembre 1959. Paris Press, 12.12.1959 indica l’ultimo asilo offerto al terrorista con questa breve, ma significativa frase: “Finisce in un convento francescano di Madrid”. È da là in effetti che Pavelitch fu trasferito all’ospedale dove pagava il suo debito alla natura e non alla giustizia, beffata da queste “complicità potenti” che è facile identificare” E. Paris, Histoire..., pp. 248,249. Sebbene Giovanni Paolo II in occasione della sua visita in Germania, 21-23 giugno 1996, abbia detto: “Anche se molti sacerdoti e molti laici, come gli storici nel frattempo hanno dimostrato, si opposero a quel regime (nazista, nda) di terrore, e anche se attivarono molte forme di opposizione nella stessa vita quotidiana, ciò fu tuttavia troppo poco”. Il debito del Vaticano con la storia è ancora alto. 86 FLEURY - abate - Histoire de l’Eglise, vol. XIV, p. 150; cit. da GROSS Charles, Les Avatars de la Bête - son image et sa marque, Metz 1989, pp. 62,63.
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delle tribù, nazioni e lingue”. Non contenta di esercitare la sua autorità sui principi e sui re, “le teste della bestia”, il papato si è anche sforzato di mantenere i popoli nel suo girone. Lo ha fatto nelle differenti lingue che parlavano questi popoli, mediante le sue scuole, i suoi seminari, i suoi ordini religiosi e le sue missioni. La Chiesa di Roma si è sempre detta “cattolica” cioè universale. Oggi ancora si sforza di mantenere la sua influenza sulle nazioni, mediante la sua diplomazia, la sua stampa, la sua radio e pure mediante le allocuzioni del suo capo supremo, ma non senza difficoltà”.87
Stupore di Giovanni
“E quando l’ebbi veduta, mi meravigliai di gran meraviglia”. Giovanni, nel vedere la donna, la Chiesa, colei che doveva portare al mondo la Parola dell’Iddio vivente, nella condizione di puttana, ubriaca del sangue dei figli di Dio, immagine che si trova solamente qui nella Bibbia, fu colpito da profondo stupore; il verbo greco suggerisce anche il senso di ammirazione. Del resto chi non rimane stupito, meravigliato, nel vedere le arti ammaliatrici di questa donna? L’angelo rimprovera l’Apostolo: “Perché ti meravigli?”. Roma può abbagliare la Terra quanto vuole, ma non suscita l’ammirazione del cielo, che conosce il segreto della sua opera e del suo successo. Presenta all’Apostolo il giudizio che subirà, svelandogli il significato della donna e della bestia che la porta.88 A cerniera di queste due sezioni, riportiamo il pensiero di K. Auberlen: “Dio ha permesso agli uomini, per aiutarli nel loro sviluppo quaggiù, di formare tra loro due grandi associazioni, lo Stato e la Chiesa. Sono due istituzioni molto preziose, sia l’uno che l’altra, lo Stato, dono del Dio Creatore, del Dio della natura, la Chiesa, dono del Dio della grazia e del Dio della Rivelazione. Ma, queste due istituzioni non raggiungono il loro scopo che per un piccolo numero di uomini, esse sono contaminate e più o meno denaturate dal peccato. Lo Stato diventa una bestia, la Chiesa una prostituta”.89
Seconda parte: la Bestia a 7 teste e 10 corna, sua identificazione “E l’angelo mi disse: “Io ti mostrerò il mistero della bestia... la quale ha le sette teste e le dieci corna. La bestia che hai veduta era, e non è, e deve salire dall’abisso e andare in perdizione. E quelli che abitano sulla terra i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo, si meraviglieranno vedendo che la 87
C. Gross, idem, pp. 62,63. “Si comprende appieno la indicibile meraviglia del veggente quando si ammette che nella donna mostratagli dall’angelo egli abbia riconosciuto e sospettato quella del capitolo 12”. E. Bosio, o.c., p. 112; vedere nota n. 59. 89 K. Auberlen, o.c., p. 293. 88
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bestia era, e non è, e verrà di nuovo. Qui sta la mente che ha sapienza. Le sette teste sono sette monti sui quali la donna siede; e sono anche sette re: cinque sono caduti, uno è, e l’altro non è ancora venuto, e quando sarà venuto, ha da durare poco.””90 In questa visione viene denunciata l’alleanza illecita, l’unione infame e odiosa, il matrimonio contro natura tra la politica e la religione; il regno che serve da piedistallo all’altare. Una bestia con nomi di bestemmia che porta la Chiesa degenerata. Quando la Chiesa cerca il dominio sullo Stato o il compromesso con esso si corrompe, degenera, si prostituisce: apostata. Giovanni viene posto a considerare la bestia nel momento in cui essa “era, e non è, e deve salire dall’abisso e andare in perdizione”. Questa bestia ha “sette teste (che) sono sette monti... e sono anche sette re”. Nel momento storico in cui Giovanni è posto a considerare i sette re: “Cinque sono caduti, uno è, e l’altro (il settimo) non è ancora venuto: e quando sarà venuto, ha da durare poco (tempo)”. Per la comprensione di questo linguaggio l’angelo dice a Giovanni: “Qui sta la mente che ha sapienza”. Riteniamo che su questo testo i commentatori abbiano commesso degli errori non indifferenti. Le spiegazioni sono state le più diverse senza trovare un consenso unanime, portando quindi a dire che questo “passo (è) reputato uno dei più oscuri del libro”.91 L’errore che accomuna la maggioranza degli interpreti è quello di voler vedere nella bestia l’Impero Romano.
Significato delle sette teste 1. Sette successive forme di governo dell’antica Roma
Si sono identificate le sette teste con sette successive forme di governo assunte da Roma nel corso dei secoli: - re - consoli - dittatori - decemviri - tribuni militari - imperatori - papi. Sebbene il numero e il valore dei sostenitori di questa tesi sia importante, essa non regge per due ragioni: alcune forme di governo sono senza importanza ed inoltre, se la VI testa rappresenta gli imperatori, e la VII il papato che doveva durare, secondo il testo di Giovanni, per breve tempo, essa è quella che invece è durata nel tempo più a lungo rispetto a tutte le altre.
90 91
Apocalisse 17:7-10. BRÜTSCH Charle, La Clartée de l’Apocalypse, 5a ed., Genève 1966, p. 282.
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Cinque re sono caduti. “La parola pipto (cadere) indica una caduta violenta, come la catastrofe che portò alla rovina dell’antica Babilonia, o quella che causerà la rovina della Babilonia apocalittica, e non è adatta per indicare i cambiamenti che si sono prodotti nei governi di Roma”.92
2. Sette imperatori
La spiegazione più classica, dei moderni teologi, è quella di vedere nelle sette teste, sette re, sette imperatori, perché la parola re può essere usata per imperatore. Non si trovano due interpreti che elenchino gli stessi imperatori, visto che ce ne sono stati più di sette93 e inoltre molti di questi commentatori pensano che il re, o l’imperatore che deve ritornare, debba essere Nerone, che, morto in Oriente, secondo una leggenda, avrebbe dovuto, ritornando a Roma, riavere il potere. Evidentemente si 92 ANDERSON Robert, The Coming King, 5a ed., London 1895, p. 203; cit. A.F. Vaucher, Les prophéties Apocalyptiques ..., p. 46. 93 1) Giulio Cesare assassinato nel 44 a.C. - 2) Augusto dal (30) 40 a.C. a1 14 d.C. - 3) Tiberino assassinato nel 37 4) Caligola assassinato nel 41 - 5) Claudio avvelenato nel 54 - 6) Nerone suicida nel 68 - 7) Galba assassinato nel 69 8) Otone suicida nel 69 - 9) Vitellio decapitato nel 69 - da Galba a Vitellio periodo di profonda crisi - 10) Vespasiano assassinato nel 79 - 11) Tito morto (avvelenato?) nell’81 - 12) Domiziano assassinato nel 96 - 13) Verva morto nel 98 - 14) Traiano morto nel 117 - 15) Adriano suicida nel 138. KENNETH A. STRAND, The Seven Heads: Do They Represent Roman Emperors?, in AA.VV., Symposium on Revelation - Book II, Frank B. Holbrook, Editor, p. 189, così riassume i tentativi di spiegare le 7 teste di alcuni preteristi:
Alcune interpretazioni preteristiche Imperatori Giulio Cesare Augusto Tiberio Calligola Claudio Nerone Galba Otone Vitellio Vespasiano Tito Domiziano
48 - 44 a.C. 27 a.C. - 14 d.C. 14 - 37 37 - 41 41 - 54 54 - 68 68 - 69 69 69 69-79 79-81 81-96
1 2 3 4 5 6 7
1 2 3 4 5 6
7
1 2 3 4 5 6 7
1 2 3 4 5
6 7
1 2 3 4 5 6 7
1 2 3 4
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D’ARAGON Jean Louis presenta questa nota: “Secondo l’interpretazione normalmente accettata, i cinque imperatori caduti sono Augusto, Tiberio, Gaio (Calligola), Claudio e Nerone. Non computando le tre deboli personalità dell’interregno, Galba, Otone e Vitellio, il sesto imperatore dovrebbe essere Vespasiano (69-79 d.C.). Per poco tempo: Tito, consumato dalla malattia, regnò soltanto dal 79 all’81 d.C. L’ottavo: il sucessore di Tito. Domiziano, in cui Nerone, per così dire è reincarnato” L’Apocalisse, in Grande Commentario Biblico Queriniana, ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 1464. Quando la profezia diventa storia
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spiega male come un apostolo, un profeta di Dio come Giovanni, potesse far passare per Parola di Dio, per rivelazione di Cristo Gesù, le favole degli uomini. Per eludere questa critica si è pensato di identificare questo imperatore che deve venire con Domiziano, presentatosi alla fine del primo secolo, che ha manifestato delle caratteristiche simili a quelle di Nerone.94 94 Riportiamo come BONNET Louis ha sostenuto questa posizione: “Noi siamo condotti così a vedere nei sette re sette imperatori romani. Per i cinque che sono caduti gli interpreti si accordano generalmente a enumerarli come segue: Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. Per il sesto, le opinioni divergono. Diversi vi vedono il successore immediato di Nerone, Galba, che regnò dal 9 giugno del 68 al 15 gennaio del 69. Durante il corto regno di questo imperatore l’Apocalisse sarebbe stata scritta. Il settimo re, che deve regnare per poco tempo, sarebbe Otone o Vitellio gli antagonisti di Galba. Infine Giovanni avrebbe atteso come l’ottavo Nerone, che riappare dopo la sua ritirata presso i Parti o risuscitato dai morti, secondo la forma di questa fiaba popolare alla quale egli (Giovanni) si sarebbe allacciato. Questo re è la bestia che era e che non è più e di cui si può dire che era uno dei sette poiché aveva di già regnato come il quinto della serie. Coloro che non possono ammettere che l’autore dell’Apocalisse abbia creduto all’assurda fiaba del ritorno di Nerone, generata dalla superstizione popolare, pensano che Giovanni sostituisca a questa fiaba la profezia dell’avvento dell’Anticristo, di cui Nerone era stato il prototipo. Ma tutta l’ipotesi della composizione dell’Apocalisse sotto Galba, che sarebbe il sesto re, ci sembra estremamente contestabile. Secondo il testo, questo sesto re sotto il quale l’autore scrive, ha avuto il regno d’una durata normale. È il suo successore che deve regnare poco tempo. Il regno di Galba non presenta un tale contrasto con i regni dei suoi due antagonisti, sia Otone sia Vitellio. E soprattutto ci sembra inammissibile che Giovanni abbia annunciato che il regno di Nerone, o l’avvenimento dell’Anticristo, si sarebbe manifestato immediatamente dopo il regno di Galba. L’avvenimento avrebbe smentito la sua profezia. Lui stesso avrebbe potuto correggerlo, poiché Giovanni visse ancora una trentina d’anni; e come avrebbe lasciato circolare un libro che si basava in gran parte su un errore? È molto più naturale supporre che, nella enumerazione degli imperatori, non tenga conto dell’interregno che avrebbe seguito la morte di Nerone, e durante il quale l’impero romano gli sarebbe apparso come la bestia che ha ricevuto la ferita mortale (13:3). Il sesto re è per lui Vespasiano, il restauratore della potenza imperiale. Il settimo è Tito, che non doveva regnare che poco tempo, e l’ottavo Domiziano. Il carattere cupo, crudele, ambizioso di questo secondo figlio di Vespasiano si era affermato nella lotta contro Vitellio in cui, come dice Svetonio (Domiziano 1) “egli aveva impiegato nell’esercizio del potere tanta licenza e violenza che aveva mostrato ciò che doveva essere”. Lo stesso storico (Tito 9) riporta che Domiziano non cessava di fare delle imboscate a suo fratello Tito. Guidato da questi indizi, illuminato anche dallo spirito profetico, Giovanni poteva molto bene avere avuto l’intuizione, dall’inizio del regno di Vespasiano, che Tito, suo figlio primogenito, non avrebbe occupato per molto tempo il trono e che il suo successore, Domiziano, sarebbe stato un nuovo Nerone, un tiranno crudele e persecutore. Una circostanza confermava ai suoi occhi questo presentimento: Domiziano sarebbe stato un ottavo imperatore; egli supererebbe dunque la serie dei sette imperatori destinati da Dio all’impero, prova certa che egli sarebbe stato una incarnazione satanica della bestia stessa, dell’impero persecutore, come era stato sotto Nerone, come non lo è per il momento, ma che riapparirà” o.c., p. 424. Questo modo di considerare il profeta Giovanni fa di lui un calcolatore di probabilità, un pronosticatore, un falso profeta, piuttosto che un uomo che riceve da Dio la sua parola. Il prof. CORSANI Bruno, decano della facolta Valdese di Roma, spiega: “È probabile che qui si alluda alla leggenda della risurrezione di Nerone (Nero redivivus) che si era diffusa poco dopo la sua scomparsa. La testa della bestia che è colpita a morte ma vive (13:3) potrebbe essere una allusione a questa superstizione popolare che credeva nel futuro ritorno dell’imperatore scomparso. Siccome Nerone era colui che aveva fatto strage di cristiani a Roma, l’idea di un suo ritorno faceva tremare i credenti” L’Apocalisse - guida alla lettura, ed. Claudiana, Torino 1987, p. 137, ed aggiunge in nota: “L’autore dell’Apocalisse, immaginando di parlare profeticamente al tempo di Vespasiano (sesto “re” dopo Augusto, Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone, saltando i brevi interregni consecutivi di Galba, Otone e Vitellio nel 68 d.C.) descriverebbe, dopo il breve regno di Tito, l’avvento al potere di Domiziano (ottavo re) come un nuovo Nerone, Nero redivivus, il quale riprende la persecuzione contro i cristiani. L’esattezza dei dati riguardanti gli imperatori sembra mostrare che la visione viene messa in scritto quando i fatti erano già avvenuti. (Wikenhauser). Profetizzando apparentemente la persecuzione di Domiziano, Giovanni scriverebbe in realtà mentre questa era ancora in corso. Così Cerfaux-Cambier, Wikenhauser” Idem, p. 174, nota 16. Contro questo modo di interpretare riportiamo alcune critiche. “Molti commentatori hanno spiegato queste sette teste come indicanti dei re, e supposto che quello che era stato ferito a morte sia stato Nerone, queste ultime parole alludono al fatto che Nerone sarebbe ritornato dalla morte per diventare anticristo. Ma questa idea era certamente non prevalente, (di poco valore) quando fu scritta l’Apocalisse. Solamente Tacito riferisce che c’erano molte dicerie sulla morte di Nerone; c’era chi diceva che era vera, e c’era chi diceva che Nerone era ancora vivo e che sulla base di questo un falso Nerone si sarebbe presentato. Il primo a
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Giovanni dice che le teste rappresentano sette monti e nel linguaggio dei profeti dell’Antico testamento essi raffigurano imperi, potenze e mai individui.95 Nel libro del profeta Daniele le teste delle bestie non sono in relazione con degli individui. Le teste del leopardo raffigurano i regni che hanno smembrato l’Impero GrecoMacedone. Così in Apocalisse le teste devono rappresentare dei regni e non delle persone. Per quanto poi riguarda la spiegazione delle dieci corna, la loro identificazione, in questa prospettiva, “è più difficile di quanto sia stato per le sette teste trovare delle referenze storiche”.96 Si è pensato a dieci proconsoli romani o a dei principi vassalli dell’Asia minore. Qualsiasi spiegazione data in questa prospettiva urta contro la critica obiettiva di Oscar Cocorda: “Questa teoria restringe così l’Apocalisse ad una parte della storia dell’impero antico, la rimpicciolisce tanto da renderla priva di senso ed interesse”. L’esegeta cattolico Ernest Allo giustamente fa notare: “La parola cadere, indicherebbe in questo testo che si tratta di dinastie e non di individui”.97 3. Sette colli di Roma
Qualcuno pensa che questi sette monti sarebbero i sette colli98 sui quali i poeti dell’antichità Virgilio, Orazio, Ovidio, Properzio, hanno cantato la fondazione della città, sede dell’impero e degli dèi che presiedono sul mondo intero. Questo è bello in poesia, ma il testo dice: i “sette monti... sono anche sette re”. menzionare l’idea di Nerone che ritorna dalla morte è Agostino (Città di Dio, XX,19,3), spiegando 2 Tessalonicesi 2:3. Ma bisogna osservare che Agostino non mette questa idea in relazione con l’Apocalisse” ALFORD Henry, Revelation, in The New Testament for English Readers and a Critical and Explanatory Commentary, vol. 2, London 1866, p. 74 ; siamo noi che abbiamo aggiunto quanto tra parentesi. “Comunque l’idea che la rappresentazione del ritorno alla vita della bestia colpita a morte o colpita in una delle sue teste... riposi nel mito del ritorno di Nerone, non è compatibile con la storia di questo mito.... Il pensiero che Nerone sarebbe risorto dopo il suo suicidio - ma i suoi ammiratori pagani credevano ch’egli non fosse morto, ma che si era rifugiato tra i Parti da dove sarebbe ritornato a Roma per vendicarsi dei suoi nemici e riprendere il trono - fosse ancora immutata agli inizi del secondo secolo, non era più possibile in quel tempo perché Nerone, nato nel 37 fosse ancora vivo” ZAHN T, Introduction to the New Testament, Edimburg 1909, p. 443. D. Guthrie fa notare che nei capitoli 13 e 17 non c’è nessun riferimento ai parti. Per lui la bestia rappresenta l’incarnazione del male, un concetto chiaramente comprensibile senza ricorrere al mito di Nerone. Questo mito, che ha le sue origini in Tacito, è diventato una “canzonatura” (ludibrium) al tempo di Domiziano, in quanto questo riferimento a Nerone, che non fosse realmente morto, si poneva in un tempo in cui l’idea non era più creduta da nessuno, perché troppi anni erano passati dalla sua presenta scomparsa. Vedere GUTHRIE D., New Testament Introduction, London 1970, pp. 953,954. B. Rigaux, forse sentendosi in minoranza, propone la seguente soluzione: “Ci sembra dunque probabile che Giovanni abbia conosciuto e abbia utilizzato la leggenda di Nerone redivivo nella sua descrizione della Bestia. Nulla tuttavia prova che abbia creduto a questa leggenda. È molto improbabile. Tutto è simbolico nella descrizione della Bestia” RIGAUX Béda., L’Antéchrist et l’Opposition au Royaume Messianique dans l’Ancien et le Nouveau Testament, Università Cattolica di Lovano, Paris 1932, p. 353. Lasciamo al lettore trarre le sue conclusioni. 95 Geremia 51:24,25; Daniele 2:34,35,44,45. 96 C. Brütsch, o.c., p. 284. 97 E. Allo, o.c.. 98 Quirinale - Viminale - Esquilino - Campidoglio - Celio - Aventino - Palatino. Quando la profezia diventa storia
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Giovanni non fa una allusione geografica: occorre “una mente che ha sapienza” per comprendere. A questo modo di spiegare il testo biblico, l’abate Moglia così protesta: “Noi non possiamo ammettere che la città di Roma sia mai stata o debba essere la grande Babilonia seduta su sette montagne e sulle acque, poiché lo Spirito Santo si è degnato di spiegarci che queste sette montagne sono sette re, e che queste acque rappresentano non il mare propriamente detto, ma i popoli, le nazioni e le lingue. D’altronde quale è l’uomo giudizioso e di buona fede che possa riconoscere la città di Roma nel quadro di Babilonia, città immensa, chiamata per antonomasia la grande città, centro di ricchezze, di lusso, di depravazione, di commercio, focolaio delle più fatali influenze su tutti i popoli della terra”.99 Inoltre, al tempo dei Cesari, e quindi di Giovanni, la città di Roma si estendeva su dodici colli e non su sette.100
4. La somma delle teste delle quattro bestie di Daniele
Sommando le teste delle quattro bestie di Daniele si ottiene il numero sette. Il valore di questa supposizione ha la verità numerica della coincidenza. Porrebbe Giovanni però non nel futuro della storia, nel tempo del giudizio, ma nel passato. Con questo calcolo le cinque teste cadute, e una è, ci colloca ancora nel tempo dei diadochi dell’Impero Greco e il VII regno che durerà poco sarebbe l’Impero Romano. 5. Sette teste = sette monti = sette re, regni, potenze universali
“Le sette teste sono sette monti... e sono anche sette re”. È evidente che per Giovanni le teste, le montagne e i re sono la stessa e identica cosa. Nella profezia le montagne rappresentano qualcosa di stabile, di potente. Sono quindi un simbolo. Servono per indicare degli imperi. L’abate Crampon scriveva: “Al seguito di Andrea di Cesarea e di Bède... nello stile profetico-biblico, le montagne figurano la sede delle potenze, e per conseguenza le potenze stesse. Così Geremia chiama Babel “una montagna” perché essa domina su un gran numero di paesi e di città”.101 “Che rapporto c’è tra re e colline? - si chiede K. Auberlen - Bisogna assolutamente intendere queste montagne in modo che esse possano presentare alla nostra mente una idea analoga a quella del re; ora questa analogia salta agli occhi quando ci rendiamo conto di ciò che vuol dire una montagna nel linguaggio profetico. E allora ognuno 99
MOGLIA Pierre, Essai sur le livre de Job, t. I, p. 100; A.F. Vaucher, Babylone, o.c., p. 9. Oltre ai sette colli elencati nella nota n. 98, a sinistra del Tevere c’è il Pincio e sulla destra il Gianicolo, monte Mario, il Vaticano e Monteverde. 101 A. Crampon, o.c., p. 427,428; vedere Geremia 51:24,25. 100
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comprenderà il rapporto che c’è tra una testa e una montagna. Come la testa comanda a tutto il resto del corpo, così una montagna domina tutto il paese che lo circonda. Una montagna è una potenza nel senso più indeterminato della parola, potenza terrestre o potenza divina “Sion”. Noi troviamo più d’una volta nella Bibbia le montagne della terra opposte a quella di Dio.102 In Geremia Babele è opposta a Sion come una montagna corruttrice che distrugge tutto il mondo. Isaia descrive in termini che richiamano Daniele il trionfo del regno di Dio sui regni della terra... In Habacuc le montagne antiche non sono altro che i popoli pagani”.103 “Ogni re, dice de Rougemont, simboleggia un regno, e la montagna è la figura di un potente stato, di un Impero. Le sette teste sono le sette monarchie universali”. L’abate Joseph Maître, ricordando lo stile profetico, conclude dicendo: “Sembra dunque confermato, secondo lo stile biblico, di vedere nell’espressione “re”, applicata dall’angelo dell’Apocalisse alle 7 teste della bestia che appare a Giovanni, non dei re singoli, ma dei re “regni”, “imperi”. Sono come delle montagne che dominano la storia del mondo tale quale essa appare al veggente di Patmos”.104 Oscar Cocorda scriveva: “Il fatto che il Dragone, tipo delle altre bestie, abbia le sette teste, dimostra vieppiù che queste sono un elemento generale. Difatti, se il Dragone è l’essenza e il compimento delle potenze nemiche di Dio, e se le Bestie sono le immagini del Dragone, le loro sette teste debbono rappresentare la serie di quelle potenze stesse. Non possono dunque simboleggiare né sette forme del governo romano, né tampoco sette romani imperatori. - Le sette teste del Drago sono l’emblema delle sette monarchie universali”.105 102
Isaia 2:2; Ezechiele 35:1; 36:15. K. Auberlen, o.c., pp. 272-274; vedere Geremia 51:24,25; Isaia 41:15,16; Daniele 2:35; Habacuc 3:6. Riteniamo utile far notare a sostegno di questa spiegazione che Babilonia geograficamente era collocata in una estesa pianura dell’Eufrate, nessuna montagna era messa in relazione con la città. Geremia la presenta come una montagna. Intenzionalmente la montagna ha valore di forza. 104 MAÎTRE Joseph, La prophétie des papes attribuée à S. Malachie, Paris 1901, p. 388. 105 COCORDA Oscar, Le sette Teste dell’Apocalisse o una chiave profetica, Torre Pellice, 1892, p. 17. “Il carattere della Bestia del mare conferma la tesi che le sette teste sono un elemento generale della profezia. Tutti riconoscono due cose: ch’essa è l’immagine del Drago, e che è il compendio delle quattro Bestie di Daniele. Il primo punto risulta dal duplice fatto che la Bestia del mare ha “sette teste e dieci corna” come il drago, e che questo “le dà la sua potenza”. Il secondo, dalla dichiarazione che questa bestia riunisce in sé i caratteri dei quattro animali di Daniele. “La Bestia, dice Auberlen, con le sue sette teste e dieci corna non è altro che un’immagine del Dragone. Questa è in qualche modo la Bestia primordiale, l’animale per eccellenza... Ecco una ottima occasione di convincersi della parentela che corre tra Daniele e l’Apocalisse. La Bestia di Giovanni sale dal mare come i quattro animali di Daniele, ha qualche cosa di ciascuno dei tre primi (leone, orso, pardo); il quarto non è nominato, come neppure in Daniele, ma le dieci corna lo ricordano abbastanza”. E de Rougemont: “Questa Bestia, che riproduce la forma del Drago, riunisce in una sola le quattro Bestie che Daniele aveva visto egli pure salire dal mare. Essa ha la sveltezza del pardo macedone, la goffaggine dell’orso medopersiano, e l’imponente maestà del leone caldeo. Se ha perduto i denti di ferro del mostro romano, ne ha tuttavia le dieci corna”. E Geymonat: “La Bestia del mare procede dal Dragone e ne riceve il potere; ha dei rapporti con le quattro di Daniele; ha attinenza col leone, con l’orso, col pardo, e corrisponde particolarmente alla quarta; rappresenta dunque un impero che ha qualcosa del rapido e astuto Macedone, del pesante e duro Persiano, del fiero Babilonese”... Avrebbe dovuto aggiungere: “e del potente Romano”; giacché crede anch’egli che quella Bestia rappresenta una fase di quest’ultimo potere. E infine Renan: “La Bestia del mare rassomiglia al Drago per le teste e per le corna, e per la potenza che ne riceve. Per altra parte è composta mediante la riunione degli attributi dei quattro imperi di Daniele, e ciò mostra che è un impero nuovo che assorbisce in sé gli atteggiamenti”. Anzi, il primo di questi autori, Auberlen, spinge le cose fino a dire che “la Bestia del mare rappresenta non l’Impero Romano solo, ma l’insieme degli Imperi del mondo che Daniele vedeva distinti e che Giovanni vede riuniti”.... 103
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Se questo è il modo corretto per spiegare la rivelazione della Parola di Dio, e viene sostenuto da vari commentatori, alcuni hanno pensato di fare iniziare l’elenco degli imperi con l’Assiria e altri con l’Egitto, aggiungendovi poi le quattro monarchie danieliche e una forma ulteriore, passata o futura, secondo i casi, dell’impero latino. Due sono le ragioni che ci inducono a chiamare questo un errore. Insegnava il Maestro Vaucher: “I. L’Apocalisse ha il suo punto di partenza nel libro di Daniele, il quale, tralasciando l’Egitto e l’Assiria, potenze già decadute, fa iniziare la serie delle potenze con Babilonia, la quale distrusse il regno di Giuda. Si vedano a questo proposito le parole del profeta Ezechiele con le quali indica che il regno è stato trasferito da Giuda a Babilonia. Inutile quindi retrocedere, rimontando l’impero neobabilonese”.106 L’abate Crampon dice da parte sua: “Sette re, cioè sette imperatori, a seguito dell’analogia della nostra profezia con quella di Daniele VII... dove il primo impero è personificato dal re Nebucadnetsar”.107 “È Nebucadnetsar che, per primo, ha realizzato un sogno politico, accarezzato da molto tempo e ambito anche prima di lui, quello di fondare una monarchia mondiale e rompere a suo vantaggio l’equilibrio che esisteva fino ad allora tra la potenza Assira e l’Egitto”.108 “Nebucadnetsar è stato il primo re che abbia concepito ed eseguito l’idea di fondare una monarchia universale. Prima di lui, senza dubbio, i Sesostri e i Ninu, i Salmanassar e i Sennacherib avevano fatto delle vaste conquiste, ma nessuno di loro aveva creduto che sarebbe stato possibile ad un uomo assoggettarsi la terra intera... Un’era nuova inizia con Nebucadnetsar...”.109 “II. Continua il maestro Vaucher: “Come abbiamo già detto, per comprendere Apocalisse XVII ci si deve porre non al tempo in cui Giovanni scrive il suo libro, ma nel tempo in cui viene trasportato, al tempo dell’adempimento della profezia”. “L’angelo si pone in ispirito nel tempo stesso in cui la bestia, che era di già stata, non è più; ed è da questo punto di vista che egli parte, per dire all’apostolo che la
Questa tesi è ancora provata dalla identità delle Bestie e delle teste, la quale risulta dai tre fatti seguenti: della Bestia del mare è detto: “Una delle sue teste era ferita a morte, ma fu sanata, e tutta la terra si meravigliò dietro alla Bestia”. È dunque questa che fu guarita. Testa e Bestia sono dunque identiche (dopo aver citato i versetti 8,10,11). Dunque: sette Bestie, sette Teste e sette Re. Le sette teste sono sette re, e la Bestia è un re. Delle Bestie una è e non è; dei Re uno è e l’altro non ancora. Infine la Bestia e l’ultimo Re vanno alla perdizione. Impossibile dimostrare meglio la piena identità delle sette Bestie e delle sette Teste. Queste sono dunque le sette Monarchie universali” Idem, pp. 1820. 106 VAUCHER Alfred Félix, Babilonia, in Araldo della Verità, p. 4. “Salire al di là della serie di Daniele e aggiungere agli imperi due volte descritti nelle sue visioni altri imperi antecedenti, è un uscire dal quadro della profezia biblica e della relativa storia. Il quadro biblico è questo: Il regno del mondo è stato tolto al popolo di Dio e dato ai Gentili. Poiché questo è avvenuto sotto Nabucco, mediante la prima rovina di Gerusalemme e la cattività di Giuda, nel 605 a.C., non si può risalire più su.- Quando Israele fu aggredito dalla Assiria sotto Tiglar-Pilaser e Samanezer (748 e 724 a.C.), molti israeliti furono deportati, e Samaria fu distrutta, il regno rimase in Giuda e si sa che a Giuda appartiene lo scettro” O. Cocorda, o.c., p. 28. 107 A. Crampon, o.c., p. 490. 108 VAUCHER Alfred Félix, Signes des Temps, gennaio 1937. 109 F. de Rougemont, o.c..
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bestia sarà ancora e salirà dall’abisso”.110 “Parlando così S. Giovanni si pone secondo la sua abitudine nell’epoca che descrive”.111 Del resto in “nessun modo l’angelo poteva dire a S. Giovanni che nel suo tempo la bestia era stata e non è più, poiché l’impero dei Cesari, che era la bestia sotto la sua forma pagana, esisteva in quel tempo in tutta la sua potenza”.112 Le teste raffigurano dei periodi storici degli imperi universali che si sono succeduti nel corso della storia. L’angelo situa Giovanni nel tempo della sesta testa, quando cinque monarchie o cinque teste, partendo da Babilonia, erano cadute e può quindi dire “la bestia che era non è più” cioè: I testa: Babilonia; II testa: Medo-Persia; III testa: Grecia; IV testa: Roma pagana; V testa: Roma papale o cristianesimo medioevale che corrisponde alla bestia che sale dal mare, che domina per 1260 anni, della quale l’angelo può dire a Giovanni: “Cinque sono cadute... La bestia che hai veduto era, ...”; VI testa: Roma fase moderna. Corrisponde al periodo che inizia con la bestia che sale dall’abisso, descritta nel capitolo XI dell’Apocalisse. Questo periodo è chiamato: il terzo romano impero o Roma democratica. Iniziata alla fine del XVIII secolo, dopo la Rivoluzione francese, allo scadere dei 3 tempi e mezzo, 42 mesi profetici, 1260 giorni/anni, alla fine della supremazia papale. Questo sesto periodo è caratterizzato dall’eclissi politica del Vaticano che permette all’angelo di dire: “La bestia che era, non è più”. In questa fase della storia si propongono nuovi valori sociali quali i principi democratici, libertà di coscienza, democrazia politica ed economica. Questa nuova rivoluzione di pensiero sociale non caratterizza una parte dei Paesi del territorio dell’antico Impero Romano, ma si estende a tutti mediante rivoluzioni e controrivoluzioni che segneranno la storia dell’Europa e le due guerre mondiali, che ha visto il nostro secolo, sono state gli effetti del sentiero tracciato dalle Rivoluzioni: quella inglese, quella del Nord America e quella francese, che hanno consolidato i principi democratici. È il tempo in cui i principi della libertà politica e religiosa si scrivono a poco a poco nelle costituzioni degli Stati, si tratti di repubbliche o di monarchie. Nel momento in cui si sta facendo “il giudizio di Babilonia”, i cinque 110 111 112
B. Lambert, o.c., t. II, p. 287; cit. A.F. Vaucher, Les proph. Apocalyp..., p. 46. BACUEZ Louis, Questions contemporaines, 3 serie, 1894, p. 159; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 46. HENRIQUET Alexandre, L’Apocalypse, Paris 1789, pp. 216, 217. Quando la profezia diventa storia
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primi imperi, compresa la fase papale medioevale, sono caduti, il sesto esiste, e l’altro non è ancora venuto. L’impiego dell’indicativo presente nel designare il sesto “re” pone il veggente in questo momento storico del quale abbraccia il passato, il presente e l’avvenire. VII testa: Scriveva il Maestro A.F. Vaucher: “Rappresenta una federazione europea ancora futura, ma che si sta preparando sotto gli occhi nostri. Essa è il preciso oggetto della visione del capitolo XVII”.113 Riteniamo che questa VII testa sia iniziata con gli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia del nostro vecchio continente alla fine degli anni ‘80 e che quindi rappresenti il nostro tempo storico. Riepiloghiamo con le parole di F. de Rougemont scritte nel 1866: “I sette imperi di Satana sono le monarchie universali che egli ha fondato e affermato sulla terra dal giorno in cui lo scettro profetico del mondo è stato spezzato da Nebucadnetsar nelle mani del discendente di Davide, Sedechia. Sono gli imperi della Caldea, dei Persiani, dei Macedoni e dei Romani; il secondo impero romano, lo Stato dell’era rivoluzionaria e un settimo che l’avvenire farà conoscere”.114“Le sette teste della bestia rappresentano degli imperi successivi nei quali il potere ostile a Dio arriverà, dopo diverse trasformazioni, a mettere in piena luce, nella sua ultima forma, la sua natura bestiale e feroce”.115 La settima testa: sorge dall’abisso “La bestia che hai veduta era, e non è, e deve salire dall’abisso e andare in perdizione... Le sette teste sono sette... re: cinque sono caduti, uno è, e l’altro non è ancora 113
A.F. Vaucher, Babilonia ...., p. 5. Diversi commentatori hanno fatto partire le sette teste da imperi precedenti a quello di Babilonia, dall’Egitto o dall’Assiria. Ma questo modo di spiegare non è per nulla sostenibile perché le profezie cronologiche di Daniele e dell’Apocalisse ci presentano il susseguirsi degli imperi universali dal momento in cui lo scettro dei popoli passa dalla casa di Giuda, a causa della sua infedeltà, ai gentili (Ezechiele 21:31,32), e la prima monarchia universale in questa prospettiva è Babilonia, il capo d’oro, il leone con le ali d’aquila. Elenchiamo alcuni modi errati di identificare queste teste: 1 2 3 4 5 6 7 8
114 115
Egitto Assiria Babilonia Medo-Persia Grecia Roma pagana Roma papale XI corno
Egitto Assiria Babilonia Medo-Persia Grecia Roma pagana Carlomagno Papato
Egitto Assiria Babilonia Persia Grecia Roma Satana
Egitto Babilonia Medo-Persia Grecia Tolomei Seleucidi Roma Anticristo
Egitto Babilonia Persia Grecia Israele apostata Roma Potenza futura Anticristo finale
Assiria Babilonia Medo-Persia Grecia Siria Roma ? Anticristo
Babilonia Persia Grecia Tolomei Seleucidi Roma Carlomagno Papato
Babilonia Persia Grecia Roma Roma papale Bestia Apoc.11 Best. a 2 corna
È da notare che il testo biblico dice che il settimo regno avrà una breve durata. F. de Rougemont, o.c., p. 257. A. Reymond, o.c., t. II, p. 57.
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venuto; e quando sarà venuto, ha da durare poco. E la bestia che era, e non è, è anch’essa un ottavo re, e viene dai sette, e se ne va in perdizione. Le dieci corna che hai vedute sono dieci re, che non hanno ancora ricevuto regno; ma riceveranno potestà, come re, assieme alla bestia, per un’ora... E le dieci corna e la bestia odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda, e mangeranno le sue carni e la consumeranno con il fuoco”.116 Il profeta, servendosi di una figura letterale detta sineddoche che dà all’insieme il nome di una delle sue parti, chiama bestia anche la settima testa. L’espressione bestia viene presentata con due differenti significati: - forma generica per indicare: potenza, re, regno, impero;117 - per indicare una delle fasi della storia universale, cioè una delle teste. Riteniamo che il testo biblico ci presenti diversi particolari: - manifestazione della VII testa, ultima fase della storia universale con la bestia che sale dall’abisso; - nel tempo della VII testa, riapparizione della bestia, che ha esercitato il suo potere politico-religioso attraverso i secoli e viene considerata come un ottavo re, perché è uno dei sette che ritorna, dopo la sua guarigione dalla ferita mortale, si propone come guida e risolutrice dei problemi dell’impero dei latini e del mondo, esercitando il potere che aveva quando era una delle sette teste: la quinta; - al tempo della VII testa, le dieci corna riceveranno potere, autorità come quella di re, creando una confederazione di Stati, in concomitanza con il ritorno della bestia, che aveva esercitato il suo dominio nel passato, al tempo della V testa, che si presenta come ottavo re; - questa confederazione, alleanza di Stati con la bestia sarà di brevissima durata, un’ora; - la bestia, quale ottavo re, fallirà nelle sua opera alleata con le nazioni europee le quali, come reazione, odieranno la donna e la distruggeranno. Le corna che indicano gli Stati europei, Giovanni non le vede incoronate, come erano state descritte in precedenza al capitolo XIII, quando rappresentavano le monarchie europee regnanti durante il Medio Evo. Esse devono ricevere in futuro la loro “potestà come re”, al tempo della settima testa, “che ha da durare poco”, quando il potere che ha dominato nel passato - al tempo della V testa, governando per 1260 anni, caratterizzando con la propria autorità la storia - si presenterà al tempo della settima testa per esercitare ancora il suo potere per un breve spazio di tempo: “un’ora”. La bestia. per esprimere la VII fase della storia universale, deve salire dall’abisso. 116
Apocalisse 17:8-10,12,16. “La bestia, se la si distingue dalla sue teste, simboleggia la monarchia universale nella sua continuità storica, da Sedechia, l’ultimo re di Giuda, fino al ritorno di Cristo, il vero figlio di Davide” A.F. Vaucher. 117
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CAPITOLO XIX
Il testo di Giovanni presenta questa bestia in tre momenti: - capitolo XIII: essa sale dal mare; - capitolo XI: sale dall’abisso; - capitolo XVII: sale dall’abisso. Nel capitolo XIII dell’Apocalisse, come era anche stato per le quattro bestie di Daniele capitolo VII, gli imperi si costituiscono sorgendo dal mare, cioè a seguito di guerre, di invasioni militari di un esercito che s’impossessa di un’altra nazione, di spostamenti di popoli. Il testo di Apocalisse ci dice che “la bestia sale dal mare” e noi abbiamo identificato questo periodo storico con le invasioni dei barbari che si sono spostati con i loro eserciti e popoli invadendo e prendendo possesso ed estendendosi sul territorio dell’antico Impero Romano.118 Nel capitolo XI, la bestia sale dall’abisso, e noi abbiamo condiviso la spiegazione che colloca questa nuova situazione storica alla fine del XVIII secolo, a seguito della Rivoluzione francese, quando la Francia si era ridotta ad essere un “abisso” sociopolitico-religioso-morale, cioè una nazione resa ingovernabile ed in uno stato di squilibrio. Se Giovanni nel descrivere la bestia del capitolo XVII avesse detto che sarebbe salita dal mare, gli studiosi avrebbero potuto metterla in relazione con gli avvenimenti bellici della prima o, ancor di più, con la seconda guerra mondiale durante la quale gli eserciti delle Nazioni combattenti come una marea si sono estesi, penetrando in tanti Paesi, invadendoli per conquistarli o per difenderli e liberarli. L’apostolo nel nostro testo parla di “abisso”. Cioè di una situazione di grande crisi economica, sociale e politica. “Essa deve risalire dall’abisso”, questo sottintende che essa è di già salita una volta. Lutero traduce qui: “Das Tier wird wiederkommen aus dem abgrund - la bestia ritornerà fuori dall’abisso” per ben indicare che questo ritorno è una resurrezione. Non troviamo forse qui una indicazione che ci fa comprendere che si tratta d’un potere che ha di già lasciato nella storia dei popoli una traccia? si domanda C. Gross”.119 L’impero sovietico si è disgregato a seguito di una situazione economica e sociale non più sostenibile. La caduta del muro di Berlino ha cambiato il volto della vecchia Europa, facendo emergere, portando a conoscenza una situazione di ingovernabilità. Come la Francia, nel XVIII secolo, una nazione dell’Ovest del territorio dell’Impero Romano, definita dal testo sacro una delle piazze120 della “grande città, che impera sui re della terra”,121 cioè una dei dieci regni che si sono costituiti in seguito allo smembramento dell’impero dei latini, così la ex Jugoslavia, che costituiva all’Est il territorio di frontiera dell’Impero Romano, è stata, negli anni ‘90 del XX secolo, la nazione, il territorio, che già era in una situazione economica e sociale 118 119 120 121
Vedere il nostro Capitolo IX. C. Gross, o.c., p. 25. Apocalisse 11:8. Apocalisse 17:18.
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difficile dopo il crollo del socialismo reale, è caduta, a causa della guerra civile e senza l’invasione di altri popoli, in uno stato di abisso tale che richiederà qualche secolo per risollevarsi. Con la situazione che si è venuta a creare alla fine degli anni ‘80 e i primi anni ‘90, l’Europa si è venuta a trovare in un tornante storico impensabile ed inimmaginabile. Avanziamo l’ipotesi che tale situazione europea realizzi questa pagina della profezia.
La futura confederazione degli Stati europei Al tempo della settima testa, le parole di Giovanni non ci presentano le nazioni dell’Europa come delle monarchie, dei regni, come nel passato. “Le dieci corna che hai vedute sono dieci re, che non hanno ancora ricevuto regno; ma riceveranno potestà, come re, assieme alla bestia, per un’ora”.122 L. Gaussen nel 1849 insegnava che questi Stati, regni “senza corona”, sono dei “re cittadini”, cioè dei regimi a potere sì centralizzato, come lo erano quelli delle monarchie, ma senza essere dei regni, sebbene a loro somiglianti. Il de Rougemont scriveva nel 1874: “Le dieci corna che l’angelo mostra a Giovanni sono i dieci regni e popoli, vecchi di quindici secoli, che la bestia del mare portava sulla sua quinta testa. Ma questi regni sono stati rovesciati dalle rivoluzioni... Tuttavia, sussistono come nazioni sotto i governi repubblicani o altri e stanno per rialzarsi. Essi non hanno ancora, dice l’Angelo, preso (ripreso) la regalità, ma riceveranno presto la potenza come re (in quanto re o come delle ombre di re) per una sola ora con l’ottava bestia... ”123 Jean Vuilleumier nel 1938 commentava: “Non è fare violenza al testo concludere che le dieci vecchie monarchie o repubbliche... subiranno una trasformazione interiore che porterà il potere tra le mani di governi d’eccezione, di dittatori non coronati, senza diritto ereditario, ma godendo di una autorità fatta contemporaneamente di audacia e di genio”.124 L’espressione “potestà, come re” è tradotta “potestà di re”, “potere come re”. Nel tempo della settima testa una nuova era è iniziata per l’Europa. Gli stati rappresentati dalle dieci corna, sotto la dittatura del partito o di una persona, o con una autorità fortemente centralizzata, simile a quella delle monarchie, nel nome della democrazia o della sovranità del popolo o personale, manifesteranno il nuovo potere di re nel XXI secolo.
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Apocalisse 17:12. F. de Rougemont, o.c., p. 324. J. Vuilleumier, o.c., pp. 315,316. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XIX
Gli squilibri politici, economici, sociali, ambientali che travagliano l’Europa ci autorizzano ad affermare che il tempo per questa nuova fase del nostro Vecchio Continente può essere vicino. La figura del papato ha una tradizione secolare di autorità sui popoli, la più lunga della storia, esprime da tempo il suo impegno, il suo interesse in favore della persona sul piano morale, spirituale e sociale, dei suoi diritti, degli ideali di giustizia, di solidarietà, di libertà, delle problematiche dell’ambiente, in una parola di tutto ciò che riguarda la vita della comunità. La crisi del Vecchio Continente porterà all’unione dei vari Stati dell’Europa con il potere religioso per gestire una situazione economico-sociale-morale difficile. La storia ci insegna che il potere ecclesiastico è sempre riemerso nel dissesto sociale dei popoli. Quindi nel tempo della settima testa, o ultima fase della storia universale, la Santa Sede riprenderà il suo potere presentandosi come l’VIII re, perché è un re che ha dominato nel passato, viene dai sette, è la bestia stessa, descritta al capitolo XIII nelle cui mani gli Stati Europei consegneranno il potere, ritentando l’esperienza medioevale in cui Roma con il suo Vescovo era a capo del mondo.
Il papato estende nuovamente il suo potere politico e religioso sugli Stati europei che glielo riconferiscono “La bestia che era, e non è, è anch’essa un ottavo re, e viene dai sette (è uno dei sette), e se ne va in perdizione. Le dieci corna... riceveranno potestà, come re, assieme alla bestia per un’ora. Costoro hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia”.125 L’abate Joseph Maître così spiegava: “Il Profeta, dopo aver parlato di sette teste, ne segnala una ottava, ma questa ottava non è pertanto nuova. Essa è di già apparsa nel passato. È una delle sette di cui è stata fatta menzione precedentemente”.126 I1 pastore A. Reymond scriveva: “L’ottava è dentro ai sette. Si possono capire in due modi queste parole. O “uno dei sette” ... o “egli proviene dai sette” è il risultato della concentrazione del loro spirito arrogante e persecutore, il riassunto delle apparizioni precedenti. Quest’ultima interpretazione presenta più di una analogia con la maniera di Daniele di riunire nella IV bestia i diversi tratti delle precedenti e ne aggiunge altri”.127 Riteniamo che queste due spiegazioni non siano opposte, ma complementari. Nell’ottavo re, che è uno dei sette che ritorna, si concentra tutto ciò che ha caratterizzato lo spirito delle sette monarchie. Giovanni presenta nell’ottavo re il risveglio della bestia, la riapparizione dell’Anticristo, onnipotente nel Medio Evo, nella sua nuova veste di potenza politica. 125 126 127
Apocalisse 17:11,13. J. Maitre, o.c., pp. 407,408. A. Reymond, o.c., t. II, p. 59.
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Edmond Louse giustamente scrive: “La bestia si presenta come l’ottavo re ma è già stato uno dei sette e deve tornare alla fine del mondo”.128 Questo ottavo re è la bestia del capitolo XIII di Apocalisse che è stata ferita a morte alla fine del XVIII secolo e con l’unità del nostro Paese quando il Governo italiano gli tolse gli Stati Pontifici e Roma divenne la capitale d’Italia. Dopo l’inizio della guarigione, con il Concordato del 1929, questo potere si manifesterà in tutta la sua influenza alla fine dei tempi, completamente guarito e meravigliando il mondo che, subendo il suo fascino, la sua influenza e il suo potere secolare, l’onorerà. C’è una identità di espressioni tra il capitolo XIII e XVII:
Apocalisse XIII - “Una delle sue teste come ferita a morte”.
- “La sua piaga mortale fu sanata”. - “Tutta la terra meravigliata andò dietro alla bestia ”. - “Adorarono la bestia dicendo: “Chi è simile alla bestia? e chi può guerreggiare con lei?”... E tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello che è stato immolato, l’adoreranno”.
Apocalisse XVII - “La Bestia... era, e non è ”. - “La bestia che era, e non è, verrà di nuovo”. - “Costoro hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia ”. - “E quelli che abitano sulla terra i cui nomi non sono stati scritti nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo, si meraviglieranno”.
Questo ottavo re è la forma finale che assumerà l’Anticristo forte di tutte le sue secolari influenze. K. Auberlen scriveva: “Bengel, al quale, malgrado tanti errori, non si può rifiutare l’istinto profetico, non si è sbagliato quando ha annunciato che Roma si rialzerà ancora e raggiungerà un alto grado di splendore e di influenza. Io sono sicuro, dice Spener, che prima che il giudizio supremo cada su lei, la Babilonia romana ricupererà tutta la sua antica potenza io credo che, intimiditi dalla sua grandezza e terrorizzati dalla sua crudeltà, la maggior parte dei popoli che hanno scosso il suo giogo da duecento anni, se lo caricheranno una seconda volta”.129 L’influenza che Roma esercita nel mondo è notevole. “Le conferenze e le riunioni internazionali, che costituiscono per il loro numero e per la loro varietà uno dei tratti caratteristici della nostra epoca, vedono frequentemente la presenza, sino a qualche decennio fa inusitata, di rappresentanti della Santa Sede. Quali partecipanti su piedi di parità con quella degli Stati, o più spesso in veste di Osservatori, essi stanno a dimostrare l’interesse concreto con il quale la Santa Sede segue i problemi della 128 129
LOUSE Edmond, L’Apocalisse di Giovanni, ed. Paoline, p. 165. K. Auberlen, o.c., p. 311. Quando la profezia diventa storia
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Comunità internazionale, o condividono direttamente le responsabilità delle discussioni e degli sforzi che essa compie per risolverli... La partecipazione poi della Santa Sede, come membro, alle forme organizzate di attività della Comunità internazionale è considerevole... In particolare, essa non è parte delle maggiori organizzazioni - quale, segnatamente, l’ONU -, limitandosi ad avere presso di esse una Missione di Osservatore Permanente... L’esperienza di non pochi anni, presso l’ONU come presso l’UNESCO, la FAO ed altre organizzazioni del genere, sembra positiva. Senza farne un principio assoluto, la Santa Sede continua pertanto su questa via”. Sono queste alcune parole del lungo discorso di Monsignore Casaroli pubblicato sull’Osservatore Romano del 29 dicembre 1974. Al papato, essendo un potere di altra natura, non avendo in apparenza mire politiche come qualsiasi altro Stato, o meglio egemonia di territori, vengono facilmente affidati compiti di mediatore nei conflitti tra le potenze ed incarichi di pace tra opposte tendenze. Quando, come nel Medio Evo, gli Stati europei consegneranno nelle sue mani il loro potere e lo prenderanno a guida dell’Europa, la fine sarà vicina. Le dieci corna, che costituiscono la VII testa, prenderanno potere assieme alla bestia guarita “per un’ora”. Non dobbiamo intendere questo periodo in senso profetico (un giorno = un anno), ciò corrisponderebbe a quindici giorni, periodo troppo breve, neppure sufficiente per eseguire qualunque legge: ma semplicemente come un tempo relativamente corto. La ripresa del potere da parte dell’Anticristo e la consegna nelle sue mani delle sorti dell’Europa sarà anche sollecitata dal falso profeta, gli Stati Uniti d’America, i quali, per la soluzione dei loro problemi, hanno creato nel loro paese una teocrazia protestante a imitazione di quella papale medioevale, facendo “un’immagine della bestia che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita”. Inoltre “faceva sì che la terra e quelli che abitano in essa adorassero la prima bestia la cui piaga mortale era stata sanata”.130 “Costoro (le dieci corna) hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potestà e la loro autorità alla bestia”. Il de Rougemont commentava già nel secolo scorso: “Le dieci corna avranno uno stesso pensiero, uno stesso interesse. Si legheranno contro il pericolo comune e cercheranno da ogni parte con angoscia una roccia irremovibile sulla quale appoggiarsi. Crederanno d’averla trovata nell’uomo del peccato, il cui genio sovrumano li riempirà di fiducia. I dieci re diverranno così vassalli dell’ottavo re”.131 Di che colore politico saranno gli Stati europei quando gli conferiranno il potere? Considerando che il testo dice che i re della terra hanno fornicato con la donna, si è portati a supporre che questi regimi possano anche essere di sinistra, completando così la rosa dei suoi amanti. In ogni caso saranno Nazioni a regime democratico, ma con una forte autorità centralizzata di un Governo simile a quella di re, che si 130 131
Apocalisse 13:14,12. F. de Rougemont, o.c., p. 324.
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consegneranno nelle mani del papa. Il futuro naturalmente ci illuminerà su questo particolare. I governanti europei gli daranno il potere perché saranno stati anche sedotti dalla sua abilità nell’essere riuscita ad unire, alleare a sé tutte le Chiese non cattoliche, sue figlie, dopo una secolare separazione. Henri Spaak, il primo a lanciare i piani del Mercato Comune, e segretario generale della NATO, ha dichiarato: “Noi non vogliamo più comitati. Ne abbiamo troppi. Ciò di cui abbiamo bisogno, è un uomo di una statura sufficiente per chiedere l’obbedienza di tutti e farci uscire dall’abisso economico nel quale ci stiamo infossando. Trovateci questo uomo, e ch’egli si chiami Dio o diavolo, noi lo riceveremo”.132 Questo uomo si presenterà e l’Apocalisse ce lo anticipa, ma sarà il luogotenente di Satana che organizzerà il mondo nella sua ultima rivolta contro Dio e nel nome dell’Eterno. Di colui che ora occupa il seggio papale, il teologo cattolico Hans Küng scriveva su Le monde del 17 ottobre 1979: “...La sua attività intensa a Roma e più ancora le sue tournées trionfali in Messico, Polonia, Irlanda e negli Stati Uniti l’hanno fatto conoscere al mondo come un campione della pace, dei diritti dell’uomo, della giustizia, ma anche d’una Chiesa forte... Per alcuni, nella Chiesa, è di già diventato un oggetto di culto, quasi un nuovo messia per il nostro tempo... A dispetto dei limiti personali inevitabili, il papa risplende di una autentica umanità. Conosce il mondo tale quale è, con i suoi orrori e i suoi abissi, con i suoi splendori e le sue miserie, e cerca di dire sì a tutto ciò che vi si trova... Ha coraggio e dà coraggio agli altri uomini, anziché avvertirli soltanto e riprenderli. Non vuole essere autoritario, ma ha autorità: non soltanto una autorità formale, giuridica, istituzionale, ma anche personale, reale e carismatica”.133 Dodici anni dopo Gianni Baget Bozzo scriverà su Repubblica del 27 dicembre 1989: “Nessuna figura della storia di tutto il cristianesimo ha assunto la grandezza politica come misura della presenza spirituale quanto il papa di Roma.- Ma il papato ha in questi ultimi anni espresso una grandezza politica che non era la sua da molti secoli: mai il ruolo politico della Santa Sede è stato così alto in tutto il mondo. Come negare il ruolo della diplomazia vaticana nella conferenza di Helsinki, che ora la nuova leadership sovietica mette al centro del suo programma verso l’Europa e verso gli Stati Uniti? Come non prendere atto che la visita di Gorbaciov a Roma nella ricerca di una legislazione morale verso il mondo occidentale sia un momento unico nella storia del papato, specie nei suoi rapporti con la Russia?... La Chiesa cattolica si trova a suo agio in questa congiuntura perché essa viene così ricondotta al suo antico: alla Chiesa come soggetto politico primario nel mondo mediante il pontificato romano. Dall’ultimo secolo del secondo millennio cristiano, Giovanni Paolo II si allaccia al papa che, all’inizio del millennio, diede la forma della Chiesa romana in tutto questo tempo: Gregorio VII. Mai una restaurazione apparve tanto “moderna”, 132 133
Cit., Sans avoir la marque... de la Bête, in Revue Adventiste, gennaio 1977, p. 10. KÜNG Hans, Le monde del 17 ottobre 1979. Quando la profezia diventa storia
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mai una innovazione risultò un tanto grandioso ripristino. - La realtà è sempre ambigua e specie la realtà di un grande soggetto politico e religioso. È certamente un fatto inatteso che la secolarizzazione abbia condotto alla fine della maggiore delle ideologie, il marxismo-leninismo e che parole come “spirito”, in contrapposizione a “materia”, e “non violenza” siano il lessico di riferimento del nuovo corso sovietico. Assumere la Chiesa come il principale soggetto politico nella storia è possibile solo concentrandola nella figura del papa: solo in questa concentrazione di potere sta la possibilità reale di egemonia storica di un corpo sociale che non possiede la forza materiale. Fu questa la grande intuizione di Gregorio VII...”.134 Un elemento forte della Confederazione degli Stati europei è quell’unione spirituale che ha unito i popoli nel Medio Evo: una religione comune, un cristianesimo apostata. L’Europa che nasce dalle macerie della seconda guerra mondiale, per una ironia della storia, pensa all’unità dei vari Stati. I suoi ideatori sono: Alcide De Gasperi, Robert Schuman, Konrad Adenauer. “Sono tutti e tre cattolici praticanti e professano, in politica, ideali che s’ispirano al cristianesimo sociale. Nei rispettivi paesi, Italia, Germania e Francia, sono i leaders, i capi carismatici dei partiti popolari che s’ispirano a questa dottrina politica: la Democrazia Cristiana; l’Unione Democratica Cristiana; il Movimento Repubblicano Popolare”.135 Luigi Mistrorigo, a conclusione del suo libro L’Europa unita, sotto il titolo Quale Europa? scrive: “(L’Europa) deve soprattutto mostrare il suo vero volto: quello che esce dalla sua lunga storia, dalla sua civiltà cristiana e dal suo umanesimo laico”. In un tempo in cui il vescovo di Roma sarà allo zenit della sua influenza, non bisogna essere profeti per credere che l’Europa politica gli potrà chiedere di essere, quale capo spirituale del mondo religioso, il presidente della confederazione dell’Unione Europea.136 In quel tempo anche negli Stati Uniti d’America la religione svolgerà un ruolo importante nell’unire il Paese per far fronte a degli squilibri sociali. Si creerà ciò che Giovanni chiama “l’immagine della bestia” cioè un sistema di vita simile a quello che ha caratterizzato l’Europa nel Medio Evo, quando i re e i principi, pur in lotta tra di loro, per interessi e aspirazioni diverse, erano pur tuttavia sotto la stessa autorità religiosa che stabiliva le norme ed era a guida del bene comune. Sarà in quel tempo che il popolo di Dio annuncerà con forza il terzo messaggio di Apocalisse XIV: “Se qualcuno adora la bestia e la sua immagine e ne prende il marchio sulla fronte o sulla mano, berrà anch’egli del vino dell’ira di Dio, mesciuto puro nel calice della sua ira”. Sarà il tempo in cui i credenti annunceranno anche: 134
BAGET BOZZO Gianni, Repubblica, 27 dicembre 1989, p. 12. MISTRORIGO Luigi, Il dado è tratto si fa l’Europa Unita, Milano 1978, p.31. 136 Crediamo che si possa supporre che, essendo la “gran città” il territorio geografico dell’antico Impero Romano latino, le nazioni che ora fanno parte del Parlamento europeo, ma sono al di fuori dei confini del corpo geografico della quarta bestia di Daniele, dell’antico impero latini, come: Inghilterra, Paesi bassi, Paesi scandinavi, Danimarca, Germania, Grecia... possano uscire dall’Unione Europea o dalla futura organizzazione europea. Vedere il nostro Capitolo VII. 135
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“Caduta, caduta è Babilonia la grande... Uscite da essa o popolo mio affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non abbiate parte alle sue piaghe”.137
Una nuova fase della storia europea Dagli anni quaranta ad oggi non crediamo che ci sia stato un momento storico così particolarmente denso di fiduciosa attesa come il nostro per l’Europa e anche per il mondo. La “cortina di ferro”, eretta a seguito della seconda guerra mondiale, sanciva la divisione dei Paesi dell’Europa: all’Ovest le Nazioni alleate con gli Stati Uniti d’America, la NATO; all’Est i Paesi sotto l’influenza dell’Unione Sovietica, uniti nel patto di Varsavia. L’Europa divisa non contrapponeva più delle Nazioni, ma dei blocchi, delle ideologie, dei sistemi di governo opposti che operavano per lo sviluppo, il progresso e la libertà dei popoli. La “guerra fredda”, espressione coniata in Occidente, che si esprimeva con la corsa all’autodifesa, con impegni finanziari enormi, con armamenti sempre più sofisticati e costosi, ha caratterizzato i rapporti tra l’Est e l’Ovest con momenti di profonda drammaticità: nel 1956 quando i carri armati dell’armata rossa invasero l’Ungheria, nel 1961 quando si eresse a Berlino il “Muro” della vergogna e nel 1968 quando ancora l’armata rossa entrò in Cecoslovacchia per sostituire i governanti. La “cortina di ferro” ha impedito che le popolazioni dell’Est emigrassero nei paesi dell’Ovest visti come l’Eldorado, anche se la maggioranza della popolazione del socialismo reale credeva che in Occidente gli operai erano privati dai loro diritti di lavoratori. La perestrojka di Gorbaciov ha portato l’URSS a non presentarsi più come la guardiana dei Paesi alleati e ha permesso che un nuovo vento soffiasse all’Est. Nel breve spazio di qualche settimana si è assistito alla sgretolamento di un castello, di un sistema, di un mondo fino a ieri inespugnabile, ma sempre all’erta nel far sentire la propria minaccia, e negli anni Settanta citato come modello per risolvere le congiunture economiche dell’Occidente. “Tutto è avvenuto ad un ritmo che mozza il fiato, suscitando altrettanta inquietudine che speranze, altrettante incertezze che compiacimenti”.138 Una delle cause prime di questo crollo della “cortina di ferro” è stata la situazione economica di tutti i Paesi, in testa la Russia. Paesi ricchi di risorse, ma a causa di coloro che, ad ogni livello, esercitavano il potere nel nome di una ideologie politica che non ha cambiato i cuori e guarito gli uomini dai loro egoismi personali e ambizioni, hanno creato crisi economica e morale a tutti i livelli non più sostenibile se non si vuole minacciare la sopravvivenza dei Paesi.
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Apocalisse 14:9,10; 18:2,4. VIOLA Sandro, La Repubblica, 10/11/1989, p. 2. Quando la profezia diventa storia
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La caduta della cortina di ferro significa libertà, non solo di pensare, ma anche di dire le cose e di operare in modo diverso. Dopo la celebrazione del secondo centenario della Rivoluzione francese, che nel XIX secolo ha cambiato il volto dell’Europa e dell’Occidente in genere, i cui princìpi sono stati iscritti nella carta costituzionale degli Stati Uniti e nel nostro secolo hanno visto una valida applicazione con la caduta del colonialismo, si è assistito ad una nuova Rivoluzione che ha cambiato la geografia del pianeta Terra. Questa nuova Rivoluzione socialista dovrebbe mettere le basi per una società diversa, non di tipo Occidentale, ma comunque ad essa collegata, dove la giustizia, l’equità e la dignità della persona siano maggiormente rispettate. La realtà è tale che la malavita organizzata impone la propria forza. La caduta della cortina di ferro ha una implicazione nella storia di portata planetaria. Il mondo fino a ieri si presentava diviso tra: USA, Europa Occidentale e Giappone da una parte, Europa dell’Est con la Russia, alcuni Paesi Arabi, in genere poveri di petrolio, e Cina dall’altra. Il mondo ora si presenta in modo diverso. Caduta la seconda superpotenza e svanita una ideologia politico sociale che ha fatto sognare generazioni di proletari nell’Occidente e negli altri Paesi, il mondo non è più diviso in due blocchi contrapposti e non costituisce neppure un blocco unico. Con una superpotenza in disarmo si è in un tempo in cui ognuno fa come vuole e l’equilibrio sembra ancora più instabile di prima. In questo contesto il Vecchio Continente, cessando di essere un “semplice campo di manovre militari e di battaglie ideologiche per conto terzi, non più semplice appendice di storia altrui, l’Europa torna ed essere il luogo dal quale passa il futuro del mondo”,139 creando con l’America un nuovo Atlantismo, dove la collaborazione è su un piano di parità e i Paesi dell’Est sono terra di conquista per i propri mercati. I muri sono crollati, le ideologie sono nel crepuscolo inoltrato, i popoli guardano al domani nel miraggio di una maggiore tranquillità e sicurezza, sperando contro ogni speranza. Si desidera una società con valori di giustizia, solidarietà, dove il più forte non prevarichi il debole, ma l’illegalità e il malcostume si esprimono con forza rinnovata. La forza unificante nella costruzione della “Casa comune” europea, nel “villaggio mondiale” del pianeta Terra, ha nella tradizione della religione cristiana, le cui vere dottrine non interessano a nessuno, quei valori etici, patrimonio di ogni cultura, e hanno caratterizzato per secoli la storia dei popoli dall’Atlantico agli Urali. Sono portati all’attenzione dei potenti e dei popoli dalla voce di Roma, e Giovanni Paolo II, da quando è salito al soglio pontificio, non cessa di ricordarli. Scrive il cardinale Martini: “Questa evoluzione che caratterizza l’Europa, con le sue istanze etiche e con tutte le sue fragilità e indeterminatezze, interpella profondamente la Chiesa e ciascuno di noi. Apparentemente potrebbe sembrare che i cristiani non siano direttamente 139
ZUCCONI Vittorio, La Repubblica, 14/12/1989.
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coinvolti in tutto questo processo. Invece è la Chiesa stessa a essere provocata e interrogata da questi avvenimenti. Su un piano propriamente pastorale ad essa spetta operare un discernimento spirituale, con il quale guidare e orientare le scelte ai vari livelli e da parte delle diverse persone... Come ha ricordato Giovanni Paolo II, l’imperativo che nasce è quello della costruzione di una nuova Europa: “Il momento è propizio per raccogliere le pietre dei muri abbattuti e costruire insieme la casa comune”. Un’Europa unita e intera - dall’Atlantico agli Urali, dal Mare del Nord al Mare Mediterraneo -, non più divisa in due tronconi o ridotta alla sola parte occidentale. E nello stesso tempo, un’Europa la cui unità è proiettata su un orizzonte planetario, nella piena consapevolezza che l’unificazione europea dev’essere una tappa fondamentale e ineludibile verso la meta finale da raggiungere che è l’unificazione e la pacificazione di tutto il mondo. - In ogni caso, come la storia ci insegna, l’identità culturale dell’Europa non può prescindere dal riferimento alle sue radici cristiane - tanto che l’identità europea risulta incomprensibile senza il cristianesimo che ne è l’anima. - La nuova situazione del nostro continente ci chiede, perciò, di fare ogni sforzo in questo senso, per assicurare un’unità che o sarà cristiana o non esisterà affatto”.140 Riteniamo che siano coerenti con la profezia le parole del socialista francese Léon Blum, espresse dopo la seconda guerra mondiale già nel 1945. “Io sarei qui partendo dalla logica del ragionamento come dall’associazione delle idee, a intravedere, in mezzo al corpo internazionale, l’opportunità di un’altra presenza. È alla corte di Roma che penso, alla Santa Sede apostolica. La sua partecipazione sullo stesso piano di quella degli Stati sarebbe di per se stesso il segno più straordinario che, nell’universo di domani, delle altre potenze conteranno come le potenze temporali. La sua cooperazione attiva permetterebbe di salire su un piano superiore e di regolare mediante dei “concordati” generali tutte queste categorie di litigi con gli Stati che, all’interno del quadro nazionale, alterano la vita politica e conducono a insuperabili conflitti. Il ruolo converrebbe sicuramente a una Chiesa che è pacifica per essenza, poiché incarna una religione di pace, e che lo è anche per funzione, se posso esprimermi in questo modo, poiché la sua costituzione è di ordine internazionale. L’influenza pontificia si è sempre esercitata e si esercita ancora in favore di una pace organica fondata sulla giustizia, sull’uguaglianza dei popoli e delle persone, sulla santità dei contratti… La pace è necessaria alla Chiesa, e non è meno certo che il concorso della Chiesa sarebbe infinitamente vantaggioso all’opera d’organizzazione pacifica”.141
La guerra ai santi
“Costoro guerreggeranno contro l’Agnello, e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori, e il Re dei re; 140
C.M. Martini, o.c., pp. 228,229,234. BLUM Léon, A l’échelle humaine, Gallimard, 1945; in Le Saint-Siège dans les relations internationales, sotto la direzione di Joël-Benoît d’Onorio, Cerf, Paris 1989.
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e vinceranno anche quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e fedeli”.142 Queste parole di Giovanni possono suggerire le riflessioni che seguono. Gli Stati Europei coalizzati non permetteranno che il popolo di Dio abbia la libertà di adorare Dio e di servirlo secondo la sua Parola. I Faraoni del nuovo Egitto diranno come quello del tempo di Mosè: “Chi è l’Eterno che io debba ubbidire alla sua voce? ... Io non conosco l’Eterno ... Andate a fare quello che vi è imposto!”.143 Cos’è questo voler osservare la Legge di Dio? Quello che chiedete è un pretesto per non assumervi impegni nei confronti della società che ha problemi di varia natura. La Nazione ha bisogno delle vostre ore di culto. Ci si opporrà ai santi dell’Altissimo nel nome di giuste cause socio-politicheeconomiche-paritarie; essi saranno considerati nemici dello Stato e del benessere pubblico per il loro non conformarsi a un sistema di interesse comune, nel nome di Dio ma che non tiene conto della sua Parola. Le azioni dei figli di Dio, come ai tempi di Mosè in Egitto, saranno accompagnate da opere potenti che si contrapporranno ai falsi miracoli operati da coloro che saranno animati da uno spirito diverso. Gli adoratori, i sostenitori, coloro che accetteranno l’autorità della bestia e ne avranno così ricevuto il marchio, cercheranno di opprimere gli adoratori di Dio da lui sigillati. Il pastore riformato Roland de Pury, in una sua conferenza tenuta a Vichy nella primavera del 1978, dopo aver considerato l’intolleranza del lontano passato, disse: “Tutto può ricominciare”.144
Il giudizio sulla donna
Quale sarà la conseguenza di questa lotta è ciò che il capitolo XVIII dell’Apocalisse presenta in tutta la sua drammaticità. Il versetto 16 del capitolo XVII la riassume con poche parole, ma lapidarie: “Le dieci corna che hai vedute nella bestia odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda, e mangeranno le sue carni e la consumeranno col fuoco. Poiché Iddio ha messo in cuor loro di eseguire il suo disegno e di avere un
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Apocalisse 17:14. Esodo 5:2,4. PURY Roland de, La Réforme, ou le scandale du Dieu caché, in Foi et Vie, n. 5, settembre 1978, p. 52.
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medesimo pensiero e di dare il loro regno alla bestia finché le parole di Dio siano adempiute”.145 Dopo una “breve luna di miele”146 quelle stesse nazioni, che prima avevano dato il potere alla bestia, le si rivolteranno contro con violenza: le passioni di parte saranno scatenate; i movimenti dissidenti che non saranno uniti al potere si manifesteranno in tutta la loro rabbia e il clericalismo raccoglierà in quel tempo gli amari frutti dei suoi abusi. Il giudizio su questa donna realizza la volontà divina. “Quando il terremoto avrà rovesciato le città delle Nazioni, quando la bestia, scrollandosi, avrà gettato a terra la donna che la governava, allora questa bestia manifesterà il suo carattere ateo, e rivoluzionario, apparirà nel suo furore. Allora anche appariranno meglio i nomi di bestemmia di cui essa è coperta”.147 Questa fase ultima della storia rivelata in questo capitolo avrà dei risvolti di una drammaticità indescrivibile, di cui il terrore della Rivoluzione francese offre una vaga idea. Se la Rivoluzione della fine del XVIII secolo ci ha presentato delle pagine tragiche della storia dell’Europa, si ha motivo di pensare che la fase finale della storia avrà delle conseguenze ancora più gravi, più cariche di terrore, violenza, angoscia per gli uomini. È la situazione drammatica che precede il trionfo della verità, l’intervento definitivo di Dio nella storia. La fine della ribellione dell’umanità nei confronti dell’Eterno. Sarà una situazione senza precedenti, difficile da immaginare e da descrivere anche perché la Bibbia non ha tanto la funzione di presentarci in anticipo i dettagli della tragedia umana, quanto quella di assicurare il popolo di Dio che anche in quel momento il Signore sarà presente e la speranza non verrà meno in chi ha posto la sua fiducia nel “così ha detto l’Eterno”. Se i due testimoni del capitolo XI dell’Apocalisse hanno avuto “il potere di percuotere la terra con qualunque piaga, quante volte vorranno”148 e la storia ci ha presentato la Rivoluzione francese come conseguenza di una opposizione secolare alla Parola di Dio e ai fedeli del Signore, e a seguito della Rivoluzione si è voluto togliere alla Francia ogni forma di cristianesimo per adorare la dea ragione, cosa avverrà alla fine dei tempi quando la bestia raggiungerà la pienezza della sua opposizione all’Eterno e i governi centralizzati dell’Europa avranno “uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia. Costoro guerreggeranno con l’Agnello e l’Agnello li vincerà.- E le dieci corna (le nazioni europee)... e la bestia odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda, e mangeranno le sue carni e la consumeranno col fuoco”149 e le piaghe, le ultime cadranno sulla terra sconvolgendola? Ci limitiamo a riportare quanto
145
Apocalisse 17:16,17. Il versetto 16 è della versione Diodati. Vedere E. Bosio. L’arcivescovo Martini traduce: “Le dieci corna, che vedesti alla bestia, odieranno 1a meretrice”. P.E. Tintori O.F.M.: “Le dieci corna che hai vedute sulla bestia odieranno la meretrice”. 146 DOUKHAN Jacques, Le Cri du Ciel, Dammarie les Lys 1996, p. 227. 147 G. Steinheil, o.c., p. 85. 148 Apocalisse 11:6. 149 Apocalisse 17:13-16. Vedere il nostro Capitolo X. Quando la profezia diventa storia
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ha scritto il profeta Daniele: “Sarà un tempo di angoscia, quale non se ne ebbe mai da quando esistono nazioni fino a quell’epoca”.150 Louis Gaussen morto nel 1863, che il Maestro A. Vaucher considerava come il migliore commentatore delle profezie apocalittiche, pur non avendolo sempre seguito nelle sue spiegazioni, già nel secolo scorso aveva spiegato: “Cosa è dunque, ancora una volta, questa rivoluzione, (versetti 11 e 13) se non lo stabilimento ufficiale della democrazia o della sovranità del popolo sotto dei re cittadini in tutti gli stati dell’Impero dei latini?... Avranno uno stesso disegno, uno stesso pensiero politico, ma quale pensiero politico? quello di “dare la loro potenza e la loro autorità alla bestia”, cioè di riconoscere ufficialmente e solennemente la sovranità del popolo, la sovranità “delle folle, delle nazioni e delle lingue”. Essi saranno ben presto “dei re”, ma dei re cittadini, dei delegati del popolo, senza scettro e senza diadema. Ci si domanderà forse: Come tutto questo finirà? La Scrittura risponde: Mediante una spaventosa anarchia, mediante una nuova rivoluzione, non più della ragione, ma di demenza; mediante uno straripamento della demagogia, irritata, che sommerge tutte le basi della società, Stato, Famiglia, Proprietà”.151 Il versetto 18 riepiloga tutto il capitolo XVII: “La donna che hai veduta è la gran città che impera sui re della terra”. Questa prostituta, la società religiosa che un tempo si confondeva con lo Stato e che da sempre domina, ora che è diventata un ottavo re, ha ripreso, sia pure per un breve tempo, la sua fisionomia politica meritando così il nome di gran città.
Terza parte: il giudizio di Babilonia “La grandezza misteriosa della descrizione si eleva a un pathos profetico che pone questo XVIII capitolo accanto alle pagine più grandiose della profezia dell’Antico Testamento... Questo capitolo XVIII è situato tra l’annuncio del giudizio del capitolo XVII e gli inni che celebrano il giudizio compiuto XIX:19, il che determina nettamente la sua posizione”.152 Questo capitolo è un ampliamento di ciò che è stato detto nel versetto 16 e il giudizio corrisponde a quanto il capitolo XVI presenta come V, VI e VII piaga.153
“Caduta, caduta è Babilonia la grande... ” 150 151 152 153
Daniele 12:1. L. Gaussen, o.c., t. III, pp. 289,290. LOHMEYER Ernest, Die Offenbarung des Johannes, Stuttgart, 1960, pp. 138,147; cit. da C. Brütsch, o.c., p. 290. Vedere il nostro Capitolo XVII.
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“E dopo queste cose vidi un altro angelo che scendeva dal cielo, il quale aveva gran potestà; e la terra fu illuminata dalla sua gloria. Ed egli gridò con voce potente, dicendo: “Caduta, caduta è Babilonia la grande, ed è diventata albergo di demoni e ricetto d’ogni spirito immondo e ricetto d’ogni uccello immondo e abominevole. Poiché tutte le nazioni hanno bevuto del vino dell’ira della sua fornicazione, e i re della terra hanno fornicato con lei, e i mercanti della terra si sono arricchiti con la sua sfrenata lussuria””.154 Come sempre, Dio, prima di mandare ad effetto un suo giudizio, prima di compiere un suo disegno, lo fa precedere dal suo appello. In questo avvertimento risplende tutta la santità della maestà di Dio: la terra ne viene illuminata e tutti i suoi abitanti ascoltano quanto l’angelo grida con voce forte. Sono così invitati a prendere chiaramente posizione o per la luce o per le tenebre. Dio dà alla sua Chiesa, caratterizzata dalla fedeltà alla sua parola e ai suoi comandamenti, la potenza per compiere quest’opera garantendole la piena riuscita. “Questo angelo riprende le parole pronunciate in Apocalisse XIV:8; ma le ripete con una insistenza nuova: “Caduta, caduta è Babilonia la grande”. Non si tratta qui della rovina materiale, sarà il terzo angelo, l’angelo della macina che ne parlerà (XVIII:21-23); si tratta della sua rovina spirituale e morale, e del suo stato di caduta, poiché dice l’angelo: “È diventata albergo di demoni e di spiriti immondi”, cioè false divinità, culto idolatrico della Vergine e dei santi, di ogni dottrina falsa ed opposta alla parola di verità delle Scritture; “e ricetto di ogni uccello immondo ed abominevole” poiché là si trovano, con le dottrine, tutti i dottori di menzogna”.155 La caduta di Babilonia, la grande madre e le figlie, la cristianità infedele degli ultimi tempi, Giovanni la dipinge con termini presi in prestito dai profeti dell’Antico Testamento i quali annunciavano la rovina di Babilonia sulle rive dell’Eufrate.156 In questo sentenza di caduta viene presentato il motivo per il quale Dio compie il suo giudizio su questa società religiosa: Babilonia si è servita del nome di Dio, si è nascosta dietro l’apparenza della religione di Cristo per abbandonarsi meglio alla fornicazione, alla seduzione, al peccato e all’idolatria.
154
Apocalisse18:1-3. ROSSELET Gustave-Adolphe d’IVERNOIS, L’Apocalypse et l’Histoire, t. II, Paris 1878, p. 263; vedere Apocalisse 18:21-24. 156 Isaia 13:19-22; Geremia 50:39. “Tutte le nazioni hanno bevuto del vino dell’ira della sua fornicazione...” è la traduzione adottata dalla maggioranza degli editori, benché il Sinaiticus A,C,Q, porti: “sono cadute per l’effetto del vino”. 155
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“Uscite da essa o popolo mio ... ” “Poi udii un’altra voce dal cielo che diceva: “Uscite da essa, o popolo mio, affinché non siate partecipi dei suoi peccati e non abbiate parte alle sue piaghe; poiché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo e Dio si è ricordato delle iniquità di lei””.157 Questa dichiarazione ci porta nel tempo della fine, prima dell’inizio delle ultime piaghe e prima che si dica “È fatto”.158 È l’invito finale a tutti gli uomini di buona volontà che credono e vivono la Parola di Dio nella luce della tradizione delle proprie denominazioni. Uomini e donne felici di aver conosciuto il Signore onorandolo con la loro testimonianza e la loro vita. Hanno fatto sentire la loro voce per richiamare i propri fratelli ai valori e alla fedeltà della rivelazione. Si sono spesi per il loro Dio, ma le tradizioni, la forza delle abitudini, l’indifferenza hanno impedito ogni risveglio, ogni rinnovamento, una vera crescita nel Signore. Dio fa pervenire a questi suoi figli, al suo popolo, l’invito a rialzare il capo, a schierarsi per la verità, a rispondere al suo appello: “Uscite….!”. L. Bonnet identifica questa voce con quella di Cristo.159 Abbiamo qui un invito pressante alle anime sincere di uscire dalla società religiosa corrotta. Questo fa pensare che in Babilonia vi siano delle anime sincere, molte, un popolo, al quale verrà presentata la verità, perché l’accetti e la segua. Isaac William osserva che prima della prova e del giudizio c’è la chiamata e la luce illuminante di Dio. Ciò è avvenuto al tempo di Noè prima del diluvio; al tempo di Lot prima della distruzione di Sodoma; al tempo di Giosia re d’Israele con il ritrovamento del libro della legge, prima della cattività; al tempo di Daniele nel palazzo che annunciava la presa di Babilonia; al tempo del nostro Signore a Gerusalemme prima della sua distruzione; e possiamo aggiungere anche prima dell’anno 70; e ora, al tempo della fine, prima che Babilonia cada e giunga il terribile giorno dell’Anticristo, c’è nella viva e sublime immagine dell’Apocalisse, l’“angelo” che discende “dal cielo” con “grande potere”, e la terra è illuminata dalla sua presenza. Come prima che il fuoco si estingua nel buio c’è l’irrompere del bagliore della fiamma, così prima che l’umanità giunga alla sua fine la luce dell’Evangelo illumina il mondo intero.160 Scrive il prof. J. Doukhan: “La frase è presa dal profeta Geremia. All’epoca si riferiva agli israeliti in esilio a Babilonia, per pressarli di fuggire dalla città.161 Lo stesso appello è stato fatto a più riprese nel corso della storia d’Israele. Abrahamo 157 158 159 160 161
Apocalisse 18:4,5. Apocalisse 16:17. L. Bonnet, o.c, p. 427. WILLIAM Isaac, The Apocalypse with Notes and Reflections, London 1889, p. 345. Geremia 51:45.
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l’aveva intesto a Ur dei Caldei,162 Lot a Sodoma,163 gli israeliti in Egitto.164 Nel Nuovo Testamento, i cristiani sono continuamente interrogati.165 È sempre lo stesso messaggio di sradicamento e di avventura verso nuovi orizzonti”.166 Il testo non precisa che questo angelo viene dall’Est, come fa nel capitolo VII:1, ma Ezechiele XLIII:3 dipinge la gloria di Dio, che viene a distruggere la città, come proveniente dal levante. La predicazione dell’evangelo è unita all’invito all’ubbidienza. L’evangelo non si contrappone alla legge. L’obbedienza è il risultato della grazia. All’angelo che illumina, l’uomo risponde non giustificandosi, ma con la fedeltà all’invito. Questo quadro rievoca quanto Malachia aveva detto dell’opera che si sarebbe compiuta prima della realizzazione ultima della parola di Dio: “Ricordatevi delle legge di Mosè, mio servo, al quale io diedi in Herob, per tutto Israele, leggi e prescrizioni. Ecco, io vi mando Elia, il profeta. Prima che venga il giorno dell’Eterno, giorno grande e spaventevole”.167 Come il primo Elia del libro dei Re, per l’antico Israele, e Giovanni Battista, l’Elia che ha preparato la strada al Messia, che invitava il popolo alla fedeltà; così il finale Elia, l’angelo, la Chiesa fedele nell’annunciare il giudizio di Dio, proporrà la fedeltà alla grazia espressa dalla legge dell’Eterno. W. Milligan nel secolo scorso giustamente faceva notare che le parole hanno una grande importanza nell’interpretazione dell’Apocalisse. Abbiamo già trovato più volte una luce illuminante su passi della Parola di Dio che in precedenza erano sembrati oscuri. “Molti sono i chiamati” che vivono all’esterno della Chiesa, ma “pochi sono scelti”, perché “pochi” costituiscono la reale Chiesa, di coloro che si considerano poveri di spirito, mansueti e piccoli di fronte alla grandezza e alla saggezza di Dio. Questi due gruppi possono camminare assieme per un certo tempo, collaborare in iniziative comuni, ma la loro unione non può durare. Il giorno viene in cui, come Cristo chiamò le sue pecore fuori dal popolo di Giuda, così ancora chiamerà le sue pecore fuori dall’“ovile” della cristianità, e udendo la sua voce, ne usciranno e lo seguiranno.168 Per Babilonia non c’è più possibilità di ravvedimento, il tempo di grazia è finito: “Fuggite di mezzo ad essa e salvi ognuno la sua vita, guardate di non perire per l’iniquità di lei! Poiché questo è il tempo della vendetta dell’Eterno; egli le dà la sua retribuzione. - Noi abbiamo voluto guarire Babilonia, ma essa non è guarita; abbandonatela”.169 Rimanere in essa significa essere corresponsabili dei suoi peccati,
162 163 164 165 166 167 168 169
Genesi 12:1. Genesi 19:12. Esodo 12:31. 2 Corinzi 6:14; Efesi 5:11; 1 Timoteo 5:21. J. Doukhan, o.c., p. 229. Malachia 4:4,5. MILLIGAN William, The Revelation of St. John, London 1887, p. 306. Geremia 51:6,9,45. Quando la profezia diventa storia
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approvare la sua idolatria, la sua fornicazione cioè i suoi intrallazzi con i potenti e ciò comporterà il subire le piaghe, le ultime che il Signore riverserà su lei. “Uscire da Babilonia s’impone come la sola possibilità per sfuggire al massacro, ma anche per riscoprire la propria identità al paese della promessa. È un appello alla speranza che è qui lanciato nelle strade di Babilonia, quando ancora la città vibra con tutte le sue fibre, un appello che ci riguarda tutti”.170 “Uscire da Babilonia è prima di tutto separarsi dal peccato che attira su di lei la collera di Dio. Passare da una denominazione all’altra portando con sé il disordine e il vizio, non è uscire da Babilonia”.171 “Uscire dal mondo è uscire spiritualmente dalla confusione mondana e mondiale, è uscire dal peccato e di conseguenza uscire da una pietà terra terra, orizzontale, che tollera balli e piaceri, matrimoni impuri, proibizioni sottili e grossolane, per elevarsi verso la zona d’amore e d’adorazione in cui la fede si schiude, è uscire verticalmente dalla vita del basso per la vita dell’alto”.172 “Molto bene, ma è tutto? Abbiamo il diritto di aggiungere, con l’autore citato: “Uscire da un gruppo per andarsene, orizzontalmente, verso un altro gruppo più ristretto, a quale scopo?” Noi crediamo che una uscita orizzontale, una separazione ecclesiastica sia necessaria e legittima quando il gruppo al quale si appartiene rifiuta la libertà di credere, di praticare e d’insegnare le verità essenziali della Parola di Dio (perpetuità del Decalogo, ritorno prossimo di Cristo, immortalità condizionata, battesimo per immersione dei credenti, separazione della Chiesa dallo Stato, ecc.). Bisogna desolidarizzarsi da ogni organizzazione ecclesiastica che si ostina a restare in Babilonia. Ciò che caratterizza Babilonia è il rifiuto di pentirsi e di riformarsi. “Io le ho dato del tempo per pentirsi; ma essa non vuole pentirsi della sua impurità”.173 Ecco ciò che dice della Iezebel del Nuovo Testamento. Alla Chiesa di Laodicea Gesù Cristo dice: “Abbi dunque zelo e ravvediti”.174 Se essa non si pente, il Cristo la vomiterà dalla sua bocca. Questa è una minaccia condizionata, piuttosto che una predizione che si deve fatalmente compiere. Come Babilonia ha in sé dei figli di Dio, che non sono ancora usciti, la Chiesa di Dio ha nel suo seno dei sudditi di Babilonia, che non sono ancora stati espulsi. La presenza di membri indegni non autorizza il fedele a separarsi da una Chiesa caratterizzata dalla fede e dall’obbedienza.175 Se bisogna guardarsi con cura dal latitudinismo che considera le questioni ecclesiastiche come indifferenti e vuole che ognuno muoia nella Chiesa in cui è nato, bisogna guardarsi anche dallo sbriciolamento e dall’individualismo. È un errore credere che una organizzazione religiosa faccia necessariamente parte di Babilonia, per il semplice fatto che è una organizzazione religiosa. L’isolamento non risponde al pensiero divino. I credenti non hanno solamente il dovere di separarsi dalle comunità infedeli: essi hanno ugualmente quello di raggrupparsi, di organizzarsi per la vita 170 171 172 173 174 175
J. Doukhan, o.c., p. 230. A.F. Vaucher, Babylone, in Signes des Temps, maggio, 1938, p. 10. CARON Pierre, Le prophétisme du Réveil, 1931, p. 153; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 10. Apocalisse 2:21. Apocalisse 3:19. Apocalisse 4:12.
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sociale, l’azione e la lotta. Essi devono collaborare con tutti i mezzi disponibili alla diffusione della verità religiosa e al trionfo della causa di Dio in seno all’umanità. Si riconosce da questo il popolo che si separa da Babilonia in risposta all’appello divino: mantiene e difende i principi del cristianesimo integrale. In fatto di morale, si mostra esigente e intransigente. Rifiuta di abbassare il livello dell’ideale evangelico per piacere alle masse, di allargare la porta e la via stretta per facilitarle l’accesso alle moltitudini inconvertite. Proibisce ogni ricorso alla forza materiale per far conoscere le sue dottrine. Non conta che sulla persuasione della verità, sullo splendore dell’amore. Si astiene dal giudicare gli altri, si accontenta di istruire e di guidare. Questo popolo attira a sé gli eletti, non per attribuirsi il monopolio del vero e del bene, o per sfruttare la buona volontà a suo profitto, ma al fine di organizzare, di disciplinare e di canalizzare i loro sforzi e di preparare anche il regno che il Cristo realizzerà al momento del suo ritorno. “Anima mia - dirò con lo Steinheil, scrive il maestro Vaucher, - staccati dalla falsa Chiesa, anzitutto e in ogni caso interiormente, per unirti alla vera Chiesa mediante una franca conversione ed una ferma confessione, in modo tale che all’ora fissata da Dio ciò che è interno possa svilupparsi e manifestarsi al di fuori. Separiamoci da quanto vi è di malvagio, di falso, di peccaminoso, in una parola: da tutto quello che appartiene a Babilonia; sia il nostro cuore affezionato a quanto vi è di diritto, di buono, di veramente cristiano”176”.177 Bisogna uscire per unirsi a coloro che “osservano i comandamenti di Dio e hanno la fede in Cristo Gesù” che dal tempo della purificazione del santuario celeste annunziano al mondo il triplice messaggio di Apocalisse XIV. “I suoi peccati si sono accumulati fino al cielo”. “In greco letteralmente si ha: “I suoi peccati sono stati incollati fino al cielo”. Holtzmann crede che questa espressione presenti l’immagine dei peccati iscritti su questo libro, i cui fogli di papiro, incollati gli uni agli altri, formano un rotolo che si estende fino al cielo”.178
176
G. Steinheil, o.c., p. 95 A.F. Vaucher, o.c., p. 10. B.B. BEACH responsabile della libertà religiosa a livello mondiale della Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno scrive: “Gli Avventisti del 7° Giorno sono fermamente convinti che la loro Chiesa sia apparsa sulla scena della storia in risposta a un appello di Dio. Essi credono - e si spera che sia senza orgoglio o arroganza - che il loro movimento sia lo strumento scelto da Dio in vista della proclamazione organizzata dell’“evangelo eterno”, l’ultimo messaggio divino, visto dall’angolo profetico esposto nei capitoli 14 e 18 dell’Apocalisse. Alla luce - accuratamente focalizzata - della sua comprensione profetica, la Chiesa degli Avventisti del Settimo Giorno si considera dunque come il movimento ecumenico d’orientamento escatologico di cui parla l’Apocalisse. Prima di tutto, chiama i figli di Dio a lasciare i corpi ecclesiastici “decaduti” che suscitano una opposizione religiosa crescente e sistematica ai piani divini. A questo appello a “uscire” ne fa seguito un altro, questa volta positivo, che invita questi stessi credenti a “unirsi” a un movimento d’unione mondiale - quindi ecumenico - caratterizzato dalla “fede di Gesù” e dall’osservanza dei “comandamenti di Dio” Apocalisse 14:12” Les Adventist du Septième Jour et le mouvement œcuménique, in Servir, II/86, p. 78. Di fatto la Chiesa Avventista è ecumenica “è nata in diverse Chiese in quanto gli avventisti provengono da denominazioni diverse” idem, p. 78. In altre parole, la Chiesa Avventista lontano da sminuire le divergenze dottrinali, ha la convinzione che sia un suo dovere affermare i punti dottrinali che la distinguono.. 178 L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 427. 177
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Le piaghe su Babilonia “Rendete il contraccambio di quello che ella vi ha fatto, e rendetele al doppio la retribuzione delle sue opere; nel calice in cui ha mesciuto ad altri, mescetele il doppio. Quanto ella ha glorificato se stessa ed ha lussureggiato, tanto datele di tormento e di cordoglio. Poiché ella dice in cuor suo: “Io siedo regina e non sono vedova e non vedrò mai cordoglio”. Perciò in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, mortalità e cordoglio e fame, e sarà consumata dal fuoco; poiché è il Signore Iddio che l’ha giudicata”.179 “L’ordine dei versetti 6 e 7180 non è dato ai cristiani, al popolo di Cristo, che ha lasciato la città, ma agli esecutori dei giudizi di Dio, alla bestia e ai re suoi alleati”.181 “Nessuna Chiesa come quella di Roma si vanta di essere seduta come regina, di non essere vedova e non avere dolore. Essa ha il triste privilegio di essere la prostituta per eccellenza, il centro della prostituzione, la madre delle impudicizie, o più esattamente degli impudichi”.182 In uno stesso giorno (non crediamo nella prospettiva del giorno profetico, un anno, ma in un periodo di tempo breve), con un susseguirsi rapido degli avvenimenti, questa regina, che si considerava immortale e non si era mai creduta vedova, cioè secondo il linguaggio biblico: abbandonata e desolata, avrà la sua finale retribuzione. Le piaghe descritte nel capitolo XVI la colpiranno. Mortalità, cordoglio e fame saranno le conseguenze. Sarà consumata dal fuoco, cioè dalla rivoluzione politicosociale. Il trionfo della demagogia anticlericale tutto sommergerà. Il lamento dei re su Babilonia “E i re della terra che fornicavano e lussureggiavano con lei la piangeranno e faranno cordoglio per lei quando vedranno il fumo del suo incendio; e standosene da lungi per tema del suo tormento diranno: “Ahi! ahi! Babilonia, la gran città, la potente città! Il tuo giudizio è venuto in un momento!””183
179 180 181 182 183
Apocalisse 18:6-8. Isaia 40:2; Geremia 50:29; Salmo 137:8. L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 427. K. .Auberlen o.c., p. 309. Apocalisse 18:9,10.
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“Quando tale Chiesa è colpita dal giusto giudizio di Dio, è chiaro che non sono i veri cristiani, i santi, che si lamentano, ma i grandi della terra, i ricchi, i re che hanno commesso adulterio con lei, i mercanti e gli armatori che si sono arricchiti dell’abbondanza del suo lusso... La prostituta non ha fatto nessun male ai re e ai potenti, non li ha ripresi per i loro peccati; ha piuttosto appianato per loro con ogni facilità il cammino del cielo; è servita come briglia o morso per mantenere i popoli sotto la loro obbedienza, ha fatto da polizia per conto dei governatori... Pure i commercianti l’amavano: contribuiva a mantenere la pace; gli affari marciavano bene sotto la sua protezione, i capitali fruttavano forti interessi...; essa non alzava la voce contro il lusso e l’amore dei comforts che sono causa di tanto sperpero e che per conseguenza mettono tanti soldi in circolazione; essa stessa si è adagiata nel comfort; essa ha ricercato la lana e si è preoccupata poco delle pecore! Allo Spirito, alle virtù dall’alto, alla città celeste, ai beni eterni, ha dato poco conto; la carne, il suo ornamento di prostituta, ecco ciò di cui si è preoccupata; lontano dall’arrestare la corruzione, essa non ha fatto che aumentarla e accelerarla, poiché non aveva sale in se stessa”.184 “Alle sentenze pronunciate dall’alto del cielo, rispondono dei lamenti sulla terra. I re della terra non sono evidentemente i dieci re incaricati della distruzione di Babilonia, ma gli altri re che si sono lasciati sedurre da lei e hanno seguito l’esempio della sua idolatria e della sua corruzione”.185 Vi è sempre alleanza tra le bestia e Babilonia, tra il mondo e il potere pseudoreligioso. Per questo i re della terra piangeranno la rovina della “gran città”, la vecchia Europa dalla quale traevano i loro profitti.
Il lamento dei mercanti su Babilonia “I mercanti della terra piangeranno e faranno cordoglio per lei, perché nessuno compera più le loro mercanzie: mercanzie d’oro, d’argento, di pietre preziose, di perle, di lino fino, di porpora, di seta, di scarlatto; e ogni sorta di legno odoroso, e ogni sorta d’oggetti d’avorio e ogni sorta d’oggetti di legno preziosissimo e di rame, di ferro e di marmo, e la cannella e le essenze, e i profumi, e gli unguenti, e l’incenso e il vino, e l’olio, e il fior di farina, e il grano, e i buoi, e le pecore, e i cavalli, e i carri, e i corpi e le anime d’uomini. E i frutti che l’anima tua appetiva se ne sono andati lungi da te; e tutte le cose delicate e sontuose sono perdute per te e non si troveranno mai più. I mercanti di queste cose che sono stati arricchiti da lei se ne staranno 184
K. Auberlen, o.c., p. 299. L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 428; vedere Apocalisse 17:12,16,17. Il lamento ricorda quello sulla città di Tiro in Ezechiele 26:16-18. 185
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da lungi per tema del suo tormento, piangendo e facendo cordoglio, e dicendo: “Ahi! Ahi! la grande città ch’era vestita di lino fino e di porpora e di scarlatto, e adorna d’oro e di pietre preziose e di perle! Una cotanta ricchezza è stata devastata in un momento””.186 I prodotti diversi del commercio che affluivano e andavano nei paesi di tutto il mondo sono elencati per fare rilevare, da una parte, il lusso e le delizie della grande città e, dall’altra parte, le perdite subite dai mercanti che si arricchiscono dei loro traffici e che ora non sanno più a chi vendere le proprie mercanzie.187 Con l’Europa tutte le nazioni sono coinvolte e l’Apocalisse annuncia una paralisi di tutte le attività. Non si può non vedere in questo brano il commercio che la Chiesa romana amministra. Nelle città, attorno ai grandi santuari, mete di pellegrini e centri taumaturgici, luoghi sacri alla tradizione, la popolazione vive del commercio della Chiesa, condizionando il popolo a sostenere il papato e la sua idolatria a motivo dell’interesse materiale che trova in esso. I mercanti non piangono la religione, ma il guadagno che questa dava a loro. Nel libro degli Atti troviamo una pagina simile. “Grande è la Diana degli Efesi” (le cui statue sono state poi adorate con il nome della Vergine) gridavano gli artigiani di quella dea incitando il popolo contro gli apostoli Paolo e Barnaba perché con la loro predicazione, annunciando l’Evangelo, aveva messo in crisi la loro attività artigianale con tutto quanto essa apportava.188 La Chiesa ha fatto commercio di tutto e con tutti, e per questo è immensamente ricca. Ha perfino fatto commercio dei “corpi” e delle “anime d’uomini”. “Questo commercio della Chiesa è rimasto unico nella storia dell’umanità”.189 Giovanni sceglie le parole con cura per indicare questa compravendita. Non si tratta di un commercio di mummie, non avrebbe molto arricchito la Chiesa e sarebbe durato poco, come la storia dell’Egitto ce lo dimostra. Se ci fosse stata nel testo solamente l’espressione “anime d’uomini” avremmo potuto pensare che Giovanni, come Luca in Atti190, indicasse le persone. Se Giovanni avesse usato l’espressione “e i corpi d’uomini” si sarebbe potuto pensare a dei prigionieri schiavi, che non contano che come la carne da vendere, come è scritto nel libro dei Maccabei191 quando Nicatore promise di dare 90 corpi di schiavi giudei per un talento d’oro. Giovanni scrive “e i corpi e le anime d’uomini” che si potrebbe tradurre “e dei cadaveri e delle 186 Apocalisse 18:11-16. Il versetto 14 “con il discorso diretto a Babilonia, interrompe manifestamente la descrizione del disastro subito dai mercanti. Il versetto 15 è unito strettamente al versetto 13. Si congettura che questo versetto 14 si trovasse originariamente dopo le parole del versetto 23: “La voce dello sposo e della sposa non si sarebbe più sentita presso di te”” L. Bonnet, o.c., t. IV, pp. 428,429. 187 Vedere L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 428. Per lusso e delizie: Apocalisse 18:3,7,14; commercio: 18:11. 188 Atti 19:23-41. 189 L. Gaussen, o.c., t. III, Paris 1849, p. 353. 190 Atti 2:41; 7:14; 27:37. 191 2 Maccabei 8:11.
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anime degli uomini”. “Certamente questo commercio è rimasto unico nella storia dell’umanità. Io cerco - scrive il Gaussen - al di fuori di Roma e in tutto l’universo, compreso anche l’antica Roma dei pagani, che facevano dèi i Cesari, io cerco se si sia visto una città o un pontefice o una religione che abbia mercanteggiato delle anime, e non ne trovo alcuna. I preti pagani vendevano bene qualche volta ai loro fedeli i favori dei loro dèi per delle liberazioni terrene, per delle guarigioni dalle malattie, dei soccorsi nelle tempeste, dei successi nella guerra, delle piogge per le siccità, o delle belle giornate dopo la pioggia; MA MAI PER DELLE LIBERAZIONI CELESTI, MAI PER SALVARE DELLE ANIME DAVANTI AL GIUDIZIO, MAI PER ACQUISTARE PER LORO IL CIELO, MAI PER ASSICURARE A LORO UN POSTO NELL’ETERNITÀ... I Turchi anche vendevano i talismani, e i neri dei feticci, per preservare i loro acquirenti dalla mortalità in tempo di peste, o dalle pallottole in tempo di guerra. Ma vendere delle anime d’uomini, vendere la salvezza di Dio alle anime, vendere alle anime il paradiso, l’eternità, no, mai. Al contrario, Maometto si fa dire da Dio nel Corano, nel capitolo ‘‘delle afflizioni’’: “Coloro dei quali la bilancia sarà pesante di buone opere, andranno in paradiso; e coloro per i quali la bilancia sarà leggera di buone opere, andranno all’inferno in un fuoco così caldo che non posso esprimerne il calore”.192 Ma riscattare qualche anima da questo inferno, ma fare uscire con dei soldi qualche anima da questo fuoco dell’altro mondo, no, mai, né Maometto, né i mufti di Bagdad o di Costantinopoli l’avevano preteso. Questo commercio non appartiene che alla Roma dell’Anticristo... solo l’Anticristo perdona tale o tal altro peccato. Commercio di corpi e di anime ha detto Giovanni, i corpi distinti dalle anime. Gli Egiziani, ai tempi di Abramo, imbalsamavano i loro morti illustri e li conservavano allo stato di mummie. I loro medici vi lavoravano per 40 giorni, dice Erodoto; e durante altri 30 giorni li lasciavano immersi in carbonato di sodio (al nitro); e il popolo, come ci dice la Genesi, li piangeva durante questi 70 giorni.193 Ma non veniva a nessuno, presso gli Egiziani, l’idea di venderli; e a nessuno quella di acquistarli! Mai! I pagani dell’antica Roma bruciavano i loro morti e raccoglievano con cura le loro ceneri in delle urne funerarie; ma avrebbero essi venduto per qualsiasi prezzo queste ceneri e queste urne? Mai! I primi cristiani seppellivano i loro trapassati - esempio Stefano... ma ebbero mai l’idea di vendere il loro cadavere? Non sapevano essi che Dio, per prevenire il culto abominevole dei morti, aveva dichiarato cose impure il solo toccare un cadavere, le sue ossa, il suo sepolcro, o il letto, o la sua tenda stessa? Questa impurità legale durava sette giorni, e ci si doveva purificare pena la morte... Un figlio che toccava il corpo della madre, era sottomesso a questa legge come gli altri e non poteva entrare nella casa di Dio.194 Questo commercio produce per Roma immense ricchezze. Queste mercanzie erano vendute: ai re, alle città, ai regni, agli imperatori, ma il centro di questo commercio, la sua amministrazione, i suoi burocrati e i suoi agenti saranno in Roma. Questi corpi saranno venduti a pezzi, saranno messi nelle urne, messi in esposizione e si chiederanno dei soldi per vederli, si faranno dei viaggi ed enormi spese per contemplarli”.195 192 193 194 195
Corano, tomo II, p. 373; versione di Du Ryes, Amsterdam 1746; cit. L. Gaussen, o.c., t. III, p. 353. Genesi 50:2. Levitico 21:1; 22:3; Numeri 19:11-13. L. Gaussen o.c., pp. 353-355. Quando la profezia diventa storia
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Come Giovanni poteva scrivere in un modo più chiaro il commercio delle indulgenze, delle reliquie, delle messe ? Il lamento dei navigatori su Babilonia “E tutti i piloti e tutti i naviganti e i marinai e quanti trafficano sul mare se ne staranno da lungi, e vedendo il fumo del suo incendio esclameranno: “Qual città era simile a questa gran città?” Getteranno della polvere sul capo e grideranno, piangendo e facendo cordoglio diranno: “Ahi! ahi! La gran città nella quale tutti coloro che avevano navi in mare si erano arricchiti con la sua magnificenza! In un momento ella è stata ridotta in un deserto””.196 Al lamento dei re che traevano la loro gloria dall’alleanza con Babilonia, segue il lamento dei mercanti che vedono cadere in rovina i loro commerci e paralizzata l’attività dei navigatori al loro servizio, grazie ai quali traevano i propri profitti. Come l’antica Babilonia, lo splendore dei caldei aveva i suoi commerci che si estendevano per tutto il mondo dall’Oriente fino in Occidente, dalle colonne d’Ercole fino alle fredde coste del Mar Baltico, così la “gran città” la vecchia Europa estende i suoi interessi su tutto il mondo: da Nord a Sud, dall’estremo Oriente, all’estremo Occidente mediante la sua ramificazione; mediante i suoi tentacoli che avvolgono il mondo intero, fa affluire nelle sue piazze, nelle nazioni europee i tesori di tutta la terra e dalle proprie nazioni espande la propria produzione. Giovanni dice che tutto ciò è giunto alla sua fine. “C’è una ironia amara nella esclamazione che è propriamente una parola di ammirazione: “quale città era simile alla grande città?”.197 Babilonia non ha nessuna che le assomigli nella sua rovina presente, come nel suo splendore passato”.198
Rallegramenti per la distruzione di Babilonia “”Rallegratevi d’essa, o cieli, o voi santi, ed apostoli e profeti, 196 Apocalisse 18:17-19. Questa terza categoria di persone che si lamentano della propria rovina la si trova anche in Ezechiele 27:26 e seg. 197 “L’espressione “quale città era simile alla grande città” (Apocalisse 18:18) riprende la formula dell’adorazione della bestia, “chi è simile alla bestia” (Apocalisse 13:4); entrambe ricalcano “chi è come Dio!” degli antichi israeliti in adorazione davanti a Dio (Esodo 15:11,12; Michea 7:18)” J. Doukhan, o.c., p. 231. 198 L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 429; vedere Apocalisse 13:4.
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rallegratevi poiché Dio, giudicandola, vi ha reso giustizia”. Poi un potente angelo sollevò una pietra grossa come una gran macina, e la gettò nel mare dicendo: “Così sarà con impeto precipitata Babilonia, la gran città, e non sarà più ritrovata. E in te non sarà più udito suono di arpisti, né di musici, né di flautisti, né di sonatori di tromba; né sarà più trovato in te artefice alcuno d’arte qualsiasi, né s’udirà più in te rumore di macina. E non rilucerà più in te lume di lampada e non s’udirà più in te la voce di sposo e di sposa; perché i tuoi mercanti erano i principi della terra, perché tutte le nazioni sono state sedotte dalle tue malie””.199 Che contrasto tra le lamentazioni che precedono e la gioia alla quale sono invitati gli abitanti del cielo, i santi, i credenti, gli apostoli e i profeti della nuova alleanza il cui sangue è stato abbondantemente sparso. La gioia che provano per la caduta di Babilonia si confonde con l’adorazione delle vie di Dio, che fa trionfare la sua giustizia e santità, velate fino a quel momento dai disordini che crea il peccato. Come l’antica Babilonia è stata distrutta senza possibilità per lei di ricostruzione, così la moderna Babilonia giungerà alla sua fine ed il suo giudizio sarà definitivo ed irremovibile. Giovanni prende dal profeta Geremia l’immagine della macina che viene precipitata nel mare.200 Il coro celeste ricorda che Babilonia non ha conosciuto solamente la febbre del commercio e le vertigini della voluttà, ma anche il suono delicato del flauto, dell’arpa, la dolcezza della musica più elevata e sublime, la fatica perseverante dell’artigiano e l’attività del lavoratore. Le lampade che illuminano le tavole della famiglia, la voce dello sposo e della sposa che si scambiano parole affettuose e d’amore non hanno impedito la distruzione della gran città. Anche questo vivere cade sotto il giudizio di Dio perché non è santificato dalla sua Parola. La voce dell’amore è sostituita dal silenzio della morte.201 I mercanti hanno dominato il mondo; i re ed i potenti se lo sono troppo asservito perché tutti quanti hanno amoreggiato con la Chiesa. La fede in Cristo è stata il più delle volte un groviglio di superstizioni e di tradizioni. La sua fine non poteva che essere inevitabile. Siamo al compimento di quanto l’angelo rivelatore aveva detto al profeta Daniele: “Poi si terrà il giudizio e gli verrà tolto il dominio, che verrà distrutto e annientato per sempre. E il regno e il dominio e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli
199 200 201
Apocalisse 18:20-23. Geremia 51:64. Vedere Geremia 25:10; 7:34; 16:9; 25:10. Quando la profezia diventa storia
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saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutti i domini lo serviranno e gli ubbidiranno”.202 È il giorno dell’espiazione che giunge al suo compimento. Come negli evangeli l’annuncio della caduta di Gerusalemme corrisponde al sorgere della Chiesa, così la caduta di Babilonia nell’Apocalisse è seguita dal sorgere della nuova Gerusalemme.
In Babilonia si trova il sangue dei martiri e degli uccisi della terra “”E in lei è stato trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che sono stati uccisi sopra la terra””.203 La causa del giudizio su Babilonia è il sangue dei martiri e dei profeti. Il fatto che venga detto che in Babilonia si “è trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra”, non è una iperbole. C’è in questa dichiarazione una analogia con quello che Gesù diceva nei confronti di Gerusalemme.204 Tutte le violenze e le persecuzioni dai tempi di Abele fino a quelle di Cristo, sono ricadute su quella generazione contemporanea del Maestro che aveva avuto il privilegio di udire la “Parola fatta carne” e l’ha rigettata, rendendosi solidale con tutti i peccati delle generazioni precedenti. Così è dell’ultima generazione che, dopo aver respinto apertamente l’ultimo appello di Dio, che ha illuminato tutta la terra, subirà le conseguenze di tutto il male che è stato fatto contro i figli di Dio, nei confronti dell’umanità, del creato, dalla sua creazione in poi. C’è anche la responsabilità morale di coloro che si sono perduti perché non adeguatamente istruiti. Gli antenati seminano e i posteri raccolgono. Mediante tale giudizio di condanna è stata resa giustizia ai santi. Babilonia è ubriaca del sangue di coloro che seguono le orme dell’Agnello.
Quarta parte: Gioia in cielo per la caduta di Babilonia e l’annuncio delle nozze dell’Agnello Il capitolo XIX è la continuazione di quanto è stato esposto nei capitoli precedenti. Il capitolo XVIII presenta la distruzione di Babilonia “con l’ultima delle sette piaghe... e precede immediatamente il ritorno del Cristo e gli avvenimenti della fine”.205 Con la distruzione di Babilonia l’Agnello e la sua sposa, la Chiesa, sono pronti per le nozze. Tutta la storia biblica ed ecclesiastica è raffigurata da due donne: una pura e l’altra impura. Queste due donne rivaleggiano costantemente. Quando la 202 203 204 205
Daniele 7:26,27. Apocalisse 18:24. Matteo 23:35. L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 430; vedere Apocalisse 19:11 e seg.
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rivale s’impossessa della casa, la sposa ne viene scacciata, ma nel momento in cui la prostituta è giudicata e condannata, le nozze con la donna fedele si possono celebrare senza ostacoli. Questo capitolo XIX celebra il trionfo di Cristo e la fedeltà della sua sposa. “Contrasto quasi incredibile dopo l’orazione funebre, ecco ora un cantico celeste, intonato a tre riprese, esattamente come i pianti dei re, dei mercanti e dei marinai si erano innalzati per tre volte”.206 I canti che risuonano nel cielo celebrano la rovina di Babilonia e le nozze dell’Agnello, segnano il trionfo del regno di Dio. Essi formano anche la conclusione della visione precedente e preparano la seguente con la quale si presenta il ritorno di Cristo e la sua vittoria finale sulla bestia e il falso profeta e l’imprigionamento del dragone.
Primo canto degli esseri celesti “Dopo queste cose udii come una gran voce d’una immensa moltitudine nel cielo, che diceva: “Alleluia! La salvezza e la gloria e la potenza appartengono al nostro Dio; perché veraci e giusti sono i suoi giudizi; poiché Egli ha giudicata la gran meretrice che corrompeva la terra con la sua fornicazione e ha vendicato il sangue dei suoi servitori, ridomandandolo dalla mano di lei””.207 L’Apostolo ode come una grande voce d’una folla immensa. Coloro che cantano non sono visibili. Giovanni sente le parole che essi pronunciano. Ricordano quelle del capitolo XII:10-12 che celebrano la prima sconfitta del dragone e dei suoi angeli. Esse sono introdotte da un: Alleluia! “Lodate l’Eterno!” col quale si esprime la gioia del cielo per il trionfo della giustizia di Dio. Nel libro dei Salmi, la prima volta che echeggia un Alleluia è dopo l’affermazione che “spariranno i peccatori dalla terra e gli empi non saranno più”.208 La loro sparizione provoca le lodi degli angeli perché fa risplendere la gloria e la potenza di Dio, stabilisce il suo regno, e procura la salvezza alla Chiesa, che diventa la sposa perfetta dell’Agnello.
Secondo canto dei rappresentanti del Popolo di Dio “E dissero una seconda volta: 206 207 208
H. Lilje, o.c., p. 237. Apocalisse 19:1,2. Salmo 104:35. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XIX
“Alleluia!” Il suo fumo sale per i secoli de’ secoli. E i ventiquattro anziani e le quattro creature viventi si gettarono giù e adorarono Iddio che siede sul trono, dicendo: “Amen! Alleluia!””.209 “Questo secondo Alleluia conferma il primo. I1 suo fumo è quello che proviene da Babilonia. È detto che esso sale nei secoli dei secoli perché la distruzione di Babilonia è definitiva. Essa non si rialzerà più dalle sue ceneri”.210 È un’espressione comune al linguaggio orientale per affermare che la distruzione sarà assoluta e che nulla rimarrà di essa, se non il ricordo della sua distruzione. “Per sempre una tale abominazione e una tale insolenza non dovrà rialzarsi”.211 I ventiquattro anziani sono i rappresentanti del popolo eletto, dei riscattati, dell’antica e della nuova Alleanza. Il numero 24 risulta dall’addizione dei 12 patriarchi, capi delle tribù d’Israele, e dei 12 apostoli di Gesù Cristo. Giovanni non dice chi sono gli anziani; li considera solamente come i rappresentanti della Chiesa trionfale, assieme alle quattro creature viventi che rappresentano la creazione animata nella sua totalità. Essi non fanno intendere un cantico speciale; confermano solamente quello che è stato appena cantato e che sta per essere cantato dalla grande folla, essi assieme pronunciano un solenne “Amen, sì, è così! Alleluia!” Il loro “amen” accentua l’assoluta certezza, che è alla base della lode celeste. Tutta la creazione approva l’opera di Dio, conferma e appoggia i suoi giusti giudizi.
Terzo canto di tutti i servitori “E una voce partì dal trono dicendo: “Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servitori, voi che lo temete, piccoli e grandi””.212 Questa voce che esce dal trono non è la voce di Dio, né quella di Cristo che è celebrato come “l’Agnello” nel canto seguente. È piuttosto la voce di uno dei quattro esseri viventi, che si trovavano “in mezzo e attorno al trono”.213 I membri della Chiesa terrestre sono invitati ad unirsi a questa lode del cielo. Unendosi al coro degli angeli l’umanità liberata anticipa l’accordo finale tra cielo e terra. 209 210 211 212 213
Apocalisse 19:3,4. L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 431. C. Brütsch, o.c., p. 304. Apocalisse 19:3. Apocalisse 4:6.
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È giunta l’ora che il nome di Dio, per lungo tempo disprezzato e offuscato dalla nebbia del peccato, sia messo in luce e riceva quella lode che gli è dovuta. “Poi udii come la voce d’una gran moltitudine e come il suono di molte acque e come il rumore di forti tuoni che diceva: “Alleluia! poiché il Signore Iddio nostro, l’Onnipotente, ha preso a regnare. Rallegriamoci e giubiliamo e diamo a lui la gloria, poiché sono giunte le nozze dell’Agnello, e la sua sposa si è preparata; e le è stato dato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro; poiché il lino fino sono le opere giuste dei santi””.214 Come per il primo coro, Giovanni non vede la moltitudine, egli ode solamente la sua voce, che assomiglia al rumore delle grandi acque e del tuono. Essa loda l’Onnipotente che ha ripreso a regnare. Dobbiamo notare però che il regno ed il dominio di Dio non sono mai venuti meno, ed in tutti i secoli le sue mani hanno diretto il corso della vita di questo mondo. Però la terra, questa minuscola provincia dell’universo, giaceva sotto l’influenza di Satana che ne era il principe, il quale, appoggiandosi sulla debolezza e sulla concupiscenza degli uomini, è riuscito ad imporre nella maggior parte dell’umanità la sua stolta e nefasta volontà. È giunto però il tempo in cui questa potenza sta per essere debellata e quindi annientata, e allora il Signore potrà dominare, quale Re incontestato, in un mondo rigenerato e purificato da ogni male. Questa moltitudine “si rallegra e trasale di allegrezza per il trionfo del regno di Dio. Questo trionfo è celebrato come le nozze dell’Agnello, la consumazione dell’unione del Messia con la Chiesa; la sua sposa (in greco la sua donna), secondo l’immagine che dai profeti è passata presso tutti gli scrittori del Nuovo Testamento”.215 Queste nozze dell’Agnello hanno fatto sorgere un problema. Alcuni hanno visto nella sposa la Nuova Gerusalemme e negli invitati alle nozze i credenti. Le due opinioni anziché contrastanti sono concilianti. Spesso si usa nel linguaggio biblico la forma letterale della metonimia con la quale si menziona il contenente per indicare il contenuto. La Nuova Gerusalemme del capitolo XXI, è chiamata la sposa. Con il nome del contenente si indica il contenuto. La Chiesa nella sua totalità è la sposa, i singoli membri che la compongono sono gli invitati alle nozze e formano la sposa 214
Apocalisse 19:6-8. L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 431. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto messo tra parentesi. Nell’Antico Testamento l’Eterno è chiamato frequentemente: sposo, fidanzato di Israele (Osea 2:16,19,21; Geremia 2:2; 3:1-4; Ezechiele 16:7,8; Isaia 54:5; 61:10; 62:5). È assente sia nell’Antico Testamento sia nel giudaismo l’identificazione del Messia con lo sposo. Giovanni Battista per primo fa questa identificazione: Giovanni 3:28-31 215
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CAPITOLO XIX
amata da Cristo che “ha dato se stesso per lei, al fine di santificarla, dopo averla purificata con il lavacro dell’acqua mediante la Parola, al fine di far egli stesso comparire dinanzi a sé questa Chiesa, gloriosa, senza macchia, senza ruga o cosa alcuna simile, ma santa ed irreprensibile”.216 “Il banchetto delle nozze non significa altra cosa che le nozze stesse”.217 La sposa, scrive Giovanni, “si è preparata”. Con questa espressione l’Apostolo riassume l’attitudine della Chiesa fedele attraverso i secoli. Essa non si è installata da regina e da padrona del mondo; non si è presentata da gran signora; sapeva di essere pellegrina e straniera. Non ha assunto neppure un atteggiamento contemplativo e passivo. È perché desiderava questo gran giorno che ha partecipato alla sofferenza del mondo additando agli uomini il ritorno dello Sposo. “Malgrado tutta la sua debolezza, essa “si è preparata”. Si è tenuta salda, a dispetto di tutti coloro che, increduli o superstiziosi, l’hanno dichiarata liquidata. Essa non ha accettato i partiti vantaggiosi che le si offrivano. Si è rifiutata ostinatamente di essere la padrona dei Cesari. Ha mantenuto la fede, malgrado le facezie triviali sul suo fidanzato che la faceva aspettare da molto tempo”.218 Il Messia è chiamato l’Agnello per ricordare alla Chiesa che l’ha riscattata con il suo sangue prezioso e che solamente per l’effetto di questa redenzione può apparire al suo fianco vittoriosa “gloriosa, senza macchia né ruga, ma santa ed irreprensibile”. Il segreto della sua fedeltà consiste nell’aver accettato questa veste di lino fino, risplendente e puro. “Secondo l’uso orientale, è lo sposo che fornisce l’abito delle nozze. La sposa non ha tessuto il ‘‘fino lino splendido, puro’’ con le sue mani agili; essa non ha acquistato con i suoi propri meriti un imponente corredo da sposa, e non è neppure il caso di cantare, dopo una prima strofa in onore del Cristo, una seconda che esalti la sposa. Pure “le opere giuste dei santi” sono preparate in anticipo da Dio al fine di essere praticate. Non per questo non sono più vere e più pure”.219 Quando la donna rifiuta questo abito della grazia e ne preferisce un altro, c’è per lei la corruzione. Il colore splendente e puro forma un contrasto forte con la sontuosità sfacciata e sanguinaria della grande prostituta.
Conclusione “E l’angelo mi disse: “Scrivi: Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”. E mi disse: “Queste sono le veraci parole di Dio””.220
216 217 218 219 220
Efesi 5:25-27. L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 432. C. Brütsch, o.c., pp. 305,306. Idem, pp. 306,307; vedere Efesi 2:10. Apocalisse 19:8.
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L’angelo, dopo aver presentato la quarta beatitudine dell’Apocalisse, assicura Giovanni e i lettori che quanto ha udito ed ha scritto “sono le veraci parole di Dio” !
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Capitolo XX L’VIII RE «Daniele profetizza per il nostro tempo, e specialmente per il nostro tempo. Ed ecco perché la sua profezia (come tutte le profezie escatologiche) è oggi di una attualità evidente» André Lamorte.1
Introduzione «La visione dei capitoli X a XII (del profeta Daniele) sviluppa quella del capitolo VIII,2 ed è, nei confronti di questa, ciò che il capitolo VII è per il capitolo II. La
1
LAMORTE André, Le problème du temps dans le prophétisme hébreu, Paris 1960, p. 131. Come abbiamo avuto modo di dire, il capitolo 8 di Daniele trova la sua realizzazione nei capitoli 9, 10, 11, e 12. Per tale motivo presentiamo la seguente scheda riassuntiva: 2
La grande opera contro Dio, il suo popolo e la sua Parola L’opera del piccolo corno Daniele 8:9-12
Domande Daniele 8:13
Le domande di Daniele 8:13 hanno le risposte in Daniele 7, 8,9,11,12 R i s p o s t e Daniele 9: Daniele 8: Daniele 7: Daniele 11: 24,27 20,25,26. 14,17,25,26 31-35,40,45
Daniele 12: 6-12
2:45 Daniele 11 riprende e spiega la visione di Daniele 8
v. 9 ... uscì un piccolo corno, che diventò molto (smisuratamente) grande verso mezzogiorno, verso levante, e verso il paese splendido.
a) Fino a quando durerà la visione b) fino a quando il continuo sarà abolito c) la ribellione che produce la desolazione
v. 20 appariva maggiore delle altre corna
Daniele 12 indica dei periodi profetici in relazione a quanto detto in Daniele 8 e 11
CAPITOLO XX
v. 11b e il luogo del suo santuario fu abbattuto
v. 11a Si elevò anzi fino al capo di quell’esercito, gli tolse il continuo
v.11a Si elevò anzi fino al capo di quell’esercito,
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d) (fino a quando) il santuario sarà desolato
v. 9,11,12 Da quando è stato soppresso il continuo... beato chi giunge a 1335 giorni.
v. 24 Settanta settimane sono state tagliate via per il tuo popolo
v. 14 Fino a 2300 sere e mattine, poi il santuario sarà purificato. v. 25 Proferirà parole contro l’Altissimo
b) sarà abolito il continuo
v. 31 sarà soppresso il continuo
c) la ribellione che produce la desolazione
e vi collocheranno l’abominazione che cagiona la desolazione v. 32 Quelli che hanno violato il patto
v. 11 Dal tempo che sarà soppresso il continuo e sarà rizzata l’abominazio ne che cagiona la desolazione vi saranno 1290 giorni. v. 10 ma gli empi agiranno empiamente. Nessuno degli empi capirà, ma capiranno i savi
v. 25 insorgerà contro il Principe dei principi.
Quando la profezia diventa storia
L’VIII RE
v. 10 Si ingrandì fino a giungere all’esercito del cielo; fece cadere in terra parte di quell’esercito e delle stelle e le calpestò. v. 12a L’esercito gli fu dato in mano a motivo della ribellione. v. 24 distruggerà il popolo dei santi.
e) l’esercito sarà calpestato
v. 25 Ridusse allo stremo i santi dell’Altissimo per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo»
(per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo»)
v. 12b il corno gettò a terra la verità.
Quando la profezia diventa storia
v. 25 penserà mutare tempi e legge.
v. 33 E i savi tra il popolo ne istruiranno molti ma saranno abbattuti dalla spada e dal fuoco, dalla cattività e dal saccheggio, per un certo tempo. v. 35 di quei savi ne saranno abbattuti alcuni, per affinarli per purificarli per imbiancarli sino al tempo della fine… perché questa non avverrà che al tempo stabilito
v. 7 per un tempo dei tempi e la metà di un tempo (1260 giorni) e quando la forza del popolo santo sarà interamente infranta, allora tutte queste cose si compiranno. v. 10 Molti (savi) saranno... affinati purificati imbiancati … ma gli empi agiranno empiamente. Questi fatti dureranno tre anni e mezzo. Finiranno quando la potenza del popolo sarà interamente infranta.
di i la
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CAPITOLO XX
profezia propriamente detta è contenuta nel capitolo XI, al quale il X serve di prologo e il XII di epilogo».3 Questa porzione del libro di Daniele non ci presenta soltanto la storia fino al II secolo a.C., come dicono oggi i commentatori, ma la storia che giunge fino «al tempo della fine», alla conclusione della storia. Affinché sia ben chiaro al lettore che questo scritto del profeta presenta la storia di venticinque secoli, l’angelo Gabriele dice subito all’uomo di Dio, fin dall’inizio della sua rivelazione: «Sono venuto a farti comprendere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; perché è una visione che concerne l’avvenire».4 «Questa espressione (“ultimi giorni”) indica qui, come
a) Fino a quando durerà la visione?
v. 17 (la visione) concerne il tempo della fine
v. 26 «”poi” si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio, che verrà distrutto e annientato per sempre».
v. 25 fino a che il corno sarà infranto, senza opera di mano
2:45 senza opera di mano.
Domande: v. 6 Quando sarà la fine di queste meraviglie (questi fatti straordinari)? v. 8 Quale sarà la fine di queste cose? Risposte: v. 7 Quando la forza del popolo sarà interamente infranta. v. 9,11,12 Va Daniele ... Dal tempo che sarà soppresso il continuo ... vi saranno 1290 giorni. Beato chi giunge a 1335 giorni. v. 27 finché la completa distruzione che è decretata non piombi sul devastatore.
vv. 40,45 al tempo della fine ... giungerà alla sua fine, e nessuno gli darà aiuto.
3
AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 76. Una divisione più esatta di questo brano è: a) introduzione 10:1-11:1; b) rivelazione propriamente detta 11:2-12:3; c) conclusione del discorso e di tutto il libro: 12:4-13. Vedere La Bible Annotée, Ancien Testament - Les prophètes, t. II, Daniel, Neuchâtel, p. 316. 4 Daniele 10:14; confr. 11:40.
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altrove, l’avvenire più lontano che possa raggiungere l’occhio del profeta, e nel quale si avrà la realizzazione del piano divino».5 Il capitolo X di Daniele porta un contributo importante all’angelologia: ci aiuta a capire l’interdipendenza fra il cielo e la terra. A giudicare dai nostri sensi, si direbbe che le esperienze umane siano senza ripercussione nel cielo. In questo capitolo si alza il sipario, sia pure per breve tempo, ed allora si vede come i fatti dell’umanità siano in diretto collegamento con le forze celesti che guidano e dirigono verso il fine segnato dalla provvidenza.6 «Il capitolo X getta una luce molto importante sul mondo degli spiriti e sul ruolo che giocano nella storia questi invisibili attori. Non mancano passi analoghi a questo,7 ma nessuno è così chiaro e insegna tante cose. Che gli angeli siano gli istruttori di cui si serve la provvidenza divina per conservare il mondo e il governo, è una verità generale confermata dalle Scritture e particolarmente nelle due apocalissi, poiché è là soprattutto che viene sollevato il velo che ci separa dal mondo invisibile. In tutta la natura, pure nei fenomeni ordinari e regolari, la Bibbia riconosce un’azione degli angeli.8 È la stessa cosa nella storia, e il nostro capitolo ne è la prova principale. Noi vi vediamo che ogni regno della terra ha alla sua testa un angelo particolare. In opposizione a questi angeli, e alla testa del regno di Dio, d’Israele, si trova Micael... Egli ha per alleato in questa lotta un altro angelo considerato da Hofmann come il buon angelo della gentilità, incaricato dal Signore a realizzare in essa il suo decreto di salvezza. È naturale che sia precisamente questi ad informare Daniele della sorte che le potenze di questo mondo faranno subire al popolo di Dio. Permette al profeta di gettare uno sguardo sui combattimenti invisibili ai quali sono abbandonati i capi degli angeli, combattimenti il cui risultato deve decidere chi prevarrà presso i re della terra, lo spirito del mondo opposto a Dio, o lo spirito buono che lavora per realizzare il suo regno».9 In questo capitolo Daniele, come Giovanni, «vide tutto d’un tratto davanti a lui non il Dio del Sinai che scuoteva il cielo e la terra e folgorava i suoi nemici, ma il Sommo Sacerdote, il cui avvicinamento lo riempì dell’indicibile terrore che Dio solo 5
La Bible Annotée, o.c., p. 319. Daniele aveva pregato in favore del suo popolo in difficoltà nella Palestina dopo il rimpatrio, a seguito dell’editto di Ciro del 536 a.C. Un angelo potente fu mandato presso Ciro re di Persia per influenzarlo e indurlo alla benevolenza nei riguardi d’Israele (vedere 10:2,12,13). Già precedentemente questo messaggero celeste era stato accanto a Dario il Medo fin dal suo primo anno (11:1). L’angelo, dopo la rivelazione che fa al profeta, deve ritornare presso il re di Persia (10:20,21) per aiutarlo nella conduzione dell’impero affinché non agisca in modo sconveniente nei confronti del popolo di Dio. Finché il re di Persia o 1a monarchia persiana sarà uno strumento nelle mani di Dio, per il bene del suo popolo, sarà assistita dall’angelo del Signore, quando avrà compiuto la sua opera, l’angelo lo lascerà ed il re di Javan, cioè di Grecia, sorgerà per combatterla. «Il capo del regno di Persia» (10:13,20) «non si tratta qui del re, ma di un angelo preposto al regno di Persia» come pure lo è «il capo di Javan» La Bible de la Pleide, nota. Frédéric de ROUGEMONT precisa: «Senza dubbio qualche angelo caduto» La Révélation de S. Jean, précédée d’une brève interprétation des prophéties de Daniel, Neuchâtel 1862, p. 33. Questi capi erano al servizio di Satana. Vedere Ellen WHITE, Prophets and Kings, Montain View, 1917, 1943, pp. 571,572. 7 Giobbe 1:7; 2:1 e seg.; Zaccaria 3:1,2; Giuda 9; Apocalisse 12:7 e seg. 8 Giovanni 5:4; Ebrei 1:7; Apocalisse 7:1-3; 16:15. 9 K. Auberlen, o.c., pp. 76,77. 6
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può produrre sull’uomo. Questa apparizione era per Daniele piena di insegnamento. Egli riconobbe certamente in questo Dio uomo il Figlio dell’uomo che, nella visione delle quattro bestie,... aveva ottenuto lo scettro del mondo senza combattere».10 «Questo essere che appare qui, sotto forma umana... che indica con questa semplice parola un Uomo, è il Messia, cioè l’Eroe divino che è sempre la figura centrale del libro».11 Daniele ha questa rivelazione nel 534 a.C., nel terzo anno di Ciro. Nel capitolo XI Daniele non ha nessuna visione; l’angelo gli presenta gli avvenimenti politici e militari che riguardano la storia del popolo di Dio senza simboli, ma in forma letterale. Lo stile di Daniele in questo capitolo è talmente letterale che i commentatori moderni, quasi all’unanimità, affermano che l’autore del nostro libro non presenta avvenimenti per lui nel futuro, ma quelli già avvenuti e del suo tempo, vivendo lui stesso nel II secolo avanti Cristo. Come vedremo, questo modo di spiegare urta contro una realtà storica ben diversa e farebbe di questo scrittore una persona alquanto male informata soprattutto degli avvenimenti del suo tempo. Del resto, come dimostreremo, questo capitolo XI, il cui discorso viene completato nei primi versetti del capitolo XII, ci porta nel tempo della fine, uscendo quindi dal quadro storico del II secolo avanti Cristo.
Dall’Impero Medo-Persiano a quello Greco «E ora ti farò conoscere la verità. Ecco, sorgeranno ancora in Persia tre re; poi il quarto diventerà molto più ricco di tutti gli altri; e quando sarà diventato forte per le sue ricchezze, solleverà tutti contro il regno di Javan. 10
F. de Rougemont, o.c., pp. 32,33. FABRE d’ENVIEU Jules, Livre du prophète Daniel, t. II, Paris 1891, p. 1336. Con il capitolo 10 Daniele raggiunge il grado più elevato nella rivelazione. È passato dal sogno, capitolo 2, alla visione, capitoli 7, 8, alla visita dell’angelo, capitolo 9, alla rivelazione e visione diretta del Signore, capitoli 10 e 12.
11
Daniele 10:5,6.
Apocalisse 1:10,12-15.
«... alzai gli occhi, guardai, ed ecco un uomo, vestito di lino, con attorno ai fianchi una cintura d’oro d’Ufaz. Il suo corpo era come un crisolito, la sua faccia aveva l’aspetto della folgore, i suoi occhi erano come fiamme di fuoco, le sue braccia e i suoi piedi parevano terso rame, e il suono della sua voce era come il rumore d’una moltitudine».
«... udii dietro a me una gran voce, come d’una tromba... Io mi voltai per vedere la voce che mi parlava; e come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro; e in mezzo ai candelabri uno somigliante a un figlio d’uomo, vestito d’una veste lunga fino ai piedi, e cinto d’una cintura d’oro all’altezza del petto. E il suo capo e i suoi capelli erano come neve; e i suoi occhi erano come una fiamma di fuoco; e i suoi piedi erano simili a terso rame, arroventato in una fornace, e la sua voce era come la voce di molte acque».
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Allora sorgerà un re potente, che eserciterà un gran dominio e farà quel che vorrà».12 «Questa predizione riprende, per svilupparla, la visione del montone e del becco (del capitolo VIII) e la spiegazione che ne era stata data a Daniele. Essa disegna prima di tutto in pochi tratti la storia della monarchia persiana e della monarchia greca fino allo spezzettamento dell’impero di Alessandro».13 La rivelazione è data a Daniele nel III anno di Ciro e gli viene detto che devono sorgere ancora tre re, dalla cui lista Ciro, malgrado l’avviso contrario di Lutero, Calvino e dall’abate Crampon, deve essere escluso.14 Questi tre re, già secondo Gerolamo, Teodoreto e numerosi commentatori, furono: Cambise (528-522), figlio di Ciro e suo primo successore; l’usurpatore Gaumata o pseudo Smerdis (522-521)15 e Dario I figlio di Istarpe (521-486). Il quarto re, molto ricco, viene identificato con Serse I (486-465), chiamato nella Bibbia Assuero, di cui 1a Ester della Bibbia fu moglie. Questo re che accumulò immense ricchezze, sollevò tutto il suo regno e l’Asia contro la Grecia, organizzando la disastrosa campagna militare conclusasi con una grande sconfitta. Dopo Serse il trono medo-persiano fu occupato da Artaserse Longimane, che nel 457 a.C. promulgò il decreto con il quale Gerusalemme riacquistava il suo diritto legislativo, giuridico ed esecutivo, dando inizio alle settanta settimane (del capitolo IX), prima parte dei 2300 giorni-anni (del capitolo VIII). Dopo Artaserse lo scettro passò nelle mani di altri otto re insignificanti, l’ultimo dei quali fu Dario Codomano che, nelle battaglie di Granico, Isso e Arbela, metteva fine al regno medo-persiano vinto da Alessandro Magno. I commentatori sono unanimi nel riconoscere che il «re potente, che eserciterà un grande dominio e farà quello che vorrà» fu Alessandro Magno che, secondo lo storico Giustino, si fa chiamare re di tutti i paesi e del mondo e, secondo Quinto Curzio, fece tutto ciò che gli piacque.16 «I1 profeta passa sotto silenzio i nove successori oscuri di Serse e ci porta immediatamente alle conquiste di Alessandro il Macedone che volle, dopo centoventinove anni, castigare i Persiani dell’invasione ingiustificata di Serse».17 «Solamente la spedizione di Serse è per lui il fatto capitale nella storia, perché essa ha avuto per contropartita quella di Alessandro, che ha rovesciato il regno di Persia e 12
Daniele 11:2,3 La Bible Annotée, o.c., p. 320. 14 LUTHER Martin, Das zwolffte Cap. Daniel der Auslegung. von Antichristen und seinem Reich, Wittemberg 1546, pp. 232,233; Jean CALVIN, Leçons, 1562, f. 162,163; CRAMPON Augustin-Joseph-Théodore, La Sainte Bible, vol. V, Daniel, Paris 1901, nota a 11:2; vedere William PEMBLE, Remarks on difficult passages, in Ezra, Nehemia and Daniel, Oxford 1659, pp. 349,350. 15 È perché non si è voluto dare un posto a questo usurpatore che Lutero, Calvino, Crampon, hanno posto Ciro in testa alla lista, ma come abbiamo detto: «Il testo menziona prima di tutto tre re dopo Ciro, o senza contare lui che regnava in quel momento» J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1362. 16 VATTIONI Francesco, La Sacra Bibbia, Antico Testamento, t. II, Daniele, Torino 1964, p . 1103. 17 VUILLEUMIER Jean, Les prophéties de Daniel, Genève 1906, pp. 305,306. 13
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fondato la monarchia greca. I1 regno di Serse segna dunque nello stesso tempo l’apogeo della potenza persiana e l’inizio del suo declino. Dopo il cozzo di questo regno con quello di Grecia, a Salamina, il centro della storia si sposta e si trasferisce nella terza monarchia»18, indicata nelle visioni precedenti col bacino di rame, con la statua dalla testa d’oro, e col leopardo dalle quattro ali. «L’angelo passa all’impero dei Greci e lo prende quindi nel momento in cui è pervenuto al più alto grado della sua potenza, sotto Alessandro il Grande, poiché è solamente a partire da questo momento che entra in contatto con il popolo di Dio».19 Alessandro conquista la Persia dal 334 al 330 a.C.
La divisione dell’impero di Alessandro «Ma quando sarà sorto, il suo regno sarà infranto, e sarà diviso verso i quattro venti del cielo; esso non apparterrà alla progenie di lui, né avrà una potenza pari a quella che aveva lui; giacché il suo regno sarà sradicato e passerà ad altri; non ai suoi eredi».20 «Lo smembramento di questo regno segue di poco il trionfo del suo fondatore. Questo smembramento non fu l’opera di un altro conquistatore, ma l’effetto della morte di Alessandro, che comportò la divisione della monarchia macedone verso i quattro venti del cielo. Due tratti nuovi emergono dalla profezia di questo capitolo: nessuna delle parti di questo regno apparterrà ai discendenti di Alessandro; e nessuno dei suoi successori avrà una potenza uguale alla sua. Il suo regno sarà sradicato dal suolo della sua famiglia e passerà ad altri non ai suoi eredi legittimi, che moriranno di morte violenta, poco tempo dopo Alessandro stesso».21 Alessandro morì nel 323 a.C. e al posto del suo regno, dopo un periodo di guerre civili, a partire dal 301 a.C., accanto ad uno sbriciolamento di piccoli Stati, si costituirono i quattro regni principali: Macedonia, Tracia, Siria, Egitto.22
18
La Bible Annotée, o.c., p. 321. «Il regno di Javan è chiamato un regno per anticipazione, poiché non è che più tardi che i diversi stati del quale era composto furono riuniti per formare un solo regno sotto il dominio del re di Macedonia». K. Auberlen commenta: «Si è sorpresi che siano menzionati qui solo i quattro re della Persia e per conseguenza la serie di questi re termina con Serse; dopo Ciro, in effetti, sotto il regno del quale Daniele riceve questa rivelazione, i tre re che salirono sul trono di Persia furono Cambise, il falso Smerdis e Dario, figlio d’Istaspe. Il quale fu Serse, le cui ricchezze divennero proverbiali e che voleva che gli si gridasse ogni giorno: “Signore! ricordatevi degli Ateniesi”. Fu sotto di lui che l’Impero Persiano arrivò al suo apogeo e che impiegò tutta la sua potenza nella sua guerra contro la Grecia. Ma i Greci furono vittoriosi e da quel momento l’Impero Persiano cominciò a declinare. Dalla battaglia di Salamina, il centro dalla storia si trova spostato; non è più nella seconda monarchia, ma nella terza, presso i Greci» o.c., pp. 84,85. 19 K. Auberlen, o.c., p. 85. 20 Daniele 11:4. 21 La Bible Annotée, o.c., p. 321; confr. Daniele 8:8,22. 22 Per questo periodo di disordini consultare Pierre JOUGEUT, L’impérialisme macédonien et l’hellénisation de l’Orient, Paris 1926, XVIII-494 pp.
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Guerre tra i Seleucidi del Nord e i Lagidi o Tolomei del Sud «E il re del mezzogiorno diventerà forte; ma uno dei suoi capi diventerà più forte di lui, e dominerà e il suo dominio sarà potente».23 L’angelo lascia gli altri diadochi per non occuparsi che dei re del Nord (Siria) e del re del Sud (Egitto). «Questi re sono designati così nei confronti di Gerusalemme. I1 re di Siria, la cui capitale era Antiochia, estendeva all’inizio il suo dominio sulla Frigia fino all’Indo, ed occupava una contrada situata al Nord della Giudea. Il re d’Egitto, che possedette i territori situati al Sud della Giudea e dell’Arabia fino al Golfo Persico, è designato con l’espressione “re del Mezzogiorno”. Gli altri regni, volti verso altre contrade, ebbero pochi rapporti con gli ebrei. Dal punto di vista della profezia, questi regni erano come se non esistessero. I due regni dei Seleucidi e dei Lagidi interessavano per contro il popolo di Dio».24 «Il popolo d’Israele, che fino ad allora aveva goduto di un relativo riposo, si trova ora trascinato nelle vicissitudini del conflitto che si viene a creare tra questi due regni».25 Facendo conoscere in anticipo al suo popolo quello che sarebbe avvenuto, «Dio voleva prevenirlo contro i sofismi dalla gentilità e premunirlo contro le seduzioni dei costumi greci. I figli d’Israele, fedeli al loro Dio, sapevano anche che un pericolo li minacciava; ma essi sapevano pure che questa prova non impediva a loro di trionfare e di compiere i loro destini messianici».26 Per quanto riguarda il re del Mezzogiorno, gli interpreti sono d’accordo nel riconoscerlo in Tolomeo I Sotere, figlio di Lago, che prese possesso dell’Egitto in qualità di governatore o satrapo verso la fine del 323 a.C., egli si fece proclamare re nel novembre del 305 e morì nel 284, 283 a.C. Fu «il primo dei generali di Alessandro che, dopo la morte dei figli di questo principe, salì sul trono dei Faraoni e fondò la dinastia Lagide. Questo primo re della linea macedone si fortificò o s’ingrandì appropriandosi di Cipro, della Coele-Sirie, della Giudea e di diverse altre contrade. Prese Gerusalemme».27
23
Daniele 11:5. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1379. Per la storia dell’Egitto, consultare Edwyn-Robert BEVAN, A History of Egypt under the Ptolemaic Dynasty, London 1927, XXI-409 pp; Histoire des Lagides, Paris 1934, 444 pp.; August BOUCHÉ - LECLERCQ, Histoire des Lagides, 4 vol., Paris 1903-1907, XII-404,410,421 pag. Per la storia della Siria, August BOUCHÉ LECLERCQ, Histoire des Séleucides, 2 vol, Paris 1913-1914, IV-729 pag. Per una interpretazione di questa porzione di Daniele, relativa a questo periodo, vedere J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1379-1406; La Bible Ancien Testament, ed. Edouadr REUSS, 7a parte: Littérature politique et polémique, Paris 1879, pp. 269-273. 25 La Bible Annotée, o.c., p. 321. 26 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1356. 27 Idem, pp. 1379,1380. 24
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Un accordo simile è riconosciuto anche per il rivale di Tolomeo I: Seleuco, soprannominato Nicatore, che fu da principio uno dei generali di Tolomeo, fondò l’Impero Greco-Siro, indicato sotto il nome di impero Seleucida dal 312 al 280 a.C. «Seleuco cacciato da Babilonia da Antigone, andò a prendere servizio presso Tolomeo. Più tardi riconquistò Babilonia per suo conto e fondò l’Impero Seleucida, che, al principio, si estendeva dalla Frigia fino all’India».28 Di lui Daniele aveva scritto: «Il re del mezzogiorno diventerà forte; ma uno dei suoi capi diventerà più forte di lui, e dominerà; e il suo dominio sarà potente». «Da quel momento, la Siria e l’Egitto furono sempre in guerra, e siccome la Palestina è situata tra questi due paesi, gli Ebrei caddero sia sotto il dominio dell’Egitto, sia sotto quello della Siria, secondo che l’una o l’altra di queste potenze era la più forte».29 «E alla fine di vari anni, essi faranno lega assieme; e la figliola del re de mezzogiorno verrà al re del settentrione per fare un accordo; ma essa non potrà conservare la forza del proprio braccio, né quegli e il suo braccio potranno resistere; e lei e quelli che l’hanno condotta, e colui che l’ha generata, e colui che l’ha sostenuta per un tempo, saranno dati alla morte».30 Si tratta della pace conclusa fra Tolomeo II Filadelfo (283-246 a.C.), figlio e successore di Tolomeo I, che diede in moglie nel 251 sua figlia Berenice ad Antioco II Teos (261-246), successore di Antioco I Sotere (280-261), a seguito della guerra finita nel 252 a.C., dopo che questi ebbe ripudiato sua moglie Laodicea e diseredato i figli avuti da lei. Ma «il marito che le era stato dato non continuò a sostenerla... Essa (Berenice) non trovò in lui il suo sostegno, il soccorso sul quale essa aveva creduto di poter contare. Essa perdette ogni influenza e ogni autorità su suo marito che richiamò Laodicea».31 L’espressione che il Luzzi traduce «e colui che l’ha generata» cioè il padre di Berenice è tradotta dal Diodati e da altri con «e il figliolo di essa» e corrisponde meglio alla realtà storica, che ce lo commenta in questo modo: «Dopo la morte di Tolomeo Filopatore, Antioco ripudiò sua moglie Berenice e riprese Laodicea. Questa, ristabilita sul trono, si vendicò dell’affronto che aveva subìto avvelenando suo marito e facendo morire la principessa egiziana con suo figlio. Così l’accordo che Tolomeo si era proposto di stabilire con questo matrimonio fu infranto e la guerra scoppiò di nuovo».32
28 29 30 31 32
E. Reuss, o.c., p. 269. La Bible Annotée, o.c. p. 322. Daniele 11:6. J. Fabre d’Envieu, o.c., t . II , p. 1382. La Bible Annotée, o.c., p. 322.
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«E uno dei rampolli delle sue radici sorgerà a prendere il posto di quello; esso verrà all’esercito, entrerà nelle fortezze del re del settentrione, verrà alle prese con quelli, e rimarrà vittorioso; e menerà anche in cattività in Egitto i loro dèi, con le loro immagini fuse e coi loro preziosi arredi d’argento e d’oro; e per vari anni si terrà lungi dal re del settentrione».33 Dalla stessa radice dalla quale è uscita Berenice sorgerà un altro rampollo. «Questo germoglio è Tolomeo III Evergete, fratello di Berenice, figlio e successore di Filadelfo. Per vendicare sua sorella, marcia con un esercito formidabile contro il re del Nord, uccide Laodicea e invade tutta la contrada fino a Babilonia e al di là dell’Eufrate saccheggiando a suo piacere».34 Dopo la morte di Antioco II e il duplice omicidio di Berenice e dei suoi figli molti piccoli, il figlio di Laodicea, Seleuco II Callinico (246-225), veniva proclamato re di Siria. Fu vinto da Tolomeo III Evergete (246-221). Tolomeo III (246-221), portandosi in Egitto le divinità dei popoli vinti, credeva, secondo l’uso orientale, di assicurarsi così la sottomissione delle nazioni che adoravano quelle divinità. «Tolomeo, apprendendo che una sedizione si era sollevata in Egitto durante la sua assenza, ritornò carico di un ricco bottino consistente in 40.000 talenti d’argento, in vasi preziosi, e 2.500 immagini di metalli fusi. Tra queste ultime si trovavano quelle che Cambise aveva a suo tempo portato dall’Egitto in Persia; il popolo, molto attaccato ai suoi idoli, fu così felice del loro ritorno che diede a Tolomeo il soprannome di Evergete o benefattore. Giustino afferma che si sarebbe impadronito di tutto il regno dei Seleucidi se le circostanze non l’avessero richiamato in Egitto. Questo re si mostrò benevolo verso gli ebrei».35 «E questi marcerà contro il re del mezzogiorno, ma tornerà nel proprio paese».36 «Il re del Nord, menzionato alla fine del versetto 8, verrà, penetrerà nel regno del mezzogiorno. In effetti, due anni dopo che il re d’Egitto ebbe lasciato la Siria, Seleuco III Callinico attaccò e invase l’Egitto. Ma, essendo stato battuto, se ne ritornò nel suo regno».37
33
Daniele 11:7,8. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1383. 35 La Bible Annotée, o.c., p. 322. 36 Daniele 11:9. Il soggetto di questo versetto non è indicato nel testo originale. La Vulgata latina ha tradotto questo passo con: «Ed egli entrerà nel regno del Nord, e ritornerà nel suo paese». J. Calvino, o.c., f. 163, e L. Gaussen hanno pensato che si trattasse di un ritorno del re del Sud al Nord. Si tratta piuttosto di un tentativo di rivincita del re del Nord nei confronti dell’Egitto. «La Vulgata ha mal tradotto questo passo» J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1385. 37 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1385. «Seleuco, volendo prendere la sua rivincita, invase a sua volta l’Egitto; ma fu sconfitto e una fuga vergognosa lo riportò ad Antiochia» A. Crampon, o.c., nota. 34
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Guerra di Antioco Epifane III il Grande contro l’Egitto
«E i suoi figli entreranno in guerra, e raduneranno una moltitudine di grandi forze; uno di loro si farà avanti, si spanderà come un torrente, e passerà oltre; poi tornerà e spingerà le ostilità sino alla fortezza del re del mezzogiorno».38 I figli di Seleuco Callinico furono: Seleuco III Cerauno (225-223) e Antioco III il Grande (223-187); essi vollero vendicare l’affronto subìto dal padre. «Il primo di questi re cominciò la guerra in Asia minore, dove l’Egitto aveva dei tributari e degli alleati. Fu imprigionato da Attala, e morì poco dopo, senza aver avuto il tempo di nulla intraprendere contro il re del Sud. È per questo che l’angelo passa al singolare».39 Seleuco, essendo morto durante i preparativi della spedizione, lasciò «Antioco continuare da solo la guerra contro Tolomeo Filopatore, figlio d’Evergete, e riportò da principio dei brillanti successi».40 Tolomeo IV Filopatore successe a suo padre nel 221 e regnò fino al 203. «Antioco penetrò fino alla città di Dura, vicino a Cesarea, dove concesse a Tolomeo una tregua di quattro mesi; alla scadenza di questa tregua ricominciò la guerra, s’impadronì della Fenicia e della Palestina e avanzò sino alla fortezza di Rafia, stabilita non lontano da Gaza, sulla frontiera d’Egitto»41, dove viene fermato da un formidabile esercito. «E il re del mezzogiorno, messo al cimento, uscirà in campo e combatterà contro il re del settentrione, e preparerà una moltitudine copiosa e la moltitudine dell’altro cadrà nelle sue mani».42 «Tolomeo Filopatore, principe effeminato, fu fortemente irritato dai successi del re di Siria. Uscì dalla sua capitale o dal luogo nel quale aveva posto la sua residenza abituale; riunì un esercito considerevole, e questo esercito fu posto nelle sue mani; fu sotto il suo comando; egli si mise alla testa delle sue truppe»43.
38 39 40 41 42 43
Daniele 11:10. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1386. A. Crampon, o.c., nota. La Bible Annotée, o.c., p. 323; J. Fabre d’Envieu, o.c.,, t. II, p. 1386. Daniele 11:11, versione ed. Salani. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1387.
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«S’impadronirà di quella moltitudine ed il suo cuore s’innalzerà e getterà a terra uomini a migliaia, ma non riuscirà a prevalere».44 Tolomeo IV «Filopatore riportò una vittoria straordinaria su Antioco a Rafia nel 217 a.C. Diecimila Siri vi persero la vita... Il re d’Egitto non seppe approfittare della sua vittoria. Soddisfatto d’avere respinto gli invasori, Tolomeo fece la pace con Antioco e non trasse nessun vantaggio dalla vittoria di Rafia: se ne ritornò ai suoi piaceri, alla deboscia».45 «E il re del settentrione arruolerà di nuovo una moltitudine più numerosa della prima; ed in capo a un certo numero d’anni egli si farà avanti con un grosso esercito e con molto materiale».46 «Quattordici anni dopo la battaglia di Rafia, Antioco, fortificato e arricchito da felici campagne in Persia, in Giudea e in Asia Minore, rinnovò, alla testa d’un esercito considerevole, la guerra contro Tolomeo Epifane, figlio di Filopatore, dell’età di soli cinque anni, e riconquistò le province che aveva perduto».47 «E in quel tempo molti insorgeranno contro il re del mezzogiorno; e degli uomini violenti di fra il tuo popolo insorgeranno per dar compimento alla visione, ma cadranno».48 «Ci furono delle cospirazioni e dei disordini... presso gli egiziani a proposito della reggenza, e per togliere al giovane principe la corona e la vita».49 44
Daniele 11:12, versione ed. Salani. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1387. Alcuni commentatori hanno pensato che sia stato il re del Nord ad aver riunito un grande esercito (es. E. Reuss, o.c., p. 270). I1 Diodati traduce: «E il re del Mezzodì, inasprito, uscirà fuori, e combatterà con lui, cioè col re del Settentrione, il qual leverà una grande moltitudine; ma quella moltitudine sarà data in mano al re del Mezzodì». 46 Daniele 11:13. 47 La Bible Annotée, o.c., p. 323. Vedere J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1387,1388. 48 Daniele 11:14. Gli «uomini violenti» di questo versetto non sono i romani come ha creduto identificarli SMITH Uria (Thoughts critical and practical on the Book of Daniel, Washington, nuova ed., 1944, p. 243); che condivide la posizione di MILLER William (Evidence from Scripture and History of the second Coming of Christ about the year 1843, Boston 1842, pp. 88,89); e riproposto con argomentazioni che non comprendiamo dal The Seventh Day Adventist Bible Commentary, vol. V, Washington D.C., p. 868 e seg. A proposito degli scellerati o violenti del versetto 14, il rabbino S. CAHEN commenta: «Si tratta degli ebrei che, scuotendosi il giogo egiziano, si sottomisero al giogo siriano» La Bible, nuova traduzione con note, vol. XVII, Paris 1843, p. 57; vedere A. SCHLATTER, Die Bene Parisim bei Daniel 11:14. Zeitschr. für Alte Testament Wissensch., 1894, pp. 145-151. C.M. MAXWELL (God Cares, vol. I, Mountain View, pp. 280,281,283), condivide l’idea secondo la quale i violenti non sono altro che i romani, prende congedo da Antioco III al versetto 15 (p. 281), rifiuta di accordare il minimo posto ad Antioco Epifane IV e vede nel versetto 16 la conquista della Giudea da parte del generale romano Pompeo, al versetto 18 l’assassinio di Giulio Cesare, al versetto 20 l’avvento dell’imperatore Augusto, ai versetti 23 e 24 il papato, ai versetti 25-30 le crociate (p. 283). I versetti 36-39 sono attribuiti al papato (p. 286). 49 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1388. 45
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«Antioco si era alleato con Filippo, re di Macedonia, per la sua nuova spedizione contro Tolomeo Epifane. Inoltre, dei sollevamenti scoppiarono in questa epoca in tutti i paesi sottomessi all’Egitto, tra gli altri in Giudea. Degli ebrei violenti si rivoltarono contro il re del Mezzogiorno, loro sovrano legittimo, e si unirono ad Antioco. Così cominciarono le prove che colpiranno Israele sotto la dominazione siriana. “Ed essi cadranno”. La loro impresa avrà come risultato di attirare delle disgrazie sulla loro patria e su loro stessi».50 «I violenti... sono i Tobiadi, potenti e ricchi signorotti dell’Ammonitide, commercianti ed agenti per conto dei Lagidi, che, all’epoca del declino dell’influenza egiziana in Palestina, si dividono in due correnti. L’una, è rappresentata da Ircano, fedele ai Lagidi; l’altra, rappresentata da un gruppo di parenti, sette fratellastri secondo Giuseppe Flavio, passa ai seleucidi, si stabilisce a Gerusalemme e, sopraffatta più tardi da Ircano, cerca protezione presso Antioco IV che soppianta Ircano senza ristabilire i suoi protetti».51 «Questo partito è diffamato dall’angelo che disapprova la loro condotta: predice che essi si metteranno in una cattiva situazione,... prendendo partito per Antioco III, questo popolo si getta da solo nella gola del lupo, e prepara la realizzazione della profezia relativa ad Antioco IV Epifane».52 «E il re del settentrione verrà; innalzerà dei bastioni, e s’impadronirà di una città fortificata; e né le forze del mezzogiorno, né le truppe scelte avranno la forza di resistere».53 «Il re d’Egitto aveva inviato Scopa per riprendere le città della Palestina e della Coele-Siria. Ma Antioco sbaragliò le sue truppe vicino al Giordano, e lo obbligò a rifugiarsi in Sidone. Attorno a questa roccaforte, Antioco innalzò dei terrapieni e Scopa, pressato dalla fame, fu obbligato ad arrendersi».54 «Tre generali egiziani,
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La Bible Annotée, o.c., p. 323. F. Vattioni, o.c., pp. 1103,1104. 52 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1389. Anche per quanto diremo in nota al versetto 22, riteniamo sia opportuno presentare qui la spiegazione di chi vede da questo testo l’entrata in scena di Roma. Pur essendo diverse le opere che dal versetto 14 vedono l’apparire di Roma, riporteremo i commenti di J. Vuilleumier autore al quale abbiamo fatto riferimento in numerose occasioni. Questo autore segue Uria SMITH, Daniel and the Revelation, Battle Creek 1885, ristampa 1949. Versetto 14 sp. «I Romani entrano in scena». J. Vuilleumier a spiegazione propone una lunga citazione dello storico PRIDEAUX Humphrey, Histoire de Juifs, t. II, 19a ed., London 1825, pp. 196-198 che non crediamo sia in sintonia con il testo, anche se presenta la grandezza di questa potenza latina. Poi aggiunge: «L’entrata in scena dei Romani ha per effetto, dice la profezia, di compiere la visione. Certo è meraviglioso vedere apparire, proprio in questo posto segnato dalla visione, questa potenza colossale che avrà da ora in poi importanti e tragiche relazioni con il popolo di Dio, e che occupa un posto considerevole nelle visioni precedenti. E essi cadranno, aggiunge il profeta, è una allusione evidente alle disgrazie che cadranno sui nemici d’Egitto la cui terribile potenza dei romani ha sposato la sua causa» J. Vuilleumier, o.c., pp. 316,317. 53 Daniele 11:15. 54 J. Fabre d’Envieu. o.c., t. II, p. 1390. 51
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inviati a soccorrere Scopa, furono respinti; questa vittoria fece di Antioco il padrone di tutti i possedimenti di Tolomeo in Asia».55 Era il 198 a.C. «E quegli che sarà venuto contro di lui farà ciò che gli piacerà, non essendovi chi possa stargli a fronte; e si fermerà nel paese splendido, il quale sarà interamente in suo potere».56 «Antioco, vincitore a Penea e padrone di Sidone, impose la sua volontà al vinto e ai popoli del suo regno... Gli Egiziani furono davanti a lui».57 Fu grazie al tradimento dei giudei che Antioco si installò nel paese splendido che è la Giudea. 55
La Bible Annotée, o.c., p. 323. Versetto 15. «Ultima spedizione della Siria contro l’Egitto». «Nel 171, Antioco Epifane IV, approfittando del fatto che i Romani erano occupati in Macedonia, ottenne una vittoria sugli Egiziani. L’anno successivo ne riportò una seconda a Peluse; il terzo anno assediò Alessandria e il quarto, dopo aver conquistato tutto fino a Menfi, riprese l’assedio di Alessandria, che gli rimaneva ancora di vincere. In questa difficoltà, il giovane Tolomeo fece nuovamente appello alla protezione dei Romani sotto la tutela dei quali l’Egitto si era posto. La profezia si compiva dunque: non c’era più forza nelle braccia del mezzogiorno per resistere, né ad Antioco il Grande, né a suo figlio Epifane. Ma essa si doveva compiere ugualmente in quanto riguarda il modo in cui i Romani castigarono i due re di Siria» J. Vuilleumier, o.c., pp. 317,318. 56 Daniele 11:16. 57 TROCHON Charles, Daniel, Paris 1882, p. 236. Versetto 16. «I Romani mettono fine al regno di Siria». «I Romani hanno preso in mano gli interessi dell’Egitto la prima volta nel 201 contro Antioco III. Nel 195 combatterono contro Antioco e lo cacciarono per sempre dalla Grecia; e nel 190 dopo la disastrosa battaglia di Magnesia gli presero l’Asia Minore. Da quel momento la Siria passava sotto la dipendenza dei Romani. “Nessuno gli resisterà”, dice la profezia parlando dell’intervento dei Romani tra la Siria e l’Egitto». J. Vuilleumier, applica a questo passo quanto noi diciamo a commento del versetto 30. «Questa potenza repubblicana che entra, in linea diretta con i Giudei (161 a.C.), in relazione con il popolo di Dio, passa ora in primo piano nella profezia, mentre la Siria e l’Egitto vengono relegate in secondo piano, apparendo in qualità di province del quarto e ultimo impero universale» J. Vuilleumier, o.c., pp. 318,319. «La Palestina sotto il giogo di Roma». Dopo aver ricordato le persecuzioni di Antioco al tempo dei Maccabei, i giudei godettero in seguito di una certa indipendenza come alleati di Roma. Questa alleanza più tardi fu solennemente rinnovata. Se non ci fossero state delle divisioni interne i giudei avrebbero goduto di un’èra di pace indefinita. «Nel 63 a.C., mentre Pompeo andava a Damasco, fu preso come arbitro in una diatriba per la corona dai fratelli Ircano e Aristobulo. Pompeo si mise dalla parte di Ircano, Aristobulo si oppose, e il generale romano marciò contro Gerusalemme. La città santa sostenne un assedio per qualche mese e poi fu vinta subendo una carneficina... L’èra di completa indipendenza della nazione giudaica sotto i Maccabei, che era durata ottant’anni, finì» J. Vuilleumier, o.c., pp. 319,320. Con questa spiegazione si passa dal 161 a.C., del versetto 15, al 63 a.C. con il versetto 16. Il commento non ci sembra che sia inerente al testo. William H. SHEA, Bible Amplifier, p. 188, nel suo scritto dà dei supporti esegetici per giustificare l’entrata di Roma nel quadro profetico. Fa notare che da questo versetto il re del Nord non viene più menzionato fino al versetto 40. Scompare quindi dalla scena da quando il nuovo potere è introdotto. Il re siriano seleucida viene sostituito dal nuovo potere, Roma. Facciamo però notare che lo stesso H. Shea nel suo commentario a più riprese definisce Roma con l’espressione “il re del Nord”. Evidentemente, anche se nel testo biblico questa espressione non la si ritrova fino al versetto 40, è comunque chiaro che il potere che si contrappone al re del Sud sia quello del Nord. Per W. Shea, l’espressione «farà quello che vorrà» è una frase tecnica usata per introdurre nella profezia nuovi poteri, come è stato al versetto 3 per la Grecia, e quindi ora qui per Roma, il potere che allontanò Antioco Epifane IV dalle sue conquiste egiziane. La terza frase del versetto 16, il “Paese splendido”, è importante per la sua connessione con questo nuovo potere che sostituisce in Palestina ogni altra precedente forza e tutto prende nelle sue mani. Questo Paese splendido non può essere applicato ad Antioco, come risultato delle sue azioni, in quanto lo aveva già ereditato dal padre. Quando Roma conquista la Siria nel 64 a.C. include la Giudea nelle sue conquiste. Daniele 8:9 parla del Paese splendido come terra di espansione del piccolo corno. Quando la profezia diventa storia
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«Egli si proporrà di venire con le forze di tutto il suo regno, ma farà un accomodamento con il re del mezzogiorno, e gli darà 1a figlia per distruggergli i1 regno; ma il piano non riuscirà, e il paese non gli apparterrà».58 «Antioco dovette rinunciare al suo progetto di attaccare apertamente l’Egitto, perché temeva l’intervento dei Romani, e fece ricorso all’astuzia. Concluse la pace con la condizione che Cleopatra, sua figlia, sposasse il giovane Tolomeo; essa gli portò in dote la Palestina, cioè l’oggetto conteso tra i due re. La sua intenzione, trattando questa alleanza, era di avere un piede in Egitto e di far nascere un’occasione propizia per rendersi padrone del regno, ciò che indicano le parole: “e gli darà la figlia per distruggerlo (rovinarlo)”. “Ma il piano non riuscirà”. Lo stratagemma non riuscì, e il paese non fu suo. Cleopatra, prendendo il partito di suo marito piuttosto che quello di suo padre, fece sfumare il piano che quest’ultimo aveva ideato».59
A critica di queste considerazioni diciamo che, se è vero che la Palestina era stata ereditata da Antioco, è altrettanto vero che essa ha costituito nella storia dei regni del Nord e del Sud il pomo della discordia e quindi era una eredità da rivendicare continuamente. W. Shea rileva che, sebbene la traduzione «contro» sia comunemente usata, l’espressione ebraica ‘el, ha valore di “a” o “verso”, “fino a”, o come specifica al versetto 30, “da”, “in”, “con”. In altre parole, quando la diplomazia di Roma si incontrò con Antioco IV al suo ritorno dall’Egitto, non andò con tutte le sue forze. Era una missione diplomatica. Quindi Roma non andò “contro” di lui, ma “verso” lui (o.c., p. 188). La differenza è sottile, ma riteniamo che questo “verso” con significato non di scontro, sarebbe diventato “contro” se Antioco non avesse accettato le condizioni unilaterali che gli venivano offerte. Come abbiamo presentato sopra, non pensiamo che qui si parli di Roma. 58 Daniele 11:17. 59 La Bible Annotée, o.c., p. 324. Versetto 17. «Pompeo e Giulio Cesare in Egitto». «I re d’Egitto pagavano ingenti somme a Roma per poter conservare il titolo. Nel 51 a.C. il re Auleto morì lasciando il trono al figlio Denis e alla figlia Cleopatra, che dovevano sposarsi e regnare assieme. Pompeo fu nominato tutore dei due giovani e, fuggendo davanti a Cesare, fu assassinato per ordine del giovane re. Sostituito da Giulio Cesare, volle regolare il conflitto tra il fratello e la sorella. Ma, sedotto dalla bellezza di Cleopatra, ne sposò la causa combattendo contro Tolomeo e il suo partito. Dopo aver corso dei grandi pericoli a causa dei pochi soldati che l’accompagnavano, Cesare finì per trionfare e pacificò l’Egitto (47).... Cleopatra seguì Cesare a Roma, ma lei non fu per lui; poiché non tardò ad abbandonarlo e a unirsi ad Antonio» J. Vuilleumier, o.c., pp. 320,321. «Egli si proporrà di venire con tutte le forze di tutto il suo regno...». Per W. Shea, questa frase presenta una descrizione di movimento che va oltre la Giudea, una campagna militare in un’altra terra. Questo versetto non presenta la venuta di Roma in Giuda, che aveva di già presentato al versetto precedente. Roma aveva già conquistato il nord, ora si estende verso il sud, l’Egitto, che era formalmente incorporato nell’Impero Romano fin dal tempo di Ottaviano nel 30 a.C., anche se già Giulio Cesare entrò in Egitto nel 48 a.C. estendendovi gli interessi di Roma. È interessante osservare che l’Egitto viene messo in relazione con Roma dal tempo di Pompeo ucciso da un funzionario di Tolomeo. Se il versetto 16 si riferisse a Pompeo, che ha portato Roma ad estendere la sua influenza sul “Paese splendido” e che aveva condotto l’azione in Egitto, allora la prossima figura sulla scena profetica è Giulio Cesare, la cui opera è descritta nei versetti 17-19 (o.c., p. 189). «E gli darà la figliola per distruggergli il regno». Per W. Shea è la notoria alleanza Giulio Cesare - Cleopatra, che gli diede la figlia Cesariana. Cleopatra seguì Giulio Cesare a Roma come moglie, ma appena venne assassinato rientrò subito in Egitto per proteggere il suo trono. Quando Ottaviano giunse in Egitto si suppone che sia stato ucciso da un morso di una vipera. In questo senso il paese non gli apparterrà (o.c., p. 189). Questa spiegazione presuppone che il versetto 16 sia stato accettato in questa prospettiva, ma anche con questa spiegazione si deve dire che l’Egitto era già sotto Roma.
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«Poi si dirigerà verso le isole, e ne prenderà molte; ma un generale farà cessare l’obbrobrio ch’egli voleva infliggergli, e lo farà ricadere addosso a lui».60 «In quest’epoca, oltre alla Grecia asiatica la quale non era che un paese marittimo, il re di Siria si rese padrone della quasi totalità delle isole della Tracia, delle isole dell’Eube, di Delo, di Samo, di Rodi, ecc., i cui abitanti erano alleati dei Romani... Il capitano che fece cessare questa ingiuria fu Scipione l’Africano (189 a.C.). Fu lui che vendicò gli oltraggi fatti da Antioco al popolo romano e ai suoi alleati. Scipione diffidò duramente il re di Siria vicino a Magnesio, e lo forzò ad accettare le condizioni di una pace vergognosa e onerosa. Antioco dovette promettere di non più attaccare le isole, abbandonare ai romani tutti i paesi situati al di qua del monte Taurus, e pagare, oltre al tributo annuale, tutte le spese della guerra... Antioco fu umiliato».61 «Poi il re si dirigerà verso le fortezze del proprio paese; ma inciamperà, cadrà, e non lo si troverà più».62 «Obbligato a battere in ritirata, Antioco dovette mettere fine alle sue conquiste e preoccuparsi solo di fortificare le cittadelle del suo paese. Ma, avendo voluto spogliare il tempio di Belo in Elimaide, al fine di procurarsi i soldi che gli mancavano per pagare il tributo imposto dai romani, fu massacrato, lui e i suoi soldati, da un pugno di uomini indignati dal suo sacrilegio. La predizione dettagliata delle gesta gloriose e degli artifici di questo re prelude alla storia di Antioco Epifane, suo figlio più giovane».63 «Poi, in luogo di lui, sorgerà uno che farà passare un esattore di tributi attraverso il paese che è la gloria del regno; ma in pochi giorni sarà distrutto, non nell’ira, né in battaglia».64 60
Daniele 11:18. J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1391. Vedere Giovanni LUZZI, La Bibbia - Gli Agiografi, Torino 1925, p. 321. Per W. Shea la parola “isola” ha anche il significato di “spiagge”. Giulio Cesare condusse tre campagne militari dopo aver lasciato l’Egitto: Bosforo, Nord Africa e Spagna. Le prime due certamente, la terza forse, possono essere indicate dal testo biblico (o.c., p. 190). Critica. Se Giulio Cesare era di già morto a seguito dei fatti menzionati al versetto 17, che motivo si ha di parlare della sua campagna in questo versetto 18? 62 Daniele 11:19. 63 La Bible Annotée, o.c., p. 324. Versetti 18,19. «Ultimi successi e morte di Cesare». «Una rivolta di Farnace re del Bosforo, strappò Cesare alla società di Cleopatra. Si scagliò sui nemici con tale impetuosità che ha potuto scrivere al Senato le celebri parole: “Veni, vidi, vici” - sono venuto, ho visto, ho vinto. Inflisse al partito di Pompeo due grandi sconfitte: una in Africa e l’altra in Spagna, poi rientrò a Roma dove fu coperto di onori e nominato perpetuo dittatore. Nel momento in cui i suoi amici vollero dargli il titolo di re cadde in mezzo al Senato vittima di una congiura» J. Vuilleumier, o.c., p. 321. Anche per W. Shea, la parte finale del versetto 19 descrive in forma letterale la caduta e morte di Giulio Cesare (o.c., p. 190). 64 Daniele 11:20. 61
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Ad Antioco Epifane III succede il suo figlio maggiore: Seleuco IV Filopatore (187-175 a.C.). «Il suo regno non presenta nulla di rilevante, e il solo particolare che viene menzionato qui è l’invito di uno dei suoi ministri, Eliodoro, come esattore delle tasse “attraverso il paese che è la gloria del regno” cioè a Gerusalemme, per saccheggiare il tesoro del tempio e procurarsi delle risorse. Dopo dodici anni di regno, questo re perì a causa del tradimento di Eliodoro che l’avvelenò. La sua morte (in pochi giorni sarà distrutto) non si verificò in una contesa violenta (non nell’ira) né in battaglia».65
Antioco IV Epifane «Poi, in luogo suo, sorgerà un uomo spregevole, a cui non sarà stata conferita la maestà reale; ma verrà senza rumore, e s’impadronirà del regno a forza di lusinghe».66
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La Bible Annotée, o.c., p. 324; vedere 2 Maccabei 3. Versetto 20. «L’imperatore Augusto, esattore delle imposte». «Ottaviano, nipote e successore di Cesare, ricevette dal Senato il titolo di Augusto. Il suo regno, che portò la gloria romana al suo apogeo, è chiamato l’èra di Augusto. Per la seconda volta, dalla fondazione di Roma, il tempio di Giano, che era aperto in tempo di guerra, fu chiuso. ... Prelevò enormi imposte (Luca 2:1)». In quel tempo nacque Gesù. J. Vuilleumier, o.c., p. 322. Per W. Shea il versetto si riferisce a Cesare Augusto. Le imposte richiamano il sistema stabilito sotto la sua amministrazione. Gesù nasce a Betlemme al tempo del censimento di Augusto (Luca 2:1), che muore il 19 agosto del 14 d.C. realizzando alla lettera la parte finale del testo (o.c., p. 190). 66 Daniele 11:21. Il testo di Daniele 11:21-45 è stato compreso e anche suddiviso in modi diversi: - Antioco IV Epifane: K. AUBERLEN, 3a ed., p. 61; G. LUZZI, pp. 322-329; A. WESTPHAL, Les proph., pp. 1047,1048. - Antioco IV Epifane tipo dell’Anticristo finale: P. JURIEU, The accompl., vol. I, pp. 216-257; M. LUTHER, p. 270; Ph. MELANCHTON, Omnia, 1555, pp. 330-334; R. PACHE, Notes, pp. 68,78. Per reazione a questa interpretazione altri esegeti non hanno voluto vedere Antioco in nessuna parte di questo capitolo. Vedere SDABC, fine nota n. 70. Daniele 11:21-29: - Antioco: I.T. HINTON, pp. 70-75; C.L. LOYS de CHÉSEAUX, pp. 233-237; M.C. WILCOX, The Signs of the Times, 23/4/1912, p. 6. Daniele 11:21-30: - Antioco:
S. SPARKES, pp. 98-129;
Daniele 11:21-35: - Antioco: S. LIMBACH, Eine, pp. 166-174; - Antioco tipo dell’Anticristo finale: G.D. YOUNG, vol. II, pp. 273; Daniele 11:36-45: - Antioco e Anticristo finale: S. LIMBACH, Eine, pp. 174-181. - Anticristo finale : G.D. YOUNG, vol. II, pp. 273; Daniele 11:40-45: - Antioco: È quanto sostiene la maggioranza dei commentatori.
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La grande maggioranza degli interpreti non esita a riconoscere in quest’uomo spregevole Antioco IV Epifane (175-164). «Questo principe, figlio minore di Antioco III, ritornava da Roma, dove era stato ritenuto come ostaggio durante dodici anni, e dove fu rimpiazzato da suo nipote Demetrio, quando apprese per strada la morte di suo fratello Seleuco IV, avvelenato dal suo ministro Eliodoro. Antioco Epifane ebbe ben presto ragione su questi, ma mantenne la corona per sé e lasciò l’erede legittimo in mano dei Romani».67 I suoi sudditi sostituirono l’attributo Epifane con Epimane (che significa il folle), come testimonia Polibio. Pur non essendo l’erede legittimo al trono, lo mantenne mediante la forza delle lusinghe. «E le forze che inonderanno il paese saranno sommerse davanti a lui, saranno infrante, come pure un capo dell’alleanza».68 Tolomeo V Epifane (203-181) morì all’età di 28 anni, lasciando due figli in tenera età: il maggiore, Tolomeo VI Filometore (181-145), e Tolomeo VII Evergete (145116). Durante qualche anno l’Egitto fu governato dalla loro madre, Cleopatra, figlia di Antioco III il Grande e sorella di Seleuco IV e di Antioco IV Epifane. «Alla morte di Cleopatra, i tutori dei suoi due figli, Tolomeo VI Filometore, e Tolomeo VII Evergete II, reclamarono la cessione della Coelé-Siria, della Fenicia e della Giudea, come dote della madre di questi principi. Questa dote non era ancora stata data. A causa del rifiuto di Antioco IV, gli Egiziani entrarono in guerra, con delle forze inondanti. Ma il re della Siria marciò presto su Peluse, batté l’esercito egiziano presso il monte Casius, s’impadronì con l’astuzia del giovane Tolomeo Filopatore e, con la scusa di prendere il ruolo di suo tutore, invase l’Egitto, dove prese a regnare nel nome di questo nipote, mentre l’altro, Evergete, si mantenne in Alessandria».69 Per quanto riguarda il capo dell’alleanza che venne infranto, i commentatori si dividono tra coloro che vedono: - Cristo Gesù, il Capo dell’Alleanza, messo a morte dai Romani;70
Per la presentazione completa delle opere vedere la Bibliografia. E. Reuss, o.c., p. 272. Vedere J.C. VOLBORTH, p. 65. Versetto 21. «Tiberio il disprezzato». «Augusto lasciava una sola figlia, della quale voleva nominare come suo successore il marito Marcello. Livia, terza moglie di Augusto, desiderava ardentemente mettere sul trono suo figlio Tiberio, avuto dal primo marito. “Tuo figlio è troppo vile per portare la porpora romana” rispondeva Augusto. Morendo Marcello, Augusto pensò ad Agrippa, un onesto e rispettato generale che morì avvelenato con i suoi figli, si crede, a opera di Livia. Affaticato per l’età e la malattia, Augusto cedette finalmente alle richieste della moglie... (Tiberio) fu contemporaneamente abile e fermo, dispotico e sanguinario; la sua vita fu tacciata di ubriachezza e di debosce mostruose. Morì soffocato nei suoi cuscini da un prefetto del pretorio, universalmente esacrato» J. Vuilleumier, o.c., p 325. Stesso pensiero in W. Shea, o.c., p. 190. 68 Daniele 11:22. 69 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1397. 70 U. SMITH, Daniel, 1907, p. 226; L. R. CONRADI, Los Vid., p. 203; J. VUILLEUMIER, Daniel, p. 326. Coloro che sostengono questa spiegazione dal versetto 14 presentano la storia dei Romani. William H. SHEA così spiega questo testo: «Ecco la nostra traduzione letterale di Daniele 11:22: “e le braccia di una inondazione si spanderanno come un torrente, sommerge davanti a lui, e rompe, così anche il capo dell’alleanza”. Dei cinque altri passi dell’Antico Testamento che hanno utilizzato la radice ebraica per “inondazione”, solo Daniele 67
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9:26 l’impiega come un nome (“La sua fine arriverà come per una inondazione, è stabilito che le devastazioni dureranno fino alla fine della guerra”). Questa osservazione indica di già un rapporto stretto tra 9:26 e 11:22. Ma questi versetti sono ugualmente riuniti dal riferimento comune della soppressione del principe dell’alleanza. È la parola ebraica nagid (principe) che qui è utilizzata. Nagid è in contrasto con la parola sar, tradotta ugualmente con principe negli 11 passi del libro di Daniele. Sar si riferisce sei volte a delle persone umane (9:6,8; 10:13,20 [2 volte], e 11:5) e cinque volte a dei personaggi celesti o soprannaturali (8:11,25; 10:13,21; 12:1). Inoltre la parola nagid appare tre volte nel libro di Daniele, una volta in 11:22 e due volte in 9:24-27. In quest’ultima profezia, appare associato al Messia al versetto 25, poi isolato al versetto 26 dove si riferisce al principe “che verrà”. Dispiace che la differenza delle due parole sar e nagid non appaia nelle nostre traduzioni perché i due termini sono generalmente resi con la stessa parola “principe” o “capo”. Ora, la differenza tra le due espressioni è ben precisa. Se questi termini si applicano profeticamente al Cristo, essi comportano una connotazione diversa che bisogna cogliere. La parola sar si riferisce a Cristo come personaggio celeste, “il Principe dell’esercito”, “il Principe dei principi” e il “gran Sacerdote” che si presenterà per il suo popolo. Nagid, per contro, si riferisce a Cristo in qualità di personaggio terrestre, nella sua incarnazione. È come nagid terrestre che fu unto Messia, per essere soppresso, per espiare l’iniquità, per portare la giustizia eterna, per mettere fine ai sacrifici e sigillare una alleanza solida con il suo popolo durante una settimana profetica. È per questo che bisogna far notare la presenza di un termine comune a Daniele 9:26,27 e 11:22. Questa terza parola ebraica, impiegata nei due passi è berit, “alleanza”. Certamente, questa parola appare ugualmente altrove nel libro di Daniele. Ma l’associazione con il principe, nagid, è unico in questi due passi. In Daniele 9:26,27, è il nagid che fa una alleanza solida durante una settimana e in 11:22 è chiamato il nagid dell’alleanza. Se i rapporti di ordine lessicografico all’interno del libro di Daniele hanno un senso, i due passi si riferiscono allo stesso individuo. Si notano quindi tre punti di contatto tra Daniele 9:24-27 e Daniele 11:22. La parola per “inondazione” è comune e unica ai due passi, come la parola nagid (principe). La parola che sta per “alleanza” si trova in altre parti del libro di Daniele, ma la sua associazione con la parola nagid è unica ai due passi. Questi tre legami linguistici tra i due passi mostrano che essi si riferiscono in una maniera o nell’altra agli stessi avvenimenti. A causa di queste relazioni linguistiche, gli interpreti che identificano il “principe dell’alleanza” in 11:22, con il sommo sacerdote Onia III (assassinato nel 170 a.C.), sono obbligati a fare la stessa cosa con il nagid in Daniele 9:26,27. Ma dato che questa profezia di Daniele 9:24-27 si compie durante il periodo romano, il nagid in questione non può essere Onia III. Per mantenere una tale interpretazione bisognerebbe non tenere conto delle relazioni linguistiche tra i due passi o datare la prima profezia al tempo dei Maccabei. Come stiamo dimostrando, Daniele 11:22 si riferisce al periodo romano. Ciò ci fornisce un punto di riferimento cronologico preciso a partire dal quale sarà possibile interpretare lo sviluppo storico di Daniele 11. Tutto il periodo che precede Daniele 11:22 precede l’esecuzione del Cristo da parte dei Romani, prima di sopprimere il principe dell’alleanza. Tutto ciò che segue il versetto 22 si riferisce a degli avvenimenti che seguono la crocifissione di Gesù» Études sur l’interprétation prophétique, 1979, pp. 55,56. A sostegno di questo pensiero possiamo aggiungere che nell’Antico Testamento a nessun sacerdote è stato attribuito il titolo di nagid. A critica di questa nota che riteniamo molto interessante e convincente, facciamo alcune osservazioni che possono sembrare deboli, ma che potrebbero avere la loro importanza: 1. L’abate RICCIOTTI Giuseppe, Storia d’Israele, vol. II, ed. SEI, Torino, p. 249 scrive in relazione a quel tempo: «Il capo della comunità era sempre il sommo sacerdote», quindi Onia oltre alla sua funzione religiosa poteva esercitare una posizione politica nella vita del popolo d’Israele e, come tale, può essere presentato come Nagid come lo sono stati diversi personaggi dell’Antico Testamento al di fuori del libro di Daniele. 2. Crediamo che la spiegazione che già dava Gerolamo, che identificava questo personaggio con Antioco Epifane e lo vedeva come tipo dell’Anticristo che sarebbe dovuto venire, possa forse giustificare l’espressione nagid riferita a Onia quale capo dell’alleanza. 3. La spiegazione dei testi che precedono e seguono il versetto 22 nella prospettiva di Roma, a nostro parere, non chiarisce il testo biblico. Quanto abbiamo riportato in nota a commento dei rispettivi versetti crediamo dia una conferma alla nostra osservazione. 4. Dal versetto 5 al versetto 30 i contendenti sono il re del Sud e il re del Nord. Non abbiamo trovato una spiegazione che giustifichi che l’espressione «re del Nord» e «re del Sud» sia data a una potenza diversa da quella da noi menzionata. Per questo motivo riteniamo che i re rappresentino sempre le monarchie dei territori geografici indicati. A precisazione di questa osservazione riconosciamo che dal versetto 16 non si menziona più il “re del Nord”, e il potere che si contrappone al re del Sud è indicato con il pronome “lui” o “egli”. Noi pensiamo che questo pronome indichi sempre il re del Nord per i seguenti motivi: a) Dal versetto 15, e quindi anche 16, non si presenta sulla scena profetica un altro potere. Quindi la grammatica e la sintassi ci autorizzano ad affermare che il pronome si riferisce al soggetto re del Nord. b) Sebbene il versetto 14 dica: «Degli uomini violenti (del popolo di Giuda) insorgeranno per dare compimento alla “visione”», cioè alla “visione” del capitolo 8, in cui si presenta il sorgere di Roma, non crediamo che sia giustificabile presentare Roma come protagonista dal versetto 16. Inoltre il testo che segue, il versetto 15, smentirebbe questa spiegazione presentando ancora i contendenti nel re del Nord e nel re del Sud, anche se si
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- Tolomeo VI, alleato di Antioco;71 - secondo Teodoreto, seguito dalla maggioranza dei commentatori, il grande sacerdote Onia III «che era il capo politico e religioso del popolo dell’alleanza (cioè di Israele) e che fu destituito da Antioco»72 al posto del quale mise il fratello Giasone. «Onia andò esule ad Antiochia, indi a Dafne, sobborgo della stessa città, dove qualche tempo dopo venne assassinato»73 «da Menelao, su ordine di Antioco, nel 172».74 giustifica dicendo che è l’ultima volta. Inoltre non è accettabile l’idea che il re del nord, territorio geografico dei Seleucidi, diventi Roma che estende la sua autorità su quei territori. Roma non è un impero orientale e la sede del suo governo non è a nord della Palestina bensì ad ovest. c) Il pronome “lui”, “egli” del versetto 16, si dovrebbe riferire a quello del versetto 15 e non a quello del 14. d) La spiegazione che vede dal versetto 16 Roma nel pronome “lui” o “egli” viene contraddetta nei versetti 29,30 che recitano: «Al tempo stabilito egli (cioè Roma) marcerà di nuovo contro il mezzogiorno (cioè il re d’Egitto); ma questa ultima volta non gli riuscirà come la prima; poiché delle navi di Kittim (Roma) muoveranno contro di lui (cioè l’“egli” del versetto 29, Roma)...». e) Al versetto 18 sulla scena profetica si presenta un terzo potere: un “generale” la cui presenza però non viene riproposta nei versetti che seguono. Questo generale si identifica con Roma e ciò crea un’altra difficoltà. 5. Abbiamo l’impressione che coloro che, con argomenti solidi che scaturiscono dal testo di Daniele, hanno contrastato l’identificazione di Antioco Epifane IV con il piccolo corno di Daniele 7, 8, e il principe, capo di 9:26,27, cerchino di mettersi al sicuro eliminando tale re anche da questo capitolo 11, di modo che di Antioco non si dica nulla in Daniele. Crediamo che, così facendo, facciano dire al testo del capitolo 11 quanto non vorrebbe dire. Tra gli studiosi avventisti, dopo Uria Smith, che ha rifiutato la minima presenza di Antioco anche in questo capitolo, solo due hanno visto il re Seleucida in Daniele 11: WILCOX Milton Charles, Signs of the Time, 23.4.1912, p. 6 e VAUCHER Alfred Félix, Les Signes des Temps, aprile 1960, p. 12. Gli autori del Commentario Biblico Avventista, SDABC, hanno però scritto: «È un fatto incontestabile: il tentativo di Antioco di costringere i Giudei ad abbandonare la loro religione e le loro culture nazionali, per adottare la religione, la cultura e la lingua dei Greci, costituisce l’avvenimento il più significativo della storia giudaica durante il periodo che si estende tra i due Testamenti. È possibile che la crisi causata dalla politica di Antioco Epifane sia menzionata in Daniele 11, benché esistano delle considerevoli differenze di opinioni quando si tratta di determinare la parte di questo capitolo che si riporti a questo soggetto. Si può riconoscere che le attività di Antioco Epifane trovino la loro collocazione nel capitolo 11 senza essere obbligati ad ammettere che lo stesso soggetto occupi un posto nei capitoli 7 e 8» vol. IV, pp. 868,869. Vedere inoltre nota n. 74. 71 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1399; Ph. MELANCHTON, 1555, p. 279; É.G.E. REUSS, Litter., p. 272. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia. 72 La Bible Annotée, o.c., p. 325. Vedere M. DELCOR, Le livre…, p. 235; J.L. FUELLER, p. 303; F. HITZIG, p. 135; W. PALMER, p. 143; E.F. ROSENMUELLER, pp. 397-399; C. TROCHON, p. 259; O. ZOECKLER, trad. inglese, p. 247. D. FORD, 1978, p. 267 lo applica ad Onia e a Gesù. Per i titoli della opere vedere Bibliografia. 73 V. Vattioni, o.c., p. 1105. 74 C. Trochon, o.c., p. 239. Versetto 22. «Nascita e morte di Gesù Cristo». «Germanico, un generale di Tiberio, respinse vittoriosamente numerose invasioni che minacciavano l’Impero... Il principe dell’alleanza, è il nostro adorabile Signore...» J. Vuilleumier, o.c., p. 326. W. Shea dice che Tiberio assunse l’incarico di vendicare l’affronto fatto da Arninius in Germania, che sterminò tre legioni di soldati Romani, e lo sconfisse completamente. Anche in altre occasioni ebbe azioni di forte repressione. La profezia parla di eserciti annientati davanti a lui, e questo va bene per Tiberio, ma può essere anche riferito ad altri governanti dell’antichità (o.c., pp. 190,191). Leggendo il testo biblico non sembra che ci presenti terre lontane. Il “Paese” non crediamo indichi le terre ai confini dell’Impero Romano. Crediamo sia più conseguente al testo metterlo in relazione con la Palestina. Se questo passo viene messo in relazione con la soppressione del Messia, il Signore Gesù, personaggio centrale del capitolo 9 e Principe delle corti celesti, nel capitolo 8, riteniamo di dover rilevare questa ulteriore osservazione, in aggiunta a quanto detto nella nota n. 70: «I termini laconici “come pure un capo dell’alleanza” con i quali si presenta la morte del Dio fatto carne, messaggio centrale non solo di Daniele, ma di tutta la Sacra Scrittura, sembra eccessivamente poco in mezzo a tanti particolari di altri avvenimenti. L’informazione viene data come se avesse una Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XX
Crediamo che sia più corretto identificare il “principe dell’alleanza” con Onia anche se il versetto seguente potrebbe forse far pensare a Tolomeo VI.
Prima campagna militare in Egitto, 173 a.C.
«E, nonostante la lega fatta con quest’ultimo, agirà con frode, salirà, e diverrà vittorioso con poca gente. E, senza rumore, invaderà le parti più grasse della provincia, e farà quello che non fecero mai né i suoi padri, né i padri dei suoi padri: distribuirà bottino, spoglie e beni e mediterà progetti contro le fortezze; questo, per un certo tempo».75 «Dal momento in cui aveva fatto alleanza, dall’istante in cui si era associato con il re d’Egitto... la condotta di Antioco offrì sempre l’impronta della dissimulazione e dell’imbroglio. Sotto il pretesto di assicurare il regno al nipote, il re di Siria s’impadronì dell’Egitto con poca gente. Per imbrogliare questo giovane principe, Antioco non prese con sé che un piccolo esercito. S’impadronì di Menfi, e poi svelò i suoi disegni ostili davanti ad Alessandria».76 «Fu la prima campagna contro l’Egitto (173 a.C.)».77 Dopo aver rotto l’alleanza col nipote, il quale comprese i suoi intrighi e i suoi imbrogli, «i suoi successi durarono fino a un tempo, cioè fino a un tempo che non fu di lunga durata. Ben presto in effetti gli Egiziani proclamarono re Evergete II. Antioco, felice d’avere il pretesto per incominciare i suoi saccheggi, ritornò in Egitto, dicendo di farlo per ristabilire il re o piuttosto l’uomo paglia che aveva lui stesso deposto. Dopo aver riportato una battaglia navale vicino a Peluse, iniziò dei negoziati che non finirono bene per lui».78 «Prima che gli Egiziani, presi all’improvviso, si fossero messi in stato di difesa, Antioco occupò il Basso Egitto, la cui straordinaria fertilità è conosciuta, e fece delle elargizioni ai suoi partigiani e agli Egiziani, come non avevano mai fatto i suoi predecessori sempre a corto di soldi. Egli s’impadronì di diverse “fortezze”; Alessandria gli resistette con successo».79 importanza relativa. L’avvenimento così fondamentale e centrale del testo biblico è appena sfiorato. Riteniamo che Daniele avrebbe dovuto metterlo in maggiore evidenza, anche se lo aveva già fatto nel capitolo 9, o non menzionarlo affatto, come del resto pensiamo che faccia, in considerazione del fatto che il testo biblico non giunge fino a quel tempo». Inoltre anche al versetto 28 si fa nuovamente riferimento all’alleanza, «al patto santo». Se il versetto 22 si riferisse al capo dell’alleanza, al versetto 28 per alleanza si dovrebbe intendere qualcosa di inerente allo stesso capo. Non crediamo che si possa riferire a qualcosa che riguardi gli accordi per crociate o a qualcosa ad esse collegate. Vedere nota n. 79. 75 Daniele 11:23,24. 76 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1401. 77 La Bible Annotée, o.c., p. 325. 78 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1402. Sulla prodigalità di Antioco, vedere M. DELCOR, Le livre, p. 237: «Gli storici dell’antichità menzionano più d’una volta la sua prodigalità». AA.VV., La Sagrada Biblia, vol. II, Madrid 1957, p. 1602,1603, vedono in Antioco IV un tipo dell’anticristo finale. 79 La Bible Annotée, o.c., p. 325; vedere 1 Maccabei 3:20.
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Seconda campagna militare in Egitto, 171 a.C.
«Poi raccoglierà le sue forze e il suo coraggio contro il re del mezzogiorno, mediante un grande esercito. E il re del mezzogiorno s’impegnerà in guerra con un grande e potentissimo esercito; ma non potrà tenere fronte, perché si faranno delle macchinazioni contro di lui. Quelli che mangeranno alla sua mensa saranno la sua rovina, il suo esercito si dileguerà come un torrente, e molti cadranno uccisi».80 Noi abbiamo qui «una seconda campagna contro l’Egitto, 171 a.C. Il re del Mezzogiorno è Evergete II o Fiscone (il gonfio), fratello di Filometore, che era stato proclamato re dagli abitanti di Alessandria, al posto di suo fratello, che si era messo alle dipendenze di Antioco. Questi pretendeva sempre di combattere nell’interesse del maggiore dei suoi nipoti, ma con l’intenzione segreta di frustrarlo col frutto della sua vittoria. Fiscone fu vinto (vicino a Peluse) a causa d’un tradimento macchinato da Antioco».81 Chi non condivide questa spiegazione vede nei versetti 23,24 la «politica romana». Descrive come Roma sia riuscita con la sua diplomazia a far richiedere dai sovrani la sua protezione che poi dovevano pagare a caro prezzo con alte imposte. Nel 161 a.C. si è stipulato un trattato tra i Maccabei e i Romani che diceva: «Decreto del Senato, concernente una linea di soccorso e di amicizia con la nazione dei Giudei. Nessun soggetto romano potrà fare guerra ai Giudei né aiutare i loro nemici a fargliela, inviando a loro del grano, imbarcazioni o argento. In caso di attacco, i Romani presteranno il loro soccorso nel modo che potranno e vice-versa». Il versetto 23 è forse una allusione a questo trattato, che viene messo subito dopo la menzione della crocifissione di nostro Signore. L’espressione per un tempo è presa in senso profetico, cioè per un anno (360 giorni) uguale a 360 anni. Vedere note n. 85 e 94. J. Vuilleumier, o.c., p. 327. Ci è difficile comprendere il passaggio dal 161 a.C. al 31 d.C. W. Shea dice che non sono sostenibili le posizioni dei commentatori che pensano che questo testo si riferisca alla caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. ad opera di Roma o quando l’impero diventa cristiano al tempo di Costantino. W. Shea pensa che questo versetto ci trasporti nel VI secolo, al tempo del sorgere della seconda Roma, Roma papale, nelle vesti del re del Nord. Il testo di Daniele verrebbe così suddiviso: versetti 23-30: attività militare delle crociate “ 31: intervento nei confronti del ministero celeste di Cristo “ 32-35: persecuzioni “ 36-39: autoesaltazione e bestemmie contro Dio. Il tempo delle crociate va dall’XI al XIII secolo: 1099-1249, 150 anni. La «poca gente» sono i crociati di fronte alle orde mussulmane (o.c., pp. 197,198). Non possiamo seguire questo modo di spiegare perché quanto viene detto nel versetto 31, secondo la spiegazione dello stesso W. Shea, del quale condividiamo il pensiero che, il collocare nel tempio «l’abominazione che cagiona la desolazione» «può essere descritta come l’unione del secolare al religioso - dello Stato alla Chiesa - nel quale gli aspetti della religione sono contaminati dalla fusione con le funzioni dello stato. Nella storia del cristianesimo, tale unione avviene quando lo stato diventa sostegno della Chiesa, che ha portato allo sviluppo del papato medioevale. Era l’uso della chiesa di stato di avvalersi del potere secolare per condurre le sue Crociate» o.c., pp. 204,205. Considerando che: l’alleanza dell’altare e del trono avviene prima delle crociate; la spada si è posta al servizio della croce nel 508 alcuni anni dopo della conversione di Clodoveo re dei franchi (vedere Appendice n. 6, p. 1028); l’abominazione della desolazione, essendo l’espressione di questa situazione ed essendo l’aspetto fondamentale della rivelazione di Daniele rispetto agli altri avvenimenti, tale descrizione avrebbe dovuto precedere la presentazione delle crociate che ne sono la debita conseguenza. Anche per questa osservazione non possiamo seguire la spiegazione di W. Shea. 80 Daniele 11:25,26. 81 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1402. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XX
I tutori e ministri di Tolomeo, Euleo e Laneo, sono coloro che mangiarono alla tavola del giovane principe con gli altri cortigiani e che lo tradirono. L’esercito di Antioco invaderà l’Egitto.82 «E quei due re cercheranno in cuor loro di farsi del male; e, alla stessa mensa, si diranno delle menzogne; ma ciò non riuscirà, perché la fine non verrà che al tempo fissato».83 «I due re non sono i due fratelli, ma Tolomeo e Antioco».84 I due fratelli intanto si erano riconciliati e tendevano verso lo scopo comune di eliminare lo zio. «Antioco e Filometore, alleati in apparenza contro Fiscone,... cercavano di imbrogliarsi l’un l’altro... La loro impresa contro Fiscone non riuscì. Si entrò in negoziazione. Dalle due parti si temeva il prolungamento della guerra. Gli Egiziani credevano di essere battuti di nuovo; e Antioco aveva da temere che un intervento dei Romani lo sorprendesse prima di concludere la pace. Non ignorava che Fiscone e Cleopatra, sua sorella, avevano inviato degli ambasciatori a Roma. Comprendendo che non poteva raggiungere il suo scopo nei confronti di Alessandria in tempo utile, dichiarò che la guerra era terminata e che si ritirava dopo aver rimesso sul trono il maggiore dei suoi nipoti. Installò dunque Filometore a Menfi e si ritirò, mantenendo Peluse, la capitale dell’Egitto, e conservando il vecchio pensiero di intrattenere la divisione tra i due fratelli, di rovinare il paese con la guerra civile, e di venire più tardi a impadronirsi delle spoglie».85 La fine di questa lotta non verrà che al tempo fissato, con la morte di Antioco.
Persecuzione di Antioco nei confronti di Israele
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Vedere Idem. Daniele 11:27. 84 La Bible Annotée, o.c., p. 325. 85 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1403. Versetti 25-27. «Roma padrona del mondo. L’Egitto conquistato». «Dopo averci mostrato la conquista dell’Impero di Alessandro da parte della repubblica romana e l’inizio dell’impero (dal 200 a.C. al 37 d.C.), la profezia ci porta indietro (v. 23-28) al momento in cui Roma entra in rapporto con il popolo giudeo e ci descrive la politica romana in generale, la conquista definitiva dell’Egitto e la distruzione di Gerusalemme (dal 161 a.C. al 70 d.C.)» J. Vuilleumier, o.c., p. 329. «Così terminò a vantaggio di Roma questa risonante rivolta (di Antonio) uno dei triunviri a profitto di uno dei frammenti dell’impero di Alessandro. Così fu inghiottito l’ultimo membro di questo impero nel territorio di Roma. Così fu spezzato il console Antonio dal cognato Ottaviano, con il quale mangiavano alla stessa tavola (v. 26,27). I tradimenti e le defezioni o, come dice la profezia, i complotti, furono, lo si vede, la principale causa di questa dissesto. Ma la fine non giunse che nel tempo fissato. È dunque dalla battaglia di Azio che bisognerà far partire i 360 anni del versetto 24, che ci portano alla decadenza di Roma» J. Vuilleumier, o.c., p. 330. Questo andare avanti nella storia e ritornare nel passato crediamo renda la spiegazione discutibile. 83
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«E quegli tornerà al suo paese con grandi ricchezze; il suo cuore formerà dei disegni contro al patto santo, ed egli li eseguirà, poi tornerà al suo paese».86 L’accordo è generale nel vedere in queste parole e in quelle successive del versetto 30 la persecuzione di Antioco contro i Giudei dal 169 al 166 a.C. Il bottino che Antioco portò dall’Egitto fu notevole, ma non gli era sufficiente e prese il proposito di saccheggiare e «castigare crudelmente Gerusalemme, dove, nell’intervallo, c’erano stati dei movimenti popolari causati dalla rivalità dei due competitori al pontificato».87 «Lasciando l’Egitto, Antioco apprese che c’erano stati a Gerusalemme dei disordini causati dalla rivalità tra Menelao e Giasone. Furioso, d’altra parte, perché i Giudei si erano rallegrati della falsa notizia della sua morte, prese pretesto dal tentativo di Giasone e venne a folgorare su Gerusalemme. Questa infelice città fu invasa e un terribile massacro cominciò per ordine del re. Questi entrò furioso nel tempio; ne tolse l’altare d’oro, il candelabro sacro, la tavola di propiziazione e numerosi vasi sacri. In una parola, prelevò tutto ciò che aveva un valore intrinseco, come aveva già fatto per il tesoro sacro. Poi raggiunse Antiochia».88 Il racconto del saccheggio del tempio e del massacro è riportato nei libri storici apocrifi dei Maccabei.89
Terza campagna militare in Egitto, 170 a.C.
«Al tempo stabilito, egli marcerà di nuovo contro il mezzogiorno; ma quest’ultima volta la cosa non riuscirà come la prima; poiché delle navi di Kittim muoveranno contro di lui, ed egli si perderà d’animo; poi di nuovo si indignerà contro il patto santo, ed eseguirà i suoi disegni, e tornerà ad intendersi con quelli che avranno abbandonato il patto santo».90
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Daniele 11:28. E. Reuss, o.c., p. 273. 88 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1403,1404. 89 1 Maccabei 1:20-29; 2 Maccabei 4:11-17. Versetto 28. «La rovina di Gerusalemme». «Due entrate trionfali a Roma sono qui menzionate: la prima è quella di Cesare Augusto (Ottaviano), al suo ritorno dall’Oriente, quale vincitore e unico padrone del mondo, anno 29 a.C. C’erano anche i figli di Antonio e Cleopatra.... Ottaviano portò a Roma così grandi ricchezze che il tasso d’interesse scese dal 12 al 4% e il costo delle terre aumentò in proporzione. Il secondo trionfo è quello di Tito, al suo ritorno dalla presa di Gerusalemme nel 70 d.C.» J. Vuilleumier, o.c., p. 331. Abbiamo difficoltà e mettere in relazione il testo con il commento. 90 Daniele 11:29,30. 87
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CAPITOLO XX
«La terza campagna di Antioco in Egitto non ebbe i risultati felici di prima. L’angelo ha già indicato due campagne di Antioco contro l’Egitto. Secondo il testo, ha in vista solo la prima che paragona alla terza».91 Le navi di Kittim che impedirono il progetto di Antioco sono le navi romane.92 «Si tratta in effetti della flotta romana che, dopo la vittoria di Pidna, si diresse dalla Macedonia verso l’Egitto per impedire al re di Siria di impadronirsi di questo paese. I progetti di Antioco relativi ai due Tolomei non si erano realizzati. I due fratelli si erano riconciliati e avevano convenuto di regnare congiuntamente. Il re di Siria gettò la maschera e reclamò, da parte sua, l’isola di Cipro con Peluse fino al Nilo. I due fratelli avevano chiesto il soccorso ai Romani. Un ambasciatore romano incontrò Antioco non lontano da Alessandria; e Popilio Lenate, che ne era il capo, gli presentò il decreto del Senato che gli ingiungeva di terminare la guerra immediatamente, sotto pena di essere considerato come un nemico. Vanamente il re di Siria rispose che aveva bisogno di riflettere, di consultare i suoi amici; Popilio tracciò rapidamente, con un bastone di vigna che teneva in mano, un cerchio nella sabbia attorno ad Antioco, proibendogli di uscire dal cerchio prima di aver risposto alle ingiunzioni del Senato. Malgrado la sua esasperazione, il re dovette inchinarsi davanti a quest’ordine e riprendere con il suo esercito la strada della Siria. Volse allora il suo furore contro i Giudei».93 Un partito di apostati giudei,94 fra i quali si trovava Menelao, assecondò il re nella sua impresa contro la loro religione e contro il loro paese nell’opera di denazionalizzare i Giudei, togliendo loro culto, istituzioni e costumi.
91
J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1404. La versione Alessandrina dei LXX e la Vulgata di Gerolamo rendono Kittim per Romani. La forma precisa dell’espressione sembra influenzata da Numeri 24:24 dove la versione Latina traduce «dall’Italia». I Targum traducono lo stesso passo con Romani come forse intendono i manoscritti del deserto di Giuda. Anche un testo aramaico traduce Roma o Italia. Vedere M. DELCOR, Le livre, p. 240; S. CAHEN, p. 60; W.E. GIRDLESTONE, 1820, p. 50; Ph. MELANCHTONE, Basel 1543, p. 215. 93 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1405. 94 «Questi apostati costituivano il partito ellenistico che assecondò il re nel suo progetto di denazionalizzare i Giudei, togliendo loro il culto, le loro istituzioni e i loro costumi» Idem, p. 1406. Sulla persecuzione subita dai Giudei tra dal 167 al 164 vedere: ABEL F.M., Les livres des Maccabées, Paris 1949, LXIV-491 pag.; Histoire de la Palestine depuis la conquête d’Alexander, Paris 1952, pp. 109-149; Antioco Épiphane, in Vivre et Penser, Paris 1941, pp. 231-254. Versetto 29,30. «La decadenza comincia: i Vandali». «Noi arriviamo qui all’espressione del tempo segnato (versetti 24 e 27), cioè dei 360 anni che iniziano dal 31 a.C. e che portano verso il 330 d.C. Vedere note n. 79,84. La profezia annuncia che per Roma l’epoca delle conquiste è chiusa e che quella delle sconfitte e della decadenza è incominciata. Il trionfo definitivo di Roma sul mondo era stato segnato da una vittoria navale e le navi di Kittim segneranno l’inizio del suo declino. L’anno 330 fu segnato da un avvenimento che fu il sintomo grave e che ebbe una portata considerevole sull’avvenire politico dell’impero: vogliamo parlare del trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio... Ben prestò arrivò la divisione definitiva dell’Impero tra l’Oriente e l’Occidente, divisione che fu seguita da vicino dalla caduta di Roma sotto i colpi dei Barbari. È qui che sopraggiungono le navi di Kittim che fanno perdere il coraggio all’orgogliosa padrona del mondo... I Vandali, che sono passati in Africa nel 429 e che utilizzarono le foreste dell’Atlas per costruire immense flotte...» J. Vuilleumier, o.c., p. 331,332. Le navi di Kittim che gli antichi identificavano con Roma, le terre al di là dell’isola di Creta, bagnate dai Mari Egeo e Ionio, ora indicano i suoi nemici: i Vandali. È probabile perché anche loro vengono da Ovest, da Creta, ma la spiegazione ci lascia perplessi. Versetto 30. «Gli imperatori cristiani e la decadenza religiosa». «Da Costantino, il cristianesimo era diventato la religione dell’impero...». 92
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Roma entra nella visione profetica Purtroppo oggi i commentatori, non riconoscendo in Daniele un profeta dell’Iddio vivente, ma un semplice narratore del II secolo avanti Cristo, sono unanimi nell’attribuire lo scritto che segue del capitolo XI alla storia del re seleucida Antioco IV Epifane. Noi non possiamo però accettare questo commento della Parola di Dio per due motivi: 1. l’interpretazione data non realizza il testo di Daniele, il quale, se avesse veramente narrato gli avvenimenti del suo tempo (II secolo avanti Cristo, secondo questi commentatori) avrebbe riportato delle inesattezze storiche e fatti che non sono mai avvenuti; mentre, per contro, è stato molto preciso, come abbiamo visto, quando ha descritto gli avvenimenti dei decenni precedenti; 2. la carriera politica e militare di Antioco si ferma con l’intervento dei Romani. Dal testo risulta evidente che l’angelo, nel rivelare a Daniele il futuro, passa da una monarchia all’altra nel momento in cui la precedente perde la sua influenza e la successiva entra in relazione con il popolo di Dio. Procedimento chiaro fin dall’inizio del capitolo XI in cui passa dalla Persia alla Grecia, dopo aver solamente menzionato quattro re dopo Ciro, con nessun riferimento agli altri nove re persiani, per descrivere il sorgere di Alessandro Magno. Di conseguenza, non possiamo non vedere nelle parole dell’angelo, da questo momento in poi, qualcun altro che Roma nella sua evoluzione: pagano-imperiale prima, cristiano-papale poi nei suoi tratti e nei suoi momenti più salienti.95
Profanazione del Santuario «Delle forze mandate da lui si presenteranno e profaneranno il santuario, la fortezza, sopprimeranno il sacrificio continuo, e vi collocheranno l’abominazione che cagiona la desolazione».96
95
G.S. Faber presenta la seguente suddivisione del testo: «Daniele nel capitolo 11 predisse al versetto 31 la desolazione di Gerusalemme ad opera dei Romani; ai versetti 32 e 33 le persecuzioni dei primi cristiani; al versetto 34 la conversione dell’imperatore Costantino; e al versetto 35 le persecuzioni papali esercitate contro i testimoni, particolarmente quelle che si ebbero all’epoca della Riforma» FABER Georges Stanley, A Dissertation on the Prophecies, vol. I, 5a ed., 1814, p. 379; cit. VAUCHER Félix Alfred, Le chapitre 11 du livre de Daniel, in Revue Adventiste, gennaio 1976, p. 14. 96 Daniele 11:31. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XX
La parola ebraica “mimmenu” è stata tradotta “ex autoû” (in greco dai LXX), “ex eo” (dalla Vulgata) e: di lui, da parte sua, dopo di lui97, a causa di lui98. T. Wintle traduce: «Da questo qui» e commenta: «Dai discendenti di Kittim. L’ultima spedizione di Antioco contro l’Egitto è stata già menzionata e, in seguito, il suo ultimo attacco contro la città e il popolo dei Giudei. Un’altra potenza è stata introdotta al versetto 30, con i termini: delle navi di Kittim; è dunque molto probabilmente di questo che il racconto si occupa: conviene dunque vedervi gli affari e gli avvenimenti della quarta bestia (o regno) sino alla fine del libro».99 Che si traduca “mimmenu” con “di lui”, o “di loro”, a condizione di riportare queste parole a Kittim, o che si preferisca tradurre con “dopo lui” o “a causa di lui”, pensando ad Antioco Epifane, soggetto del versetto precedente, nulla si oppone che si vedano in questo versetto i Romani. «Noi abbiamo l’autorità del nostro Signore per affermare che l’abominazione della desolazione... si riferisce al sacco di Gerusalemme fatto dai Romani».100 Alcuni commentatori hanno creduto di identificare le parole di questo versetto con quelle pronunciate da Gesù nel suo discorso escatologico di Matteo XXIV:15, quando presenta la distruzione di Gerusalemme, come aveva detto il profeta Daniele, invitando i lettori a porvi mente. «Come all’inizio della visione l’angelo è passato da Serse ad Alessandro senza notare i re di Persia che hanno regnato nell’intervallo, e ha raccontato la storia del regno fondato da Alessandro, per il fatto che la prima grande collisione degli imperi di Persia e di Grecia è stato il legame che ha unito la storia della Persia a quella della Grecia, collisione che doveva portare finalmente il rovesciamento dell’una e lo stabilimento dell’altra; nello stesso modo lo stesso messaggero celeste, al momento in cui il regno macedone sta per essere estirpato, e nel momento in cui l’influenza e l’autorità romana si va estendendo sulla Siria e l’Egitto, lascia la storia dei re del Nord e del Sud, e fa notare l’elevarsi di un nuovo potere, di già apparso sulla scena, potere che il profeta aveva descritto nelle visioni precedenti».101 Louis Gaussen, nella sua lezione del 4 febbraio 1834, diceva: «Le braccia102 indicano gli eserciti, la potenza, l’esercizio della potenza. Cioè le potenze, di cui si parla nei versetti precedenti, che si eleveranno dopo di lui, eserciteranno tutto il loro potere, si estenderanno dopo gli avvenimenti di cui si è parlato nei versetti precedenti. Tutto ciò che vi voglio dire a riguardo dei versetti che ho appena finito di leggere Daniele XI:31; XII:2 - è che si applicano ai Romani; all’Impero Romano, e questo per due ragioni:
97
Per questa traduzione vedere passi paralleli: Daniele 11:23; 2 Samuele 23:14; 1 Cronache 8:8; Nehemia 13:21. Per questa traduzione vedere il passo parallelo di Matteo 5:9. 99 WINTLE Thomas, Daniel, London 1836, p. 210. 100 G.S. Faber, o.c., 1a ed., 1807, p. 321. 101 KEITH Alexander, The Signe of de Times, 1a ed., 1832, p. 74. «Il Cristo ci ha detto che l’abominazione e la desolazione di cui ha parlato il profeta Daniele si doveva realizzare al tempo dell’Impero Romano» Isaac NEWTON, La Chronologie des anciens Royaumes, Dublin 1733, p. 137. 102 Daniele 11:31. Luzzi: «Delle forze mandate da lui»; versione Paoline: «Manderà parte delle sue forze armate»; Salvatore Garofalo: «Si leveranno al suo ordine le forze»; Diodati: «Le braccia terranno la parte sua». 98
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1. la prima è che i Romani sono stati introdotti sul campo della profezia nei versetti precedenti, in occasione di Antioco, al versetto 30 “delle navi di Kittim” (è il paese dei Romani), che vennero rapidamente per fermare Antioco nel momento in cui andava a impadronirsi di tutto l’Egitto, e che ora si vanno ad immischiare degli affari dell’Oriente (dell’Egitto e della Siria) e prendere il posto della terza monarchia per cominciare la quarta. Voi vedete che i Romani sono introdotti quando è detto: “Le braccia si eleveranno dopo di lui e si profanerà il santuario”. Si tratta ora della potenza romana che viene a succedere alla potenza del re di Siria, e governa questa parte del mondo e opprime il popolo di Dio. È con la potenza romana che ora il popolo di Dio deve avere a che fare. Come abbiamo visto ai versetti 2, 3 e 4 che fu quando Serse fece la guerra contro il regno dei Greci che l’impero dei Greci veniva introdotto nel campo della profezia e il profeta passa immediatamente da Serse ad Alessandro il Grande, non tenendo conto dei re intermedi, perché il loro governo non ebbe importanza, così pure, in occasione di Antioco, i Romani sono introdotti, e la profezia passa immediatamente all’imperatore Tito che prese Gerusalemme e agli avvenimenti successivi concernenti il popolo di Dio. 2. Un’altra ragione per mostrarci che si tratta qui dei Romani, è ciò che Gesù Cristo diceva ai discepoli, parlando dell’assedio di Gerusalemme ad opera loro: “Quando vedrete stabilita nel luogo santissimo l’abominazione della desolazione, di cui ha parlato Daniele”. Questa abominazione della desolazione è precisamente ciò che vi ho letto in questo versetto 31».103 Lo stesso Isacco Newton, prima di L. Gaussen, scriveva: «Nello stesso anno in cui Antioco, su ordine dei Romani, si è ritirato dall’Egitto, e ha stabilito il culto dei Greci in Giudea, i Romani hanno effettuato la conquista del regno di Macedonia, che hanno ridotto in provincia romana; in questo modo hanno incominciato a mettere fine al regno della terza bestia di Daniele. È ciò che esprime Daniele: “E dopo di lui delle braccia” (i Romani) si eleveranno».104 Del resto questa interpretazione non è nuova. Sebbene Gerolamo vedesse nel versetto 31 Antioco, tipo e precursore dell’anticristo finale, dichiarava nel suo commentario: «Quanto ai Giudei, essi non applicano questo passo ad Antioco Epifane, ma ai Romani, di cui è stato detto più sopra: “Delle navi verranno, da parte degli Italiani o dei Romani, ed egli sarà umiliato.” Molto tempo dopo che i Romani furono andati in soccorso di Tolomeo e minacciarono Antioco, si levò il re Vespasiano e le sue braccia si elevarono, e il suo seme, suo figlio Tito, con un esercito profanarono il santuario».105
103
GAUSSEN Louis, Leçon sur le fragment Daniele 11:31 à 12:2, 4 febbraio 1838, p. 628, litografata. NEWTON Isaac, Opera, vol. V, London 1785, p. 410. Ancora prima di L. Gaussen, l’interpretazione di I. Newton era stata adottata dal vescovo anglicano NEWTON Thomas, Dissertation on the Prophecy, vol. II, 7a ed., 1786, e ed. del 1896, pp. 143,144. A. KINNE, Explanation, p. 162; S. SPARKES, pp. 129-146; N.S. FOLSOM, 1842, p. 53 in nota nega che le parole «da parte sua» possano significare qualche volta «dopo di lui». 105 Gerolamo, in MIGNE, P.L., XXV, col. 569. Il nostro modo di spiegare, condiviso anche da altri, fa sorgere delle obiezioni: 104
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Il tempio di Gerusalemme che era fortificato, o, nel senso spirituale, il tempio che era la fortezza del popolo del patto, è stato profanato e ha subìto l’abominazione nel 70 d.C. Sebbene si possa vedere nelle parole di Gesù una allusione al nostro testo, la distruzione del tempio e di Gerusalemme, ad opera di Tito, è stata chiaramente annunciata in Daniele IX:27: «Distruggerà la città ed il santuario». Crediamo sia più corretto vedere in queste espressioni di Daniele XI:31: «Delle forze… profaneranno il santuario, la fortezza, sopprimeranno il continuo e vi collocheranno l’abominazione la desolazione» i versetti 11 e 12 del capitolo VIII,106 1.
Col versetto 31 si interrompe lo svolgimento cronologico e particolareggiato tra Seleucidi e Tolomei e si passa ad un potere nuovo presentato nel suo insieme. 2. Si passa dal 170 a.C. del versetto 30, all’opera svolta dal Pontifex Romano del versetto 31 saltando 240 anni (170 a.C. + 70 d.C.), se il testo si riferisce alla distruzione del Tempio di Gerusalemme al tempo di Tito, o aggiungendo ancora almeno quattro secoli se l’azione descritta è compiuta dal papato. Come spiegare questo salto ? 3. Per mantenere il parallelismo con il capitolo 8 si sarebbe dovuto presentare il sorgere di Roma alla fine dei Diadochi, dopo il 31 a.C. Qui Roma si presenta un secolo dopo con Tito, o in un tempo ancora più lontano se si presenta nelle vesti del papato. 4. L’obiezione più complessa crediamo sia: Perché l’“egli” del versetto 29, corrisponde al “lui” del versetto 30 e i due pronomi si riferiscono ad Antioco, mentre al versetto 31 il “lui” diventa Roma? A queste obiezioni possiamo rispondere: 1. Crediamo che la precisione cronologica e particolareggiata dei fatti, tra il re del Nord ed il re del Sud, sia stata presentata per essere di supporto, di cornice al quadro profetico, allo scopo di meglio inquadrare e precisare quanto verrà detto nei versetti 40-45 per il tempo della fine, quando i territori geografici del re del Nord e del re del Sud segneranno, assieme al potere romano, la fase finale della storia. Anche coloro che nella spiegazione del versetto 14 introducono Roma e al versetto 22 la morte di Gesù si trovano di fronte alla stessa obiezione. Nel versetto 28 giungono fino a Cesare Augusto nel 29 a.C., con una applicazione anche a Tito nel 70 d.C., per saltare nel IV secolo al versetto 29. Chi crede che dal versetto 22 al versetto 30 si presenta Roma imperiale al tempo di Tiberio salta alla Roma papale al versetto 31. 2. Una volta delimitato il confine entro cui il potere finale svolgerà la sua opera, continuare in forma cronologica la presentazione della storia seleucida e tolomaica, potrebbe essere un ribadire l’intenzionalità del testo, che una volta compreso non ha bisogno di essere ripetuto. 3. Roma, nei capitoli 7 e 8 è stata ampiamente presentata nelle sue evoluzioni. Proporla ancora, con lo stesso linguaggio d’insieme, in questo capitolo, crediamo sia una conferma indiretta del legame che questo testo ha con i capitoli precedenti. 4. Il testo biblico non ci viene molto in aiuto, ma la storia lo fa in un modo sufficiente, anche se la risposta può sembrare debole. Antioco non ha fatto una IV campagna militare in Egitto. Continuare con Antioco dopo l’intervento delle navi di Kittim significherebbe soffermarsi su questa persona fino al versetto 39 per poi commentare i versetti 40-45, come IV invasione di Antioco in Egitto, con una storia che non c’è stata o sostenere che quest’ultimo brano abbia un valore riepilogativo delle invasioni precedenti, cosa che non convince nel confronto con la chiarezza del testo e crediamo che sia in contrasto con il testo stesso (40-45) che presenta tre personaggi : “lui”, il “re del Nord” e il “re del Sud”. Se nei versetti precedenti il “lui” indicava il re del Nord, per il richiamo al soggetto ben definito nel versetto 15, dal versetto 31 o il “lui” si riferisce al soggetto delle navi di Kittim o si dovrebbe risalire al “lui” del versetto 15 e attribuirlo a Roma come altri commentatori hanno fatto con spiegazioni che sono poco sostenibili, come abbiamo riportato. Vedere nota 70. 106 J. Vuilleumier scriveva che il passo parallelo di 8:11,12 era 11:31 e commentava: «Il santuario, la fortezza e il continuo sembrano essere termini sinonimi... e tutto sembra un susseguirsi, una accentuazione della lotta contro la santa alleanza … Non si tratta solamente di una irritazione contro la santa alleanza e di una intesa con coloro che la rinnegarono, ma di una profanazione della verità in ciò che essa ha di più intimo, di più sacro, e di una persecuzione aperta del culto in spirito e verità per mettere al suo posto l’abominazione che causa la desolazione. ... Il santuario della verità e della santità era profanato. Il candeliere (Apocalisse 1:20) del cristianesimo apostolico, che avrebbe dovuto brillare di una pura e continua luce, era spento; o almeno la sua luce non era più visibile nella fortezza della cristianità, e si era dovuta rifugiare nei luoghi ritirati. La Chiesa pura... si era nascosta nel “deserto” (Apocalisse 12:6,14). Bernard di Clairvaux (San Bernardo 1091-1151) scriveva al papa Eugenio III: “Ah! che prima di morire io
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dove il piccolo corno, Pontifex Maximus, compie la sua azione contro il vero culto, contro il Signore stesso, quale Capo e Principe dei principi e contro il suo santuario celeste, come abbiamo descritto nel nostro Capitolo XI. Scrive W. Shea: «Secondo Daniele VIII:11, il tamid o “sacrificio perpetuo” (sacrificio/culto), dovrebbe essere tolto al Principe dell’esercito. Daniele XI:31 descrive questa operazione utilizzando un verbo alla forma causativa (“fa cessare”). In questo senso la frase di Daniele XI si avvicina a Daniele VIII:12 dove si trova veda rifiorire la Chiesa dei giorni antichi, che io la veda tale e quale era ai giorni in cui gli apostoli gettavano le loro reti, quando si occupavano non di ammassare dell’oro, ma di guadagnare le anime !”. E aggiungeva: “Il papa non potrebbe essere contemporaneamente un successore di Pietro e un successore di Costantino, che riunisce la pienezza della potenza temporale e la pienezza della potenza spirituale. Volerle unire tutte e due, è esporsi a perderle entrambi”. Parlando del papato nel IX secolo, il cardinale Boronio scriveva nei suoi Annales: “... Mai prima dei preti e dei papi commisero tanti adulteri, rapimenti, incesti, imbrogli e omicidi; e mai l’ignoranza del clero è stata così grande come durante questo deplorevole periodo... In questo secolo, si vede l’abominazione della desolazione nel tempio del Signore; e sulla cattedra di San Pietro, riverita dagli angeli, si vedono seduti gli uomini più empi, non dei pontefici, ma dei mostri”. È un commento poco sospetto e fatto nei termini stessi utilizzati dalla profezia !» J. Vuilleumier, o.c., pp. 337,338. Daniele 11 riprende quanto illustrato nel capitolo 8.
Daniele 8 3. Un montone che aveva due corna (20. Il montone con le due corna rappresenta il re di Media e di Persia). 5. Ecco venire dall’occidente un capro... aveva un corno cospicuo tra gli occhi (v. 21a. Il becco peloso è il re di Grecia) 8. Quando il capro divenne sommamente grande (v. 21b. Il gran corno... è il primo re), Il suo gran corno si spezzò; e in luogo di quello sorsero quattro corna cospicue verso i quattro venti del cielo (v. 22. Questi sono quattro regni che sorgeranno da questa nazione). 9. Dall’una di esse uscì un piccolo corno, che diventò molto grande... (v. 23b. Sorgerà un re dall’aspetto feroce, ed esperto in stratagemmi. 10. S’ingrandì sino a giungere all’esercito del cielo; fece cadere in terra parte di quell’esercito (v. 24. Distruggerà il popolo dei santi... v. 25.... in piena pace distruggerà molta gente) e delle stelle e le calpestò. 11. S’elevò anzi fino al capo di quell’esercito (v. 25c. Insorgerà contro il principe dei principi),
gli tolse il continuo a motivo della ribellione ; il corno gettò a terra la verità, e prosperò nelle sue imprese. 13. Fino a quando durerà... la visione del continuo la ribellione che produce la desolazione, abbandonando il luogo santo ad essere calpesti ? 25d. Sarà infranto senza opera di mano.
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Daniele 11 2. Sorgeranno ancora in Persia ... (dei) re. Solleveranno tutti contro il re di 2c. Javan.
3.
Allora sorgerà (in Javan) un re potente, che eserciterà un gran dominio e farà quel che vorrà. 4. Il suo regno sarà infranto, e sarà diviso verso i quattro venti del cielo.
5-30. Lotte tra il re del mezzogiorno e il re del Nord. 31. Delle forze mandate da lui si presenteranno e profaneranno il santuario, la fortezza. 33. I savi tra il popolo ... saranno abbattuti dalla spada, dal fuoco, dalla cattività e dal saccheggio, per un certo tempo. v. 35. Fino al tempo della fine.
36. E il re si esalterà, si magnificherà al di sopra di ogni dio, e proferirà cose inaudite contro l’Iddio degli dèi; prospererà finché l’indignazione sia esaurita. 31. Sopprimeranno il continuo vi collocherà l’abominazione. 36. Agirà a suo talento, si magnificherà al di sopra di ogni dio 35. Fino al tempo della fine.
45. Poi giungerà alla sua fine e nessuno gli darà aiuto.
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CAPITOLO XX
l’altro riferimento al tamid e dove è detto che l’esercito sarà abbandonato al piccolo corno per controllare il tamid. Daniele XI:31 ci spiega il meccanismo. “collocheranno l’abominazione che cagiona la desolazione”. Questa frase comporta dei legami linguistici con i passi precedenti nel libro di Daniele. La parola ebraica per “devastatore” si ritrova anche in IX:27 e in VIII:13. Ma solo quest’ultimo passo l’associa con il tamid (il sacrificio perpetuo può essere osservato al livello delle frasi precedenti. Così il tempio in VIII:11 corrisponde al tempio in XI:31; pure il destino del tamid in VIII:12 corrisponde al destino del tamid in XI:31».107 Dal momento che Roma ritorna sulla scena della storia, Daniele presenta la sua azione nelle vesti del potere che si oppone agli adoratori dell’Eterno. Sarà negli ultimi versetti (40-45) che questo potere da istituzione, organismo, regno, impero, il profeta lo presenterà come persona singola, come ha fatto nel descrivere i vari personaggi dei re del Nord ed dei re del Sud.
Seduzioni e persecuzioni subite dai cristiani «E per via di lusinghe corromperà quelli che agiscono empiamente contro il patto; ma il popolo di quelli che conoscono il loro Dio mostrerà fermezza, e agirà. E i savi fra il popolo ne istruiranno molti; ma saranno abbattuti dalla spada e dal fuoco, dalla cattività e dal saccheggio, per un certo tempo».108 «A motivo della sua astuzia farà prosperare la frode nelle sue mani»109 e quindi agisce mediante una perfetta astuzia ingannatrice. La sua influenza sarà esercitata 107
W. Shea, o.c., p. 59. Daniele 11:32,33. Questo versetto è stato applicato a quattro momenti diversi: 1. alle seduzioni esercitate da Antioco sui Giudei (J.F. ALLIOLI von, p. 520, nota n. 52; G. CALVINO, f. 167b; A.J.T. CRAMPON, nota; J. FABRE d’ENVIEU, t. II, p. 1407; Ch. TROCHON, p. 243); 2. alle seduzioni esercitate dal paganesimo romano sui cristiani dei primi secoli (I. Newton, Opera, vol. V, pp. 413419; Th. NEWTON, vol. II, 7a ed., pp. 143,144; ecc.); 3. alle seduzioni esercitate dal papato sui cristiani del Medio Evo (L.R. CONRADI, Los Vid., pp. 223,224; S.N. HASKELL, The Story, 1901, p. 237; 1908, p. 270; U. SMITH, Daniel, 1907, p. 289; J. VUILLEUMIER, pp. 338,339); 4. secondo l’interpretazione futurista, alle seduzioni che l’anticristo finale eserciterà sugli ebrei (É. GUERS, pp. 111,112). Per i titoli delle opere vedere Bibliografia. Riteniamo che la terza interpretazione risponda meglio alla spiegazione del testo. Vedere W. Shea nota n. 110. A sostegno della seconda, T. Wintle scrive: «Il passo (versetto 32) si applica agli artifici e alle promesse attraenti degli imperatori pagani, desiderosi di distogliere i primi cristiani dalla loro professione di fede. Diversi, fra questi, furono indotti ad apostatare e ritornarono ai loro antichi idoli; mentre coloro che erano veramente sinceri si aggrapparono alla fede e restarono fedeli alla nuova alleanza nella quale essi erano stati ricevuti. “I savi che insegnano” sono gli istruttori, i primi dottori del cristianesimo che dovettero sopportare sofferenze nel corso delle dieci persecuzioni consecutive sotto gli imperatori della Roma pagana» o.c., p. 212. Vedere nota n. 111, Loys de Cheseaux. 109 Daniele 8:25. 108
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principalmente nei confronti di coloro che non sono fedeli al patto, cioè agli insegnamenti della Sacra Scrittura.110 Il padre della menzogna ha sempre cercato di far credere che le sue vie siano migliori e più facili di quelle di Dio. Questo potere agisce nello stesso modo. Roma papale ha esercitato la sua influenza seduttrice nei territori sotto la propria giurisdizione. A questa sua azione si sono sottratti quei credenti e movimenti preriformatori (Valdesi, Albigesi, Catari, ecc.) che «savi ne istruiranno molti». L’opera di morte, di distruzione con il fuoco, di esilio e di saccheggio, non può che ricordare l’azione persecutrice del papato durante il Medio Evo. La sua supremazia sarà per un «certo tempo», cioè per quel periodo presentato già nel capitolo VII e che verrà ricordato nel capitolo XII: i tre tempi e mezzo, i 1260 anni della supremazia papale. Quei secoli bui, come scrive il Montanelli, sono illuminati dal fuoco dei roghi. «E quando saranno così abbattuti, saranno soccorsi con qualche piccolo aiuto; ma molti si uniranno a loro con finti sembianti».111 Ai secoli XII e XIII, considerevolmente segnati dall’influenza valdese nell’Europa papale, seguirono il XIV e XV secolo nei quali gli insegnamenti di John Wycliff, Giovanni Huss e Gerolamo da Praga portarono un piccolo aiuto sostenendo e soccorrendo a voce e per iscritto i fedeli. Dio, che conosce i cuori delle persone, fa sempre che non tutti coloro che seguirono i suoi grandi uomini della preriforma e della Riforma furono dei veri convertiti. L’affermazione del nostro testo «finti sembianti - senza sincerità» ricorda il rimprovero del Signore alla Chiesa di Sardi, che corrisponde al periodo della Riforma: «Io conosco le tue opere: tu hai nome di vivere e sei morto».112 «E di quei savi ne saranno abbattuti alcuni, per affinarli, per purificarli e per imbiancarli sino al tempo 110
La versione francese Rabbinique traduce il versetto 32 nel modo seguente: «Coloro che saranno traditori dell’Alleanza, egli li sedurrà con delle promesse fallaci, ma le persone che conosceranno il loro Dio resteranno ferme e agiranno». 111 Daniele 11:34. Chi sostiene la seconda posizione (vedere nota n. 108) commenta questo testo nel modo seguente: «Dopo la persecuzione di Diocleziano, Costantino rese la pace alla Chiesa e la tranquillità ai cristiani; vi aggiunse dei beni temporali in gran numero, ma questa felicità non fu di lunga durata; la corruzione che la seguì l’ha intorpidita; i cristiani non furono liberati dai loro nemici ma si perseguitarono tra di loro. - Un gran numero si fecero cristiani perché era la religione dell’imperatore. Eusebio, contemporaneo, dice che il vizio dominante in quel tempo era la dissimulazione e l’ipocrisia, e che esse caratterizzavano coloro che entravano nella Chiesa, la maggiore parte dei quali erano dei falsi cristiani» LOYS de CHESEAUX Charles Louis, Harmonies des Prophéties, Lausanne 1774, p. 243. W. Shea scrive che c’è un rapporto logico tra i dettagli di Daniele 11:32-34 e Daniele 12:7. Mentre in Daniele 12:7 il testo presenta con l’espressione tre tempi e mezzo la durata della persecuzione, i versetti 32-34 situano il momento di questa persecuzione (o.c., p. 57). Vedere nota n. 107. Nel versetto 34 J. Vuilleumier vi vede la Riforma (o.c., p. 345). 112 Vedere il nostro Appendice n. 11, Le sette chiese. Quando la profezia diventa storia
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della fine, perché questa non avverrà che al tempo stabilito».113 «Questo versetto ci mostra che pure dei cristiani caddero in alcuni errori del papato, e che essi dovettero essere provati e purificati, e ciò sino alla fine del regno della bestia, la cui durata era fissata a 1260 anni, che finirono nell’anno 1798»,114 nel «tempo stabilito».
Il re orgoglioso o l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario «E il re agirà a suo talento, si compiacerà, si magnificherà al di sopra di ogni dio, e proferirà cose inaudite contro l’Iddio degli dèi; prospererà finché l’indignazione sia esaurita; poiché quello che è decretato si compirà. Egli non avrà riguardo agli dèi dei suoi padri; non avrà riguardo né al prediletto delle donne, né ad alcun dio, perché si magnificherà al di sopra di tutti. Ma onorerà l’iddio delle fortezze (Maozim) nel suo luogo di culto; onorerà con oro, con argento, con pietre preziose e con oggetti di valore un dio che i suoi padri non conobbero. E si adopererà di rendere più forti le fortezze (Maozim) con un dio straniero: chi l’avrà riconosciuto lo crescerà di gloria e gli conferirà poteri molteplici e gli darà porzioni di terreno gratuitamente».115
113
Daniele 11:35. W. Miller, o.c., p. 97. M.C. WILCOX, The king, 1910, p. 31; L.R. CONRADI, Whose readeth, p. 42. Altri come W.J. FITZGERALD, A Bible Study, pp. 17-19, optano per l’anno 1844. 115 Daniele 11:36-39. L’espressione «prediletto delle donne» è secondo la versione Mons. Salvatore Garofalo; il versetto 39 è della versione Salani. Diverse sono le spiegazioni che vengono proposte di questo versetto 36: - Antioco IV: F.S. von ALLIOLI, p. 521; A.J.T. CRAMPON, nota; G.H. PATCH, p. 191 compimento parziale; J.B. PELT, p. 358; J. PHILLIPS, Chic. 1965, 1967, p. 67; E.G.E. REUSS, p. 274; H. SCHNEIDER, pp. 78,79; Ch. TROCHON, p. 244; - Antioco tipo dell’anticristo finale: J.J. SLOTKI, pp. 98,99; - Impero Romano: Th. BRIGHTMAN, Works, pp. 901-918; J. CALVIN, f. 182 b; Opera quae supersunt omnia, XIII, 1890, pp. 83-135; R.J. RUSHDOONY, pp. 74,75; - Impero bizantino: I. NEWTON, Opera, V, pp. 413-419; - La Rivoluzione francese del 1789: J. COUCH, pp. 28-43; H. EDSON, The Time of Daniel, 1849, p. 4, la Francia; G.S. FABER, Dissertation, 4a ed., 1810, p. 444; H. HABERSHON, Historical, 1841, pp. 285,293; 2a ed., p. 289; S.N. HASKELL, Story of Daniel, 1908, p. 273; J.G. LAMSON, pp. 21-23; 2a ed., pp. 70-77; J. LATHROP, The Proph., 1811, pp. 5-14; J. LITCH, Prophet, vol. II, pp. 89-98; J. MATTESON, pp. 400-402; E. SMITH, Orient., pp. 104-109; M.M. WILSON, A Revelation, Wellington 1938, p. 10; J. VUILLEUMIER, p. 346; - Napoleone: Edw. COOPER, The Crisis, pp. 19-119; 114
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Dal versetto 36, Gerolamo, i dottori Giudei e i Padri della Chiesa del suo tempo sostenevano che qui il testo di Daniele parla dell’Anticristo. In favore di questa interpretazione giudaica e cristiana c’erano le parole di S. Paolo nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi.116 Il maestro A.F. Vaucher fa notare che la maggior parte dei commentatori, in qualunque modo abbiano spiegato il passo, hanno fatto rilevare l’analogia che offre con quello in cui Paolo descrive l’uomo del peccato nella seconda lettera ai Tessalonicesi.117 Riportiamo il pensiero di alcuni autori. L’abate Jules Fabre d’Envieu, che identifica questo re orgoglioso con Antioco, riconosce: «Il testo ci insegna che il re parlerà insolentemente contro il Dio degli dèi (vedere un’espressione analoga in Daniele VII:8). San Paolo si è servito di qualcuna delle espressioni di questo versetto per descrivere l’uomo del peccato».118 Karl Auberlen, pur ammettendo la stessa identificazione, prende Antioco come tipo dell’anticristo finale e dice che «Paolo ha dipinto: “L’uomo del peccato” sotto i tratti presi dal capitolo XI di Daniele».119 Émil Guers, che vedeva l’anticristo finale nel re orgoglioso, diceva: «Impossibile, con queste caratteristiche, non riconoscere immediatamente l’uomo del peccato della seconda lettera ai Tessalonicesi».120
- L’anticristo finale: Ippolito, ed. Lefèvre, IV,XL, p. 362,363; J.N. DARBY, Études, p. 118; É. GUERS, Israel, p. 112; A. LONGLEY, p. 60: identifica l’11° e il 5° corno e con l’uomo del peccato di 2 Tessalonicesi 2; M. WASHINGTON, Aids, 36, 1928, pp. 25-28; E.J. YOUNG, 1971, p. 701; - Maometto e Islam: F.H. BERICK e J. COUCH, Histor. Echoes, pp. 40-47; N.C. MAGNIN, p. 39; ma l’analogia del testo con 2 Tessalonicesi 2 ci fa optare per il papato; - Il papato - uomo del peccato: Anonimo, The Scheme, pp. 168-171; AA.VV., Ministry, marzo 1954, pp. 22-27, rapporto dell’11o capitolo di Daniele con particolare riferimento ai versetti 36-39; W.T. BARTLETT, Brief, 1913, 84 pp.; B.L. BATESON, Daniel’s, 1951, p. 13; A.A. BONAR, Redemption, 1847, p. 297; W. BURNET, pp. 135-143; E.P. CACHEMAILLE, Explanation, 1911, p. 103; T. CRINSOZ, Essai, pp. 415-419; W. FITZGERALD, pp. 19-25; C. GRASER, Antichr., 1608; G. GRAVE, Tabulae, Leiden 1647, pp. 93-97; T.D. GREGG, pp. 225-230; W. HALES, Synopsis, 2a ed., pp. 612-615; J. HANSEN, 1768, p. 9; A.E. HATCH, p. 127; A. HISLOP, trad, franc., 1886, pp. 384,385; K.J. HOLLAND, 1970, p. 31; E. HUIT, pp. 319-331; P. JURIEU, Accompl., pp. 224-257; M. LUTHER, Sammtliche, ed. Walch, VI, Weimar, 1880, c. 917; XXII, c. 918,919; J. MEAD (MEDE), De Apostasia, Basel 1656, pp. 135-139; R. NEVIN, Studies, pp. 169-180,182; NICOLAI Philipp, De Antichristo romano, Rostock 1609, pp. 59,60; M. POOLE, A Comment., 1968, pp. 846,847; B. QUAIFE, Lectures, 1848, pp. 75-98; M.F. ROOS, An Expos., Edimburg 1811, pp. 235-247; W.A. ROVET, 1928, pp. 32-34; H.E. SNIDE, Prophetic, 1927, pp. 34-41, cita W. MILLER, Evidence, 1842, pp. 87-99; S. SPARKES, pp. 184-223; J. TANNER, pp. 521-523; J. VUILLEUMIER, in Signes des Temps, dicem. 1927, pp. 13,14; L.F. WERE, The king, Melburn 1949, pp. 28-35,56,83; M.C. WILCOX, Is it heresy?, 1908, 8 pp.; The King, 1910, 46 pp.; T. WINTLE, p. 214; T. ZOUCH, A Attempt, pp. 163-171. Come ha visto la maggioranza dei commentatori, solo l’ultima tiene conto dei testi di Daniele, di S. Paolo e del quadro profetico delle apocalissi. 116 Bishop NEWTON, Dissertation, vol. 2, p. 154; cit. WERE Louis F., The King of the North, ristamoa, 1985, p. 33. 117 VAUCHER Alfred, L’Antichrist, p. 23; vedere 2 Tessalonicesi 2:4. 118 J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1411. 119 K. Auberlen, o.c., p. 75. 120 GUERS Émil, Israël aux derniers jours de l’économie actuelle, Genève 1856, p. 112. Quando la profezia diventa storia
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Langrange Feuillet dice: «Daniele XI:36 è letteralmente ripreso da Paolo... come riconoscono tutti gli esegeti».121 Comparando il testo di Daniele con quello di Paolo abbiamo: Daniele S. Paolo 121
FEUILLET - LAGRANGE, Le discours de Jésus sur la ruine du Temple, in Revue Biblique, n. 55, 1948, p. 495; cit. da F. SPADAFORA, Gesù e la fine di Gerusalemme e l’escatologia in S. Paolo, 2a ed., Rovigo 1971, p. 294. Sul rapporto tra questo passo di Daniele e 2 Tessalonicesi 2, vedere LUTHER Martin, Commentaire sur le Libre du Prophète Daniel, Genève 1555, p. 404, le pp. 12-347 contengono il commentario di Philip MELANCHTON; le pp. 349421 quelle di Lutero. MILLER William, Evidence from Scripture and History of the Second Coming of Christ, abaut the year 1843, Boston 1842, pp. 97,98. «Mentre l’Apostolo dipende dal calendario apocalittico di Daniele per l’apparizione dell’anticristo nella storia (dopo la divisione dell’Impero Romano), utilizza in particolare delle profezie classiche per precisare ancora di più il carattere teologico delle circostanze della caduta dell’“uomo empio” che deve venire. La similitudine tra diverse espressioni linguistiche tipiche utilizzate in 2 Tessalonicesi 2:2 e quelle impiegate in Daniele 11:36, Ezechiele 28:2 e Isaia 11:4 portano alla conclusione seguente: Paolo descrive il quadro dell’Anticristo riunendo tre rivelazioni dell’Antico Testamento che riguardano delle potenze opposte a Dio. Si tratta di questo: 1) l’apparizione storica e la dissacralizzazione dell’anti-Messia in Daniele 7:25; 8:10-13; 11:36,37, 2) la natura demoniaca caratterizzata dall’autoesaltazione e autodivinazione dei re di Tiro e di Babilonia (Ezechiele 28:2,6,9; Isaia 14:13,14), 3) la distruzione finale del malvagio mediante l’apparizione gloriosa del Messia regale in Isaia 11:4. Riproduciamo di seguito questo passo di 2 Tessalonicesi 2 con, in parallelo, le citazioni dell’Antico Testamento:
Tessalonicesi
passi Antico Testamento
2:4a: ... l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che si chiama Dio... 2:4b: ... da porsi a sedere nel tempio di Dio mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio. 2:8: ... l’empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca.
Daniele 11:36: ... si eleverà, si magnificherà al di sopra d’ogni dio... Ezechiele 28:2: ... io sono un dio! Io sono seduto sopra un trono di Dio... Isaia 11:4: ... e col soffio delle sue labbra farà morire l’empio.
LaRONDELLE H., Principes hermeneutiques de l’eschatologie biblique, in AA.VV., Études sur..., vol. I, 1988, p. 24.
passi Antico Testamento
Daniele 11:
2 Tessalonicesi 2
Ezechiele 28:2,17: il tuo cuore si è fatto altero per la tua bellezza... Isaia 14:13: Io salirò in cielo, eleverò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio...
36: si magnificherà al di sopra di ogni Dio...
2:4a: ... l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto quello che si chiama Dio...
Isaia 14:14: sarò simile all’Altissimo... Ezechiele 28:2: “Io sono un dio! Io sto assiso sopra un trono di Dio...”
37: non avrà riguardo agli dèi dei suoi padri; non avrà riguardo né al prediletto delle donne, né ad alcun dio, perché si magnificherà al di sopra di tutti...
2:4b: ... da porsi a sedere nel tempio di Dio mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio...
Ezechiele 28:15: fosti perfetto nelle tue vie finché non si trovò in te la perversità...
36: proferirà cose inaudite contro il Dio degli dèi...
2:3: l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, avversario (colui che è contro, colui che prende il posto di…), l’empio…
Ezechiele 28:16,18,19: ti farò sparire... in mezzo alle pietre di fuoco... e faccio uscire in mezzo a te un fuoco che ti divori... e non esisterai mai più...
36: prospererà finché l’indignazione sia esaurita...
2:8: ... l’empio, che il Signore Gesù distruggerà con il soffio della sua bocca.
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- si magnificherà al di sopra di ogni Dio
- s’innalzerà sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto
- non avrà riguardo agli dèi dei suoi padri; non avrà riguardo né al prediletto delle donne, né ad alcun dio, perché si magnificherà al di sopra di tutti - proferirà cose inaudite contro il Dio degli dèi
- s’innalzerà fino al punto da porsi nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio
- prospererà finché l’indignazione sia esaurita
- uomo del peccato (senza legge), figlio della perdizione, avversario (colui che è contro, colui che prende il posto), l’empio - il Signore Gesù lo distruggerà col soffio della sua bocca, e lo annienterà con l’apparizione della sua venuta.s’innalzerà sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto
Questo versetto e quelli precedenti proiettano una nuova luce completando ciò che Daniele aveva già detto nei capitoli precedenti, VII e VIII, parlando dell’Anticristo. «Questo re che doveva regnare e perseguitare i santi, questa potenza anticristiana, che era stata mostrata a Daniele sotto la figura d’un piccolo corno, al quale l’angelo Gabriele aveva dato il titolo di re,122 questa potenza papale è apparsa nel tempo indicato. I vescovi di Roma hanno fatto tutto ciò che hanno voluto, essi si sono innalzati a grande potenza. Si sono messi al di sopra di ogni Dio, attribuendosi una autorità sovrana su tutti i re della terra, che la Scrittura stessa nomina dèi in qualche parte. Essi hanno pure proferito delle bestemmie sorprendenti contro il Dio degli dèi, cioè contro il Re dei re, il sovrano Monarca dell’universo, hanno avuto dei grandi soccorsi nelle loro imprese».123 «Questo re arbitrario assumerà un’autorità dispotica su tutti gli altri potenti, sia negli affari civili che in quelli religiosi, e si eleverà al di sopra di tutte le leggi, umane o divine. Ciò non gli impedirà di prosperare, o di mantenere la sua egemonia, fino a quando il tempo della collera sia compiuto»124, tempo che è «fissato per la fine», quando «il Signore Gesù (lo) distruggerà col soffio della sua bocca, e annienterà con l’apparizione della sua venuta».125 «Queste parole (di Daniele) danno una descrizione esatta del papato con il suo orgoglio, con il suo celibato e la sua verginità obbligatoria... Traduciamole dunque letteralmente e paragoniamole con la storia del papato, allora tutto sarà chiaro, compatibile, armonioso. I1 profeta ispirato ha dichiarato che nella Chiesa del Cristo si eleverà qualcuno che non aspirerà solamente a una grande elevazione, ma pure la 122
Daniele 7:24; 8:9,23. GRINSOZ Theodore, Essai sur l’Apocalypse, avec des éclaircissements sur les prophéties de Daniel, Genève 1729, pp. 415,416. 124 T. Wintle, o.c., p. 214. 125 2 Tessalonicesi 2:8; vedere Daniele 8:19. 123
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raggiungerà in maniera da far eseguire la sua volontà; e questa volontà sarà interamente opposta a tutte le leggi divine e umane. Ora, se questo re deve essere un preteso successore del pescatore di Galilea, ecco la domanda che ci si pone naturalmente: “Come potrebbe avere i mezzi per elevarsi a una simile altezza di potere?” Le parole che seguono rispondono chiaramente a questa domanda: “Egli non avrà riguardo ad alcun dio, poiché si eleverà al di sopra di ogni dio”. Il lettore noterà che non dice: “Non adorerà nessun Dio”, il contrario è evidente, ma: “Egli non avrà riguardo ad alcuno, poiché la sua propria gloria è la sua più grande preoccupazione” (scopo supremo n.d.a.) ... Ma è ancora detto che il re che si onorificava, onorava pure “un dio che i suoi padri non avevano punto conosciuto”, con dell’oro, dell’argento e delle pietre preziose. Il principio sul quale riposa la transustanziazione è evidentemente un principio babilonese, ma nulla prova che questo principio sia stato applicato come lo è stato dal papato. E certo, noi abbiamo la prova che mai nessun dio ostia simile a quello che adora il papato, sia stato adorato nella Roma pagana. “Quale uomo sia mai stato abbastanza insensato, dice Cicerone, da farsi un dio dell’alimento con il quale si nutre?”126 ... Ma ciò che era troppo assurdo per i pagani romani non è affatto assurdo per il papa. Questa ostia è incastonata in una scatola ornata d’argento e di pietre preziose. È dunque evidente che il dio sconosciuto pure ai padri pagani è onorato oggi dal papa in maniera assolutamente conforme ai testi stessi della profezia».127 Questo dio sconosciuto è Cristo Gesù nell’ostia che neppure i primi cristiani, i padri della Chiesa avevano conosciuto e viene proposto all’adorazione come Maozim. Questa forma di culto era sconosciuta anche agli antichi romani pagani.128 Questo dio che ha attirato a sé gli occhi e i cuori di tutti, viene mostrato nelle processioni e nelle messe. Quando la Parola di Dio ha cominciato a tacere, questo dio ha innalzato in dignità gli ecclesiastici; ha aumentato la potenza, ha accresciuto le ricchezze e fortificato il regno dei Papi. Ha riempito di frattaglie la cristianità e ha alloggiato numerose truppe di monaci, che per soldi venderanno a chiunque il sacrificio quotidiano della messa, e qualsiasi altro beneficio essendo delle guarnigioni a custodia del regno papale, non cesseranno di inventare, da un giorno all’altro, tipi di geenne per le coscienze dei re, dei principi, dei sudditi imprigionandoli alle illusioni dell’idolatria e ammanettandoli con i legami delle invenzioni delle tradizioni umane.129 Oltre a quanto detto sopra sul dio Maozim con le sue fortezze, i teologi presentano commenti diversi che sono tra loro complementari dando all’insieme un quadro ampio dell’opera di questo empio potere. 126 Cicerone, De Natura Deorum, libro III, cap. 16, vol. II, p. 16. «Cicerone non avrebbe potuto parlare così, se il culto dell’ostia fosse stato stabilito a Roma» riporta Alexandre HISLOP, Les deux Babylones, Paris 1972. 127 A. Hislop, o.c., pp. 385-387; ed. inglese pp. 354. Vedere Richard FOREST, Structures upon chapter XI, v. 38, etc., of the Book of Daniel, relative to the present times, Carlisle 1805, IV-33 pp.; Anonimo, Observation intended to point out the application of the prophecy in the 11th chapter of Daniel to the French power, London 1800, IV-44 pp. 128 JURIEU Pierre, L’accomplissement des prophéties, t. I, Rotterdam 1686, pp. 238,245. Questa spiegazione è stata sostenuta anche da Mede, Th. Newton, Winthe e Keil. 129 CRESPIN Jean, Histoire des Martyrs, t. I, Toulouse 1885, p. 42.
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«Le fortezze del dio Maozim sono i santi tabernacoli, gli ostensori e i santi cibori, dove i preti racchiudono questo dio straniero, questo dio delle fortezze che onorano».130 L’Eterno che era considerato una fortezza viene sostituito da un’altra fortezza. I Maozim sono anche i santuari costruiti in onore ai demoni, cioè ai morti dei quali si conservano le spoglie come reliquie. Queste fortezze dall’alto dei monti dominano le valli e soggiogano con la loro imponenza i cuori degli uomini.131 Questo dio che dimora in fortezze tabernacoli e nei santuari è onorato nelle chiese dove l’Anticristo estende il suo regno e dove esercita la forma di culto da lui creata. Sulla mancanza di «riguardo alla divinità favorita delle donne», dei commentatori hanno creduto di identificarla con l’amore e o il matrimonio,132 mentre altri vi hanno visto una divinità della fertilità. Crediamo con Elliott e altri che il «“desiderato prediletto - delle donne” sia il Messia, la “posterità della donna”, oggetto dell’attesa e del desiderio di tutte le donne giudee;133 che viene sostituito onorando il dio Maozim, cioè i santi, la vergine, le reliquie, le immagini, che saranno per lui come delle fortezze alle quali dividerà il paese come a tanti dèi protettori».134 Questo potere che dominerà per secoli non si preoccupa di nessun dio; si mette al di sopra di tutti, ed è lui che decide quali siano quelli che devono essere ammessi nel cielo: li canonizza. Non si può sbagliare: è infallibile. In effetti man mano che la sede del vescovo di Roma si è elevata al di sopra delle altre sedi, l’idolatria dei santi e delle reliquie si è stabilita. Si può dire che l’autoritarismo e l’idolatria hanno preso forza una dall’altra dal IV secolo. Chi riconosce il papa può godere delle terre, chi lo contrasta perde la sua autorità. Quello che sconcerta è che questa forma di culto: messe, ostia, santi, vergini, rosari, protettori oggi è più vero, potente, imponente di ieri, purtroppo sempre nel nome del Dio della Bibbia, del Dio dei padri della cristianità.
Nel tempo della fine l’VIII re e la sua futura impresa militare
130
BRISSET J. Pierre, Les prophéties accomplies, Paris 1906, p. 98. 1 Timoteo 4:1. Accostamento fatto da Mede, riportato da P. Jurieu, o.c. t. I, p. 245. 132 «Per il desiderato delle donne si intende il matrimonio» P. Jurieu, o.c., t. I, p. 245. 133 Da una donna ebrea sarebbe dovuto nascere il Messia. 134 DAPPLES C.A., Résumé du Commentaire d’Elliott sur L’Apocalypse, Lausanne 1875, p. 202. «Isacco Newton, Birks, Elliott e altri buoni interpreti hanno dimostrato che qui si fa allusione al culto dei santi; che il termine Maozim o fortezze indica delle divinità protettrici, o dei santi tutelari, onorati in qualità di patroni, considerati come dei difensori, delle fortezze, dai loro adoratori» TANNER Joseph, Daniel and Revelation, London 1898, p. 523; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 24. Con la parola Maozim si è identificata la dea Roma (J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, p. 1423), Giove Capitolino (Firmin ABAUZIT, Œuvres diverses, vol. I, Lyon 1770, p. 242; F.J. von ALLIOLI, p. 521, n. 58; É.G.E. REUSS, p. 274), la dea Astarte (nota della versione Synaiticus), la dea Ragione (G.S. FABER, Dissert., pp. 42,360-386; J.S. MATTESON, Prophecies, p. 401; U. SMITH, p. 285; J. VUILLEUMIER, pp. 347-353; J. MEDE, Works, 4a ed., pp. 669-674; T. NEWTON, vol. II, 5a ed., p. 177 e seg.; T. WINTLE, p. 217 etc.). 131
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CAPITOLO XX
Daniele ha descritto ciò che la dinastia del potere che si contrappone a Dio avrebbe fatto rappresentandolo come un unico uomo. Ha personificato questo potere. Paolo nella sua lettera ai Tessalonicesi usa lo stesso linguaggio e, come abbiamo dimostrato, l’uomo del peccato, il figliolo della perdizione è «una collettività storica continua»,135 «una società d’uomini cattivi fra i quali (alla fine della storia n.d.a.) ce ne sarà uno più cattivo di tutti gli altri, che è come la testa di questo corpo», come insegnava Gregorio I, vescovo di Roma dal 590 al 604.136 Questa testa del corpo sarà annientata all’apparizione di Cristo Gesù con il soffio della sua bocca. «E a1 tempo della fine,137 il re del mezzogiorno verrà a cozzo con lui; e il re del settentrione gli piomberà addosso come la tempesta, con carri e cavalieri, e con molte navi; penetrerà nei paesi e, tutto inondando, passerà oltre. Entrerà pure nel paese splendido, e molte popolazioni saranno abbattute; ma queste scamperanno dalle sue mani: Edom, Moab e la parte principale dei figlioli di Ammon. Egli stenderà la mano anche su diversi paesi, e il paese d’Egitto non scamperà. E s’impadronirà dei tesori d’oro e d’argento, e di tutte le cose preziose dell’Egitto; e i Libi e gli Etiopi saranno al suo seguito. Ma notizie dall’Oriente e dal Settentrione lo spaventeranno; ed egli partirà con gran furore per distruggere e votare allo sterminio molti. E pianterà le tende del suo palazzo fra i mari e il bel monte santo; poi giungerà alla sua fine, e nessuno gli darà aiuto».138 Con quest’ultimo brano noi perveniamo alla fase conclusiva della storia. La descrizione dell’intervento di Micael e della resurrezione, descritto nel brano che segue (XII:1-3), non può che essere un avvenimento escatologico. Con queste ultime dichiarazioni dell’angelo noi perveniamo allo scopo della rivelazione che Dio fa a Daniele: «E ora sono venuto a farti comprendere ciò che avverrà al tuo popolo negli ultimi giorni; poiché è una rivelazione che concerne l’avvenire».139 Dobbiamo riconoscere che questo brano ha sollevato diversi problemi.
135
ALLO Ernest (in religione Bernard Marie), S. Jean - L’Apocalypse, 2a ed., Paris 1921, p. 199. Pensiero riassunto da JACQUEMONT François (anonimo), Avis aux fidèles sur la conduite qu’ils doivent tenir dans les disputes qui affligent l’Eglise, 1796, p. 345. 137 Questa espressione collegata con quella del versetto 35 ha fatto pensare a diversi commentatori al periodo della Rivoluzione francese, periodo nel quale finiva l’intolleranza e la supremazia papale e con il quale iniziava profeticamente l’epoca della fine. Per questo motivo alcuni hanno applicato il brano che consideriamo a Napoleone I con le sue spedizioni in Oriente. Come vedremo, questo brano trova però la sua sola realizzazione alla fine della storia e quindi alla conclusione del quadro profetico. 138 Daniele 11:40-45. 139 Daniele 10:14. 136
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Quando la profezia diventa storia
L’VIII RE
Considerando che si tratti di una profezia non ancora compiuta, conviene trattarla con una prudente riserva. Scrive K.J. Holland: «I versetti da 40 a 45 presentano il conflitto alla fine dei tempi; saranno senza dubbio compresi quando si produrranno gli avvenimenti annunciati».140 Senza quindi volere spiegare come la profezia si realizzerà, riteniamo opportuno fissare il significato del testo di Daniele. Chi è il potere indicato due volte con il pronome “lui” del versetto 40?141 Coloro che hanno creduto di identificare Antioco con il re orgoglioso del brano che precede gli applicano anche questi passi facendo però delle acrobazie per sostenere la propria esegesi.142
140
HOLLAND Kenneth-J., God’s preview of the future, in These Times, Nashville, Tennesse, 1970, p. 31. «Il re del mezzogiorno verrà a cozzo con “lui”, e il re del settentrione “gli” piomberà addosso» o meglio, «piomberà addosso a “lui” con carri e cavalieri ». 142 Un primo errore è quello di identificare il primo pronome “lui” con Antioco re del Nord e il secondo “lui” con il re del Sud (Egitto). Il secondo errore è quello di vedere qui una IV invasione di Antioco in Egitto ma «nessuno scrittore fa menzione di questa quarta spedizione di Antioco in Egitto, tranne Porfirio (233-303 d.C.). Questi, citato da Gerolamo, racconta che nell’undicesimo anno del suo regno (166-165 a.C.) intraprese una nuova campagna contro suo nipote Tolomeo Filometore, invadendo l’Egitto con dei carri, dei cavalieri e una flotta considerevole, spandendo dappertutto sul suo passaggio la devastazione, e andò anche in Giudea, dove fortificò la cittadella di Sion con le macerie dei muri della città» La Bible Annotée, o.c., p. 328. Ma gli stessi esegeti, come ad esempio gli abati A. Crampon e J. Fabre d’Envieu, che applicano questo brano ad Antioco, sono obbligati a confessare che: «Porfirio suppose che il versetto 40 presenti una quarta spedizione del re di Siria contro questo paese (Egitto)... Ma questa spedizione è puramente immaginaria. Un semplice colpo d’occhio sugli avvenimenti di questa epoca lo dimostrano più che abbondantemente. La guerra di Antioco con l’Egitto era terminata con l’intervento del potere romano nel 168 a.C. Così siamo autorizzati a rigettare l’opinione di Porfirio come contraria, non solamente per un preteso silenzio degli storici sacri e profani, ma come contraria alla storia stessa... La storia non sa nulla d’una nuova guerra contro l’Egitto dopo quella dell’anno 168; e gli altri dettagli menzionati nel testo sono contrastati dalle relazioni autentiche» J. Fabre d’Envieu, o.c., t. II, pp. 1418,1419,1420. Giovanni Luzzi (Gli Agiografi, p. 324) dice che gli esegeti che applicano questo brano ad Antioco sono costretti poi a confessare che la storia ignora completamente questa quarta campagna. BOUTFLOWER Charles, In and around the Book of Daniel, London 1923, p. 3 scriveva. «Se applichiamo questi ultimi versetti 40-45 ad Antioco Epifane essi si presentano a noi come una profezia che non si è mai compiuta e che si riduce in realtà a una semplice supposizione». Non potendo cambiare la storia, questi esegeti per potere sostenere la loro posizione, per giustificare che il brano si riferisca ad Antioco, scrivono: «Lengerke ha ragione di dire che questo brano non offre che una breve ricapitolazione degli avvenimenti citati» Idem, p. 1419. Ma «si percepisce senza difficoltà la debolezza d’una tale spiegazione» A.F. Vaucher, o.c., p. 25. Si giunge anche a dire, dopo aver scritto: «Non c’è nessuna documentazione storica su una conquista totale dell’Egitto da parte di Antioco (Porfirio non è degno di fiducia qui)» che la «campagna militare descritta dal versetto 40 è una proiezione nel futuro delle convinzioni di Daniele» LACOCQUE André, Le livre de Daniel, Neuchâtel 1976, p. 171. Questo modo di spiegare la Bibbia pensiamo faccia del testo sacro non una rivelazione ma un’invenzione dell’uomo. Inoltre localizzare la fine di Antioco in Palestina (11:45), mentre essa avvenne in Persia (1 Maccabei 6:1-16) suscita un grosso problema per i sostenitori di questa spiegazione. La TOB cerca di giustificare questo errore (la teologia liberale considera le profezie di Daniele scritte a eventi compiuti) scrivendo: «I particolari relativi alla sua morte non sono noti all’autore nel momento in cui scrive», p. 1648. HARTMAN F. Louis scrive: «Fra il Mediterraneo e Gerusalemme. Sebbene l’autore sia inesatto riguardo al luogo della morte di Antioco IV Epifane (che in realtà morì nel 163 in Persia), tuttavia è essenzialmente esatto (sic!) perché la morte sarebbe stata miserabile» Daniele, in Grande Commentario Biblico Queriniana, ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 588. 141
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CAPITOLO XX
In questo brano noi abbiamo «tre poteri che sono menzionati: il re del Sud, il re del Nord, e il potere che è l’oggetto dei loro attacchi, cioè il dominatore apostata che si deifica da se stesso»,143 cioè “lui”,144 il re orgoglioso.145 Questo “lui” non è altro che il soggetto del potere che è stato descritto precedentemente la cui opera è stata anche profetizzata nei capitoli VII e VIII. Si è qui all’epilogo della storia, si descrivono gli eventi che precedono la venuta del Signore, e quindi si presenta colui che Cristo Gesù annienterà col soffio della sua bocca, come scrive Paolo, o come aveva già detto Daniele nel presentare questo potere che sarà spezzato senza opera di mano.146 «Il re del Mezzogiorno ed il re del Nord sono gli stessi, nella loro posizione geografica, come in tutto il capitolo e sono caratterizzati da questa posizione»147: l’Egitto e la Siria.
143
BATESON Bernard Lionel, Daniel’s Last Prophecy Fulfilled?, London 1951, p. 13. Grammaticalmente questo pronome non può essere applicato che al suo antecedente. 145 Ci sembra normale vedere nel potere indicato dal pronome lui (versetto 40) il re orgoglioso dei versetti precedenti. 146 Daniele 2:45; 7:26; 8:25; 2 Tessalonicesi 2:8. 147 DARBY John Nelson, Études sur Daniel, 3a ed., Vevey 1952, p. 125. Nel momento in cui Darby scriveva queste righe (la prima edizione, London 1847), 1a Siria e l’Egitto si trovavano sotto un dominio straniero. Ciò gli faceva dichiarare: «Questi regni saranno ristabiliti» Idem, p. 61. In un momento in cui la Siria (il re del Nord), l’Egitto (re del Sud), non avevano l’indipendenza politica, sui re del Nord e del Sud sono state avanzate diverse ipotesi. Sono stati identificati nel seguente modo : 144
Il Re del Nord è stato identificato con: - Anticristo finale raffigurato da Antioco IV Epifane: P.J. AGIER, Daniel, p. 107,108; - Anticristo futuro: Ch. BOUTFLOWER, p. 428; come abbiamo già riportato (nota n. 141), a p. 3 ha contestato che il testo possa indicare Antioco IV: «Se applichiamo questi ultimi versetti, 40-45, ad Antioco Epifane siamo di fronte a una profezia che non si è mai realizzata e si riduce a una semplice supposizione». W.C. SCROGGIE, p. 428; - Russia: F.H. BERICK, Great Crisis, 1854, pp. 126-136; H. EDSON, The Time, 1849, p. 10; H. LINDSEY, pp. 195-197; - Turchia: Anonimo, The Schema, pp. 171-176; J. A. BEGG, A connected, 3a ed., pp. 268,269; T. BRIGHTMAN, Works, pp. 918-923; J. GREGORY, Imminent, 1959, pp. 268,269; M. HABERSHON, Historical, 1841, p. 311; S.N. HASKELL, 1908, pp. 282,286; A.E. HATCH, Divine Economy, 1913, p. 278; E. HUIT, 1644, pp. 342-344; J.G. LAMSON, 1923, p. 23: C.L. LOYS DE CHÉSEAUX, pp. 247278; I.G. MATTESON, Prophecy, pp. 403-407; J. MEDE, Works, 4a ed., p. 816; H. MORE, An Illustr., 1685, p. 147; I. NEWTON, Works, 4a ed., pp. 187-208; Opera, vol. V, p. 412; T. NEWTON, vol. II, 5a ed., p. 187-208; Asa T. ROBINSON, A remarkable, pp. 20,21; U. SMITH, Proph., pp. 289-299, attendeva un trasferimento della capitale turca Costantinopoli a Gerusalemme; R.B. THURBER, The Story of Daniel, 1926, p. 58; J. VUILLEUMIER, Daniel, p. 354; - Inghilterra: J. LATHROP, Prophecy, p. 11. - Papato: Il Nord rappresenta il territorio geografico di Babilonia che passò ai Seleucidi i quali si sottoposero all’autorità di Roma pagana, che nella sua evoluzione storica è rappresentata dal papato: L.F. WERE, The King…, p. 38-43; vedere anche The Battle…; H. BULLINGER, Sapientiss., f. 132b, 133b; E.P. CACHEMAILLE, 1888, pp. 39,40; T. CRINSOZ, 1729, p. 419-423; M.F. ROOS, Ausleg., pp. 250-263; W.J. FITZGERALD, pp. 29-31; J.S. WHITE, Review, 29 novembre 1877, p. 172; A Word to the little Flock, 1847, pp. 8,9 e M. C. WILCOX, Signs of the Time, 14.4.1912, p. 7; The King, 1910, pp. 26,27; Il Re del Sud è stato identificato con: - Saraceni: Van AMRINGE, 1843, p. 228; - Egitto: J.G. LAMSON, 1923, p. 23; J. VUILLEUMIER, p. 354;
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- Francia di Napoleone: J. VUILLEUMIER, p. 354; - Napoleone I o Inghilterra: Th.R. BIRKS, pp. 303-341; W. MILLER, pp. 104-108; - Spagna e Portogallo: J. LATHROP, p. 11. Per la presentazione completa delle opere degli autori ai quali abbiamo fatto riferimento vedere la Bibliografia. Riteniamo che non sia corretto identificare il “lui” con potenze come: Gran Bretagna, Russia, Turchia come fanno degli studiosi. Nulla nel testo biblico suggerisce una tale identificazione. I teologi avventisti negli ultimi anni tendono a spiegare questo testo finale in chiave spirituale. Riportiamo tre esempi con delle osservazioni critiche. 1. Jacques DOUKHAN, Le Soupir de la terre, ed. Vie & Santé, Dammarie les Lys, 1993, ha una posizione radicale su tutto il capitolo 11, risolvendo la problematica dell’identificazione dei contendenti dei conflitti tra il re del Nord e il re del Sud trasferendo il tutto in una struttura letteraria dove i due re alternativamente si attaccano e si difendono, dove Nord-Sud «è una espressione stilizzata utilizzata nella Bibbia secondo un senso simbolico per esprimere l’idea di totalità di spazio terrestre (che tecnicamente si chiama merismo)». A riprova cita: Ezechiele 21:3,4,9; Isaia 43:6,7; 1 Cronache 26:17; Salmo 107:3; Ecclesiaste 1:6; Cantico dei Cantici 4:16; ecc. Lo stesso linguaggio è usato nelle cronache egiziane che chiamano Artaserse «re del Sud e del Nord», cioè della totalità del mondo di allora (vedere Robert William ROGERS, A History of Ancien Persia, 1929, p. 176). «Inoltre - sostiene sempre J. Doukhan - nella tradizione biblica, il riferimento al Nord, come il riferimento al Sud, è carico di un senso spirituale preciso. Così il Nord rappresenta la potenza del Male che pretende il posto di Dio». Sostiene inoltre, che il piccolo corno viene dal Nord, giustificandolo con il testo del versetto 4b. «I profeti vedono il male e la minaccia sorgere dal Nord: Isaia 14:31; Geremia 1:14; 46:20; 50:1-3; Isaia 41:24,25; Ezechiele 26:7; Zaccaria 2:6; ecc.. Questo linguaggio è giustificato dal fatto che gli eserciti babilonesi erano considerati dagli abitanti d’Israele come provenienti dal Nord. Babilonia, la potenza usurpatrice di Dio, è stata molto presto associata al Nord. Geremia 46:25,26». Ancora secondo J. Doukhan «questo simbolismo incontrava nel Medio Oriente antico un terreno favorevole, poiché, secondo la mitologia cananea, è al Nord che risiedeva il dio Baal. Ciò permette di dire che il riferimento al Nord intenda il regno di Babilonia o il dio Baal. Per tale motivo questo riferimento è carico di senso religioso e di pretesa al divino nella mentalità degli Ebrei del passato. Il profeta Isaia ha raccolto tutte queste associazioni d’idee nel suo scritto sul re di Babilonia (14:3,4). È la stessa tradizione che riappare nell’Apocalisse, dove la potenza malefica usurpatrice di Dio, che corrisponde al piccolo corno di Daniele, è chiamata “Babilonia” (Apocalisse 14:8; 16:19; 17:5; 18:2,10,21). Dall’altro lato il Sud simboleggia, nella tradizione biblica, il potere umano senza Dio. Il riferimento al Sud è associato al paese d’Egitto (11:43) e specificatamente a Faraone nei suoi rinnegamenti di Dio. “Chi è l’Eterno al quale io debba ubbidire ?” Esodo 5:2. D’allora i profeti interpretano ogni tentativo di alleanza con l’Egitto come l’espressione della fiducia nella forza umana e, di conseguenza, come un rinnegamento di Dio (Isaia 31:1-3; 2 Re 18:11; Geremia 2:12; ecc.). Mentre l’idea del Nord ha in sé il riferimento a un movimento religioso che s’innalza fino a Dio, l’idea del Sud porta in sé il riferimento a un movimento umano che rinnega Dio e non si appoggia che su se stesso. Questo linguaggio di riferimento al Nord e al Sud era coerente con la storia d’Israele. Tiranneggiata tra le due potenze, Babilonia ed Egitto, Israele comprendeva e immaginava il suo destino in funzione di queste due forze. Nulla ci deve stupire se allora, per annunciare il destino del popolo di Dio, la profezia di Daniele utilizza in un senso spirituale il riferimento tradizionale al Nord e al Sud. Inoltre, se interpretiamo la conclusione del capitolo 11 (versetti 40-45) in un senso spirituale, come la maggior parte degli interpreti, dobbiamo essere conseguenti ed applicare lo stesso metodo ai passi precedenti. È sorprendente che questa ultima sessione utilizzi lo stesso linguaggio poetico di regolarità e di simmetria in rapporto al re del Nord e al re del Sud come in precedenza. Le prime parole di questa parte indicano che si tratta della stessa storia. È lo stesso re del Nord che è evocato: “Il re del Sud si urtò contro lui” (v. 40). Il “lui” si riferisce implicitamente al re del Nord di cui si parla nel versetto precedente. Il riferimento Nord-Sud deve dunque essere compreso in modo “spirituale” prima del versetto 40 e dopo». Riteniamo che identificare il “lui” con il re del Nord sia un equivoco che invalida tutto il ragionamento di questo professore, del quale siamo stati allievi. «Il tema del conflitto tra il Nord e il Sud. Pensiamo da una parte al potere ecclesiastico che si è innalzato fino a voler rappresentare Dio sulla terra, con tutto ciò che questo comporta come abuso, usurpazione e imbroglio (il Nord). Pensiamo d’altra parte ai movimenti filosofici e politici che hanno voluto negare l’esistenza di Dio per rifarsi strettamente alla politica della ragione umana (il Sud). Il confronto tra queste due forze fu costante. In breve, prima di tutto l’attacco neoplatonico e la persecuzione degli imperatori pagani (Nerone, Diocleziano, Giuliano, ecc.); sono altresì le correnti umaniste sorte col Rinascimento; ed infine la Rivoluzione francese, sulla cui azione assistiamo ai nostri giorni l’ascesa delle ideologie e dei governi laici e materialisti. Il tema dell’alleanza tra il Nord e il Sud nei versetti 6,17,22 e 23. Pensiamo agli avvicinamenti e ai compromessi tra la Chiesa e lo Stato di Costantino fino ai nostri giorni, passando dalle alleanze del Medio Evo, su diverse questioni, come la legge, il controllo dei territori, l’esercizio del potere e pure le idee filosofiche.
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Il tema del conflitto tra il Nord e il popolo di Dio ai versetti 16,28,30,31,35, pensiamo si riferisca alle persecuzioni e ai crimini d’intolleranza che hanno segnato la storia della Chiesa dal IV secolo alla Rivoluzione francese. Bisogna attendere l’ultima fase, quella del tempo della fine (versetti. 40-45) per vedere queste azioni raggiungere la loro piena completezza. La storia è dunque stata scritta dal punto di vista della fine; e l’accento messo su questi tre temi, assi fondamentali del tempo della fine, traduce l’intenzione di preparare per quel tempo della fine. L’autore fa scaturire tutto ciò che gli sembra importante nella prospettiva di questa fine, tutto ciò che comporta un orientamento escatologico» Idem, pp. 242-247. 2. W. Shea giunge alle stesse conclusioni pur dando al testo biblico una conformazione diversa perché vede, come abbiamo riportato sopra, dei personaggi reali dietro alle figure dei “re”, mette l’espressione «tempo della fine» del versetto 40 in relazione con la visione generale profetica dal tempo della Rivoluzione francese, 1798, quando scadono i 1260 giorni-anno. In considerazione dei versetti precedenti, ritiene che non sia opportuno vedere qui dal versetto 40 in poi, nel re del Sud, il riemergere dei Tolomei perché l’identificazione sembra debba avere più una connotazione spirituale che politica, come il re del Nord visto come il papato, nel suo territorio geografico, non ha più quel senso letterale e specifico di quando era presentato all’inizio del capitolo. Per questi motivi il re del Sud indica una entità spirituale negli ultimi versetti del capitolo 11. L’Egitto rappresenta quindi il potere che rigetta l’Eterno: «Chi è il Signore al quale io debba obbedire?». L’eruzione di questa specie di pensiero è propria della Rivoluzione francese, che caratterizza il profetico “tempo della fine”. L’ateismo espresso nel Marxismo Leninismo, Comunismo, è un diretto discendente della filosofia sviluppata dal tempo della Rivoluzione. È proprio in quel tempo (1789-1793) che nel nome della Ragione si rigetta la Bibbia e ogni forma di religione. Questo spirito materialista livella molti altri aspetti della moderna società ed è in conflitto con la Chiesa. Per questo motivo non si deve vedere nel re del Sud, di questo testo, un territorio letterale della Francia o della Russia, o altro. Esso indicherebbe il pensiero filosofico materialista, l’umanesimo razionale, l’agnosticismo e tutto ciò che porta all’ateismo. C’è una correlazione tra il re del Sud del nostro testo e il modo di esprimersi di Apocalisse 11:8 dove, parlando «della piazza della grande città», è detto che «figurativamente è chiamata Sodoma ed Egitto, dove anche il loro Signore è stato crocifisso». Gesù in terra di Francia, quale piazza della grande città, veniva nuovamente crocifisso dalla filosofia e dalla religione di questa egiziana ideologia che, sorta in Francia con la sua Rivoluzione, si è estesa alla Russia. A conclusione delle sue considerazioni W. Shea vede, nelle notizie che vengono dall’oriente, quanto Giovanni dice in Apocalisse 16:12, e scrive: «Il libro dell’Apocalisse parla anche di quella spirituale battaglia finale in termini letterali, localizzandola in Harmaghedon (16 :16), o “Il monte di Meghiddo”. Meghiddo è anche localizzato tra i mari e il glorioso santo monte. Il papato è uno dei poteri spirituali che sarà coinvolto in quella battaglia finale» o.c., pp. 208-213. 3. Antolín DIESTRE GIL, El Sentido de la Historia y la Palabra prophética, vol. II, editorial Clie, Terrassa (Barcellona) 1995, pp. 326 a seguito dei lavori di Hans K. LaRONDELLE, Principes d’Interprétation de l’Eschatologie Prophétique et Apocalyptique, Collonges sous Salève 1977; Chariot of Salvation, Review and Herald Publishing Association, Washington 1987, e ancora prima di lui l’opera di Louis F. WHERE, o.c., applica il metodo secondo cui, come scrive H. LaRondelle: «... il tema unificatore dell’Antico e del Nuovo Testamento è Gesù Cristo e la redenzione che ha il suo centro in lui. Però questo principio cristologico di interpretazione biblica, ... dovrebbe essere ugualmente applicato in forma logica in tutta l’esposizione escatologica della Scrittura, specialmente nell’ultima parte apocalittica e simbolica» o.c., p. 2. Abbiamo presentato questo principio nell’Appendice n. 13, Harmaghedon. Tutto ciò che riguarda escatologicamente il popolo d’Israele trova la sua realizzazione non nella sua realtà storica e geografica finale, ma nella sua realtà spirituale che è la Chiesa, il nuovo popolo di Dio, nel quale si compie il progetto iniziale di fare dei liberati dall’Egitto un popolo di re e sacerdoti. In questa prospettiva, A. Diestre Gil vede nel re del Nord la Babilonia di Apocalisse 17 che identifica con il corno di Daniele 7 e con il piccolo corno del capitolo 8, che ha una egemonia politica per 1260 anni (o.c., p. 557). Il re del Nord riceve la ferita mortale dal re del Sud (Apocalisse 13:3pp,5; 17:8pp, 10pp; 11:7). Questo re del Nord in Apocalisse è rappresentato dalla quinta testa. Il re del Sud, che rappresenta il potere dello Stato con un contenuto spirituale, è simbolicamente rappresentato dall’Egitto (11:8). Alla fine della storia il re del Nord si appropria di poteri speciali per vincere il re del Sud (11:40 sp.) (o.c., p. 558). Questo potere entra nel Paese splendido simbolo del popolo di Dio al quale sferra una sistematica persecuzione causando il tempo d’angoscia. Anche il re del Sud andrà contro la Chiesa di Dio dopo aver visto la guarigione della quinta testa di Babilonia che si presenta nel tempo dell’ottava testa (o.c., p. 559). Le notizie del Nord e dell’Oriente sono quelle delle ultime piaghe con le sue implicazioni politiche ed economiche a causa del fatto che gli angeli di Dio attaccano il trono della bestia (Apocalisse 16:10) e tutto quanto è di supporto alla Bestia sia sul piano fisico che spirituale (Apocalisse 16:1-21; 19:11-20) (o.c., p. 560). In questa spiegazione spirituale i nemici del popolo messianico sono chiamati con il nome dei nemici del regno teocratico d’Israele (Isaia 25, Moab; Isaia 63 Amon; 9:12, Edom; Ezechiele 38 Gog). Il popolo di Dio di Daniele 12:1 è la Chiesa. La gloriosa montagna è a simbolo del popolo di Dio finale, perché, per Daniele, Gerusalemme e Israele sono stati distrutti (Daniele 9:26,27). La Chiesa è quindi il nuovo Israele, la santa città, come precisa Giovanni in
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L’VIII RE
Non vogliamo dare qui una spiegazione dettagliata degli avvenimenti futuri, che riguardano il «tempo della fine», ma presentare un quadro d’insieme che le apocalissi ci tratteggiano a proposito dell’ultima azione politico-militare del papato: come esso sarà attaccato da questi due paesi, del suo trasferimento in Palestina e della sua fine. A tale proposito presentiamo una sintesi dei manoscritti del collega emerito Frédéric Charpiot148 del quale condividiamo la posizione. Come abbiamo detto, le visioni che Daniele ha avuto nei capitoli precedenti, II, VII, VIII, descrivono l’evoluzione della storia mediante dei simboli. Essi presentano delle immagini, come una statua con diversi metalli, animali, corna. Il capitolo XI è per contro scritto in un linguaggio letterale; non contiene nessun simbolo. Di conseguenza la sua spiegazione deve rispettare questa particolarità che ci proibisce di dare a personaggi, luoghi e atti menzionati, un senso simbolico. La lotta per la supremazia tra queste due potenze: Egitto e Siria, uscite dalla divisione dell’Impero Greco-Macedone, continuano per più di un secolo, con persone reali, re, regine, figli, figlie e nipoti. Queste loro guerre occupano 23 dei 45 versetti del capitolo.
Apocalisse 7:4-8; 21:12, è il nuovo tempio come dice Paolo (1 Corinzi 3:16,17; 6:19; 2 Corinzi 6:16; Efesi 2:21,22), il nuovo monte Sion, la santa montagna (Ebrei 12:22; Gioele 2:32 con Romani 10:13; Isaia 28:1-6 con 1 Pietro 2:68; Isaia 59:20 con Romani 11:26; Efesi 2:21) dove Dio abita (Zaccaria 8:3) e rende santo il luogo della sua dimora. In questa prospettiva la terra della cristianità è l’Europa dove il re del Nord ha il suo quartiere generale tra il popolo di Dio, “il monte santo” e “i mari”, espressione poetica il cui plurale, nel linguaggio ebraico, indica il Mar Mediterraneo, come presentano la versione di Driver, Montgomery, Charles, Moses Stuart, gli Agiografi, TILC e altre. Per contro, i teologi de La Bible Annotée vedono in questo testo le fasi ultime della guerra di Antioco e identificano “i mari” con il Mediterraneo e il Mar Morto. Le notizie che spaventano il re del Nord vengono dal settentrione, dove c’è il trono di Dio (Salmo 48:2; Ezechiele 1:4; Isaia 14:13,14) e dall’Oriente, da dove Gesù, il nuovo Ciro, verrà per liberare il suo popolo e distruggere i nemici (Apocalisse 7:2; 16:12). Riconosciamo che la storia di questo mondo si chiuderà a seguito della battaglia finale che vedrà contrapposte le forze del bene, con a capo il Signore che viene, e quelle del male, guidate dall’Avversario rappresentato dal nemico di Dio e che Daniele ha descritto a più riprese. Questa guerra non avrà confini geografici in quanto i credenti, come i loro oppositori, sono estesi su tutta la Terra. La critica alla spiegazione di questi ultimi sei versetti di Daniele 11 è data dall’errore principale di confondere il re del Nord con “lui” . Nel nostro tempo riconosciamo che siamo in compagnia solo di alcuni nomi, pochi, (H.E. SNIDE, Prophetic Essays, New York 1927, p. 45, A.F. Vaucher, F. Charpiot, J. Zurcher e W. Shea, in una lettera personale), che riconoscono che i protagonisti dal versetto 40, e quindi nella fase finale della storia, sono tre: il re del Sud, lui (il papato) e il re del Nord. Rifiutando il quadro geografico, come noi lo presentiamo, allegoricamente si può pensare che la persecuzione del popolo di Dio, raffigurata dall’invasione della terra Santa, venga compiuta dal suo nemico “lui” il quale è stato pressato, spinto dal re del Sud, raffigurazione del potere che nega l’autorità di Dio. In questo caso chi rappresenta il re del Nord che esprime l’ambizione umana di essere simile all’Altissimo ed è incarnato proprio dal “lui” che da secoli si presenta nel tempio di Dio e dice di esserne il Vicario? Il soggetto “lui” che fa guerra al popolo di Dio, prima è attaccato dal re del Nord e poi dal re del Sud. Inoltre chi rappresenterebbero gli Etiopi, il cui territorio può essere considerato come un prolungamento di quello dell’Egitto a Sud e quello della Libia, una estensione dell’Egitto verso Ovest? Nell’Antico Testamento queste nazioni non sono presentate come nemiche del popolo di Dio. In questo testo Daniele le pone come alleati di “lui” il quale, nelle spiegazione allegorica, risparmierà nella sua invasione i secolari nemici dell’antico Israele teocratico Edom, Moab e la parte principale dei figli di Ammon, anche se non sono però presentati come suoi alleati. 148 CHARPIOT Frédéric, Le peuple de la Prophétie, n. 2 dattiloscritti di 61 pp. e 150 pp., s.l., s.d. Quando la profezia diventa storia
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Perché l’angelo dà un tale spazio e ricchezza di particolari a dei conflitti locali che, pur avendo pesato molto sulla storia d’Israele, sembrano di nessuna importanza specifica per degli avvenimenti finali, per ciò che riguarda il tempo della fine? La rivelazione biblica non è arbitraria; Dio non fa nulla senza un disegno preciso. L’unica ragione ci sembra quella di permetterci l’identificazione certa dei re del Mezzogiorno e del Nord allorquando, alla fine della loro eclissi di duemila anni, riappaiono all’improvviso sulla scena della storia: «al tempo della fine», al tempo in cui sorgerà Micael, al tempo della parziale resurrezione.149 Nei ventitré versetti consacrati alle guerre tra queste due potenze, esse vengono indicate solo con l’espressione geografica Nord e Sud in rapporto alla Palestina. Questa precisazione geografica ci sembra rivelatrice dell’intenzione divina. Le espressioni “re del Nord”, “re del Sud” indicano sempre le potenze occupanti i territori situati rispettivamente al Nord e al Sud della Palestina. Quest’indicazione geografica non può essere il frutto del caso. Bisogna rispettarla costantemente se si vuole comprendere correttamente tutta la profezia di questo capitolo. L’angelo parla di Roma nella sua forma pagana prima e papale dopo, allo scopo di identificarla nel ruolo primordiale che ha da svolgere nelle scene finali della tragedia umana. Quando l’orologio divino suona il tempo della fine, la storia umana registrerà uno scuotimento contemporaneamente tragico e glorioso. Per quel momento la parola profetica menziona un personaggio che chiama “lui”. Da notare che il testo biblico non dice “un” re, ma “lui”. Questa precisazione non è fortuita. Ha una doppia ragione: questo “lui” è stato già presentato e quindi è già ben conosciuto e inoltre è destinato ad avere una funzione preminente negli avvenimenti della fine, meritando una menzione e una descrizione particolare. Questo “lui” Daniele lo aveva già descritto con tratti precisi nei capitoli VII e VIII, che noi abbiamo commentato. Giovanni ripresenta questo “lui” in Apocalisse capitolo XVII, indicandolo con la V testa della bestia, che viene ferita a morte alla fine dei 1260 anni o 42 mesi profetici, cioè al tempo della Rivoluzione francese. L’apostolo rivela che questo potere riacquisterà autorità dopo la guarigione della sua ferita suscitando così l’ammirazione e l’adorazione nei suoi confronti da parte di tutta la terra. La bestia a due corna, il falso profeta, lo porterà al suo apogeo permettendogli di imporre al mondo intero il segno del suo marchio, marchio di apostasia, di rifiuto della Legge di Dio, marchio con il quale si attesta la ribellione cosciente contro l’Altissimo. Questo “lui” appare al capitolo XVII dell’Apocalisse spogliato del suo potere temporale, rappresentato dall’Amazzone impura, la chiesa apostata, la grande prostituta, «madre di tutte le abominazioni della terra». Esso è seduto sulla bestia dalla quale trae il potere e con la quale si identifica perché «la donna... è la gran città che impera sui re della terra». Come la V testa del mostro, che viene ferita a morte, essa riuniva sotto il suo scettro il potere religioso (la donna) e il potere temporalepolitico (la bestia) - ed è sotto quest’ultimo tratto che viene descritta - così al tempo 149
Daniele 12:1,2; Apocalisse 1:7; Matteo 26:64.
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della fine questo re-teologo, cioè «la bestia che era, e non è (a seguito della ferita mortale), deve salire dall’abisso e andare in perdizione (perché) deve durare poco», viene chiamato «l’ottavo re» perché «viene dai sette o è uno dei sette». Questo ottavo re, sostenuto dall’agnello-dragone, che ha creato nel suo paese un’organizzazione simile a quella esistente nel Medio Evo in Europa quando le forze politiche erano sottomesse a quella religiosa, riceverà, sul territorio geografico dell’antico Impero Romano latino, il potere dalle «dieci corna» che governeranno con lui per un brevissimo tempo: «un’ora». Finalmente guarito, dopo una decennale convalescenza, riprenderà come nel passato a «guerreggiare contro l’Agnello... e quelli che sono con lui, i chiamati, gli eletti e fedeli», ma non vincerà perché l’Agnello «è il Signore dei signori e il Re dei re». Questo “lui”, l’Anticristo, dopo il Popolo di Dio è la figura centrale del quadro profetico delle apocalissi. L’uno è il risultato dell’azione redentrice dell’Eterno, l’altro il capolavoro dell’Avversario. Quindi, in armonia con l’insieme del quadro profetico tracciato dalle visioni di Daniele e dell’Apocalisse, ci sembra non solamente giustificato, ma evidente che il «lui» del nostro brano non possa essere altro che questa potenza politico religiosa che, dopo aver ereditato il trono e l’Impero Romano, ha dominato la scena della storia umana nel corso dei secoli. Giovanni, parlando del suo effimero e ultimo trionfo sul trono del dragone come l’ottavo re, alla vigilia del suo giudizio e della sua distruzione dice che dirà, nel suo orgoglio: «Io siedo regina e non sono vedova e non vedrò mai cordoglio, (ma) in uno stesso giorno verranno le sue piaghe, mortalità e cordoglio e fame, e sarà consumata dal fuoco; poiché potente è il Signore Iddio che l’ha giudicata».150 Nel 1927 H.E. Snide pensava che il papato sarebbe stato attaccato dall’Islam rappresentato dai due re del Nord e del Mezzogiorno (Egitto).151 Il quadro profetico prevede l’instaurarsi di una vasta organizzazione politicosociale-religiosa che inglobi non solamente le forze religiose pseudo-cristiane e non cristiane, ma anche i raggruppamenti materialistici e antireligiosi di ogni tipo sotto l’influenza di Roma creando la Grande Babilonia degli ultimi giorni. Queste alleanze formate sotto la pressione di interessi egoistici, di difficoltà economiche, di pericoli minaccianti l’esistenza stessa della società a causa delle piaghe che colpiscono gli uomini, imporranno al mondo un supremo sforzo per risolvere gli inestricabili problemi umani, per restaurare la giustizia sociale, la sicurezza e la pace. «E vidi uscire dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia e dalla bocca del falso profeta tre spiriti immondi simili a rane; perché sono spiriti di demoni che 150
Apocalisse 18:7,8. SNIDE Harold-Eugène, Prophetical Essays, New York 1927, p. 45. WHITE James-Springer, A Word to the little Flock, 1847, pp. 8,9 e WILCOX Milton-Charles, Signes of the Time, 14.4.1912, p. 7, prevedeva il trasferimento del seggio papale da Roma a Gerusalemme. «Diversi commentatori cattolici hanno previsto questo trasferimento» VAUCHER Alfred Fèlix, Le chapitre 11 du livre de Daniel, in Revue Adventiste, gennaio 1976, p. 14.
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faranno gran segni e si recheranno dai re di tutto il mondo». In quel tempo si griderà: «Pace e sicurezza». Ma «allora ... una improvvisa rovina verrà loro addosso, come le doglie alla donna incinta; e non scamperanno affatto», perché questi spiriti hanno fatto sì che queste forze si riunissero «per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente».152
Harmaghedon Al posto della pace prevista e sperata la guerra scoppierà improvvisamente. Il carattere letterale del capitolo XI di Daniele ci permette di stabilire i fatti seguenti relativi all’ultima fase della storia: - si tratta di un conflitto armato: l’ultimo; - la sua epoca è quella finale, del ritorno di Cristo; - sarà un tempo di distretta per le nazioni, come non c’è mai stata, dice Daniele nei versetti che seguono, è una allusione alle piaghe che colpiscono l’umanità impenitente; - il campo di battaglia iniziale si situa nel Medio Oriente: in Palestina; - il re del Sud (l’Egitto e l’Arabia) e il re del Nord (la Siria e le potenze che occupano il territorio situato a nord della Palestina) attaccheranno l’Occidente con a capo Roma; che avrà come alleate la Libia e l’Etiopia; - Roma entrerà in Palestina, il «Paese splendido», stabilirà il suo quartiere generale: «il suo palazzo tra i mari e il bel monte santo», cioè tra «il mar Mediterraneo e il mar Morto, e il bel monte santo» cioè «verso la montagna del santo ornamento», «vicino a Gerusalemme»;153 - Edom, Moab e i figli di Ammon, popoli da tempo scomparsi, che rappresentano i paesi della Transgiordania, la cui capitale è Amman, sfuggiranno alla guerra; 152
Apocalisse 16:13,14; 1 Tessalonicesi 5:1-3; Apocalisse 16:14. «Diversi commentatori cattolici, senza condividere il nostro punto di vista su questo passo di Daniele, hanno previsto un trasferimento del papato in Palestina. Così il domenicano Giuseppe ZOPPI, L’Epoca seconda della Chiesa, vol. I, Lugano 1781, p. 188, prevedeva la fuga del papa da Roma a Gerusalemme. Il gesuita M. LACUNZA, Venida del Mesias, t. II, 1,6; pensava che, come la provvidenza aveva trasferito la sede della cristianità da Gerusalemme a Roma, potrebbe riportarla a Gerusalemme. Il domenicano Bernard LAMBERT, Exposition, vol. II, pp. 269-326, vedeva la sede dell’unità cattolica trasferita a Gerusalemme. Pierre MOGLIA (1801-1869), Essai sur le livre de Job et sur les prophéties relatives aux derniers temps, vol. I, Paris 1865, p. 164, adottava l’idea di Zoppi. Vedere pure Jean Baptiste BIGOU, curato di Sonnac, Aude, L’Avenir, Paris 1887, capitolo 7, La prochaine conversion du monde entier, Paris 1891, pp. 142,143. Joaquin de SANGRAN Y GONZALES, La Profecia del Apocalisse, Madrid 1929, p. 195» A.F. Vaucher, L’Antichrist, p. 26. COCORDA Oscar nel 1892 non prende in considerazione il nostro testo, ma scrive: «Parlando dell’ultimo impero, de Rougemont dice. “Non si sa dove avrà la sua sede”. Ho già risposto che entrambi gli ultimi due imperi (delle teste della bestia di Apocalisse XVII, la VI e la VII) sono romani e hanno per sede Roma. Si concede dalla maggior parte che l’Impero sarà romano, ma alcuni dubitano che abbia per sede Roma e propongono chi Costantinopoli, chi Gerusalemme, chi la Babilonia dell’Eufrate. Giova dunque provare che quella sede sarà Roma. Quelli che propongono Costantinopoli osservano che anch’essa è costruita su sette colline. Ma ho già detto che le montagne dell’Apocalisse rappresentano, come le teste, le monarchie universali. Poi, sebbene Costantinopoli abbia surrogato Roma sul finire dell’antico Impero, non è probabile che in un risorgimento dell’Impero stesso, essa possa competere con Roma, 153
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- l’Egitto e i suoi alleati, per contro, saranno vinti e avranno il paese occupato; - a causa delle notizie che verranno dall’Oriente, e dal Settentrione, forse a nord del Caucaso, frontiera naturale del territorio del re del Nord, il Papato partirà con furore per distruggere e votare allo sterminio molti. In considerazione di quanto diremo nel punto che segue, poiché la fase finale della storia ha una valenza spirituale, crediamo offra delle ragioni per pensare che queste indicazioni geografiche del Settentrione (luogo del trono di Dio) e dell’Est (da dove il Signore ritornerà) possano identificarsi con l’intervento di Dio nella storia.154 - sarà un conflitto spirituale perché tutti coloro che non avranno preso il marchio della bestia saranno soccorsi da Micael e l’Israele spirituale avrà il suo trionfo; - «poi giungerà alla sua fine e nessuno gli darà aiuto» cioè le nazioni europee che gli avevano dato il potere gli si rivolteranno contro: «... le dieci corna... sulla bestia odieranno la meretrice e la renderanno desolata e nuda, e mangeranno le sue carni e la consumeranno col fuoco»155; poi verrà il tempo in cui questo potere «sarà infranto senza opera di mano (perché) il Signore Gesù (lo) distruggerà col soffio della sua bocca, e (l’) annienterà con l’apparizione della sua venuta». Nel capitolo VII:12 Daniele dice che le prime tre bestie - che rappresentavano gli imperi di Babilonia, Medo-Persia, Grecia - sebbene «il dominio fu loro tolto, fu loro ammenoché si voglia supporre che l’Impero riconciliato col papato lasci il papa a Roma sotto certe condizioni, e scelga a capitale Costantinopoli per amicarsi le popolazioni orientali! - Quelli che propongono la Babilonia dell’Eufrate prendono la Babilonia apocalittica nel senso letterale e dicono che al giorno d’oggi sarebbe cosa facile fare risorgere Babilonia. Ma la questione non sta lì. Già gli è evidente che la Babilonia di Giovanni è un simbolo che significa confusione e corruzione la chiesa e la società degli ultimi tempi. Poi, trattandosi dell’Impero Romano che sempre ebbe a sede la centralissima Roma, un trasloco di sede non sarebbe naturale, e quanto meno ad una delle estremità dell’Impero. Inoltre, le profezie contro Babilonia dicono che le sue rovine saranno eterne e che non sarà mai più abitata (Geremia 25:12; 50:39,40; 51:26,43). Infine il movimento della civiltà dopo essere venuto da Oriente ad Occidente, accenna bensì a ritornare ad Oriente, ma per fissarsi non a Babilonia ma a Gerusalemme. Questo ci accosta a coloro che propongono quest’ultima città a sede degli ultimi imperi. È certissimo che l’Impero del mondo ritornerà a Gerusalemme, ma quando, come, e nelle mani di chi? In mano del popolo d’Israele, al ritorno del Cristo, quando lo scettro sarà tolto ai Gentili e restituito ai discendenti di Davide. Anzi questa legittima restituzione dev’essere preceduta da un restauro mondano d’Israele e da un tentativo di signoria universale per parte dell’Anticristo, il quale certamente regnerà in Gerusalemme. Dice de Rougemont: “L’ottavo re è la Bestia completa, l’attuazione della monarchia universale segnata da Nabucco, Ciro, Alessandro, Carlomagno, Napoleone, ma raggiunta soltanto e per un solo momento dai Cesari. Questo ottavo re che è l’Anticristo, dominerà su tutta la terra profetica. Sarà forse un ebreo e avrà la sua residenza probabilmente a Gerusalemme. Ma il suo regno sarà breve. L’iniquo corre alla sua perdita”. Il Godet crede pure che sarà un monarca ebreo. Ma se l’ottavo re avrà la sua sede in Gerusalemme, ciò non prova che ce la debbano avere il settimo e il sesto. Anzi è certo che questi risiederanno in Roma. Del resto anche questi domineranno su tutta la terra profetica. Il settimo, cioè la repubblica universale, abbraccerà Oriente e Occidente, e i suoi membri, i dieci re, copriranno tutto il suolo dell’Impero, probabilmente cinque in Occidente e cinque in Oriente. La sesta Testa comincerà per regnare in Occidente ove restaurerà l’impero, poi abbraccia l’Oriente estendendosi fino agli antichi confine. Entrambi avranno per sede Roma» Le Sette Teste dell’Apocalisse o una Chiave Profetica, Torre Pellice 1892, pp. 33,34. Come abbiamo più volte espresso, non condividiamo la visione teologica, presentata anche da O. Cocorda, che sostiene la restaurazione d’Israele quale atto finale della storia. 154 Ciò che rende criticabile questo accostamento è il cambio di registro dal livello militare politico geografico a quello prettamente religioso. 155 Apocalisse 17:15,16. Se questa guerra d’invasione non è la conseguenza della quinta piaga che viene versata sul trono della bestia ed oscura il suo regno, e non si riferisce né alla sesta e né alla settima piaga, dovrà precedere le piaghe, la cui durata complessiva è molto breve. Sebbene la cornice profetica ci porti al tempo che precede la venuta di Micael per difendere, liberare il suo popolo, il precisare i tempi e i modi di realizzazione ci sfuggono. Del resto non è questo lo scopo della profezia. Quando la profezia diventa storia
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concesso un prolungamento di vita per un tempo determinato». Crediamo che in questo periodo della storia i territori geografici di queste antiche potenze (il leone e l’orso a Est, il leopardo a Sud) svolgeranno un ruolo nella fase finale della storia.
Conclusione della storia In Daniele
«E in quel tempo sorgerà Micael, il gran capo, il difensore dei figlioli del tuo popolo; e sarà un tempo d’angoscia, quale non se n’ebbe mai da quando esistono nazioni fino a quell’epoca; e in quel tempo, il tuo popolo sarà salvato; tutti quelli, cioè, che saranno trovati iscritti nel libro. E molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni per la vita eterna, gli altri per l’obbrobrio, per una eterna infamia. E i savi risplenderanno come lo splendore della distesa; e quelli che ne avranno condotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle, in sempiterno».156 Giunti al tempo della fine Micael,157 Cristo Gesù, ritornerà per liberare la sua Chiesa, il suo Popolo da un mondo destinato alla morte. Quel tempo, che precede il ritorno del Signore, sarà un tempo di angoscia che non ha confronti nella storia ed è quanto i profeti avevano visto e annunciato.158 156
Daniele 12:1-3. Vedere Daniele 10:13,21. Sulla figura di Micael ci sono due opinioni per la sua identificazione: - Un arcangelo o angelo di ordine superiore: A. BARNES, ed. Henderson, vol. II, pp. 217,218; A.R. FAUSSET, vol. IV, p. 453; H. GROTIUS, vol. II; Paris 1644, p. 472; É. GUERS, Israel, p. 118; O.F. MUELLER, Dissert.; S.P. TREGELLES, Remarks, p. 166; - Gesù Cristo: Unico arcangelo capo delle schiere celesti: Giuda 9; 1 Tessalonicesi 4:16; Giovanni 9:25; Emmanuel il grande Principe: Isaia 9:6,7; Ezechiele 37:25; Daniele 8:16; 9:25; Atti 5:30,31. Ermas, Il Pastore, Simil. 8:2,3; B.L. BATESON, pp. 17,18; F.H. BERICK, The Grand Crisis, pp. 137-139,346; G.I. BUTLER, Qui, sett. 1876, p. 19; J. CALVIN, Leçons, Genève 1562, f. 158,159,161,162,190,191; T. DRAXE, Extremi, p. 86; A. DU PINET, pp. 221,328; J. FRY, The second, vol. II, p. 391; W. HALES, Synopsis, pp. 633,634; E.W. HENGSTENBERG, Old Testament, vol. II, p. 149; P. JURIEU, Accomplissement, vol. I, p. 258; M. LUTHER, trad. francese, p. 407; Ph. MELANCHTON, trad. franc., pp. 130,144,209,210,340; J.P. POLIER, Rétablissement, vol. I, p. 426; J.S. RUSSELL, The Parusie, 1878, 1887, pp. 418,419; Ch.H.H. WRIGHT, Bibl., 1886, pp. 242, 243. Per la presentazione completa delle opere vedere la Bibliografia. 158 «È una distretta delle nazioni che precederà immediatamente l’apparizione del nostro Signore con i suoi angeli» J. Vuilleumier, o.c., p. 374 e cita i seguenti passi: Sofonia 1:14,15; Luca 21:15; Isaia 2:11,12,17; Apocalisse 14:10 e i capitoli 15 e 16. Aggiungiamo Apocalisse 7:14; vedere il nostro Capitolo XVIII - I 144.000 dell’Apocalisse - i 144.000 vengono dalla grande tribolazione; per la grande distretta in Matteo 24:21 e Luca 21:15 vedere Appendice n. 13; per il commento dei capitolo 15 e 16 dell’Apocalisse, vedere il nostro Capitolo XVII. Nel nostro tempo storico si assiste all’attesa del “messia” liberatore, salvatore. In diversi ambienti in cui si crede in questa venuta essa viene collocata in un’epoca di angoscia e di squilibri che si abbatteranno sulla terra. Riteniamo che i richiami al nostro testo di Daniele siano evidenti. Alcuni esempi: 157
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In ambito iranico si parla di una figura eroica, messianica: Sacahyant, l’ultimo dei tre figli postumi di Zarathustra. Tornerà con gli eroi celesti quando «l’umanità gemerà sotto i pesi della più terribile ingiustizia e delle peggiori calamità. La creazione conoscerà un processo di degrado e di corruzione che colpirà tutti gli aspetti della vita. La terra sarà devastata da ogni sorta di cataclismi e si riempirà di impurità» MEDRANO Antonio, Tempi ultimi e restaurazione finale, ed. Il Cinabro, Catania 1995, p. 16. Anche il buddismo predica l’attesa, la venuta del Buddha Maitreya, il Buddha sorridente. Scrive A. Medrano: «Perfino una via tradizionale così refrattaria alle speculazioni escatologiche qual è il buddismo, contiene nella sua dottrina un riferimento al tema della restaurazione finale e del Redentore che dovrà portarla a termine. Quest’ultimo è personificato dal Buddha Maitreya, il Buddha futuro, il Buddha che deve venire» Idem, p. 31. Nella spiritualità indo-germanica si attende Balder, un dio solare simile ad Apollo. Anche in questa cultura il contesto dell’apparizione è: «Dalle ceneri del vecchio mondo, decadente e corrotto», grazie all’azione del dio nascerà «pieno di giovinezza e di forza, libero da ogni lordura. Nascono un nuovo cielo e una nuova terra e su questa inizia la vita di una nuova umanità» Idem, p. 52. Nel mondo dei fenomeni e delle entità del paranormale gli ufologi Unarius attendono un “messia” cosmico. Per la sua venuta hanno preparato una base di atterraggio per extraterrestri che avverrà per il 2001. Un altro gruppo di credenti: Circolo Medianico della Pace di Berlino, pretende di essere in contatto con gli extraterrestri dal 1952. Il capo degli alieni è un certo Ashtar Sheran, del quale i fedeli del Circolo dicono: «I messaggi di Ashtar Sheran superano per importanza tutte le dottrine religiose e sono in grado di apportare le necessarie correzioni alla Bibbia. Ashtar Sharan è un Maestro Cosmico, e in alcuni paesi lo si considera alla stregua di un messia riapparso tra noi». Stesse credenze anche sul versante delle apparizioni mariane (vedere la nostra Appendice n. 17). Un messaggio tra tanti, al pseudo veggente Vincenzo, datato 26.2.1988, diceva: «Mille e non più mille - dice l’entità mariana - non significa la fine del mondo, ma la fine dell’èra del male, che porterà al trionfo del cuore immacolato di Maria... Siamo alla fine, state vivendo l’èra pre-apocalittica». Il messianismo nel mondo ebraico è particolarmente vivo ed implicante. L’assassinio del primo ministro Ytzak Rabin, 4.11.1995, può avere la sua chiave di lettura nella logica messianica espressa dai gruppi dell’estrema destra. L’apertura del tunnel sotto la spianata del Tempio di Gerusalemme, 24 settembre 1966, che ha avuto come conseguenza una violenta reazione da parte dei palestinesi, con numerosi feriti, è nella logica dell’attesa messianica d’Israele. I Fedeli del Tempio sono un gruppo religioso dell’estrema destra il cui scopo principale «... è ricostruire il Tempio sulla spianata (cioè nell’esatto luogo dove sorgeva il Santo dei Santi) al fine di affrettare la venuta del Messia annunciato dai profeti». Questi “fedeli” già il 10 marzo 1983 avevano progettato di far saltare la moschea di Omar e sono stati fermati dall’intervento della polizia. Un altro tentativo è stato evitato l’anno successivo. Le scuole (yeshiva), sempre più numerose, per il sacerdozio, hanno la funzione di insegnare, ai presunti discendenti di Aaronne, il complesso rituale del tempio. I rabbini hanno fatto lunghe e dispendiose ricerche per assicurarsi che i futuri «ministri del tempio ricostruito» siano discendenti dei leviti. Nell’atto di fondazione della yeshiva del rabbino Cook si legge: «Il primo pilastro del nostro risorgimento è basato sulla speranza... di rivedere i sacerdoti e i leviti compiere i riti sacerdotali. Il messaggio divino riguardante la ricostruzione del tempio e la restaurazione del culto sarà di certo compiuto molto presto. Il giorno grande e glorioso è vicino». I Fedeli del Tempio sono animati dalla convinzione che quando il Tempio ricostruito prenderà il posto della moschea di Omar, allora il messia verrà a Gerusalemme per mettere Israele alla guida delle nazioni. Questo movimento è sostenuto anche dagli evangelici fondamentalisti americani che sono una popolazione di circa cinquantamilioni. «Il più visibile legame tra protestanti (americani) e i ricostruttori del tempio (israeliani) è la Jerusalem Temple Fondation (J.T.F.) di Los Angeles. Questa fondazione è guidata da due cristiani protestanti che hanno i mezzi, l’energia e la rete di conoscenze necessarie a catalizzare un movimento di massa». Tra i finanziatori ci sono nomi della Moral Majority quali: Pat Robertson, Oral Roberts, Jim Bakker e sono molto rappresentativi del mondo fondamentalista. Per gli evangelici la ricostruzione del tempio corrisponde al compimento delle profezie bibliche. Il settimanale New Republic, Stanley Geldford, presidente della sezione israeliana della J.T.F. «vede i fondamentalisti protestanti come logici alleati, i soli che capiscono che stiamo giungendo a un periodo cruciale della storia: “essi vogliono aiutarci ad adempiere le profezie e affrettare l’avvento del Messia”». Guch Esunin, portavoce del movimento politico Blocco dei Fedeli, ha dichiarato alla televisione israeliana che i cospiratori credono che la distruzione delle due moschee islamiche sul Monte Sion provocherebbe l’Islam a scatenare una «guerra santa» così terribile da obbligare il Messia a tornare. Certo gli ebrei e i protestanti hanno prospettive molto diverse sulla venuta del Messia, ma un rabbino ha spiegato: «Essi (i protestanti) credono che, ricostruito il tempio, tornerà per la seconda volta Gesù. Noi aspettiamo il Messia per la prima volta. Costruiamo il tempio e vedremo cosa succederà» BLONDEL Maurizio, I fanatici dell’Apocalisse, ed. Il Cerchio, Rimini 1995. Un avvenimento che è stato riportato da tutti i quotidiani il 21 marzo 1997 è che Israele, dopo una attesa di duemila anni, ha visto finalmente nascere una giovenca rossa. Questo animale prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme a opera dei Romani era utilizzato nel cerimoniale levitico per dei sacrifici particolari (vedere Numeri 19:2,9; 28:19; 29:2,3; Deuteronomio 21:4; Esodo 29:2,36; Levitico 4:3,8,12; 8:14). Questo avvenimento riteniamo Quando la profezia diventa storia
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In quel tempo ci sarà la resurrezione dei giusti, dei salvati, di coloro che andranno a stare con il Signore159 e ci sarà anche una parziale resurrezione dei malvagi, di quelli, come scrive Giovanni all’inizio dell’Apocalisse, che «trafissero» il Signore, ai quali Gesù aveva detto che lo avrebbero visto venire sulle nuvole del cielo.160 Comparando questo testo con quelli dei capitoli precedenti di Daniele, possiamo rilevare quanto segue: 1. questo potere giunge alla sua fine (Daniele XI:45). Il piccolo corno è distrutto (Daniele VII:26). 2 Il Figlio dell’uomo ha avuto l’investitura del regno (Daniele VII:14).
che sia di grande importanza per il fondamentalismo ebraico e quello evangelico che riunisce diverse decine di milioni di persone. A p. 5 de L’Unità si leggeva: «Secondo la Torah (Bibbia), questa nascita dischiude la possibilità di “purificare” la totalità del popolo ebraico dall’impurità provocata dal contatto con i morti. Sarà così possibile per ogni ebreo, e per la prima volta dopo la sua distruzione, varcare la zona del Tempio di Gerusalemme, oggi nota come Spianata delle Moschee, il terzo luogo sacro dell’Islam. A dare l’annuncio della sacra nascita è il rabbino di Kfar Hassidim, Shamaria Shor: “Non vi sono dubbi - ripete sotto i riflettori della TV di Stato - il Messia si è finalmente manifestato. Il suo avvento è imminente”». Secondo l’interpretazione di alcune correnti rabbiniche ultraortodosse e «secondo gli esegeti di “Eretz Israel”, una volta risolto grazie alla vacca rossa l’ostacolo religioso della “purificazione” degli ebrei, nulla vieta la ricostruzione del Terzo Tempio nel luogo dove oggi sorgono le Moschee di Al Aqsa e di Omar. Poco importa, per costoro, che una tale eventualità scatenerebbe la reazione dell’intero mondo mussulmano, determinando un conflitto bellico devastante. «Il potenziale danno che può derivare da questa giovenca è molto più grande della potenza distruttiva di una bomba» ha scritto il quotidiano Haaretz. L’importante è il “Segno” divino, è l’“annuncio” di cui la vacca rossa sarebbe portatrice: il Messia sta per calarsi in Terra, il popolo eletto è sulla via della purificazione». C’è una perplessità: «“Il sacrificio dovrà essere compiuto da un sacerdote di 13 anni, assolutamente puro”. Cosa non semplice, sospira Rabbi Elboim: “In tempi remoti - conclude - quei sacerdoti venivano “allevati” fin dalla nascita. Mentre oggi, purtroppo, non ce ne sono più». Dopo qualche settimana sembra che questa mucca rossa non corrisponda più agli ideali legali dei fondamentalisti (vedere La Repubblica, Per gli ultraortodossi è un “segno di Dio” – Israele: “Uccidete la mucca sacra”, 30.5.97). L’aspettativa continua. In ambito islamico esiste l’idea di un ritorno del messia liberatore alla fine dei tempi. La tradizione parla del Mahdî, il cui viso sarà come un “astro brillante”, e sarà l’ultimo luogotenente di Allah sulla terra, il quale lo invierà dopo che la comunità sarà stata colpita da un’immensa afflizione da parte del potere temporale. Di quel tempo è detto: «... Non si è avuta notizia di un’afflizione più grave da quando Allah ha sparso la progenie di Adamo». Oltre al Mahdî, gli scritti islamici prevedono anche l’apparizione di un oppositore, avendo lo stesso ruolo che ha l’Anticristo per le scritture cristiane. È il Daggiâl; quando apparirà farà grandi segni e miracoli per sviare i credenti e combatterà contro Gesù che, per l’occasione sarà risuscitato da Allah. Ma Gesù morirà ancora, per tornare alla fine per risuscitare insieme a Maometto. Vedere, AA.VV., Il Mahdi e l’Anticristo, in Quaderni del Veltro, Parma 1988. E. White nel secolo scorso scriveva: «A coronamento del grande dramma di seduzione, Satana stesso impersonificherà Cristo. La chiesa aspetta da molto tempo l’avvento del Salvatore, come conclusione delle sue speranze, e il grande seduttore farà credere che Cristo è venuto. In varie parti della terra, Satana si manifesterà fra gli uomini come un essere maestoso, ammantato di uno splendore dardeggiante, simile alla descrizione del Figlio di Dio fatta da Giovanni in Apocalisse 1:13-15. La sua gloria sorpasserà ogni altra manifestazione che occhi mortali mai abbiano visto. Il grido trionfale riempirà l’aria: “Cristo è venuto! Cristo è venuto!”. La gente si prostrerà in adorazione davanti a lui, mentre egli leverà le mani e pronuncerà su di essa una benedizione come faceva Cristo con i suoi discepoli quando era su questa terra.- Però il popolo di Dio non si lascerà ingannare. Gli insegnamenti di questo falso cristo non concordano con quelli delle Scritture. La sua benedizione viene pronunciata sugli adoratori della bestia e della sua immagine.- A Satana, comunque, non sarà consentito di contraffare la venuta di Cristo. Il Salvatore ha avvertito il suo popolo e lo ha messo in guardia contro l’inganno su questo punto, descrivendo chiaramente in che modo Egli verrà la seconda volta» WHITE Ellen, Il gran conflitto, ed. A.d.V., Firenze 1977, p. 454. 159 1 Tessalonicesi 4:16. Vedere il nostro Capitolo XXII. 160 Apocalisse 1:7; Matteo 26:64; Marco 14:62. Vedere E. WHITE, Every Writings, p. 285; Gran Conflitto, p. 657 ed. americana; B.J. ALFRINK, L’idée de résurrection d’àprès Daniel XII:1,2, in Biblica, 1959, pp. 355-371; D.T. TAYLOR, The Voice, nuova ed., Boston 1870, pp. 19.-24; J.C. DOMMERICH, De Doctrina, 1752, XXI pp.; R. MARTIN ACHARD, L’Espérance, pp. 439-457, su Daniele, pp. 446-451. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia.
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Micael si leverà per liberare il suo popolo (Daniele XII:11). I santi sono liberati e risuscitati per la vita eterna (Daniele XII:2). I santi riceveranno il regno eterno (Daniele VII:27). Questi avvenimenti finali seguono il giudizio che si è svolto nel cielo. Il testo precisa: «Il tuo popolo sarà salvato; tutti quelli cioè che saranno trovati scritti nel libro», quel libro che Daniele vede aperto nel cielo in occasione della visione del capitolo VII:10.
Nell’Apocalisse
«E vidi ed ecco una nuvola bianca; e sulla nuvola assiso uno simile a un figlio d’uomo, che aveva sul capo una corona d’oro, e in mano una falce tagliente. E un altro angelo uscì dal tempio, gridando con gran voce a colui che sedeva sulla nuvola: “Metti mano alla tua falce, e mieti; poiché l’ora di mietere è giunta, perché la messe della terra è ben matura”. E colui che sedeva sulla nuvola lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta. E un atro angelo uscì dal tempio che è nel cielo, avendo anch’egli una falce tagliente. E un altro angelo che aveva potestà sul fuoco, uscì dall’altare, e gridò con gran voce a quello che aveva la falce tagliente, dicendo: “Metti mano alla tua falce tagliente, e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve sono mature”. E l’angelo lanciò la sua falce sulla terra e vendemmiò la vigna della terra e gettò le uve nel gran tino dell’ira di Dio. E il tino fu calcato fuori della città, e dal tino uscì del sangue che giungeva sino ai freni dei cavalli per una distesa di milleseicento stadi».161 «Noi siamo pervenuti di nuovo (con questa visione) al termine della storia del regno di Dio nel presente secolo».162 Questa sezione chiude la parte centrale dell’Apocalisse, la visione dei tre mostri, presentando la tragedia religiosa, politica e sociale del mondo. Trasportato da una nuvola, emblema dello Spirito Santo, Cristo Gesù ritorna verso l’umanità per portare l’ultima parola come Capo della Chiesa e come Signore del mondo. Appare nella sua gloria, rivestito degli attributi divini (la nuvola bianca) e regali (incoronato di una corona d’oro) e munito dello strumento del regolamento
161 162
Apocalisse 14:14-20. REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanne 1904, p. 373. Quando la profezia diventa storia
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finale (la falce). Questa visione di Giovanni fa eco a quella di Daniele nella quale il profeta vede il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo.163 Questo Figlio dell’uomo che era venuto nella sua umiliazione, spogliato della sua gloria, quale «Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo», come vittima purificatrice, si presenta ora come giudice glorioso, ma anche come Salvatore per raccogliere da un’estremità all’altra della terra i suoi santi.164 L’immagine della mietitura rievoca l’insegnamento di alcune parabole del Signore: quelle delle zizzanie e della rete. «La messe della terra è ben matura», «letteralmente: i fuscelli di paglia sono secchi, gialli. Il grano è rapidamente maturato sotto il fuoco delle persecuzioni»165; la Chiesa rivestita della grazia del Signore è ora pura, santa, senza macchia e ruga alcuna, riflette l’immagine del suo Salvatore il quale ha preso fissa dimora nel suo cuore; non c’è più il pericolo di confonderla con la zizzania, è stata vagliata, suggellata e ha vinto. Mentre la mietitura «che, secondo la terminologia dell’Antico Testamento, è una immagine essenzialmente gioiosa (viene affidata al Figlio dell’uomo), la vendemmia..., secondo la stessa terminologia, significa ordinariamente lo sterminio dei nemici, calpestati come grappoli dai quali zampilla sangue, è compiuta da un essere subordinato: un angelo».166 Questa vendemmia è la conclusione del giudizio di Dio sugli empi a seguito delle ultime piaghe. Giovanni, per l’opera di vendemmia, si esprime con le parole che prima di lui il profeta Gioele pronunciò: «Mettete la falce, poiché la messe è matura! Venite, calcate, poiché lo strettoio è pieno, e i tini traboccano; poiché grande è la loro malvagità. Moltitudini! Nella valle del Giudizio! Si muovano e salgano le nazioni alla valle di Giosafat. Poiché là io mi siederò a giudicare le nazioni d’ogni intorno».167 «E il tino fu calcato fuori della città», «della città di Dio, di Gerusalemme».168 «Il tino fuori della città corrisponde, nella tradizione giudaica, al giudizio ultimo che si deve svolgere alle porte di Gerusalemme».169
163
Daniele 7:13; vedere Apocalisse 1:7. «Degli interpreti contestano che questo personaggio (di Apocalisse 14) sia il Cristo (vedere A. Reymond, o.c., t. I, p. 370), perché riceve un ordine da un angelo (versetto 15) e perché l’azione parallela (versetto 17 e seg.) è compiuta da “un altro angelo”. Noi avremmo dunque qui un altro angelo. Ma l’allusione evidente a Daniele 7:13 non permette di dubitare che l’autore pensi al Figlio dell’uomo» BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, L’Apocalypse, Lausanne, p. 412. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto tra parentesi. 164 Matteo 24:31,32; 1 Tessalonicesi 4:13-18; Ebrei 9:28. 165 A. Reymond, o.c., t. I, p. 371. 166 E. Allo, o.c., p. 77. 167 Gioele 3:13,14,12. 168 L. Bonnet, o.c., p. 413. 169 BORNKAMM Gunther, Die komposition der apokalyptischer Visionen, ZnW, 1937, pp. 132-149; cit. da C. Brûtsch, o.c., p. 253; vedere Zaccaria 14:4; IV Esdra 13:35. Il teatro del giudizio è situato fuori di Gerusalemme. È un particolare tradizionale che si trova in Zaccaria 14:2,12; Ezechiele 38-39; può corrispondere al vallone di Giosafat (Yahvé giudica), di cui parla Gioele, ed è stato identificato con il burrone del Cedron, dal IV secolo dopo Gesù Cristo. PIROT Louis, La Sainte Bible, t. XII, L’Apocalypse, Paris 1951, p. 640.
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Questa battaglia finale tra Dio e il male, tra i suoi rappresentanti e i suoi nemici, deve avere una chiave di lettura simbolica, essa si estende su tutta la terra, sulla quale vive il Popolo di Dio, il nuovo Israele, la città dell’Eterno. Crediamo che Daniele indichi che questo giudizio avrà il suo centro tra i due mari (mar Morto e mar Mediterraneo) e il bel Monte Santo, tra il monte degli ulivi ed il monte del tempio. «Dal tino uscì del sangue che giungeva sino ai freni dei cavalli». Immagine questa nella quale la generalità dei commentatori vede le conseguenze di una grande battaglia. «Il sangue del peccato (della rivolta) scorre, là dove il sangue del perdono è stato ripudiato».170 Il sangue dell’umanità impenitente scorre «per una distesa di milleduecento stadi» circa 300 chilometri171 rappresentante la lunghezza approssimativa della Palestina che può essere indicata come centro del campo di battaglia i cui confini si estendono a tutta la Terra, come del resto la raccolta del buon grano viene fatta su tutta la superficie della Terra. Quando Gesù ritornerà i suoi angeli raccoglieranno i suoi eletti da tutte le estremità della terra.172 Sebbene questo capitolo si chiuda con una visione raccapricciante, un lago di sangue, la visione non va disgiunta dalla luminosa descrizione della felicità dei salvati fatta all’inizio dall’angelo: «I savi risplenderanno come lo splendore della distesa; e quelli che ne avranno condotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle in sempiterno». Il bene trionfa e sussiste anche dopo il male.
170
GUTZWILLER Richard, Herr der Herrscher, Christus in der geheirnen Offenbarung, Einsiedein 1951, p. 181; cit. da C. Brütsch, o.c., p. 253. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. 171 «La cifra di 1600 è evidentemente simbolica e rappresenta una distanza di 70-80 leghe; è più che 1a distanza da Dan a Béersebah. Il giudizio oltrepassa dunque i limiti della Palestina. D’altra parte, il sottomultiplo 40 è il segno del castigo divino, poiché gli Israeliti furono obbligati a trascorrere 40 anni nel deserto (Numeri 14:33-35); furono abbandonati e dimorarono nelle mani dei Filistei durante 40 anni perché essi ricominciarono a fare ciò che spiaceva all’Eterno (Giudici 13:1); il paese d’Egitto fu ridotto in deserto di aridità e di desolazione per 40 anni, perché Faraone ha detto «il fiume è mio e sono io che l’ho fatto!» (Ezechiele 29:9-12), da dove risulta che 40 volte 40 designerebbe dei giudizi grandi, terribili, coprenti una distesa, simile a quella che devasteranno il nostro globo verso la fine dei tempi» A. Réymond, o.c., t. I, p 372. Louis Bonnet, dopo aver scritto che «1600 stadi sono 1a lunghezza approssimativa della Palestina, che è probabilmente indicata anche come il campo di battaglia» e aver espresso il pensiero di Reymond, che, come altri commentatori, vede nei 1600 stadi un numero simbolico, aggiunge: «Pare preferibile (se questa lunghezza la si accetta simbolicamente poiché si tratta qui, non di durata, ma di spazio, 1600 è composta da 4 volte 4 moltiplicato per 100. Ora 4 è il numero del mondo; 100 indica 1a consumazione dei giudizio esercitato sul mondo. Questa cifra 1600 è in contrapposizione al numero 144.000 (12 volte 12 moltiplicato per 1000) che rappresenta la totalità degli eletti» L. Bonnet, o.c., p. 413. Questa spiegazione potrebbe essere più convincente se Giovanni non avesse specificato l’unità di misura “stadio” e si fosse limitato a dire: «per una distesa di 1600». 172 Matteo 24:31; 1 Tessalonicesi 4:16. Come abbiamo già riportato, scrive il prof. J. Doukhan: «Il numero - 1600 stadi - è sicuramente simbolico. Gioca sulla cifra “quattro” (4x4x100), che come si sa è una connotazione dell’universalità geografica “tutta la terra”, in Apocalisse come nel libro di Daniele, una maniera per dire che il castigo prende delle proporzioni mondiali» DOUKHAN Jacques, Le cri du ciel, ed. Vie et Sante, Dammarie-les-Lys 1996, p. 192.
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Capitolo XXI IL GIORNO DEL SIGNORE “Fui rapito nello spirito nella giornata signoriale” S. Giovanni.1
Introduzione “La più grande tragedia dell’uomo è la disperazione, cioè la situazione di chi non ha più speranze. Si è nella disperazione quando manca la certezza del “Dio che viene”. Ci si rassegna allora al mondo così com’è e al proprio sconfortante destino. Certo, si seguita a sperare, ma solo in un graduale miglioramento che la civiltà e il progresso apporteranno. Si pensa che “il fondo è buono”, che vi sono “grandi risorse nell’umanità”, e così via. Ma ciò equivale a non aver niente in cui sperare. Se dobbiamo dipendere dalle nostre sole risorse, dalle forze insite nel nostro mondo, allora siamo davvero perduti. Non vi può essere sviluppo di forze umane capaci di liberarci dalla tragedia del peccato, della morte. Se davvero c’è da contare solo sulle nostre forze e su quelle del mondo, non abbiamo altra prospettiva che il totale fallimento”.2 Giovanni scrive l’Apocalisse nell’isola di Patmo dove, in esilio alla fine del I secolo, prima della morte di Domiziano (96 d.C.), riceve da Gesù Cristo le sue rivelazioni che hanno lo scopo di sostenere la Chiesa attraverso i secoli, particolarmente nei momenti difficili di persecuzione e di intolleranza, dando la certezza che la Parola di Dio avrà il suo compimento. Giovanni incoraggia la Chiesa non solo con le parole, seppure ispirate, di chi vive in una comoda situazione, ma manifestando la sua fedeltà anche nella prova e nella sofferenza. “Io Giovanni, vostro fratello e partecipe con voi della tribolazione...”.3 Egli si trovava in prigione perché credeva che le profezie relative al Messia avessero avuto il loro compimento nella persona di Gesù del quale egli rendeva testimonianza. Per Giovanni e per la Chiesa, l’isola di Patmo è la porta dei cieli che dà accesso all’eternità dalla cui soglia si abbraccia il passato, il presente e l’avvenire del popolo di Dio e che comprende gli avvenimenti che lo porteranno alla presenza dell’Eterno. La seconda parte del capitolo XIX dell’Apocalisse, che noi ora considereremo, ci descrive la venuta trionfale di Cristo Gesù investito della sua regalità, al termine del giudizio preliminare presentato in Daniele VII. Gesù ritorna nella sua potenza per dare il premio a coloro che lo aspettano. Per permettere la sua parusia il cielo stesso si apre, ed il cielo aperto annuncia la redenzione finale. 1 2 3
Apocalisse 1:10, traduzione letterale. BRUNNER Émil, La nostro fede, Roma 1965, pp 155,156. Apocalisse 1:9.
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Descrizione del ritorno di Cristo “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; e colui che lo cavalcava si chiama il ‘Fedele’ e il ‘Verace’; ed egli giudica e guerreggia con giustizia. E i suoi occhi erano una fiamma di fuoco, e sul suo capo v’erano molti diademi; e portava scritto un nome che nessuno conosce fuorché lui. Era vestito d’una veste tinta di sangue, e il suo nome è: la Parola di Dio. Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano sopra cavalli bianchi, ed erano vestiti di lino fino bianco e puro. E dalla bocca gli usciva una spada affilata per percuotere con essa le nazioni; ed egli le reggerà con una verga di ferro, e calcherà il tino del vino dell’ardente ira dell’Onnipotente Iddio. E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: RE DEI RE, SIGNORE DEI SIGNORI. Poi vidi un angelo che stava in piedi nel sole, ed egli gridò con gran voce, dicendo a tutti gli uccelli che volano in mezzo al cielo: “Venite, adunatevi per il gran convito di Dio, per mangiare carni di re e carni di capitani e carni di prodi e carni di cavalli e di cavalieri, e carni d’ogni sorta d’uomini, liberi e schiavi, piccoli e grandi”. E vidi la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per muovere guerra a colui che cavalcava il cavallo e all’esercito suo. E la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta, che aveva fatto i miracoli davanti a lei, coi quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Ambedue furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo. E il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di colui che cavalcava il cavallo; e tutti gli uccelli si satollarono delle loro carni”.4 “Il cielo aperto è l’indice di una nuova visione che comincia. Il Signore Gesù appare sotto i tratti di già dipinti. È indicato con gli stessi termini con i quali introduce la lettera di Laodicea “il testimone fedele e verace... Colui di cui tutte le promesse e tutte le minacce sono sì e amen in lui. Giudica con giustizia, e il suo giudizio sarà il combattimento, la guerra che sosterrà””.5 Il cavallo bianco, emblema della forza della grazia, simboleggia la vittoria ed il trionfo. È la cavalcatura dei re, dei generali. Giovanni rappresenta il Cristo nel suo trionfo escatologico come sovrano. Le sorti della battaglia sono già state decise.
4
Apocalisse 19:11-21. BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, L’Apocalypse, rivista e ampliata da Alfred SCHRŒDER, Lausanne 1905, pp. 433,371,419,433; vedere Apocalisse 6:2; 3:14; 2 Corinzi 1:20; Isaia 11:4; Apocalisse 16:16.
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Il suo combattimento “polemein’’ è contro la chiesa che si è degenerata e che ha ricercato il potere di questo mondo, l’alleanza col trono. Guerreggia con giustizia perché mette a nudo quegli pseudo-cristiani che hanno fatto soffrire la sua Chiesa.6 I suoi occhi di fuoco simboleggiano la sua onniscienza e il potere che ha di distruggere tutto ciò che percepisce, anche di più nascosto, contrario alla santa volontà di Dio. Sulla sua testa ci sono molti diademi. “Alla sua dignità di giudice aggiunge quella di re... Il dragone ha sette diademi sulle sue sette teste, poiché è il principe di questo mondo. La bestia ne ha dieci sulle sue dieci corna, perché essa esercita la sua sovranità sui re vassalli dell’Apocalisse: che sono ai suoi ordini; essa li tiene sotto la sua dipendenza. Il potere del capo sembra così crescere col numero dei diademi con cui è coronato. Così pure il Signore marcia verso la bestia e i suoi alleati con la fronte coronata da diademi che gli sono stati conferiti con le sue numerose vittorie sui re e sulle potenze della terra. Il suo nome ineffabile è senza dubbio l’emblema delle sue insondabili perfezioni, molto reali e rispondenti alla natura, all’essenza stessa del suo essere”.7 Gesù si presenterà con la sua veste tinta di sangue per ricordare e nuovamente manifestare al mondo il suo amore per l’umanità e la pazienza con la quale, soffrendo ogni giorno il Golgota per essa, l’ha attesa per salvarla. Il suo nome è “la Parola di Dio”. “Logos”, in greco significa ragione. Ciò che per l’uomo è la parola, cioè il mezzo con il quale esprime il proprio pensiero, la propria volontà per comunicarla al mondo, Gesù lo è stato per Dio: il mezzo mediante il quale Dio ha comunicato agli uomini. “Questo nome caratteristico lo indica come colui al quale tende e in cui si concentra tutta la rivelazione. Egli è questa rivelazione personificata. È colui che si è fatto conoscere, che si è rivelato come Agnello, e che va ad eseguire come Giudice il disegno eterno di Dio”.8 Questo nome è quello incommensurabile di YAHVÈ. Gli eserciti celesti che attorniano il Cristo sono gli angeli che lo accompagnano per la sua opera di giudizio per gli uni e di raccolta, per essere introdotti nell’eternità, per gli altri. Essi stessi sono su cavalli bianchi come dei vincitori e sono vestiti di lino bianco e puro, simbolo della loro santità perfetta e accettazione della grazia offerta. La spada tagliente, che esce dalla bocca del Cristo per percuotere le nazioni, “figura la sentenza irrevocabile che pronuncerà sui nemici di Dio e che eseguirà senza remissione”.9 Reggerà le nazioni con verga di ferro, come già aveva detto il Salmo II. Regnerà non con severità, ma eseguirà il giusto giudizio di Dio, calcherà tutto solo il tino del
6 7 8 9
Apocalisse 2:16. REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. II, Lausanne 1906, p. 100. L. Bonnet, o.c., p. 433. Idem. Quando la profezia diventa storia
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vino dell’ardente ira dell’Onnipotente Iddio come aveva detto il profeta Isaia10 e metterà fine ad ogni male. Il Cristo non viene più descritto come nel tempo della sua umiliazione seduto su un puledro d’asina, come nel giorno delle palme, ma su un cavallo bianco; non ha più il viso umano del fratello povero di Nazareth, ma ha gli occhi di fiamma di fuoco; non più incoronato di una corona di spine, ma con molti diademi; la sua scorta non è più quella di poveri pescatori, deboli discepoli che lo tradirono nella difficoltà, lo rinnegarono e lo abbandonarono, ma sono le miriadi celesti, le dodici legioni d’angeli che il Padre avrebbe potuto già inviargli a suo tempo. Tutto questo è perché il tempo della misericordia, della grazia, della pazienza di Dio è finito e quindi il RE DEI RE E IL SIGNORE DEI SIGNORI viene a dare il suo regno e a dividere il suo trono con coloro che lo hanno accettato.
Il gran conflitto Le parole che Gesù ha pronunciate nel suo discorso escatologico: “Dovunque sarà il carname, quivi si raduneranno le aquile”11, che sembrano senza relazione con il contesto ed enigmatiche al lettore dell’Evangelo, ottengono qui la loro piena spiegazione. Un angelo distinto da quelli che seguono il Cristo “che stava in piè nel sole”, che lo rende visibile a tutti gli sguardi, ripete l’invito agli uccelli di ogni specie e a tutte le bestie dei campi, come già il profeta Ezechiele aveva annunciato per quel giorno: “Riunitevi, e venite! Raccoglietevi da tutte le parti attorno al banchetto del sacrificio che sto per immolare per voi, del gran sacrificio sui monti d’Israele! Voi mangerete carne e berrete sangue. Mangerete carne di prodi e berrete sangue di principi della terra... Mangerete del grasso a sazietà e berrete del sangue fino a inebriarvi, al banchetto del sacrificio che io immolerò per voi; e alla mia mensa sarete saziati di carne di cavalli e di bestie da tiro, di prodi e di guerrieri d’ogni sorta”,12 “d’ogni sorta d’uomini liberi e schiavi, piccoli e grandi” aggiunge Giovanni: “La terribile immagine del festino al quale sono invitati tutti gli uccelli dipinge non solamente la distruzione completa, ma la fine ignominiosa dei nemici di Dio. Essere privati di sepoltura, diventare la pastura degli uccelli da preda era considerato per gli antichi come il colmo dell’obbrobrio. Tutti gli uomini, di qualunque condizione essi siano, che avranno fatto alleanza con la bestia, saranno abbandonati a questo terribile castigo”.13 La rappresentazione della cristianità apostata, la bestia ed il falso profeta, sono qui presentati per combattere contro “Colui che cavalca il cavallo bianco”. Questa guerra religiosa che tende a sopprimere i veri adoratori di Dio per eliminarli da questo mondo ha il suo epilogo nel giorno del Signore. 10 11 12 13
Isaia 63:3,4. Matteo 24:28. Ezechiele 39:17-20. L. Bonnet, o.c., p. 434.
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IL GIORNO DEL SIGNORE
La lotta non è descritta, perché non si tratta di una battaglia propriamente detta, ma di un giudizio repentinamente eseguito. Sebbene nel capitolo XVI:14 Giovanni presenti tre poteri “per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente”: il dragone, la bestia ed il falso profeta, qui l’Apostolo presenta solamente gli ultimi due, cioè le due edizioni corrotte del cristianesimo. L’Europa occidentale sotto la guida di Roma e il protestantesimo americano sono presentati qui come i due grandi colpevoli. Essi dovevano guidare gli uomini al bene e li hanno allontanati da Dio nel momento più critico della storia umana. Le altre nazioni, sebbene non si siano macchiate di questa colpa, sono state però sorde all’appello che l’Altissimo ha fatto proclamare con potenza e per questo motivo sono anch’esse divorate dal soffio bruciante che scaturisce dalla presenza del Signore. “Per anticipazione, il profeta collega quest’esecuzione preventiva del mondo impenitente con il castigo eterno e definitivo, che sarà la seconda morte nello stagno di fuoco. Questo castigo non avverrà che dopo il giudizio seguito dalla resurrezione degli empi, episodi ai quali la visione che segue (Apocalisse XX) ci fa assistere”.14 “In quel giorno, gli uccisi dell’Eterno copriranno la terra dall’una all’altra estremità, e non saranno rimpianti, né raccolti, né seppelliti; serviranno di letame sulla faccia del suolo”.15 Della triade satanica di Harmaghedon Giovanni dice che solamente la bestia ed il falso profeta sono stati presi e gettati nel fuoco. Il dragone nella sua personificazione di Lucifero, di Satana è l’unico che viene lasciato in vita, perché dovrà rimanere ancora sulla terra. All’inizio del capitolo che segue, l’Apostolo scrive: “... un angelo che scendeva dal cielo aveva le chiavi dell’abisso e una gran catena in mano. Ed afferrò il dragone, il serpente antico, che è il Diavolo e Satana e lo legò per mille anni, lo gettò nell’abisso che chiuse e sigillò sopra di lui...”.16
Il giorno dell’Eterno Giorno di giudizio
Quale sarà il giorno nel quale avverranno queste cose? Non ci è possibile fissare la data, ma crediamo ci sia possibile avere qualche indicazione sul giorno settimanale nel quale Dio compirà questo giudizio. Gli indizi che crediamo di scorgere circa il giorno sono il risultato delle parole di Giovanni e dell’insegnamento biblico, in cui il giorno del Signore ha un duplice significato.
14
VUILLEUMIER Jean, Apocalypse, Dammarie-les-Lys 1938, p. 330. Il cattolico BONSIRVEN Joseph scrive: “È strano che questi nemici siano semplicemente messi a morte, annientati, e non abbandonati alle sofferenze eterne” L’Apocalypse de S. Jean, Paris 1951, p. 286. 15 Geremia 25:33. 16 Apocalisse 20:1-3. Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XXI
Giovanni dice: “Fui rapito nello spirito nel giorno del Signore” o lett. “nel giorno Signoriale”.17 Notiamo bene: “Nella giornata del Signore” e non “in un giorno del Signore”. “Nel momento in cui l’Apostolo avrebbe potuto credersi abbandonato dagli uomini e da Dio, Dio viene a lui, lo rapisce nello spirito e lo trasporta, per così dire, nei secoli futuri, al fine di fargli vedere il grande giorno del suo ritorno, e la fine tragica di questo mondo in rivolta e anche la gloria che ha riservato per i suoi amici”.18 “Non si tratta di una domenica; no, l’Apocalisse ci descrive il giorno del Signore”.19 “È il gran giorno del ritorno del Signore e della sua entrata nel suo regno millenario”.20 “È da lì che (il Signore) contempla la storia della Chiesa nelle sue diverse fasi, dal giorno in cui Gesù la fondò a quello nel quale viene per portarla nel cielo”.21 “È il giorno che intravedevano gli apostoli e che chiamano il “giorno del Signore” e che Gesù chiama “l’ultimo giorno”. Tutto il libro (dell’Apocalisse) si svolge alla luce di questo grande giorno finale”.22 “Ecco, egli viene con le nuvole; ed ogni occhio lo vedrà...”.23 17
Apocalisse 1:10. La parola greca che noi traduciamo “giorno del Signore”, è kuriaké = signoriale. Questa parola al maschile è kuriakos. Era impiegata nel linguaggio romano per indicare le cose appartenenti all’imperatore. Dalle scoperte archeologiche si osserva che i papiri e le iscrizioni di quell’epoca, trovati in Egitto e nell’Asia Minore, utilizzano questa espressione per indicare il tesoro e il servizio imperiale. L’imperatore era spesso chiamato kurios signore. Il suo tesoro, il servizio fatto alla sua persona era chiamato: “tesoro signoriale”, “servizio signoriale”. Un’iscrizione datata del 108 d.C., (Giovanni scrive l’Apocalisse nel 97 d.C.) ci conferma che la parola kuriakos era corrente alla fine del I secolo. In Egitto e in Asia minore c’erano dei giorni mensili chiamati “giorni di Augusto”. Alla fine del I secolo ci furono delle persecuzioni nei confronti della Chiesa apostolica per il fatto che i fedeli non volevano riconoscere “Cesare quale Signore”. Giovanni stesso è a Patmo a motivo della Parola di Dio e della sua testimonianza resa al Signore dei signori. Con questa espressione “giorno del Signore” o meglio “signoriale” Giovanni contrappone al giorno dell’imperatore un altro giorno, quello del suo Signore per il quale soffre. Numerosi hanno visto in questo signoriale il giorno del Sabato, giorno con il quale il credente manifesta e accetta la signoria di Dio sulla propria vita, essendo esso “il giorno del riposo sacro all’Eterno” Esodo 20:10; il “mio santo giorno” Isaia 58:13. Gesù stesso dice di sé: “Il Figlio dell’uomo è Signore... del Sabato” Marco 2:28. 18 BOLOMEY Henri-Albert, Simples études sur l’Apocalypse, 1941, pp. 103,104. 19 BENOIT Pierre de, Le prophète Daniel, Paris 1941, p. 34. “È meglio non tradurre l’aggettivo “giorno signoriale” con “domenica”, poiché è in questo modo che si è sparsa la concezione errata e insostenibile che si tratti della domenica. Dappertutto altrove nel Nuovo Testamento, la domenica è semplicemente chiamata “il primo giorno della settimana” Matteo 28:1; Marco 15:2,9; Luca 24:1; Giovanni 20:1,19; Atti 20:7; 1 Corinzi 16:2. Non si tratta di una “bella domenica!”. Tutto il contesto del libro ci prova che l’Apostolo si è trovato, in virtù dello Spirito Santo, TRASPORTATO IN VISIONE NEL GRAN GIORNO DEL SIGNORE e che ha potuto contemplare in anticipo le scene dell’apparizione di Gesù Cristo al momento del suo ritorno in gloria. Noi siamo convinti che ciò che diciamo è rigorosamente giusto dal punto di vista esegetico. Non si tratta di una interpretazione rischiosa, ma di un fatto” BENOIT Pierre de, Ce que l’Esprit dit aux Eglises - Commentaire sur l’Apocalypse, Vennes sur Lausanne 1941, pp. 17,18. Nell’Apologia di Giustino Martire (circa 150), capitolo 67, come in quella di Tertulliano, capitolo 16, il giorno di riunione settimanale dei cristiani, che per alcuni era il primo giorno della settimana, non è chiamato “giorno del Signore”, ma “giorno del sole”. Vedere Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, WESTPHAL Alexandre, t. I, Paris 1932, p. 687. 20 GUERS Émile, Israël aux dernier jours de l’économie actuelle, Genève 1956, p. 41. 21 GERBER Charles, Le Christ revient, Dammarie-les-Lys 1949, pp. 87,88. 22 PURY Roland de, Que veut dire la Bible?, p. 76. 23 Apocalisse 1:7. Il messaggio alle sette chiese è un invito alla vigilanza e alla perseveranza in vista del premio o della punizione che sarà amministrata dal Cristo alla sua venuta:
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IL GIORNO DEL SIGNORE
Nell’Antico Testamento a diverse riprese i profeti hanno annunciato il giorno del Signore24 e quel giorno è terribile per i nemici di Dio, ma “se il popolo è fedele, il giorno che si prefigura all’orizzonte, nel futuro, è carico di speranza... Avremmo pertanto torto se non vedessimo nei profeti che degli annunciatori di catastrofi. In effetti, come l’insieme del loro messaggio, la loro nozione del Giorno è ambivalente. Esso comporta due aspetti ugualmente essenziali, l’uno di giudizio, di castigo, pronunciato contro tutti i nemici dei disegni di Dio; l’altro di salvezza, accordato da Dio al suo popolo... Il giorno sarà per Israele un giorno di distretta, ma Israele sarà liberato.25 Questo giorno sarà per le nazioni straniere un giorno di castigo,26 ma ciò preluderà alla liberazione d’Israele e alla salvezza dei pagani convertiti.27 Così nel tema del giorno si trovano riunite le due facce dell’escatologia; lo sterminio e la punizione degli uni assicura la liberazione e la felicità degli altri”.28
Ia chiesa, Efeso: “Ravvediti... se no io vengo a te” 2:5; IIa chiesa, Smirne: “Resta fedele fino alla morte ed io ti darò la corona della vita” 2:10; IIIa chiesa, Pergamo: “Ravvediti... se no verrò tosto a te” 2:16; IVa chiesa, Tiatiri: “Tenetelo stretto finché io venga” 2:25; Va chiesa, Sardi: “Verrò come un ladro” 3:3; VIa chiesa, Filadelfia: “Vengo tosto” 3:11; VIIa chiesa, Laodicea: “Ecco, io sto alla porta” 3:20. Il capitolo 6 ci presenta Dio sul trono. L’apertura del libro con i sigilli ci ricordano quel giorno: I sigillo: “Fino a quando... indugerai a fare giustizia” 6:10; II sigillo: “È venuto il grande giorno della sua ira” 6:17. Con il suonare della VII tromba l’impero del mondo è passato al Signore nostro (11:15). Il primo messaggio di Apocalisse 14 ricorda che è venuta l’ora del suo giudizio (versetto 7) e dal versetto 14 Giovanni presenta il Cristo che ritorna incoronato e con in mano una falce tagliente. In occasione della VI piaga c’è l’esortazione del Signore alla sua Chiesa: “Ecco, io vengo come un ladro” 16:15. Dopo il giudizio su Babilonia si ricorda che: “Sono giunte le nozze dell’Agnello” 19:7. Al ritorno del Signore descritto su un cavallo bianco e seguito dai suoi angeli su altrettanti cavalli, c’è l’invito dell’angelo a tutti gli uccelli del cielo per il gran convito di Dio (19:17). Nello stesso epilogo dell’Apocalisse la nota dominante è il giorno del ritorno di Cristo: “Ecco io vengo presto” 22:7; “Lo Spirito e la donna dicono: “Vieni”” 22:17; “Chi fa questa dichiarazione dice: “Sì vengo tosto”. “Amen! Vieni, Signore Gesù”” 22:20. 24 Gioele 2:1; Sofonia 1:14; Amos 5:18. 25 Geremia 30:5-8. 26 Isaia 13:6-9; Geremia 46:10; Isaia 34:8. 27 Isaia 11:10; 12:1; 30:26; 21:1-4. 28 GRELOT Pierre, Sens chrétien de l’Ancien Testament, 3a ed., Paris 1962, p. 350. Riepiloghiamo quanto detto con le parole di Jacques DOUKHAN: “I cristiani che leggono questo testo pensano immediatamente alla domenica. Ma si dimentica che è un giudeo che parla, nutrito dalle Scritture ebraiche e ben radicato nella religione dei suoi padri. Inoltre l’espressione “giorno del Signore” per indicare la domenica non è attestata nella storia prima della fine del II secolo; e anche allora, si presenta solamente in qualche occasione negli scritti dell’epoca con una valenza controversa. È ragionevole pensare che il “giorno del Signore” di cui parla Giovanni si applichi al sabato, che è anche chiamato, nelle Scritture ebraiche, “giorno del Signore” (o “giorno d’Adonai”) (vedere Esodo 20:10; Levitico 23:3; Deuteronomio 5:14). Inoltre, l’Apocalisse è caratterizzata dal numero 7 rendendo verosimile questa evocazione del sabato, settimo giorno, in testa al libro, come per dargli il tono. Questa interpretazione si giustifica inoltre dal fatto che il sabato introduce il ciclo delle feste giudaiche che strutturano tutto il libro, seguendo con precisione la lista data nel libro del Levitico al capitolo 23. Vedere Appendice n. 10, p. 1054 e seg. È molto probabile che Giovanni si riferisca nello stesso tempo all’altro “giorno del Signore”, al yom Yhwh dei profeti ebraici, con il quale indicano ugualmente, nell’Antico Testamento, il giorno del giudizio di Dio e della sua venuta alla fine della storia umana. Quando la profezia diventa storia
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L’antica Chiesa, l’Israele storico, attendeva il “giorno del Signore”, ma l’attesa non era garanzia di salvezza. Nel giorno del Signore non tutti quelli che pensavano di far parte del popolo di Dio sarebbero stati salvati, ma solamente quelli che si sarebbero preparati ed avrebbero imbiancato le loro vesti. Amos già diceva ai suoi contemporanei: “Guai a voi che desiderate il giorno dell’Eterno! Che vi aspettate voi dal giorno dell’Eterno? Sarà un giorno di tenebre non di luce...”. Le calamità che colpirono Israele, in certi momenti della sua storia, furono dei giorni dell’Eterno, raffiguranti il giudizio ultimo; in quel tempo, in quei giudizi locali, solo un residuo, un rimanente del popolo ha potuto scampare alla catastrofe nazionale, così sarà anche per la cristianità degli ultimi tempi: la liberazione, la protezione dell’Onnipotente, è riservata solo per il residuo, il “rimanente della progenie della donna (cioè della Chiesa), che serba i comandamenti di Dio e ritiene la testimonianza di Gesù”.29 L’abate Tribaut così scrive del giorno del Signore: “Quanto all’espressione del giorno del Signoriale, essa non è, dopo tutto, che una semplice variante del giorno del Signore dell’Antico Testamento, formula costante che designa il giorno manifesto e terribile del giudizio universale. Questa stessa espressione nel Nuovo Testamento è direttamente applicata al nostro Signore Gesù Cristo. Essa vi è presentata quattro volte sotto questa forma concisa30e cinque volte in termini espliciti “il giorno del nostro Signore”,31 “il suo giorno”,32 “il giorno di Dio”,33 “il gran giorno dell’Iddio Onnipotente”34e per antonomasia: “il giorno”,35 “quel giorno”.36 È in questo senso escatologico che l’espressione “giorno Signoriale” appare per la prima volta (e unica volta) nel Nuovo Testamento, all’inizio dell’Apocalisse di Gesù Cristo: “Io fui” dice l’Apostolo “rapito in ispirito nel giorno del Signore” cioè nella parusia di cui l’Apocalisse non è, in fondo, che una ardente evocazione”.37 Giorno di culto
Il “Giorno del Signore” “ha un doppio significato. È prima di tutto un avvenimento storico, il giorno per eccellenza che vede il trionfo di Dio sui suoi Questa associazione tra il sabato e il giorno escatologico della speranza è fortemente attestato nella Bibbia come pure nella tradizione ebraica, nella quale il sabato è sovente stato compreso come il segno del gran giorno della liberazione o del regno che viene (vedere Talmud de Babilonia, Sanhédrin 98a; confr. HESCHEL A., Les bâtisseurs du temps, Paris 1957, p. 176)” Le Cri du ciel - Étude prophétique sur le livre de l’Apocalypse, Dammarie-les Lys 1996, pp. 33,34. 29 Amos 5:8; Apocalisse 12:17; vedere Isaia 10:20,21; 11:11. 30 1 Tessalonicesi 5:2; 2 Tessalonicesi 2:2; 2 Pietro 3:10; Atti 2:20. 31 1 Corinzi 1:8; 2 Corinzi 1:15; Filippesi 1:6,10; 2:16. 32 Luca 17:24,26,30. 33 2 Pietro 3:12. 34 Apocalisse 16:14. 35 1 Corinzi 3:13; Romani 2:16; 13:12; Ebrei 11:25. 36 2 Tessalonicesi 1:10; 2 Timoteo 1:12,18; 4:8. 37 TRIBAUT, La liturgie romaine, pp. 34,35; cit. VAUCHER Alfred-Félix, Le jour Seigneurial, Collonges sous Salève 1970, pp. 33,34. “Se l’attestazione di S. Giovanni doveva portare, in questo caso, sulla determinazione non dell’oggetto, ma del tempo in cui si era compiuta questa grandiosa rivelazione, il genio della lingua greca avrebbe allora preteso l’impiego del dativo senza preposizione, cosa che non è evidentemente il caso”.
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nemici. Ed è anche una espressione cultuale, il giorno specialmente consacrato al culto di Dio. Questi due significati non sono privi di correlazione. I1 culto commemora ed annuncia l’intervento di Dio nella storia, l’avvenimento storico, perché esso emana da Dio, esce dal tempo, appartiene al presente eterno di Dio, che il culto deve attualizzare nel tempo storico”.38 Il giorno del Signore per eccellenza è il giorno del Sabato nel quale l’uomo, santificandolo, rievoca l’azione creatrice di Dio e i suoi interventi nel passato, e si pone a disposizione del proprio Creatore in attesa di essere con lui nella nuova terra. Per questo numerosi commentatori hanno detto che Giovanni abbia avuto la rivelazione in giorno di Sabato.39 Come il gran giorno del Signore sarà per gli empi un giorno di terrore e per i giusti un giorno di gioia, così la santificazione del giorno del Signore, il Sabato, separa gli adoratori dell’Eterno da coloro che non lo saranno. “Il Sabato vale come “segno” di un’alleanza perpetua... un obbligo perpetuo che Yahvé assume per Israele, del quale dice con insistenza che esso è una promessa fatta “per sempre di generazione in generazione”.40 Così è data ad Israele la libertà di sperare, libertà di cui ogni israelita può fare già provvisoriamente una realtà accettando l’offerta concreta di un ordine di vita. Chi non accetta questa offerta e questa promessa di Yahvé e non vuole osservare il riposo del settimo giorno, si abbandona alla morte. Già nell’Antico Testamento, il Sabato è un avvenimento escatologico che si inserisce nell’esistenza provvisoria e transitoria dell’uomo. Nello scorrere del tempo, l’uomo è autorizzato a partecipare al riposo che è presso Dio... Non si comprende pienamente il significato del settimo giorno per la nozione umana del tempo, se non si tiene conto di questa finalità”.41
38
Vocabulaire de Théologie Biblique, 2a ed., Paris 1971, p. 618. “La parola Signore è la traduzione greca di Yahvé. Diversi studiosi hanno creduto che il giorno del Signore o il giorno dell’Eterno indichi qui (Apocalisse 1:10) il giorno del Sabato giudaico, che è stato per molto tempo, nella Chiesa primitiva, un giorno di riunione e di culto. Questa interpretazione sembra essere appoggiata dalla fraseologia di tutti gli ebrei da 1500 anni” MELLET L.V., Le dimanche n’est pas un sabbat, Lausanne 1841. 40 Esodo 31:13,16. 41 WOLFF Hans Walter, Anthropologie de l’Ancien Testament, Genève 1974, pp. 124,125. In Esodo 24:15-18, la gloria di Yahvé resta per sei giorni nascosta dalla nuvola; ma, nel settimo giorno, Yahvé chiama Mosè dal mezzo della nuvola e la gloria di Dio appare agli occhi dei figli d’Israele come un fuoco divorante in cima alla montagna. Così il 7o giorno, giorno del compimento della creazione, può essere considerato come il giorno del compimento della rivelazione (Idem, p. 124, nota n. 4). Sul significato escatologico del Sabato vedere nel nostro capitolo XVI - Santificando il Sabato l’uomo... si preparò per l’eternità. CULLMANN Oscar scriveva: “Bisogna ricordare, tra l’altro, che l’espressione “giorno del Signore” si riallaccia di già nell’Antico Testamento all’avvenire escatologico (yom Yohvé) e che nel Nuovo si applica anche al giorno del ritorno di Cristo. Così il giorno... della celebrazione del culto cristiano appare come anticipazione del gran giorno finale” Le culte dans l’Eglise primitive, 2a ed., in Cahiers théologiques, n. 8, Neuchâtel 1945, p. 10. Dissentiamo da questo teologo quando identifica il giorno “della resurrezione del Cristo” con il giorno del culto cristiano perché per i cristiani del primo secolo il Sabato era il giorno del culto comunitario. Si ha così il compimento, la storicizzazione di ciò che l’Antico e il Nuovo Testamento e la letteratura ebraica insegnano sul significato di salvezza presente e annunciata dal sabato. 39
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Conclusione Crediamo di potere trarre la seguente conclusione: Giovanni, privato della comunione fraterna del culto comunitario, perché relegato sulla rocciosa Patmo, nel giorno di Sabato, che è il Signoriale di Cristo Gesù, si unì spiritualmente alla Chiesa, sparsa sulla terra, e il Salvatore lo trasportò in ispirito nel Sabato ultimo della storia, all’inizio del quale, sul fare della sera del giorno della preparazione, verrà dall’Oriente per raccogliere la sua Sposa, i suoi fedeli di tutti i tempi, per introdurli nel suo riposo eterno e celebrare con i riscattati di tutta la terra il banchetto delle nozze.42
In Genesi il Sabato testimonia della bontà della creazione e l’osservanza di quel giorno, dopo il peccato e l’uscita dall’Eden, richiama la santificazione originaria del creato, coltiva e sostiene il compimento futuro della creazione nell’età messianica. La pace dell’Eden viene descritta dal profeta Isaia 11:6 come l’età messianica restaurata quando la terra sarà piena della consacrazione di Dio come l’acqua copre il mare (11:9; confr. Isaia 65:25; Osea 2:20). Questa visione futura di una terra di pace dove abita la giustizia è quanto scaturisce dal primo giorno completo dell’uomo, il Sabato originario (Talmud Babilonese, Shabbath 12a, 12 b.) Isaia nella sua profezia escatologica colloca il Sabato come il compimento finale della storia (Isaia 56:1-7; 58:13,14; 66:20-24) dove l’espressione “delizia” – oneg e “onore” – kavod descrivono il Sabato e il tempo della futura restaurazione (Isaia 58:13; 66:1?). La delizia e la gioia che caratterizzerà la fine è data ora nel presente dal Sabato. Come il Sabato delle origini è l’espressione della redenzione della Terra dal caos primordiale, la Terra che ora, dopo il peccato, secondo una espressione di Paolo, geme ed è in travaglio, sfocerà nel Sabato messianico, nella creazione di nuovi cieli e una nuova terra. Il riposo del Sabato è annuncio dell’èra messianica, dell’ultimo giorno, del mondo che viene. Il riposo sabbatico annuncia il riposo della terra (Deuteronomio 12:9; 25:19; Isaia 15:3) e il tempo in cui il re darà al popolo “la pace… dai nemici” 2 Samuele 7:1, e in cui Dio godrà della pace con il suo popolo e nel suo santuario (2 Cronache 6:41; 1 Cronache 23:25; Salmo 132:8,13,14; Isaia 66:1). Anche Ebrei 4:4; 6:6 mette in relazione il riposo del Sabato con il riposo che la nazione avrebbe avuto nella terra di Canaan e quindi con la futura realtà. Il fatto che le benedizioni del riposo del Sabato non si erano mai realizzate nella storia d’Israele sia sul piano politico, economico e sociale, portava il profeta a guardare al suo compimento, a quando il Messia sarebbe venuto. Era normale per gli ebrei considerare il riposo sabbatico nella sua struttura settimanale del tempo per indicare il riposo, la pace, la redenzione della Terra per opera del Messia. Nel Talmud di Babilonia si legge: “I nostri rabbini insegnano così: “Alla fine del Sabato, il figlio di Davide verrà. Il Rabbino Giuseppe commentò: “Molti Sabati sono passati ma lui non è ancora venuto”” Sanhedrin 97a. Il tempo del Messia è il tempo del riposo del Sabato. Alla fine del Mishnah Talmud si legge: “Un Salmo, un suono per il giorno di Sabato, un suono per il tempo che viene, per il giorno che è per tutti il riposo sabbatico nella vita eterna”. Il riposo del Sabato ha lo scopo di mantenere la speranza nella pace del futuro riposo messianico dove il riposo del Sabato sarà la vita eterna. Il Sabato settimanale, l’anno sabbatico e il Sabato del giubileo annunciano la redenzione messianica. Nel IV comandamento rispettato nella lettura del Deuteronomio 5:15 è molto evidente che l’osservanza del Sabato era segno della liberazione dall’Egitto e generatore di continua libertà. Per il credente di oggi il Sabato è segno della prima Pasqua e miniatura della realtà futura. Ciò che si realizzava in ogni anno sabbatico e nel giubileo, il Sabato settimanale lo annunziava rnnovando la memoria e conservando la speranza. 42 Vedere Zaccaria 14:7.
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Capitolo XXII I MILLE ANNI DELL’APOCALISSE E IL GIUDIZIO UNIVERSALE Il Millennio «è il regno di cui parla il Signore quando dice ai suoi apostoli che, nella nuova creazione, essi saranno seduti su dodici troni, giudicando le dodici tribù d’Israele. Gesù è dunque stato un chiliastro (cioè) un millenarista come tutti i profeti, come tutti gli apostoli, e si è potuto dire con ragione che la credenza di mille anni è stato il grande articolo di fede della chiesa primitiva» Karl Auberlen.1 «Oggi il tema del giudizio non occupa più un gran posto nella predicazione della Chiesa. Forse nel passato se n’è parlato troppo e a sproposito, sforzandosi di spingere gli uomini nel Regno dei cieli con la paura. Ma non è il pungolo della paura che può spingerci in cielo. Chi si affanna a compiere la volontà di Dio mosso da paura, in realtà non la compie. Perché la volontà di Dio può essere fatta solo da chi ama Dio con tutto il cuore e ripone in lui la sua fiducia e confida totalmente nella sua misericordia. Ma proprio perché ci rifugiamo nella misericordia di Dio e respingiamo la tentazione di procedere sicuri nella nostra autonomia, abbiamo bisogno di ascoltare la predicazione del giudizio. Ne abbiamo bisogno per imparare a portare i frutti degni di ravvedimento» Émil Brunner.2 «Nel clima intellettuale razionale della fine del ventesimo secolo è fuori moda prendere sul serio le profezie sul giorno del giudizio. Secondo l’opinione generale sono frutto di menti superstiziose e
1
AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 350; vedere Matteo 19:28; Atti 1:6-8. BRUNNER Émil, La nostra fede, Roma 1965, p. 164.
2
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possono tranquillamente essere ignorate» Graham Hancock.3
Introduzione L’espressione “mille anni”4 ha dato origine al vocabolo millennio che, pur non trovandosi nella Bibbia, viene comunque adoperato quando si parla dei mille anni di Apocalisse XX. «Il fatto che ci sia solo un esplicito passo biblico che riguarda il periodo di mille anni non è un problema quando lo si pone in relazione alla prospettiva profetica e alla rivelazione progressiva. Dai profeti del Vecchio Testamento, per esempio, emerge un singolo evento per le due venute di Cristo, tuttavia la rivelazione progressiva ha delineato più chiaramente i due eventi».5 In questo nostro capitolo desideriamo descrivere, per come abbiamo compreso la Parola di Dio, cosa avverrà prima, durante e dopo il millennio. Il millennio «designa il periodo di tempo che intercorre tra la prima e la seconda resurrezione».6 Sebbene nei primi secoli del cristianesimo numerosi siano stati coloro che avevano ben compreso il senso della resurrezione, in seguito si vide, su questo come su altri insegnamenti, un allontanamento.
3
HANCOCK Graham, Impronte degli dèi, ed. Corbaccio, Milano 1997, p. 131. Questa espressione la si trova 9 volte nella Bibbia. Nel Salmo 90:4; cit. in 2 Pietro 3:8, indica un periodo illimitato. In Ecclesiaste 6:6 è in riferimento ad una esistenza ipotetica due volte millenaria. In Apocalisse 20:1-7 ricorre sei volte. Per una bibliografia sul Millennio rinviamo ai saggi bibliografici del maestro VAUCHER Alfred Félix, Essais sur les Prophéties Bibliques - Lacunziana, III serie, Collonges-sous-Salève 1955, pp. 27-112; Lacunziana, IV serie, 1958, pp. 5-139. L’autore suddivide le opere in ordine cronologico, dalle origini fino al XX secolo, riportando il pensiero principale di ogni autore. 5 BADINA Joel, The Millennium, in AA.VV., Symposium on Revelation - book II, Daniel & Revelation Committee Series, vol. 7, Frank B. Holbrook, Editor, Silver Spring 1992, p. 237. 6 GRETILLAT Augustin, Exposé de Théologie systématique, t. II, Dogmatique, Neuchâtel 1890, p. 579. Il libro di Apocalisse capitolo 20 rifiuta le idee giudaiche sul millennio demitizzandole. «Non c’è davvero nulla di politico nei versetti 4-6 del capitolo 20. Non c’è nessuna descrizione di un regno delle nazioni da parte del Messia e del suo popolo. Gerusalemme, la città del Messia e del suo popolo, non è menzionata in questo capitolo. E il Messia, l’equivalente in greco) non porta nessun titolo politico in Apocalisse 20. Apocalisse 20:4-6 rifiuta qualsiasi idea giudaica di un regno sulla terra nello stesso modo in cui Genesi 1:14-19 demitizza il mito pagano che vede nel sole e nella luna delle divinità chiamandoli semplicemente “luci” piuttosto che “dèi”. L’omissione di Gerusalemme e l’assenza di qualsiasi titolo politico per il Messia significa che questo testo è contro l’idea di un regno messianico sulla terra evocato dalle apocalissi giudaiche. Sfortunatamente l’eresia giudaica di un regno terreno influenzò il premillenarismo dei cristiani del secondo e terzo secolo. La loro visione divenne sempre più politica e materialista. Inoltre influenzò la definizione amilleniale della Chiesa cattolica romana del regno di Dio sulla terra» J Badina, o.c., p. 238. 4
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Secondo l’opinione di Ippolito, Giulio l’Africano, Vittorino, Cipriano, Lattanzio «di Papia, di Giustino martire, d’Ireneo, di Tertulliano e di altri padri dei primi secoli della Chiesa, queste profezie devono essere interpretate, finché è possibile, nel loro senso letterale. I martiri e i santi risusciteranno realmente. Questa prima resurrezione si avrà contemporaneamente alla distruzione dell’Anticristo, o subito dopo; al momento della seconda apparizione personale di Cristo Gesù sulla terra».7 7
ELLIOTT Edward-Bishop, Horae Apocalyptica, on Commentary on the Apocalypse, t. III, 5a ed., London 1862, p.
208. Eusebio ci riporta ciò che insegnava Papia, vescovo di Ierapoli, verso l’anno 150: «Egli dice, particolarmente, che ci saranno mille anni dopo la resurrezione dei morti, che il regno del Cristo sarà materiale e sarà sulla terra» Storia Ecclesiastica, libro III, cap. XXXIX,12,13. Giustino Martire nel suo Dialogo con Trifone (LXXX), dopo aver citato Isaia 65, scriveva: «Presso di noi un uomo di nome Giovanni, uno degli apostoli del Cristo, ha profetizzato, nell’Apocalisse che gli fu fatta, che coloro che avranno creduto al nostro Cristo passeranno mille anni a Gerusalemme; dopo di ciò avverrà la resurrezione generale, e in una parola eterna, per tutti senza eccezione, poi il giudizio». Ireneo «pretende che il grande giudizio sarà preceduto da una resurrezione parziale riservata ai giusti, e che questi passeranno mille anni a Gerusalemme nell’abbondanza di tutti i beni» DUFOURCQ Albert, Saint Iréné, in La Pensée chrétienne, 3a ed., Paris 1905, p. 26. Tertulliano «contrariamente alla dottrina ordinaria della Chiesa, credeva a una doppia resurrezione, quella dei buoni che deve precedere di mille anni quella dei cattivi, per realizzare sulla terra il trionfo della giustizia» MONCEAUX Paul, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne, t. I, Paris 1901, p. 357. «Tertulliano si fece difensore acerrimo del millenarismo. - Si ritrova facilmente nei suoi primi scritti questa concezione. Tra il 197 e il 200 ne parla nell’Apologetica (32 e 39), tra il 200 e 207 nel Culto femminile (II:9) e Ad uxorem (I, 2 e 5)... Sarà nella Gerusalemme celeste in cui, durante mille anni, i giusti potranno godere l’abbondanza dei beni spirituali e saranno così ricompensati dei sacrifici che avranno fatto per l’amore di Dio» BERTON Jean, Tertullien, le scismatique, Paris 1928, pp. 104-105. Tuttavia il millenarismo di Tertulliano differisce un po’ da quello di Ireneo. L’apologeta «era assolutamente ostile all’idea giudaica di una resurrezione della Gerusalemme storica, la città omicida dei profeti e di Dio stesso» LABRIOLE P. de, La crise montaniste, Paris 1913, p. 331, nota 6. Tertulliano fece degli sforzi «per dare una interpretazione spirituale al regno millenario, e per staccarsi anche dalle grossolane rappresentazioni giudaiche» CHIAPPELLI Alessandro, Le idee millenarie dei cristiani nel loro svolgimento, p. 37. Per Ippolito, vescovo di Roma, «il sabato è il tipo e la figura della futura regalità dei santi, quando essi regneranno con il Cristo, dopo la sua venuta dai cieli, come Giovanni racconta nella sua Apocalisse. Poiché il giorno del Signore è come mille anni» Commentario su Daniele, IV, 23. ALGER, A Critical History of the Doctrine of the Future Life, p. 403, ammette che «quasi tutti i primi Padri hanno atteso con fiducia un millennio». Chiappelli, o.c., p. 33, afferma che la Chiesa è stata penetrata dalle idee millenariste e che nessun dogma fissato più tardi si può vantare di una antichità e d’una autorità simile e aggiunge: «Il millenarismo era una credenza universale nelle Chiese dell’Asia Minore» Idem, p. 35. Questa «opinione molto diffusa nei tre primi secoli della Chiesa» LESCOEUR Louis, Le règne temporal de Jésus Christ, Paris 1868, p. 1, sparisce nei secoli successivi per diversi motivi. Le cause principali furono: 1. - L’influenza della filosofia greca «Il millenarismo dei primi cristiani diventava sempre meno gradito agli elleni che abbracciavano il cristianesimo. La filosofia greca esercitava una specie di rifiuto deciso per sostituire il suo dogma dell’immortalità dell’anima alle vecchie idee giudaiche della resurrezione e del paradiso sulla terra» RENAN Ernest, Marc-Aurèle, p. 505. È con Clemente Alessandrino e con Origene che tutto ciò che si è potuto assorbire dallo gnosticismo passò nella Chiesa. Clemente Alessandrino «ha probabilmente combattuto per via d’allusioni il regno terrestre (Stromates 7,12, Staehlin 3,52,26), lì dove ci mostra il perfetto cristiano che disprezza le promesse mondane pure divine. Se non l’ha rigettato apertamente, è senza dubbio per non scandalizzare le anime più semplici dei fedeli. In ogni caso la logica delle sue idee lo allontanava dalle descrizioni millenariste e non vi ha mai aderito» TURMEL Joseph, Histoire des Dogmes, vol. IV, p. 184. «Origene è il grande operaio che ha fatto a poco a poco sparire il regno terrestre del Cristo» Turmel, o.c., p. 182. «Origene scarta ogni concezione materialista del ritorno del Cristo, del suo regno, del regno di Dio» FAYE Eugène de, Origène, sa vie, son œuvre, sa doctrine, vol. III, Paris 1928, p. 256. «Benché l’origenismo sia stato combattuto dalla Quando la profezia diventa storia
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Chiesa, l’influenza di Origene è stata immensa, non solamente in Oriente, dove il millenarismo disparve dopo di lui, ma pure in Occidente, dove i grandi avversari di questa teoria s’ispirano all’insegnamento di questo dottore. Così Origene è la bestia nera dei millenaristi» A.F. Vaucher, Lacunziana, III serie, p. 63. Agostino «ripudiando la sua fede primaria nel regno dei mille anni, ha causato alla Chiesa un male incalcolabile. Ha sanzionato con l’immensa autorità del suo nome un errore che privava la Chiesa del suo ideale terrestre, e che ha finito per immergere le nazioni cristiane in una disperazione alla quale il socialismo viene per strapparle alla sua maniera» ROUGEMONT Frédéric de, Les deux Citée, vol. I, p. 391. 2. - Abbandono della dottrina biblica del sonno dei morti «Il cristianesimo subordinò l’apparizione del Cristo sulle nuvole e la resurrezione dei corpi all’immortalità dell’anima; benché il vecchio dogma primitivo del cristianesimo sarà quasi dimenticato e relegato, come un pezzo di teatro fuori moda, agli ultimi posti di un giudizio che non ha più senso, poiché la sorte di ciascuno è fissata al momento della sua morte» E. Renan, o.c., p. 506. L’opinione millenaria ha dominato nell’escatologia cristiana «durante tutto il tempo nel corso del quale l’idea platonica d’una vita immortale non si era ancora aperta una strada» A. Chiappelli, o.c., p. 33. 3. - Conversione di Costantino e sue conseguenze «Non si ritrova più, a partire del IV secolo, l’attesa del ritorno immediato di Gesù Cristo. L’ardore inquieto e febbrile che generava il pensiero della parusia si è calmato... Ciò viene senza dubbio dal fatto che, al periodo delle persecuzioni, è succeduto il periodo della pace e della potenza» per la Chiesa; BONIFAS François, Histoire des dogmes, t. II, Paris 1886, p. 37. Opera postuma. «L’idea del regno millenario del Cristo sulla terra, e d’un trionfo degli eletti e dei santi, era nata (o anche meglio era sostenuta) da un bisogno di compensazione alle pene della vita, era stata un prodotto d’una epoca di persecuzioni religiose e di sofferenze. Nella misura in cui la Chiesa vittoriosa trovava nel mondo le sue condizioni di vita, si faceva posto l’idea che il regno millenario era di già venuto con il cristianesimo, e che la Chiesa ne era la sede» Chiappelli, o.c., pp. 40,41 (siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi). «La vittoria di Costantino, che assicurò il trionfo del cristianesimo, fu sufficiente a farlo (il regno millenario - il ritorno di Gesù) sparire dal IV secolo» più ancora che le idee di Origene; BOULENGER Auguste, Histoire de l’Eglise, 6a ed., Lyon 1939, p. 75. «Sotto Costantino, dal momento che il cristianesimo si era stabilito, i cristiani cominciarono a vedere la propria prosperità temporale come il compimento delle profezie, e cessarono d’attendere il regno del Cristo sulla terra» FAUSSET Andrew Robert, Critical and Exegetical Commentary, VI, 2, p. LXX. La dottrina del millennio perse quasi completamente la sua influenza perché la croce trionfava sul paganesimo, non c’erano più ragioni per augurarsi la caduta dell’impero e la prosperità e le ricchezze della Chiesa non le facevano desiderare uno stato migliore. «La dottrina del millennio rimase da quel momento la proprietà di qualche cristiano scontento del suo secolo e più o meno disposto al fanatismo» HOSSBACH Wilheim, Spener et son époque, Neuchâtel 1847, p. 406. 4. - Opposizione della chiesa di Roma «Senza avere anatemizzato formalmente il millenarismo, la Chiesa se ne è nettamente allontanata in ogni sua tradizione, e nella sua dottrina» LEVIE Jean, L’Apocalypse de S. Jean devant la critique moderne, in Nouvelle Revue théologique, 1924, p. 612. «La Chiesa di Roma, madre e signora di tutte le altre, non aveva mai ammesso questo errore (sic!) nel suo seno» GRY Léon, Le millenarisme, p. 89; siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi. Di conseguenza: «I teologi e pure i santi Padri del IV e del V secolo della Chiesa allontanandosi dalla dottrina dei millenaristi si sono allontanati anche dalla tradizione universale ricevuta nei primi secoli dalla Chiesa; essi non si sono resi conto che, facendo questo falso passo, che non è scusabile... si sono allontanati, senza volerlo, dalla tradizione orale che Gesù Cristo aveva trasmesso ai suoi apostoli, i quali a loro volta l’hanno trasmessa ai loro discepoli, e i loro discepoli ai fedeli della primitiva Chiesa. Con questa deviazione essi hanno chiuso a se stessi e a noi la comprensione delle profezie che concernono gli avvenimenti futuri» PEZZANI J.A., Le Régne de Dieu, Paris 1860, p. 105. «A partire dal IV secolo, il millenarismo non trova più difensori tra gli scrittori cattolici, diventa sempre di più una opinione particolare che si suddivide in mille sfumature diverse e finì per sparire nel torrente della dottrina comune sui termini ultimi» L. Lescoeur, o.c., p. 255. «La dottrina del millennio non resistette alla prova del tempo. Dal V secolo disparve dalla storia» CORLUY Joseph, La Science Catholique, in Revue de Questions Religieuses, 15 giugno 1887, p. 341. «Il chiliasmo (cioè il millenarismo, dal greco chilioi = mille) disparve dalla Chiesa nella misura in cui il cattolicesimo romano papale fece dei progressi» K. Auberlen, trad. inglese, o.c., 1856, p. 375, estendendo la propria inflkuenza. Questa nota è stata presa dal lavoro del Maestro A.F. Vaucher o.c., III serie, pp. 51-55,63,67-70.
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I MILLE ANNI DELL’APOCALISSE E IL GIUDIZIO UNIVERSALE
Col tempo, nel corso dei secoli, teorie audaci e del tutto estranee all’insegnamento biblico si vennero a creare. Si asseriva che i mille anni corrispondevano al «regno spirituale della Chiesa, inaugurato con la prima venuta del Signore» perché, in seguito alla sua resurrezione, Satana sarebbe stato legato quale conseguenza dell’opera della croce. Ciò era insegnato da Agostino.8 Il millennio è stato identificato con il trionfo della Chiesa dopo la pseudo conversione di Costantino che metteva fine alle persecuzioni. Ci si dimenticava così, tra i tanti insegnamenti, di quanto aveva scritto l’apostolo Pietro che, anziché presentare il nemico di Dio e dell’uomo reso impotente, diceva di lui: «Il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare».9 Daniel Whitby, Paraphrase and Commentary on the New Testament, 1703, credeva che la “prima resurrezione” corrispondesse a un grande risveglio del cristianesimo e la conversione del mondo sarebbe seguita dal trionfo sul papato e sul paganesimo. Allora sarebbe iniziato il millennio, durante il quale Satana sarebbe stato inoperoso e la chiesa avrebbe svolto, fino alla fine, la sua opera. In quel tempo ci sarebbe stata una breve ribellione dei nemici di Cristo, e allora egli sarebbe ritornato per stabilire il suo regno eterno.10 A causa di numerose fantasie espresse nel nome del Signore sul millennio e del tutto estranee all’insegnamento biblico sul significato di questo periodo, «alcuni interpreti dell’Apocalisse desidererebbero non dovere commentare il capitolo XX. Charles arriva a dire che è una “sorgente di difficoltà insormontabili per gli esegeti”»;11 e W. Barclay per lo stesso motivo dice che «il millenarismo è una dottrina che da molto tempo è dimenticata dal ruscello principale di pensiero cristiano e ora è una credenza che appartiene all’eccentricità cristiana».12 Agli amillenaristi, che negano il millennio, si contrappongono coloro che lo accettano e si dividono principalmente in due gruppi: premillenaristi e postmillenaristi. Ciò che li differenzia è il significato della resurrezione, in che modo e quando Cristo Gesù ritornerà. I premillenaristi pongono il ritorno di Gesù prima del millennio. Credono che dopo millenni di peccato Cristo venga per inaugurare un Sabato milleniale, alla fine del quale si terrà il giudizio finale, universale, e dopo la distruzione del male inizierà l’eternità. I post-millenaristi si dividono in diversi gruppi e pongono il ritorno di Cristo dopo i mille anni. I sostenitori maggioritari sono i dispensazionalisti.13 Credono che sette 8
ALLO Ernest, S. Jean - l’Apocalypse, 2a ed., Paris 1921, p. CCXXIV. 1 Pietro 5:8. 10 Vedere FORD Desmond, Crisis ! - A Commentary on the Book of Revelation, vol. II, Newcastle 1982, pp. 707,708. 11 Cit. da D. Ford, o.c., p. 706. 12 BARCLAY William, The Revelation of John, vol. II, Philadelphia 1977, p. 191. 13 Sono evangelici fondamentalisti, dividono la storia della salvezza in diverse dispensazioni o periodi nei quali Dio inventa dei sistemi diversi per redimere gli uomini. Questi periodi iniziano nell’Eden, quando l’uomo era in uno stato di innocenza; da Adamo a Noè; dal Diluvio ad Abrahamo; da Abrahamo a Mosè; dal Sinai a Gesù, la salvezza la si ottiene mediante l’osservanza della legge; da Gesù alla futura epoca giudaica, la salvezza è per grazia a seguito della 9
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anni prima dell’apparizione, da non confondersi con il ritorno, di Gesù i credenti viventi e i morti risuscitati scompariranno dalla terra perché saranno rapiti in cielo in forma invisibile14 dove celebreranno le nozze dell’Agnello. In quel tempo si
morte espiatoria del Signore. Seconda questa credenza, costruita nel secolo scorso, i credenti saranno rapiti in cielo prima della tribolazione (1 Tessalonicesi 4 :17) e l’ultima dispensazione sarà durante il millennio sulla terra. 14 «Questa idea (del rapimento invisibile della Chiesa, prima del ritorno di Cristo Gesù) ha fatto la sua prima apparizione, piuttosto timida, in un libro, apparso a Londra nel 1851, che conteneva una serie di meditazioni di William TROTTER - Thomas SMITH due autori millenaristi. Nell’appendice di questa opera, in lingua francese, Huit méditations sur la prophétie, Genève et Lausanne 1853, W. Trotter (1818-1885) scriveva: «Supponiamo, ora, fratelli miei che ci sia un intervallo tra l’arrivo del Cristo nell’aria, per raccogliere i suoi santi presso di lui, e il suo arrivo sulla terra, accompagnato dai suoi santi, per eseguire il giudizio; supponiamo che questo intervallo sia abbastanza lungo per permettere il compimento di tutti gli avvenimenti profetici, che si devono verificare prima ch’egli ritorni in giudizio; supponiamo che i Giudei rientrino nel loro paese, che i Gentili siano riuniti contro Gerusalemme, che l’Anticristo sia manifestato, che la grande tribolazione arrivi, che i sigilli apocalittici siano aperti, che le trombe risuonino, che i flagelli siano versati; supponiamo che tutti questi avvenimenti si compiano tra l’elevamento della Chiesa e l’arrivo del Cristo per eseguire il giudizio sui suoi nemici riuniti; supponiamo tutto questo, e diteci se questa supposizione non risolverà la difficoltà in questione?... Il nostro misericordioso Salvatore potrebbe in ogni istante venire a prenderci presso di lui, e tuttavia l’intervallo supposto lascerebbe il posto a tutti gli avvenimenti di cui la Parola di Dio ci parla, e che si devono verificare prima che il Cristo ritorni per consumare i malvagi con il soffio della sua bocca... - Bisogna dunque ricordarsi che la sola possibilità d’un intervallo simile risolva la difficoltà che abbiamo presentato» pp. 247-248. Il rapimento della Chiesa è stato poi condiviso da altri autori tra cui DARBY John Nelsen, L’Enlévement des saints et le residu juif, 3a ed. francese, Vevey 1925; ANTOMARCHI DORIA Antonio, Fin d’un Monde - Le Christ revient... , Valence 1947, pp. 52-55. Questa teoria, che oggi è condivisa, a volte con particolari diversi, dagli evangelici fondamentalisti in genere, permette di dire che l’uomo sia più incline a credere a dei pensieri umani che a una verità che illumini la ragione. Questo errore è stato combattuto da diversi millenaristi fino dalla sua apparizione. «Nel suo opuscolo The Hope of Christ’s Second Coming, London 1864; 2a ed., 1864, ristampato senza data a Los Angeles, California, l’erudito critico S.P. TREGELLES, che era appartenuto al movimento plimontista, fa risalire l’origine dell’idea di un rapimento segreto (della chiesa) a una pretesa rivelazione ricevuta all’incirca verso il 1832 nel seno della chiesa d’Irving. Tregelles mostra che degli avvenimenti annunciati da Gesù e dagli apostoli dovevano svolgersi tra l’assunzione e il ritorno di Cristo: anche la morte di Pietro (Giovanni 21:19; confr. 2 Pietro 1:15), anche la manifestazione dell’Anticristo (2 Tessalonicesi 2:1-12); anche la proclamazione dell’Evangelo al mondo intero (Matteo 24:18-20; Marco 16:15). L’attesa di tali avvenimenti non nuoce in nessuna maniera alla speranza cristiana riguardante 1a parusia. Gesù stesso ha prevenuto i suoi discepoli contro l’idea di un rapimento segreto (Matteo 24:23-27). Li ha invitati ad osservare i segni precursori del suo ritorno in gloria (Luca 21:28-31). La resurrezione dei credenti non avverrà prima dell’apparizione gloriosa del Cristo (1 Corinzi 15:23). La teoria della venuta silenziosa e del rapimento segreto non ha nessuna base nella Bibbia». Se si vuole una refutazione sistematica di questa teoria, la si trova sotto la penna di Mrs. Gertrude Emily ALTREE, nata COLEY, Great Tribulation Future, past or present?, Toronto 1947. Questa autrice esamina a uno a uno i diversi argomenti invocati in favore di un doppio ritorno, separato da un intervallo di qualche anno, e conclude (p. 76): «Abbiamo visto con la Scrittura che il Signore ritorna una volta, e una sola volta. Abbiamo visto che la Bibbia non insegna da nessuna parte una venuta segreta particolare». I sostenitori del rapimento segreto affermano, in contrasto con quanto abbiamo espresso nel nostro secondo capitolo e nell’Appendice n. 4, che non c’è nessuna profezia che si deve realizzare tra la croce del Calvario e il rapimento della Chiesa, e che quindi tra la 69a e la 70a settimana di Daniele 9, ci deve essere una parentesi storica di silenzio che è già durata diciannove secoli. Mrs. Altree Coley risponde che «per stabilire simili affermazioni occorrerebbero delle dichiarazioni scritturali estremamente chiare. In effetti, le profezie di Daniele costituiscono un racconto continuo che non lascia posto ad un vasto intervallo... Quanto al solo passo del Nuovo Testamento (1 Tessalonicesi 4:17) in cui si parla del rapimento, i termini impiegati dall’apostolo Paolo, ben lontano da suggerire una venuta segreta, invisibile e silenziosa, danno l’impressione di un avvenimento pubblico accompagnato da un rumore formidabile che risveglia i morti nei loro sepolcri. Qualunque grado di sincerità si voglia accordare ai promotori della teoria del rapimento segreto, dice Mrs. Altree Coley, questa teoria è contraria all’insegnamento biblico, ed essa tende a sviare coloro che studiano le profezie e a creare dei gravi malintesi quanto alla vera natura della rivelazione profetica» A.F. Vaucher, o.c., II serie, 1952, pp. 33,34.
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manifesterà l’Anticristo15 di cui «si pensa che sarà un ebreo».16 «Gli ebrei, essendo ritornati in Palestina ed avendo ricostruito il tempio in Gerusalemme, riceveranno questo figlio della perdizione come loro Messia da tanto tempo atteso. Imitando il vero Cristo, che al suo ritorno sulla terra farà un nuovo patto con la Casa di Giuda e di Israele, l’Anticristo farà un patto con gli Ebrei. Con un trattato di sette anni, e mostrando sentimenti di amicizia, egli avrà successo in Gerusalemme, per gettare la maschera e infrangere il patto solo più tardi».17 «Allora sarà rivelata l’identità del falso messia ed egli ripudierà le promesse prima fatte ad Israele. Egli farà cessare l’adorazione nel tempio, nel caso che i Giudei pretendano di adorare Yhavé. Allora egli stabilirà una nuova adorazione, l’adorazione dell’immagine della bestia, che, in ultima analisi, sarà l’adorazione di se stesso.18 “La nuova religione che viene formulata non è altro che adorazione dell’Anticristo: avendo fatto cessare i sacrifici e le oblazioni nel tempio di cui aveva permesso la costruzione, egli stesso si pone a sedere nel luogo santissimo. Nel luogo in cui la gloria dello Shekinah una volta era rifusa, l’Anticristo con audacia inconcepibile si siede chiedendo di essere adorato... È ‘l’abominazione della desolazione’ nel Luogo Santo di cui parlò Gesù in Matteo XXIV:15”.19 Egli sarà a capo degli eserciti della terra contro Cristo ad Harmaghedon... La sua distruzione e la sua condanna finale avverranno alla rivelazione di Gesù Cristo... Gesù Cristo, al suo ritorno, distruggerà l’Anticristo. Questa distruzione avverrà per mezzo “del soffio della sua bocca” e della “manifestazione della sua venuta”. “Finalmente il Cristo di Dio e il cristo di Satana saranno messi a confronto. Ma nel momento in cui il conflitto inizierà, anche cesserà. Il nemico sarà paralizzato e ogni resistenza finirà”.20 Quell’uomo del peccato, ora vinto e deposto, viene relegato nel luogo della sua condanna finale, lo stagno di fuoco.... La seconda venuta di Cristo avrà una speciale importanza per la nazione ebraica. Significherà la rimozione del velo dagli occhi dei suoi abitanti; il loro ritorno 15
Questo personaggio viene descritto nel modo seguente: «La contraffazione di Cristo sarà opera di uno studioso abilissimo e perfettamente versato in ogni possibile materia. Egli sarà uno scienziato, avrà completa conoscenza delle scienze occulte, avrà nelle mani le forze dell’invisibile. Sarà un oratore e conoscerà ogni segreto dell’oratoria; gli uomini lo ascolteranno senza fiatare e con grande interesse. Sarà un vero e proprio re della finanza e sorpasserà in abilità i più abili finanzieri che siano mai esistiti. Sarà un genio militare, metterà nell’ombra tutti i più grandi generali con la sua forza di attrazione e la sua abilità strategica. Gli uomini a migliaia cercheranno di imitarlo e saranno orgogliosi di servire sotto il suo comando. Egli riunirà in una persona sola tutte le capacità e le qualità dei più grandi oratori, uomini di stato, diplomatici, generali e finanzieri che siano mai esistiti, attirando su di sé l’omaggio e l’ammirazione di tutto il mondo» MANTLE; cit. da BANCROFT Emery H., Teologia elementare - Una base sistematica di Teologia biblica, ed. Centro biblico, Casoria 1995, p. 402. 16 Idem, p. 402. «L’Anticristo sarà un ebreo sebbene le sue relazioni, la sua posizione di governo, la sua sfera di dominio non sarà affatto limitata al popolo di Israele. Bisogna tuttavia far notare che nella Scrittura non troviamo nessuna dichiarazione precisa e ampia che affermi che questo terribile ribelle sarà ebreo; tuttavia gli accenni dati sono chiari, le conclusioni che si possono tirare da certe affermazioni della Sacra Scrittura così ovvie, e le esigenze del caso così inevitabili, che siamo forzati a credere che egli sarà ebreo (Ezechiele 21:25-27; confr. con Daniele 8:23-25 e con 9:25; Ezechiele 28:2-10 confr. con Apocalisse 13:14; Daniele 11:36,37; Matteo 12:43-45; Giovanni 5:43; 1 Giovanni 2:18)» PINK; cit. Idem, pp. 402,403. Ci rammarica il modo con il quale si usa la parola di Dio. Lasciamo comunque al lettore trarre le proprie considerazioni. 17 Pink; cit. idem, p. 403. 18 2 Tessalonicesi 2:4. Vedere Apocalisse 13:4-6,12; Daniele 11:36; Isaia 14:12-17. 19 Pink; cit. idem, p. 404. 20 Pink; cit. idem, p. 405. Quando la profezia diventa storia
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dalle nazioni in cui sono stati dispersi e la loro installazione permanente nella terra promessa. Essi anche avranno una parte importante nella divulgazione della verità... Le nazioni saranno separate dal giudizio di Matteo XXV:31-33. Questo giudizio deve determinare quali nazioni dovranno essere incluse... (nel) regno millenniale di Cristo... Le nazioni salvate sono quelle che ricevono, come nazioni, la salvezza dalla distruzione che si è abbattuta sugli empi e sui disubbidienti, e alle quali è reso possibile l’ingresso nel Regno di Cristo... Le nazioni malvagie saranno escluse dal regno millenniale e soffriranno l’eterna condanna... Il Regno di Cristo sarà introdotto da una serie di giudizi, per mezzo dei quali il peccato ed i peccatori saranno allontanati dalla terra... Durante l’epoca del Regno gli uomini nasceranno come ora con delle nature malvagie e anche, come ora, simuleranno obbedienza o obbediranno solo esteriormente a Cristo. Alla fine del Millennio, perciò, quando Satana sarà slegato per breve tempo, egli troverà dei seguaci fra gente proveniente dai quattro canti della terra. Egli li condurrà ad attaccare il campo dei santi, il che indica senza dubbio Gerusalemme, dove essi incontreranno la loro sentenza: il fuoco scenderà dal cielo per distruggerli. La venuta del regno di Cristo (cioè durante questo millennio) porterà un regno di giustizia. La giustizia sarà obbligatoria durante il millennio e perciò predominerà. Il peccato e la disubbidienza saranno sommariamente giudicati e puniti. Questo è in armonia con Isaia XXVI:9, che dice: “Quando i tuoi giudizi si compiono sulla terra, gli abitanti del mondo imparano la giustizia”21... La conoscenza di Dio sarà estesa su tutta la terra, dato che Gesù Cristo stesso sarà l’artefice principale di tale propagazione. Satana non avrà la possibilità di accecare, per cui gli uomini comprenderanno chiaramente Dio e la Sua volontà... Durante il regno millenniale sarà tolta la maledizione che grava ora sul regno animale e su quello vegetale, e la bella prosperità che circondò i nostri antichi progenitori visiterà nuovamente la terra devastata dal peccato. “Non vi sarà più, in avvenire, bimbo nato per pochi giorni, né vecchio che non compia il numero dei suoi anni; chi morrà a cent’anni morrà giovane, e il peccatore sarà colpito dalla maledizione a cent’anni”.22 A quanto sembra, la lunghezza della vita sulla terra sarà determinata dall’ubbidienza alla legge, la legge di Cristo. La disubbidienza produrrà la morte. Gesù ritornerà per sedere sul trono di suo padre Davide, per regnare sulla casa di Israele e su tutta la terra... La resurrezione degli increduli avverrà alla fine di questa dispensazione, dopo il regno millenario di Cristo e immediatamente prima del giudizio del Grande Trono Bianco».23 21
Questo riferimento biblico non è in armonia con l’insegnamento che si vuole dare. Il fatto che ci saranno dei sommari giudizi e punizioni durante il millennio dimostra che durante quel periodo non ci sarà la vera giustizia, perché le persone non l’hanno imparata e continuano a ribellarsi al Signore come avviene oggi. 22 Isaia 65:20. 23 E.H. Bancroft, o.c., p. 404-424. A critica di questo modo di pensare riportiamo il pensiero di O.T. Allis che scrive che coloro che sono abituati a pensare al millennio in termini di un’età d’oro, di giustizia e pace, saranno sorpresi nello scoprire come di fatto non è vera questa veduta dei dispensazionalisti. Due brevi descrizioni serviranno ad illustrarlo in modo lampante. J.N. Darby, uno dei creatori di questo pensiero, insegnava: «Ora ci sono pochi fedeli che vanno contro corrente perché Satana è il principe e il dio di questo mondo. Quando Cristo sarà il principe di questo mondo e Satana allora sarà legato si ubbidirà, anche quando gli uomini non saranno convertiti, alla evidente potenza di Cristo. Coloro che non ubbidiranno verranno soppressi e così tutto sarà pace e felicità. Sarà un governo perfetto della terra che rende buono
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Si crede anche che sulla terra durante i mille anni ci sarà un’epoca d’oro con conversione generale del mondo, o con la possibilità di conversione, grazie a continue resurrezioni, per coloro che durante la loro vita non hanno potuto sentire e conoscere l’evangelo. Durante questo periodo Satana è isolato dal genere umano, non potrà tentare nessuno, ma alla fine dei mille anni, assieme all’Anticristo, nel tentativo di continuare la sua opera distruttrice, sarà distrutto all’apparizione del Cristo. Purtroppo per i motivi menzionati in nota 5 (l’influenza della filosofia greca, l’abbandono della dottrina biblica del sonno dei morti, la conversione di Costantino e del suo seguito, e l’opposizione della chiesa di Roma), la dottrina della parusia è rimasta allo stato di fossile nel credo della Chiesa e quella del millennio non ha lasciato tracce al di fuori della liturgia. Già nel secolo scorso K. Auberlen scriveva: «Che il cattolicesimo provi una ripugnanza profonda per la dottrina scritturale del regno dei cieli, ciò si comprende, poiché il sistema romano è una falsa anticipazione del regno dei mille anni: Roma fa un regno di ciò che dovrebbe essere semplicemente una Chiesa... La fede evangelica reclama assolutamente per il suo coronamento il regno dei cieli che la Bibbia ci presenta. Appoggiandosi sulla parola dei profeti, dobbiamo cercare di comprendere ciò che è questo regno e per quali fasi successive deve passare, tale dovrebbe essere il compito della teologia attuale».24 Nel discorso escatologico di Gesù, riportato in Matteo XIV, diverse volte - 4 in 24 versetti - incontriamo la sua esortazione: «Nessuno vi seduca»25 in relazione al suo ritorno. Nessun altro insegnamento biblico è stato accostato al pericolo che, comprendendolo male, si possa essere sedotti. Per questo motivo crediamo si possa dire che un modo sbagliato di credere al come Gesù ritornerà e agli avvenimenti in relazione alla sua venuta gloriosa esporrà i membri del popolo di Dio a seduzioni e a mistificazioni che li allontaneranno dal Signore stesso. Dei fatti politici, come il ritorno d’Israele in Palestina dagli anni Quaranta; e religiosi, la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme con il ripristino del cerimoniale levitico; un Anticristo di natura diversa da quello biblicamente presentato; non hanno tutto. Quando Satana sarà sciolto e tenterà di nuovo, coloro che non saranno trattenuti dalla grazia lo seguiranno...». Nel suo scritto Maranatha ci offre una immagine ancora più contraddittoria: O.T. Allis dice che «“quello che è nato dalla carne è carne” e sebbene si fosse trattenuto durante il millennio manifesterà la sua natura depravata alla prima occasione. Come una tigre imprigionata lungamente che viene riportata nella sua giungla nativa, sarà irrimediabilmente assetata di sangue quando le sbarre di ferro saranno rimosse». In questa visione l’immagine del millennio non è per nulla desiderabile, idilliaca. Come si può pensare che il Re messianico, il Principe della pace, sia seduto su un trono come se fosse un vulcano fumante; che il Regno del Messia sia pacifico solo in superficie ma con odio e ribellione serpeggianti; che un popolo obbedisca al suo governo perché la “soppressione” è la conseguenza inevitabile della disobbedienza e l’opposizione comporterà la “frantumazione” di tutti i ribelli come vasi di creta mediante la verga di ferro con la quale il Salvatore esprimerà la sua autorità. Quando leggiamo che “il lupo sarà con l’agnello” noi non gli diamo il significato che il lupo desidererà ancora divorare l’agnello; che “non feriranno e non distruggeranno” su tutto il Monte Santo di Dio significa che essi agiranno in quel modo perché lo vorranno fare e non che saranno costretti dalla forza a non fare quello che vorrebbero fare» ALLIS Oswald T., Prophecy and the Church, Philadelphia 1945, pp. 240,241. Lasciamo al lettore le proprie valutazioni su simili credenze insegnate e condivise da decine di milioni di persone nel nome del Signore. 24 K. Auberlen, o.c., p. 351. 25 Matteo 24 :4,5,11,24. Quando la profezia diventa storia
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nessun fondamento nella Parola di Dio, anche se molti cristiani sostengono le loro convinzioni avvalendosi di espressioni del testo biblico. Il coincidere delle credenze con la realtà storica è e sarà vista come il compimento della rivelazione, ma ciò non corrisponde a verità e non sarà altro che una miscela esplosiva di seduzione, di fanatismo e di allontanamento dalla Parola di Dio. Hughes ricorda che: «Si dice che un verso su trenta del Nuovo Testamento si riferisca al ritorno di Gesù. Nessun versetto si riferisce a un regno millenario sulla terra! Neppure i mille anni mistici e simbolici di Apocalisse XX suggeriscono questa terrestre utopia. Infine il dr. T.T. Shields ... dice: “Il Nuovo Testamento non dice nulla riguardo allo stabilirsi di un regno giudaico terrestre, al ritorno del popolo ebraico in Palestina, alla ricostruzione del tempio e del programma millenario... L’intera spiegazione è assolutamente priva dell’autorità del Nuovo Testamento. Non si può trovare una spiegazione esplicita ed implicita nell’insegnamento del nostro Signore o dei suoi Apostoli. Mi permetto di dire che l’insegnamento di tutto il Nuovo Testamento asserisce il contrario». 26 J.R. Ross correttamente dice che «l’escatologia non è una semplice appendice della fede cristiana. Essa è piuttosto il cuore della nostra fede, e non possiamo fare giustizia al quadro della Bibbia dell’unicità e finalità di Gesù Cristo senza mettere in relazione lui all’insieme dell’opera redentrice di Dio, che include le “ultime cose”. Contrariamente a quanto generalmente pensiamo, Gesù stesso è più importante delle “ultime cose”. Possiamo dirlo in un altro modo. La Bibbia, specialmente il Nuovo Testamento, è un documento escatologico. Siamo giunti alla conclusione che l’escatologia determina il nostro intero approccio alla Bibbia e dobbiamo cominciare con il preoccuparci dell’escatologia prima di poter dare senso alla Bibbia».27 26
HUGHES, A New Heavens and New Earth, pp. 209,210. ROSS J.R., Evangelical Alternative, Handbook of Biblical Prophecy, ed. Amerding Carl E. and Gasque W. Ward, Grand Rapids, 1977, pp. 118,119,233,234. Riconosciamo anche che il millennio, nelle sue diverse interpretazioni, orienta il credente a un approccio diverso alle problematiche sociali. Scrive J. Badina che gli amillenaristi e i postmillenaristi sono più socialmente ottimisti dei premillenaristi e sono più coinvolti nella politica e nelle soluzioni sociali. Dopo la seconda guerra mondiale, degli evangelici premillenaristi, hanno pensato di rispondere alle problematiche sociali e si sono separati dai fondamentalisti (principalmente dispensazionalisti) che trascuravano le implicazioni sociali dell’evangelo. Vedere CARL F.H. Henry, Evangelical Responsibility in Contemporary Theology, Grand Rapids, 1957. I premillenaristi hanno una visione negativa del mondo e della società i quali anziché migliorare peggiorerà. Questo pensiero condiziona il loro modo di vedere la realtà del presente ed del futuro e le loro definizioni del significato della storia. Donald G. Bloesch, un postmillenarista, attacca i premillenaristi che enfatizzano l’immediato ritorno di Cristo e il suo regno milleniano. Dice: «Una eccessiva visione pessimistica della chiesa e del mondo ha portato a un sorprendente allontanamento dai problemi politici perché il mondo è considerato irrecuperabilmente malvagio. La presunzione che siamo negli ultimi giorni tende anche a minare ogni impegno di riforma sociale» BLOSESCH Donald, The Evangelical Renaissance, Grand Rapids, 1973, p. 145. Gli amillennaristi sia cattolici romani che protestanti e i post millenaristi non danno la stessa enfasi alla loro escatologia come i premillenaristi. I primi sono più individualisti (le anime vanno in cielo una alla volta), mentre l’escatologia premillenarista è più collettiva e coinvolge tutta la Chiesa nell’unità sia nel rapimento o quando attraversa le ultime persecuzioni. Un’altra differenza nell’escatologia è il fatto che gli amillenaristi non vedono il ritorno di Gesù come qualcosa di imminente a differenza dei premillenaristi. I premillenaristi generalmente credono che vedranno la seconda venuta di Cristo nella loro vita. Sono impazienti di vederlo ed è la loro beata speranza. Al contrario gli amillenaristi e post millenaristi hanno una escatologia senza un’enfasi sul ritorno di Gesù. 27
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Avvenimenti che precedono il millennio Il capitolo XX si colloca in un contesto ben preciso dell’Apocalisse. Il capitolo XII presenta la nascita del Messia e la persecuzione della Chiesa; il capitolo XIII il sorgere e lo sviluppo dei poteri che perseguitano la Chiesa, riprendendo anche quanto scritto nel capitolo XII. Nel capitolo XIV si ha l’annuncio del giudizio e la liberazione della Chiesa dai poteri oppressori. Nei capitoli XV e XVI l’esecuzione del giudizio di Dio sull’umanità. I capitoli XVII e XVIII sono un commentario del capitolo XVI. Nel capitolo XIX prima parte, vi è l’annuncio delle nozze dell’Agnello la cui sposa, la Chiesa, si è preparata. Il capitolo XIX:11 presenta il ritorno di Gesù come un condottiero potente e nella sua gloria. La terra è come un campo di battaglia dove i vinti, la bestia e il falso profeta, con i re della terra vengono uccisi e saranno consumati dagli uccelli rapaci e dalle bestie selvagge; solo il dragone, cioè Satana in persona, viene lasciato in vita. La scena del millennio, capitolo XX, segue questa visione. Il tempo di grazia accordato all’umanità per il ravvedimento è finito e Gesù ha ultimato la sua opera di giudizio nel santuario celeste. La sua Chiesa si è preparata ed è stata sigillata. Sebbene l’umanità abbia scelto il suo signore e non voglia che sia il Cristo a regnare su lei, Gesù in cielo riceve l’insegna della sua regalità, viene fatto accostare a Dio Padre e gli vengono conferiti: «Dominio, gloria e regno... ». Nel cielo si dice a gran voce: «Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo; ed egli regnerà nei secoli de’ secoli... I ventiquattro anziani dicono: «Noi ti ringraziamo, o Signore Iddio onnipotente che sei e che eri, perché hai preso in mano il tuo potere, ed hai assunto il regno». Cristo Gesù quale RE dei re e SIGNORE dei signori è pronto a tornare per condividere coi suoi fratelli il suo regno essendo essi «eredi di Dio e coeredi di Cristo».28 La seconda parte del capitolo XIX dell’Apocalisse, ci presenta il Salvatore che appare su un cavallo bianco accompagnato dalle miriadi dei suoi angeli, che viene a vincere i suoi nemici. «Nulla... tende a negare il legame stretto che unisce il capitolo XIX al capitolo XX. I due quadri sono contigui, essendo l’uno il seguito e la
Millard ERICKSON, un leader premillenarista, riassume le maggiori differenze tra gli amillenaristi e premillenaristi sull’escatologia: «Raramente l’amillenarista lamenta il degrado delle condizioni del mondo o condanna la cultura prevalente. Ha notevolmente meno preoccupazioni dei dettagli e le sequenze degli ultimi avvenimenti e meno curiosità nei confronti dei “segni dei tempi”. L’intero soggetto dell’escatologia sembra ricevere meno attenzione da parte dei teologi amillenaristi piuttosto che dai teologi premillenaristi… I premillenaristi spesso “esaminano le Scritture” e studiano gli eventi correnti tentando di farli combaciare e cercando di scoprire quanto possa essere vicina la fine. In generale gli amillenaristi non hanno grandi interessi per lo studio delle profezie» J. Badina, o.c., pp. 233-235. Tra i pochi premillenaristi segnaliamo i Cristiani Avventisti del 7° Giorno che, pur rispecchiando quanto è detto in generale di questa caratteristica, hanno un programma mondiale di impegno sociale che comprende scuole di ogni grado, cliniche e ospedali, programmi di soccorso e di sviluppo, superati nel numero dalle istituzioni cattoliche, ma non hanno confronti se si calcola in proporzione al numero dei loro membri. 28 Daniele 7:9-13; Luca 19:14,15; Apocalisse 11:15-17; Romani 8:17. Quando la profezia diventa storia
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continuazione dell’altro».29 Alla fine del capitolo XIX si assiste all’ecatombe dell’umanità a seguito della VI piaga che ha riunito ad Harmaghedon, la valle del monte di Meghiddo, la pianura del giudizio, «i re che vengono dal levante», con quelli dell’Occidente per la battaglia del gran giorno dell’Iddio Onnipotente.30 La settima piaga sconvolge il mondo alterando la sua conformazione geografica. Dopo lo scuotimento delle forze cosmiche: l’oscuramento del sole, la perdita di splendore della luna e la caduta delle stelle, «apparirà nel cielo il segno del figlio dell’uomo; ed allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. (Allora) i re della terra e i grandi e i capitani e i ricchi e i potenti e ogni servo e ogni libero si nasconderanno nelle spelonche e nelle rocce dei monti; e diranno ai monti e alle rocce: “Cadeteci addosso e nascondeteci dal cospetto di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello; perché è venuto il gran giorno della sua ira”. E la bestia e i re della terra e i loro eserciti radunati per muovere guerra a colui che cavalcava il cavallo bianco e all’esercito suo... fu presa, e con lei fu preso il falso profeta... e il rimanente fu ucciso con la spada che usciva dalla bocca di Colui che cavalcava il cavallo e tutti gli uccelli si satollarono delle loro carni».31 «La festa delle nozze dell’Agnello nutre i suoi ospiti nella gioia dell’assicurazione della vita eterna. Il festino di Harmaghedon divora i suoi convitati nella tristezza di un dolore assoluto. Più nulla resta di loro, neppure le ossa. Non hanno neppure il diritto ad una sepoltura. Gli uccelli rapaci hanno mangiato tutto. È con questa immagine morbosa e sinistra che si chiude la visione. Non si poteva far esaltare meglio il carattere disperato della loro fine. Spariscono totalmente. La terra è completamente vuota».32 Questa distruzione dei nemici di Cristo, narrata alla fine del capitolo XIX, toglie ogni supporto a tutte le elucubrazioni inventate a proposito del millennio terreno durante il quale i Giudei e il mondo si convertiranno a Cristo, che avrà il suo trono in Palestina, mentre al di fuori del suo regno i malvagi impenitenti costruiranno mezzi bellici per togliere dalla faccia della terra il suo Creatore. Giovanni, dopo aver detto che la bestia e il falso profeta furono gettati nello stagno ardente di fuoco, dice in Apocalisse XIX:21 che il “resto” o “rimanente” dei loro seguaci vengono uccisi dalla spada di Cristo. A chi si riferisce questo “rimanente” ? Indica i re, i capitani, i potenti «tutti gli uomini, liberi e schiavi» presentanti al versetto 18. Queste stesse categorie di persone sono già state menzionati in occasione del sesto sigillo, come coloro che cercheranno di nascondersi alla vista dell’Agnello.33 In Apocalisse XIII:8 indica che vi saranno due classi di persone quando Gesù ritornerà: «Tutti gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti... nel libro della vita dell’Agnello» che adorano la bestia. Questo gruppo numerosissimo si contrappone a 29 30 31 32 33
VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse, Dammarie-Les-Lys, 1938, p. 336. Apocalisse 16:14. Matteo 24:29,30; Apocalisse 6:15-17; 19:19-21; vedere Apocalisse 16:12-20 e commento. DOUKHAN Jacques, Le Cri du Ciel, Dammarie Les Lys 1996, p. 246. Apocalisse 6:14-17.
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quello che non ha adorato la bestia né la sua immagine. Prima di dire come questo gruppo entrerà nel regno millenario, presentato nel capitolo XX, l’Apostolo, nei primi tre versetti, descrive come il terzo grande nemico di Dio, il principale nemico, il dragone, subirà le conseguenze della sua opera di morte compiuta attraverso i secoli e dal giorno della sua ribellione. La descrizione del ritorno di Gesù di Apocalisse XIX, corrisponde a quanto altrove è detto che il Signore «apparirà una seconda volta... per dare la salvezza a quelli che lo aspettano. Quelli che si sono addormentati, Iddio per mezzo di Gesù li ricondurrà con esso lui. Poiché questo vi diciamo per parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati, poiché il Signore stesso, con potente grido, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e i morti in Cristo risusciteranno i primi; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo insieme con loro rapiti sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore».34 Non pochi sono i passi che presentano il ritorno di Gesù per riunire i suoi fedeli.35 Le parole di Paolo chiaramente non dicono «che il Signore si stabilirà sulla terra per regnarvi visibilmente, secondo certe idee spesso espresse».36 «Il momento del ritorno (del Cristo) non è quello in cui egli rimette il regno (al Padre),37 ma al contrario è quello in cui egli entra in possesso di questo regno che viene a ricevere.38 Tutte le corone della terra riposeranno sulla fronte del Cristo. In conclusione, il regno teocratico del Messia e dei suoi riscattati è il punto centrale e culminante dell’Apocalisse».39 Ma «il regno millenario non è... la fase suprema del regno di Dio».40
Il millennio «C’è un periodo di mille anni durante il quale regna Gesù Cristo coi suoi santi, mentre Satana è incatenato: questo periodo altro non è se non il sabato che succede a sei giorni di lavoro e di dolore... Esso è l’adempimento delle promesse di Gesù e delle speranze degli apostoli».41 «Il millennio è uno stato intermedio tra il presente secolo malvagio e il regno eterno che caratterizzerà la piena consumazione di tutte le cose».42 Apocalisse XX presenta il millennio in due quadri: quello della terra e quello del cielo. 34
Ebrei 9:28 versione Salani; 1 Tessalonicesi 4:14-17; vedere Matteo 24:31; 1 Corinzi 15:52; Giovanni 14:3. Matteo 24:29-31; 1 Corinzi 15:23,51-53; 1 Tessalonicesi 4:15-17; 2 Tessalonicesi 1:6-8; 2:1-3,8; Apocalisse 1:7; 14:14-20; 19:11-20:6. 36 GODET Frédéric, Introduction au Nouveau Testament - Les épîtres de S. Paul, vol. I, Neuchâtel 1893, p. 167. 37 1 Corinzi 15:28. 38 Apocalisse 11:17; 19:6. 39 GUERS Émile, La royauté messianique de Christ, Genève 1883, pp. 39,41. 40 K. Auberlen, o.c., p. 394. 41 ROUGEMONT Frédéríc de, La révélation de S. Jean, Neuchâtel 1886, pp. 349,350. 42 REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. II, Lausanne 1906, p. 154. 35
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Sulla terra «Poi vidi un angelo che scendeva dal cielo e aveva 1a chiave dell’abisso e una gran catena in mano. Ed egli afferrò il dragone, il serpente antico, che è il Diavolo e Satana, e lo legò per mille anni, lo gettò nell’abisso che chiuse e suggellò sopra di lui onde non seducesse più le nazioni finché fossero compiti i mille anni: dopo di che egli ha da essere sciolto per un po’ di tempo».43 Nel giorno dell’espiazione, principale festa del rituale israelitico, si ponevano due capri davanti al santuario. Uno era per l’Eterno l’altro era per Azazel. Quel cerimoniale annunciava ciò che sarebbe avvenuto nella storia. Duemila anni fa, i rappresentati di questi due simboli si incontrarono al Golgota. Erano uno di fronte all’altro. Gesù, l’Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, dalla croce dichiara all’Universo l’immensità dell’amore di Dio, lo manifesta morendo e attestando che il Padre ama le sue creature e dà la sua vita per loro affinché, accettandola, possano vivere. La vita del Messia ha rigenerato, trasformato, santificato coloro che lo hanno creduto e, a seguito del giudizio preliminare che si è svolto in cielo e che ha avuto inizio nella metà del secolo scorso, il celeste santuario è stato purificato da quanto compiuto dal Servo dell’Eterno, fuori dalle porte di Gerusalemme. La conclusione del giudizio ha dimostrato la santità dell’Eterno. Dopo duemila anni l’Unto dell’Eterno, con la sua veste tinta di sangue, come lo ha descritto Giovanni nel capitolo XIX, e l’Avversario saranno nuovamente uno di fronte all’altro. In quell’occasione i peccati dell’umanità che hanno adombrato la gloria e la santità di Dio andranno all’artefice della seduzione, a colui che è il primo responsabile di ogni male, Satana, il quale per mille anni, come il tipico capro per Azazel, lui stesso caricato dai peccati del popolo di Dio, veniva portato nel deserto ed abbandonato. «L’ora è suonata in cui l’istigatore, il capo supremo di questa rivolta anticristiana, deve ricevere il suo salario. Subire a sua volta le pene che ha debitamente meritato... Guardando i1 cielo aperto, Giovanni vede discendere dall’alto un angelo che tiene nella mano la chiave dell’abisso e una gran catena... 44 Non si tratta nel nostro racconto di un combattimento più o meno lungo che l’angelo avrebbe dovuto sostenere contro il dragone; due parole sono sufficienti: “egli lo afferrò”! L’angelo va a lui non con la spada, ma con una chiave e una catena. Il 43
Apocalisse 20:1-3. «Cielo aperto», Apocalisse 19:11. Gesù per questo motivo in Apocalisse si presenta come colui che tiene «le chiavi della morte e dell’Ades», vedere anche Matteo 12:29; 28:18. Diversi interpreti: Andrea, Areta, Primasio, Ansbert, Riccardo di S. Vittore, Tommaso d’Acquino, Louis de Granade, Paraeus, Vitringa e altri, hanno visto in questo angelo il Cristo. 44
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dragone ha di già perduto il suo potere, il suo esercito è annientato... Lui solo rimane impunito. Prima di condividere la sorte dei suoi accoliti, i suoi diversi titoli, che hanno lo scopo di ben precisare di chi si tratta e in che cosa ha consistito la sua opera, sono una volta ancora enumerati, come nel capitolo XII. Il primo, il dragone: ricorda le relazioni che sostiene con i governanti della terra, la sua arroganza, le sue pretese al dominio universale, le sue alleanze con le potenze politiche. Nello stesso momento in cui i re e i loro eserciti sono abbattuti, la potenza del dragone sarà colpita! Dopo mille anni riapparirà senza dubbio, ma solamente con due dei suoi nomi. Cessa oramai di essere il dragone, poiché non avrà più l’egemonia sui regni terrestri. I popoli che, con le sue seduzioni, riuscirà a portare alla rivolta (dopo il millennio), non saranno in alcun caso delle monarchie, dei domini, dei governi di questa terra, poiché sarà il tempo del regno del Cristo... Durante il presente secolo continua ad essere il dragone, il principe di questo mondo, il suo potere cesserà con la battaglia di Harmaghedon. Il serpente antico: per allusione alla sua esistenza e alla sua azione funesta dalle origini dell’umanità. Serpente a causa della sua straordinaria astuzia, delle vie tortuose che sceglie invariabilmente per il compimento dei suoi disegni omicidi. Il serpente sedusse i nostri primi genitori e li precipitò nel peccato e nella morte. Il serpente seminò il dubbio e l’incredulità nelle anime. A causa del veleno delle sue labbra, delle dottrine menzognere si insinuano dappertutto nel mondo, nelle chiese, nella società. I1 suo scopo, la sua unica preoccupazione è la rovina dell’umanità. Giustifica il suo titolo dai tempi più antichi e gli rimane fedele fino alla gloriosa apparizione del suo Vincitore. Durante il millennio gli uomini saranno sottratti al suo potere seduttore e alla fine di questo periodo si mostrerà di nuovo nella sua individualità di spirito maligno. Il nome di diavolo è la designazione di un diffamatore, d’un bestemmiatore, d’un calunniatore; le sue prime parole a Eva fecero di Dio un essere bizzarro, geloso, oscuro e falso. Mentitore e omicida: ecco, al dire del Signore, il suo carattere essenziale. Tale lo mostrerà anche dopo i mille anni. (Questo suo nome indica colui che tende a dividere il Creatore dalle sue creature). Satana: questa parola, di origine ebraica e che si trova una quarantina di volte nella Scrittura, indica costantemente un avversario, un accusatore... Dai tempi antichi lo si vede accusare Dio di gelosa invidia e sollevarsi contro di lui. Accusa Giobbe e cerca di rapirgli la pace. Tenta Gesù e mette in dubbio la sua divinità e il suo potere... Tale è il quadro del grande Nemico, dipinto con tutti i suoi attributi: dragone che dà alla bestia il suo potere, il suo trono e una grande potenza; serpente antico, ingannatore, colui che affascina, che getta gli uomini nella vergogna, nell’incredulità e nella superstizione; diavolo che bestemmia Dio; Satana infine che osa disputare con lui l’impero del mondo».45 Il principe di questo mondo viene afferrato e legato per mille anni. La “catena” con la quale il nemico comune viene legato non è una catena in senso letterale, in 45
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quanto Satana non può essere legato con legami materiali, data la sua natura di essere spirituale. È una catena simbolica, creata e formata dalle speciali circostanze nelle quali sarà costretto a vivere in un mondo non più abitato da alcun essere umano, perché tutti sono morti. «La catena che lo paralizza, la chiave che lo inchioda nel fondo della sua orrida Bastiglia, sono contemporaneamente l’irrevocabile decreto divino e l’immutabile fissità della solitudine che lo circonda. Giusto ritorno delle cose: questo mondo in cui Lucifero ha lavorato per seimila anni46 per renderlo inabitabile con la guerra e le 46 Questa cifra viene calcolata dalla cronologia della vita dei patriarchi secondo il testo masoretico che gli ebrei in polemica con i cristiani ritennero opportuno manomettere. Anche la cronologia ebraica, di altri manoscritti precedenti all’èra cristiana, è più lunga. Riteniamo opportuna la seguente nota in quanto non sono pochi i credenti, di ieri come di oggi, che pensano che alla fine di seimila anni dalla creazione dell’uomo ci sarà il millennio dell’Apocalisse che secondo i calcoli è prossimo. Per questo motivo si crede quindi che quanto prima ci sarà la battaglia di Harmaghedon. Secondo alcuni calcoli i seimila anni sarebbero scaduti già negli anni settanta. I credenti che pensano che si sia giunti alla fine del sesto millennio dalla creazione si basano sulla cronologia della vita dei patriarchi così come è riportata nelle Bibbie. Quando però si mettono a confronto i testi biblici con quelli extrabiblici che presentano la cronologia dei patriarchi, vissuti prima e dopo il diluvio, non si può non osservare le differenze che ci sono tra questi testi. C’è una differenza di 15 secoli tra il testo ebraico Masoretico, del IX secolo d.C., e le versioni dei LXX, testo ebraico tradotto in greco nel III secolo a.C., del quale si possiedono i manoscritti Sinaiticus, Vaticanus ed Alessandrinus, (prendono questi nomi dalle località dove sono stati ritrovati) e risalgono al IV, V secolo d.C. A questi testi si possono aggiungere gli scritti di Giuseppe Flavio, il Pentateuco Samaritano, ancora più antico della versione dei LXX, i numerosi calcoli copti, siriaci, armeni, greci e latini, che sono la prova di una cronologia comune, differente da quella presentata nel testo ebraico del quale si servì Gerolamo nel V secolo per la traduzione della Vulgata e nell’VIII secolo i masoreti fissarono definitivamente e ufficialmente il testo biblico della comunità ebraica di allora. Il testo ebraico, scritto fino allora solo con le consonanti delle parole, a causa della dispersione dei Giudei, dopo la distruzione di Gerusalemme e l’interdizione di ritornare in Palestina, onde evitare che gli ebrei perdessero la corretta pronuncia i masoreti vocalizzarono le parole segnando le vocali sopra o sotto. La presente nota è attinta dal lavoro del teologo ZURCHER Jean, Une Nouvelle Analyse de la Chronologie patriarcale, dattiloscritto, senza data, 86 pagine. Che il testo Masoretico sia stato corretto non ci sono dubbi. Prima della distruzione del tempio nel 70 d.C., e di Gerusalemme nel 135 d.C., non c’è un solo documento che confermi la cronologia masoretica. Lo storico Demetrio di Falero, nel 177 a.C., scrisse una storia dei re di Giuda, contando 5494 anni dalla creazione al IV anno di Filometore, re d’Egitto, sotto il quale viveva. Se a quegli anni si aggiungono i 177 che lo separano dall’èra cristiana, si ha un totale di 5671 anni. Eupnoleme, nel V anno di Demetrio re di Siria, cioè 158 a.C., calcolava 5349 anni dalla creazione al suo tempo, cioè 5507 dalla creazione all’èra cristiana. Tutti computano il tempo dall’origine della creazione all’èra cristiana in 5.500 anni circa. Ciò è confermato dalla LXX, da Giuseppe Flavio (Contro Appione, I,8; I,3,3,4; I,6), da Filone Alessandrino (Livre de la Sagesse) e da Giusto di Tiberiade che hanno una cronologia che conferma quella dei LXX. Anche i manoscritti del Mar Morto confermerebbero la cronologia del testo della LXX. Tra gli scrittori cristiani possiamo citare, a sostegno di una cronologia non conforme al testo Masoretico, Clemente Alessandrino (Stromates, I,21) che è stato il primo a studiare in dettaglio la cronologia e i suoi calcoli riflettono le cifre della LXX; Giulio l’Africano, considerato il padre della cronologia, la sua opera è andata perduta, ma Eusebio ne ha conservato la sostanza nella sua Cronologia nella quale pone la nascita di Gesù nel 5499 dalla creazione, mentre Clemente la poneva nel 5500; vedere Eusebio di Cesarea (Preparazione Evangelica, libro. IX, 21); Origene in Dialoghi contro Marcione, parlando delle 70 settimane di Daniele dice che dalla creazione alla desolazione di Gerusalemme (586 a.C.) trascorrono 4900 anni, ponendo così la venuta di Gesù nel 5500 dalla creazione del mondo. Eusebio di Cesarea, riportando una citazione di Polistore, in riferimento ai calcoli di Demetrio, scriveva: «Da Adamo fino all’entrata in Egitto dei familiari di Giuseppe, sono passati 3624 anni; dal diluvio fino all’entrata di Giacobbe in Egitto, 1360 anni. Dalla vocazione di Abramo al suo arrivo in Canaan, fino al trasferimento di Giacobbe e della sua famiglia in Egitto, lo spazio di tempo è di 215 anni» (La Preparazione Evangelica, libro IX, 21, traduzione
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di Sèguir de Saint Brisson, vol. II, Paris 1846, p. 24). Si hanno così 2264 anni (3624-1360) per i dieci patriarchi antidiluviani e 1070 per quelli postdiluviani, fino alla nascita di Abramo. Ciò è quanto si credeva nel II secolo a.C. Scaliger, uno dei difensori della cronologia masoretica nel XVI secolo, riconosceva che la cifra di 5500 anni «era allora un pensiero riconosciuto in tutto il mondo» (Prologo in Cronologia, Eusebio). Riepilogando i principali scrittori greci, ebraici e cristiani che hanno affrontato il problema sono: Demetrio di Falera 5671; Eupnoleme 5507; Polistore 5600; Clemente Alessandrino e Giulio l’Africano 5500; Origene 5506; Teofilo di Antiochia 5515. Vedere J. Zurcher, o.c., p. 45, nota. L’esigua differenza delle cifre tra i vari scritti è data da errori di trascrizione o dalla cronologia dei libri storici. La Bible Annotée (Les Livres Historiques, t. I, La Genèse, Neuchâtel 1889, alle pag. 137,197), riporta le seguenti cronologie comparate della vita dei patriarchi prima e dopo il diluvio:
Patriarchi
Prima del Diluvio Adamo Seth Enosch Kenan Mahalaleel Jared Enoc Methushelah Lamec Noè fino al diluvio d’Adamo al Diluvio Dopo il Diluvio Dal diluvio a Arpacshad Sem Arpacshad Cainam Scelah Eber
Testo Masoretico - TM
Età alla nascita del primogen. 130 105 90 70 65 162 65 187 182 500 100
Resto della vita
Durata totale della vita 800 930 807 912 815 905 840 910 830 895 800 962 300 365 782 969 595 777 450 950
1656
Testo Samaritano
Età alla nascita del primogen. 130 105 90 70 65 62 65 67 53 500 100
Resto della vita 800 807 815 840 830 785 300 653 600 450
1307
Testo della LXX
Durata totale della vita 930 912 905 910 895 847 365 720 653 950
anni dalla morte: TM Anno di morte testo M. 930 1042 1140 1235 1290 1422 987 1656 1651 2006
2242
2 100 35
500 403
600 438
2 100 135
500 303
600 438
30 34
403 430
433 464
130 134
303 270
433 405
Quando la profezia diventa storia
Età alla nascita del primogen. 230 205 190 170 165 162 165 167 188 500 100
anni dalla nascita TM Resto Durata Anno di della totale nascita vita della testo M. vita 700 930 1 707 912 130 715 905 235 740 910 325 730 895 395 800 962 460 200 365 622 802 969 687 565 753 874 450 950 1056
2 100 135 130 130 134
500 400 330 330 270
600 535 460 460 404
1558 1658
2158 2096
1693 1723
2126 2187
895
CAPITOLO XXII
Peleg Reu Serug Nahor Terah fino alla chiamata di Abrahamo Dal Diluvio alla chiamata di Abrahamo
30 32 30 29 70
209 207 200 119 135
239 239 230 148 205
130 132 130 79 70
75
365
109 107 100 69 75
75
1017
404 239 239 230 148
130 132 130 179 70
145
75
209 207 200 125 135
339 339 330 304 205
1757 1787 1819 1849 1878
1996 2026 2049 1997 2083
1247
Integriamo questa cronologia con le seguenti comparazioni di diversi autori e codici dell’antichità: Samaritano X sec.
Vaticanus LXX V sec.
Alessandri nus LXX V sec.
Masoretico IX sec Vulgata V sec.
Libro dei Giubilei 50 d.C.
Flavio Giuseppe 37-95 d.C.
Clemente Alessandrino IIIsec
Giulio l’Africano IIIsec
Teofilo di Antiochia II sec.
Eusebio di Cesarea (265340)
Georges le Syncelle VIII sec.
Cronologia probabile
130 105 90 70 65 62 65 67 53 600 1307
230 205 190 170 165 162 165 167 188 600 2242
230 205 190 170 165 162 165 187 188 600 2262
130 105 90 70 65 162 65 187 182 600 1656
130 105 90 70 66 61 65 67 120 600 1374
230 205 190 170 165 162 165 137 182 600 2256
230 205 190 170 165 168 65 167 188 600 2148
230 205 190 170 165 162 165 187 188 600 2262
230 205 190 170 165 162 165 167 188 600 2242
230 205 190 170 165 162 165 167 188 600 2242
230 205 190 170 165 162 165 167 188 600 2242
230 205 190 170 165 162 165 187 182 600 2256
2 135
2 135 130 130 134 130 132
2 35
130 134 130 132
2 135 130 130 134 130 132
30 34 30 32
74 57 67 68 61 59
(12) 2 135 (?) 130 134 130 130
2 135 130 130 134 130 135
135 (?) 130 134 130 132
135 (?) 130 134 130 132
135 130 130 134 130 132
2 135 130 130 134 130 132
Serug Nahor
130 79
130 79
130 179
30 29
57 62
130 75
130 79
130 129
70
70
70
70
70
70
70
70
70
130
Totale
942
1072
1172
292
575
130 129 (79) 70 (120) 1250 1075 1175
130 79
Terah
132 120 (129) 70 (130) (292) 1182 1257
2 135 (?) 130 134 130 135 (132) 130 79
940 993
936
942 945
1070
1182
Patriarchi prima del Diluvio Genesi 5 Adamo Seth Enosch Cainam Mahaleel Jared Enoc Methushelah Lamec Noè Totale Patriarchi Dopo il Diluvio Genesi 11:10-32 Sem Arpacshad Cainam Scelah Eber Peleg Reu
Tra il testo Masoretico e gli altri riscontrare una diminuzione di 10, 100, 150 anni. Già Agostino (La Città di Dio, XV,13) sembra che sia il primo ad avere compreso che ci sia stato un cambiamento volontario e sistematico delle cifre degli anni. Oltre alla comparazione le prove che il testo Masoretico abbia subito delle correzioni sono: 1. Soppressione del patriarca postdiluviano Cainam, figlio di Arpacshad Con questo patriarca non si può giungere ai 5500 anni al tempo di Gesù. Cainam è citato dal padre della Chiesa del II secolo, tra cui Epifanio (Haeres, LXVI,83) e da altri, come figlio di Arpacshad padre di Scelah. Lo stesso Luca nel suo evangelo (3:36) lo elenca tra i patriarchi.
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I MILLE ANNI DELL’APOCALISSE E IL GIUDIZIO UNIVERSALE
2. Nel testo Masoretico la durata di vita di una generazione è più breve di tre quarti Genesi 15:13-16: «Sappi per certo che i tuoi discendenti dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro, e vi saranno schiavi, e saranno oppressi per quattrocento anni... E alla quarta generazione essi torneranno qua». Per la Genesi una generazione corrisponde a cento anni. Genesi 11:10 dice che «Sem, all’età di cent’anni generò Arpacshad». Se confrontiamo Genesi 11:32 che dice che Terah il padre di Abramo morì a 205 anni, con Genesi 12:4 che dice che Abramo aveva 75 anni quando lasciò il paese di Carran e con Atti 7:4 dove Luca dice che Abramo aveva 130 anni quando il padre morì, abbiamo che Terah avesse 130 anni quando generò Abramo. Ciò confermerebbe il principio che la generazione della Genesi si aggirasse sui 100 anni, mentre il testo Masoretico presenta la durata di una generazione di 30 anni. 3. L’età di Terah, padre di Abrahamo, è stata diminuita Dai testi menzionati (Genesi 11:32; 12:4; Atti 7:4) non si può non dedurre che Terah avesse 130 anni quando generò Abramo, ma ciò è in contrasto con Genesi 11:26 che gli attribuisce 70 anni. Evidentemente il testo Masoretico ha subito una diminuzione di 60 anni. 4. La morte prematura di Haran Genesi 11:28: «Haran morì in presenza di Terah suo padre». La morte di un figlio alla presenza del padre era un fatto così eccezionale in quel tempo e comunque unico nella cronologia biblica, che Mosè ha ritenuto opportuno farlo notare. Ora, se consideriamo la cronologia come la riporta il testo Masoretico, la morte del figlio prima del padre non è una eccezione, ma una regola: Noè vede la morte del suo discendente della V generazione (VI se si considera anche Cainam); Sem vede la morte di tutti i suoi discendenti, compresa quella di Abramo, tranne quella di Heber; Arpacshad, figlio di Sem, assiste alla morte dei suoi discendenti fino a Terah, padre di Abramo, ma non vede quella del figlio Scelah e del nipote Eber. È nella cronologia dei LXX che la morte di un figlio prima di quella del padre appare come un evento unico. Ogni patriarca può vedere i propri discendenti fino alla IV e V generazione senza avere il dolore della morte di qualcuno di loro.
Cronologia della LXX Diluvio 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100 1200 1300 1400 1500 | I | I | I | I | I | I | I | I | I | I | I | I | I | I | I
| I |
600 - - Noè (950) 350 100 - - Sem (600) 500 2 Arpacshad (535) 537 137 Cainam (460) 597 267 Scelah (460) 727 397 Eber (404) 801 53 Peleg (340) 871 661 Reu (330) 1000 793 Sarug (330)1123 923 Nahor (204)1127 1102 Terah (205)1307 1232 Abrhamo 1407 _________._________________._____________________________________.________.______________ 3390 a.C. 2993 a.C 2158 a.C. 1983 a.C.
Testo Masoretico
Diluvio 50 I
I
100
150
200
I
I
I
Nascita di Chiamata Morte di Abrahamo d’Abrah. Abrahamo 250 300 350 400 450 I
I
I
I
I
500
550
I
I
____________________________________________________________________________________ Quando la profezia diventa storia
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CAPITOLO XXII
-- 600 --100
Noè (950) 350 Sem (600) 500 2 Arpacshad (438) 440 37 Scelah (433) 470 67 Eber (464) 535 101 Peleg (239) 340 131 Reu (239) 370 163 Serug (230) 393 193 Nahor (148) 331 222 Terah (205) 427 292 Abrahamo (175) 467
___._________________________________________.__________.______________.___________ 2450 a.C 2158 a.C. 2083 a.C. 1983 a.C.
5. Problema demografico Se supponiamo che la popolazione si raddoppi ogni 25 anni, accelerazione mai avuta nel passato, possiamo avere il seguente quadro: Anni 1 25 50 75 100 125 150 175 200 225
Popolazione 8 16 32 64 123 256 512 1.024 2.048 4.096
Anni 250 275 300 325 350 375 400 425 450 475
Popolazione 8.192 16.384 32.768 65.536 131.072 262.144 524.288 1.048.576 2.097.152 4.194.304
Anni 500 525 550 575 600 625 650 675 700
Popolazione 8.388.608 16.777.216 33.554.432 67.108.864 134.217.728 268.435.456 536.870.912 1.073.741.824 2.147.483.648
Se consideriamo la cronologia masoretica al tempo della nascita di Abrahamo, dopo 292 anni dal diluvio, la popolazione mondiale contava circa 30.000 persone. Cifra chiaramente insufficiente per la popolazione del secondo millennio avanti Cristo, tempo di splendore per la civiltà egiziana e mesopotamica, come l’archeologia ci dimostra. Una popolazione così esigua non spiega la costruzione delle città elencate in Genesi 10:10,12. L’evoluzione politica, sociale e religiosa richiedeva un tempo più lungo. La morte di Noè, 350 anni dopo il Diluvio, non fa pensare a un cambiamento avvenuto nella vita postdiluviana. Dal patto, all’uscita dall’arca, alla benedizione prima della morte (Genesi 9), il testo biblico permette le seguenti considerazioni: a) l’organizzazione politica non va oltre al sistema patriarcale. I figli di Noè fino alla sua morte sono vissuti accanto a lui; b) per 350 anni sembra che si viva ancora sotto le tende e si coltivi la terra. La stessa cosa si può dire per la durata della vita di Sem, 502 anni (Genesi 11:10,11); c) religiosamente non ci sono cambiamenti e neppure sono profeticamente visti da Noè. Nulla lascia intravedere il politeismo delle città caldee, che secondo la cronologia masoretica dovevano essere contemporanee a Noè. La costruzione della torre di Babele fa pensare a un lasso di tempo superiore ai 292 anni dal Diluvio. Sem non sarebbe solo contemporaneo di Abrahamo e continuerebbe a vivere dopo di lui altri 33 anni. 6. Età della procreazione Stando al testo masoretico, i patriarchi avrebbero avuto il primo figlio tra i 29 e i 35 anni, ad eccezione di Terah che lo ebbe a 70. La pubertà viene calcolata come essendo la III o la IV parte della vita, anche la V, ma mai la VII. Eber generò a 34 anni il primo figlio e visse 464 anni. Si arriva così alla XIII-XIV parte della vita. Ciò sembrerebbe contrario alle leggi fisiologiche. Inoltre Esaù prende moglie a 40 anni, mentre il fratello Giacobbe a 50. Ismaele all’età di 18 anni è sotto la protezione della madre. E i gemelli di Isacco quando vengono benedetti hanno quarant’anni e sono considerati come dei giovani, vivono in famiglia. Perché il testo biblico è stato cambiato? Questa modifica avviene tra il III e il IV secolo della nostra èra, quando gli apologisti cristiani polemizzavano col mondo ebraico che, senza un fondamento biblico, insegnava che il Messia sarebbe venuto alla fine del VI millennio ed
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I MILLE ANNI DELL’APOCALISSE E IL GIUDIZIO UNIVERSALE
calamità di ogni genere, è forzato ora di ammirarne per secoli l’immutabile desolazione. L’inattività forzata di Satana è comparata a un imprigionamento. Al posto di cercare in questa incarcerazione la CAUSA e il punto di partenza di tutta una serie di avvenimenti immaginari di cui l’Apocalisse non dice parola, come la conversione del mondo e la sua trasformazione in un paradiso durante il millennio bisogna vedervi un effetto, un RISULTATO NECESSARIO DELLE CAUSE precedentemente enumerate».47 Contro coloro che credono che Satana sia stato legato con il trionfo del Cristianesimo ai tempi di Costantino o in qualche altro momento della storia della cristianità c’è da fare una semplice constatazione: l’opera di Satana non è stata mai
avrebbe inaugurato il VII. Forse il testo del Salmo 90:4 poteva essere di supporto. È probabile che questo pensiero avesse un’origine persiana. Infatti i Magusei, magi di Persia, insegnavano che alla fine dei tempi, dopo seimila anni di storia, ci sarebbe stata un’èra d’oro di mille anni, sotto il regno del Sole (Cumont) il quale avrebbe imposto la sua legge e il suo regno sulla terra (vedere voce Millennio, in Enciclopedia della Bibbia, LDC, vol. IV, p. 1198; CURONI F., La fin du monde selon les mages occidentaux, in Revue de l’Histoire des Religions, t. 103, 1931, pp. 29-96). Sembra che i Padri della Chiesa avessero accettato questa tradizione e si basassero su di essa per annunciare la venuta del Signore alla fine del VI millennio, come faceva anche Agostino. Nel mondo ebraico questo pensiero riappare nel VI-VII secolo, come viene confermato nel Talmud e nella Gemara. Ma in quel tempo il VI millennio viene presentato come qualcosa che riguarda il futuro e non una realtà del passato. I rabbini insegnavano che il Messia sarebbe venuto dopo duemila anni di inanità, duemila anni di legge e duemila anni di attesa messianica. Il redattore di questa tradizione, verso il 974, precisava che i peccati d’Israele avevano ritardato la realizzazione e il secondo periodo si allungava a danno del terzo. Questo modo di pensare al Messia che deve venire nel futuro è in contrasto con gli evangeli che presentano l’attesa messianica come qualcosa di imminente (Luca 2:25-28; 3:15; 19:11; Giovanni 1:19,21,25; 10:24). Non solo il VI millennio è nel passato, ma anche il VII, che avrebbe dovuto essere di pace, da cinquecento anni fa parte della storia e ci racconta la tragedia del nostro mondo. Riteniamo inoltre che sia anche opportuno chiederci se le genealogie della Genesi abbiamo un valore cronologico assoluto. «In nessuna parte l’autore somma i numeri o suggerisce che potrebbe farlo il lettore. In nessun parte della Bibbia alcun autore ispirato trae una affermazione cronologica da queste genealogie». «La Bibbia non somma mai le varie età che fornisce, né dà mai l’impressione che le vite degli uomini che nomina si sovrappongano per qualche tempo». Inoltre «i numeri sottolineano la mortalità dei patriarchi a dispetto della loro longevità che decresce significativamente dopo il diluvio. Per mostrare la durata della vita e come essa si fosse gradualmente abbreviata, l’autore non aveva bisogno di ogni singolo individuo della discendenza di Adamo fino ad Abramo. Tutto ciò di cui aveva bisogno era una serie di vite specifiche con il relativo numero di anni». «Pure la struttura delle genealogie di Genesi 5 e 11 può favorire la convinzione che esse non contengano tutti i nomi delle rispettive linee genealogiche. La loro regolarità sembra indicare una sistemazione intenzionale. Ogni genealogia include 10 nomi, e ognuna finisce con un padre che ha tre figli. Come la genealogia di Matteo 1 è sistemata in tre periodi di 14 generazioni facendo risaltare i nomi necessari, così è possibile che la simmetria di queste antiche genealogie sia più artificiale che naturale». «Nel Vicino Oriente antico era pratica comune quella di usare l’espressione “figlio di” nel senso di “discendente da”. Un esempio ben conosciuto si trova sul famoso obelisco nero di Shulmaneser III, dove Jehu è chiamato figlio di Omri, mentre in realtà egli non apparteneva neppure alla sua stessa dinastia ma ne era solo il successore. Un interessante esempio egiziano viene da un breve testo in cui il faraone Trihakah (c. 670 a.C.) rende onore al suo “padre” Sesostri III (c. 1870 a.C.). Questi due re non solo erano separati da 1200 anni, ma appartenevano a dinastie totalmente differenti. Anche se bisogna essere cauti con i paralleli moderni, un terzo esempio può essere preso dai criteri genealogici in uso presso gli Arabi, criteri simili a quelli dei loro antichi predecessori semiti. Il recente re dell’Arabia Saudita, Abdul ‘Aziz, era chiamato Ibn Sa’ud (o “figlio di Sa’ud”), sebbene in realtà egli fosse figlio di AbdurRahman. Sa’ud, di cui prese il nome, era morto nel 1724. Così, anche gli Arabi menzionano solo anelli esemplari nella loro catena genealogica» LAWRENCE T. GERATY, The Genesis Genealogies as an Index of Time, in Spectrum, n. 6, 1974, numero doppio, 1 e 2, pp. 5-18. Una critica può essere fatta: Nella genealogie della Genesi i figli non vengono menzionati come “figli di”, ma è detto che i padri hanno generato il proprio figlio. 47 J. Vuilleumier, o.c., pp. 337,336. Gli spiriti decaduti non possono essere ritenuti con catene ordinarie, vedere Luca 8:26-33. Quando la profezia diventa storia
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così attiva come ora. Il relegamento del seduttore è futuro e il millennio non è ancora iniziato. «Attualmente il diavolo è il dio di questo secolo e lo spirito che regna è il suo: lo si constata nei diversi aspetti della vita umana. La politica è spesso diretta da uno spirito diabolico, così la cultura. Le arti e le scienze si sviluppano sotto l’influsso dello stesso principe. Di modo che lo Stato, le arti e le scienze, al posto di essere consacrate alla gloria di Dio e allo sviluppo dei princìpi divini, sono impiegate per tutti altri scopi e si vedono spesso i cristiani obbligati ad astenersi da queste diverse attività non perché siano cattive in sé, ma perché il male vi predomina completamente. L’avversario viene relegato nell’abisso. Bisogna guardarsi dal confondere l’abisso con l’inferno. L’inferno è la vera perdizione, la morte seconda, il lago di fuoco. L’abisso è la dimora dei reprobi e dei demoni che sono in attesa del giudizio ultimo».48 Il termine abisso ha un significato complesso. Può significare oceano, profondità, oppure sepolcro, dove scendono le generazioni degli uomini. Qui nel nostro testo la parola abisso vuole significare il ‘‘caos’’, il deserto, e viene giustamente applicato alla superficie della terra sconvolta dai terribili elementi cosmici che precederanno il ritorno di Cristo dopo le sette ultime piaghe. Dopo la settima piaga, con il suo cataclisma, la terra non può essere vista da Giovanni che come un abisso. L’apostolo Pietro nella sua seconda lettera scriveva: «Il giorno del Signore verrà come un ladro; in esso i cieli passeranno stridendo, e gli elementi infiammati si dissolveranno, e la terra e le opere che sono in essa saranno arse. Poiché... tutte queste cose hanno da dissolversi».49 La prima volta che nel testo sacro si parla dell’abisso è in Genesi I, alla creazione, quando la terra ancora «era informe e vuota, e le tenebre coprivano la faccia dell’abisso». L’abisso era lo stato caotico, di inabitabilità, del nostro globo all’inizio dell’organizzazione creativa descritta in sei giorni, e lo sarà alla fine del mondo quando la terra sarà nuovamente «deserta e vuota». L’espressione ebraica “tohu vabohu” ha il senso di “assolutamente vuoto”. Geremia la usa «per indicare una mancanza assoluta di esseri e di luce (ritorno al caos) e Isaia la usa per esprimere una distruzione totale».50 Questo imprigionamento preventivo, millenario, del capo degli angeli è d’altronde chiaramente insegnato nel simbolismo del rituale mosaico, del giorno dell’espiazione del santuario israelitico, quando il capro per Azazel, caricato di tutti i peccati confessati, che il popolo aveva commesso durante l’anno, veniva portato nel deserto, in terra solitaria, dove era abbandonato alla sua fine.51
48
A. Reymond, o.c., t. II, pp. 121,116; vedere 2 Pietro 2:4; Giuda 6. 2 Pietro 3:10,11; vedere Apocalisse 16; 6:12-14. 50 La Bible Annotée, Ancien Testament - Livres Historiques, t. I, Genèse, Neuchâtel 1889, p. 73; Genesi 1:2; Geremia 4:23; Isaia 24:11. 51 Levitico 16:21,22; vedere il nostro Capitolo XIII, p. 485 e seg. 49
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Quando la profezia diventa storia
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Per mille anni Satana e i suoi angeli non potranno sedurre nessuno perché la terra sarà privata dalla vita degli uomini. L’abisso verrà sigillato, cioè chiuso ermeticamente. «Confinato su questa terra, egli non avrà accesso ad altri mondi per tentare e disturbare coloro che non hanno mai peccato».52 «La terra è vuota. L’assenza di Dio e della vita costituisce il suo ambiente naturale. Il diavolo è condannato al deserto e al nulla, come già il serpente era stato condannato alla polvere.53 Questa idea è ugualmente attestata nella tradizione giudaica e si ritrova nel libro di Enoc. Uno scritto contemporaneo in cui Dio ordina a Raffaele di incatenare Azazel e di gettarlo nelle tenebre del deserto54».55 Coloro che non vedono in questo periodo di mille anni un tempo letterale scrivono: «La cifra di mille anni è evidentemente simbolica, come la maggior parte dei numeri che figurano nell’Apocalisse. Essa assegna un tempo determinato, per conseguenza una fine a questo periodo... Il pensiero fondamentale che vi si rivela non è difficile a cogliere. Mille è 1a terza potenza di dieci, dieci è il numero del compimento, della perfezione terrestre. La terra sarà dunque allora tutta penetrata dalle virtù celesti, poiché questo sarà il supremo compimento delle vie di Dio quaggiù, la conclusione di tutto ciò che ha fatto in favore di un mondo immerso nel male. Dopo questo, lasciamo a Dio la cura di determinare la durata esatta di questa epoca».56 In linea con questo pensiero, J. Doukhan scrive: «Nel contesto dell’Apocalisse l’impiego di questa durata in cifra tonda riveste un valore simbolico. L’espressione “mille” nel numero 144.000 ha significato di moltitudine. Nella tradizione ebraica, il numero mille è sovente utilizzato per simboleggiare l’idea di molti.57 Questo simbolo è soprattutto in relazione al tempo.58 Nel contesto di questa prospettiva biblica, ci sono valide ragioni per pensare che l’Apocalisse intenda il numero “mille” nel senso simbolico di “molti anni”. Nella piccola apocalisse, come i commentatori chiamano Isaia 24 e 25, la terra viene ridotta in “deserto”.59 Dio punirà l’esercito del cielo per “un gran numero di giorni”.60 Il senso simbolico di mille anni non esclude pur tuttavia la realtà di questa durata. È molto probabile, dopo tutto, che i mille anni coprano veramente un periodo di mille anni. Ma questa cosa non è molto importante. A questo stadio e nella prospettiva
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WHITE Ellen, I1 gran conflitto, Firenze 1977, p. 479. Genesi 3:14. Enoc 18:12-16; 19:1,2; 21:1-6. J. Doukhan, o.c., pp. 246,247. A. Reymond, o.c., t. II, pp. 152,153; K. Auberlen, o.c., p. 353. Salmo 97:1; 119:72; 1 Cronache 16:15; Ecclesiaste 7:28; Ezechiele 30:17. Vedere Salmo 90:4; Ecclesiaste 6:6; 6:3. Isaia 24:10; confr. Genesi 1:2. Isaia 24:21, 22. Quando la profezia diventa storia
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dell’eternità al di là della storia umana, la nozione di durata non si concepisce più secondo le nostre categorie».61
Nel cielo La Chiesa di tutti i tempi, a seguito della parusia e della resurrezione dei morti, è stata portata in cielo per stare con il suo Signore, che ha preparato un luogo per lei. «Poi vidi dei troni; e a coloro che vi si sedettero fu dato il potere di giudicare. E vidi le anime di quelli che erano stati decollati per la testimonianza di Gesù e per la parola di Dio, e di quelli che non avevano adorato la bestia né la sua immagine, e non avevano preso il marchio sulla loro fronte e sulla loro mano; ed essi tornarono in vita e regnarono con Cristo mille anni. Il rimanente dei morti non tornò in vita prima che fossero compiuti i mille anni. Questa è la prima risurrezione. Beato e santo è colui che partecipa alla prima resurrezione. Su loro non ha podestà la morte seconda, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui quei mille anni».62 «Niente indica nel testo che il regno dei martiri glorificati con il Cristo si debba installare sulla terra».63 «Notate - osserva Filon -, non c’è il minimo indizio che indichi che questo regno si attuerà sulla terra»64 e il cattolico J.L. d’Aragon scrive: «In nessun passo si dice che i martiri regneranno “sulla terra” con Cristo».65 Molti studiosi dicono che non c’è nessun riferimento a un regno millenario sulla terra. Robert Mounce afferma che il testo di Giovanni «non contiene nessuna specifica indicazione che coloro che regnano con Cristo si sistemeranno sulla terra».66 Leon Morris da parte sua dice che Giovanni «non ha detto che esso (il millennio) si
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«Poiché “mille anni”, è anche la durata dell’età della prima generazione degli uomini prima del diluvio (Adamo 930 anni; Jared 962; Matusalemme 969; Noè 950; ecc.), il ricorrere a “mille anni” significa il ritorno all’età antidiluviana, al tempo del giardino dell’Eden. Si ritrova lo stesso linguaggio nel libro del profeta Isaia dove la speranza di “nuovi cieli” e “di una nuova terra” (Isaia 65:17) è poeticamente nella nostalgia dell’età d’oro antidiluviana, quando morire a cento anni era morire giovane (Isaia 65:20), e quando gli uomini vivevano così tanto come gli alberi (Isaia 65:22). L’Apocalisse farebbe dunque da diapason ad Isaia, per farci comprendere che si ritroverà allora la felicità e la qualità della vita dell’inizio della storia umana. I mille anni rappresentano in effetti i primi passi del genere umano nell’eternità» J. Doukhan, pp. 247-249. 62 Apocalisse 20:4-6. Per la Chiesa portata in cielo vedere 1 Tessalonicesi 4:13-18. 63 HUBY Joseph, Autour de l’Apocalypse, in Dieu vivant, n. 5, Paris 1946, p. 129. 64 FILON, La Sainte Bible, vol. VIII, 1925, p. 872. 65 D’ARAGON Jean Louis, L’Apocalisse, in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia 1974, p. 1467. 66 MOUNCE Robert Hayden, The Book of Revelation, The New International Commentary on the New Testament, Grand Rapids, N. Eerdmans, F. F. Bruce, 1977, p. 351.
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istalla sulla terra, e può essere collocato in cielo».67 Una nota della Oxford Annotated Bible dice: «Bisogna essere coscienti di leggere all’interno di questo passo ciò che è evidente, ad esempio nulla è detto qui di un regno sulla terra».68 Spiega J. Badina: «Non c’è un esplicito riferimento al cielo nei versetti 4-6, ma la veduta avventista, detta celeste premillenarista, è sostenuta dai seguenti argomenti: - I salvati vanno in cielo con Gesù quando ritornerà. È ciò che Gesù aveva promesso nella camera alta. - Giovanni vede i troni in cielo. La parola “trono” è usata 47 volte nel libro dell’Apocalisse e sempre in relazione con Dio o Cristo in cielo.69 È quindi ragionevole concludere che i troni dal versetto 4 siano in cielo. - Giovanni vede in questo capitolo XX le persone che non hanno adorato la bestia e la sua immagine. Avendo ottenuto la “vittoria sulla bestia, sulla sua immagine e sul numero del suo nome” Giovanni le vide “in piedi sul mare di vetro avendo delle arpe in mano”.70 La parola “vincitore” del capitolo XV:2 è usata anche nel capitolo III:21 in riferimento ai credenti che si sederanno sul trono di Gesù ai quali ha promesso: “A chi vince io darò di sedere con me sul mio trono”. Leggendo assieme questi tre testi di Apocalisse III:21; XV:2 e XX:4, la conclusione è che i troni del millennio sono in cielo. Gli avventisti credono che Apocalisse XX:1-3 descriva gli eventi sulla terra all’inizio e durante il millennio, mentre i versetti 4-6 descrivano ciò che avviene in cielo nello stesso periodo».71 Scrive il cattolico Beda Rigaux: «Il regno di mille anni non è il regno terrestre ma un regno celeste».72 I salvati regneranno nel cielo con Gesù Cristo durante mille anni. Questo brano che illumina altre dichiarazioni di Gesù e di Paolo sul giudizio è stato considerato da molti difficile e incomprensibile, prendendo a pretesto della loro esegesi le difficoltà linguistiche che il testo presenta, difficoltà che poi si incontrano
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MORRIS Leon, The Revelation of St. John. An Introduction and Commentary, Grand Rapids, 1969, p. 234. The New Oxford Annotated Bible - Revised Standard Version, ed. Herbert G. May and Bruce M. Metzger, New York 1973, nota su Apocalisse 20:1-6; cit. da J. Badina, o.c., p. 241. 69 L. Morris, o.c., p. 236 Ci sono alcune eccezioni: 2:13, il trono di Satana è a Pergamo; 13:2, il dragone dà il suo trono alla bestia; 16:10, il quinto angelo versò la sua coppa sul trono della bestia. Così i soli troni esistenti sulla terra dal capitolo 1 al capitolo 19 sono i troni di Satana, del dragone e della bestia, tutti nemici di Dio. In contrapposizione, il trono di Dio e dell’Agnello è in cielo. 70 Apocalisse 15:2. 71 J. Badina, o.c., pp. 239,240. «Così essi vedono un salire dalla terra al cielo nel versetto 4, e dal cielo ritornano sulla terra nel versetto 7. Non si tratta di qualcosa di nuovo. Lo scambio di prospettiva dalla terra al cielo è una caratteristica comune dei libri apocalittici di Daniele e dell’Apocalisse. Per esempio, gli eventi di Apocalisse 7:1-8 sono collocati sulla terra, poi Giovanni descrive ciò che vede in cielo (7:9-17), ma senza usare la parola “cielo”. È quindi possibile che vi sia la stessa alternanza terra-cielo-terra nel testo di 20:1-10 anche se la parola “cielo” non è presente nel testo dei versetti 4-6» idem, pp. 240,241. 72 Abate P. BEDA RIGAUX O.F.M., L’antichrist et l’opposition au Royaume Messianique dans l’Ancien et le Nouveau Testament, Paris 1932, p. 337. 68
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in tutto lo scritto di Giovanni che, come abbiamo detto, non è scritto in buon greco, a differenza dell’Evangelo e delle epistole.73 Per rendere il brano più comprensibile, vogliamo ricordare che vari autorevoli manoscritti hanno le parole: «Il rimanente dei morti non tornò in vita prima che fossero compiuti i mille anni» poste tra due parentesi in modo che la frase che segue «questa è la prima resurrezione», si troverebbe ad essere il seguito diretto della frase che precede la parentesi.74 Il brano ci offre una delle sette beatitudini: «Beato e santo è colui che partecipa alla prima resurrezione». Purtroppo coloro che non hanno compreso questo capitolo dell’Apocalisse, come il C. Brütsch per esempio, scrivono: «La quinta beatitudine prova che Giovanni attribuisce una grande importanza a questa prima resurrezione, che provoca le nostre perplessità».75 L’apostolo scrive che chi risorge alla prima resurrezione ha il privilegio di trascorrere il millennio con il Signore nel cielo e partecipare all’opera di giudizio. Alla fine del millennio ci sarà la seconda resurrezione, sarà quella dei non salvati, sarà una resurrezione di giudizio. «È ben certo che i dottori ebrei insegnavano una doppia resurrezione: quella dei giusti alla venuta del Messia, e quella di tutti gli uomini nel giorno del Giudizio».76
73 BARTINA Sebastian del versetto 4 scrive: «Tutto il contenuto è grammaticalmente scompigliato. Manca di soggetto (per esempio al verbo: “Essi si sedettero”); accusativo (“le anime”) è staccato, seguito da un nominativo (“e quelli...”); se si tratta di un accusativo va con il precedente; se è un nominativo indipendente, il senso varia discretamente. Tutti gli sforzi intrapresi per organizzare la sintassi imbrogliata... sono poco soddisfacenti». Ma la sintassi non è più facile nel resto dell’Apocalisse. Quanto al contenuto de «la pericope 20:4-6, scrive A. WIKENHAUSER, è d’una tale brevità ristretta che non si può fare una vera rappresentazione del regno millenario». E. LOHMEYER parla di una «aridità intenzionale», cit. BRÜTSCH Charles, La clartée de l’Apocalypse, Genève 1966, p. 323. Per lo stile dell’Apocalisse vedere Appendice n. 5. 74 La frase «il resto dei morti non tornò in vita prima che fossero compiuti i mille anni» 20:5 non c’è nei sei principali manoscritti unciali: Papiro Chester Beatty; Sinaiticus del III secolo, contiene soltanto la parte che va da 9:10 a 17:2; Rescriptus Ephraemi del V secolo, manca tutto il capitolo 20; Porfitianus IX o X secolo è mancante dei primi nove versetti del capitolo 20; nel Codex Vaticanus del IV secolo il testo dell’Apocalisse è andato perduto; la Peshitta, inizio V secolo, non ha mai contenuto le lettere di 2 Pietro, 2 e 3 Giovanni, Giuda e Apocalisse, perché la Chiesa di Siria non li riconosceva come canonici - il testo dell’Apocalisse che appare nelle moderne edizioni stampate della Peshitta dal 1627 fu preso in prestito da una successiva traduzione siriaca dal nome Harkleiana. Nei manoscritti minuscoli manca nel Sinaiticus e in alcuni altri. I testimoni antichi che contengono l’Apocalisse sono meno numerosi di quelli che contengono gli Evangeli, il libro degli Atti o le epistole paoline. Il testo si trova nell’Alessandrinus, IV secolo e in un gran numero di manoscritti minuscoli. Il procedimento che porta ad accettare una lettura biblica è molto complesso. Tenuto conto di questo, in genere gli studiosi accettano la frase come genuina. Per questo motivo essa appare nella maggioranza delle traduzioni. Il fatto che alcuni traduttori pongano questa frase tra parentesi non significa necessariamente che essi dubitino della lettura: possono soltanto voler dire che considerano la frase come parentetica. Il contesto non crea nessun problema alla frase in questione. Quanto essa afferma è chiaramente implicito nel resto del brano, specialmente quando lo si compara ad altri testi biblici che hanno a che fare con l’argomento. La Bibbia parla di due resurrezioni: quella dei giusti e quella degli ingiusti (Giovanni 5:28,29; Atti 24:5). Quella dei giusti è in relazione alla seconda venuta di Cristo (1 Tessalonicesi 4:13-17). Vedere Seventh Day Adventist Bible Commentary, vol. VII, Review and Herald, Washington D.C. 1957, pp. 883-885. 75 C. Brütsch, o.c., p. 328. 76 Christian GINSBERG et Alfred EDERSHEIM, L’Israélite de la naissance à la mort, Genève 1896, p. 168. Nel Dictionnaire Encyclopédique de la Bible di Westphal, t. II, p. 558 così viene riassunto questo insegnamento: «I1 momento della resurrezione. La resurrezione si produrrà: dopo il giudizio, per ricevere in eredità la gloria del regno messianico: Enoc 90:29-33,108. Immediatamente prima dell’èra messianica: Enoc 51:1. Al momento del regno
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Queste due resurrezioni sono da prendersi letteralmente e numerose sono le argomentazioni a tale proposito,77 sebbene, come su numerosi altri insegnamenti evidenti della parola di Dio, si dica il contrario. È la non accettazione di quanto dice il messianico: Pseudo Esdra 7:28. Immediatamente dopo l’era messianica: Enoc 91:10; 92:3; Apocalisse di Baruc 40:42; Pseudo Esdra 7: 9-32». 77 D. Ford nella sua opera (pp. 718,719) ha presentato 15 motivazioni che noi riassumiamo in 14: 1. Ladd dice molto bene: «La frase “essi tornarono ancora in vita” è la traduzione dell’espressione greca, ezesan. La croce di tutto l’esegetico problema è nel significato di questa parola. È vero che la parola può avere il significato di entrare nella vita spirituale (Giovanni 5:25), ma essa non è però mai usata con il significato di una “resurrezione spirituale” delle anime dei giusti dalla morte. La parola è sempre usata per indicare la resurrezione del corpo in Giovanni 11:25; Romani 14:9; Apocalisse 1:18; 2:8; 13:14; e molti commentatori ammettono che questo sia il significato nel versetto 5. “Il resto dei morti non venne alla vita fino a quando i mille anni furono compiuti”. Se ezesan nel versetto 4 indica una resurrezione della vita spirituale dei convertiti, o la vita dopo la morte nello stato intermediario, noi siamo confrontati col problema del significato della stessa parola usata nello stesso contesto con due significati interamente diversi, senza una indicazione del perché di questo cambiamento di significato» LADD George Eldon, The Revelation and Jewish Apocalyptic, EQ, XXX, 1957, pp. 265,266. Vedere nota n. 83 u.p. 2. La parola anastasi è tradotta con resurrezione, e la stessa parola è usata 39 volte nel Nuovo Testamento sempre per indicare la resurrezione del corpo. Per indicare una resurrezione spirituale si usano altre espressioni. Vedere nota n. 83 s.p. 3. Nessun cristiano dubita che la seconda resurrezione o la resurrezione generale descritta ai versetti 5 e 12 sarà letteralmente realizzata. È quindi difficile immaginare che la prima sia di natura diversa. 4. In Apocalisse 20 è esplicitamente detto che molti che risorgono alla prima resurrezione erano stati letteralmente decapitati nel fisico. Perciò la loro resurrezione deve essere intesa nel senso fisico. Se la loro morte è stata fisica la loro resurrezione lo sarà altrettanto. 5. Poiché è detto di quei risuscitati che erano beati e santi, questo permette di affermare che la loro resurrezione spirituale era precedente all’evento della resurrezione fisica. 6. La parola anima è nella Sacra Scrittura riferita alle persone che vivono nella carne: Atti 7:14; 27:37; 1 Pietro 3:20, e per “le loro anime” vedere 1 Samuele 25:29; Genesi 46:15,18,22,26; Romani 2:9,10. Vedere nota n. 83 pp. 7. Altrove Paolo esprime questa speranza di «giungere alla resurrezione dei morti» Filippesi 3:11. Se tutti, buoni o cattivi, saranno risuscitati nello stesso tempo, non sarebbe possibile sfuggire alla resurrezione. Il greco letteralmente dice: “resurrezione d’in fra i morti”. OLSHAUSEN scrive che «la frase sarebbe incomprensibile se non fosse derivata dall’idea che dall’insieme dei morti qualcuno sarebbe risuscitato per primo». 8. Alcuni, tra cui Tregelles, hanno tradotto Daniele 12:2 come segue: «Molti tra quelli che dormono nella polvere della terra si sveglieranno, questi per la vita eterna; ma quelli (il resto di quelli che dormono e non si svegliano in quel tempo) saranno nell’obbrobrio». 9. Altri testi fanno chiaramente comprendere che ci siano due resurrezioni: “la resurrezione di vita” Giovanni 5:29; di “vita eterna” Daniele 12:2; “del giusto” Luca 14:4; “una migliore resurrezione” Ebrei 11:35; “morti in Cristo” 1 Tessalonicesi 4:16; “quelli che sono di Cristo alla sua venuta” 1 Corinzi 15:23. Il contesto mostra che la resurrezione che viene menzionata è distinta da quella dei non salvati. 10. 1 Corinzi 15:23 suggerisce un ordine definito nella resurrezione. La parola “ordine” è tagma, termine militare che indica un gruppo o un reggimento. L’apostolo vede due gruppi ampiamente separati in cui ogni uomo è inserito nel proprio reggimento o divisione. La parola greca eita “allora”, non significa immediatamente dopo, Marco 4:28; Galati 2:1. 11. Altrove in Apocalisse l’uso di zao ha valore di “rivivere”, “vivere ancora”, in riferimento al corpo che è morto (Apocalisse 2:8; 13:14; 20:5). 12. Nella frase “prima resurrezione” e “seconda resurrezione” una separazione di tempo è implicita. Se indica un cambiamento da una degradata e disgraziata condizione, temporale o spirituale, può infatti essere figurativamente chiamata una resurrezione, una resurrezione a vita, a felicità; ma non avrebbe senso dire prima resurrezione. Questa espressione indica chiaramente una comparazione con una seconda, nella quale la prima è dello stesso genere. 13. Nel testo c’è una analogia col matrimonio orientale quando lo sposo andava a prendere la sposa dalla casa di suo padre per portarla al banchetto nuziale che ha attinenza sia con Apocalisse 20, sia pure con Apocalisse 19. Il millennio sarà in cielo non sulla terra, perché la sposa dalla terra viene portata al banchetto nuziale in cielo. 14. La Bibbia non parla che della risurrezione dei giusti alla venuta di Gesù. Quando la profezia diventa storia
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testo biblico che discredita il millennio, facendone una dottrina bizzarra. Alcuni hanno tentato di spiritualizzare la prima o la seconda, vedendole come conversioni. Il versetto 5 «esprime l’opposizione tra “coloro che torneranno alla vita all’inizio del millennio ed il resto dei morti che non torneranno a vivere che più tardi, dopo i mille anni”, esso mostra in modo evidente il senso della parola resurrezione. Il loro stato di morte durante i mille anni prova che, quando essi risusciteranno, riprenderanno un corpo. Se la risurrezione chiamata “prima” fosse spirituale, la “seconda”, dovrebbe esserlo altrettanto. Ma se la seconda è corporale, come è il caso qui, la prima lo sarà ugualmente. Tutta la Chiesa cristiana dei primi secoli e un gran numero dei migliori interpreti l’intendono così, e danno alla parola resurrezione il suo senso ordinario e corporale».78 «È chiaro che qui sono distinte due resurrezioni corporali; la prima al momento dell’avvento del Cristo, prima del millennio e abbraccia i salvati che regneranno con Cristo durante i mille anni; la seconda... alla fine del millennio in vista del giudizio finale di cui parlano i versetti 10-15».79 L’apostolo Paolo stesso definisce la resurrezione dei giusti al momento della parusia, manifestazione in gloria di Gesù la «prima resurrezione». Scrive «i morti in Cristo (al momento del suo ritorno) risusciteranno i “primi” »80. «La prima resurrezione riceve diversi nomi: resurrezione dei giusti..., resurrezione migliore..., resurrezione di vita..., resurrezione di fra i morti; resurrezione di scelta che risuscita gli uni, mentre lascia coloro ai quali è destinata la resurrezione di condanna. La seconda resurrezione, quella dei malvagi, è abitualmente nominata resurrezione di condanna. La Scrittura traccia in più posti una linea di demarcazione tra le due resurrezioni, e quando le unisce nello stesso brano la resurrezione dei buoni occupa il primo posto».81 Coloro che risuscitano al ritorno del Cristo saranno «sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con lui mille anni». Saranno un regno di sacerdoti, come aveva già detto
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A. Reymond, o.c., t. II, p. 135. BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 135. 80 1 Tessalonicesi 4:16. 81 A. Reymond, o.c., t. II, p. 134; vedere Luca 14:14; Ebrei 11:35; Giovanni 5:39; Filippesi 3:10,11; Giovanni 5:39. «Non bisogna confondere, malgrado certi passi che sembrano considerare un solo grande avvenimento tre atti distinti e successivi: la parusia, la resurrezione e il giudizio definitivo (Matteo 13:30,40-43,49,50; 24:37-42; 25:113,31-46; Giovanni 5:28,29). Si può anche citare 1 Corinzi 15:23; Filippesi 3:11; 1 Tessalonicesi 4:15-18» Idem. Possiamo, secondo A. Gretillat, riassumere questo insegnamento nei termini seguenti: «La dottrina d’una doppia resurrezione era di quelle che non potevano figurare ancora nell’insegnamento propedeutico del Signore. Egli la nomina solo in Luca 14:14; 20:35 (controversia con i sadducei) e a diverse riprese nel suo discorso di Galilea (Giovanni 6:40): “Or è questa la volontà di colui che mi ha inviato, che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia la vita eterna e io lo risusciterò all’ultimo giorno”. Per contro, in Giovanni 5:28,29, Gesù nomina una doppia resurrezione, ma senza menzionare ancora l’intervallo che deve separarle l’una dall’altra. Paolo fa la stessa cosa nel suo discorso a Felice (Atti 24:15). L’intervallo dei due fatti si trova indicato di già sotto la penna dell’apostolo, ma sotto una forma ancora molto sommaria (1 Corinzi 15:23-26), in cui sono distinte tre epoche di resurrezioni: quella del Cristo, quella degli eletti, infine la resurrezione generale. La dottrina della doppia resurrezione riceverà i suoi contorni definitivi in Apocalisse 20:5,6» o.c., t. II, p. 579. 79
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Giovanni.82 Questi riscattati saranno sacerdoti, non perché dovranno mediare per qualcuno, come quando il sacerdote entrava nel santuario per rappresentare il popolo davanti a Dio e quando usciva per rappresentare Dio davanti al popolo, ma perché essi stessi, tutti quanti, hanno il libero accesso alla presenza della gloria di Dio, al trono della grazia, essendo diventati la dimora di Dio. Saranno re, non perché dovranno regnare su qualcuno, avendo quindi dei sudditi (l’umanità non salvata giace sulla terra), non ci sarà nessuno che dovrà obbedire, ma perché, partecipando alla dignità regale del loro Re, Cristo Gesù, sono stati liberati da ogni servitù fisica, morale e non subiscono il dominio di nessuno. Ma, pur essendo re, accettano sopra di loro la signoria del Padre e del Figlio con la volontà di servirli per l’eternità. A questi sacerdoti e re, Dio affida il compito di giudicare. Giovanni vede dei troni e su di essi sedute le «anime», cioè le persone viventi, risuscitate, in possesso del proprio corpo.83 Ai membri della Chiesa di Laodicea, che predica nel tempo del giudizio preliminare la venuta del Signore, Gesù promette di farli sedere con lui sul suo trono. Questa promessa si estende anche alla Chiesa di tutti i tempi. Gesù l’aveva già fatta agli apostoli: «Io vi dico in verità... che quando il Figlio dell’uomo sederà sul trono della sua gloria, anche voi che m’avete seguito sederete su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele». Paolo, rimproverando i Corinzi che si querelavano a vicenda, scriveva: «Non sapete voi che i santi giudicheranno il mondo? E se il mondo è giudicato da voi; siete voi indegni di giudicare delle cose minime? Non sapete voi che giudicheremo gli angeli?» A Timoteo scriveva: «Se abbiamo costanza nella prova, con lui altresì regneremo».84 «Come presso gli antichi regnare è giudicare, e giudicare è regnare, così il regno del Signore consiste in un giudizio»,85 «cioè il potere di giudicare il mondo in qualità di assessori di Cristo».86 Questo potere di giudicare, secondo l’espressione greca krima «comprende l’emanazione della sentenza e la sua esecuzione... le parole regnarono indicano ancora la stessa funzione. L’ufficio di giudice è intimamente 82
Apocalisse 1:6. A. Reymond fa notare: «La parola “anima” è impiegata, non solamente qui, ma anche sovente nel Nuovo Testamento, per indicare una persona vivente in possesso del suo corpo (vedere Atti 2:42; 27:37; 1 Pietro 3:20). Non c’è nulla di straordinario in questo, poiché l’anima è la sede della personalità. Quando Gesù entrò nel Getsemani l’angoscia scuoteva la sua anima, quieta fino a quel momento, la sua anima, il suo io propriamente detto, di cui lo spirito e il corpo sono gli organi, che lo mettono in rapporto da un lato con il mondo divino dall’altro con la materia». Coloro che considerano la resurrezione in senso spirituale citano Romani 11:15; Efesi 2:6; Colossesi 3:1. «Ma in verità come applicare questo senso spirituale di rigenerazione ai fedeli testimoni di Gesù messi a morte per la sua parola e la sua testimonianza? Inoltre è detto che essi vinsero, greco “ezesan”, essi uscirono dal loro stato di morte e ripresero il loro corpo... Il profeta li vede dunque corporalmente risuscitati. La parola “zao” nell’Apocalisse indica sempre una resurrezione corporale. Il Signore stesso si dà per nome: “Colui che è stato morto e che ha ripreso la vita” (Apocalisse 1:18). ... L’elemento materiale (il corpo) che le anime hanno perso col martirio, lo ricupereranno con la resurrezione, che non potrebbe essere di conseguenza spirituale» A. Reymond, o.c., t. II, pp. 132, 133. Vedere nota n. 77,1. 84 Apocalisse 3:21; Matteo 19:28; 1 Corinzi 6:2,3; 2 Timoteo 2:12. 85 GODET Frédéric, Commentaire sur la I épître aux Corintiens, t. II, Neuchâtel, p. 361. 86 DIODATI Giovanni, I Commenti della Sacra Bibbia, Firenze 1880, p. 1408. 83
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legato a quello di re... I re sacerdoti che regnano sui troni hanno dunque tutti i privilegi della carica sacerdotale e regale. Essi devono compiere la funzione di re e hanno il potere di pronunciare il diritto e d’eseguire la loro sentenza, il che equivale all’incarico promesso ai santi vincitori di pascere le nazioni con uno scettro di ferro, come è del resto l’espressione destinata al loro capo, il Re dei re e il Signore dei signori».87 Mediante questa fase del giudizio, ai giusti è data la possibilità di valutare i risultati del giudizio preliminare e togliere ogni forma di dubbio nei confronti di Dio, comprendere perché alcuni non sono stati salvati e valutare quindi il grado della loro responsabilità individuale nel rifiuto della salvezza. In questa fase del giudizio, come Paolo ha scritto ai Corinzi, gli eletti giudicheranno gli angeli decaduti. Ancora una volta questo insegnamento ci aiuta a comprendere che il piano della salvezza che Dio ha messo in alto per l’umanità ha la sua ripercussione nell’universo intero. I giustificati della grazia di Dio saranno collaboratori di Dio nel fare conoscere agli esseri celesti l’infinitamente varia sapienza di Dio. In questa fase di giudizio si esegue un giudizio anche su Dio, nel senso che i credenti potranno finalmente comprendere e quindi anche approvare ciò che non hanno capito dell’agire di Dio mentre erano viventi sulla terra. Che senso ha il giudizio se chi giudica non può modificare quanto già aveva stabilito Dio? «Dio, proprio perché è assolutamente certo della correttezza del suo giudizio, desidera che i suoi figli lo verifichino e lo accettino acquisendo la totale consapevolezza di ciò che già sapevano e cioè che Dio è amore ed è giusto, che Dio ha salvato tutti coloro che potevano essere salvati e ha respinto solo coloro che non erano disposti ad accettare il bene che lui voleva offrire loro. In qualche modo è come se Dio dicesse: “Ho fatto tutto quello che era in mio potere per convincervi del mio amore. E ora siete qui con me a godere della salvezza che vi ho preparato. Eppure nei vostri cuori possono rimanere delle domande. Potete chiedervi come mai tanti che amavate e di cui avevate stima non sono qui con voi. Potrei chiedervi di avere fiducia in me e nel mio giudizio: ormai vi ho dato così tante prove di essere un padre amorevole e giusto che non dovreste avere dubbi su di me e sul mio giudizio. Se non li ho salvati è perché così sono stato costretto a fare. Ma voi siete miei figli e voglio che la vostra fiducia sia illuminata dalla comprensione di tanti fatti che voi ignoravate perché vedevate le apparenze e non la realtà degli uomini. E allora vi chiedo di riconsiderare il mio giudizio, con la nuova conoscenza dei fatti che ora potete avere in tutta la loro pienezza, e di dirmi se ho fatto bene o male”. In questo modo, chiedendoci di giudicare il mondo, Dio ci chiede di giudicare se stesso. Il millennio ci parla dunque dell’umiltà di Dio che, essendo Signore, si fa nostro servo, essendo giudice supremo si lascia giudicare da noi. La conclusione non potrà essere che una sola, quella espressa al capitolo XIX:2 a proposito del giudizio di Dio sulla falsa chiesa: “Veraci e giusti sono i tuoi giudizi”. Dio, già creandoci come esseri liberi, si è sottoposto al nostro giudizio. Potevamo infatti metterci di fronte a lui e dirgli: “Ci vai bene”, oppure “Ti rifiuto”. Alla fine della storia di questo mondo accetta di sottoporsi 87
A. Reymond, o.c., t. II, p. 128; vedere 2 Samuele 8:15; 1 Re 10:9.
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ancora al nostro giudizio, affinché lo accettiamo con tutto il cuore e definitivamente come il Re che è degno di regnare su tutti noi». 88
Fine del millennio «Quando i mille anni saranno compiuti Satana sarà sciolto dalla sua prigione e uscirà per sedurre le nazioni che sono ai quattro canti della terra Gog e Magog, per adunarli alla battaglia. E salirono sulla distesa della terra e attorniarono i1 campo dei santi e la città diletta».89 Alla fine del millennio Satana verrà sciolto e potrà nuovamente sedurre le nazioni, i malvagi che partecipano alla seconda resurrezione: «resurrezione di giudizio», come aveva insegnato Gesù. Dopo mille anni di riflessione sul suo operato, Satana, anziché riconoscere nell’Eterno il Dio della vita e della misericordia, cercherà per l’ultima volta di togliere da questo mondo la sua signoria, rovesciarne il potere e frustrare definitivamente i piani dell’Altissimo. Radunerà le nazioni dai quattro canti della terra Gog e Magog,90 nomi che per la loro assonanza rappresentano un tutto che
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LEONARDI Giovanni, Un anticipo di speranza lungo mille anni, in AA.VV., a cura di Rolando RIZZO, Siamo pieni di speranza, ed. ADV, Falciani, 1992, pp. 163,164. 89 Apocalisse 20:7-9. 90 Gog è il nome del figlio di Scemaia (1 Cronache 5:4). Il nome di Magog si trova in Genesi 10:2; 1 Cronache 1:5; Ezechiele 38:2; 39:6. Nella lista dei popoli di Genesi 10, è il nome di un figlio di Jafet con Gomer (Cimmeri), Madai (Medi), Tubal, Mesac; in Ezechiele, è ancora strettamente unito a questi due ultimi. Certi autori, seguendo Giuseppe Flavio (Antichità, l,6,I), hanno creduto di potere riconoscere in Magog gli Sciti, ma questi vengono chiamati nelle iscrizioni assire Ashgouzai, sarebbe piuttosto l’Askenaz figlio di Gome di Genesi 10:3. D’altra parte il nome di Magog non è stato trovato finora in nessuna iscrizione (Dictionnaire Encyclopédique, p. 77). Si è proposto di identificare la sua grafia con mat gag, «paese di Gag», essendosi trasformata la a di Gag nell’ebraico gog; ma dove era situato questo luogo? DELITZSCH ha proposto di identificare Gog con Ga-gi o Ga-a-gi, governatore del paese di Sa-hi, i cui figli si sollevarono contro Assurbanipal. Il paese di Sa-hi mutò il suo nome, col passare del tempo, in quello di gag a causa dei numerosi principi che con questo nome lo governarono. Tuttavia, la situazione del paese resta nelle tenebre poiché non si conoscono altri documenti che potrebbero portare più luce. Gog probabilmente si trova menzionato con il nome di ga-go in una delle tavolette di el-Amarnah (Enciclopedia della Bibbia, vol. IV, col. 845). In una lettera del XIV secolo a.C. della corte di Amenhotep III a Kadashman-bel, di Babilonia, si legge: «...Chi sa se ella non sia figlia di una schiava, o figlia d’un Ga-ga-i (abitante del paese di Ga-ga), o figlia del paese di Haniglbat... ». Ora si sa che questo paese può essere identificato con la Melitene, sull’alto Eufrate cioè, nelle iscrizioni posteriori, il paese dove si sono istallati Tubal e Mesec. In una iscrizione di Assurbanipal, d’altra parte, si tratta di Gagu, re di Sahi, al Nord dell’Assiria, vicino al regno di Ouratou. Infine altri autori hanno creduto di identificare in Gog il re della Lidia Gyges, menzionato nelle iscrizioni di Assurbanipal sotto il nome di Gougou. Da tutte queste indicazioni scaturisce che il nome di Gog (di cui Magog potrebbe essere una alterazione) si applica a un paese situato al Nord della Melitene e vicino a Ourartou, cioè probabilmente nella regione a Ovest dell’Armenia e, per estensione, a un popolo installato in questa regione e imparentato con gli Sciiti e con i Cimmeri, cioè con i popoli che le iscrizioni assire chiamano gli Umman-Manda (Dictionnaire Encyclopédique, idem). «I nomi di Gog e Magog sono presi da Ezechiele 38 e 40, dove è descritto l’ultimo assalto dei pagani contro Gerusalemme restaurata, ma in Ezechiele Gog è il re del paese di Magog, mentre l’autore dell’Apocalisse sembra prendere i due nomi per dei nomi di popoli» BONNET Louis, Le Nouveau Testament, vol. IV, L’Apocalypse, 3a ed., rivista e ampliata da Alfred SCHRŒDER, Lausanne 1905, p. 437. Quando la profezia diventa storia
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Crediamo che sia opportuno considerare in questa nota il problema di Ezechiele 37-39 e riportiamo le conclusioni del Maestro A.F. Vaucher presentate nella Lacunziana, III serie, alle pp. 40-43. Mosè, dopo la liberazione d’Israele dalla schiavitù d’Egitto e l’attraversamento del Mar Rosso, compose un canto di liberazione che conclude come riportato nei versetti 16-18 di Esodo 15. Israele si sentiva beneficiario di una promessa fatta ad Abrahamo qualche secolo prima (Genesi 15:18,19), promessa che gli viene confermata ai piedi del Sinai nella quale gli viene detto che la terra promessa (Esodo 23:31) si estende dal Mar Rosso fino al mare dei Filistei (il Mediterraneo) e al di là del deserto fino all’Eufrate. Questa promessa viene ricordata due volte da Mosè (Deuteronomio 11:24) e da Giosuè (1:4). Ma quando il popolo giunge al confine della terra promessa manca di fede e si ribella al suo conduttore. Tutta la generazione che è uscita dall’Egitto morrà nel deserto e sarà la generazione seguente che compirà l’impresa. Prima di morire Giosuè ha potuto constatare la fedeltà di Dio (23:14). Sebbene Dio avesse fatto la sua parte, Israele non fece la sua e il programma delle conquiste non fu completato e Giosuè lo riconobbe (23:4,5). Dopo la morte di Giosuè Israele conquistò altri territori, come presenta il libro dei Giudici, ma subì anche numerosi arresti (Giudici 1:19,21,27,29,30,31, 33,34). A causa dell’infedeltà d’Israele Dio lo rimprovera e lo minaccia (Giudici 2:1-3). Il periodo dei giudici fu un tempo di umiliazione di oppressione con interventi da parte di Dio nel suscitare dei condottieri e permettere intervalli di riposo. È solamente al tempo di Salomone che parzialmente si realizzano le promesse di Dio (1 Re 4:21). Dopo la sua morte il regno viene diviso in due parti: regno del nord con le 10 tribù e regno del sud con la dinastia davidica. A seguito della dispersione delle dieci tribù d’Israele in Assiria e l’esilio del regno di Giuda in Babilonia, i profeti Isaia e Michea che avevano annunciato questa catastrofe avevano anche annunciato la restaurazione indicando in Ciro l’uomo della provvidenza per il popolo d’Israele (Isaia 44:28) ed il ristabilimento dei confini (Michea 7:11,12). I due profeti, guardando nell’avvenire, al tempo messianico, contemplano Sion quale capitale spirituale dell’umanità e la guerra abolita, con Dio re di tutta la terra (Isaia 2:1-5; Michea 4:1-5). Qualche anno dopo il ritorno da Babilonia dei primi contingenti Dio dice, mediante Zaccaria (8:3-8), di essersi nuovamente stabilito a Gerusalemme e coloro che saranno lontani verranno a lavorare all’edificazione del tempio (6:15). Le ultime parole del versetto 15 dicono chiaramente che il compimento delle promesse di Dio sono condizionate all’atteggiamento d’Israele. La massa d’Israele non ha però risposto all’invito. Pochi sono ritornati in Patria. Con molta difficoltà il tempio è stato ricostruito. Coloro che sono rimasti nel paese d’esilio si organizzarono in colonie e molti furono assorbiti dal mondo pagano. Questo panorama ci permette meglio di comprendere le parole di Ezechiele. Nella prima parte del suo libro questo profeta aveva annunciato il castigo di Gerusalemme (capitolo 9). Aveva detto che l’Eterno abbandonava il tempio e la città maledetta per raggiungere il popolo in esilio sulle rive del fiume Keba (capitolo 11). Negli ultimi capitoli del libro parla della restaurazione d’Israele, il suo ritorno in Palestina (39:2529). Dopo l’esilio Ezechiele vede che Dio pone la sua dimora nuovamente nel tempio ristabilito (43:1-5). Ma il tempio costruito da Zorobabele non assomiglia in nulla o quello descritto da Ezechiele. Perché? «La risposta è chiara. Il popolo non ha realizzato le condizioni alle quali la profezia era sottomessa» SMITH Uria, The Sanctuary, Battle Creek, Michigan, 1877, p. 164. «Se tutte queste tribù assieme, il cui numero saliva certamente allora a cinque milioni, fossero ritornate al paese dei loro padri e si fossero riuniti in un unico pensiero teocratico, il piano di questa nuova organizzazione proposta dei capitoli 40 e 48 si sarebbe potuto realizzare. Questo piano senza alcun dubbio era stato concepito nella prospettiva in cui questi cinque milioni riuniti realmente si fossero messi con ardore e risoluzione a eseguire l’opera della loro patria... Ma la massa non volle intendere. E cosi il piano dei capitoli 40 e 48 non si poté realizzare» ROHLING August, En route pour Sion, Paris 1902, p. 234. «Nel caso in cui le disposizioni d’Israele, alla fine dell’esilio, avessero risposto alle intenzioni letterali di Dio, noi crediamo che il tempio di Ezechiele avrebbe potuto alzarsi nel paese di Canaan, segnando l’inizio di un’èra nuova e benedetta per il popolo israelita e per suo mezzo per altre nazioni ancora. Ma Israele ha fatto difetto. L’ora favorevole è suonata, l’appello è echeggiato, ma non è stato accolto, non gli si è risposto... e Dio vi ha provveduto diversamente. - Dunque, in un certo senso, la grande profezia di Ezechiele 40-48 non ha trovato il suo compimento all’ora in cui questo compimento doveva prodursi» GAUTIER Lucien, La Mission du Prophète Ezéchiel, Lausanne 1891, p. 143. Dio comunque non ha rinunciato alla realizzazione del suo piano. Dio non è vinto. Modifica il suo piano e l’adatta alle nuove circostanze. Quando il Messia Gesù è venuto presso i suoi, i suoi non l’hanno ricevuto (Giovanni 1 a 11). Rigettato dal popolo al quale era venuto ad annunciare la buona novella del regno (Matteo 4:23), Egli lo ha rigettato a sua volta: «Perciò io vi dico che il Regno di Dio vi sarà tolto e sarà dato ad una gente che ne faccia i frutti» Matteo 21:43. L’Israele spirituale (l’insieme dell’ulivo coltivato e i rami dell’ulivo selvatico) succede all’Israele carnale, solo l’elemento spirituale continua nella profezia e trova il suo compimento. «Se essa non è compiuta alla lettera, ha trovato il suo compimento spirituale. Ed è ciò che avviene sempre. Certe profezie si compiono contemporaneamente tanto nella lettera quanto nello spirito. Per altre, il compimento letterale essendo reso impossibile a causa della resistenza degli uomini, Dio le realizza in altro modo, ma arriva sempre ai suoi fini» L. Gautier, o.c., p. 144.
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unisce una estremità, gog, all’altra, al suo contrario, magog. «A Gog viene abbinato Magog, per migliorare il simbolismo nonché la simmetria ritmica; i due nomi Gog e Magog qui sono posti a simboleggiare sinteticamente i popoli coalizzati da Satana da ogni dove contro la Chiesa».91 È da notare «come questi due nomi siano messi come apposizione alle innominate nazioni... sono puramente simbolici... I due nomi erano impiegati abitualmente negli scritti apocalittici di quei tempi per designare i nemici del popolo di Dio».92 Il numero immenso di questi uomini fa comprendere che si tratta non di una sola generazione, ma di tutti gli empi vissuti nel corso dei secoli. Essi possono «attorniare il campo dei santi e la città diletta» perché Cristo e la moltitudine dei salvati, che durante il millennio sono stati nel cielo, verranno alla fine di questo periodo sulla terra per porre su questo mondo la sede del trono di Dio. Scrive il prof. J. Doukhan: «Lo scenario ricorda Harmaghedon dove pure si parla di un grande incontro in vista di un conflitto armato, e dove pure gli eserciti nemici sono gettati nello stagno di fuoco.93 Anche in questa occasione il luogo della battaglia riceve un nome ebraico: “Gog e Magog” ed è in relazione alla storia d’Israele.94 Ma mentre la battaglia di Harmaghedon opponeva Israele al suo nemico tradizionale, Babilonia, quella di Gog e Magog solleva indefiniti eserciti nemici il cui solo scopo è di distruggere senza motivo un regno in pace.95 Alla battaglia di Harmaghedon, gli eserciti di Babel si erano messi contro la venuta del Salvatore che proveniva dall’Oriente96 e la tragedia era appena a livello di prosciugamento dell’Eufrate. Il nemico era ancora lontano da Gerusalemme. Alla battaglia di Gog e Magog, per contro, gli eserciti del dragone sono di già penetrati nella “città amata” e investito “il campo dei santi”.97 Harmaghedon si riferisce “ai re della terra” sotto la triplice direzione della bestia, del falso profeta e anche del dragone. L’avvenimento di Gog e
Quando si legge Ezechiele alla luce degli ultimi due capitoli dell’Apocalisse, ci si rende conto che l’elemento spirituale non è lettera morta. Si vedrà che Giovanni riprende contemporaneamente il quadro finale schizzato nei due ultimi capitoli di Isaia e quelli di Ezechiele 40-48. Là, dopo la sparizione del primo cielo e della prima terra, ci mostra la Gerusalemme celeste che discende dal cielo, d’appresso a Dio, per posarsi sulla terra nuova. «I1 trono di Dio e dell’Agnello sarà nella città» Apocalisse 22:3; confr. Ezechiele 48:35. Un fiume di acqua della vita uscirà dal trono di Dio e dell’Agnello (Apocalisse 22:1; confr. Ezechiele 47:1). L’albero della vita darà i suoi frutti ogni mese (Apocalisse 22:2; confr. Ezechiele 47:12). È allora solamente che la profezia di Ezechiele sarà perfettamente compiuta, e pure superata. La spiegazione adottata da coloro che non vedendo la realizzazione letterale della profezia nel passato la collocano durante il millennio, come fa per esempio La Bible Annotée, non è sostenibile. «I1 Figlio di Dio ha messo fine all’antica alleanza per sostituirgli la nuova, tale è l’insegnamento apostolico, in particolare quello di S. Paolo e della lettera agli Ebrei. Tanto ci sembra impossibile aderire all’interpretazione sedicente idealista e simbolica degli ultimi nove capitoli di Ezechiele, e altrettanto siamo persuasi che essi devono essere interpretati letteralmente, e tanto ci sembra inammissibile che l’opera compiuta da Cristo debba un giorno subire un indietreggiamento come quello che implicherebbe la resurrezione degli antichi riti d’Israele» L. Gautier, o.c., p. 125. 91 ROERO Antonio, La Sacra Bibbia, t. III, L’Apocalisse, ed. Marietti, Torino 1964, p. 845. 92 La Sacra Bibbia, ed. Salani, nota dell’abate RICCIOTTI Giuseppe. 93 Apocalisse 19:20; confr. 20:10,13,14. 94 Ezechiele 38:2. 95 Ezechiele 38:11. 96 Apocalisse 16:14,15. 97 Apocalisse 20:9. Quando la profezia diventa storia
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Magog coinvolge tutte le nazioni, dai “quattro canti della terra”98 sotto la direzione unica del dragone. La parola ebraica Harmaghedon era il nome del luogo della battaglia99 ed evocava per associazione il dolore dei re della terra che sopravvivono a Babilonia. La parola ebraica Gog e Magog si riferisce alle nazioni, “ai quattro canti della terra” il cui “numero è come la sabbia del mare”.100 Sono le nazioni come moltitudini ad essere evocate attraverso il nome di Gog e di Magog. È d’altronde questo il tema dominante del racconto che presenta Gog e Magog nella visione di Ezechiele.101 Questa caratteristica determina pure il nome del luogo della battaglia: “Quel luogo sarà chiamato la Valle della moltitudine di Gog”.102 “E ci sarà pure una valle chiamata Hamonah (moltitudine)”.103 Da Harmaghedon a Gog; si intravede dell’ironia. I nemici di Dio ambirono alla montagna (har) e terminarono nella valle. Quanto alla moltitudine, segno di potenza, in questo nuovo paesaggio colpito dalla morte, divenne un’occasione d’orrore; è una moltitudine di cadaveri.104 Con le parole “valle della moltitudine” (guey hamon) il profeta descrive il luogo in cui facevano passare dal fuoco i figli e le figlie in onore a Moloc.105 È al ricordo dei riti sacrificali fatti mediante il fuoco, che si è sviluppato in seguito la nozione d’inferno e di “geenna”106 che non è altro che la trascrizione dell’ebraico guey hinnon (valle di Hinnon). Nel linguaggio simbolico dell’Apocalisse “Gog e Magog” significa la moltitudine delle nazioni, dei goyim, cioè, secondo la terminologia giudaica tradizionale, tutti coloro che sono stranieri all’alleanza con il Dio d’Israele!».107 Zaccaria aveva scritto: «Il Signore uscirà... e i suoi piedi si fermeranno, quel giorno, sopra il monte degli Ulivi che è dirimpetto a Gerusalemme a levante, e il monte degli Ulivi si spaccherà per il mezzo, dal levante a ponente, sì da formare una gran valle, metà del monte si ritirerà verso settentrione e l’altra metà verso mezzogiorno». Giovanni da parte sua contempla questo spettacolo ed esclama: «Vidi la santa città, la nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo dappresso a Dio pronta come una sposa adorna per il suo sposo».108 Contro questa sposa, che è venuta ad ereditare la terra, Giovanni vide i popoli salire dai punti più lontani. Allora si terrà il giudizio, perché tutta l’umanità di ogni tempo sarà alla presenza del suo Creatore. «È evidente che la visione del gran trono bianco si pone cronologicamente, nel mezzo del versetto 9, tra l’attacco portato contro il campo dei
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Apocalisse 20:8. Apocalisse 16:16. Apocalisse 20:8. Ezechiele 38:4-9,13,15,16,22,23; 39:2,11,12,15,16. Ezechiele 39:11. Ezechiele 39:16. Ezechiele 39:11,14,15. 2 Cronache 33:6. Matteo 5:22. J. Doukhan, o.c., pp. 253-255. Zaccaria 14:3,4; Apocalisse 21:2,3.
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santi e la discesa del fuoco celeste».109 Giovanni ha separatamente dipinto i due quadri: l’accerchiamento del campo, il fuoco che scende dal cielo e quello del giudizio, che descrive subito dopo, per permettere di abbracciare in un sol colpo d’occhio gli avvenimenti rapidi che chiudono il millennio: il giudizio degli empi con la conseguente loro fine e la morte eterna di Satana.
Giudizio universale «Vidi un gran trono bianco e Colui che vi sedeva sopra dalla cui presenza fuggirono terra e cielo; e non fu più trovato posto per loro. E vidi i morti grandi e piccoli che stavano ritti davanti al trono; ed i libri furono aperti; e un altro libro fu aperto, che è il libro della vita; e i morti furono giudicati dalle cose scritte nei libri secondo le opere loro. E il mare rese i morti che erano in esso; e la morte e l’Ades resero i loro morti; ed essi furono giudicati ciascuno secondo le sue opere. E la morte e l’Ades furono gettati nello stagno di fuoco. Questa è la morte seconda cioè lo stagno di fuoco. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco. - Dal cielo discese del fuoco e le divorò. E il diavolo che le aveva sedotte fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche 1a bestia e il falso profeta; e saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli».110 A differenza di questo trono bianco sul quale siede Colui dalla cui presenza fuggono terra e cielo, l’Apostolo vide precedentemente, all’inizio della sua seconda visione, al momento della rottura dei sigilli che svelano il percorso attraverso il quale Dio stabilirà il suo regno sulla terra, un altro trono con caratteristiche diverse. Al confronto questi due troni presentano delle differenze. Essi «aprono e chiudono la marcia degli avvenimenti che costituiscono la storia del regno, ne sono l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega».111 Il giudice qui è Dio pantokrator nella sua tremenda maestà.
109 110
LESLIE Walter, Gold’s Good News, Watford 1950, p. 578; cit. VAUCHER Alfred Félix, Le Jugement, 1966, p. 26. Apocalisse 20:11-14, 9,10; 21:8 u.p.; vedere 2 Tessalonicesi 1:10.
111
Apocalisse 4:2-6
Apocalisse 20:11-14
- è posto nel cielo; - ha l’arcobaleno, simbolo della grazia e della alleanza;
- non è detto, ma il contesto lo pone sulla terra; - non ha nessun arcobaleno perché non ha alcuna speranza da offrire e nessuna promessa di salvezza da realizzare;
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Lo sconvolgimento che produrrà la sua presenza è il preludio al rinnovamento di questo mondo che cesserà di essere corrotto e corruttibile per essere creato incorruttibile. «Nessuna poesia, salvo il racconto della prima creazione, ha raggiunto la brevità sublime del tratto che annuncia la sparizione finale dei cieli e della terra».112 Questa sparizione istantanea rinforza a tal punto la spaventevole maestà di Colui che siede sul trono, che l’universo ne è scosso e trasformato. Essa significa ancora che l’Onnipotente prende in mano il suo potere per procedere allo stabilimento di ogni cosa. I morti sono tutti gli uomini senza distinzione, grandi e piccoli,113 buoni e cattivi, e martiri e santi che fruirono della “resurrezione prima”, e “gli altri morti”. Si tengono in piedi, ritti come si conviene a chi deve sottostare al giudizio. I molteplici libri, dove sono consegnate le azioni degli uomini, sono contrapposti al libro unico della vita nel quale sono iscritti i riscattati. L’onniscienza divina non sostituisce la scelta e le decisioni degli uomini. «Il principio del giudizio “secondo le opere” sussiste anche con la salvezza per grazia; poiché le opere, che comprendono la vita intera, i sentimenti del cuore come le azioni esteriori, dimostrano la rigenerazione e la santificazione mediante la quale l’anima deve passare per possedere la vita eterna. Tale è anche secondo l’insegnamento di Gesù».114 Il giudizio non si basa su una «predestinazione cieca. Poiché tutti i morti sono giudicati secondo le loro opere, ed essi sono responsabili di tutto ciò che hanno fatto o omesso di fare. Nessuna possibilità di discolparsi incriminando le circostanze, la sfortuna, gli altri, la cattiveria degli altri, la corruzione della società. Gli atti esprimeranno esattamente ogni vita, destinata a sbocciare in frutti... «E furono giudicati, ciascuno» viene precisato. Anche quando si tratta di opere fatte con altri, la responsabilità personale di ciascuno è in - escono lampi tuoni e voci: manifestazione della giustizia di Dio che colpisce i ribelli invitandoli al pentimento;
- attorniato da altri troni meno elevati sui quali siedono gli anziani e le creature viventi. I lampi accompagnano le sentenze di grazia e di punizione; - il mare di vetro, immagine della pura vita creata da Dio; - canti di lode e di adorazione per il Dio creatore e redentore.
- nessuna minaccia. Il tempo degli avvisi è passato come anche quello della grazia. Si deve ora solamente pronunciare la sentenza. La grandezza e il suo candore simboleggiano la giustizia . «I1 cielo e la terra fuggirono, disparvero completamente in modo tale che non fu più trovato il posto per loro, dove essi possono dimorare. L’universo contaminato dal peccato prenderà fine nel gran giorno del giudizio» L. Bonnet, o.c., p. 438; - un solo trono, un solo giudice, un solo giudizio per una sola classe di persone. Sarà seguito dal tempo della distruzione del male; - assenza del mare, non ci sarà più la conflittualità tra i popoli; - nessuna allegrezza, nessun cantico, il giudizio contro i ribelli non fornisce nessun motivo di gioia.
Vedere A. Reymond, o.c., vol. II, pp. 166,167. A. Gretillat, o.c., t. III, p. 594. 113 L’ordine è in generale inverso: “piccoli e grandi” Apocalisse 11:18; 13:16; 19:5,l8. «L’autore avrà deliberatamente modificato l’ordine per sottolineare il giudizio che, colpirà i grandi della terra, e al quale sfuggono così spesso qui in basso» R.H. CHARLES. 114 L. Bonnet, o.c., p. 438; vedere Romani 2:6; Matteo 16:27; 2 Corinzi 5:10. 112
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causa. Il giudizio si svolge davanti a Dio e davanti all’umanità, poiché ognuno è responsabile davanti a Dio e davanti a tutti. Come scrive D. Bonhoeffer: “Qui ciascuno diventa solitario. Ma c’è una solitudine davanti alla grazia e una solitudine davanti alla collera di Dio”».115 «Tutti compariranno davanti al tribunale di Dio», scriveva l’apostolo Paolo. Il “mare” restituirà i suoi morti che non hanno ricevuto sepoltura. La “morte” restituirà coloro che sono morti e non hanno ricevuto sepoltura perché caduti da precipizi, morti nelle grotte, nei deserti, divorati da bestie feroci, l’“Ades”, il soggiorno dei morti, restituirà tutti coloro che sono stati sepolti. Qualunque sia stata la sorte riservata al cadavere, tutti saranno giudicati. Chi non risponderà all’appello dei nomi scritti nel libro della vita verrà gettato nello stagno di fuoco. Duplice destino: - vita eterna - morte eterna. Non v’è posto per una sentenza intermedia. Perché la resurrezione dei non salvati per farli ancora morire? La lettera di Giuda risponderebbe dicendo: «Per convincere tutti gli empi di tutte le opere d’empietà che hanno empiamente commesso, e di tutti gli insulti che gli empi peccatori hanno proferito contro di Lui (il Signore)».116 G. Leonardi, che come tanti si è posta questa domanda, scrive: «I salvati hanno confermato il giudizio di Dio: gli empi non potevano, per quello che sono stati, essere ritenuti innocenti e salvati. Eppure si potrebbe ancora pensare: “Forse non hanno fatto il bene perché non l’hanno capito! Forse non hanno accettato Gesù perché non lo hanno conosciuto! Forse non hanno accettato Dio perché non l’hanno mai visto!”. Ebbene, ora Dio lascia che essi tornino in vita e vedano le cose belle che voleva dare loro; vedano come la volontà di Dio fosse per il loro servizio e non per la loro oppressione; vedano la gioia dei salvati; vedano Dio faccia a faccia... che cosa faranno? Si rivolteranno ancora una volta contro di lui e i suoi figli mostrando agli occhi dell’universo intero che Dio non poteva proprio salvarli. Allora Dio potrà togliere loro la vita senza che nessuno rischi di accusarlo di intolleranza come poteva succedere all’inizio della storia del peccato, quando Dio ebbe pazienza con Satana».117 Il giorno del giudizio è il giorno della lacrime di Dio. Come Gesù pianse su Gerusalemme per ciò che l’avrebbe colpita, Dio stesso piangerà perché aveva disposto per le sue creature un altro destino, ma non hanno voluto. «Poiché io non ho alcun piacere nella morte di colui che muore, dice il Signore, l’Eterno. Convertitevi dunque e vivrete!».118 Per il dopo sentenza sta scritto: «Come io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ed ogni lingua darà gloria a Dio».119 Questa adorazione 115 116 117 118 119
C. Brütsch, o.c., p. 342, 343. Giuda 14,15. G. Leonardi, o.c., p. 165. Ezechiele 18:32. Romani 14:10,11; Isaia 45:23,24; Filippesi 2:9-11. Quando la profezia diventa storia
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universale sarà per gli eletti l’espressione del proprio amore e riconoscenza, per gli empi riconoscimento e confessione della santa giustizia di Dio.
Distruzione del male La morte e l’Ades stessi vengono gettati nello stagno ardente di fuoco che è la morte seconda. La morte e tutto ciò che porta alla sua manifestazione, il male, il peccato, spariranno in un universo dove regnerà l’immortalità di Dio. La seconda morte è la purificazione dell’universo dopo secoli di lacrime e di lutti; il fuoco purificatore estirperà ogni vestigia di male. Se la morte e l’inferno sono gettati nello stagno di fuoco per la distruzione, è segno che essi sono destinati a sparire e non a sussistere come una nota stonata nell’Universo. La morte seconda è la sparizione senza ritorno del peccato e dei peccatori, di Satana e dei suoi demoni, della morte e del loro sepolcro. L’Apocalisse condanna nella forma più chiara possibile, più d’ogni altra porzione delle Sacre Scritture, il ristabilimento universale.120 In quel giorno gli eletti vedranno con i loro occhi la retribuzione degli empi. La guerra appena dichiarata da Satana, che ha riunito le nazioni per distruggere il popolo di Dio, arriva al suo termine. Una sola frase è sufficiente per anticiparne la realtà futura: «Dal cielo discese del fuoco e le divorò».
Inferno «E il diavolo che li aveva sedotti fu gettato nello stagno ardente di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta; e saranno tormentati giorno e notte, nei secoli dei secoli». Da questa dichiarazione e da altre121 si è voluto giustificare e sostenere, nel nome di Dio, l’empia dottrina delle pene che si perpetueranno per l’eternità, insegnando che il male stesso sarà eterno, che nell’eternità il bene sarà sempre contrapposto al male e che quindi una purificazione completa dell’universo non avverrà mai, ecc. La Parola di Dio, come già abbiamo spiegato sopra, ci presenta la distruzione dei malvagi e della morte. I passi biblici che sostengono questa dottrina sono numerosi.
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Dopo aver esposto le due teorie dell’universalismo della salvezza, BABUT Charles Edouard (La verité chrétienne, 9a ed., pp. 882,883) scrive: «Altri infine credono di poter concludere da diverse parole di Gesù Cristo e dei suoi apostoli, che l’anima del peccatore impenitente finirà per essere distrutta con il suo corpo nella geenna (Matteo 10:28; Filippesi 3:19). Così colui che fa la volontà di Dio sussisterebbe per sempre (1 Giovanni 2:17). La pena dei malvagi non sarebbe meno eterna in questo senso che essa sarebbe definitiva, non lasciando posto (dopo il giudizio ultimo) a nessuna speranza di rialzamento. Questo ultimo modo di risolvere il terribile problema della sorte finale dei malvagi è la spiegazione migliore» cit. VAUCHER Alfred Félix, Supplement à L’Histoire du Salut, 3a ed., p. 106. 121 Matteo 25:46; Isaia 66:24; Matteo 18:8,9, ecc.
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Artigiani della loro propria rovina, i ribelli «saranno come se non fossero mai stati»; «come avviene d’un sogno quando uno si sveglia, così tu Signore spazzerai la loro vana apparenza»; «l’empio perirà per sempre come lo sterco suo; quelli che lo vedevano diranno: “Dov’è?” Se ne volerà via come un sogno, e non si troverà più; dileguerà come una visione notturna»; «ecco tutti quelli che si sono infiammati contro di te saranno svergognati e confusi; i tuoi avversari saranno ridotti a nulla, e periranno. Tu li cercherai e non li troverai più quelli che contendevano teco; quelli che ti facevano guerra saranno come nulla, come cosa che più non è».122 I malvagi sono paragonati a del materiale infiammabile e cadono come la paglia che brucia o che viene portata via dal vento,123 al fumo che si dissolve,124 a una lampada che si spegne,125 alla pula portata via dall’uragano,126 alle zizzanie gettate nel fuoco,127 a un vaso rotto.128 Coloro che non avranno sostenuto i poveri e i deboli, dice Gesù, subiranno una «punizione eterna».129 «È da notare che allorquando la parola “eterno” qualifica un atto, l’eternità non è sempre l’attributo dell’atto stesso, ma quello del risultato dell’azione. Indica allora la perpetuità dell’effetto prodotto dall’atto o dall’agente. È così che nell’epistola agli Ebrei, Gesù ottenne una “redenzione eterna”, eterna nei suoi effetti, benché l’atto redentore sia stato compiuto in un giorno sulla croce. Nella stessa lettera si parla di un “giudizio eterno”; evidentemente sono gli effetti della sentenza che sono eterni. Nella lettera di Giuda, le città di Sodoma e di Gomorra sono presentate come dei testimoni permanenti delle vendette divine, la pena di un “fuoco eterno”130 ... Il mar Morto è l’eterno testimone di una catastrofe che appartiene alla storia... Questo modo di esprimersi non è sconosciuto alle nostre lingue moderne; lo si ritrova nell’espressione: dire un eterno addio, sinonimo di un definitivo o supremo addio. “II fuoco che non si estingue”, un simbolo della morte definitiva. Questa locuzione proverbiale e iperbolica “fuoco eterno” o “inestinguibile”, non è esclusivamente ebraica. ... Ovidio parla dalla “pianura eterna” che consumò Telefe. Omero parla del “fuoco inestinguibile” che faceva consumare la flotta dei Greci. Sedici secoli più tardi Eusebio impiegava lo stesso termine in occasione del martirio di due cristiani condannati al rogo.131 I cinque dizionari di Passov, Planche, Alexandre, Wahl e Grimm, sono unanimi nel fare derivare la parola greca “kalais”, castigo, da una radice che significa: rompere mediante colpi, amputare, mozzare, smembrare, mutilare; da dove viene la
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Abdia 16; confr. Giobbe 10:19; Salmo 73:20; Giobbe 20:7,8; Isaia 41:11,12. Giobbe 21:18; Salmo 1:4; Nahum 1:10; Matteo 2:12. 124 Salmo 68:3; 37:20; Isaia 51:6. 125 Proverbi 13:9; 37:20; Isaia 51:6. 126 Giobbe 21:18; Isaia 17:13. 127 Matteo 13:40,41. 128 Salmo 2:9; Apocalisse 2:27; Romani 9:22; Matteo 21:44. 129 Matteo 25:46. Alcune versioni traducono, alterando il testo greco, «tormento eterno» versione Olivetan, ed. Estienne 1556; «tormenti eterni» versione di J.N. Darby. 130 Ebrei 9:12; confr. versetti 25,28; 6:2; 7:25; 6:2; Giuda 7. 131 Eusebio, Storia Ecclesiastica, I, VI, 40; confr. Omero, Iliade, XVI, 123; confr. I, 599; XII, 169. 123
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nostra parola iconoclaste, rompere o distruggere immagini; “kalais” indica dunque un castigo per via di soppressione».132 Il profeta Ezechiele, nel descrivere la fine del re di Tiro, presenta la distruzione di Satana con queste parole: «Io faccio uscire di mezzo a te un fuoco che ti divori, e ti riduco in cenere sulla terra... tu sei diventato oggetto di terrore e non esisterai mai più».133 La dichiarazione di Giovanni ci presenta due espressioni che vogliamo considerare; la prima: “tormentati”, e la seconda: “nei secoli dei secoli”. La parola “tormento” è una traduzione infelice della parola greca impiegata, “basanismos”, che fa allusione a un esame mediante la pietra di lydius (pietra di paragone) chiamata “basanos”; la si utilizzava per rivelare i vari metalli che componevano il campione da esaminare - l’oro lasciava su questa pietra una traccia gialla. Per estensione, la parola “basanismos” indica ogni specie di prova da superare. Più che un “tormento” qualsiasi, questa idea di “test” si applica a meraviglia al giudizio ultimo nel quale «l’opera di ognuno sarà manifestata (messa in evidenza), perché il giorno di Cristo la paleserà; poiché quel giorno ha da apparire qual fuoco; e il fuoco farà la prova di quel che sia l’opera di ciascuno».134 L’espressione “secoli dei secoli” corrisponde alla nostra condanna a prigione a vita, cioè finché il colpevole vivrà. Essa esprime una durata di tempo ed è qui impiegata per indicare il valore dell’intensità della sofferenza. Non essendoci un concetto astratto che possa esprimere la misura della sofferenza, essa viene indicata con quella della durata. «L’inferno eterno - invenzione degna del Medio Evo - non ha posto né nel piano divino né nell’Apocalisse. L’espressione secoli, eternità, nei secoli dei secoli, non indicano necessariamente la durata senza fine. Secolo “aios” nel greco del Nuovo Testamento, come “olam” nell’ebraico dell’Antico Testamento, esprime un periodo più o meno lungo che equivale alla durata dell’oggetto al quale si applica».135 «L’espressione “nei secoli dei secoli” non deve fare pensare a delle torture eterne. Essa non ha un valore assoluto che nei passi in cui è impiegata in relazione con Dio, 132
PETAVEL OLLIFF Emmanuel, Le problème de l’immortalité, t. II, Paris 1938, pp. 8,9,10,11. In Isaia 66:24 troviamo la dichiarazione: «Il loro verme non morrà mai». Essa ha lo stesso significato dell’espressione che segue: “I1 loro fuoco non si estinguerà” che simboleggia la morte definitiva. «I1 cadavere, perfettamente insensibile, roso dal verme non può risuscitare. Se il verme non muore mai, nessuna vita sarà possibile per l’essere rappresentato dal cadavere... Il cadavere è per eccellenza un emblema di inerzia e di insensibilità... I1 cadavere non è l’uomo... Una resurrezione eterna sarebbe agli antipodi del pensiero del profeta, e d’altronde, un cadavere risuscitato non sarebbe più un cadavere... L’aggettivo possessivo “loro” in questa frase: “il loro verme non muore” rivela, si dice, una sofferenza inerente allo stato morale dei reprobi. Ma, ancora una volta, i cadaveri non sono “i riprovati”; residui incoscienti, i cadaveri non hanno alcuno “stato morale”. La perpetuità del cadavere in decomposizione non è che il simbolo d’una morte eterna, simbolo che scarta per sempre la nozione di vita futura... Infine, a titolo di reliquia, il cadavere può simboleggiare il ricordo presente di un essere che ha vissuto e che non è più. Riassumendo, la perpetuità del cadavere serve a simboleggiare la perpetuità del ricordo che lascerà la distruzione finale dei nemici di Dio. D’altra parte la perpetuità iperbolica degli agenti di distruzione figura l’eterna impossibilità di un ritorno alla vita dopo la morte finale» pp. 159, 160. 133 Ezechiele 28:18,19. 134 1 Corinzi 3:13; vedere BOURQUIN Yvan, Ultimatum, Dammarie les-Lys 1976, pp 54,55. 135 J. Vuilleumier, o.c., p. 346,349,350.
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l’essere eterno. Quando si tratta delle creature che periscono, essa significa una durata determinata, e indica il carattere definitivo e irreparabile dell’atto al quale si riporta».136 Questo modo di spiegare è avallato da Giovanni stesso quando nel brano parallelo sostituisce l’espressione “nei secoli dei secoli” con «la morte seconda».137 L’effetto di questo fuoco compirà la sua azione purificatrice e di giustizia. Il profeta Malachia annunciava: «Il giorno viene ardente come una fornace; e tutti i superbi e chiunque opera empiamente saranno come stoppa; e il giorno che viene li divamperà, dice l’Eterno degli eserciti, e non lascerà né radice né ramo. Ma per voi che temete il mio nome si leverà il sole della giustizia, e la guarigione sarà nelle sue ali; e voi uscirete e salterete come vitelli di stalla. E calpesterete gli empi, perché saranno come cenere sotto la pianta dei vostri piedi, nel giorno ch’io preparo, dice l’Eterno degli eserciti»; e dal momento che il male nelle sue cause (radici) e nei suoi effetti (rami) sarà consumato, Giovanni può scrivere: «La morte non ci sarà più; né ci sarà più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate. E Colui che siede sul trono dirà: “Ecco io faccio ogni cosa nuova», ed aggiunge: «Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veraci”».138
Riepilogo e insegnamento dell’apostolo Paolo sul millennio «Il millennio è uno stato intermedio tra il presente secolo malvagio139 e il regno eterno che caratterizzerà la piena consumazione di tutte le cose. Il preludio alla gloria finale il cui splendore farà impallidire pure i raggi del sole».140 «Niente nelle epistole di Paolo lascia supporre un millennio nel senso di un regno millenario del Cristo con i suoi santi sulla terra dopo la sua seconda venuta. Al contrario, in diversi posti, e particolarmente al capitolo 4 della prima lettera ai Tessalonicesi... dice che il Signore e i suoi entreranno direttamente nel cielo dopo la sua discesa dal cielo e la loro resurrezione d’in fra i morti... Pure se Paolo intravedeva un lungo periodo durante il quale il Cristo dovrebbe regnare fino a che tutti i suoi nemici fossero soggiogati, non insinua che egli abbia posto il suo regno sulla terra: sembrerebbe molto chiaramente posto in cielo».141 Il brano principale di Paolo in cui insegna l’intervallo di tempo, tra la prima resurrezione dei giusti e la seconda resurrezione dei non salvati con la conseguente pace eterna, lo si trova nella sua prima lettera ai Corinzi, di cui riportiamo il commento esegetico di Frédéric Godet.
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VAUCHER Alfred Félix, L’Histoire du Salut, 3a ed., p. 101. Apocalisse 20:10; 21:8. Malachia 4:1-3; Apocalisse 21:4,5. Galati 1:4. A. Reymond, o.c., t. II, p. 154. Alger, o.c., p. 287,288; cit. A.F. Vaucher, o.c., III serie, p. 46. Quando la profezia diventa storia
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«Poiché, come tutti muoiono in Adamo, così anche in Cristo saranno tutti vivificati; ma ciascuno nel suo proprio ordine: Cristo, la primizia; poi quelli che sono di Cristo, alla sua venuta; poi verrà 1a fine, quando egli avrà rimesso il regno nelle mani del Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà ed ogni potenza. Poiché bisogna ch’egli regni finché abbia messo tutti i suoi nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico che sarà distrutto sarà la morte. Difatti Iddio ha posto ogni cosa sotto i piedi di esso; ma quando dice che ogni cosa gli è sottoposta, è chiaro che Colui che gli ha sottoposto ogni cosa ne sarà eccettuato. E quando ogni cosa gli sarà sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti».142 Lontano da Paolo il pensiero di una salvezza universale, egli afferma che tutti risusciteranno. «L’Apostolo ha davanti agli occhi due ordini di risuscitati: il primo, formato da Cristo solo, che cammina in testa come capo; è Lui che apre la via della vita gloriosa. Poi è seguito da tutti i suoi fedeli che formano il secondo rango. - Paolo non potrebbe esprimersi in questo modo se parlasse della resurrezione universale, poiché essa sarà infallibilmente condivisa da tutti; io penso dunque alla resurrezione speciale alla quale parteciperanno unicamente i veri fedeli... Ci sarà una prima scelta, che si opera al momento della parusia, tra i veri e i falsi membri di Chiesa; sarà il preludio del giudizio finale e universale. - Al momento della parusia i santi, i martiri e in generale tutti coloro che hanno rifiutato di associarsi all’opera della bestia, risusciteranno, e dei troni saranno loro dati per giudicare. Ecco la resurrezione dei fedeli menzionata nel nostro versetto 23. “Poi verrà la fine”. Il “poi”, greco “eita”, non permette di identificare il momento della “fine”, greco “telos”, con quello della parusia. Se così fosse Paolo avrebbe dovuto dire “tote”, “allora”, e non “eita”, poi o in seguito. Questo “eita”, poi, implica, nel testo di Paolo, un intervallo più o meno lungo tra la parusia e ciò che chiama fine. (Al momento della parusia non avviene la fine perché la morte non viene ancora distrutta). - La parusia sarà dunque separata dalla fine (la rimessa del regno) da un’epoca di giudizio. La parola greca “katargein” significa propriamente: ridurre all’impotenza, da cui abbattere un potere. Questo periodo di giudizio non finirà che con la riduzione completa dell’ultimo nemico; e deve essere così poiché ciò è annunciato nella Scrittura. - Ewald dice: “Benché Paolo non parli espressamente dei mille anni indicati in Apocalisse XX pone tuttavia tra il periodo precedente e la fine che segue un intervallo abbastanza lungo, riempito di avvenimenti molteplici e considerevoli”. (Paolo, non menzionando la durata del tempo che separa la prima resurrezione dei giusti dalla seconda dei malvagi, potrebbe confermare il pensiero che il millennio, 142
1 Corinzi 15:22-28.
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anziché avere un valore letterale espresso dal numero, avrebbe quello simbolico di compimento). Paolo cita il primo versetto del Salmo CX: “L’Eterno ha detto al mio Signore: ‘Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei miei piedi’. Secondo questa dichiarazione divina il regno del Messia sul trono del Padre deve durare fino a quando ci sarà un nemico in piedi capace di separare Dio e l’uomo. Allora questo regno finirà. Ha dunque per scopo essenziale il compimento di questo giudizio sulle potenze opposte ancora in piedi dopo la parusia... In quale momento l’Apostolo fa iniziare il regno di Cristo di cui parla qui? Sembra a prima vista che questo momento non possa essere che quello dell’ascensione. Ma l’idea del regno puramente spirituale, come è iniziato con l’ascensione di Gesù, conviene a un contesto come questo, in cui si tratta del compimento esteriore e universale del piano divino? Non è forse più naturale prendere il termine greco “Basileia” in un senso completo, contemporaneamente spirituale ed esteriore, come nel versetto 50? ... Il regno comincia, secondo Luca XIX:15, quando Gesù, dopo aver ricevuto nel cielo la regalità, ritorna sulla terra per esercitarla... Bisogna dunque vedere nel regno di Cristo tutto lo stato di cose che segue la parusia e che durerà fino all’epoca nominata fine. È tutto l’intervallo tra il momento in cui apparirà visibilmente come re e quello in cui cesserà di esserlo (versetto 28); e come presso gli antichi regnare è giudicare, e giudicare è regnare, così il regno del Signore consiste qui in un giudizio... La vittoria di Cristo per essere completa deve colpire fino l’ultimo nemico, e ciò pure nel dominio esteriore e corporale. (L’ultimo nemico che sarà abbattuto sarà la morte). Come osserva con ragione Edwards, risulta da questo passo che la morte continuerà a regnare sulla terra tra la parusia e la fine. L’evidenza che Paolo vuole fare scaturire (dal versetto 27) è che, nel momento in cui tutto sarà sottomesso a Cristo volontariamente o involontariamente, due soli poteri resteranno in piedi: quello del Cristo, potere visibile, universale, e quello del Padre, che ha dato al Figlio questo potere sovrano. Ma questa qualità non durerà che un istante; essa sarà immediatamente risolta con l’atto libero del Figlio che chiuderà lo svolgimento delle cose: “Quando ogni cosa gli sarà sottoposta, allora anche il Figlio stesso sarà sottoposto a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti”. (Con la distruzione della morte che avviene alla fine del regno di Cristo) Paolo passa alla sottomissione del Cristo al Padre. Noi ritorniamo all’idea del versetto 24 “Poi verrà la fine quando egli avrà rimesso il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni potestà ed ogni potenza”. L’ultima vittoria è riportata, la fine arriva. Si comprende di conseguenza la digressione intervenuta nei versetti 25-27: la fine o la rimessa del regno al Padre deve essere preceduta dalla distruzione delle forze ribelli (versetto 24), poiché il Figlio non può rimettere al Padre che un impero completamente pacifico; e questa sottomissione delle forze ribelli non può avvenire che mediante il regno e il giudizio messianico di Gesù (versetti 25,26); da tutto questo il risultato, la sottomissione di tutte le cose al Figlio (versetto 27). E Quando la profezia diventa storia
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ora le condizioni della fine sono date. - Ciò che segue: “Allora il Figlio stesso si sottometterà” riproduce sotto una forma più accentuata ciò che aveva detto al versetto 24 in questi termini: “Quando egli avrà rimesso il regno nelle mani di Dio Padre”. La condizione della fine era la sottomissione di tutte le cose al Figlio; la fine stessa è la sottomissione del Figlio, e in lui di tutte le cose, a Dio. Il pensiero di Paolo non potrebbe che essere questo: il Figlio rientra nello stato di sottomissione da cui la sua posizione di sovrano messianico l’aveva fatto uscire, per il fatto che, comunicando Dio direttamente con tutti, egli (Gesù) cessa di essere l’intermediario della sovranità di Dio su loro. - Eclissa se stesso per lasciare prendere il suo posto a Dio. Prima era in lui, Cristo, che Dio si manifestava al mondo; egli era tutto in tutti. Ma non ha approfittato della sua relazione con i fedeli se non per condurli allo stato in cui Dio potrà direttamente, senza mediazione da parte sua, vivere, abitare in loro, rivelarsi, agire per loro. Venuto questo momento, essi sono, quanto alla posizione, i suoi uguali; Dio è tutto in loro, nello stesso modo in cui è stato ed è tutto nel suo Figlio glorificato. Essi sono pervenuti alla statura perfetta del Cristo ... È in questa pienezza che Dio ha abitato nell’uomo Gesù, ed è con la stessa pienezza che abiterà in ogni uomo diventato in lui suo fanciullo e suo erede... L’espressione “tutto in tutti” non significa certo solamente: essere tutto per loro (per il loro cuore) per un effetto del loro amore e della loro ammirazione... L’“in”, indica una abitazione reale. Il Dio vivente pensa, vuole e agisce mediante loro. Essi sono, come lo era Gesù quaggiù, i suoi agenti contemporaneamente liberi e sottomessi, i depositari della sua santità, i portatori del suo amore, gli interpreti della sua saggezza nello spazio senza limiti, nei mondi innumerevoli dell’universo. È riempiendoli che per mezzo di loro Dio riempie ogni cosa... Ogni membro di questa società glorificata non è più nulla in sé che non sia penetrato da Dio, come il cristallo trasparente è tutto penetrato di luce... “Come tu Padre sei in me e io in te, anch’essi siano in noi”. - Il fine della storia e lo scopo dell’esistenza umana è la formazione di una società di esseri intelligenti e liberi, condotti da Cristo a una perfetta comunione con Dio e resi da questo capaci di esercitare, come Gesù stesso quaggiù, una attività inalterabilmente santa e benefica. L’Apostolo ha fatto risaltare le tre fasi - resurrezione di Cristo, resurrezione dei fedeli, resurrezione universale - ed ha mostrato la correlazione di queste fasi con i tre principali momenti dell’opera divina - la consumazione della salvezza in Cristo stesso, l’inaugurazione del suo regno messianico e la chiusura di tutta la sua opera».143
143 F. Godet, o.c., t. II, pp. 354,355,377,356,358,359,378,379,359,360,361,362,364,365,369,370,371,372, 373, siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi.
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Capitolo XXIII NUOVI CIELI E NUOVA TERRA “La Scrittura insegna non l’annientamento, ma la trasformazione dell’universo fisico. Tra l’uomo e il mondo materiale esiste un vincolo di solidarietà: innocenza dell’uomo e armonia universale al principio; disubbidienza dell’uomo e disordine universale in seguito al peccato, infine: riconciliazione dell’uomo con Dio e rigenerazione del globo. La presenza di Dio ecco il Paradiso. Creando questo mondo, Iddio aveva uno scopo. La Nuova Gerusalemme ne sarà la piena realizzazione” Alfred Félix Vaucher. “La città celeste non è un insieme di ville isolate ma una casa con molte stanze, la casa di una famiglia numerosa dove ognuno vivrà nella piena comunione con gli altri” Giovanni Leonardi.
Introduzione “I primi capitoli della Genesi ci fanno assistere alle crisi che hanno dato origine alla realtà che vediamo nella natura e nella storia. Gli ultimi capitoli dell’Apocalisse pongono davanti a noi il quadro delle convulsioni che porteranno alla dissoluzione e che prepareranno il parto dei nuovi cieli e della nuova terra”.1 ““Io faccio ogni cosa nuova” tale è il tema della settima e ultima visione dell’Apocalisse, quadro di rivelazioni più alte che sia mai stato scritto da penna umana. C’è solo una porzione della Scrittura che gli possa essere comparata: il prologo dell’Evangelo secondo san Giovanni, che getta un colpo d’occhio d’aquila, unico nel suo genere, nell’eternità prima del tempo; il nostro brano immerge gli sguardi nell’eternità delle età future”.2 Il quadro dei nuovi cieli e della nuova terra, della Nuova Gerusalemme, è accennato nei versetti 1-8, è sviluppato nei versetti 9-27 di Apocalisse XXI ed è completato nei primi cinque versetti del capitolo XXII. Giovanni introduce la triplice descrizione con le parole: “Vidi... la santa città scendere dal cielo”, “mi mostrò la santa città” e “mi mostrò il fiume...” della Nuova Gerusalemme, il nuovo Eden paradiso di Dio.3 In queste tre visioni c’è un progredire della rivelazione. Da una 1
GODET Frédéric, Études Bibliques, t. II, 3a ed., Neuchâtel, pp. 385,386. REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. II, Lausanne 1906, p. 180. La nostra storia è la storia di Dio per la realizzazione di questa pienezza di vita, di gioia non ancora vissuta. 3 Apocalisse 21:3,10; 22:1. 2
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visione generale della santa città, del primo brano, l’Apostolo passa alla sua descrizione con dettagli su splendore, mura, porte, fondamenta, città, mancanza del tempio, luminari per giungere nel terzo quadro al particolare del fiume dell’acqua della vita, al suo albero e al trono di Dio e dell’Agnello. Con questa veduta “la rivelazione di Gesù Cristo”4, che è data all’Apostolo in esilio a Patmos, raggiunge la sua pienezza. Il Popolo di Dio perviene così alla conclusione del conflitto sostenuto con il male. Giovanni descrive, con un linguaggio teologico,5 la capitale della nuova terra presentando la realizzazione di quanto i profeti Isaia, Ezechiele e Zaccaria avevano scritto6 e Pietro aveva esortato i credenti orientandoli alle promesse di Dio di “nuovi cieli e di una nuova terra”7. In quest’ultima visione che Dio dà a Giovanni si ha un cambiamento drastico rispetto a quanto descritto prima. Si passa dalla sconvolgimento della terra, dalla morte, alla vita, all’eternità.
Nuovi cieli e nuova terra “Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il primo cielo e la prima terra erano passati, e il mare non era più. E vidi la santa città, la Nuova Gerusalemme, scendere giù dal cielo d’appresso a Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. E udii una gran voce dal trono, che diceva: “Ecco i1 tabernacolo di Dio con gli uomini; ed Egli abiterà con loro, ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio; e asciugherà ogni lacrima dagli occhi loro e la morte non sarà più; né ci saranno più cordoglio, né grido, né dolore, poiché le cose di prima sono passate”. E Colui che siede sul trono disse: “Ecco, io faccio ogni cosa nuova, e aggiunse: “Scrivi, perché queste parole sono fedeli e veraci”, Poi mi disse: “È compiuto. Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. A chi ha sete io darò gratuitamente della fonte dell’acqua della vita. Chi vince erediterà queste cose; e io gli sarò Dio, ed egli mi sarà figlio; ma quanto ai codardi, agl’increduli, agli abominevoli, agli omicidi, ai fornicatori, agli stregoni, agli idolatri e a tutti i bugiardi, 1a loro parte sarà nello 4
Apocalisse 1:1. “In questi due lunghi brani (21:1-4,9-25; 22:1-5) Giovanni vede in visione non la nuova Terra ma la Nuova Gerusalemme, capitale della nuova Terra, come la vecchia Gerusalemme lo era stata dell’antica Terra promessa. Più che mai, in questa visione, non crediamo che Giovanni veda una descrizione della realtà avvenire, ma piuttosto una sua rappresentazione teologica, un affresco simbolico a vividi colori, inteso a sottolineare i caratteri delle nuove relazioni che si stabiliranno tra gli uomini, e tra loro e la natura, soprattutto tra l’umanità redenta e Dio” RIZZO Rolando, Finalmente a casa, in AA.VV., Dal Flauto dolce ai Timpani, IADE, ed. AdV, Falciani 1994, pp. 331,332. 6 Isaia 54:11-17; 60:1-5; 65:17-19; Ezechiele 40-48; Zaccaria 14:16. 7 2 Pietro 3:13. 5
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stagno ardente di fuoco e di zolfo, che è la morte seconda””.8 La visione è integrata dall’ordine: “Scrivi!” Già altre quattro volte l’Apostolo ha udito questo comando, la voce era quella di Gesù, di qualcuno non precisato proveniente dal cielo e dell’angelo.9 Qui abbiamo l’ordine da Dio stesso, il quale attesta che le parole sono “fedeli e veraci”, come verrà ribadito alla conclusione dello spettacolo.10 Dio si presenta come l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine. Questo essere del Padre è anche del Figlio.11 Il Dio Creatore è, nello stesso tempo, il Redentore, colui che è all’origine e al compimento di ogni cosa. Come a seguito del diluvio la terra non disparve, ma subì una profonda trasformazione geofisica, così la creazione che ora attende “la libertà dalla corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio”12 subirà una palingenesi. Anche i “commentatori antichi intendono (i nuovi cieli e la nuova terra) come un rinnovamento e non come una distruzione”.13 “La nostra terra non è sublimata ed assorbita nell’infinito di Dio, ma purificata, rinnovata, ritornata ad essere terra di Dio e nello stesso tempo veramente se stessa, per quanto era diventata estranea a Dio e agli uomini, luogo di esilio, di pene e di morte”.14 Questo rinnovamento universale deve seguire il giudizio ultimo, non può dunque intendersi come risultato della trasformazione morale del mondo grazie al cristianesimo.15 Applicare questo capitolo alla Chiesa storica militante, pur nelle sua fedeltà, è possibile se non si tiene conto delle regole ermeneutiche e non si fa nessuna esegesi del testo, cioè si fa dire alla parola di Dio ciò che non vuole insegnare. Tutte le regole per comprendere la Bibbia ci obbligano a vedere, nei nuovi cieli e nella nuova terra, un rinnovamento di questo pianeta già teatro della manifestazione totale dell’amore di Dio, ristabilito da lui stesso non solo allo stato originario della creazione, ma superiore a quello. Gesù usa l’espressione “nuova creazione”.16 8
Apocalisse 21:1-8. Apocalisse 1:11,19; 14:13; 19:9. 10 Apocalisse 21:5; 22:6. 11 Apocalisse 22:13; 1:8. 12 Romani 8:21. 13 BONSIRVEN Giuseppe, L’Apocalisse di S. Giovanni, ed. Paoline, Roma 1958, p. 295. 14 BRÜTSCH Charles, La clarté de l’Apocalypse, ed. Labor et Fides, Genève 1966, pp. 352,353. 15 Agostino pur avendo minato nella cristianità l’attesa del ritorno di Gesù e il suo regno millenario, si leva contro coloro che vogliono applicare questo capitolo alla Chiesa militante. In La Città di Dio, libro XX cap. XVII, scrive: “Perché nella Nuova Gerusalemme la morte non ci sarà più e non ci sarà cordoglio... mentre ancora oggi i cittadini della futura Gerusalemme dicono all’Eterno, abbi pietà di me e sana l’anima mia, perché ho peccato contro di te (Salmo 51:4); l’occhio mio si consuma dal dolore, invecchia a cagione di tutti i miei nemici (Salmo 6:7); non v’è requie nelle mie ossa a cagione del mio peccato (Salmo 38:3)”. Il teologo Charles BRÜTSCH scrive: “Bisogna convenire, nonostante i commentatori cattolici, questa discesa maestosa della sposa proveniente da Dio non vuole dire che la chiesa del cielo sia la stessa di quella della terra. Se così fosse, il movimento dovrebbe adoperarsi in modo inverso per cui si vedrebbe salire la chiesa terrena verso il cielo, in una visione d’assunzione”, L’Apocalypse de Jésus Christ, ed. Labor et Fides, Genève 1944, p. 256. 16 Matteo 19:28. 9
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A. Gretillat scrive: “Come Dio non annienta l’umanità peccatrice (pentita), ma l’ha riscattata e rinnovata, così l’antico mondo non è annientato, ma purificato e rinnovato”. In altre parole: nulla di nuovo, ma ogni cosa nuova. Nella realtà futura, “il mare”, non i nostri mari ed oceani, ma l’abitazione del dragone, la manifestazione del soggiorno dei morti, patria delle persone demoniache di questo mondo, si ritirerà come nel giorno dell’Esodo, sparendo però definitivamente, davanti alla manifestazione del nuovo Israele.17 Dopo il millennio, Giovanni vede scendere dal cielo, d’appresso a Dio, la Nuova Gerusalemme18, come una sposa adorna per il suo sposo. Nell’Antico Testamento, Gerusalemme19 è considerata come la sede del regno di Dio, il luogo in cui l’Eterno aveva stabilito la sua dimora fra gli uomini, dove si manifestava a loro. Nella nuova terra, la Nuova Gerusalemme sarà il luogo di incontro dei santi glorificati. Questa città è contemporaneamente l’abitazione dei santi e la Chiesa glorificata. Perciò essa è la città santa e la sposa di Cristo. Dopo il millennio “questa Nuova Gerusalemme scende dal cielo d’appresso a Dio perché è opera di Dio; lo è come dimora da lui preparata per gli eletti e lo è come società dei salvati da Cristo, santificati dallo Spirito, fatti degni della comunione perfetta col loro 17
Giobbe 7:12; Apocalisse 20:13; 13:1; Isaia 27:1; 51:9,10; Salmo 74:13,14; Giobbe 26:12,13. “Il mare, per un piccolo popolo rivierasco, era la realtà infida da cui all’improvviso potevano venire le invasioni; nel contesto apocalittico, il mare simboleggia spesso la guerra, ed è portatore di mostri: le quattro bestie mostruose descritte in Daniele 7 vengono dal mare, e dal mare viene pure il mostro delle teste con nomi di bestemmia di Apocalisse 13 la cui violenza arriva sino a Dio. Quel mare non sarà più” R. Rizzo, o.c., p. 332. 18 “Il profeta Daniele stesso ha avuto la visione di questa Gerusalemme celeste. Alla fine dei regni terrestri che finiranno per sparire senza lasciare tracce (Daniele 2:35), vede “un regno che non sarà mai distrutto” (Daniele 2:44), sotto la forma di una montagna (Daniele 2:35,44), immagine tradizione della Sion o di Gerusalemme (Salmo 24:2; Isaia 2:3; Zaccaria 8:3; Isaia 27:13; confr. Daniele 9:20; 11:45; ecc.). Sui passi della Bibbia ebraica, la tradizione giudaica afferma la realtà della Gerusalemme celeste (Yerushalayim shel Maalah) che esisteva pure prima della creazione del mondo (Tanh B. Num, p. 34); e che ispira delle predicazioni e dei canti d’amore (Taan 5a, Tanh. Peq 1). Nella letteratura apocalittica giudaica, si annunciava che la Gerusalemme celeste e il suo tempio discenderanno per prendere il posto delle città terrestri, “poiché là dove l’Altissimo abita nessuna opera umana può sussistere” (1 Enoc 90:28,29; 4 Esdra 7:26; 10:54). Secondo il rabbino cabalista del XIII secolo, Bahia ben Asher, il plurale duale della parola ebraica per Gerusalemme (Yerushalayim) si applica con riferimento alle due Gerusalemme, quella terrestre e quella celeste” DOUKHAN Jacques, Le cri du ciel, Dammarie les Lys 1996, p. 260. 19 “Tutta l’Apocalisse è attraversata da due figure antitetiche: Israele e Babilonia. La prima figura rappresenta l’interlocutore umano del piano salvifico di Dio, oggetto di salvezza, quindi, ma anche soggetto salvifico in virtù del patto. Israele è dunque il popolo fedele dall’Eden ad Armaghedon; Babilonia è invece il simbolo dell’umanità orgogliosa e ribelle, espressione visibile del potere satanico, idolatra quanto prevaricatrice. Babilonia dominerà a lungo ma cadrà per sempre (vedere capitolo 14 e 18); Israele è invece destinato all’eternità. Non sarà però l’Israele della storia (né quello prodotto dalla rivelazione veterotestamentaria, né la Chiesa) nella sua integrità a ereditare l’eternità, ma la sua sublimazione operata nei cieli, e nei cieli trasfigurata. La Nuova Gerusalemme che scende si contrappone all’antica Babilonia la cui torre vuole salire sino al cielo. La Nuova Gerusalemme che scende non è la vecchia Gerusalemme che si espande, non è costruita dagli uomini, poiché tutte le Gerusalemme costruite dagli uomini hanno fallito. L’unico “suo architetto e costruttore è Dio” Ebrei 11:13” R. Rizzo, o.c., p. 332. La prima allusione a Gerusalemme la si ha all’incontro di Abramo con Melchisedec, re di Salim, cioè re di pace, di giustizia (Genesi 14:18; Ebrei 7:2). Il nome di questa città cananea, Salim, si pensa che sia l’antico nome dato a Gerusalemme. Di questa città non si conosce l’origine, Melchisedec era re e sacerdote dell’Eterno al tempo di Abramo, ma quando Israele esce dall’Egitto era una città pagana. Davide la conquistò non a seguito di un esplicito ordine di Dio (Giosuè 15:63; 2 Samuele 5:3,6-10). Gerusalemme sarà importante perché capitale del popolo ebraico, perché vedrà la costruzione del tempio e Dio vi farà la sua dimora. Non è importante per le sue origini, ma per quello che rappresenta. Da nessuna parte è detto che sia stata costruita da Dio o che abbia delle origini divine. Per contro di Babilonia è detto che è stata costruita da Marduk e per lui.
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Dio. Infatti essa è pronta come una sposa adorna per il suo sposo”20 l’Agnello.21 Questa doppia immagine della “città”, e della “sposa” è tradizionale nella Sacra Scrittura. Essa si è preparata, cioè si è trasformata, può ora appartenere al suo sposo il quale ha operato in lei per farla comparire davanti a sé immacolata, irreprensibile, santa e gloriosa.22 “L’immagine (della sposa) è quella che meglio raffigura la giovinezza perenne, e l’eterna meraviglia dell’amore che rende beata una vita d’amore, la quale, dopo migliaia di secoli, avrà la stessa freschezza che aveva al principio”.23 Giovanni ode una gran voce dal trono che dice: “Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini”. Questa voce comunica all’Apostolo una straordinaria rivelazione. “La Nuova Gerusalemme... la Chiesa dei riscattati è chiamata il tabernacolo di Dio con gli uomini, per allusione al tabernacolo che serviva di santuario nel deserto, e grazie al quale Dio abita con gli uomini”.24 Con questa dichiarazione dal cielo si presenta la relazione perfetta di Dio con la sua Chiesa. In questa dichiarazione si riassume l’insegnamento apostolico: alla Chiesa, tempio dello Spirito Santo, corpo di Cristo, è dato di partecipare alla natura divina25. Allora Dio “sarà tutto in tutti”26; senza confondersi con le sue creature, abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro e sarà loro Dio.27 “A causa del peccato l’umanità non è stata più il tempio di Dio... Ma il piano di Dio si adempie con l’incarnazione di suo Figlio. Dio abita in mezzo agli uomini tramite la sua grazia salvatrice, e il cuore dell’uomo diventa nuovamente il suo tempio. Dio voleva che il santuario di Gerusalemme fosse una testimonianza perenne dell’alto destino di ogni anima”.28 Gesù è stato l’EmmanûEl, Dio con noi; ha promesso di essere sempre con i suoi discepoli fino alla fine della storia e ora che tutto è compiuto il Padre stesso sarà con i suoi figlioli, perché come diceva già il profeta Ezechiele quale ultima dichiarazione del suo scritto: “In quel giorno il nome della città sarà: “l’Eterno è qui””.29 “L’immagine del matrimonio è un perfetto simbolo della qualità delle relazioni tra Dio e il suo popolo, una sposa di amore e di intimità. La sposa dell’Agnello è finalmente a casa, in perfetta sicurezza nella città di Dio.- Ella ha bisogno di sapere che quella gioia non finirà mai, e che quel tempo di felicità è per sempre”.30 “La felicità eterna, che non avrà niente in comune con le creazioni di una immaginazione carnale, sarà tutta nella comunione reale e vivente con Dio stesso. Per 20
BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 141. Apocalisse 21:9. 22 Efesi 5:27. 23 ALLO Ernest; cit. da E. Bosio, o.c., p. 141. 24 BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, L’Apocalypse, 3a ed., rivista ed ampliata da SCHRŒDER Alfred, Lausanne 1905 , p . 440. 25 2 Pietro 1:4. 26 1 Corinzi 15:28. 27 1 Corinzi 6:19; Efesi 2:22; 1 Pietro 1:4; 1 Giovanni 3:2; 1 Corinzi 15:28. 28 WHITE Ellen, La speranza dell’uomo, ed. AdV, Firenze 1978, p. 104. 29 Matteo 1:23; 28:20; Ezechiele 48:35. 30 BADENAS Robert, New Jerusalem - The Holy City, in AA.VV., Symposium on Revelation - Book II, Frank B. Holbrook, Editor, 1992, p. 255. Vedere BATEY R.A., New Testament Nuptial Imagery, Leiden 1971. 21
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degli esseri pervenuti alla perfezione, non c’è nulla al di sopra di questo amore infinito con cui Dio li ama e con cui essi, come risposta, amano Dio. Una tale destinazione è solo degna dell’uomo creato all’immagine di Dio e riscattato da Gesù Cristo, e solo degno di Dio stesso. Questa concezione della felicità eterna, esente da ogni lega sensuale, come da ogni fantasia dell’immaginazione, non potrà essere che il frutto di una rivelazione”.31 Della creazione prima della caduta di Adamo la Parola di Dio dice poco: “Tutto era molto buono”; sulla vita nei nuovi cieli e nella nuova terra essa non si dilunga, per farci conoscere come si svolgerà, si limita ad affermare al negativo che quanto fa parte della nostra realtà quotidiana: morte, lacrime, cordoglio, grido, dolore, notte, peccato e maledizione, non ci saranno più.32 Possiamo pensare che ciò che era buono all’origine, un uomo eterosessuato, con la sua capacità di conoscere i misteri del creato, mediante la sua intelligenza senza limiti, sarà buono anche nella nuova Gerusalemme perché Dio con l’azione di salvare l’umanità non corregge il suo progetto iniziale che si presentava “molto buono”33, stoppato, purtroppo, a causa della seduzione compiuta dalla voce dell’Avversario e non per un errore di programmazione. Fu l’Avversario a suggerire ad Eva, la madre dell’umanità, che la creazione era imperfetta invitandola, come oggi il New Age, ad “essere come Dio”, facendole credere di avere dentro di sé questa realtà. L’apostolo Paolo, nella sua lettera ai Corinzi, scrive: “Il corpo è seminato corruttibile e risorgerà incorruttibile, è seminato corpo naturale - cioè psichico -, e risuscita corpo spirituale pneumaticos”.34 Per la parola di Dio il corpo psichico, esprime l’essere nella sua individualità, irrepetibilità, sottomesso all’anima, cioè alle passioni, ai sentimenti, a causa del peccato, alla concupiscenza, soggiogato nel presente dalla negatività, dalla ribellione nei confronti di Dio. L’uomo spirituale è l’uomo non immateriale, ma legato da un rapporto vero e concreto a Dio. L’apostolo aveva già scritto: “L’uomo naturale - psichico - non riceve le cose dello Spirito di Dio”.35 Anche nella vita quotidiana del presente l’uomo può essere psichico, naturale o pneumatico, spirituale. Nell’eternità la vita fisica - psichica, dopo che il corpo sarà stato trasformato, dal ritorno di Gesù, da corruttibile a incorruttibile, da mortale a immortale, si svilupperà, secondo il piano originario della creazione, nel rapporto pieno e completo con Dio. “Per la prima volta in tutto lo scritto è specificato che Dio stesso parla, ed è per proclamare la buona novella centrale, la parola definitivamente creatrice: “Ecco, io faccio ogni cosa nuova””.36 Non dice: “Io creo di nuovo, ma faccio nuovo tutto ciò che era prima”. Questa dichiarazione di Dio dovrebbe essere presa come lo scopo di tutto il libro. Gesù che è lo stesso “ieri, oggi, domani e in eterno” riporterà allo stato originale la creazione, la cui umanità domani vivrà nella pienezza dell’amore di Dio. 31 32 33 34 35 36
L. Bonnet, o.c., p. 440. Apocalisse 21:1,4,22,25,27; 22:3,5. Genesi 1:31 1 Corinzi 15:42,44. 1 Corinzi 2:14. C. Brütsch, o.c., p. 359.
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Per la seconda volta echeggia nel cielo la parola: “È compiuto”.37 Il rinnovamento di tutte le cose è realizzato, lo scopo della creazione è raggiunto. Il regno di Dio Padre ha preso il posto dei regni di questo mondo. Dio è “Alfa e Omega”, “il primo e l’ultimo’’. Colui che ha cominciato e finito quest’opera, Colui per il quale essa sussiste e nel quale essa ha il suo scopo e il suo fine: “Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen”.38 La nuova terra non è il risultato di una evoluzione, come molti vorrebbero, essa sarà il risultato di un atto creativo di Dio. La terra restaurata sarà caratterizzata non da cose diverse da quelle che conosciamo, ma della loro trasformazione in nuovo cielo e terra.39 Tutto ciò che apparteneva alla realtà precedente è passato. In occasione del giudizio universale è detto che alla presenza del trono di Dio “fuggirono terra e cielo, e non fu più trovato posto per loro”,40cioè la realtà del presente, dove il male e gli spiriti demoniaci e gli uomini corrotti hanno la loro dimora, spariranno completamente perché in essi non ci sarà più la presenza di “alcuna cosa maledetta”.41 Questo tutto nuovo non è però presentato come auspicabile, possibile, qualcosa che riguarda il domani, ma come compiuto, già realizzato. Le parole: “Ecco io faccio ogni cosa nuova”, sono realizzate dall’affermazione: “È compiuto!”42 Nella nuova creazione molti saranno esclusi;43 in primo luogo, secondo la lista di Giovanni, “i codardi”. Ciò non ci deve sorprendere, si spiega facilmente per il fatto che il timido calpesta sotto i piedi le grazie di cui è stato onorato. Anziché essere di benedizione per coloro che lo circondavano, ai quali doveva dare una fedele testimonianza, è stato, per contro, una fonte impantanata, una pietra d’inciampo per chi lo guardava. Essi fanno contrasto con coloro che vinceranno e non hanno avuto paura degli uomini, hanno mostrato la loro fede e la loro perseveranza e non si sono 37 38 39 40 41 42
Apocalisse 21:6; 16:17; vedere Giovanni 19:30. Romani 11:36. Apocalisse 21:1,2,5. Apocalisse 20:11. Apocalisse 2:3; confr. Colossesi 2:15; Apocalisse 12:9. Apocalisse 21:5,6.
43
Caratteristiche di quelli che sono esclusi dalla Nuova Gerusalemme 21:8
21:27 falsità
Caratteristiche degli abitanti di Babilonia
22:15
17-18 18:2
cani codardi (timidi) increduli abominevoli omicidi fornicatori stregoni idolatri tutti i bugiardi
abominazioni
17:4,5 17:6; 18:24 17:1,2,5,15,16; 18:3,9 18:23 19:20 19:20
R. Badenas, o.c., p. 264. Quando la profezia diventa storiai
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ritirati dal combattimento. Poi vengono gli “increduli” coloro che, a loro volta, sono di inciampo ad altri perché hanno avuto il privilegio di conoscere, capire il piano di Dio per la loro salvezza e la salvezza dell’umanità, ma non hanno avuto fiducia nel Creatore. La loro responsabilità è più grave di tante altre. I “bugiardi” sono nominati alla fine dell’enumerazione: questo termine contrasta con la descrizione dei fedeli e indica coloro ai quali è applicato il titolo di figli del diavolo, padre della menzogna.
La Nuova Gerusalemme “Dopo la visione e le dichiarazioni dei versetti 1-8, che formano una specie di prologo, segue la descrizione della Nuova Gerusalemme. Essa è introdotta con gli stessi termini della descrizione della caduta di Babilonia44: “Uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene delle sette ultime piaghe, venne e mi parlò, dicendo: Vieni, ti mostrerò... E mi trasportò in ispirito...”. Nel pensiero dell’autore, i due quadri sono accoppiati. Il primo aveva per soggetto “il giudizio della grande meretrice”; il secondo ci mostra la Sposa, espressione già applicata alla Nuova Gerusalemme; indicata qui più chiaramente come la moglie dell’Agnello”.45 “E venne uno dei sette angeli che avevano le sette coppe piene delle sette ultime piaghe; e parlò meco, dicendo: “Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello”. E mi trasportò in ispirito su una grande ed alta montagna, e mi mostrò la santa città, Gerusalemme, che scendeva dal cielo d’appresso a Dio, avendo la gloria di Dio. I1 suo luminare era simile a una pietra preziosissima, a guisa d’una pietra di diaspro cristallino. Aveva un muro grande ed alto; aveva dodici porte, e alle porte dodici angeli, e sulle porte erano scritti dei nomi, che sono quelli delle dodici tribù dei figlioli d’Israele. A oriente c’erano tre porte; a settentrione tre porte; a mezzogiorno tre porte, e ad occidente tre porte. E il muro della città aveva dodici fondamenti, e su quelli stavano i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello. E colui che parlava meco aveva una misura, una canna d’oro, per misurare la città, le sue porte e il suo muro. E la città era quadrangolare, e 1a sua lunghezza era uguale alla larghezza; egli misurò la città con la canna, ed era dodicimila stadi (circa 550 chilometri); la sua lunghezza, la sua larghezza e la sua altezza erano uguali. Ne misurò anche il muro, ed era di centoquarantaquattro cubiti (circa 70 metri), a misura d’uomo, cioè d’angelo. I1 muro era 44 Babilonia è un sistema di vita che viene su dalla terra contro Dio ed è caratterizzato dalla sofferenza e dalla morte perché è separato dal Signore. 45 L. Bonnet, o.c., p. 442; vedere Apocalisse 17:1-3.
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costruito di diaspro e la città era d’oro puro simile a vetro puro. I fondamenti del muro della città erano adorni d’ogni maniera di pietre preziose. I1 primo fondamento era di diaspro; il secondo di zaffiro; il terzo di calcedonio; il quarto di smeraldo, il quinto di sardonico, il sesto di sardio, il settimo di crisolito; l’ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l’undicesimo di giacinto, il dodicesimo di ametista. E le dodici porte erano di dodici perle, e ognuna delle porte era fatta d’una perla; e la piazza della città era d’oro puro simile a vetro trasparente. E non vidi in essa alcun tempio, perché il Signore Iddio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. E la città non ha bisogno di sole, né di luna che risplenda in lei, perché la illumina la gloria di Dio, e l’Agnello è il suo luminare. E le nazioni cammineranno alla sua luce; e i re della terra vi porteranno la loro gloria. E le sue porte non saranno mai chiuse di giorno (la notte quivi non sarà più); e in lei si porterà la gloria e l’onore delle nazioni. E niente d’immondo e nessuno che commetta abominazioni o falsità v’entreranno; ma quelli soltanto che sono scritti nel libro della vita dell’Agnello”.46
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Apocalisse 21:9-27. Abbiamo qui in Apocalisse il compimento di quanto il profeta Ezechiele 40-48 diceva della restaurazione di Gerusalemme.
Apocalisse 21:9-27 Giovanni era trasportato nello Spirito su un’alta montagna e vide la santa città Gerusalemme (versetti 9,10) e la città aveva la “gloria di Dio” (versetto 10). La città aveva alte mura con dodici porte delle dodici tribù d’Israele (versetto 12) Tre porte a Oriente tre porte a Settentrione tre porte a Mezzogiorno e tre porte a Occidente (versetto 13). Qualcuno era stato incaricato di misurare la città le porte ed il muro (versetti 15-17). E la città era quadrata (versetto 16). Non vi potrà entrare chi commette abominazioni (versetto 27; confr. 21:8). “Egli abiterà con loro, ed essi saranno suoi popoli, e Dio stesso sarà con loro. Colui che siede sul trono” (21:3,5; 21:1). R. Badenas, o.c., p. 253. Quando la profezia diventa storiai
Ezechiele 40-48 Ezechiele era portato in visione su un altissimo monte e vide la santa città Gerusalemme (40:2) e “e la gloria dell’Eterno entrò nella casa”(43:2-5). E la città aveva alte mura con dodici porte nominate con i nomi delle tribù d’Israele (38:31-34) tre porte a Oriente tre porte a Settentrione tre porte al lato del Mezzogiorno tre porte ad Occidente (48:31-34). Qualcuno era stato incaricato di misurare la città il tempio e le mura (40:3e seg.). La città era un quadrato (48:20; confr. 41:21; 43:16; 45:2). Non vi potrà entrare chi commetterà abominazioni (44:6-14). “Questo è il luogo del mio trono, e il luogo dove poserò la pianta dei miei piedi” (43:7).
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L’angelo che aveva una delle coppe, con le quali si compie il giudizio di Dio, e aveva fatto vedere a Giovanni la “gran meretrice (che è) la gran città che impera sui re della terra”47, fa ora vedere la vera città: la Nuova Gerusalemme. Il testo biblico offre un considerevole contrasto tra queste due donne-città. Robert Badenas così lo presenta48:
Babilonia
Nuova Gerusalemme La visione
“E uno dei sette angeli “E uno dei sette angeli che avevano le sette coppe, che avevano le sette coppe... venne e mi parlò venne e mi parlò dicendo “Vieni; dicendo “Vieni io ti mostrerò... io ti mostrerò la grande meretrice... la sposa, con la quale hanno fornicato i re della la moglie dell’Agnello” (XXI:9). terra...” (XVII:1,2) Ed egli mi trasportò E mi trasportò nello Spirito nello Spirito in un deserto, su una grande e alta montagna, e io vidi (XVII:3) e mi mostrò la grande città (XVIII:18) la santa città, Babilonia (XVII:5) Gerusalemme, seduta su molte acque che scendeva dal cielo ... su una bestia scarlatta d’appresso a Dio (XXI:10) Descrizione delle due Donne/Città E la donna era vestita avendo la gloria di Dio (XXI:10). di porpora e di scarlatto, adorna Il suo luminare era simile a d’oro, di pietre preziose una pietra preziosissima, di perle; aveva in mano una pietra di diaspro cristallino... (XXI:11) in mezzo alla piazza un calice d’oro pieno di abominazioni il fiume dell’acqua della vita, e delle immondizie della limpido come cristallo... (XXII:1,2) sua fornicazione (XVII:4) Dimora di Dio e del suo popolo (XXI:3) Dimora di demoni Niente d’immondo vi entrerà e ricetto di ogni spirito immondo (XXI:27) (XVIII:2) Quelli i cui nomi sono scritti Quelli i cui nomi non sono scritti Nel libro della vita dell’Agnello nel libro della vita vi entreranno si meraviglieranno vedendo la bestia (XXI:27) (XVII:8) le nazioni e i re Le nazioni e i re 47 48
Apocalisse 17:1,18. R. Badenas, Idem, p. 256.
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della terra (XVII:15) daranno il loro potere alla bestia (XVII:12,13)
della terra vi porteranno gloria e onore (XXI:4)
Destino delle due città è introdotto dalle parole: “È fatto” (XVI:17) e “È compiuto” e aggiunge che Babilonia aggiunge che Dio, a era stata ricordata da Dio, per coloro che hanno sete darle il calice del vino darà dell’acqua di vita del furore della sua ira (XVI:19). gratuitamente (XXI:6). In uno stesso giorno verranno le sue E là non ci sarà più piaghe: mortalità, cordoglio né morte..., né dolore... e fame, e sarà né grido... (XXI:4). consumata col fuoco (XVIII:8). Essi cammineranno alla sua luce (XXI:24). E il fumo del suo incendio sale per sempre (XVIII:18;XIX:3). L’Agnello è il suo luminare (XXI:23) Non ci sarà più luce di lampada Li illumina la gloria di Dio (XXI:23) né splendore alcuno (XVIII:23). Babilonia adorna d’oro Gerusalemme sarà raggiante come di pietre preziose, è caduta in rovina Una pietra preziosa della gloria di Dio (XVIII:16,17) (XXI:11) Babilonia regna come una regina Il trono di Dio sarà in lei, (XVIII:7) ma con lei anche i suoi abitanti sono e i suoi servitori lo serviranno... (XXII:3) destinati alla distruzione (XVIII:8) Babilonia la grande città sarà inabissata Ed essi regneranno per sempre (XXII:5). con violenza e non sarà più trovata (XVIII:21). Giovanni è trasportato su “una grande ed alta montagna”. La montagna è per i popoli dell’antichità il luogo della rivelazione, simbolo della potenza di Dio. Da questo luogo che contrasta con il deserto nel quale vede la meretrice che cavalca la bestia, l’Apostolo vede, come Mosè sul monte Nebo, la capitale della terra promessa. La moglie dell’Agnello scende dal cielo perché vi era stata portata in occasione della parusia del suo Sposo e perché nessuna mano umana ha lavorato alla sua formazione. Coloro che formano la Sposa sono stati generati dallo Spirito e da lui lavorati per diventare pietre viventi nell’edificio di Dio. Questa umanità ha ripreso la gloria di Dio di cui il peccato l’aveva privata. Il “luminare della Nuova Gerusalemme, simile a una pietra preziosa, come una pietra di diaspro”, Giovanni l’aveva di già visto in occasione della sua seconda visione, che presenta nel capitolo IV:3 del quale scrive: “Colui che sedeva (sul trono) era nell’aspetto simile a una pietra di diaspro e di sardonico; e attorno al trono c’era Quando la profezia diventa storiai
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un arcobaleno che, a vederlo, somigliava a uno smeraldo”. Del resto anche l’Antico Testamento presenta le teofanie, le visibili apparizioni di Dio, con delle pietre preziose.49 Come fa osservare il teologo R. Badenas forse il testo vuole dire qualcosa di più. Considerando che il muro era di diaspro, il primo fondamento era di diaspro, il luminare era come diaspro, “Dio stesso è anche descritto con i termini di diaspro, l’intenzione del testo sembra essere che la gloria di Dio sia lo splendore della città, che Dio stesso sia il suo muro, e sia anche il fondamento”.50 In altre parole tutto è sostenuto, protetto, avvolto, illuminato da Dio. Abbiamo qui la realizzazione di ciò che il profeta Zaccaria diceva e si avrà il compimento di ciò che Gesù affermava: “Gerusalemme sarà abitata come una città senza mura... (perché) io dice l’Eterno, sarò per lei un muro di fuoco tutt’intorno”; “Le mie pecore ascoltano la mia voce... e io do loro la vita eterna, e non periranno mai, e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti; e nessuno può rapirle di mano al Padre”.51 La cifra 12, che caratterizza questa città, le sue porte, le sua fondamenta, significa che nella sua totalità essa è realizzata dall’ordine di Dio che compie il suo disegno universale, sopra dei fondamenti umani. “La donna di Apocalisse XII con la sua corona di 12 stelle è dunque la stessa cosa della città di Dio con le sue 12 porte e i suoi 12 fondamenti, con questa sola differenza che la donna rappresenta la Chiesa militante, e la Nuova Gerusalemme, la Chiesa trionfante... La donna rivestita dal sole è la Chiesa - l’insieme dei credenti tanto della nuova quanto dell’antica alleanza, - che ha vinto il paganesimo e che è il divino candelabro del mondo”.52 “La nuova città è costruita secondo il modello che offriva l’organizzazione d’Israele. La Chiesa dei riscattati appare come il vero popolo di Dio, in favore del quale si sono compiute le promesse fatte alle dodici tribù dei figli d’Israele”.53 La Chiesa del Nuovo Testamento è stata innestata nell’ulivo dell’Antico Testamento, i rami secchi sono stati recisi e quindi accanto ai nomi delle dodici tribù appaiono quelli dei dodici apostoli perché le due alleanze non ne formano che una. “I nomi delle tribù d’Israele sulle porte, e degli apostoli sulla fondamenta,54 nobilitano il ricordo e la storia, onorano le risposte decise degli uomini, la libera collaborazione umana al piano di Dio, e fanno della città dei salvati la capitale di una umanità libera, formata da ex resistenti”.55 Il grande muro di cinta della città è forse a protezione momentanea della sposa dallo stagno ardente di fuoco che divampa tutto attorno a lei per consumare e ridurre in cenere i malvagi. 49 50 51 52 53 54 55
Salmo 104:1,2; Ezechiele 1:4,13,16,26-28; 10:1. R. Badenas, o.c., p. 257. Zaccaria 2:4,5: Giovanni 10:27-29. AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 241,242. L. Bonnet, o.c., , p. 442, 443. Efesi 2:20; Apocalisse 21:12,14. Vedere nota n. 5. R. Rizzo, o.c., p. 333.
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Il muro di cinta misurava “centoquarantaquattro cubiti”; dodici volte dodici, cifra anche questa simbolica. Essa dà alla muraglia un’altezza di circa 70 metri, ben inferiore a quella della città. Giovanni fa notare che l’angelo si è servito qui, come altrove, del cubito ordinario impiegato dagli uomini stessi. “Non c’è nessuna proporzione tra l’altezza della città e quella delle sue muraglie, e si comprende che la misura che è servita ad ottenere questi risultati, pur restando una misura d’uomo, non è pertanto della terra. Venendo dall’alto, enunciata da un messaggero fedele e delegato dal Dio di verità che le ha dato il nome di misura d’angelo, essa deve, malgrado il suo strano carattere, essere ricevuta con una intera fiducia. La muraglia così bassa della città esprime che non è destinata ad assicurare la sicurezza dei suoi abitanti... Per quanto riguarda una entrata violenta dei nemici in genere, essa non è concepibile, poiché essi sono stati gettati nel lago di fuoco”.56 “La bestia, il falso profeta e tutti gli operatori di iniquità ormai non sono più; la morte seconda ha già estirpato il male e tutte le sue incarnazioni, per sempre. Infatti le porte rimangono sempre aperte”.57 Le porte di questa città saranno sempre aperte perché verranno da Oriente e da Occidente, da Settentrione e da Mezzogiorno, i riscattati dell’Agnello per porsi a sedere alla tavola di Dio.58 Il muro era di diaspro e la città di oro fino, precisa due volte Giovanni,59 simile a vetro trasparente. Le sue fondamenta erano di pietre preziose: “diaspro”, probabilmente non la pietra che porta oggi lo stesso nome, ma una pietra brillante; “zaffiro” blu; “calcedonio” azzurro; “smeraldo” verde; “sardonico” rosso; “sardio” rosso scuro; “crisolito” pietra splendente come l’oro o verdastra trasparente; “berillo” variante dello smeraldo o onice; “topazio”, pietra trasparente dai riflessi giallo oro e verdastri; “crisopazio” solamente qui menzionata nella Bibbia, giallo pallido o verde; “giacinto” pietra brillante dai riflessi di fuoco, di un giallo che tende al rosso; “ametista” violetto. Queste pietre potrebbero, oltre che essere il compimento di quanto aveva detto il profeta Isaia60 rievocare quelle del pettorale che il sommo sacerdote portava quando entrava nel santuario per presentare il popolo a Dio. Ogni pietra rappresenta una tribù. “Si tratta di pietre preziose rappresentanti, ognuna nella sua preziosa diversità, una tribù d’Israele che il sommo sacerdote portava sul cuore ogni volta che si avvicinava all’Eterno. Nei riflessi che l’insieme prezioso produrrebbe, molti autori vedono un riferimento all’arcobaleno, segno di misericordia e d’amore che Noè vide nei vapori della pioggia e che si vedrà anche nella città dei redenti”.61 Tenuto conto di questa prospettiva e che le fondamenta portavano il nome degli apostoli “questa trasformazione sembra dire che nel nuovo patto il simbolo è diventato realtà, che il 56
A. Reymond, o.c., t. II, p. 206. R. Rizzo, o.c., p. 334; vedere Apocalisse 21:8. 58 Luca 13:29. 59 Apocalisse 21:18,21. 60 Isaia 54:11,12. 61 R. Rizzo, o.c., p. 334,335; vedere Esodo 28:17-20; 39:8-14. Delle 12 pietre del pettorale 8 sono indicate nelle fondamenta della città. 57
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ministero sacerdotale è finito e pienamente realizzato. La prefigurazione dell’antico Israele è divento il solido fondamento del nuovo Israele. Il trasferimento dalle tribù d’Israele agli apostoli conferma l’universale carattere della nuova realtà”.62 “Come dice Ecumenio e molti interpreti, lo splendore e la magnificenza materiale della Gerusalemme celeste evoca la sua gloria e il suo splendore spirituale”.63 In questa città dove tutto è prezioso, dove tutto è puro e trasparente non ci sarà nulla che non corrisponderà a verità. Ogni azione sarà la manifestazione trasparente del pensiero che l’ha animata. Dio non abita più in una luce inaccessibile che nessun uomo può vedere.64 “Promesse, parabole, presagi, liturgie, profezie, tutto ciò che è parziale prende fine nel “faccia a faccia”, perfetto”.65 La città è quadrata,66 e come la sua altezza era uguale alla sua larghezza e lunghezza, essa forma un cubo di tremila stadi, circa 550 chilometri di lato, con un perimetro di 2.200 chilometri, uguale a 12.000 stadi. Queste cifre possono essere prese in senso simbolico: il numero 12 rappresenta il popolo di Dio, ed è moltiplicato per 1.000, numero della pienezza.67 “La Nuova Gerusalemme non è il risultato di una estemporanea crescita. Essa è per contro tutta calcolata, mura progettate con matematica realtà. La descrizione pone molta enfasi sulle misure della città e i dettagli della sua perfetta architettonica struttura: dimensioni, mura, porte e fondamenta. Ogni cosa è il risultato di una perfetta intenzione. Ciò è quanto le sue misure rivelano. Le due nozioni particolarmente enfatizzate sono quelle della perfezione e dell’immensità. È sorprendente notare che il numero 7, preponderante in Apocalisse, viene qui rimpiazzato dal numero 12.68 Tutte le figure date sono 12 o multipli di 12. Per esempio 12 porte, 12 angeli, 12 tribù dei figli d’Israele, 12 fondamenta, 12 mila stadi, 144 mila cubiti, 12 perle, 12 raccolti di frutta.69 Queste misure sembrano realizzare la pienezza del popolo di Dio: la città è fatta dal numero dalle 12 tribù dell’antico Israele e dai 12 apostoli di Gesù Cristo, sottolinea la continuità della storia della salvezza e l’uguaglianza della identità spirituale tra “l’Israele di Dio” e la chiesa trionfante. Le dimensioni della Nuova Gerusalemme (un quadrato di 12.000 stadi, o 144.00070) mostra che questa città è come la misura
62
R. Badenas, o.c., p. 258. Vedere Efesi 2:19,20. G. Bonsirven o.c., p. 302. 64 1 Timoteo 6:16. 65 Idem, p. 370; vedere 1 Corinzi 13:10,12. 66 “Per gli antichi, il quadrato era la figura perfetta. Ninive e Babilonia, secondo Erodoto, avevano piante perfettamente quadrate; la città di Dio è un cubo, un quadrato da qualunque parte la si guardi, lo stesso santuario d’Israele era un cubo (1 Re 6:19,20)” R. Rizzo, o.c., p. 333. 67 Vedere L. Bonnet, o.c., p. 443. 68 Se il numero 7 corrisponde a una totalità = 4 + 3, nel 12 si ha la perfezione, non è il risultato di una somma, ma di una moltiplicazione = 4 x 3. 69 Apocalisse 21:12,14,16,17,21; 22:2. 70 Crediamo che in Apocalisse 7 e 14:1-5, il numero simbolico dei 144.000 indichi la pienezza dei viventi salvati al ritorno di Gesù, mentre qui in Apocalisse 21 questo numero indica simbolicamente, come esposto nel testo, la pienezza di tutti i salvati. Vedere il nostro Capitolo XVIII - I 144.000 dell’Apocalisse. 63
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dell’umanità salvata, come un tutto. Superiore a Babilonia e a Roma, la Nuova Gerusalemme è la vera e la sola città universale”.71 Questa sua caratteristica è data da: - le sue porte e le sue mura sono rivolte ai quattro punti cardinali; - la purificazione delle vesti dei salvati solo mediante il sangue dell’Agnello; - il popolo di Dio è formato dai diversi popoli della Terra; - si ha la realizzazione del progetto di Dio espresso a Israele quando disse che sarebbe stato un popolo di re e di sacerdoti; - Dio accetta che in essa i popoli e i re portino la loro gloria. “La città di Dio è una comunità internazionale; la città di tutto il genere umano”.72 “Una città può essere lunga e larga ma, a differenza di un edificio, non può essere alta... Nessuno stupore: l’altezza della città è tra i segni inequivocabili del genere letterario cui appartiene la visione, la quale non descrive la dimora dei redenti ma una sua raffigurazione simbolica, con valore non descrittivo. Essendo un cubo perfetto, non è che il compimento ultimo di quanto annunciato nel cubo perfetto e figurativo che era l’antico santuario”.73 La forma cubica della Nuova Gerusalemme oltre a esprimere l’idea della stabilità, della solidità e della compattezza, essa ricorda quella del luogo santissimo del santuario d’Israele,74 che esprime l’invito al popolo-Chiesa a partecipare alla gloria di Dio e sedersi con lui sul suo trono. Come il tempio di Salomone, così la Nuova Gerusalemme esprime la presenza, la santità, la gloria dell’Eterno. Giovanni scrive: “E non vidi in essa alcun tempio, perché il Signore Iddio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”.75 “La parola greca usata qui per “tempio” è naos, una parola usata da Giovanni in tutta l’Apocalisse per il santuario celeste.76 Nello stesso passo, la Nuova Gerusalemme è chiamata “la dimora di Dio” (skene).77 La stessa parola greca indica il tabernacolo del deserto ed è espressa anche in XIII:6 e XV:5. Gli stessi termini e testi che si riferiscono al tempio sono qui utilizzati per descrivere la Nuova Gerusalemme. Il tempio di Gerusalemme, come il tabernacolo del deserto, rappresentava il regno di Dio in mezzo al dominio degli uomini. A causa del peccato queste due realtà erano differenti e separate. Era necessario creare un ponte tra Dio e gli uomini. Ora, la Nuova Gerusalemme, il mondo di Dio e il mondo degli uomini sono diventati una stessa realtà. La mediazione non è più necessaria. La comunicazione è aperta. Dio parla direttamente con l’uomo, e l’uomo con Dio. La comunione di amore è perfetta.- Il tempio, come simbolo di accesso alla presenza divina, è rimpiazzato dalla presenza stessa. Il vero tempio è la presenza di Dio fra il suo popolo. Dio non è più separato dall’uomo. Dio non è più relegato in un posto riservatogli. Il posto dove è Dio è diventato lo stesso
71 72 73 74 75 76 77
R. Badenas, o.c., pp. 258,259. Idem. R. Rizzo, o.c., p. 334. 1 Re 6:20. Apocalisse 21:22. Apocalisse 3:12; 7:15; 11:1,2,19; 14:15,17; 15:5,6,8; 16:1,17; 21:22. Apocalisse 21:3. Quando la profezia diventa storiai
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posto dove è l’uomo. La nuova città è il posto di incontro tra Dio e l’uomo, per sempre, senza barriere”.78 Il tempio non ci sarà più, ma esso è definitivamente realizzato dalla presenza stessa di Dio e dell’Agnello in unione perfetta con l’umanità riscattata. “I rapporti dell’Onnipotente con il suo popolo sono quelli di una comunione immediata e intima. L’adorazione non è legata a nessuna circostanza di tempo e di luogo. La dichiarazione del Signore relativa all’adorazione in ispirito ha ricevuto il suo compimento. Se di già sulla terra adoravano Dio in ispirito e verità, ora che la fede è cambiata in veduta e la speranza in possessione, il loro culto, voglio dire la loro vita intera, non è che l’espressione del carattere celeste impresso dallo Spirito nel loro essere e nella loro attività. L’assenza del tempio, lungi dall’essere pregiudiziale, segna un progresso nella conoscenza e di conseguenza nell’amore”.79 “Il Tempio come luogo della manifestazione di Dio diventerà la comunità dei credenti che può essere composta anche soltanto da due o tre persone. Nella nuova terra, l’eliminazione del peccato, unica barriera tra Dio e l’uomo e tra gli uomini stessi, rende percepibile la presenza di Dio e possibile un rapporto esplicito e diretto. L’amore di cui sarà pervaso il creato nuovo renderà immediata e giornaliera la comunione tra gli uomini e superflui, quindi, gli antichi strumenti della sua promozione”.80 Lo splendore della Schekinah, la presenza di Dio, sostituisce la luce del sole e della luna, come aveva già annunciato il profeta Isaia.81 La Nuova Gerusalemme è illuminata dalla gloria di Dio e l’Agnello è il portatore di questa luce, perché in Lui essa prende corpo e si manifesta, di modo che colui che lo vede, vede anche il Padre. La più alta felicità del cielo è contemplare Colui che è chiamato la faccia di Dio. “Essendo lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza, sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza”. Giovanni scrive nel prologo del suo evangelo che Gesù è: “la vera luce che illumina ogni uomo”.82 “E le nazioni cammineranno alla sua luce; e i re della terra vi porteranno la loro gloria”.83 Questa dichiarazione di Giovanni è tra le più difficili del capitolo e ha portato diversi commentatori a credere che la Nuova Gerusalemme si riferisca al regno millenario sulla terra, che precederà il regno eterno di Dio. Malgrado la difficoltà di questo testo, ci sembra evidente che i capitoli XXI e XXII dell’Apocalisse descrivano il regno eterno di Dio sulla nuova terra; essi 78
R. Badenas, o.c., pp. 260,261. A. Reymond, o.c., t. II, p. 213; Giovanni 4:24. 80 R. Rizzo, o.c., p. 335; vedere 1 Corinzi 3:16,17; Matteo 18:20. 81 Isaia 60:10,20. “Nella Genesi la creazione inizia con la creazione della luce (1:3,4). La nuova creazione inizia con la lucentezza della luce di Dio, che illumina la radiosa città. Nella prima creazione la luce appare prima del manifestarsi del sole e della luna; nella nuova creazione il diffondersi della gloria di Dio eclissa ogni altra sorgente di luce materiale” R. Badenas, o.c., p. 261. 82 Ebrei 1:3; Giovanni 1:9. 83 Apocalisse 21:24. 79
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presentano “la Chiesa nell’eternità”,84dopo il regno millenario di Cristo in cielo, dopo il suo ritorno con gli eletti sulla terra e il giudizio dei malvagi e la loro distruzione eterna, dopo il tempo in cui ogni cosa è stata fatta nuova e gli eletti “regneranno nei secoli dei secoli”. Con questa dichiarazione Giovanni “non vuole dire che in questo momento ci saranno ancora dei pagani da convertire. Celebra il compimento delle profezie relative alle nazioni, ripetendole nei termini stessi con cui erano state formulate in Isaia e nel Salmo LXXII”.85 “Le nazioni cammineranno alla sua gloria” perché “Egli abiterà con loro, ed essi saranno suoi popoli”. L’Apostolo impiega il plurale “nazioni” perché diversi sono i popoli che godranno la realizzazione delle promesse fatte per bocca dei profeti e dei testimoni di Gesù Cristo. Nell’eternità non sarà più detto solo per gli Israeliti: “La mia dimora sarà presso di loro, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo” ma, come in Ezechiele, le nazioni saranno suoi popoli. “È la comunità biblica opposta alla comunità politica”.86 Con le parole: “E le porte non saranno mai chiuse di giorno (la notte quivi non sarà più)”, l’Apostolo riprende le parole del profeta Isaia che diceva: “Le tue porte saranno sempre aperte; non saranno chiuse né giorno né notte, per lasciare entrare in te la ricchezza delle nazioni, e i loro re in corteggio”.87 Le mura, le porte, le guardie servono, nel nostro tempo, sulla nostra terra, a difesa della città, ma nell’eternità, dove non c’è più da temere nemici né sorprese, esse stanno a rappresentare l’idea della perfetta pace e sicurezza nella quale vivranno i salvati. Nessun serpente entrerà nel paradiso di Dio, nulla di contaminato, cioè nessun uomo impuro entrerà in essa. Essa sarà preservata dalla santità stessa degli eletti, come hanno dichiarato i profeti Isaia ed Ezechiele e la ‘‘rivolta’’ non si manifesterà una seconda volta come aveva detto il profeta Nahum.88 “La notte è, in tutta la Scrittura, il simbolo del male; non per nulla Gesù afferma di sé: “Io sono la luce”. E inoltre: “Chi fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce”.89 Basta consultare una Concordanza biblica per verificare che la metafora della luce è la più usata per descrivere l’opera di Dio attraverso il Messia e il suo popolo. Giovanni, autore dell’Apocalisse, solo nel suo evangelo ci riporta tredici casi in cui Gesù applica a se stesso la metafora della luce, mentre la notte è spesso utilizzata come figura del peccato, della condizione preferita da chi macchina il male, dell’incerto, del perfido.90 Se il sole e la luna non sono quindi realtà negative da annullare ma, in quanto metafore, utensili miseri di fronte allo splendore avvenire; la notte, nell’Apocalisse, ha lo stesso valore metaforico che gli dà Paolo nell’epistola ai 84 85 86 87 88 89 90
SCHLATTER Adolf, Introduction à la Bible, Genève 1903, p. 583. È il titolo degli ultimi due capitoli. L. Bonnet, o.c., p. 444; vedere Isaia 60:3,5; Salmo 72:10. LILJE Hanns, L’Apocalypse, Paris 1959, p. 257; vedere Ezechiele 37:27. Isaia 60:11. Isaia 35: 8; 52:1; Ezechiele 44: 9; Nahum 1:9. Giovanni 3:29. Giobbe 3:6; 7:4; Salmo 78:14; 139:11; Isaia 21:11; 58:10; Michea 3:6; Romani 13:12. Quando la profezia diventa storiai
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Romani: “La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce; camminiamo onestamente come di giorno””.91 “La scomparsa della notte è menzionata per due volte.92 Perché questa insistenza? ... Luce può simboleggiare conoscenza e verità. Dire che non c’è più notte significa anche che il mistero di Dio sarà rivelato, la rivelazione di Cristo sarà pienamente compiuta,93 e tutto ciò che ora è tenebre e oscurità diventerà, finalmente, definitivamente chiaro”.94
L’Eden ritrovato “Poi mi mostrò il fiume dell’acqua della vita, limpido come cristallo, che procedeva dal trono di Dio e dell’Agnello. In mezzo alla piazza della città e d’ambo i lati del fiume stava l’albero della vita che dà dodici raccolti, e porta il suo frutto ogni mese; e le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni. E non ci sarà più alcuna cosa maledetta; e in essa sarà il trono di Dio e dell’Agnello; i suoi servitori gli serviranno ed essi vedranno la sua faccia e avranno in fronte il suo nome. E non ci sarà più notte; ed essi non avranno bisogno di luce di sole, perché li illuminerà il Signore Iddio, ed essi regneranno nei secoli dei secoli”.95 Non si può non vedere in questo quadro, che è un particolare della Nuova Gerusalemme, l’Eden restaurato. La Genesi presentava questo particolare del giardino in questi termini: “L’Eterno Iddio fece spuntare dal suolo ogni sorta di alberi piacevoli a vedersi e il cui frutto era buono da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino, e l’albero della conoscenza del bene e del male. E un fiume usciva d’Eden per adacquare il giardino, e di là si spartiva in quattro bracci”.96 Il profeta Ezechiele nella sua descrizione della restaurazione di Gerusalemme scriveva: “Egli mi riportò all’ingresso della casa, ed ecco delle acque uscivano di sotto la soglia della casa, dal lato d’oriente; ... e le acque uscite di là scendevano dal lato meridionale della casa, a mezzogiorno dell’altare... Mi fece attraversare le acque... era un fiume che non si poteva guadare... Ecco sulla riva del fiume c’erano moltissimi alberi, da un lato e dall’altro… Egli mi disse: “Queste acque si dirigono 91 92 93 94 95 96
R. Rizzo, o.c., p. 336; vedere Romani 13:12,13. Apocalisse 21:25; 22:5. Apocalisse 10:7; 1:1. R. Badenas, o.c., p. 262. Apocalisse 22:1-5. Genesi 2:9,10.
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verso la regione orientale, scenderanno nella pianura ed entreranno nel mare e le acque del mare saranno rese sane. E avverrà che ogni essere vivente che si muove, dovunque giungerà il fiume ingrossato, vivrà, e ci sarà grande abbondanza di pesce... E dei pescatori staranno sulle rive del mare; ... vi saranno diverse specie … e in grande abbondanza.... E presso al fiume, sulle sue rive, da un lato e dall’altro, crescerà ogni specie di alberi fruttiferi, le cui foglie non appassiranno e il cui frutto non verrà mai meno; ogni mese faranno dei frutti nuovi, perché delle acque escono dal santuario; e quel loro frutto servirà di cibo, e quelle loro foglie di medicamento”. Ezechiele conclude la sua visione e il suo libro, come abbiamo già riportato: “E, da quel giorno, il nome della città sarà: “L’Eterno è qui””.97 Nella realtà futura “il trono di Dio non è più situato in un cielo lontano, ma nel cuore stesso della città neoterrestre”.98 “Giovanni vede un fiume d’acqua di vita che usciva dal trono di Dio e dell’Agnello. Questo nuovo simbolo raffigura il dono della vita eterna, che è la conseguenza della presenza di Dio in mezzo agli uomini e la loro comunione perfetta con lui. Il fiume esce dal trono di Dio, che ha destinato questa vita ai riscattati, e dell’Agnello, che l’ha procurata loro mediante un’opera di mediazione. Il fiume scorre nel mezzo della strada principale della città, che bisogna rappresentarsi come molto larga. Sulle due rive sono posti gli alberi della vita”.99 Sulle sue rive c’era l’albero della vita le cui radici sono una di qua e l’altra di là del fiume: il tronco si congiunge in alto prima della folta chioma carica di meravigliosi frutti. “Questo albero non produce dodici frutti diversi, ma del frutto dodici volte l’anno. - Non ci sarà più l’alternarsi della gioia e della privazione, l’inverno sterile e l’estate torrida; più frutti senza fiori o fiori senza frutti; più il passato con i suoi rimpianti, né l’avvenire con le sue preoccupazioni, ma un presente eterno, al centro della perfezione. Inoltre, questo albero di vita, che ricorda il paradiso in cui l’uomo peccò prima di essere espulso, la vita divina la cui sorgente si era seccata per lui, ridice qui, 97
Ezechiele 47:1-12; 48:35. Riportiamo del pastore R. Rizzo le seguenti riflessioni: “Abbiamo sull’eternità numerose visioni nell’Antico Testamento e altrettante immagini nel Nuovo da cui poter trarre molte deduzioni, ma queste riguardano più i caratteri relazionali etici e spirituali del Regno di Dio che le modalità del suo vivere. Si ripete un po’ ciò che attraverso le loro visioni i profeti hanno detto su Dio, descrivendo ciò che hanno veduto. Da quelle descrizioni possiamo desumere con sufficiente completezza l’etica di Dio, la sua passione per l’uomo, il suo amore, il suo progetto salvifico, ma mai la realtà del suo essere, la sua “corporeità”, l’essenza della sua dimora. Poiché i profeti, nelle loro visioni, più che Dio e la sua dimora, vedono le sue rappresentazioni antropomorfiche (rappresentazioni i cui modelli, pur trasfigurati, sono tratti sostanzialmente dall’esperienza umana) che, anche se conservano i tratti sostanziali comuni (il vecchio, gli angeli, il fuoco, il trono), mutano da profeta a profeta, da occasione a occasione. Così è della dimora dei credenti e del loro vivere. Qualunque immagine, più o meno convincente si trovi nei brani biblici, non è mai una descrizione della realtà, ma una sua rappresentazione antropomorfica, preziosa però, poiché da essa si può ricavare ciò che conta: i caratteri morali del Regno di Dio”. Testi come Isaia 11:1-10; 65:17-25, particolarmente il versetto 20, “provano che la prima prospettiva di queste profezie hanno come soggetto l’Israele storico a cui, con toni enfatici ed estremi, vengono promessi i frutti personali e sociali della liberazione di Dio come il perdono (versetto 17), la gioia (versetto 18), la giustizia sociale (versetto 21) la serenità in una natura totalmente rappacificata (versetto 25): ecco i frutti terreni della comunione il cui compimento assoluto avrà luogo nell’eternità. Questi due testi, proprio perché il soggetto principale è l’Israele terreno, ci dicono tutto sui caratteri morali del Regno di Dio: giustizia, comunione, pace... ma di nulla ci informano sul tipo di concretezza che vivremo nella nuova terra” o.c., pp. 328,329. 98 C. Brütsch, o.c., p. 381. 99 L. Bonnet, o.c., p. 445. Quando la profezia diventa storiai
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CAPITOLO XXIII
per la consolazione e la gioia dei riscattati di Cristo, che tutte le devastazioni del peccato sono riparate, che l’ordine del Redentore è perfetto. E che è ammirevole l’armonia del piano di Dio, rivelato nelle sante Scritture. Questo racconto, che si apre con la creazione dell’uomo e con la descrizione della sua prima dimora, che racconta la sua caduta e traccia tutte le fasi del suo sviluppo sotto le misericordiose dispensazioni di Dio, termina con la visione della restaurazione di tutte le cose, con la descrizione della dimora eterna dell’umanità riscattata. La conclusione ritorna al punto di partenza; tutti i misteri sono spiegati, tutti i mali sono riparati, l’uomo è reso al suo destino, alla pienezza della vita, che si trova nella comunione di Dio stesso. Tale è l’epopea divina che si ritrova dall’inizio della Genesi fino all’Apocalisse. Non ci sarà più anatema, cioè non più uomini esclusi dalla comunione di Dio poiché il peccato non esisterà più nella città santa, al contrario, il trono di Dio e dell’Agnello sarà il centro d’essa, e i suoi servitori gli renderanno un culto, culto perfetto, al quale i culti celebrati qui in basso li avranno preparati”.100 Le acque del fiume limpide come cristallo “assicurano lo scorrere della vita dal Creatore di ogni cosa. Dio è la vita per tutto e per sempre”. ““L’albero della vita” è di una enigmatica magnificenza (affonda le sue radici su entrambe le rive del fiume) e misteriosamente ricco (“dà dodici raccolti e porta il suo frutto ogni mese”), parla ancora della vita che viene offerta continuamente e nella sua pienezza. È stato notato - scrive il prof. R. Badenas - che la parola usata in Apocalisse XXII:2 per “albero” è xulon, “legno”, e non l’usuale parola che si trova nel Nuovo Testamento, dendron (albero e che si legge anche in Apocalisse101). Ora xulon, che usualmente significa “legno”,102 è sovente utilizzata nel Nuovo Testamento per la croce,103 e sempre in Apocalisse, per l’“albero della vita”104. Se questo è una allusione alla croce, “l’albero della vita” sarebbe una delle più magnifiche immagini per l’evangelo: l’albero sarebbe il perfetto ricordo che la vita dei riscattati è solo possibile tramite la redenzione del sacrificio di Gesù”.105 “Le foglie dell’albero sono per la guarigione delle nazioni”. “Questa dichiarazione divide gli interpreti, come l’altra (XXI:24)... Alcuni vi hanno visto anche l’indizio della possibilità che sarebbe accordata ai reprobi di convertirsi per entrare nella città santa. L’ordinanza generale dell’Apocalisse si oppone a questa spiegazione. Al capitolo XX, la sorte di tutti gli avversari di Cristo e del suo Regno è definitivamente regolata”.106 Le parole menzionate da Giovanni sono il cavallo di battaglia di coloro che sostengono un millennio terrestre. La guarigione delle nazioni sarebbe un fatto che si 100 101 102 103 104 105 106
L. Bonnet, o.c., pp. 445,446. Apocalisse 7:1,3; 8:7; 9:4. Apocalisse 18:12,13. Atti 5:30; 10:39; 13:29; Galati 3:13; 1 Pietro 2:24. Apocalisse 2:7; 22:2,14,19. R. Badenas, o.c., pp. 266,267. L. Bonnet, o.c., p. 445.
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NUOVI CIELI E NUOVA TERRA
compie prima del giudizio ultimo e quindi durante il millennio. Per questi interpreti: “I popoli che avranno fino allora risentito dei mali della tirannia, e per così dire gli ardori del governo arbitrario delle potenze umane, cercheranno di mettersi all’ombra dell’albero della vita, per guarire le loro piaghe; ed essi vi troveranno il refrigerio di cui hanno bisogno”.107 “Come è detto in Ezechiele, il loro fogliame è contro la ferita: ciò fa vedere chiaramente che, né in Ezechiele, né in questo posto, è rappresentata la gloria e la felicità della Chiesa nel cielo, dove non ci sarà nessuna infermità né ferita da guerra”.108 “L’albero di vita è il più benedetto. Il suo frutto è la carne di coloro che sono nella città, e fornisce con le sue foglie i mezzi necessari a coloro che sono ancora sulla terra”.109 “Si tratta qui non dell’eternità, in cui Dio sarà in tutti. Ancora meno sarà necessario, nei tempi eterni, un albero che procuri la guarigione”.110 Per indicare la guarigione fisica propriamente detta, nel Nuovo Testamento si trova il sostantivo “iasis”, guarigione, rimedio, cura. Il sostantivo “iama” indica il dono di guarigione111 e significa: “medicamento”, “rimedio”. La parola “iatros”, “guaritore”, “medico”, si trova sette volte. Il verbo “iaomai”, “curo”, “risano”, “guarisco”, ventisette volte. Ma il nostro testo ha l’espressione greca “therapia”. In Ebrei questa espressione viene utilizzata nei confronti di Mosè, qualificandolo quale servitore. Nel libro degli Atti viene utilizzato per dire che Dio non è servito da mani umane. Altre due volte si trova negli evangeli112 e indica l’insieme dei servizi di una casa. “Come il frutto dell’albero della vita che assicura l’immortalità non implica la presenza della morte sulla nuova terra, così le foglie dell’albero, che servono a mantenere la salute, non suppongono necessariamente la presenza della malattia”.113 “Therapia non significa necessariamente guarigione del malato; significa qui, secondo l’etimologia, stabilimento, accrescimento di forza, perfezionamento della salute, convalescenza”.114 “La vita dei cristiani non raggiunge d’un colpo tutta la sua pienezza; essa è dunque suscettibile di uno sviluppo, di una crescita che ne elimina gradualmente le imperfezioni”.115 “Il riscattato non è arrivato alla sua statura; deve crescere, e, di progresso in progresso, raggiungere la perfezione del suo essere, che è lo scopo”.116 107
CRINSOZ Thédore, Essai sur l’Apocalypse, avec des éclaircissements sur les prophéties de Daniel qui regardent les derniers temps, Genève 1729, pp. 359, 360. 108 LAUNAY Pierre de, sotto lo pseudonimo di Les BUY de la PERIE Jonas, Paraphrase et Exposition sur l’Apocalypse, Genève 1651, p. 672; cit. da VAUCHER Alfred Félix, Les prophéties Apocalyptiques et leur interprétation, Collongessous-Salève 1972, p. 71. 109 DARBY John Nelsen, Notes sur l’Apocalypse, 2a ed., Genève 1850, p. 194. 110 ANTOMARCHI DORIA Antonio, L’Apocalypse - Simples entretiens, 2a ed., Paris 1933, p. 214; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 71. 111 Per iasis, vedere Luca 13:32; confr. Atti 4:22,30; per iama, vedere 1 Corinzi 12:9,28,30. 112 Ebrei 3:5; Atti 17:25; Matteo 24:45; Luca 12:42. 113 A.F. Vaucher, o.c., p. 72. 114 DELITZSCH Franz Julius, A system of Bibl. Psychology, 2a ed., Edimburg 1885, p. 556; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 72,73; vedere Ezechiele 47:12. 115 E. Bosio, o.c., p. 147. 116 PORRET James Alfred, La vision du Ciel ou la Révélation de l’au-delà, Genève 1898, p. 87; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 73. Quando la profezia diventa storiai
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CAPITOLO XXIII
Quindi “la parola greca therapia ha un senso più largo di guarigione. Indica in generale il servizio e può essere impiegata per l’insieme dei servitori, i domestici come dice Matteo e Luca, o per il servizio particolare del trattamento dei malati come dice Luca”.117 “Le foglie hanno lo scopo non di guarire, ma di mantenere la salute... Nello stato finale, perfetto della Nuova Gerusalemme descritta qui, la condizione di ognuno è stata fissata per l’eternità, non c’è più salvezza possibile”.118 “Le foglie sono per la guarigione, letteralmente per il servizio delle nazioni. Ciò non implica per nulla che qualche ammalato o infermo potrà entrare in questa condizione, per il fatto che nulla lascia supporre che questo servizio abbia un carattere temporaneo, mentre l’uso dei frutti sarà perpetuo; ogni idea di malattia o infermità nello stato immortale è contrario alle dichiarazioni precise della Scrittura”.119 “La dichiarazione secondo la quale le foglie saranno per la guarigione delle nazioni dovrebbe essere resa più correttamente per il servizio delle nazioni, poiché nessuno sarà ammalato e avrà bisogno di guarigione in questo mondo meraviglioso come disse Isaia”.120 Possiamo concludere questa spiegazione con le seguenti riflessioni: “Inoltre per rispondere a questa domanda noi possiamo anche ricordare che l’uomo, sempre, anche dopo la resurrezione, rimane una creatura. Egli vive a causa della vita che Dio gli offre momento dopo momento. Pur essendo con Dio, l’uomo continua ad essere uomo, e Dio è sempre Dio. L’uomo dipende da Dio per la sua vita. L’uomo sarà costantemente dipendente dalla vita di Dio. Le foglie dell’albero della vita ricorderanno costantemente all’uomo che egli ha bisogno di essere continuamente “curato” del suo stato. Pur essendo pienamente integrato nel corpo di Cristo, l’uomo mai sarà Cristo. L’uomo sarà capace di osservare Dio faccia a faccia, ma mai sarà divinizzato. Mai sarà Dio. Sempre sarà una creatura, e Dio sempre sarà il Creatore. L’uomo regnerà, ma mai solo, sempre con Dio. L’albero della vita - è frutto e foglie è un ricordo che solamente Dio è eterno, che lui solo ha la vita in se stesso. L’eternità dell’uomo è una eternità che continuamente riceverà da Dio, condivisa con Dio. Così l’albero della vita mette in risalto il trionfo della grazia”.121 L’espressione “non ci sarà nessuna cosa maledetta” realizza quanto il profeta Zaccaria aveva scritto: “E la gente abiterà in essa, e non ci sarà più cosa votata allo sterminio e Gerusalemme sarà al sicuro”,122 non ci sarà più il male. La Nuova Gerusalemme, attesa da Abrahamo che si considerava un pellegrino nella terra promessa, è anche la stazione di arrivo del pellegrinaggio d’Israele. La luce e l’acqua che caratterizzano la città del cielo erano gli emblemi della celebrazione annuale della festa dei tabernacoli. Alla fine della storia, la realtà supererà le aspettative.
117
C. Brütsch, o.c., ed. 1955, p. 223; vedere Matteo 24:45, Luca 12:42; Luca 9:11. FAUSSET Andrew Robert, A Commentary critical experim. and practical, ou the Old and New Testament, t. IV, p. 728; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 73. 119 SMITH Uriah, Daniel and the Révélation, Nashville, Tennessee 1944, p. 772. 120 EMMERSON Walter Leslie, God’s Good News, Watford 1950, p. 593; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 73. 121 R. Badenas, o.c., p. 267. 122 Zaccaria 14:11. 118
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Quando la profezia diventa storia
NUOVI CIELI E NUOVA TERRA
Gli abitanti di questa città sono re e sacerdoti, vivranno alla presenza del loro Dio senza intermediari. Sono però dei combattenti, hanno accettato le promesse di Dio durante la loro vita, le hanno fatte proprie, e hanno continuato a credere anche contro ogni speranza. Ciò che il Signore ha promesso ai fedeli delle sette Chiese verrà ricevuto nella Nuova Gerusalemme.
Promesse alla Sette Chiese
Realizzate nella Nuova Gerusalemme
1. Efeso: il Vincitore “mangerà dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”, II:7.
L’albero della vita ha le sue radici su entrambe le rive del fiume che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello, XXII:1,2. Erediterà queste cose: non ci sarà più la morte, né grido, né dolore, XXI:7,4. “Avranno in fronte il suo nome”, XXII:4. “Essi regneranno nei secoli dei secoli” XXII:5. “Beati coloro che lavano le loro vesti..., per entrare nelle porte della città”, XXII:14. “Sono scritti nel libro della vita dell’Agnello”, XXI:27. “Il Tabernacolo di Dio con gli uomini” XXI:3. “Avranno in fronte il suo (di Dio) nome”, XXII:4. “La Nuova Gerusalemme scendere giù dal cielo”, XXI:2,10. “In essa sarà il trono di Dio e dell’Agnello..., ed essi regneranno nei secoli di secoli”, XXII:3,5.123
2. Smirne: il Vincitore “non sarà colpito dalla morte seconda”, II:11. 3. Pergamo: il Vincitore avrà “un nome nuovo”, II:17. 4. Tiatiri: il Vincitore avrà “potestà sulle nazioni” II:26. 5. Sardi: il Vincitore “avrà vesti bianche e il suo nome non sarà cancellato dal libro della vita” III:5. 6. Filadelfia: il Vincitore “sarà una colonna nel tempio di Dio, non ne uscirà mai e avrà il nome di Dio, della città di Dio, della Nuova Gerusalemme scritto su di lui” III:12. 7. Laodicea: il Vincitore sarà seduto con l’Agnello sul suo trono III:21.
““Essi regneranno nei secoli dei secoli”. Con queste gloriose parole si termina la descrizione delle celesti bellezze della Nuova Gerusalemme”.124
Conclusione Il cristianesimo non è una filosofia, una religione, è una rivelazione e la conseguenza del Dio che entra nella storia, del Dio che si fa conoscere, pur continuando ad essere misterioso e nascosto. Il cristianesimo è un fatto storico, è una persona, è Cristo Gesù. Questo figura è colui che nella prima pagine della Bibbia crea la terra per l’uomo, crea l’uomo e s’incontra con lui nell’Eden, viene promesso come 123 124
R. Badenas, o.c., p. 265. L. Bonnet, o.c., p. 446. Quando la profezia diventa storiai
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CAPITOLO XXIII
salvatore a seguito del peccato, è annunciato dai patriarchi e dai profeti, è atteso dal popolo, sperato dalle nazioni, adorato nel cielo dagli esseri celesti che cercano di capire il suo progetto di vittoria sul male. È il centro della storia e dell’universo. È colui che dall’eternità è entrato nel tempo, si è fatto uomo della terra, ha subito la ribellione dell’umanità e degli angeli decaduti e ha trionfato sul male, su Satana mediante l’altare creato dagli uomini, la croce, e perché, pur morendo di una morte infame ed iniqua, non avendo peccato, giustizia gli è stata fatta: è risuscitato. “La Nuova Gerusalemme è la città di Gesù Cristo. In questo testo (dell’Apocalisse) Cristo è esclusivamente e sistematicamente indicato col termine arnion, “l’Agnello”. Questa parola è ripetuta sette volte nel nostro brano. Ogni volta è presentata per descrivere le diverse relazioni tra Gesù e la Nuova Gerusalemme: - l’Agnello è il marito delle Nuova Gerusalemme, sua sposa e moglie; - l’Agnello è il fondatore della città, le cui fondamenta portano i nomi dei suoi apostoli; - l’Agnello, assieme con il Padre, è il tempio della città; - l’Agnello è la lampada della città, che la illumina con la gloria di Dio; - l’Agnello è colui che scrive il libro della vita e indica/giudica chi può essere cittadino della nuova terra; - l’Agnello sul trono è la sorgente, assieme al Padre, del fiume dell’acqua della vita; - l’Agnello è re, e assieme al Padre governa dal suo trono ed è servito dai suoi servitori.125 In tre126 di queste caratteristiche l’Agnello è menzionato assieme con Dio nella formula “Dio è l’Agnello”. Queste sette definizioni enfatizzano il significato cristiano della Santa Città. Identificato con il Padre, e dividendo il trono dell’universo con lui, Cristo è il centro della Nuova Gerusalemme. È il re. La sua presenza sempre dichiarata, ma mai descritta. Cristo è essenziale alla Santa Città. Egli è il suo fondatore, il suo tempio, la sua lampada di luce, e la sua sorgente di vita. Egli è, in una parola, il migliore dono di Dio all’umanità: lo sposo, il marito dell’umanità redenta. Ogni cosa è ricapitolata in lui. Nell’Agnello della Nuova Gerusalemme noi abbiamo “il capo/compimento di tutte le cose”.127 Questa visione mostra in una forma magistrale che “la definizione di cielo è la presenza di Cristo”128”.129 Il pianeta Terra che è stato per l’universo il teatro della lotta millenaria tra il bene ed il male, il luogo sul quale l’Eterno ha mostrato la natura della sua persona, diverrà la sede del suo governo, il luogo della sua dimora, il centro dell’universo. La mia e la nostra storia sono la storia di Dio per la realizzazione di questa pienezza di vita, di gioia non ancora vissuta. 125 126 127 128 129
Apocalisse 21:9,14,22,23,27; 22:1,3. Apocalisse 21:22; 22:1,3. L’autore ne riferisce tre. Efesi 1:10. WHITE Ellen, Comments, in The Seventh Day Bible Commentary, t. VII, p. 898. R. Badenas, o.c., p. 269,270.
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L’Apocalisse conclude con le parole: “Colui che attesta queste cose dice: “Sì; vengo presto!”. La risposta verbale della sposa è: “Amen! Vieni, Signore Gesù!””.130 “Udii come la voce di una grande moltitudine , come il suono di molte acque e come il rumore di forti tuoni che diceva: “Alleluia! poiché il Signore Iddio nostro, l’Onnipotente, ha preso a regnare. Rallegriamoci e giubiliamo e diamo a lui la gloria, poiché sono giunte le nozze dell’Agnello, e la sua sposa si è preparata; e le è stato dato di vestirsi di lino fino, risplendente e puro; poiché il lino fino sono le opere giuste dei santi”. E l’angelo disse: “Beati quelli che sono invitati alla cena delle nozze dell’Agnello”. “Queste sono le veraci parole di Dio””. Giovanni ha dato un assaggio del compimento di queste cose affinché noi le possiamo vivere domani e pregustare nel presente.
130
Apocalisse 22:20. Quando la profezia diventa storiai
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Quando la profezia diventa storiai
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Appendice n. 1 SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X - XIII pp. n. Potere 1 Babilonia
Daniele 2
Daniele 7
Daniele 8
Daniele 9
2
MedoPersia
v. 39a. Petto e v. 5. Orso che si v. 3,20. Un braccia di argento. appoggia su un montone con due fianco. corna. È il re di Media e di Persia
3
Durante il regno medo-persiano inizia la visione del capitolo VIII e la spiegazione iniziale del capitolo IX
v. 13. Fino a v. 24. Settanta quando durerà la settimane sono visione? fissate riguardo al tuo popola e alla tua santa città… Dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e riedificare Gerusalemme fino all’ apparire di un unto-capo vi sono sette e sessantadue settimane. vv. 39b. Bacino di v. 6. Leopardo v.5,21a,8,21b,22. rame. con quattro teste e Dall’occidente quattro ali viene un capro. Il d’uccello. corno cospicuo tra gli occhi è il re di Grecia. Il gran corno che si spezza è il primo re. Al suo
4
Grecia
v. 2. In Persia sorgeranno dei re e l’ultimo solleverà tutti contro il re di. Javan.
posto sorgono quat-
tro regni che si dividono l’impero greco.
5 6
Daniele 11
vv. 37,38. Testa v. 4. Leone con ali d’oro d’aquila.
Dopo la casa di Alessand. Roma v. 40. Gambe di v. 7. Bestia innopagana ferro. minata con denti e unghie di ferro, che sbrana e calpesta il resto con i piedi.
v. 9,23. Da una delle quattro corna/regni dei diadochi uscì un piccolo corno che diventò grandissimo.
v. 26,27. Dopo 62 settimane l’Unto sarà soppresso. Nessuno sarà dalla sua parte. Stabilirà un saldo patto con molti. In mezzo alla settimana farà cessare il sacrificio e l’oblazione. Il popolo di capo il veniente distruggerà - sarà causa della distru-
v. 2-4. Nel regno di Javan (Grecia) sorgerà un re potente, che eserciterà un gran dominio e farà quello che vorrà. Il suo regno sarà infranto e diviso in quattro parti. Il regno non passerà ai suoi eredi. vv. 5-30. Lotte tra il re del Sud e il re del Nord. V 30. Le navi di Kittim (Roma) si incontreranno con il re del Nord e gli imporranno la propria autorità.
SINOSSI DI DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII3 pp.
SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI IIAPOCALISSE X-XIII pp. n. 1
Daniele 12
2 Tess. 2
Apoc. 10
Apoc. 11
Apoc. 12
Ap.13pp
Prima testa del Prima testa della dragone. bestia con la bocca di leone. Seconda testa Seconda testa del dragone. della bestia che aveva i piedi come di orso.
2
3
Terza testa del v. 2. Terza testa dragone. della bestia simile a un leopardo.
4
5 Quarta testa del Quarta testa deldragone. la bestia. v. 4. Il dragone attende la nascita del Figlio della donna per divorarlo, ma nato, viene rapito in cielo dove vi è battaglia tra lui Micael, e i suoi angeli e il dragone e i suoi angeli che perdendo vengono
6
Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 1
n. 2 Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII pp. n.
Potere
Daniele 2
Daniele 7
Daniele 8
Daniele 9
Daniele 11
zione delle città e del santuario. v. 27. Sulle ali dell’abominazione verrà il devastatore (che distruggerà il santuario).
7 8
9
Roma cristiana Divisione dello Impero Romano Cristiano.
Anticristo Il potere d’argilla Sue che si contrapCaratteri- pone al ferro. stiche e sua opera.
10
È un re.
11
Diverso.
12
Momento dell’apparizione. Territorio
13 14
960
v. 41a. Piedi di ferro e di argilla v. 41b. Le dita v. 7. La bestia ha saranno in parte di dieci corna. ferro e in parte di argilla.
geografico
limitato. Grande in apparenza
v. 8. In mezzo alle dieci corna spunta un undicesimo corno.
vv. 11,23 Da una delle terre dei diadochi spunta un quinto corno/re che agisce sino alla fine della storia. v. 24. Una monar- Un re dall’aspetto chia feroce, ed esperto in stratagemmi v. 24. È un re di v. 24. La sua natura diversa da- potenza sarà grangli altri re. de, ma non sarà potenza sua. vv. 8,20. Sorge dopo la divisione dell’Impero v. 8. Piccolo cor- vv. 11,13. All’orino. gine era piccolo v. 20. Appariva v. 25 La sua maggiore degli al- astuzia fa prospetri regni. rare la frode.
v. 32. Con lusinghe corromperà chi agisce empiamente contro il patto. Quelli che lo riconosceranno riceveranno gloria e terre spartite come ricompensa.
Quando la profezia diventa storia
SINOSSI DI DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII3 pp.
n. 2a Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII pp. n.
Daniele 12
2 Tess. 2
Apoc. 10
Apoc. 11
Apoc. 12
Ap. 13pp
gettati sulla terra.
7 8
9
v. 7,5. Il mistero dell’iniquità è all’opera, ma qualcosa e qualcuno trattiene la manifestazione dell’anticristo. v. 3. L’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario.
Il dragone ha dieci corna.
Quinta testa del v. 1,2 La bestia dragone, ha 10 sale dal mare. corna. Quinta testa con dieci corna. Il dragone le diede potenza e il suo trono.
10 11
v. 9. L’empio si manifesterà per l’azione efficace di Satana.
v 2. Il dragone diede alla bestia grande podestà. v. 1. La bestia usciva dal mare.
12 13 14
vv. 9,10. Farà opere potenti, con segni e prodigi falsi e con inganno di iniquità a danno di quelli che periscono perché non hanno aperto il cuore all'amore della verità.
Quando la profezia diventa storia
v. 7. Le fu data podestà sopra ogni tribù e popolo e lingua e nazione.
961
APPENDICE N. 1
n. 3 - Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII pp. n. Potere 15 Si
autoesalta
16
Chiaroveggenza.
17
Linguaggio.
18
Contro la dimora dell’Altissimo. Perseguita il popolo di Dio.
19
20
Contrasta lo stesso Signore togliendolo
21
962
all’adorazione. Durata della supremazia.
Daniele 2
Daniele 7
Daniele 8
v. 20. Appariva vv. 25,24. Il cuor maggiore degli al- suo si inorgoglirà. tri regni. Farà grandi rovine, prospererà nelle sue imprese.
Daniele 9
Daniele 11 vv. 36-39. Il re si esalterà al di sopra di ogni dio. Prospererà. Non avrà rispetto per: - gli dèi dei padri, - la divinità favorita delle donne. Onorerà: - gli dèi delle fortezze; - con ricchezze un dio che i padri non conobbero. Nell’agire contro le fortezze, sarà aiutato da un dio straniero
v. 8. Ha occhi per sorvegliare come un vescovo. vv. 8,20. Una bocca che proferiva grandi cose e parole arroganti contro l’Altissimo
v. 21,25, Faceva guerra ai santi riducendoli allo stremo e vincendoli.
v. 11. Abbatterà il luogo del santuario del principe dei principi. v. 10,12,25. Calpesta l’esercito del cielo, fa cadere in terra una parte delle stelle. Tiene l’esercito nelle mani e in piena pace distruggerà molta gente.
v. 31. Manderà delle forze per profanare il santuario. vv. 32,33. I savi tra il popolo saranno abbattuti dalla spada, dal fuoco, dall’esilio e dal saccheggio. Ma il popolo di quelli che conoscono il loro Dio mostrerà fermezza.
v. 11,25. Si eleva fino al capo dello esercito, e gli toglie il continuo.
v. 31. Nel santuario sopprimerà il continuo, vi collocherà l’abominazione che è causa di desolazione. vv. 33,35.. Dominerà per un certo tempo. Fino al tempo della fine.
v. 25. Dominerà v. 13. Fino a per un tempo, dei quando l’esercito tempi e la metà di sarà calpestato? un tempo (tre anni e mezzo) (42 mesi =1260 giorni)
Quando la profezia diventa storia
SINOSSI DI DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII3 pp.
n. 3a - Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X-XIII pp. n. 15
Daniele 12
2 Tess. 2
Apoc. 10
Apoc. 11
v. 4. S’innalza al di sopra di Dio e seduto nel tempio di Dio dice di essere Dio.
Apoc. 12
Ap. 13pp v. 4,8. Chi non ha il proprio nome scritto nel libro della vita dell’Agnello adora la bestia e sarà da lei meravigliato.
16 v. 6. Con la bocca bestemmiava Dio, il tabernacolo e chi è in cielo.
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v. 10. Molti savi saranno... affinati, purificati, imbiancati, ma gli empi agiranno empiamente.
v. 1. Si misura il v. 6,14,11. La v. 7. Fa guerra ai tempio di Dio e donna fugge nel santi e li vince.. i suoi adoratori. deserto lontano dal serpente. Ha vinto mediante il sangue dell’Agnello e con la testimonianza e non ha amato la propria vita ma l’ha esposta alla morte.
vv. 7,11 Questi fatti dureranno tre anni e mezzo. Finiranno quando la potenza
vv. 2,3. I gentili calpesteranno la città per 42 mesi. I due testimoni
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Quando la profezia diventa storia
v. 6, 14. La don- v. 5. Agirà per na fugge nel de- 42 mesi. serto e viene nutrita per 1260 giorni, per un
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APPENDICE N. 1
n. 4 - Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X-XIII pp. n.
Potere
Daniele 2
Daniele 7
Daniele 8
Daniele 9
Daniele 11
v. 13. Fino a quando durerà la visione del continuo?
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24 25
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Modifica il Decalogo Conseguenze per l’Anticristo.
v. 25. Penserà di v. 12. Gettò a terra mutare i tempi e la verità. la legge.
In Francia il governo della Rivoluzione proibisce ogni forma di religione.
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Quando la profezia diventa storia
SINOSSI DI DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII3 pp.
n. 4a - Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X-XIII pp. n.
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Daniele 12
2 Tess. 2
del popolo sarà interamente infranta. vv. 6,8. Quando e come sarà la fine di questi fatti straordinari? Dal tempo che sarà soppresso il continuo e sarà rizzata l’abominazione che cagiona la desolazione vi saranno 1290 giorni.
Apoc. 10
Apoc. 11
Apoc. 12
Ap. 13pp
vestiti di sacco tempo dei tempi profetizzano per e la metà di un 1260 giorni. tempo
24 v. 9. Se uno imprigiona andrà in prigione. v. 3. La bestia ha una testa (la VI) ferita mortalmente. vv. 7,13. I due Sesta testa del Sesta testa della testimoni, com- dragone. bestia. È ferita. piuta la loro testimonianza, alla fine dei 1260 giorni, sono uccisi dalla bestia che sale dall'abisso. In quell’ora c’è un terremoto e la decima parte della città cade. vv. 9,10. Per tre giorni e mezzo i corpi dei due testimoni uccisi rimangono alla vista dei popoli, non sepolti, sulla piazza della città che si chiama Sodoma ed Egitto, dove il Signore è stato crocifisso.
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Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 1
n. 5 - Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X-XIII pp. n.
Potere
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La profezia biblica sarà meglio conosciuta nel tempo della fine.
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Durata dell’apostasia.
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Giudizio in cielo.
v. 9-11. In cielo si mettono dei troni. Un vegliardo si siede. Il giudizio inizia.
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L’Anticri sto è all’opera.
Nel tempo del giudizio il corno pronuncia parole orgogliose.
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Prima della fine del giudizio.
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Daniele 2
Daniele 7
Daniele 8
Daniele 9
Daniele 11
v. 13. Fino a quando durerà la ribellione che produce la desolazione abbandonando il luogo santo ad essere calpestato? v. 14. Fino a 2300 sere e mattine poi il santuario sarà purificato.
Quando la profezia diventa storia
SINOSSI DI DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII3 pp.
n. 5a - Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X-XIII pp. n.
Daniele 12
2 Tess. 2
Apoc. 10
Apoc. 11
Apoc. 12
Ap. 13pp
Della morte dei testimoni alcuni si rallegrarono. Dopo i tre giorni e mezzo salirono in cielo.
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v. 4. Il libro di Daniele sigillato sino al tempo della fine quando lo studio lo renderà più comprensibile. v.7. L’essere celeste giura.
Un angelo che rievoca Gesù tra i candelabri viene dal cielo. Ha in mano un libretto e giura.
v. 9,11,12 . Dal tempo che sarà soppresso il continuo e sarà drizzata l’abominazione vi saranno 1290 giorni. Beato chi giunge a 1335 giorni.
v. 6. “Non c’è più tempo”, cioè cronologia profetica, data profetica da realizzare.
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v. 11. Bisogna che profetizzi di nuovo in tutto il mondo. Ap.14:6-12.
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v. 17. Il dragone perseguiterà la progenie della donna fedele alla legge di Dio e alla testimonianza di Gesù.
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Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 1
n. 6 - Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X-XIII pp. n. Potere 33 Alla fine
Daniele 2
del giudizio investitura di Cristo Re.
34
Ritorno di vv. 44,45. Una Gesù. pietra si stacca dal monte, senza opera di mano e colpirà la statua nelle sue estremità, tutto frantumerà e sarà spazzato via.
35
Il Regno v. 45. La pietra di Dio. diventa un grande monte che riempie la terra
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Daniele 7
Daniele 8
v. 13,14. Il Figlio dell’uomo sulle nuvole del cielo giunse fino al vegliardo. Gli furono dati dominio, gloria e regno. v. 26. Dopo il v. 25. Sarà ingiudizio, al picco- franto senza opera lo corno verrà di mano. tolto il dominio e sarà distrutto per sempre
v. 27. I Santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre.
Daniele 9
Daniele 11
v. 36. Finché la indignazione sia esaurita vv.40,45. Al tempo della fine giungerà la sua fine, e nessuno gli darà aiuto.
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Quando la profezia diventa storia
SINOSSI DI DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II – APOCALISSE X-XIII3 pp.
n. 6a - Segue SINOSSI di DANIELE II,VII,VIII,IX,XI,XII - 2 TESSALONICESI II APOCALISSE X-XIII pp. n. 33
Daniele 12
2 Tess. 2
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v. 1,2. In quel tempo sorgerà Micael, il gran capo, il difensore del popolo. Sarà un tempo d’angoscia quale non è mai stato. v. 2. Molti di coloro che dormono nella polvere della terra si risveglieranno: gli uni per la vita eterna e gli altri per l’obbrobio, per una eterna infamia.
v. 8. Il Signore Gesù lo distruggerà col soffio della sua bocca e l’annienterà con l’apparizione della sua venuta.
35
Quando la profezia diventa storia
Apoc. 10
Apoc. 11
Apoc. 12
Ap. 13pp
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APPENDICE N. 1
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Quando la profezia diventa storia
Appendice n. 2 LA PERSONA DI DANIELE: AUTENTICITÀ, CANONICITÀ DEL SUO LIBRO E RISPOSTE ALLE OBIEZIONI
La persona Prima di intraprendere le varie considerazioni che vogliono negare l’autenticità del libro di Daniele, vogliamo considerare la persona stessa di questo profeta, così come scaturisce dal testo biblico e dagli autori dell’antichità. Daniele, come la maggior parte dei Giudei del suo tempo (fine VII secolo a.C.), aveva un nome teofonico “Dio è giusto”, “Dio è il mio giudice”, “Dio giudicherà”. Con questo nome il testo biblico dell’Antico Testamento ci menziona altri due personaggi: il primo è un figlio di Davide (1 Cronache 3:1), il secondo è il figlio d’Ithamar (Esdra 8:2; Nehemia 10:6), capo famiglia che ritornò a Gerusalemme con la carovana di Esdra nel 457 a.C., circa 80 anni dopo la morte del nostro Daniele. Secondo lo pseudo Epifane (De prop. X, t. XXIII), Daniele sarebbe nato a Bethabara, non lontano da Gerusalemme. Giuseppe Flavio, (Antichità Giudaiche, X, I; vedere Gerolamo, Daniele, I, 3) dice che era di stirpe reale, un nobile, cosa che si può dedurre anche dal testo biblico (Daniele 1:3,6). Ignazio (Epistole ad Magnes, 3) afferma che aveva dodici anni quando fu portato in esilio a Babilonia, mentre Cirillo assicura che ne aveva diciotto e Gerolamo (Adversus lovin III) che era ancora bambino. Fin dalle prime righe del suo libro, Daniele si presenta come un giovane determinato che, sebbene fosse nato in un periodo in cui Israele aveva dimenticato l’Eterno, era però fedele alla Legge di Mosè. In un certo modo può essere considerato figlio spirituale di Geremia. In diverse occasioni critiche manifesta il suo coraggio morale e molto tatto (Daniele 1:8; 6:11: 2:14; 5:16; 6:23). L’angelo che gli appare a più riprese lo chiama “grandemente amato”, o meglio “uomo di desideri”, “desiderato”, “gradito”, “favorito”, “di predilezione” (Daniele 9:23; 10:11,19), di talento (Daniele 1:17). Occupa un posto di grande influenza alla corte babilonese prima (Daniele 2:48; 5:11) e alla corte medo-persiana poi, quando l’impero cadrà sotto i nuovi dominatori (Daniele 6:3). La sua influenza morale e spirituale era tale che il profeta Ezechiele, suo contemporaneo, lo pose ad esempio nel suo scritto con Noè e Giobbe, «personaggi eminenti per la loro rinomata santità» (Ezechiele 14:14,20; 28:3). «La piccola differenza d’ortografia del nome di Daniele - in Ezechiele “Danel”, senza yod - non sarebbe un argomento serio contro la nostra identificazione. Sappiamo che lo yod è stato aggiunto più tardi, verso il X secolo come lettera vocale, dai Masoreti. Inoltre la tradizione masoretica indicata in margine del testo di Ezechiele 28:3 precisa che bisogna leggere (Qere) “Daniel”. D’altra parte, lo stesso fenomeno è attestato in altri nomi. Così il figlio di Nephtali si chiama Jathseel in Genesi 46:24 e Jahtsiel (con uno yod) in I Cronache 7:13; pure il nome del re siriano Hazael si scrive senza la vocale hey in 2 Re 8:8 e con la vocale in 2 Re 8:9» DOUKHAN Jacques, Le soupir de la terre, ed. Vie et Santé, Dammarie les Lys 1993, p. 305. Per i critici il Daniele di Ezechiele «sarebbe l’eroe mitico Danei di Ras Shamra-Ugarit, il
APPENDICE N. 2
quale è presentato nelle tavolette in cuneiforme alfabetico come colui che «giudica il processo della vedova; giudica il giudizio dell’orfano» (SPADAFORA Francesco, La Sacra Bibbia, t. II, Ezechiele, ed. Marietti, Torino 1964, p. 966). Riteniamo che sia assurdo che un profeta dell’Eterno citi ad esempio d’integrità un mito pagano. Questa sconsideratezza è un pensiero generalmente sostenuto e si trova anche nella Bibbia - Parola del Signore, TILC: «Noè, Danel e Giobbe, tre persone molto celebri nella tradizione del Vicino Oriente Antico per la loro vita giusta e saggia. Danel non è il protagonista del libro biblico di Daniele, ma un antico eroe della letteratura canea». I razionalisti giustificano la loro posizione affermando che sebbene Daniele sia presentato come saggio, com’è indicato anche nel libro omonimo, «è molto poco probabile che Ezechiele parli qui di un contemporaneo di cui, se bisogna credere al libro di Daniele, la brillante carriera era appena incominciata a quell’epoca; ciò che stupisce soprattutto, è che il profeta abbia potuto mettere un giovane contemporaneo sullo stesso piano di Noè e Giobbe» (KUENES, La Bible, nouvelle traduction, 7a parte, p. 228; cit. FABRE d’ENVIEU Jules, Le livre du Prophète Daniel, t. I, I parte, Paris 1888, p. 5). La realtà è un po’ diversa: quando Ezechiele scriveva il suddetto passo arrivava a Babilonia. Si era verso il 590 a.C. e da oltre quindici anni Daniele era in quella città e dall’inizio occupava un posto influente, comandando tutta la provincia di Babilonia (Daniele 2:48). Daniele non era più un giovinetto, aveva circa 30 anni. Gli amici di Roboamo, figlio di Salomone, sono indicati come “giovani”, (1 Re 12:814:21) ma «questi camerati del re avevano 40 anni» (BENOIT Pierre, Le prophète Daniel, Vennes sur Lausanne 1941, p. 8). La celebrità storica di questo uomo ci aiuta a capire perché i giudei diedero spesso e volentieri il suo stesso nome e quello dei suoi amici ai loro figli (Nehémìa 10:6; il :2; 8:4). A questa critica dei razionalisti possiamo rispondere dicendo che «la Scrittura è in armonia con se stessa. Ezechiele è tra i testimoni degli scritti di Daniele. Il libro di Daniele spiega le allusioni di Ezechiele. Nessun’altra spiegazione può essere data alle parole di Ezechiele. Ezechiele fa evidentemente allusione a qualcuno ben conosciuto da coloro ai quali parla, a qualcuno che è così conosciuto come i grandi patriarchi Noè e Giobbe. Tale era Daniele sotto la protezione del quale vivevano i Giudei esiliati. Ma al di fiori di lui, dove è questo uomo, rinomato per la sua saggezza, santo come i più santi, la cui memoria è sopravvissuta dalla fondazione del mondo; questo uomo che i Giudei avrebbero riconosciuto subito come riconobbero Noè e Giobbe?... (Tutto questo prova che Daniele) era già sufficientemente conosciuto come un modello di giustizia e di saggezza» (Dott. PUSEY Edward, Daniel the prophete, Bouverie, Oxford, 1864, p. 108). La fama e l’ammirazione nei confronti di Daniele erano grandi anche al di fuori del popolo d’Israele e di Babilonia. Quando i persiani conquistarono la città, Daniele continuò ad avere incarichi importanti. Giuseppe Flavio scriveva che: «Dario al quale i Giudei danno un altro nome, era figlio di Astiage (Assuero) e aveva 62 anni quando, con l’assistenza di Ciro, suo nipote, rovesciò l’Impero di Babilonia. Egli portò allora con lui, nella Media, il profeta Daniele e, per far conoscere come lo stimava, lo stabilì come uno dei tre supremi governatori il cui potere si estendeva su 360 altri, poiché egli lo considerava come un uomo tutto divino» (Antichità Giudaiche, X,12). La persona di Daniele, che non dette adito a nessuna accusa nella sua amministrazione (Daniele 6:4), era un motivo di rimprovero e un personaggio scomodo per i suoi gelosi colleghi pagani. È ancora oggi scomodo e continua ad essere un uomo da eliminare. Ora, pur 972
Quando la profezia diventa storia
LA PERSONA DI DANIELE: AUTENTICITÀ, CANONICITÀ DEL SUO LIBRO E RISPOSTE ALLE OBIEZIONI
non essendoci la fossa dei leoni, lo si cerca di colpire ancora in ciò «che concerne la legge del suo Dio» (Daniele 6:15). Per poterlo sopprimere, perché non si vuole ammettere che l’Eterno sia veramente il sovrano potente sui popoli e governi l’universo, e che riveli in forma chiara lo svolgersi della storia umana, si afferma che il profeta Daniele non sia mai esistito. Alcuni, rendendosi conto di non potere sostenere una simile tesi, dicono che è esistito un uomo che portava il suo nome, ma di lui non si conosce nulla. In ogni modo, per tutti questi critici il suo libro è un falso, scritto nel Il secolo a.C., che presenta gli avvenimenti del suo tempo dando l’illusione di averli scritti quattrocento anni prima per incoraggiare il suo popolo. Se il Daniele di Ezechiele fosse un personaggio mitologico «perché allora nella Bibbia greca Daniele segue i tre grandi profeti (Isaia, Geremia ed Ezechiele) ed è posto dopo Ezechiele, “senza che sia provato che nel frattempo sia avvenuto un cambiamento nel modo di comprendere il libro tra la sua data di composizione e quella della sua traduzione in greco?” si stupisce DELCOR Matthias (Le livre de Daniel, Paris 1971, p. 10). RICHLI Alfred afferma: “Ma ciò non sottintende che i giudei alessandrini, che traducevano il libro nel II secolo a.C., consideravano Daniele come contemporaneo di Ezechiele e credevano che avesse il suo giusto posto accanto ai grandi profeti d’Israele. San Gerolamo, autore della Vulgata, condivideva questa convinzione. Non sarebbe questa un’ulteriore prova che l’autore del libro non possa essere un ‘collezionista di leggende, del II secolo a.C.”» (Daniel, historien et prophète de l’exil, in AA.VV., Daniel, Questions Débattues, Collonges sous Salève 1980, p. 142).
Autenticità e canonicità del libro di Daniele Nel secolo scorso il teologo anglicano inglese E. B. Pusey scriveva che il libro di Daniele rappresentava un «campo di battaglia» tra «la fede e l’incredulità» (E. Pusey, o.c.; cit. da HEINZ Johann, Le problème de l’authenticité et de l’unité du livre de Daniel, in AA.VV., Daniel, Questions Débattues, Collonges sous Salève 1980, p. 11). A. Richli è influenzato da questo pensiero quando scrive: «Da duecento anni, il libro di Daniele è diventato il campo di battaglia per eccellenza tra la fede e lo scetticismo, l’ortodossia e il liberalismo» (A. Richli, o.c., p. 133). Sarebbe inutile, dopo quanto abbiamo scritto nei diversi capitoli del nostro lavoro, trattare la persona di Daniele, la canonicità del suo scritto, la veridicità delle sue profezie e confutare le varie critiche che vengono mosse al testo. Ugualmente, in aggiunta a quanto già scritto, presentiamo quest’Appendice perché dal XVII secolo, dall’epoca della ragione, la teologia liberale, protestante prima, cattolica poi, negli ultimi decenni, ha perso le coordinate della rivelazione biblica e spiega gli scritti di Daniele non come quelli di un profeta che sia vissuto alla corte di Babilonia tra la fine del VII secolo e durante il VI secolo a.C., ma come quelli di uno scrittore del Il secolo a.C. che compone la sua opera al tempo di Antioco Epifane. Questa Appendice non ha tanto lo scopo di dimostrare l’attendibilità della composizione di questo libro da parte del profeta Daniele nel VI secolo a.C., quanto di ricordare ciò che è stato già detto per presentare che il circolo vizioso e perverso, che la teologia liberale ha creato, è da tempo rotto anche se continua a interpretare il libro di Daniele a partire dalla data di composizione, che arbitrariamente gli attribuisce nel Il secolo a.C., come risultato della propria interpretazione. Fino ancora al secolo scorso i teologi liberali si confrontavano contro un blocco massiccio Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 2
di autori che credevano nell’autenticità e nell’unità del libro di Daniele. Anche nel nostro secolo studiosi come MOELLER (1934), HARTENSTEIN (1936), LINDER (1939), PACHE (1948), YONG (1949) e WALVOORD (1975) hanno fatto sentire le proprie argomentazioni ponendo la composizione del libro di Daniele nel VI secolo a.C. e presentando le sue profezie come autentiche. Si è però obbligati a riconoscere «che oggi il metodo critico si è largamente imposto» (KESSLER W., Die Botschaft des A. T, Stuttgart 1973, XXII, p. 12), perché è più facile ripetere un pensiero alla moda che verificarlo e uscire dal coro. Tranne alcuni autori, gli studiosi liberali non hanno però dato una valida argomentazione alle loro conclusioni. Esse sono presentate come stabilite e come un dato di fatto universalmente riconosciuto. Le critiche sono generalmente accettate perché passivamente vengono riportate, da un autore all’altro, senza che siano esaminate e valutate. A ciò si deve aggiungere che alla fine del XX secolo fa autorità l’affermazione di credere pur prendendo distanza dal testo biblico e avendo un atteggiamento critico nei suoi confronti. I liberali considerano sofismi, argomentazioni dubbie, quanto viene presentato a sostegno della veridicità di Daniele. E così i nuovi teologi, come gli evoluzionisti, sostengono «l’opinione (ormai) comune» senza giustificarla, non perché sia sostenibile, ma semplicemente perché è secondo la mentalità, la moda, i luoghi comuni del nostro tempo, anche se privi di serie argomentazioni scientifiche. Nel libro di Daniele non c’è nessun segno di finzione. L’autore nei brani profetici ripropone il suo nome “Daniele” quale profeta, per testimoniare personalmente la rivelazione ricevuta, come del resto hanno fatto indistintamente tutti i profeti che l’hanno preceduto e seguito. Alla fine del secolo scorso RUPPRECHT scriveva: «La critica moderna del libro di Daniele è, nel suo spirito stesso, anticristiana... Essa è una dei più grandi errori del tempo della fine» (Pseudodaniel und Pseudojesaja; cit. J. Heinz, o.c., p. 12). Già Gerolamo diceva: «Cuius impugnatio testimonium est veritatis» - il combattimento contro il profeta Daniele è una testimonianza della sua autenticità! - (Opera omnia, vol. IV, Cologne 1616, p. 495). La tradizione giudaica dal IV secolo a.C. ininterrottamente attesta che il capolavoro di questo libro ha avuto come autore lo stesso Daniele. Il Canone ebraico è stato fissato al tempo di Esdra e Nehemia, di cui Esdra è il grande artefice. GEISLER Norman L. e KIL William E., (lntroduction to the Bible, Chicago 1968, p. 61) sostengono che il canone ebraico sia stato completato verso il 400 a.C. Il canone pone questo scritto non tra i profeti perché, come spiega il Talmud, l’opera di Daniele non è stata simile a quella di Isaia, Geremia o Ezechiele ed altri che hanno annunciato la Parola al popolo. Siccome Daniele è stato prima di tutto un uomo di stato ispirato, come Davide e Salomone, e non avendo vissuto quindi come un profeta, ma come un principe, così diceva il grande rabbino Maimonide, il suo scritto, al tempo in cui si stabilisce il canone, è stato posto tra gli Scritti, cioè tra gli “Agiografi”, tra Esdra e Nehemia. Scrive J. Doukhan, dottore in lettere ebraiche all’Università di Strasburgo: «Notiamo prima di tutto che la terza parte (Ketubim) contiene pure dei testi antichi (Giobbe, alcuni Salmi di Davide, Ruth, ecc.). L’inserimento negli Scritti non è dunque la prova di una data tardiva di composizione. Infatti se il libro di Daniele è stato messo dove si trova nel canone ebraico, non è a causa della composizione tardiva, ma piuttosto delle affinità teologiche e letterali con i libri di questa terza parte. Così, il libro di Daniele viene dopo l’Ecclesiaste e Ester con Esdra, Nehemia, I e 2 Cronache. Come il libro di Esdra, il libro di Daniele comprende una sezione 974
Quando la profezia diventa storia
LA PERSONA DI DANIELE: AUTENTICITÀ, CANONICITÀ DEL SUO LIBRO E RISPOSTE ALLE OBIEZIONI
ebraica e una sezione aramaica. Con i libri delle Cronache, di Esdra e di Ester, condivide la stessa filosofia della storia insistendo sull’idea del Dio che conduce gli avvenimenti in vista della salvezza del popolo. Con i libri di Nehemia e di Ester condivide lo stesso colore politico; in questi due libri l’eroe, come Daniele, è una personalità della corte (confr. Nehemia 1:11; Ester 2:17). Con i libri sapienziali (Ecclesiaste, Proverbi, Giobbe, ecc.), condivide la stessa preoccupazione della saggezza (importanza della creazione, visione cosmica, problemi esistenziali). Daniele definisce se stesso come un saggio (1:17-21; confr. 2:24-30); si differenzia in effetti dal profeta classico come Mosè, Elia, Amos, Geremia, ecc., in ciò che le sue visioni sono universali e portano essenzialmente alla fine della storia umana (ciò non esclude Daniele dalle caratteristiche proprie del profeta classico (vedere ad esempio i capitoli 5 e 9); d’altra parte, è pure vero che dei profeti classici abbiano avuto loro stessi una visione universale ed escatologica (vedere Amos e Isaia). I profeti classici sono generalmente concentrati sul particolare, nel quadro della nazione d’Israele» (J. Doukhan, o.c., pp. 274,275). Pur nel rispetto della tradizione ebraica «sembra che gli Esseni della comunità di Qumran considerassero Daniele come uno dei profeti e si presume che abbiano posto il libro fra i libri profetici piuttosto che tra quelli storici» (HARTMAN L.F., The Book of Daniel, Garden City New York 1970, pp. 25,26). Quando Alessandro Magno nella sua guerra di conquista giunse in Giudea, le porte di Gerusalemme gli furono aperte e «il sommo sacerdote (Jaddus) gli fece vedere in seguito il libro di Daniele, nel quale era scritto che un principe greco distruggerebbe l’impero dei Persiani; e gli si disse che non dubitava minimamente che in lui questa profezia si doveva realizzare. Alessandro testimoniò molta gioia, il giorno dopo fece riunire tutto il popolo e gli comandò di dirgli quale grazia essi desiderassero da lui...» (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, VI, 8). Il passo mostrato è stato Daniele 8:21. Questa dichiarazione di Giuseppe è contestata, dichiarata non vera senza alcuna motivazione seria. La traduzione greca, detta dei LXX, iniziata verso la metà del III secolo e finita verso l’inizio del II a.C., conferma l’esistenza di questo libro traducendolo integralmente. Nella metà del II secolo a.C. il santo vecchio Mathathias, sul suo letto di morte, esortando i figli a rimanere fedeli alla legge, ricorda qualche esempio eroico trasmesso dai libri sacri. Cita i nomi «d’Anania, d’Azaria e di Misael» e di «Daniele che per la sua semplicità fu liberato dalla gola dei leoni» (1 Maccabei 2:59 e seg.) A sostegno della non canonicità, si dice che il libro di Daniele non è menzionato nell’Ecclesiastico, libro apocrifo che non fa parte del canone ebraico, scritto poco dopo il 200 a.C., tradotto in greco 80 anni dopo. Questo libro nei capitoli 44-50 menziona: Isaia, Geremia, Ezechiele e dodici profeti minori, ma non menziona Daniele. Per il fatto che non si nomini Daniele non si deve dedurre che il libro non esistesse. L’autore dell’Ecclesiastico non ha la volontà di fornire una lista dei libri sacri, e lascia sotto silenzio molte glorie d’Israele. Inoltre, come alcuni pensano, è molto probabile che l’ultimo capitolo, dove si elencano i profeti, sia mutilato. Il libro di Daniele non poteva essere scritto all’epoca di Antioco Epifane perché, come abbiamo detto, il canone era stato completato nel 400 a.C. Secondo Giuseppe Flavio sarebbe stato ultimato al tempo di Artaserse I (vedere FORD Desmond, Daniel, 1978, p. 34). J.J. Slotki arriva a scrivere: «Se, come lo menzionano i protagonisti della valutazione tradizionale, il libro è una predicazione di un avvenire lontano, e non come lo vogliono i critici moderni, il racconto degli avvenimenti correnti, è possibile che la storia della rivolta dei Maccabei, ai giorni di Antioco Epifane, sia stata influenzata, e forse provocata, dalla lettura di Daniele» Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 2
(SLOTKI Judah Jacob, Daniel, Ezra and Nehemiah, London 1951, p. XIV), ma per la conoscenza che abbiamo fino ad ora dei documenti della storia, non c’è nessuno, tranne un pensiero di Flavio su Daniele 8, che metta in relazione le profezie di Daniele dei capitoli 2,7,9 con la guerra ai tempi dei Maccabei. Nel I secolo d.C. il libro di Daniele è tra i più letti per la sua precisione nell’indicare i tempi messianici. Giuseppe Flavio, fariseo quanto alla preparazione teologica, lo pose tra i testi sacri: «Noi non abbiamo che 22 libri (il sistema di elencazione è diverso dal nostro. Da qui la differenza di numeri - n.d.a.) che comprendono la storia di tutti i tempi fino ad Artaserse, e ai quali si è obbligati a prestare fede... Si è anche scritto ciò che è avvenuto dopo Artaserse fino ai nostri giorni, ma questi scritti non hanno la stessa autorità dei precedenti, perché non si è avuta da quel tempo una successione certa di profeti» (Contro Appione, 1,8). E di Daniele ancora scrive: «Conviene rapportare gli avvenimenti della vita di Daniele. Effettivamente tutto gli riuscì in modo straordinario come a uno dei più grandi profeti. Durante tutto il tempo della sua vita fu in onore e in stima presso i re e il popolo; morto, beneficia di una rinomanza eterna, poiché tutti gli scritti che ha composto e ha lasciato sono ancora letti tra di noi, e noi abbiamo la convinzione che Daniele conversasse con Dio. Non ha annunciato gli avvenimenti futuri come gli altri profeti, ma ha determinato l’epoca nella quale essi si sarebbero prodotti... Le sue predizioni gli valsero la fiducia della folla e la reputazione di uomo di Dio. Ci ha lasciato, per iscritto, la prova dell’esattezza immutabile della sua profezia» (Antichità Giudaiche, X, 11,7). Il Talmud dicendo che «con Aggeo, Zaccaria e Malachia, lo Spinto Santo se ne andò da questo mondo» (Cit. da J. Fabre d’Envieu, o.c., p. 707), conferma come la sinagoga tardiva avesse avuto in stima il libro di Daniele e pone questo profeta, non solamente al di sopra dei pagani sapienti, ma ancora al di sopra degli altri profeti (Yoma 77a; cit. J. Heinz, o.c., p. 13). Nella tradizione cristiana tutti i Padri della Chiesa sostengono la sua autenticità. Per Gerolamo: «Nessuno dei profeti aveva profetizzato di Gesù così chiaramente come lo fece Daniele» (o.c., p. 495; cit. J. Heinz, o.c., p. 13). Per Agostino, Daniele è il profeta «che ha determinato il tempo della venuta di Cristo e gli anni della sua sofferenza» (De Civitate Dei, XVIII,34). I Riformatori ebbero in grande considerazione questo libro. Lutero nel 1534 terminava la traduzione in lingua tedesca dell’Antico Testarnent, ma già il 25 febbraio 1530 aveva dato alle stampe la traduzione di Daniele. Egli scriveva a Nikolaus Hausmann a Zwickau: «Noi prepariamo Daniele per la stampa affinché serva di consolazione per questo tempo della fine» (STAEHELIN E., Die Verkùndigung des Reiches Gottes in der Kirchejesu Christi,vol. IV, Bâle 1955, p. 56; J. Heinz, o.c., p. 13). Calvino, come già avevano fatto i Padri della Chiesa, considera il libro di Daniele come una prova dell’autenticità del cristianesimo: «Daniele conteggia gli anni fino all’apparizione del Cristo, questa è la testimonianza chiara e certa che noi possiamo opporre a Satana e alle risate degli empi; è innegabile che gli uomini ebbero questo libro tra le mani prima che apparisse il Cristo. Le menti pagane dovrebbero finalmente lasciarsi convincere e riconoscere che Cristo è il vero salvatore, annunciato da Dio dalla fondazione del mondo» (cit. da W. MOELLER, Grundriss für alttest, ed. Einleitung, Berlin 1958, p. 320, cit. Idem, pp. 13,14). Isacco Newton giunse a dire: «Chiunque vorrebbe rigettare le profezie di Daniele, non farebbe nient’altro che minare il fondamento della religione cristiana che si appoggia 976
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specialmente sulle profezie messianiche di Daniele» (NEWTON Isaac, Observation upon the Prophecies of Daniel and the Apocalypse of St. John, London 1733; cit. J. Heinz, o.c., p. 14). L’opera di minamento delle fondamenta della religione cristiana è in generale completata, la critica al libro del profeta Daniele ne è una prova. Nel nostro secolo il pastore luterano tedesco K.W. Hartenstein sottolinea il carattere avventista del libro di Daniele con quanto segue: «Lui (Daniele) scrive per delle persone che conoscono la nostalgia della venuta del Signore e del suo regno, e lottano nella preghiera per l’avvenire della Chiesa di Dio. Si rivolge a coloro che sono nella sofferenza rafforzati dalla Chiesa sotto la potenza dei popoli» (HARTENSTEIN Kar Wilhelm, Der Prophet Daniel, Stuttgart 1936, p. 19). In conclusione, possiamo affermare che l’autenticità e il riconoscimento del libro di Daniele si estende dal tempo del rientro dall’esilio, della Sinagoga, fino all’epoca contemporanea, passando dalla Chiesa antica, medioevale e della Riforma. Malgrado tutte le critiche è l’opposizione teologica che lo scritto del profeta Daniele ha più di tutti, per il futuro possiamo esprimere una riflessione di W. Moeller: «Durante più di duemila anni, l’influenza di Daniele sulle opere degli storici è stata evidente. È probabile che si farà nuovamente sentire, in un prossimo futuro, in relazione con l’escatologia» (W. Moeller, o.c., p. 341)». Per la canonicità del libro di Daniele vedere in Bibliografia le opere dei seguenti autori: K. AUBRLEN, ed. Basel, pp. 30-33; BARNES A., pp. 40,41; CASPAR J., XI-183; EDERSHEIM A., pp. 686-688; GARBETT E.L., p. 56; HARRIS R.L., pp. 140-153; KENNEDY J., pp. 44-56; RYLE H.E., London 1892, pp. XX-304, 2a ed., 1895, 1925, pp. XXIII-316; sulla persona di Daniele, pp.7,90,122; SZÒRENSI A., pp. 278-294; WILSON R.D., pp. 352-408). Anche l’Islam ha un’attenzione per il libro di Daniele in cui il profeta è chiamato «grande giudice e vice re» e ha conservato la maggioranza degli episodi quali: Daniele alla corte di Nebucadnetsar, la follia del re, il festino di Beltsatsar e Daniele nella fossa dei leoni. È considerato come profeta che predice l’avvenire e la fine del mondo. Il Corano si riferisce al libro di Daniele quando parla del sogno di Dhul Qamain le cui due corna hanno la loro origine nel capitolo 8. Anche per gli oroscopi popolari (malhamat Dantyal) elaborati dai mussulmani si attribuisce l’autorità a Daniele. Le profezie di Daniele sono pure associate alla memoria del grande Califfo Omar. Grazie alle sue buone cure, una raccolta di visioni di Daniele è stato conservato (G. VAIDA, Danyal, in The Encyclopedia of Islam, B. Lewis, Leiden 1965, p. 112). Il movimento bahà’i sorto dal chiasmo iraniano giustifica la sua esistenza e la sua motivazione religiosa universale sulla base della profezie di Daniele. Per loro il dodicesimo bab o Mahdi era atteso dall’Islam iraniano per stabilire un’èra di giustizia, si è manifestato nel 1844, cioè nel 1260 dell’egira di Maometto. Per questo evento si basano sui 1260 giorni di Daniele (Ch. CANNUYER, Les Baha’is, Brepols 1987, pp. 11,94,98,99).
Obiezioni al libro di Daniele Il libro di Daniele viene contestato per il suo valore profetico perché la moderna teologia non vuole riconoscere che veramente l’Eterno, il Dio della creazione, il Santo d’Israele si è rivelato, che la Bibbia è la sua testimonianza, che essa possa annunciare e spiegare il senso della storia e attraverso quali lotte e sofferenze il Regno divino si sarebbe realizzato. Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 2
Il primo personaggio della storia a contestare la paternità del nostro libro fu il filosofo neoplatonico Porfirio, nel III secolo, “famoso avversario del cristianesimo”. Attribuì il compimento delle profezie di Daniele al tempo di Antioco Epifane. Il suo pensiero ha fatto scuola, non subito però, ma dopo quindici secoli, all’epoca del razionalismo. Ma in quella stessa epoca l’archeologia e le varie scoperte nell’Oriente hanno dimostrato ampiamente che il libro di Daniele (come del resto tutti i libri dell’Antico Testamento per quanto a loro concerne) rispecchia con esattezza l’ambiente babilonese e i costumi del VI secolo a.C. Questo filosofo del III seco1o, nel suo XII libro, mette in questione l’autenticità di Daniele sostenendo che gli eventi descritti non hanno nulla di profetico, perché sono fatti che si sono compiuti e sono stati presentati come se fossero stati annunciati prima della loro realizzazione. Sono dei vaticinia post eventum. Di Porfirio non possediamo la sua opera, le parti che si conoscono sono il risultato delle contestazioni che i credenti gli hanno mosso. «Circa una trentina di Padri della Chiesa, tra i quali Gerolamo, Eusebio di Cesarea, Apolinnare di Laodicea e Metodio, hanno refutato Porfirio» (J. Heinz, o.c., p. 15). Ma scriveva il Keil: «In considerazione del suo contenuto e della sua forma, il libro di Daniele porta l’impronta di uno scritto profetico come ci si possa attendere di trovarlo all’epoca dell’esilio di Babilonia con l’evoluzione vetero testamentaria del regno di Dio. La convinzione della Sinagoga giudaica e della Chiesa cristiana relativa all’autenticità del libro e della sua composizione fatta dal profeta riposa su un solido fondamento. In tutta l’antichità, nessuno ha mai dubitato della sua autenticità, se non l’avversario riconosciuto dal cristianesimo, il neo platonico Porfirio» (KEIL Carl Friedrich, Bibl. Commenter uber den Proph. Daniel, Leipzig 1869, p. 21). «C’è una cosa che deve essere detta in favore di Porfirio. Riconobbe apertamente che, se un personaggio sconosciuto avesse scritto sotto il nome di Daniele, sarebbe stato un impostore. In effetti, è questa la principale obiezione rivolta a coloro che mantengono l’idea che sia un ebreo anonimo l’autore del libro di Daniele al quale avrebbe preso il nome. È stata una frode, e ciò è innegabile» (YOUNO Edward J., An Introdudion to the Old Testament, London 1956, pp. 353,354). Già K. Auberlein nel secolo scorso scriveva: «Io pronuncio una menzogna quando pretendo coscientemente e intenzionalmente di essere qualcuno d’altro da quello che sono. Mento dieci volte di più quando pretendo di svelare delle rivelazioni divine che non ci sono mai state» (cit. da J. Heinz, o.c., p. 12). «Sì, si tratta di un falso tra i libri canonici. Ciò è gravissimo. Il teologo luterano W. Moeller è scandalizzato nel vedere fino a che livello l’alta critica chiuda gli occhi su una tesi che porta così lontano. Scrive: “Si dovranno considerare i fatti e prendere in seguito una decisione a proposito degli argomenti della critica: Daniele è autentico - si presenta garante del suo messaggio - o altrimenti è un falsificatore? Nessun’altra possibilità è offerta. Ed è scandaloso che la critica consideri alla leggera le conseguenze delle proprie affermazioni” (o.c., p. 336). Così facendo, questa stessa critica demolisce, senza dubbio, l’affermazione di san Paolo: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio” 2 Timoteo 3:16» (A. Richli, o.c., p. 135). Con le sue critiche Porfirio sperava di eliminare una delle armi principali del cristianesimo: la dimostrazione che la profezia si era realizzata. Non c’è riuscito nel suo tempo, né nelle epoche successive, ma, come abbiamo detto, fu nel tempo della ragione che sorsero le prime menti che nel nome di Dio snaturarono la Sua Parola. Scrive W.A. CRISWELL: «Per numerosi secoli le idee di Porfirio non esercitarono nessuna influenza sulle vigorose conquiste del cristianesimo. Apparve poi il razionalismo tedesco che si preoccupò di distruggere i miracoli e il soprannaturale contenuti nella Bibbia. I grandi critici tedeschi si riferirono a Porfirio e ripeterono i suoi attacchi insidiosi contro il libro di Daniele. 978
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… Il dubbio è gettato sulla Parola di Dio. ... Tuttavia, ciò che stupisce è che le refutazioni di Porfirio siano state accettate universalmente fra i teologi liberali contemporanei. I suoi argomenti sono insegnati nelle scuole dell’alta critica e le sue deduzioni sono accettate come veritiere in tutti gli ambienti del mondo liberale» (Espository Sermons on the Book of Daniel, Grand Rapids, 1976, p. 20). L’evoluzione della critica nei confronti del libro di Daniele può essere così tratteggiata. Da Porfirio (223-304) si arriva allo scettico ebreo Uriel Acosta (Gabriel da Costa), che visse approssimativamente dal 1585 al 1640. Egli fu il primo, per quanto sappiamo, ad attribuire al libro di Daniele una data di composizione molto più recente (vedere il suo trattato Sobre a mortalidade de alma, in C. GEBHAEDT, Die Schriften desriel da Costa, 1922, pp. 95,96,253259). La sua influenza però non ha superato quella del panteista B. SPINOZA (1632-1677), che respinse egli stesso la redazione del libro in un’epoca molto tardiva, nel suo Tractatus theologico-politicus, pubblicato in forma anonima nel 1670, suggerendo che i Sadducei avessero redatto il libro di Daniele. Cinquanta anni dopo appare l’opera di MICHAELIS Christian Benedict, teologo evangelico tedesco, con la sua opera Uberiorum Adnotationum philologico exegeticarum in Hagiographos Vetus Testamentu, libros III, Adnotationes philologicoeregeticarum in vaticinium Danielis, et in libros Esrae, Nehemiae et Chronicae, Halle 1720, e dopo sette anni, nel 1727, il deista inglese COLLINS Anthony, riprendendo le critiche di Porfirio, pubblicò uno studio dettagliato, The Scheme of Literal Prophecy Considered in View of Controversy, London 1727, nel quale «negava in modo così completo l’autenticità del libro di Daniele che la critica più recente non può aggiungervi che degli elementi secondari» (L. DIESTEL, Geschichte des A. T. in der christichen Kirche, Leipzig 1869, p. 541). Prima della fine del XVIII secolo EICHHORN Johann Gottfried, lui pure teologo evangelico tedesco, presenta la sua Einleitung in A.T., vol. III, Leipzig 1783. Nello stesso anno CORRODI Rans Heinnch, teologo riformato svizzero (Freymthige Versuche der verschiedene, in Theologie und biblische Kritik einschlagende Gegenstnde), sostenne che il libro era l’opera di un imbroglione, ed EICHHOM aderì a questa idea e la ripropose nella 3a e 4a edizione della sua Introduzione. L’opera di H. Corrodi esercitò una forte influenza sulle opere di critica che seguirono condizionando i numerosi esegeti del XX secolo. (Vedere Gerard F. HASEL, Daniel survit à ses critiques, in Servir, II trimestre 1980, pp. 2,26,31; tradotta da The Ministry, gennaio 1979). Anche gli interpreti recenti di lingua francese hanno optato unanimemente per la composizione recente del libro di Daniele. La Bible dell’episcopato francese del 1972 riporta: «Daniele è posto, in una forma fittizia, all’epoca di Ciro, per facilitare la diffusione del suo messaggio cifrato» (La Bibbia del popolo di Dio, ed. Episcopato francese, vol. III, 1972, p. 888). Per l’Italia è la stessa identica cosa. Si legge infatti nella Bibbia, Parola del Signore, TILC, una frase generica che sostiene la stessa posizione: «Il libro di Daniele è stato scritto in un periodo di crisi per il popolo ebraico, al tempo in cui questo era vittima di persecuzioni e di oppressioni». Anche se non è esplicitato nel pensiero degli scrittori, questo quadro corrisponde a quello di Antioco Epifane. A. Richli si chiede: «I teologi liberali sono coscienti del gioco che stanno giocando e della gravità della questione? E. B. Pusey ha posto chiaramente l’alternativa: “Il libro o è di ispirazione divina o è il prodotto di un falsario” (o.c..). Ma se è un falso, perché ha trovato il suo posto nel canone dell’Antico Testamento e perché è stato mantenuto? È impensabile che il libro di Daniele possa costituire “la chiave di tutte le altre profezie” come l’ha affermato Isaac Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 2
Newton (o.c., p. 16), quando a lui manca il suggello dell’ispirazione divina. Non è questo libro che apre alla comprensione le rivelazioni dell’apostolo Paolo e quelle del veggente di Patmo? David ZUENDEL ha sottolineato giustamente che “Quando si toglie Daniele dalla linea dei profeti, si toglie non soltanto il legame tra profeti preesilici e postesilici, ma si getta in qualche modo la chiave che la divina Provvidenza ha fornito per aprire i tesori della profezia” (Kritische Untersuchungen über die Abfassungszeit des Buches Daniel, Bâle 1861, p. 12). “Daniele è l’indispensabile introduzione al Nuovo Testamento e particolarmente alla profezia del Nuovo Testamento, e al di sopra di tutto all’Apocalisse. Il libro di Daniele costituisce contemporaneamente la catena e la trama delle profezie del Nuovo Testamento. Per comprendere Gesù, Paolo e Giovanni, noi dobbiamo comprendere Daniele. Le predizioni di Paolo concernenti l’Anticristo - secondo il vescovo Westcott - ci riportano alle visioni di Daniele. L’Apocalisse di Giovanni è ampiamente fondata su Daniele. L’apostolo Giovanni è il Daniele del Nuovo Testamento. Il libro di Daniele e l’Apocalisse di Giovanni si tengono in piedi l’uno con l’altro o cadono tutti e due” (Criswell, o.c., p. 21,22). (La teologia liberale in questo caso è conseguente, ha eliminato entrambi gli scritti e non capisce cosa Paolo voglia dire nella sua seconda lettera ai Tessalonicesi quando parla dell’uomo del peccato, il figlio della perdizione…, e non sa neppure se questa lettera sia dell’Apostolo. N.d.a.). Non ci si può esprimere più chiaramente sul valore di Daniele e mostrare più distintamente il posto che occupa in tutti i sistemi d’interpretazione profetica. (Per il rapporto tra il libro di Daniele e il Nuovo Testamento vedere a p. 17). Sebbene nel nostro tempo i teologi liberali abbiano guadagnato terreno, non hanno comunque abbattuto le posizioni dell’ortodossia, le hanno semplicemente aggirate e ignorate perché i loro colleghi conservatori hanno risposto con degli argomenti probanti. Ferdinand DEXINGER, nell’opuscolo n. 36 di Stuttgarter Bibel Studien, situa la data del libro nel II secolo a.C. nel nome di un consensus a seguito di ricerche recenti (Das Buch Daniel und seme Probleme, in Stuttgart Bibel Studien, n. 36, 1969, p. 15). Il consenso che sostiene questa posizione è stato facile, perché nella sua bibliografia, che riporta centoquattro nomi di autori, si cerca invano quelli di W. Moeller (1958), E.J. Young (1949, 1956, 1964), G.L. Archer (1969), R.K. Rarrison (1969), o le opere classiche di C.F. Keil, J. Fabre d’Envieu, G. Rawlinson e R.D. Wilson (e di altri che con ragione la pensano diversamente da lui. N.d.a.). Dexingur deve sapere che ogni lettore che consulterebbe le Dictionnaire de la Bible de F. VIGOUROUX (vol. II, Paris 1926, p. 1258), vi scoprirebbe il punto di vista ortodosso! Ora non c’è un seminario di teologia che non abbia questa opera. Ci sembra che non sia permesso ai teologi liberali d’ignorare i lavori di ricerca dell’autore americano Le ROY Edwin FROOM (1890-1974) sulla storia dell’interpretazione delle profezie attraverso i secoli. Presentata in quattro volumi sotto il titolo The Prophetic Faith of our Fathers, questa ricerca monumentale costituisce una documentazione di 3750 pagine. L’Autore, dopo aver esaminato l’origine e il carattere speciale di Daniele, ne attesta l’autenticità (vol. I, Washington 1950, pp. 35-85). Mostra in seguito in che modo le profezie chiave, che chiama outline prophecies (le profezie cronologiche di Daniele 2,7,8 e 9), sono state interpretate ed insegnate attraverso i secoli. Ai suoi occhi, la comprensione di questi testi e quello dell’Apocalisse raggiungono l’apice, la pienezza, nel secolo scorso (o.c., vol. IV, Capitolo I, New World Recovery and Consummation of Prophetic Interpretation, Washington 1954, p. 3). Lo si vede, l’ortodossia ha sempre avuto dei campioni, per affermare il carattere autentico del libro di Daniele. Essi gli hanno attribuito un posto d’onore fra i sessantasei libri protocanonici della Bibbia. Un autore recente, Ge. Mc CREADY PRICE, ha avuto il coraggio di dare al suo commentario divulgativo su Daniele il titolo: The Greatest of the Prophetes - Il più grande dei profeti (Mountain View 1955, pp. 342)» (o.c., p. 135-137). 980
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«Certo i critici sottolineano sempre che le visioni, soprattutto quella della prima parte del capitolo XI, redigono una conoscenza talmente approfondita del tempo dei Diadochi e delle lotte maccabaiche che esse non possono essere che di uno storico retrospettivo. Ma la stessa critica dimentica che questo criterio si applica così ad altre profezie (per esempio ai capitoli 13 e 53 di Isaia) a proposito delle quali si deve escludere con certezza, dalla scoperta dei manoscritti di Qumran, che esse siano dei vaticinia post eventum» (J. Heinz, o.c., p. 16). Nel secolo scorso, per un eccesso di zelo, che si riversò del resto su tutta la Bibbia, gli studiosi giunsero ad affermare che nove furono i redattori distinti che composero il libro del profeta Daniele (GAUTIER Lucien, Introduction à 1 ‘Ancien Testament, t. II, Lausanne 1906, pp. 2,3). Poi col tempo gli autori vennero ridotti a due, dei quali il secondo ha ampliato e infiorettato il primo documento più antico. Questo secondo scrittore, e per molti unico, avrebbe descritto con linguaggio profetico ciò che Israele subiva a causa di Antioco (167-164 a.C.) e che i capitoli storici del libro: III, IV, V, VI hanno un valore allegorico e simbolico. «Il redattore del libro scriveva senza dubbio nel Il secolo avanti la nostra era, si è certamente servito di documenti più antichi, che risalivano all’epoca di Daniele» afferma Pierre OSCHWALD (Le livre de Daniel, Neuchâtel 1957, p. 12) e il teologo cattolico Claud SCHEDL (Storia del Vecchio Testamento, vol. IV, La Pienezza dei Tempi, Roma 1966, pp. 55-85) suppone un proto Daniele (aramaico), un deutero Daniele (ebraico) e un terzo Daniele (greco) per le parti aggiunte: capitoli 13,14 e 3:26-45, 51-56, 57-90, di date differenti. TESTA O.F.M. (Il Messaggio della Salvezza, vol. III, 3a ed., Torino 1971, p. 135) scrive: «Il libro di Daniele, come lo si trova nel canone, è stato composto da un autore sconosciuto, verso l’anno 300, a seguito di sorgenti molto antiche che circolavano come un ciclo indipendente, e subì dei ritocchi verso l’epoca maccabaica». The Encyclopedia of the Jewish Religion (New York 1965, pp. 105,106) indica verso il 300 la prima parte del libro e verso il 165 la seconda. A questi critici moderni come agli ultra critici si può dire con le parole dell’abate A. CRAMPON: «Questa teoria arbitraria, dovuta ai pregiudizi, è contraddetta dalla testimonianza della tradizione giudaica e cristiana, e dalla testimonianza che il libro rende a se stesso» (La Sainte Bible, vol. V, Paris 1901, p. 646). Oltre a quanto detto sopra, gli avversari del libro di Daniele hanno creduto di trovare nel testo degli errori, e le obiezioni da loro fatte le hanno considerate come prove per annullare l’autenticità storica del libro. Consideriamo queste obiezioni.
Obiezione 1 - Nel libro troviamo due lingue: quindi due autori. RISPOSTA. Le lingue usate sono l’ebraico e l’aramaico orientale o caldeo. L’ebraico è un po’ aramaizzato e l’aramaico è un po’ ebraizzato. L’uso di queste due lingue è tale che dimostrano di essere molto familiari all’autore. Solo un ebreo poteva avere tale familiarità con la propria lingua. Inoltre, storicamente parlando, solamente un ebreo del VI secolo a.C. poteva possedere quelle due lingue, con quello stile. La lingua aramaica si differenzia da quella del Targum ed è simile a quella del libro di Esdra (V secolo a.C.). È un aramaico non ancora volgarizzato. Se Esdra è riconosciuto come documento autentico del V secolo a.C., non c’è nessuna ragione per avere un atteggiamento diverso nei confronti del libro di Daniele. «Si è colpiti dal fatto che il libro sia straordinariamente omogeneo malgrado l’impiego Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 2
delle due lingue» scrive P. de Benoit (o.c., p. 99). Lo stesso critico L. Gautier è obbligato a riconoscere l’unicità dell’autore: «È inoltre straordinario vedere fino a che punto le diverse parti si chiamino l’una con l’altra, si presuppongano e si completino» (o.c., p. 295). «Questa unità non è contraddetta né dall’uso successivo della prima e della terza persona (lo stesso si trova in Isaia 6:1,5; 7:3; 8:1; 37.. 6), né dall’uso delle due lingue che si riscontrano nel libro, poiché lo si trova in Esdra il cui scritto non è mai stato attribuito a due autori. Del resto il modo in cui la transizione dall’ebraico all’aramaico è fatta in pieno versetto 4pp. e 4sp. scarta ogni dualità di autori. Anche questa unità è riconosciuta oggi dagli stessi razionalisti» scriveva KUENEN A. (Histoire critique des livres de l‘Ancien Testament, t. II, Paris 1868, pp. 519,520; cit. in Dictionnaire de la Bible, Vigouroux F., col. 1256). Il rabbino CHOURAQUI Andrè afferma: «Ciò che colpisce... malgrado la bilingua dell’originale è la profonda unità del volume» (La Bible -Danyel, Ezra, Nehèmijah, Paris 1975, p. 19). (L’autore unico è negato da DELCOR M., pp. 10-12; SOGGIN J.A., p. 410, ma è riconosciuta da: ARCHER G.L., pp. 447.448; AUGÉ R., pp. 24,25; BARNES A., pp. 44-47; BARTON G.A., pp. 6286; BERNINI G., pp. 16-35; CHOURAQUI A., p. 19; DE WETTE W.M.L., pp. 495-598; FABRE d’ENVJEU J, pp. 165-180; FORD D., pp. 27-29,34,44, nota 21, 70,71; GALL A., p. 126; GAUTIER L., p. 294, 2a e 3a ed., p. 233; KEIL J., 1872, p. 19; LAGRANGE A.H., p. 63; LODS A., pp. 834-835; OSTY E., p. 299; PERUSSET J.M., p. 67;. PFEJFFER R.R., p. 760-764; PIEPENBRING Ch., 1898, p. 707; RAVEN J.H., pp. 317-332; ROBERT A. e FEUILLET A., Introduction à la Bible, 2a ed., vol. I, 1962, p. 695; ROWLEY H.-H., The Servant..., pp. 237-268; The Unity..., pp. XXIII, 1, p. 233; SLOTKI J.J., p. XIII; WALLACE R.S., pp. 20-22; ZOECKLER Otto, Daniel, Grand Rapids, s.d., pp. 16-20. Per i titoli delle opere vedere la Bibliografia). È da notare che la lingua aramaica va della seconda parte del versetto 4, del capitolo 2, fino alla fine del capitolo 7. Con questa lingua del popolo Daniele voleva forse indicare ai credenti, e a coloro che non lo sono, quale sarebbe stato il destino delle potenze terrestri; mentre con il resto del libro, scritto in ebraico, lingua del popolo di Dio, voleva indicare agli eletti cosa avrebbero incontrato e subito nella storia e quale sarebbe stato il loro destino. G.L. ARCHER pensa che i capitoli d’interesse generale siano stati scritti in aramaico e quelli che riguardano i Giudei, in ebraico (A Survey of Old Testament. Introduction, Chicago 1965, 2a ed., p. 378). Riteniamo interessanti le seguenti riflessioni di A. Richli: «Nulla, assolutamente nulla fa pensare che questa rivelazione (Daniele 7), scritta in aramaico, sia stata trasmessa al re. Crediamo piuttosto che fu comunicata subito ai capi spirituali della diaspora giudaica, la Sinagoga. Perché in aramaico? Perché la seconda e la terza generazione di deportati erano familiari con l’aramaico - diventata la loro lingua materna. Del resto, Daniele ha dovuto riconoscere senza difficoltà il parallelismo esistente tra la visione della grande statua e i simboli delle quattro bestie (le monarchie universali). Gli elementi nuovi della visione del capitolo 7, la scena del giudizio e le azioni del piccolo corno che gettava la verità a terra e perseguitava “i santi dell’Altissimo”, indicano chiaramente che questo messaggio divino non era destinato a Babilonia, ma ai figli di Dio. Comprendendo la successione degli imperi che Dio gli aveva indicato, poteva stare davanti a Belsatsar e dirgli: “Dio ha contato il tuo regno e vi ha messo fine. Il tuo regno sarà diviso e dato ai Medi e ai Persiani” (5:26-28) La spiegazione che sembra più plausibile sul perché la visione di Daniele 8 sia composta in ebraico, la “lingue sacra”, come viene indicata sovente, risiede nel fatto che per un ebreo sarebbe difficilmente concepibile che un messaggio celeste indirizzato ad un profeta, per il popolo, sia in una lingua diversa dall’ebraico (in un tempo in cui bisognava fortificare l’identità del popolo in esilio nella prospettiva di un ritorno nella terra promessa. Questo modo 982
Quando la profezia diventa storia
LA PERSONA DI DANIELE: AUTENTICITÀ, CANONICITÀ DEL SUO LIBRO E RISPOSTE ALLE OBIEZIONI
di pensare che pone lo scritto dal capitolo 8 in poi in un momento storico diverso può far capire perché nel capitolo 7 abbiamo riportate in aramaico le parole del messaggero celeste che spiega il sogno al profeta). Daniele era un perfetto bilingue, come del resto tutti i suoi compatrioti di cultura, e ha trovato proficuo servirsi di questa lingua per trasmettere il messaggio di Dio. Se noi conosciamo la data della visione (3° anno di Belsatsar), non sappiamo, per contro, quando la redazione sia stata fatta; Daniele si occupava degli affari del re “e nessuno né fu a conoscenza” (8:27). Tutto fa pensare che la composizione del libro in ebraico, al di fuori del capitolo 7, venga fatta dopo il grande sconvolgimento politico del 539. Forse è dopo la prova della fossa dei leoni che Daniele si rende conto che la durata della cattività era quasi finita (9:2). Così cerca di capire le profezie di Geremia in relazione con le recenti rivelazioni del capitolo 8. La domanda dell’angelo: “Fino a quando il santuario e l’esercito saranno calpestati?” (8:13) lo preoccupano particolarmente. Poiché pensa al tempio di Gerusalemme che è in rovina. Intercede anche per Israele e la città santa (9:16,17). Desidera sapere che cosa significhi la risposta dell’angelo interprete: “Duemilatrecento sere e mattine, poi il santuario sarà purificato” (8:14). Il suo cuore avrà senz’altro trasalito di gioia apprendendo che il Messia sarebbe dovuto venire! Solamente qualche secolo di attesa e colui che “avrebbe fatto cessare le trasgressioni e avrebbe messo fine al peccato, ... espiato l’iniquità e portato una giustizia eterna” (9:24) sarebbe stato il principe del suo popolo! Da quel momento Daniele diventa il grande animatore del ritorno in Palestina dei suoi connazionali. Comprende che Dio lo ha posto nella corte perché possa aiutare a creare l’avvenire del suo popolo. Già la sua liberazione dalle unghie dei leoni aveva incitato Dario a promulgare un decreto regale ordinando che “in tutto il dominio del suo regno si tema e si tremi nel cospetto dell’Iddio di Daniele; poiché Egli è l’Iddio vivente, che sussiste in eterno; il suo regno non sarà mai distrutto ... Egli libera e salva... ha liberato Daniele dalle fauci dei leoni” (6:26,27). Questo documento non è stato ignorato da Ciro. Prepara la via alle azioni che Daniele intraprenderà presso il nuovo padrone del mondo. Dopo il corto regno di Dario il Medo, Ciro, diventato re di Babilonia, accorda la libertà ai Giudei esiliati. Il suo editto rivela che il re conosceva già il Dio d’Israele (Esdra 1:2~4). Chi ha potuto presentarglielo, se non Daniele? La spiegazione che dà J.C. WHJTCOMB ci sembra convincente: “Nel suo decreto destinato ai Giudei (Esdra 1), Ciro si rifà all’‘Eterno, il Dio del cielo’, come essendo colui che gli ha dato ‘tutti i regni sulla terra’ e che gli ha dato ‘di innalzargli un tempio a Gerusalemme’(Esdra 1:2). Come Ciro lo poteva conoscere? Mediante dei sogni e delle visioni, ma piuttosto dallo studio delle profezie che Isaia aveva scritto duecento anni prima. È molto probabile che Daniele, che è vissuto almeno fino al terzo anno di Ciro (Daniele 10:1) e che si è interessato pienamente per la realizzazione della profezia di Geremia riguardante il ritorno del popolo d’Israele nel suo paese dopo settanta anni di esilio (Daniele 9:2; confr. Geremia 25:11,12), fu colui che presentò un rotolo delle profezie di Isaia al monarca persiano. Giuseppe, che aveva accesso a certi rapporti storici persi da molto tempo, affermava che ‘quando Ciro lesse ciò ammirò il potere Divino. Un desiderio ed una ambizione segreta si impossessò di lui in vista di realizzare ciò che era scritto (Antichità Giudaiche XI, 1,2). Ci sono buone ragioni per credere alla testimonianza di Giuseppe a tale proposito, a dispetto delle critiche moderne su ‘il Secondo Isaia’ e la pretesa impossibilità della profezia ad annunciare il futuro” (art. Ciro, in The Zondervan Pictorial Encyclopedia of the Bible, 1975, vol. I, p. 1055). Siccome i contemporanei di Daniele avrebbero dovuto conoscere le rivelazioni che Dio aveva dato e bisognerà nello stesso tempo conservare la memoria dei grandi fatti compiuti da Quando la profezia diventa storia
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Dio durante l’esilio, chi avrebbe redatto, se non lui, queste pagine importanti che si aggiungevano ai racconti dei Libri dei Re d’Israele? Daniele si decise dunque a scrivere diversi rotoli e a ricorrere, per la descrizioni dei fatti storici, agli archivi dei re. È così che il capitolo 4 del suo libro ne è una copia conforme ad una promulgazione regale. Non c’è nulla di straordinario che la parte storica sia redatta in aramaico. Ci sono dei dettagli che nessun cronista storico avrebbe potuto fornire se non Daniele stesso quale redattore (confr. 2:19-23; 6:10). Pensiamo che i sacerdoti e gli scribi, partendo per Gerusalemme il secondo anno di Ciro, abbiano portato con loro il testo dei capitoli da 1 a 9. Le rivelazioni dei capitoli 10 a 12 non furono accordate che l’anno successivo e scritte, dopo l’ordine dell’angelo interprete, su un rotolo che fu sigillato (12:4). In considerazione del carattere autobiografico del primo capitolo composto il secondo anno di Ciro (confr. 1:21), Daniele utilizzò la lingua sacra del popolo di Dio come per la descrizione delle sue visioni» (A. Richli, o.c., pp. 145-147). Obiezione 2 - Problema linguistico: parole persiane, greche e nomi di strumenti musicali fanno risalire il libro ad un’epoca più recente. La critica dal punto di vista linguistico è stata formulata dall’eminente professore di Oxford, S.R. Driver con queste parole: «Il verdetto del linguaggio di Daniele è chiaro. Le parole persiane presuppongono un periodo posteriore allo stabilimento definitivo dell’Impero Persiano; le parole greche esigono, l’ebraico tollera e l’aramaico autorizza una data posteriore alla conquista della Palestina ad opera di Alessandro il Grande (332 a.C.)» (DRIVER Samuel Rolles, An Introduction to the Literature of Old Testament, 9a ed., Ediburg 1913, p. 476). Giovanni LUZZI (La Bibbia - Gli Agiografi, pp. 255, 257-259), adottando le conclusioni del Driver, pone la composizione di Daniele nel 168-165 a.C. e Andreas Constantinides ZENOS (New Stand Bible Dictionary, 3a ed., Philadelphia 1936, p. l67) afferma che «la data maccabaica di Daniele è appoggiata da considerazioni sia interne che esterne». RISPOSTA. Le parole persiane sono probabilmente una quindicina, per le quali bisogna però riconoscere che «non si è ancora certi sulla loro vera origine» (Dictionnaire de la Bible, col. 1264). Anche se l’origine fosse persiana, non si deve dimenticare che Daniele visse gli ultimi anni sotto quell’amministrazione. Al contrario, l’influenza persiana in Palestina verso la metà del Il secolo a.C. non esisteva già più. La critica della teologia liberale si dimostra faziosa. Le parole greche sono quattro: sambuke (3:6,7,10,15). «Oggi la si riconosce come asiatica» (Idem, col. 1265), kitharis, psalterion (3:5, 7,10,15), simfonia (3:15). «Non è provato che questi nomi siano certamente greci. Buoni critici ne dubitano e ritrovano in Asia, molto prima di Daniele, gli strumenti che essi indicano. E anche se fossero di radice greca, non risulterebbe che il libro nel quale sono menzionate fosse scritto dopo l’esilio: si è stabilito molto bene che dall’VIlI secolo i greci erano in relazione con gli assiri e i babilonesi... Si spiega così che questi strumenti siano passati con il loro nome greco. In Asia il nome viaggia con la cosa (Idem, col. 1265). La debolezza dell’argomento di Driver fu rilevata dal prof. J.A. MONTGOMERY che scriveva: «La refutazione di questo argomento in favore di una data recente riposa sulla possibilità di una influenza greca in Oriente a partire dal VI secolo» (The Book of Daniel, in ICC, Scribner’s, New York, 1927, p. 22). W.F. ALBRIGHT, orientalista ben conosciuto, ha fatto notare che da venti anni (dal 1957, nda) la cultura greca era penetrata nel Vicino Oriente molto tempo prima del periodo neobabilonese» (From Stone Age to Christianity, Doubleday, 2a ed., New York 1957, p. 337). Più recentemente, il prof E.M. YAMANCHI ha dimostrato formalmente, 984
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in seguito ad uno studio dettagliato dei testi antichi, questa influenza greca su Babilonia; ecco la sua conclusione: «Il solo elemento sorprendente con questo scrittore, è che non ci sono più parole greche in tali documenti» (Greece and Babylon, Grand Rapids, Baker Book House 1977, p. 94). Le ultime ricerche storiche hanno dimostrato categoricamente che non si può non pensare che gli strumenti risalgano al VI secolo e facessero parte dell’orchestra di Nebucadnetsar (T.C. MITCHELL e R. JOICE, The Musical Instrument in Nebuchadnezzar‘s Orchestra, in Notes on Some Problems in the Book of Daniele, pp. 19-27). L’alta critica si sarebbe dovuta stupire se nel testo di Daniele non si fossero trovate simili parole che hanno fatto pensare ad una influenza greca, ma lo stupore è ancora più grande perché, nel tempo dell’ellenizazzione della Palestina, sono così poche le parole greche che hanno influenzato lo scrittore. Obiezione 3 - Daniele 1:1 dice: «Nel terzo anno di regno di Joiakim, re di Giuda, Nebucadnetsar, re di Babilonia, venne contro Gerusalemme e l’assediò». Geremia 25:1 pone il I anno del re di Babilonia nel IV anno del re di Gerusalemme. Se Daniele viveva veramente in quel tempo non poteva commettere un simile errore. RISPOSTA. Ci sono due modi per risolvere questa difficoltà di date. Un sistema di computo degli anni per fare sparire l’apparente contraddizione tra i due profeti è di ammettere - con numerosi commentatori - che il terzo anno di Joiakim è indicato in Daniele non come la data dell’“arrivo” di Nebucadnetsar a Gerusalemme, ma come quella della sua “partenza” da Babilonia. È nel terzo anno di Joiakim che avrebbe intrapreso contro il re d’Egitto, allo scopo di togliergli le sue conquiste in Asia, questa spedizione e l’assedio di Gerusalemme avvenne solamente nel quarto anno - come dice Geremia. Il verbo “bô” che significa abitualmente venire e che noi rendiamo con marciare, ha spesso, in effetti, il senso di andare, partire, mettersi in campagna quando il narratore si trova nel posto dal quale parte il movimento, il che sarebbe precisamente il caso di Daniele (confr. per esempio per l’uso del verbo bò: Giona 1:3; Genesi 37:30). Il secondo sistema ha più sostenitori e corrisponde meglio al modo di calcolare gli anni di regno nell’antichità. È quello di contare gli anni secondo il metodo degli scrittori dei vari Paesi. In effetti, mentre nei diversi testi di Geremia si parla sempre del quarto anno di Joiakim, il testo di Daniele, tradotto letteralmente, significa l’anno tre del regno di Joiakim. Se Joiakim è salito al trono verso la fine dell’anno (come è in effetti: Giosia muore in giugno, nella battaglia contro il faraone Neco, c’è poi il regno effimero di alcuni mesi di Joachaz, e nell’ottobre diventa re Joiakim), si può contare questa fine d’anno come il periodo di intronizzazione - corrisponde al I anno secondo il computo di Geremia - oppure considerarlo facente parte del primo anno di regno - come fa Daniele. Il primo modo è quello con il quale Giuseppe calcola, per esempio, i 37 anni di regno di Erode, regno che è durato solo 35 anni pieni, e qualche mese prima e dopo. Se Daniele 1:1 si riferisce all’anno di ascesa di Nebucadnetsar (d’accordo con la cronaca babilonese), il suo “secondo anno” in Daniele 2:1 può considerarsi come corrispondente al terzo anno d’educazione degli esuli giudei. Secondo la maniera ebraica di calcolare il tempo, dove le frazioni erano contate come unità piene (è definito “calcolo inclusivo”). Il miglior esempio è costituito dal periodo intercorso tra la morte e la risurrezione di Gesù: dal pomeriggio di venerdì all’alba della domenica. Cronologicamente questo periodo durò poco più di un giorno e due notti, ma gli autori dei Vangeli ne parlano come di un periodo di «tre Quando la profezia diventa storia
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giorni e tre notti» Matteo 12:40. Si avrebbero qui tre anni. In altri termini, i tre anni non sarebbero tre anni completi: Young propone la seguente tabella: anni di educazione Nabucadnetsar Primo anno Anno di ascesa Secondo anno Primo anno Terzo anno Secondo anno (YOUNG E.J., The Prophecy of Daniel, Grand Rapids, W.B. Eerdman’s Publishing Co., 1949, pp. 55,56). Postdatato: anno di accesso 1° anno 2° anno 3° anno Daniele 1:1 antidatato: 1° anno 2° anno 3° anno 4° anno Geremia 25:1,9 Daniele a Babilonia e Geremia in Palestina hanno utilizzato i sistemi di datazione in uso nel paese in cui risiedevano. Nel 1956 il prof. D.J. WISEMAN pubblicava la famosa Croniche dei re Caldei, indicando che si applicava a Babilonia il metodo dell’anno di accesso (Chronicles of Chaldean Kings (626-556 B.C.) in the British Museum, British Museum, London 1856), mentre Geremia seguiva il costume giudaico palestinese, che non tiene conto dell’anno di accesso (Some Historical Problemes in the Book of Daniel, p. 17). Colui che non fosse soddisfatto di questi due tentativi di soluzione, non dovrebbe che riconoscere qui un errore di data incompatibile con la composizione del racconto da un contemporaneo dei fatti. Ma prima di arrivare a tanto, dovrebbe ancora spiegare come il redattore posteriore del libro di Daniele, che conosceva in ogni caso Geremia, come è espresso chiaramente nel capitolo 9:1, avrebbe osato contraddirlo su una data così essenziale e sulla quale il libro di Geremia doveva fare autorità (vedere La Bible Annotée - Ancien Testament Les Prophètes, t. II, Daniel, Paris, pp. 245, 246). Obiezione 4 - Come è possibile che un prigioniero possa essere educato alla corte di Babilonia ed essere elevato a grandi onori? RISPOSTA. Lo storico parla di prigionieri giudei, fenici ed egiziani che il re fece deportare a Babilonia dai suoi generali. L’usanza babilonese di istruire nella lingua caldea è confermata dal fatto che le classi elevate dovevano imparare quella lingua e per questo motivo c’erano dei testi (tavolette). L’usanza di istruire i nobili vinti è confermata da una iscrizione di Sennacherib, re di Ninive (cilindro di Berlino) dove è detto che un bambino chiamato Benibni, figlio di un potente di Babilonia, fu allevato nel palazzo di Sargon e più tardi divenne un governatore della Caldea. Questa politica venne continuata poi dai Babilonesi che ne ereditarono i costumi. «Si sa dai testi cuneiformi che gli Assiri facessero allevare alla loro corte i giovani stranieri, dei quali si servivano in seguito per il governo dei paesi conquistati» (Dictionnaire de la Bible, col. 1263, 1264. Giuseppe Flavio, Contro Appione, I, 19, Antichità Giudaiche, X,X, 11). Si sa che Nebucadnetsar inviò dei prigionieri a Babilonia, dopo la morte del padre (605 a.C.), per fame degli eunuchi. Obiezione 5 - Daniele menziona i Caldei come una classe di sapienti (Daniele 2:2). Questa classe di savi e di sacerdoti si è formata dopo la caduta di Babilonia, con lo scopo di tramandare la sua sapienza. Questa obiezione trova l’appoggio in Geremia, contemporaneo di Daniele, che menziona i caldei come nazione. 986
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RISPOSTA. Il testo presenta quattro classi: magi, astrologi, incantatori e caldei. Questi caldei, secondo Erodoto e Diodoro di Sicilia, erano dei sacerdoti che provenivano dalla stirpe più antica del paese: Daniele menziona i caldei sia come abitanti della Caldea, come etnia (5:3), in generale quindi, sia come una casta, che non dopo, ma di già al suo tempo, era incaricata degli uffici sacerdotali propriamente detti con diritto di priorità sulle altre classi. Daniele usa la giusta terminologia del suo tempo. Anche Erodoto (Storia 1,181-183) nel V secolo, nel 450, l'ha utilizzata in questo modo. Erano sacerdoti di Bel-Marduk. La loro funzione secondo Erodoto «esisteva almeno dal tempo di Ciro» riporta Young (o.c., p. 272), cioè dal tempo di Daniele. Obiezione 6 - Se Daniele era stato giudicato dal re (Daniele 1:20) con capacità superiori a magi ed astrologi, come mai, nel capitolo 2, non comparve subito davanti al monarca? RISPOSTA. Daniele non comparve per il semplice motivo che davanti al re furono convocati i capi delle varie classi di dotti e Daniele non era ancora pervenuto a tanto. Possiamo pensare che per la concezione religiosa che Daniele aveva non fosse di quelle caste. Le mansioni che ebbero Daniele e i suoi amici furono di tipo amministrativo (Daniele 1:19; 2:48; 3:30). Obiezione 7 - Sembra inverosimile il racconto della fornace dove gli amici di Daniele vennero gettati dopo il loro rifiuto ad inginocchiarsi davanti alla statua eretta da Nebucadnetsar, nella piana di Dura, per essere adorata (Daniele 3). RISPOSTA Prima di rispondere all'obiezione, ricordiamo che questo episodio ci permette di dire come l'uomo, in ogni tempo, sia stato maestro nel distorcere la Parola di Dio. Daniele aveva detto al re che solamente la testa d'oro raffigurava il regno di Babilonia (Daniele 2:3), ma il re nel suo orgoglio fece erigere una intera statua ricoperta d'oro. L'erezione di una statua per un motivo politico e religioso era cosa frequente in Assiria e in Caldea. Il supplizio del fuoco era conosciuto in Assiria e in Babilonia ed è così, per esempio, che Assurbanipal soppresse il suo fratello Samassurmakin che gli si era ribellato «gettandolo in una fornace incandescente» (SMITH, History of Assurbanipal, London 1871, p. 163; cit. dal Dictionnaire de la Bible). Mentre il supplizio del fuoco rispecchiava il costume assirobabilonese, quello della fossa dei leoni (Daniele 6) rispecchiava quello medo-persiano. Per la identificazione del luogo si segnalano diverse località. Considerando che si debba trovare vicino a Babilonia, si identifica Dura (il cui nome significa “muro di separazione”) con TolulDura, 8 chilometri a sud-est di Babilonia dove si trova un rialzo di massi con una base di m. 14 per 14 e un'altezza di m. 6, o le colline Dura sul Nahr-Dura, una decina di chilometri a sud di Babilonia (vedere VATTIONI Francesco, La Sacra Bibbia, t. II, Daniele, ed. Marietti, Torino 1964, p. 1067 - vedere La Bible Annotée, o.c., p. 258). In queste località si sarebbero trovate anche delle fornaci per far cuocere i mattoni. «Il supplizio della fornace era comune in Assiria e in Caldea; era sconosciuto nella Palestina e al tempo dei Maccabei, nel regno dei Seleucidi. Abbiamo ancora qui, per conseguenza, una nuova prova della conoscenza perfetta che aveva l'autore del libro di Daniele dei costumi babilonesi» (VIGOROUX Fulcron Grégoire, La Bible et les découvertes modernes, vol. IV, 6a ed., Paris 1896, p. 440). Obiezione 8 - La follia di Nebucadnetsar presentata nel capitolo 4 non è riportata da nessun documento dell’antichità, e inoltre, benché Babilonia sia menzionata diverse volte da Erodoto, Strabone e da Plinio, nessuno attribuisce a questo re la costruzione di Quando la profezia diventa storia
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Babilonia. RISPOSTA. Il fatto che la malattia del re non venga riportata da nessun documento, non significa che il brano di Daniele non sia vero. Nebucadnetsar, che aveva iniziato a regnare in correggenza col padre nel 607 a.C., dal 604 a.C. continuò da solo fino al 561 a.C. È vero che il monarca non costruì la città, le cui origini risalgono al tempo post-diluviano, ma ugualmente, dopo aver abbellito la città considerevolmente, vi costruì anche dei nuovi palazzi, e si può ben dire che abbia costruito una nuova riva orientale dell'Eufrate. Le iscrizioni ci parlano di lui come di un grande costruttore e artefice di immensi lavori. Se Beroso, sacerdote babilonese del tempo di Alessandro, non dice nulla della follia del re, è, primo perché la sua opera non ci è pervenuta integralmente e secondo, ancora più importante, perché i contemporanei dei vari monarchi hanno sempre preferito mettere in risalto le doti e le conquiste del re. Spesso gli scrittori di corte hanno passato sotto silenzio campagne militari che sono state una sconfitta per il proprio monarca, delle quali si hanno notizie nella corte del regno nemico che ha vinto. È quindi naturale che la malattia di «licantropia» (LENORMANT, La Divination p. 204), «terribile malattia» (G. RAWLINSON, The Five Great Monarchies, vol. III, 3a ed., London 1873, p. 61), a causa della quale «il re divenne un miserabile maniaco» (idem, p. 60) per sette tempi (Daniele 4:16) non ci sia stata tramandata. Le scoperte archeologiche recenti ci permettono di dare credito allo scritto di Daniele anche per quanto riguarda la costruzione o l'ampliamento della città di Babilonia da parte di Nebucadnetsar. In un documento si legge: «Posso io (Nebucadnetsar) costruire il mio palazzo, sede del mio regno, deposito della razza umana, dimora di gioia e di allegrezza» (scritta sul cilindro Grotefend KBII, 2, p. 39; cit. da J.A. Montgomery, o.c., p. 243). Grazie a questo esempio evidente, il prof. Montgomery ha concluso: «I termini stessi nei quali la storia (di Daniele) è riportata richiamano quelli dell’akkadia» (o.c., p. 244). L'autoglorificazione del re è storicamente possibile. L'attività costruttrice di Nebucadnetsar è evidente in Babilonia e, secondo il prof. R.W.F. SAGGS, ciò «indica che avrebbe potuto, a giusto titolo, pronunciare le parole che gli sono attribuite in Daniele 4:30» (Babylon, in Archeology and Old Testament Study, ed. da D.W. Thomas, Oxford Clarendon 1967, p. 42). E il prof. R.H. PFEIFFER dell’Harward University, deve ammettere: «Noi non sapremo certamente mai come il nostro autore abbia potuto apprendere che la nuova Babilonia era l’opera di Nebucadnetsar (4:30), come gli scavi hanno provato» (Introduction to the Old Testament, Harper et Row, New York 1948, pp. 758,759). Vigouroux scriveva: «La sua follia temporanea fornisce forse la soluzione di un problema storico sollevato dalle iscrizioni di Babilonia. Nriglessor, genero di Nebucadnetsar, e suo secondo successore, dà, in alcuni documenti ufficiali, al suo proprio padre Belsumiskun, il titolo di re di Babilonia. Le liste regali non contengono questo nome. Bisogna quindi concludere che non avesse regnato regolarmente e che si dovrebbe mettere questo regno nel periodo di Nebucadnetsar. Belsumiskun non ha potuto senza dubbio essere re che durante la demenza di Nebucadnetsar» (o.c., p. 451). «Nondimeno però è indirettamente confermata dallo storico Abidenus e conservata da Eusebio (Preparatione evangelica, I, IX, XLI). Abidenus racconta che Nebucadnetsar “dopo aver finito di guerreggiare in Occidente (confr. versetto 4), essendo salito sul terrazzo del suo palazzo (confr. versetto 29), era stato colto da una ispirazione che veniva da un dio qualunque e aveva annunziato in un oracolo ai Babilonesi la rovina del loro impero ad opera del mulo persiano (Ciro alleato dei Medi)”. Egli avrebbe augurato a questo nemico, da cui era minacciato, i più grandi mali (confr. versetto 19), come di perire nei flutti del mare o di errare 988
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“in una solitudine, lontano dagli uomini, e tra gli animali” (confr. versetto 33), ed avrebbe espresso per se stesso il desiderio di morire in pace prima che la disgrazia si scatenasse sul suo regno. Avendo così profetizzato, Nebucadnetsar sarebbe sparito subito. È difficile non vedere nel luogo dove avviene questa scena, in questo stato di esaltazione improvvisa del re in questo dio innominato, nella formula di maledizione, nella sparizione del monarca dagli uomini, delle relazioni inerenti all'avvenimento menzionato nel nostro capitolo. Nel racconto di Abidenus abbiamo la forma leggendaria che avrebbe preso questa storia nella tradizione babilonese dopo la conquista dei persiani. Aggiungiamo che, secondo diversi studiosi, la follia temporanea di Nebucadnetsar formerebbe la sola soluzione accettabile per un problema storico che le iscrizioni cuneiformi presentano. Si tratta di un tentativo di usurpazione che si ebbe in questa epoca e che non si sarebbe potuto realizzare sotto un re potente come Nebucadnetsar, ma che l'attuale circostanza avrebbe favorito. Si deve notare qui un'altra coincidenza. Alcuni storiografi di Babilonia pongono in questa epoca il regno della regina Nitocris alla quale essi attribuiscono delle opere che altri assicurano compiute da Nebucadnetsar. Non sarebbe quindi impossibile che, durante la malattia del re, la regina fosse alla testa degli affari; e in questo caso alcuni lavori intrapresi in quest'epoca potrebbero essere stati indicati sotto il suo nome o quello di suo marito» (La Bible Annotée, o.c., p. 272). È possibile che in questo periodo Daniele stesso abbia avuto qualche mansione importante, in ogni caso riporta i fatti come un qualsiasi altro autore della Bibbia, come testimone della realtà del suo tempo. Daniele ricorda tutto questo nell'autunno del 538 a.C., come se fosse ben conosciuto al nipote di Nebucadnetsar, Belsatsar (Daniele 5.. 19-22) nella sera in cui i Medo-Persiani entrano in Babilonia, espugnandola. Obiezione 9 - Il re di Babilonia non è Belsatsar, bensì Nabonide, quando Ciro conquista la città. A questo «grave errore storico» (H.H. ROWLEY, The Historicity of the Fifth Chapter of Daniel, in Journal of Theological Study, n. 32, 1930, p. 12) si deve aggiungere che Belsatsar non era figlio di Nebucadnetsar. Ci sono due errori storici nel capitolo 5 di Daniele. RISPOSTA. Nabonide sale al trono nel 555 a.C. dopo una congiura ai danni di Laborosoarcod figlio di Neriglissor genero di Nebucadnetsar (m. 561 a.C.). Non era di stirpe reale, ma la corte lo nominò per contrapporlo alla crescita militare di Ciro che minacciava l’Impero. Nabonide, salito al trono, sposò una figlia di Nebucadnetsar, forse la vedova di Neriglissor, che Erodoto descrive come donna saggia e prudente. Belsatsar, figlio di Nabonide, quale nipote di Nebucadnetsar poteva giustamente essere chiamato figlio del grande monarca. Del resto la parola “ab” in assiro, come in ebraico, ha un senso molto largo: predecessore, nonno o antenato, quindi anche padre (Dictionnaire de la Bible). Questo linguaggio lo abbiamo anche nel testo biblico: 1 Re 15:3; 15:11; 22:51; 2 Re 15:38; 16:2; 18:2 e 20:5; 22:3; Geremia 35:6,8,20. La storia egiziana ci riporta come il principe Chefren racconti al re Cheops un miracolo che si produsse al tempo di suo padre, il re Neb-ka. Questo padre non era il diretto ascendente di Cheops, ma un antenato di un secolo prima (G.A. ARCHER, A Survev of Old Testament Introduction, Chicago 1968, p. 371). L'assiriologo britannico D.I. WISEMAN fa quindi giustamente notare che il nome «padre» attribuito a Nebucadnetsar «non contraddice i testi di Babilonia che descrivono Belsatsar come il figlio di Nabonide, poiché quest'ultimo era un discendente in linea diretta di Nebucadnetsar Quando la profezia diventa storia
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e poteva bene essergli imparentato mediante la moglie» (Belshazzar, in Zondervan Pictorial Encyclopedia of the Bible, vol. I, ed. M.C. Tenney, Grand Rapids, Zondervan 1975, p. 515). Nabonide lascia Babilonia e va in Siria, in Cilicia, in Arabia. In una tavoletta di argilla è detto che negli anni VII, IX, X e XI del suo regno era a Teima. A causa di queste prolungate assenze da Babilonia ben presto si associò al trono il suo primogenito Belsatsar (in assiro Belshar-utsur: Bel protegga il re!). Belsatsar, quale re associato, non poteva che offrire a Daniele il terzo posto nel regno per il fatto che lui stesso occupava il secondo e il padre il primo. Già La Bible Annotée (o.c., pp. 273, 274), così spiega: «Nessuno dei quattro successori di Nebucadnetsar che menzionano Beroso e il Canone di Tolomeo (Evilmerodac, Neriglissor, Laborosoarcod, Nabonide) porta questo nome di Belsatsar. Parrebbe dunque esserci contraddizione tra Daniele e la storia profana... Recenti scoperte sono venute a portare una luce nuova su questa questione, in apparenza insolubile. L'esistenza reale di Belsatsar è stata constatata da una iscrizione decifrata nel 1854, dalla quale risulta che il figlio maggiore di Nabonide porta questo nome. L'iscrizione... è una preghiera di Nabonide al dio della luna, Sin, nella quale diceva: “Quanto a me, Nabou-Nahid (Nabomde), nel mio stato di peccato nei confronti della grande divinità, salvami, accordami generosamente il prolungamento della mia vita fino ai giorni lontani! E per ciò che è di Bel-sar-oussour (Belsatsar), mio figlio maggiore, il germoglio del mio cuore, metti nel suo cuore la venerazione della grande divinità; che mai si lasci andare al peccato e non si compiaccia nell’infedeltà”. Una iscrizione ritrovata in seguito, e facente parte degli annali del re Nabonide, ci informa che nel settimo anno del re (549 a.C.), il figlio del re (il principe reale, Belsatsar, secondo l'iscrizione precedente) si trovava con i grandi del regno e dell'esercito ad Accad, rivestito senza dubbio di un comando, forse del comando di capo. Per contro, secondo questi stessi annali, il diciassettesimo anno di Nabonide, l'anno della catastrofe, al posto del principe reale è il re stesso che comanda l'esercito a Sepharvaim, a nord del regno, dove è vinto da Ciro. È dunque verosimile che in quel momento Belsatsar comandasse nella capitale, e nulla impedisce di ammettere che da qualche anno suo padre gli avesse conferito la correggenza di Babilonia (fatti, questi, che scoperte archeologiche del 1916 e del 1924 hanno confermato). Noi avremmo qui un fatto analogo alla correggenza di Nebucadnetsar con suo padre Nebopolassar. Se si ammettono questi risultati, i dati di Erodoto, Beroso e Abideno che parlano solo del re Nabonide (che l'autore del capitolo 5 di Daniele non avrebbe avuto motivo di menzionare), si concilierebbero perfettamente con il racconto biblico. Ancor più, la testimonianza di Senofonte viene a confermare in maniera notevole ciò che la Bibbia ci insegna di Belsatsar. Secondo questo autore, il re di Babilonia, che non nomina, fu un giovane uomo crudele ed empio, arrivato da poco al governo, perì nella notte di festa in cui Ciro s’impadronì della città. Come non essere colpiti dalla conformità di tutti questi dettagli con quelli del nostro testo?». Il professore R.H. Pfeiffer, che crede che il libro di Daniele sia stato scritto all'epoca dei Maccabei, è perplesso e non riesce a rendersi conto di come questo libro possa avere delle indicazioni così precise su Belsatsar in un tempo in cui questo re era stato dimenticato nel mondo antico e che nessun autore greco menzionava. «Forse noi, scrive, non riusciremo mai a capire in che modo il nostro autore abbia saputo... che Belsatsar, menzionato solo nelle cronache babilonesi, in Daniele e in Baruc 1:11 - quest'ultimo si basava su Daniele - fungeva da re quando Ciro conquistò Babilonia nel 538 a.C.» (PFEIFFER R.H., Introduction in the Old Testament, New York 1941, pp. 758,759; cit. da HORN Siegfrid, Pietre che parlano, ed. A.d.V., Firenze 1958, pp. 97,98). 990
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Scrive il prof G.H. Hasel: «Le iscrizioni sulla stele di Haran pubblicate nel 1958 attestano che Nabonide partì per Teima alla fine del suo sesto anno di regno, e vi soggiornò per dieci anni. La data della partenza 550/549 è confermata anche da un altro documento storico cuneiforme e quindi le date di Belsatsar possono essere calcolate finalmente con precisione. Il primo anno di Belsatsar (Daniele 7:19) fu l’anno 550/549 a.C., il suo terzo anno di regno (8: I) corrisponde al 548/547 a.C. Così, tra le date che abbiamo per Daniele 8 e 9, il periodo è relativamente corto, solamente nove anni se Daniele 9 indica la data dell'anno della caduta di Babilonia (539 a.C.); per contro, un lungo periodo è passato tra Daniele 2 e Daniele 7, se il secondo anno di Nebucadnetsar è anche il secondo anno del suo regno (603 a.C.). I dati cronologici in Daniele 7:1, 8:1 e 9:1 concordono e sono in armonia con le migliori informazioni storiche attuali tratte dalla fonti babilonesi contemporanee» (Ci. F. Hasel, Quelques éléments..., p. 31. Vedere Raymond Philip DOUGHERTY, Nabonidus and Belshatzar, New Haven 1929; David N. FREDMAN, The Prayer of Nabonidus, in Bulletin the Ancien School of Oriental Research , n. 145, febbraio 1957, pp. 31-38; J.A. Montgomery, o.c., pp. 66-72. Eugène PANNIER, Belsatsar associé à la puissance royale par son père Nabonide, in Revue de Lille, 1 marzo 1890, pp. 572-583. Rudolf MFYER, Das Qumran Gebet des Nabonid, in Theology Literaturzeitung, Leipzig LXXXV, 1960, p. 831-834; Iosef Tadeniz MJLIK, Prière de Nabonide, in Revue Biblique, n. 63, 1956, pp. 407-415). Scriveva il grande assiriologo francese LENORMANT: «Più io leggo e rileggo il libro di Daniele confrontandolo con i dati dei testi cuneiformi, più sono colpito della veridicità del quadro che i primi sei capitoli tracciano della corte di Babilonia... più riscontro infine l’impossibilità di stabilirne la redazione all’epoca di Antioco Epifane» (cit. da Handkommentar zum A.T, III, 3, in G. BEHRMANN, Das Buch Daniel, Göttingen 1894, XLVIII) e R.P. DOUGHERTY si esprime nello stesso modo: «Di tutte le fonti non babilonesi che parlano degli avvenimenti della fine del regno neobabilonese, il capitolo 5 di Daniele è il più vicino ai testi coneiformi» (Nabonidus and Belshazzar, New Haven 1929, p. 199). Il padre M.J. LAGRANGE scriveva: «Daniele ci dice ciò che nessuno sapeva fino a questi ultimi tempi, che Belsatsar era stato l’ultimo re di Babilonia, e lo si è accusato di errore fino ai giorni in cui le iscrizioni cuneiformi hanno fatto conoscere questo nome, è rivelato nel 1924 che in effetti Belsatsar era stato nominato re di Babilonia da sua padre Nabonide» (Le Judaisme avant Jésus Christ, Paris 1931, p. 62). La formula «O re possa tu vivere in perpetuo» (Daniele 2:4; 3:9; 5:1 O; 6:21), è secondo l’etichetta orientale (Nehemia 2: 3). L’espressione: «Re dei re» data da Daniele a Nebucadnetsar (Daniele 2:37) la si legge correntemente sulle tavolette reali. Tutto ciò conferma indirettamente la testimonianza oculare dell'autore e le abitudini di corte. Obiezione 10 - Non è Dario che succede al re di Babilonia ma Ciro, contrariamente a quanto è detto in Daniele 5:31. Questo Dario inoltre non è conosciuto. Se il Dario del capitolo 6:1 è Ciassare II, zio di Ciro, e Senofonte lo fa figlio di Astiage, Daniele, facendolo figlio di Assuero, commette l’errore storico di uno che non conosce quanto attribuisce al VI secolo a.C. RISPOSTA. Questa differenza può essere spiegata considerando che i due nomi Astiage e Assuero potrebbero essere due titoli onorifici dei re medo-persiano anziché dei nomi propri. Astiage (Ajis-dahaka o Ashdahak) significa “il serpente mordace” ed è stato portato da Quando la profezia diventa storia
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diversi sovrani medi: da Dejoces il fondatore della dinastia, da Ciassarre I, ultimo suo figlio e Astiage suo figlio. Assuero, in persiano Kschajarscho, di Kschaja significa: “impero” e sembra indicare semplicemente l'imperatore. Da questa differenza di nomi, che indicano più la posizione o la qualità che un nome proprio, non si può trarre una valida obiezione. Cambise, re dei persiani, aveva sposato Mandane figlia di Astiage, re dei Medi, sorella di Ciassare II. Da questo matrimonio nacque Ciro, il quale nel 555 a.C. salì sul trono imperiale. Quando nel 538 si conquistò Babilonia, Ciro, essendo sul campo di battaglia altrove, lasciò come re di quella città lo zio. Infatti è solamente a partire dal terzo anno del suo regno che Ciro viene nominato nei contratti babilonesi come “re di Babilonia, re delle nazioni”. Per il primo e secondo anno viene chiamato solamente “re delle nazioni”. Questo ci permette di spiegare perché, secondo Senofonte, Ciro ha regnato sette anni su Babilonia, mentre Abidenus, Canone dei Tolomei, dice che vi ha regnato nove anni. Questo primo modo di computare è confermato anche da Esdra 1:1, che dice che Ciro ha autorizzato gli Ebrei a rientrare a Gerusalemme, per ricostruirvi il tempio, nel suo primo anno di regno. La data dell'editto è del 536 a.C. mentre i suoi generali hanno conquistato Babilonia nel 538 a.C. (2 Cronache 36:22). Dario il Medo lo si può identificare con Ciassare II, di Senofonte. Ciro mette sul trono questo uomo, quale azione politica nei confronti dei Medi dopo aver usurpato il trono del nonno materno. E possibile inoltre che Dario, uomo poco energico, sia quel grande personaggio di origine meda, non nominato, che secondo Senofonte tradì la città di Abidenus per consegnarla a Ciro e del quale è detto in un frammento: «Un medo di cui si gloriava fino ad allora l’Assiria». Giuseppe Flavio (Antichità Giudaiche X: 12), dice che questo Dario, re di Babilonia, figlio di Astiage, i Greci lo chiamavano con un altro nome. Inoltre Dario (Dariawesch) significa “dominatore”, e Ciassare (Ouwakahatra) significa “potente”. Questi due nomi potrebbero essere assai bene anche due titoli regali. Il testo biblico ci dice inoltre che Dario “ricevette il regno”. Se non lo si intende ricevuto da Dio, trova la sua spiegazione nell'essergli stato donato da Ciro. Dario infatti non prese parte alla campagna militare e, in un passo della Ciropedia, è detto che Ciro annuncia a Ciassare che gli ha preparato un palazzo in Babilonia (vedere La Bible Annotée, o.c., pp. 279, 280; W.S. AUCHINOLOSS, Darius the Median, in Bibliotheca Sacra, 66, 1909, pp. 536-538; K. AUBERLEN, p. 19; J.B. BOSSUET, Discours sur..., 3a ed., p. 31; J. CALVIN, Opera,vol. XI, p. 722; CLARKE Adam, p. 586; A.L.C. COQUFREL, 1837, p. 98; De WETTE, 1843, vol. II, p. 485; M. GEIER, Daniel, 1684, p. 442; H.F.W. GESENTIUS, Hebraisch..., vol. I, p. 208; F. GODET, 3a ed., pp. 173,174; C.B. HAYNES, 1950, pp. 192-199; E.W. HENGSTENBERU, Dissertations on the Genuinenss of Daniel ad the Integrity of Zechariah, 1848, p. 40 e seg.; T. KLIEFOTR, Das Buch Daniel, 1868, p. 155 e seg.; J.H. KURTZ, p. 247; H. LAGRANGE, vol. I, 2a ed., pp. 119,120; C.C. LATTEY, p. 74; S. LIMBACH, p. 82; W. LOWTH, 1822, p. 335; Th. MÉMAIN, 1904, pp. 68,69; J.B. PELET, 1838, p. 17; C. ROCHEDIEU, p. 75; E.F.C. ROSENMUELLER, p. 13; SDABC, vol. V, Daniel, pp. 814-817; C.C. von de STEEN (ALAPIDE), 1622, p. 57; J.C. VOLBORTH, p. 34; J. VUILLEUMIER, Daniel, p. 97, n. 1; A. VULLET, Histoire.., 7a ed., p. 98; C.F. WATSON, 1885; M.M. WILSON, 1906, p. 375, n. 393; O. ZOCKLER, The Book of the Prophet Daniel, London 1876, pp. 30,35. Per i titoli completi delle opere vedere la Bibliografia. Il prof. F. Hasel scriveva: «La critica liberale ha commesso un grave errore affermando che il libro di Daniele si è sbagliato su questo punto (ponendo il regno di Dario il Medo a seguito della caduta di Babilonia nel 539 a.C., mentre di fatto è il persiano Ciro il Grande che ne era il sovrano in quell'epoca della storia. Nel 1935, il prof. H.H. RWLEY, dell’Università di 992
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LA PERSONA DI DANIELE: AUTENTICITÀ, CANONICITÀ DEL SUO LIBRO E RISPOSTE ALLE OBIEZIONI
Manchester, in Inghilterra, dichiarava che “il problema storico più serio nel libro (di Daniele)”, è che Dario il Medo “occupava il trono di Babilonia tra la morte di Belsatsar e il regno di Ciro...Poiché si sa con certezza che il vincitore dell'impero neobabilonese era Ciro...”. Questa opinione è ancora difesa da qualche critico, benché le scoperte del mondo antico gettino una luce interamente nuova sull'argomento. Una testimonianza storica molto interessante è apparsa recentemente a tale proposito, proveniente dai titoli regali che figurano nei testi commerciali che datano dei due primi anni del regno di Ciro su Babilonia. Il prof. .H. SHEA, esaminando tutte le tavolette cuneiformi conosciute di quell’epoca, scopriva che Ciro il Grande non portava il titolo di “re di Babilonia” durante un primo periodo di nove mesi dopo la presa di Babilonia dalle forze alleate medo-persiane. Il suo titolo, in quel momento, si limitava a “Re dei paesi (nazioni)”. “Verso la fine del suo primo anno, questi testi (cuneiformi babilonesi) aggiunsero ‘re di Babilonia’ a quello che aveva di già e Ciro divenne: “Re di Babilonia, re delle nazioni”, titolo correntemente utilizzato per rivolgersi a lui fino alla fine del suo regno” (An Unrecognized Vassal King of Babylon in the Early Achaemenid Period Iv, in Andrews University Seminary Studies 10, 1972, p. 176). Così per la prima volta, noi vediamo confermato dal badile dell'archeologia che Ciro il Grande, le cui forze - sotto la guida del governatore del Guitium - si impossessarono della celebre città, non prese il titolo di “re di Babilonia”. Ciò mostra che quest'ultimo doveva essere un sovrano vassallo di Ciro - e non Ciro stesso - durante la maggior parte dell'anno che seguì la caduta di questa città. La storia ci informa che è Ugbara, governatore del Gutium e generale di Ciro che conquistò Babilonia. È stato dimostrato che Ciro non rivendica, durante il primo anno che è seguito alla conquista della città, il titolo di “re di Babilonia”. Qualcun altro, sotto la sovranità di Ciro, esercitava la funzione di sovrano nella città. Tutti questi fatti corrispondono perfettamente al libro di Daniele a proposito di Dario il Medo» (o.c., p. 32,33). Questa ipotesi è stata adottata da C.M. MAXWELL (God Cares, vol. I, The Message of Daniel, Montain View, California, 1981, pp. 99,100). Conclude il prof. F. Hasael: «Noi non abbiamo ancora una testimonianza formale di un testo cuneiforme che identifichi chiaramente Dario il Medo a un personaggio storico; delle scoperte future potranno illuminare questo dettaglio. In attesa che una tale informazione si presenti, non siamo ancora giunti a una certezza concernente l'identità di Dario il Medo. Da qualche decennio si è proposto di identificarlo con Ciro stesso (D.J. WISEMAN, Some Historical Problems in the Book of Daniel, in Notes on Some Problems in the Book of Daniel, Tyndale Press, London 1965, pp. 9-16; idem, Darius, in New Bible Dictionary, ed. J.D. Douglas, Grand Rapids, Eerdmans 1967, p. 293; J.M. BULMAN, The Identification of Darius the Mede, in Westminster Theological Journal, 35, 1973, pp. 247-267). O con Gabaru, governatore di Babilonia (J.C. WHITCOMB, Darius the Mede: A Study in Historical Identification, Grand Rapids, Erdmans 1959; R.K. HARRISON, Book of Daniel in Zondervan Pictorial Encyclopedia of the Bible, ed. M.C. Tenney, Grand Rapids, Zondervan 1977, 11:17), o con Ugbam, governatore del Gutium (W.H. Shea, o.c.). Correntemente è assimilato a Ciassare II, che corrisponde perfettamente all’età (sessantadue anni nel 539 a.C. secondo Daniele 5:31), alla parentela (Daniele 9:1) e alla nazionalità (un medo). Sembrerebbe che l’identificazione con Ciassare II fornisca ancora la migliore soluzione a ciò che concerne l’identificazione di Dario, fino a quando più ampie informazioni siano disponibili. Ulteriori scoperte potranno chiarire questo aspetto del problema poiché gli storici greci dell'antichità (Senofonte, Erodoto, Ctesia) e Giuseppe (Antichità Giudaiche X, 11,4) ci aiutano a identificare Dario con Giassarre» (o.c., p. 33).
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APPENDICE N. 2
Obiezione 11 - Daniele dice che Dario divise il regno in 120 satrapie, ma Senofonte parla solo di 6 satrapie. Inoltre secondo Erodoto, Dario, figlio di Istarpe, divise il suo territorio tra 20 governatori o satrapi e le iscrizioni persiane di questo re danno la stessa cifra. RISPOSTA, I satrapi di cui parla Senofonte (Ciropedia, libro VIII, cap. 6) si riferiscono a quelli della provincia dell’Asia Minore e dell’Arabia. Per quanto riguarda Erodoto, è riconosciuto che si tratta di una nuova ripartizione del regno per rendere più snello il controllo dell'impero. Nel corso della storia medo-persiana il numero delle satrapie non è stato fisso. Al tempo di Assuero (Serse) se ne contavano ventisette (Ester 8:9; 9:30). I 120 satrapi di Daniele possono essere visti inoltre non nella loro totalità, ma riferentesi solamente alla giurisdizione di Dario. In questo contesto crediamo siano opportune le riflessioni del prof. W. Shea, il quale, dopo aver rilevato che l’alta critica si sofferma molto sul problema di Dario, passa quasi sotto silenzio la responsabilità amministrativa che aveva Daniele stesso. «L’ultima data del libro di Daniele indica il primo mese del terzo anno di Ciro (Daniele 10:1), noi sappiamo così che Daniele viveva ancora in quel momento. Era, tuttavia, molto anziano a quell’epoca; secondo il corso normale degli avvenimenti, morì probabilmente poco tempo dopo. Non stupisce di apprendere che un’altra persona occupasse il suo posto l’anno successivo al quale noi abbiamo inteso parlare di Dario per l'ultima volta. Così, le tavolette degli atti di vendita ci forniscono un posto nella storia non soltanto per Dario il Medo, ma ancora per Daniele in qualità di governatore di Babilonia. Questa posizione soddisfa perfettamente alle esigenze dei dati cronologici del libro di Daniele. Il nome della persona che governava Babilonia durante questi quattro anni non è ancora stato ritrovato nei testi cuneiformi contemporanei; ma quando lo si ritroverà, se ciò si produrrà, noi possiamo sperare che ci sarà un rapporto con il nome babilonese o il nome ebraico di Daniel» (Darius le Mède..., p. 105). Obiezione 12 - Daniele prega tre volte al giorno (6:10). Sebbene ci sia un accenno nel Salmo 55:18, questa forma di devozione generalizzata è di diversi secoli posteriore e rispecchia la tradizione rabbinica degli uomini della grande sinagoga. RISPOSTA. Se nel Il secolo a.C. questa forma di preghiera è abbastanza generalizzata, ciò non diminuisce il fatto che i fedeli la praticassero già diversi secoli prima e il Salmo menzionato ne è una dimostrazione. Obiezione 13 - Il capitolo 7, in modo particolare la quarta bestia e il piccolo corno, non descrivono altro che l'impero dei Seleucidi e Antioco Epifane col suo tentativo di ellenizzare la Palestina. RSPOSTA. Per tale obiezione rimandiamo alla spiegazione del testo nel nostro Capitolo IV. Una illogicità nel sostenere questa posizione è data dal fatto che il regno dei seleucidi era una parte del regno greco-macedone e Antioco non ha per nulla realizzato la descrizione del piccolo corno, come abbiamo presentato nel nostro Capitolo V. Oltre a rinviare il lettore alla lunga citazione dell’abate Jules Fabre d'Envieu nel nostro Capitolo IV, riferimento n. 58, riportiamo quanto dice La Bible Annotée (o.c., p. 295): «L’ipotesi della composizione di questi capitoli sotto i Maccabei solleva dunque delle obiezioni insormontabili, e noi ci vediamo indotti, dallo studio coscienzioso e imparziale del testo, a riconoscere con la Chiesa di tutti i tempi che queste visioni dei capitoli 2 e 7 non possono essere che delle vere rivelazioni profetiche destinate a orientare il popolo di Dio sul 994
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suo avvenire e quello del mondo, allo scopo di assicurare la sua fedeltà attraverso tutte le crisi della storia». Invitiamo il lettore a vedere l’Appendice n. 5 – Come può essere considerata la posizione dei teologi e degli esegeti che vedono Antioco Epifane in Daniele VII, VIII e IX? Obiezione 14 - L'autore Daniele, dicendo di avere gli scritti sacri e di meditare su quelli di Geremia (Daniele 9:1), testimonia in modo evidente di avere scritto il proprio libro solo dopo la formazione del canone dell'Antico Testamento. RISPOSTA. L'espressione “bas-efarim” non significa collezione di libri, ma semplicemente dei libri (Dictionnaire de la Bible). Daniele inoltre precisa che i testi da lui consultali erano quelli di Geremia che riguardavano l'esilio di settanta anni. Del resto ancora prima di Daniele i profeti conoscevano gli scritti dei profeti che li avevano preceduti: Gioele 2: 32 cita Abdia 17, Amos 2:18, Gioele 2:Z Isaia 2:2 e seg, Michea 4:1; Geremia stesso ne cita diversi. Che Daniele possedesse scritti di più profeti era quindi perfettamente possibile. Obiezione 15 - La profezia delle 70 settimane trova la sua realizzazione al tempo di Antioco. RISPOSTA. Per tale obiezione rimandiamo il lettore al nostro Capitolo II e all’Appendice n. 5. Ci permettiamo però di segnalare solo la seguente riflessione. Scrive il prof. H.W. Shea: «Antioco Epifane non ha mai fatto a Gerusalemme ciò che è descritto nella profezia di Daniele. Il capo veniente doveva “distruggere” (yashît, versetto 26a); la città conoscerà una “fine” (qes, versetto 26b); le sue “devastazioni” (somemot, versetto 26c) saranno decretate da un “devastatore” (mesomem). Non si può immaginare una forma più vigorosa per profetizzare la distruzione di Gerusalemme che la triplice descrizione della sua sorte data da questi versetti. Ora, Antioco non ha distrutto né la città santa, né il tempio; ha semplicemente profanato quest’ultimo. Questo atto non risponde al quadro tracciato dalla profezia». Obiezione 16 - Non è possibile che dei re pagani come Nebucadnetsar e Dario possano aver adorato l'Eterno (Daniele 2:47; 3:28; 4:37; 6:25). RISPOSTA, Sebbene questi re abbiano avuto nei confronti dell'Eterno espressioni di lode e di ammirazione, non possiamo dire che si siano convertiti al Dio d’Israele, ma possiamo affermare che hanno visto in questo Dio la manifestazione di una grande potenza. Il fatto che questi sovrani abbiano adorato l’Eterno significa semplicemente che al culto delle altre divinità hanno aggiunto quella del Dio d'Israele. Quando Ciro autorizzò gli Ebrei a ritornare a Gerusalemme per ricostruirvi il tempio distrutto, fece un editto simile a quello che promulgò per altri popoli deportati, autorizzandoli a ritornare nelle loro terre per ricostruire i loro culti nei paesi di origine, con l’invito di offrire dei sacrifici in suo favore. Obiezione 17 - Le varie dottrine menzionate in Daniele: resurrezione (Daniele 12:2,13), angeli (8:16; 9:21; 12:5), giudizio del mondo (7:10), risentono di uno sviluppo teologico molto più recente nel tempo. RISPOSTA Le dottrine indicate vengono menzionate anche nei libri storici e profetici. Quando la profezia diventa storia
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Possiamo inoltre dire che tutto questo mantiene una uniformità di pensiero con gli altri libri dell’Antico Testamento. Alcune di queste dottrine, come la resurrezione, si potrebbe collocare male nel II secolo a.C., periodo in cui in Palestina domina il pensiero ellenistico dell’immortalità dell’anima, che, col tempo, influenzerà non solamente i Giudei ma anche la Chiesa cristiana. Per gli angeli vedere: Genesi 3:24; 19:1; 32:2; Isaia 6:2; 37:36; 63:9. Per la resurrezione e il giudizio vedere: Giobbe 19:25-27; Isaia 26:19-21. Scrive DUHM a proposito di queste dottrine: «In realtà Isaia (VIII secolo a.C.) avrebbe potuto pure scrivere il libro di Daniele» (cit. J. Heinz, o.c., p. 21; siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi) se non si spezzetta il libro di questo profeta attribuendolo a diversi autori di epoche diverse. Obiezione 18 - Il libro di Daniele, scritto nel II secolo a.C., avrebbe lo scopo di incoraggiare i fedeli per le tribolazioni della persecuzione seleucida. RISPOSTA. Il libro poco si presta a tale scopo. Nebucadnetsar non è stato un persecutore fanatico dei Giudei come lo fu Antioco, e Daniele non è un partigiano da comparare a Giuda Maccabeo. Per contro, si potrebbe accusare Daniele di collaborazionismo o di essere un rassegnato politico al servizio di Babilonia. Un autore anonimo della rivolta maccabea non poteva scegliere un personaggio meno appropriato. Daniele è stato lodato dai re oppressori per la sua dedizione e dai suoi connazionali (Ezechiele 14:13-16) per la sua fede e non per la resistenza al nemico. Inoltre, il silenzio dell’autore di 1 e 2 Maccabei nei confronti di Daniele, non del suo libro, dimostra che egli non ha riconosciuto la sua parola consolatrice per il suo tempo e le sue profezie non sono prese per sostenere la resistenza dei patrioti giudei. «Immaginarsi che un libro che avesse visto il giorno nelle condizioni così sfavorevoli possa essere ammesso nel canone senza nessun’altra lettera di credito, sarebbe prendersi gioco della credulità d’una generazione così preoccupata delle sue tradizioni. Coloro che hanno scartato dal canone il libro di Enoc, avrebbero avuto lo stesso scrupolo davanti a quello di Daniele e l’avrebbero rigettato come apocrifo, a rneno che una solida e antica tradizione non possa garantire la sua autenticità. Si potrebbe aggiungere che il libro di Daniele doveva essere rifiutato per ben più gravi motivi, poiché contiene certe profezie che, secondo la critica, non si sono neppure compiute» (SCHWANTES Sigfried, La date du livre de Daniel in AA.VV., Daniel, Questions..., pp. 58,59). Se la preghiera di Daniele 9 fosse stata pronunciata nel periodo maccabaico, al tempo di Antioco IV, certamente si sarebbe dovuta trovare l’indignazione degli ebrei contro la persecuzione subita. Per contro, si riscontra nelle parole del profeta una docile sottomissione ed egli riconosce che la sofferenza è giusta quale debita conseguenza dell’infedeltà del popolo alla parola di Dio. Non è possibile neppure situare nello stesso tempo la preghiera di Daniele con quella di BARNCH, dell’Ecclesiastico, di Giuditta e la parte non canonica aggiunta allo stesso libro di Daniele che fanno parte della letteratura apocrifa dell’ultimo secolo prima di Cristo. Tra Daniele e gli altri scritti c’è un grande abisso incolmabile. Il modo di parlare di Daniele non è né verboso, né prolisso né sciovinista. Lo stesso Giuseppe Flavio ricorda che la distruzione del tempio e di Gerusalemme era nella visione del suo popolo ad opera di Roma. La demolizione dell’altare profanato da Antioco Epifane e l’aver «ammassatene le pietre sul monte del Tempio, in luogo conveniente, finché non fosse venuto un profeta a decidere il da farsi» (1 Maccabei 4:46) prova due cose: lo pseudo Daniele non è considerato come un profeta e le profezie di Daniele relative al Tempio (8:13; 9:26; 11:31) non sono state viste 996
Quando la profezia diventa storia
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come realizzatesi in quell’epoca di distretta. «Il libro di Daniele non può essere redatto all’epoca maccabaica e aggiunto al canone verso l’anno 100 d.C., perché l’epoca maccabaica presuppone già il contenuto del libro (1 Maccabei 2:59-61; Giuseppe, Antichità, XI,8,4,5) e nessuna rivelazione profetica si manifesta in quell’epoca (I Maccabei 9:27). Daniele è posto nel canone ebraico fra gli “Scritti” e non fra i “Profeti”. Ciò si spiega per il fatto che Daniele aveva le funzioni, ma non la posizione di un profeta. Non aveva come predicatore la funzione di richiamare il popolo al pentimento, come Geremia ed Ezechiele, ma come funzionario del re separato dal popolo» (J. Heinz, p. 19). Obiezione 19 - Il nome del libro di Daniele è omesso nell’Ecclesiastico 44:1-50:12. RISPOSTA. All’epoca in cui il Siracide scrive il suo libro, la mancata menzione di Daniele non ha nulla di sconvolgente e non prova che il libro omonimo non facesse parte del canone dell’Antico Testamento, quando si ricorda che il nome di Esdra, una figura così importante nella tradizione post-esilica, non è menzionato. Si dovrebbe concludere che neppure Esdra fosse una figura storica abbastanza ben conosciuta? L’Ecclesiastico non menziona d’altronde nessuno dei giudici, tranne Samuele; passa sotto silenzio dei nomi così distinti come Asa e Giosafat. La lista dei nomi famosi menzionati dal Siracide è lungi dall’essere esaustiva pure per l’autore, e ciò è evidente, poiché egli cerca di apportarvi qualche correzione alla fine, aggiungendo in un modo disordinato i nomi di Giuseppe, Sem, Seth e Adamo secondo l’ordine inverso. Nel testamento di Mattatia (1 Maccabei 2:51-60) c’è un elogio per i padri che menziona nei nomi di Abrahamo, Giuseppe, Finea, Giosué, Caleb, Davide, Elia, Anania, Azaria, Misael e Daniele. L’omissione del nome di Daniele nella lista del Siracide non è più stupefacente dell’omissione del nome di Mosè in questa. La sola conclusione accettabile nei due casi è che né la prima, né la seconda di queste liste si pretendono esaustive. Per contro, la menzione di Daniele e dei suoi tre compagni nel testamento di Mattatia dimostra che Daniele era visto come un personaggio storico, e che il suo prestigio datava da una passato lontano. Nessun dubbio è possibile: i nomi di Daniele e dei suoi compagni non sarebbero menzionati da un sacerdote della qualità di Mattatia, se la loro esistenza si appoggiasse su leggende recenti. Obiezione 20 - La lingua aramaica di Daniele è del Il secolo. Una citazione come esempio. S.R. Driver sembra che abbia aperto il dibattito nel 1897, con queste parole: «Il verdetto del linguaggio di Daniele è chiaro l’ebraico tollera e l’aramaico autorizza una data posteriore alla conquista della Palestina ad opera di Alessandro il Grande (332 a.C.)» (DRIVER Samuel-Rolles, An Introduction ..., 9a ed., Edimburg 1913, p. 476; The Aramaic of Daniel, in JBL - Journal of the Biblical Literature, n. 45, 1926, pp. 110119,323-325; vedere W. BAUGARTNER, Das Aramaische im Buche Danici, in ZAW, n. 45, 1927, pp. 81-133; J.A. MONTGOMERY, The Book of Daniel, in ICC, Edimburg 1927, pp. 15-20; R.H. CHARLES, A Critical and Exegetical Commentary on the Book of Daniel, Oxford 1929, pp. LXXVI-CVII). Pensiero naturalmente condiviso da altri (vedere obiezione n. 2). RISPOSTA. L’aramaico era la lingua degli antichi aramei che per la prima volta vennero menzionati nei testi cuneiformi del XII secolo a.C. La lingua di questa popolazione con il tempo sostituì le lingue dei popoli del Vicino e Medio Oriente diventando così, dall’VIII secolo, la lingua internazionale. L’Encyclopedia Judaica di Gerusalemme, del 971, vol. III, p. 260, voce aramaic di E.Y. Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 2
KUTSCHER, fa autorità in materia di lessicografia e la sua classificazione è universalmente accettata. Così si presenta l’evoluzione di questa lingua nel tempo: - “aramaico ufficiale” tra il 700 e il 300 a.C., più specificatamente possiamo dire aramaico primitivo tra il VI e il V secolo a.C.; - “aramaico medio” utilizzato dal 300 a.C. fino al primo secolo dell’era cristiana; - “aramaico recente” utilizzato dopo queste periodo. Degli studiosi di rinomanza come Robert Dick WILSON (Studies in the Book of Daniel, New York 1917, pp. XVII-402; ed. 1938, p. 286; ristampato Grand Rapids, 1972, p. XVII-402, 286. Is the Higher Criticism scholarly, Philadelphia 1950, p. 61, traduzione di Ida BRUNEL, La Haute Critique est-elle scientifique?, Bruxelles, s.d., p. 56), BOUTFLOWER Ch. - W. St. CLAIR TISDALL (In and around the Book o f Daniel, pp. 226,267) apportano degli argomenti a sostegno della composizione del libro di Daniele in data tardiva mettendo in discussione le erronee illazioni dell’alta critica come presentate da H.R. ROWLEY in The Aramaic of the Old Testament, Oxford 1929. Così riassume G.H. Hasel: «Nel 1965 l’orientalista britannico K.A. KITCHEN studiò il vocabolario, l’ortografia, la fonetica, la morfologia generale e la sintassi dell’aramaico di Daniele. Pervenne a questa conclusione: “L aramaico di Daniele (e di Esdra) si collega semplicemente all’aramaico imperiale (ufficiale), lingua difficile da datare con precisione tra il 600 e il 300 a.C.” (The Aramaic of Daniele, in Notes on Some Problems in the Book of Daniel, pp. 31-79 part. p. 75). Così, per quanto concerne l’aramaico, nessun argomento fondato, valido, obbliga a datare il libro di Daniele all’epoca dei Maccabei. Per la lingua, una data del VI e del V secolo è interamente plausibile. H.H. ROWLEY contestò le conclusioni di Kitchen. Le sue critiche furono esaminate da E.Y. KUTSCHER, specialista dell’aramaico e furono completamente refutate (vedere Aramaic, in Curreent Trends in Linguistics 6, ed. T.A. Seboek, La Haye 1970, pp. 400-403). Le conclusioni di Kitchen sono accettate da altri studiosi ben conosciuti (vedere M. SOKOLOFF, The Targum of Job from Qumran Cave XI, Ramat Gan, 1974, p. 9, n. 1; G.J. WENHAM, Daniel the Basic Issues, in Themelios 2, 1977, p. 50; A.R. MILLARI), o.c., pp. 67, 68). La scoperta a Qumran di documenti aramaici importanti apporta una forza nuova alla corrente che fa risalire nel tempo la data di composizione del libro di Daniele. Nel 1956 fu pubblicata La Genesi apocrifa aramaica (I Qap Gen). Paleograficamente parlando, essa appartiene al I secolo a.C. P. WINTER fece osservare che l’aramaico di Daniele e di Esdra era quello ufficiale imperiale, mentre quello della Genesi apocrifa era di un’epoca posteriore (vedere Das aramaische Genesis-Apokryphon, in Theologische Literaturzeitung 4, 1957, pp. 258-262). Questa conclusione fu confermata da E. Y. Kutscher, (o.c., pp. 1-35) e più particolarmente dall’americano CLEASON L. ARCHER, Jr., (The Aramaic of the Genesis Apocryphon - Compared with the Aramaic of Daniel, in Perspectives on the Old Testament, ed. J. B. Payne 1970, pp. 160-169). In seguito ad uno studio attento dell’aramaico di Daniele e di quello della Genesi apocrifa, conclude: “L’aramaico di Daniele proviene da un periodo di molto anteriore al II secolo a.C.” (Idem, p. 169). Più recentemente ha scritto che l’accumulo delle prove linguistiche ci spingono a riconoscere “che l’aramaico dell’apocrifo (Genesi) è posteriore di diversi secoli a quello di Daniele e di Esdra. Altrimenti bisognerebbe rinunciare a parlare di prove di ordine linguistico” (Aramaic Language, in Zondervoan Pictorial Encyclopedia of the Bible, t. I, ed. M. C. Tenney, Grand Rapids, 1975, p. 255). Questa conclusione ha una portata enorme in ciò che concerne la data maccabea presupposta per il libro di Daniele. In questo modo, considerando i documenti aramaici che figurano tra i manoscritti del Mar Morto, gli studiosi partigiani della critica liberale provano dunque delle 998
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difficoltà sempre crescenti a mantenere la data del II secolo avanti Cristo per il libro di Daniele. L’ultimo colpo portato all’ipotesi di H. H. Rowley fu la pubblicazione recente del Targum di Giobbe (Il Qg Job), trovato nella grotta 11 di Qumran (ed. J.P.M. van der PLOEG and A.S. van der WOUDE, Le Targum de Job de la grotte XI, de Qumran, Leiden 1971). Questo documento aramaico colma una breccia di diversi secoli tra la lingua degli scritti di Daniele e di Esdra e l’aramaico più recente. Alcuni specialisti provenienti da diverse correnti di pensiero accettano il fatto che l’aramaico del Targum di Giobbe sia più recente di quello del libro di Daniele e più antico di quello della Genesi Apocrifa (vedere nota 105 degli editori, pp. 3-5, e T. MUROKA, The Aramaic of the Old Targum of Job from Qumran Cave XI in Journal of Jawish Studies 25, 1974, p. 442; Stephen A. KAUFMAN, The Job Targum from Qumran, in Jaos 93, 1973, p. 327; JONGELING et altri, Aramaic Texts from Qumran, p. 5). Gli autori datano il Targum di Giobbe nella seconda metà del II secolo a.C. (vedere Van der PLOEG et Van der WOUDE, Le Targum de Job, p. 4); questa datazione è importante. L’effetto di questo colpo portato è così grande che si è cercato di ritardare tutto lo sviluppo dell’aramaico postbiblico. S.A. KAUFMAN, dell’Università di Chicago, ha concluso che “la lingua del IIQ tg Job (Targum di Giobbe) differisce molto sensibilmente dall’aramaico di Daniele” (o.c., p. 327). Così bisogna lasciare un certo lasso di tempo tra la redazione del libro di Daniele e quello del Targum di Giobbe. Poiché Kaufman afferma che il libro di Daniele “non può aver avuto la sua forma definitiva prima di questo (secondo) secolo” (idem), è obbligato a portare il Targum di Giobbe al I secolo a.C. e la Genesi Apocrifa al I secolo della nostra era (idem, p. 137). Queste nuove date sono nate dal desiderio di fissare Daniele al II secolo a.C. Tuttavia K. A. Kitchen ha fatto giustamente notare che l’analisi e la datazione dell’aramaico di Daniel è viziato da alcune idee preconcette (vedere Kitchen, o.c., p. 32). Così, si comprende male che la problematica data del II secolo per il libro di Daniele sia un’ancora talmente solida che faccia rivedere tutta la datazione dell’aramaico postesilico. - Ciò che merita ora la nostra attenzione è la datazione del Targum di Giobbe sulla base di una prova linguistica che faccia astrazione della data di redazione del libro di Daniele. Recentemente diversi esperti, comparando minuziosamente l’aramaico di Daniele, della Genesi Apocrifa e dei diversi Targum, hanno precisato che il Targum di Giobbe data veramente della seconda metà del II secolo avanti Cristo (vedere JONGELING, Labuschagne, et van der Woud - Aramaic Textefrom Qumran, p. 6; M. SOKOLOF, The Targum to Job from Qumran Cave XI, Bar Ilan 1974, p. 25). Uno studioso, che lascia in sospeso l’aramaico biblico, sostiene pure che il Targum di Giobbe può risalire fino alla “seconda metà del II secolo a.C., o prima metà del II secolo a. C.” (Moroka, o.c., p. 442). Se un tempo relativamente importante deve essere trascorso tra il libro di Daniele e il Targum in questione (poiché tutti lo riconoscono come posteriore), bisogna allora attribuire a Daniele una data più antica di quella che è stata ammessa fino a questo momento dalla critica liberale. Così il problema della lingua del libro in rapporto con l’epoca di Daniele non è più insolubile.- Questo dibattito concernente l’aramaico del libro di Daniele si svolge in una direzione totalmente nuova e convincente. Tutti questi documenti archeologici, inclusi quelli di Qumran con i manoscritti del Mar Morto, rendono problematica l’ipotesi di una redazione del libro nel II secolo avanti Cristo. L’altra data (VI secolo) possiede oggi, dal punto di vista linguistico, molte più carte in suo favore di quanto non ne aveva mai avuto in precedenza. Grazie ai dati storici relativi all’antichità che ci sono pervenuti recentemente, è sempre più evidente che l’informazione fornita dal libro di Daniele è interamente conforme alla storia. Gli studiosi si stupiscono spesso della sua precisione che non può minimamente conciliarsi con una data tardiva di composizione. Poi ci fu la scoperta sensazionale dei papiri di Elefantina, Quando la profezia diventa storia
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nell’alto Egitto, scritti in aramaico e datati del V secolo a.C. Essa portò F. ROSENTHAL a seguire le tracce di H.H. SCHAEDER nella sua sintesi (Iranische Beitrage, voI. I, Halle Saale, 1930, pp. 199-296) e di J. LINDER nel suo importante saggio, Das Aramdische in Buche Daniel, in Izeitschrifl für katholische Theologie, n. 59, 1935, pp. 503-545 (questo autore sostiene che non si può più ritenere gli scritti di Daniele del III o II secolo a.C.), a concludere nel 1939 che “la vecchia evidenza linguistica (a proposito di una data tradiva per la redazione del libro di Daniele) deve essere messa da parte” (Die Aramaische Forschung, 1939; nuova edizione Leiden 1964, pp. 60-71). Ciò ha richiesto quaranta anni di ricerca» (G.F. HASEL, Quelques éléments d’ordre historique dans le livre de Daniel, in AA.VV., Daniel - Questions... pp. 3739,37). Anche G.L. ARCHER Jr. ha comparato l’ebraico del libro di Daniele con i documenti di Qumran. E arrivato alla conclusione che, alla luce dei dati considerati, «sembra abbondantemente chiaro che una data del II secolo a.C. per i capitoli del libro scritti in ebraico non è più sostenibile sulla base del linguaggio» (The Hebrew of Daniel compared with the Qumran Sectarian Documents, in The Law and the Prophets Old Testament, in Honor of Oswald-Thompson ALLIS, Nutley, New Jersy 1974, p. 480. Vedere anche Roland-Kenneth HARRISON, The Dead Sea Scrolls, London 1961, p. 64). L’affermazione riportata sopra del prof. Driver sarebbe stata opportuna se fosse stata meno assoluta come qualche anno dopo l’illustre professore fu costretto a riconoscere. «In una lettera a The Guardian del 6 novembre 1907, il prof Driver ammetteva che l’aramaico parlato in Egitto nel 408 a.C. offre delle grandi rassomiglianze con quello che si trova nell’Antico Testamento: in Esdra, Daniele e Geremia» (C. Boutflower, Idem, p. 226). Obiezione 21 - Lo scritto di Daniele è del genere haggadico HARTMAN F. Louis scrive: «Questo libro prende il nome non dal suo autore, ma dal suo protagonista, che qui è presentato come vissuto in Babilonia durante il regno degli ultimi re dell’impero neo-babilonese e dei loro primi successori, i re dei Medi e dei Persiani. Il genere (letterario) haggadico, usato nei capitoli 1-6 e 13,14 (questi ultimi capitoli non si trovano nelle Bibbie protestanti), prende il suo nome dalla parola usata nella mishnah ebraica haggadah, letteralmente “esposizione”, “narrazione”, ma spesso usata nel senso di una “storia” avente poca o nessuna base nella storia reale, ma narrata per inculcare una lezione morale. Quella storia può essere... una libera composizione priva di ogni fondamento storico. Spesso è impossibile dire fino a che punto, ammesso che lo sia, una storia haggadica si basi sulla storia reale. Le storie di Daniele sono chiaramente haggadiche; non possono essere assolutamente prese come storia vera e propria. E il loro autore, visto che non le intende come storiche, non può essere accusato di errore, se fa affermazioni inesatte da un punto di vista storico. Ci è impossibile sapere se il Daniele di queste storie fosse realmente un personaggio storico, intorno al quale venne a poco a poco agglomerandosi la leggenda popolare, o semplicemente una creazione del folklore ebraico». A sostegno di questo pensiero, L. Hatman, dell’Università cattolica di Washington D.C., continua: «Un caso analogo è quello di Ahiqar della leggenda aramaica di Ahiqar, il quale come saggio consigliere dei re assiri (vedere: a cura di PRITCHARD J.B., Ancient Near Eastern Texts, Princeton 1955, pp. 427-430), non è troppo diverso da Daniele. Per l’ispirato autore del nostro libro questo problema era del tutto irrilevante» (Daniele, in Grande Commentario biblico Queriniana, ed. Queriniana, Brescia 1973, p. 574). RISPOSTA. Non si può non ammirare come si giustificano i propri errori attribuendoli al testo di Daniele nel tentativo di adattare uno scritto della Parola di Dio ad una interpretazione 1000
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che non ha riscontri con il testo stesso e annullare anche venticinque secoli di tradizione ebraica e venti di cristianesimo, che hanno creduto, con motivazioni, che Daniele fosse un personaggio storico, realmente esistito e autore del suo scritto. Lasciamo ad ogni autore la responsabilità delle proprie idee.
Conclusione Ci sarebbero ancora altre critiche del testo che non consideriamo per la loro capziosità. In conclusione possiamo dire, con F. Lenormant nel 1874, che: «Più si avanza nella conoscenza dei testi cuneiformi, più si riscontra la necessità di rivedere la condanna pronunciata da molti, troppo prematura, della scuola esegetica tedesca contro il libro di Daniele» (LENORMANT François, La magie chez les chaldéens, Paris 1874, p. 14). Dopo un secolo possiamo pensare di essere nel tempo dell’evidenza. Scrive C.J. Hurst: «Benché l’opinione critica generale si opponga a porre la redazione del libro al sesto secolo, si percepisce una tendenza crescente ad ammettere una data più antica» (HURST C.J., Wycliffe Bible Encyclopedie, I, Chicago 1976, p. 422). P. de Benoit confessa: «Se sono ritornato ad un atteggiamento molto conservatore ciò è il risultato dei miei propri studi che mi hanno mostrato su quali basi fragili si posano spesso i sedicenti risultati della critica» (BENOIT Pierre de, Les prophètes de l‘Ancien Testament, 1942, p. V). Come abbiamo già detto sopra, se l’autore del libro di Daniele non è colui che pretende di essere, noi siamo di fronte ad un falso. Un falso che non soltanto contrabbanda uno scritto, che non è neppure attendibile sul piano storico per le sue incongruenze che gli stessi critici gli attribuivano, ma un falso che fa passare per Parola di Dio fantasticherie umane. Se, secondo la teologia liberale, tutta la Bibbia risente di questa prassi, è assurdo continuare a parlare di teologia biblica, di studio della Parola di Dio, perché il Dio (Theos) della creazione è assente sia dalla Bibbia sia dai discorsi che vengono fatti sulla Bibbia. Quale profeta dell’Eterno per dare credito alla sua parola si è presentato nelle vesti di un personaggio conosciuto? La veridicità della rivelazione di Dio non è data da chi la propone, ma dal fatto che essa è Parola del Signore. Come già abbiamo avuto modo di scrivere, i profeti non hanno fatto dei corsi di formazione per esercitare professionalmente il loro mestiere. Sono profeti perché l’Eterno si è rivolto a loro e sentono il peso della rivelazione da comunicare. Non si occupano della loro credibilità. La loro preoccupazione è quella di essere fedeli al mandato ricevuto. Questa posizione teologica moderna fa della tradizione ebraica un risultato di un’opera priva di serietà e fa dei dottori d’Israele delle persone sprovvedute che non hanno vegliato sulla attendibilità dei loro valori. Come è possibile la creazione di un simile personaggio canonico quando «non potevano essere accettati nel canone che i libri di cui l’autore era un profeta riconosciuto e il cui nome era certo»? (J. Doukhan, o.c., p. 276; vedere Baba Bathra 146 b; HARRISON R.K., Infroduction to the Old Testament, Grand Rapids, Michigan, 1975, p. 268; ARCHER G., Introduction à l‘Ancien Testament, Saint Lègier, 1978, p. 79). Per coloro che, come Lucien Gautier, non credono all’autenticità di Daniele, c’è una domanda che attende una risposta. Questa domanda è stata formulata dallo stesso L. Gautier: «La finzione alla quale è ricorso il nostro autore non lo porta ad essere discreditato? Non ha imbrogliato i suoi contemporanei presentando a loro fatti di già passati come se fossero stati predetti da molto tempo da un saggio appartenente ad una generazione di già lontana? Bisogna Quando la profezia diventa storia
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riconoscerlo: la domanda è imbarazzante» (o.c., t. II, p. 305). Un’altra domanda s’impone: «Come mai allora Cristo lo cita con parole di apprezzamento?». Una obiezione che possiamo formulare noi: Quando questi esegeti riusciranno finalmente a dare una spiegazione razionale che li trovi concordi nello spiegare il testo senza confutarsi a vicenda? In un tempo di disorientamento come il nostro, preferiamo schierarci dalla parte di Gesù Cristo e degli Apostoli i quali “ingenuamente” hanno creduto che Daniele fosse veramente un profeta (Matteo 24:15; vedere 2 Tessalonicesi 2; Apocalisse 13 pp.). Comprendere il suo scritto nella prospettiva storico profetica veramente ci aiuta a capire la storia, la realtà attuale e a intravedere il futuro.
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Appendice n. 3 PERCHÉ LA PIETRA DI DANIELE 2 NON RAPPRESENTA LA PRIMA VENUTA DI GESÙ CRISTO «A partire dall’anno 30 della nostra era, tutti gli esegeti ebrei e la maggior parte dei cristiani hanno preso l’Impero Romano come essendo il IV regno di Daniele» (CHARLES Robert-Henry, Commentary on Revelation, vol. I, Edinburg 1920, p. 346). Cirillo di Gerusalemme († 387) scriveva: «Tutti gli esegeti ecclesiastici concordano nel vedere nell’Impero Romano questo quarto impero» (Catechesi, XIII). Gli esegeti ebrei e i primi cristiani consideravano la pietra che doveva polverizzare la statua come un elemento della profezia non ancora compiuto: il regno futuro e glorioso del Messia. Giovanni Crisostomo (345-407) e Agostino (345-430) introdussero nella Chiesa un insegnamento inedito: per i primi applicarono il simbolo della pietra alla prima venuta di Gesù e al suo regno spirituale: la Chiesa. Questo errore fu funesto per la Chiesa e ha falsato il concetto del Regno di Dio. Il Regno di Cristo - e a tale proposito l’insegnamento biblico è formale - non si realizzerà che dopo l’ultima fase della quarta monarchia, al tempo del suo ritorno glorioso. Agostino così insegnava: «Dove abbiamo riconosciuto Cristo in ciò che è scritto che una pietra dal monte senza opera di mani aveva vinto tutti i regni della terra... lì abbiamo riconosciuto anche la Chiesa in ciò che è detto: la pietra è cresciuta ed è diventata un gran monte e ha riempito tutta la terra (Daniele 2:34,35). Dove abbiamo riconosciuto Cristo quando è scritto: il Signore prevarrà contro loro e sterminerà tutti gli dèi delle genti della terra, lì abbiamo riconosciuto anche la Chiesa» (MIGNE, Patristica Latina (PL), t. XXXII, 2, col. 402). «Daniele vide una pietra staccarsi dal monte senza opera di mani, e colpire tutti i regni della terra divenendo un gran monte che riempie tutta la terra (Daniele 2:34,25). Cosa c’è di più chiaro fratelli miei? La pietra che si stacca dal monte è la pietra che gli edificatori avevano rigettato ed è diventata la pietra angolare (Salmo 117:22). Da quale monte si stacca, se non dal regno dei Giudei dal quale il nostro Signore Gesù Cristo, secondo il vaticinio, è nato? E si stacca, senza opera umana, poiché senza amplesso materiale è nato dalla vergine. Il monte da cui si è staccato non si era esteso su tutta la faccia della terra: infatti il regno dei Giudei non comprendeva tutte le genti. Ma in verità pensiamo che il regno di Cristo occupa tutta la terra» (MIGNE, P.L., t. XXXV, col. 1465). «Il suo santo monte, la sua santa Chiesa. Il monte è quello che crebbe da una piccola pietra, secondo la visione di Daniele, disperdendo i regni della terra e crescendo tanto da riempire l’universo (Daniele 2:35)» (MIGNE, P.L., XXXVI, col. 74, vedere XXXIII, 2, col. 402). AGAISSE P. (Commentaire première épître de S. Jean, Paris 1961, pp. 145,143,147) così traduce un brano di Agostino: «Questa pietra, distaccata dalla montagna senza che nessuno vi metta mano, non è il Cristo uscito dalla razza giudaica, senza che nessun uomo intervenga nella sua concezione? Questa pietra non ha frantumato i regni della terra? Cioè tutte le dominazioni degli idoli e dei demoni? Questa pietra non si è ingrandita, non è diventata una grande montagna e non ha essa riempito tutta la terra? Ecco tu trovi la Chiesa nel mondo intero... Stabilisciti su questa montagna che ha riempito l’universo... La terra è stata riempita da una moltitudine di credenti. Ecco la montagna che riempie tutta la faccia della terra». Teodoreto, vescovo di Cirene († 420) non si lasciò influenzare né dal pensiero di Agostino, né da quello di Crisostomo che si espresse nello stesso modo. Così spiegava il brano della statua: «Daniele 2:36,37. Dunque il capo aureo non è solo Nabucco, ma ogni
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regno degli assiri o babilonesi. Versetto 39. Naturalmente il Persiano, che chiama minore non in quanto più debole, ma in quanto secondo... Per il terzo s’intende il Macedone. Alessandro, figlio di Filippo, dominò tutta la terra, in dodici anni del suo regno raccolse tutti gli uomini sotto la sua giurisdizione. Nel versetto 40 si parla del regno romano che fu fortissimo e superò tutte le nazioni... I1 versetto 42 neppure manchi alla nostra interpretazione. Infatti lo stesso profeta interpretando disse: “Una certa parte del regno sarà forte...”. Versetto 44. Coloro che sostengono che con queste parole si debba intendere il primo avvento del Signore, mostrino che l’Impero Romano perì appena apparve il nostro Salvatore. Infatti è chiaro che quello fosse forte e non venne a mancare con la nascita del Salvatore, giacché mentre regnava Augusto venne alla luce il Signore e quell’imperatore sottomise ugualmente tutti gli uomini alla sua giurisdizione e su tutta la faccia della terra venne proclamato il censimento (Luca 2:1), fissò e ordinò il tributo. Dunque si tratta del regno romano che fu forte e imperava quando lui (il Salvatore) viveva. Se dunque con la prima venuta il Signore non abbatté per nulla l’Impero Romano, bisogna intendere la sua vittoria con il suo secondo avvento. Infatti la pietra che viene senza opera di mano e che diventa un grande monte da coprire la faccia della terra, si riferisce al secondo avvento quando percuoterà la statua eretta su piedi d’argilla, cioè, alla fine del regno di ferro che in quel tempo sarà diventato debole, e allora demolendo tutti quei regni li porterà all’oblio, e accomunerà al suo regno eterno coloro che ne sono degni. Versetto 45 s.p.» (MIGNE, P.G., LXXXI, col. 1303-1310, altri brani 1301-1303). L’identificazione che fa Agostino della “pietra” con la “Chiesa” la si ritrova anche in Calvino. T.F. Torrence così riassume il suo pensiero: «Calvino non pensava che Cristo fosse solamente l’autore e il consumatore della nostra fede, ma pensava che fosse lui stesso la sostanza totale o la materia stessa della rigenerazione o del rinnovamento, di modo che, tramite una unione reale con Cristo, la Chiesa partecipa realmente e continuamente alla nuova umanità della resurrezione. Calvino considerava la Chiesa come una struttura perfetta, completa di colpo. Essa è il corpo di Cristo, l’elezione comunitaria realizzata in Cristo, e anche la nuova umanità, la società gloriosa, lanciata nella storia, crescendo e amplificandosi fino alla venuta di Cristo. In questo senso, egli pensava che la Chiesa è essa stessa il regno di Cristo, la pietra della visione di Daniele che colpisce l’immagine dei regni di questo mondo e li annienta, fino a che il regno di Cristo solo sia esteso fino alle estremità della terra» (TORRENCE T.F., Les Réformateurs et la fin des temps, in Cahiers théologiques, n. 35, Neuchâtel, Paris, pp. 35,36). Identificare la Chiesa con il Regno visibile di Cristo e vedere nella Chiesa la realizzazione delle parole di Gesù: «Venga il tuo regno» è inammissibile, anche se non pochi sono i credenti che accettano questa idea (Vedere per esempio WILSON L.R., La Chiesa del Nuovo Testamento, Ferrara 1967, pp. 25,27,28,29). La spiegazione che identifica la pietra con la Chiesa è insostenibile perché il testo precisa che la pietra colpirà la statua al tempo dei re rappresentati dalle dita, cioè dopo la divisione dell’Impero Romano. Prima di dimostrare che la pietra non è la prima venuta di Gesù e la sua Chiesa, espressa nei termini presentati sopra, vogliamo precisare il pensiero biblico sul significato di “Regno”. Una buona spiegazione l’abbiamo trovata in Ellen WHITE (Il gran conflitto, Firenze 1977, p. 255), «Nella Bibbia l’espressione “Regno di Dio” indica tanto il regno della grazia, quanto il regno della gloria... Il regno della grazia fu istituito subito dopo la caduta dell’uomo quando venne elaborato il piano della redenzione per l’umanità colpevole. Esso esisteva già come proposito e promessa di Dio. Questo regno, del quale si diventa sudditi per fede, fu però stabilito ufficialmente solo dopo la morte di Cristo. Infatti, anche dopo essere venuto nel mondo per la sua missione terrena, il Salvatore, stanco della caparbietà e dell’ingratitudine degli uomini, avrebbe potuto 1004
Quando la profezia diventa storia
PERCHÈ LA PIETRA DI DANIELE 2 NON RAPPRESENTA LA PRIMA VENUTA DI GESÙ
benissimo rinunciare al sacrificio del Calvario... Il regno della grazia è messo in risalto dall’apostolo Paolo nella sua lettera agli Ebrei. Dopo aver indicato Cristo come intercessore compassionevole, che simpatizza con le nostre umane infermità, l’apostolo aggiunge: “Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per essere soccorsi al momento opportuno” (Ebrei 4:14,16.). I1 trono della grazia rappresenta il regno della grazia, poiché l’esistenza di un trono presuppone necessariamente quella di un regno. In molte delle sue parabole, Gesù usò l’espressione “regno dei cieli” per designare l’opera della grazia divina nei cuori degli uomini. Allo stesso modo il trono della gloria rappresenta il regno della gloria, regno cui alludeva il Signore dicendo: “Or quando il Figlio dell’uomo sarà venuto nella sua gloria, avendo seco tutti gli angeli, allora sederà sul trono della sua gloria. E tutte le genti saranno radunate davanti a lui” (Matteo 25:31,32). Questo regno è ancora nel futuro, e sarà stabilito al secondo avvento di Cristo Gesù». Il governo di Dio si realizza in due tempi e comprende due fasi. Una fase iniziale, nel momento in cui il cuore dell’uomo si apre all’azione dello Spirito Santo e si accosta al trono della grazia, e una fase escatologica che si dovrà ancora manifestare. Il fatto che la Chiesa manifesti sulla terra il regno dei cieli sotto l’aspetto della grazia e non nella manifestazione della sua gloria, lo esprime Giovanni nella sua lettera quando scrive: «Diletti, ora siamo figli di Dio, e non è ancora reso manifesto quel che saremo. Sappiamo che quando egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo come è» (1 Giovanni 3:2. Vedere Filippesi 3:20,21). In Apocalisse 12:1,2,5 l’apostolo dice: «Poi apparve un gran segno nel cielo: una donna rivestita del sole e con la luna sotto i piedi, e sul capo una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava nelle doglie tormentose del parto. - E la donna partorì un figliolo maschio, che ha da reggere tutte le nazioni con la verga di ferro; e il figlio di lei fu rapito presso a Dio ed al suo trono. E la donna fuggì nel deserto, dove ha un luogo preparato da Dio, affinché vi sia nutrita per milleduecentosessanta giorni». K. Auberlen, commentando questo brano, constata: «La nascita del bambino maschio non ha portato nessun cambiamento essenziale nella condizione dei fedeli sulla terra. Si sarebbe voluto vedere la chiesa trasportata nelle alte sfere della gloria (ma contrariamente a questa aspettativa dei discepoli e dei primi cristiani, niente di tutto questo accadde). I1 Messia è glorioso ma la sua Chiesa dimora, dopo come prima, di fronte a tutto l’odio del principe di questo mondo e la Chiesa è in uno stato più triste che mai, è costretta a fuggire nel deserto» (AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1862, p. 242). Questo «regno che non passerà sotto la dominazione di nessuno» è in gestazione, è ancora futuro. La frantumazione della storia dell’umanità non è ancora avvenuta. Nel confutare questo pensiero che l’incarnazione, o qualche avvenimento messo in relazione con la chiesa nascente, o che la chiesa stessa sia la pietra che frantuma la statua, seguiamo il pensiero del gesuita Manuel Lacunza: «Le Scritture l’affermano, che non c’è una, ma due venute del Messia, ed è in questa seconda venuta che si compiranno le profezie che, in tutta evidenza, non sono ancora compiute alla perfezione». Tra queste profezie c’è quella della pietra della quale ci occupiamo in questo momento. Isaia impiega questa stessa figura: «Perciò così parla il Signore, l’Eterno: Ecco io ho posto come fondamento in Sion una pietra, una pietra provata, una pietra angolare preziosa, un fondamento solido; chi confiderà in essa non avrà fretta di fuggire» (Isaia 28:16). E al capitolo 8:14 il profeta predice che questa pietra sarà anche «una pietra d’intoppo e un sasso d’inciampo... un laccio e una rete per gli abitanti di Gerusalemme». Ma non è come forza distruttrice che venne la prima volta questa pietra. Gesù stesso dice: «Il Figlio dell’uomo non è venuto per distruggere, ma per salvare». Nella sua prima venuta Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 3
sulla terra questa pietra non ha causato danni a nessuno. Ben al contrario: «Dio non ha mandato il suo Figliolo nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui» (Giovanni 3:17). Parlando del Messia e della sua prima venuta Isaia dice: «Non spezzerà la canna rotta e non spegnerà il lucignolo fumante; insegnerà la giustizia secondo verità» (Isaia 42:3). Lontano dal fare male alcuno alla sua venuta, lontano dall’annientare i governi ingiusti che ha trovato, Gesù si è sottomesso a loro. Sono loro che al contrario l’anno rotto, che l’hanno fatto morire, poi si sono inaspriti contro i suoi discepoli e la sua Chiesa. Ma verrà un tempo - e verrà inevitabilmente - in cui la ribellione dell’uomo non potrà andare oltre e allora questa «pietra» verrà una seconda volta e colpirà con tutto il rigore immaginabile i piedi della statua, cioè i regni che esisteranno allora. M. Lacunza dopo aver citato Daniele 2:44 dice: «Noi facciamo appello alla logica e al semplice buon senso, e domandiamo: queste parole possono essere applicate alla Chiesa? Sarebbe veramente ozioso insistervi» (LACUNZA Manuel, Nouveau Commentaire des prophéties de Daniel, de l’Apocalypse et les nouveaux Cieux et la nouvelle Terre, 1793, pubblicato con lo pseudonimo di Ben-Ezra, ristampato a Parigi nel 1934 con note di A. Antomarchi, pp. 37 e seg.). K. Auberlen scrive: «Cosa sorprendente! Daniele, nella sua descrizione di quattro grandi imperi universali, non fa assolutamente menzione alla prima apparizione del Signore, alla sua venuta in carne. Non una parola sulla Chiesa e sull’influenza dell’evangelo sulla marcia degli eventi... Perché questo? Perché il Regno che Cristo è venuto a fondare non è di questo mondo (Giovanni 18:36) e Daniele si occupa solo dei regni della terra, in modo tale che il regno di Dio non cominci a esistere per lui se non quando, al ritorno del Signore, diventerà veramente una potenza visibile sulla terra... I1 mondo è sempre il mondo... e il regno di Dio sarà fino al giorno del Signore nascosto e sotto la croce... Come Daniele, gli apostoli sapevano (Galati 1:4; Efesi 2:2; 2 Corinzi 4:4; 2 Timoteo 1:10; Romani 12:2; 1 Corinzi 1:20; 2:6-8; 3:18) che la figura di questo mondo passa; ai loro occhi l’evangelo non è ancora chiamato a cristianizzare il mondo, ma solamente a strappargli delle anime, affinché non siano condannate con lui... Gli stati moderni sono lontani dall’essere retti dallo Spirito del Signore» (K. Auberlen, o.c., pp. 215, 216, 219, 220; vedere il nostro commento: Capitolo I - Visione Generale della Storia, pp. 33,34). Per la Chiesa non è ancora giunto il momento di regnare (1 Corinzi 4:8), ma presto assisteremo al compimento di quanto le corti celesti proclamano con potenza: «Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo, ed egli regnerà nei secoli dei secoli» (Apocalisse 11:15), e in attesa che il popolo di Dio regni «nei secoli dei secoli» (Apocalisse 22:5), preghiamo: «Padre nostro che sei nei cieli... venga il tuo regno... ».
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Appendice n. 4 GLI ABBAGLI DELL’ESEGESI RAZIONALE O COME VENGONO SPIEGATE LE 70 SETTIMANE DI DANIELE IX E L’INTERPRETAZIONE EVANGELICA CHE PONE NEL FUTURO LA REALIZZAZIONE DELLA SETTANTESIMA SETTIMANA In questa appendice vogliamo considerare due interpretazioni: - la spiegazione dell’alta critica, detta razionalista, che viene sostenuta sia dai protestante sia cattolico; - la spiegazione futurista della 70a settimana nella quale si manifesterà l’anticristo (che non è il potere da noi presentato). Questa interpretazione è sostenuta dagli evangelici fondamentalisti.
Interpretazione razionalista «L’antichità cristiana applicò ben presto al Cristo e al momento della sua venuta l’oracolo divino comunicato al profeta Daniele tramite l’angelo Gabriele. Ne fece un uso felice e costante nelle sue opere, sia di pura edificazione, sia di controversia giudaica e pagana... Gli scrittori del Medio Evo, cronografi, commentatori, apologisti soprattutto, impegnati nelle controversie giudaiche che di secolo in secolo diventavano più ardite, utilizzano questa profezia quale prova della missione divina del Cristo... Dal XVI secolo ai nostri giorni, l’apologetica spezza ancora qualche lancia in favore della messianicità dell’oracolo delle settimane contro i giudei talmudisti» (Dictionnaire de Théologie Catolique, t. IV, col. 77). Nell’antichità cristiana solo Juilius Eilarianus (fine IV secolo) e qualche esegeta contemporaneo di Teodozione hanno spiegato le 70 settimane diversamente da come le abbiamo presentate nel nostro Capitolo II - Il cardine della storia. Questa interpretazione torna a riemergere nel secolo XVI e oggi è quasi universalmente accettata. Nel tentativo di spiegare questa meravigliosa profezia diversamente dalla prospettiva messianica, gli esegeti, oltre a confutarsi a vicenda, si trovano in difficoltà nell’indicare la data di partenza dei 490 anni, riconoscendo di non capire bene il significato di questo lungo periodo e non trovando l’accordo nell’identificare l’Unto-Capo. Diversi tra loro confondono le 70 settimane con i 70 anni di esilio annunciati da Geremia 25:11,12; 29:10. In questa prospettiva la data di inizio dei 490 anni ha due ipotesi principali: - Da quando Geremia ha annunciato l’esilio e, avendolo fatto in due date diverse, 605 e 594 a.C., preferiscono la seconda, IV anno di regno di Sedechia, facendo scadere l’intero periodo nel 70 d.C., alla distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera di Tito. Questo periodo è però di 95 settimane, pari a 664 anni e non 490. - Dalla presa di Gerusalemme ad opera di Nebucadnetsar, nel 586 a.C., e le fanno scadere sempre nel 70 d.C., cioè dopo 656 anni, 94 settimane. - Nell’anno della preghiera di Daniele, 538 a.C..
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- Nell’anno dell’editto di Ciro che autorizzava la ricostruzione del Tempio. Fanno scadere le prime 7 settimane, 49 anni, 22 o 20 anni dopo l’inaugurazione del Tempio ricostruito, nel 516 a.C. al tempo del re Dario Istarpe, pensando anche che sia quello di Nehemia. Anche questi commentatori datano la fine delle 70 settimane nel 70 d.C. con la distruzione del Tempio, volendo così dimostrare che il secondo Tempio è durato 490 anni. Ma dal 516 a.C. al 70 d.C. intercorrono 586 anni anziché 441, cioé 63 settimane, e dal 538 a.C. al 70 d.C. ci sono 608 anni, cioè 86 settimane e 6 anni. In queste spiegazioni l’Unto-Capo sarebbe Zorobabele che riportò i Giudei a Gerusalemme. L’interpretazione più corrente è quella che consiste nel far credere che la fine delle 70 settimane risale all’epoca dei Maccabei, durante il regno di Antioco Epifane IV, re seleucida che profanò il Tempio di Gerusalemme e volle ellenizzare la Palestina. Per arrivare nel II secolo a.C. si fissa generalmente come data di inizio il 586 a.C., data della caduta di Gerusalemme, dando a questa data un significato simbolico: inizio della ricostruzione della santa città. In altre parole si fa dire proprio il contrario di ciò che il testo danielico dice: «Dal momento in cui è uscito l’ordine di restaurare e riedificare Gerusalemme» (9:25). In questa spiegazione, le prime 7 settimane, 49 anni, scadono nel 536 con l’editto di Ciro che autorizza i Giudei a rientrare in Palestina e a ricostruire il Tempio. Si identifica l’UntoCapo o con Ciro, perché Isaia aveva registrato il suo nome con il sostantivo «unto» (45:1), o con il sacerdote Giosuè contemporaneo di Zorobabele. Il secondo periodo di 62 settimane, 434 anni, è di difficile inserimento nel tempo. Comunque il terzo periodo, l’ultima settimana, 7 anni, nel mezzo della quale si ha la cessazione del sacrificio nel Tempio, viene collocato al tempo in cui Antioco Epifane profanò il Tempio, che ebbe una durata non di 3 anni e mezzo, ma 3 anni e 3 giorni. All’inizio dell’ultima settimana ci sarebbe la soppressione dell’Unto (personaggio distinto dall’Unto-Capo) che viene identificato col sommo sacerdote Onia III, uomo integro, intrepido difensore della religione e del popolo, motivi che lo costrinsero a fuggire a Dalfe, vicino ad Antiochia, dove morì nel 171, 170 a.C. Onia fu considerato l’ultimo sacerdote legittimo, e con la sua morte non si ebbero più successori regolari, ma sacerdoti posti alla guida della religione designati da Antioco prima e poi da Roma. Ma dal 536, inizio delle 62 settimane, al 171 a.C. inizio della 70ma settimana, trascorrono solamente 365 anni anziché 434. La differenza, 69 anni, viene giustificata dicendo che il numero 62 settimane non deve essere inteso con precisione matematica, ma quale risultato dal numero tondo 70 al quale vengono sottratte le prime 7 e l’ultima. Giovanni LUZZI, nella sua Bibbia Commentata - Daniele, pur sostenendo questa spiegazione, riconosce: «La differenza di 69 anni (62 x 7 = 434 -365 = 69) non è mai stata spiegata con risultati concreti». Ernesto COMBA scrive: «Bisogna però riconoscere che non si potrà mai far corrispondere esattamente le cifre eliminando ogni divergenza in fatto di date, perché ai tempi in cui il libro fu scritto 1a cronologia non era certo d’una precisione rigorosa» (Libri dei profeti d’Israele, Torre Pellice 1924, p. 132). Fare simili errori significa, però, essere troppo sommari. Giovanni RINALDI scrive: «Dal 538 circa al 171 circa passano solo 367 anni, non 434 (= 62 volte 7), ma conviene notare che il numero 62 non deve essere inteso con precisione matematica, essendo conseguenza della scelta del numero tondo 70 per il complesso, da cui si 1008
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devono sottrarre le 7 iniziali e quella finale» (La Sacra Bibbia - Daniele, ed. Marietti, Torino 1962, p. 133). Il cattolico L.F. Hartman cerca di spiegare in questi termini il testo di Daniele: «I tre periodi principali dei 490 anni. “Un Unto-principe: probabilmente Ciro il Grande (confr. Isaia 45:1); meno probabilmente Zorobabele o il sommo sacerdote Giosuè. Solo se si calcola dalla seconda volta in cui Geremia rivelò la sua profezia (595 a.C. circa) all’unzione di Ciro quale re di Persia (558, una data che lo scrittore di Daniele 9 poteva a stento conoscere!), si potrebbero ottenere approssimativamente i 49 anni richiesti. Ma le parole successive implicano che il primo periodo si estende fino all’inizio della ricostruzione di Gerusalemme, che abbraccerebbe molto più di sette settimane di anni, o 434 anni, concessi per la ricostruzione di Gerusalemme sono più che troppi; dal 538 al 171 (la data successiva) intercorrono 367 anni. Sarà soppresso l’unto: si allude certamente all’assassinio del deposto sommo sacerdote Onia III, nel 171, in Antiochia; di qui l’espressione “quando egli non possiede la città di Gerusalemme” (conf. 2 Maccabei 4:5,33-36). Il popolo di un principe: l’esercito siriano di Antioco IV Epifane, che saccheggiò il Tempio di Gerusalemme nel 169 e 167. “Per una settimana”: se calcolato dall’assassinio di Onia nel 171, questo periodo durerebbe dal 170 al 163. Le speranze dello scrittore (sic! Ha fatto dei pronostici, a dispetto della rivelazione) che la persecuzione non sarebbe durata oltre il 163 furono pienamente realizzati. Probabilmente (sic!) egli scrisse alcuni mesi prima che la persecuzione finisse nel dicembre 164. “Egli rafforzerà per molti l’alleanza”. Un’alleanza fatta da Antioco IV Epifane con i Giudei rinnegati che sostenevano l’ellenizzazione della loro cultura (confr. 1 Maccabei 1:11-14). “Metà di quella settimana”: la seconda metà del periodo di sette anni con inizio nel 170. La profanazione del tempio durò in effetti solo tre anni: dal dicembre 167 al dicembre 164 (1 Maccabei 1:54; 4:52)» HARTMAN F. Louis, Daniele, in Grande Commentario Biblico Queriniana, ed. Queriniana, Brescia 1973, pp. 586,587. Smarriti nel ginepraio che si sono creati, gli studiosi, nell’avere rifiutato l’evidenza messianica della profezia, arrivano a dire come Fr. M.J. LAGRANGE: «Ci è permesso di fare notare che dopo tanti sforzi inutili bisogna rinunciare a trovare una soluzione matematica adeguata» (La prophétie des 70 semaines de Daniel, in Revue Biblique, n. 2, 1930, p. 197). Chi insiste nell’attribuire i periodi profetici di Daniele al tempo di Antioco Epifane crede che il Daniele abbia fatto un po’ di confusione nei periodi profetici. Ad esempio il teologo cattolico C. SCHEDL adatta il “tempo” indicato dal profeta all’anno lunare, bisestile e l’espressione “metà tempo” a un quadrimestre, a un semestre più una settimana, e a un tempo rimanente, per far tornare la somma, per 1335 giorni. Scrive: «2300 sere e mattine equivalgono a 1150 giorni. In questo passo viene espresso chiaramente il punto di partenza: si tratta del 15 Kasleu dell’anno 145 E.T. (6 dicembre 167 a.C.), il giorno della profanazione del tempio... al punto terminale si arriva al 15 Shebat dell’anno 148 E.T. (31 gennaio del 168), una data estremamente importante per le lotte maccabaiche. Due anni dopo la ricostruzione del tempio {4 dicembre del 164) il monte Sion fu rafforzato e munito di torri e di sbarramenti. In tal modo il tempio era ripristinato definitivamente nei suoi diritti, l’esercito conculcatore veniva cacciato dal luogo sacro e si adempiva la profezia. Il numero si può pure dividere secondo lo schema fondamentale di Daniele: un tempo (anno lunare): 354 giorni; un doppio tempo: 708 giorni; una frazione di tempo (un quadrimestre (sic!)): 88 giorni; si ha così un totale di 1150 giorni, cioè di 2300 sere e mattine. La frase misteriosa “un tempo dei tempi e la metà di un tempo” si trova in 12:7 e 7:25. Per sciogliere l’enigma è necessario tenere presente che sia il numero sacro sette, sia la sua metà (1+2+½=3½) devono essere considerati come valori simbolici. ... Anche (per i 1290 giorni) il punto di partenza è indicato Quando la profezia diventa storia
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chiaramente.... Si tratta di una data importante per la riscossa maccabaica: il 6 Sivan dell’anno 145 E.T. (19 giugno del 163) giorno in cui cadeva la festa delle settimane o di Pentecoste... Computando secondo lo schema dei numeri di Daniele si ha: un tempo (anno bisestile (sic!)): 381 giorni; un doppio tempo: 708 giorni, mezzo tempo (semestre di anno bisestile più una settimana): 198; si ottiene così un totale di 1290 giorni». Ma 381x2=762 e non 708. Inoltre 381+708+198=1287. Per i «1335 giorni... scomponendo e calcolando in base ai numeri simbolici (sic!), si ottiene: un tempo (anno bisestile): 384 giorni (prima 381 n.d.a.); un doppio tempo: 708 giorni; tempo rimanente: 243; in tutto quindi 1335 giorni». Dopo questi virtuosismi l’autore arriva a dire in conclusione: «La concordanza di queste tre date non è certamente un caso fortuito» SCHEDL Claus, Storia dell’Antico Testamento, vol. IV, traduzione di Pietro CANOVA, ed. Paoline, Roma 1966, pp. 326,327,325,327,328. Nello stesso tentativo di spiegare ciò che il testo non vuole dire L.F. Hartman scrive che i periodi di 1290,1335 sono: «due distinte aggiunte posteriori. Il tempo della sofferenza sarebbe durato tre anni e mezzo (7:25; 12:7) o 1150 giorni (8:14). Nel versetto 11 (capitolo 12), però un glossatore (sic!), il quale si rese conto che il periodo della persecuzione non era ancora terminato dopo tanti giorni, aumentò il numero a 1290 e per la stessa ragione un glossatore ancora più recente (sic!) portò il tempo a 1335 giorni» o.c., p. 588. Che le 70 settimane debbano essere intese di anni, contrariamente a quanto scrive M.J. Lagrange e altri, viene confermato indirettamente nel capitolo 10, dove Daniele usa ancora due volte l’espressione «settimane» (savuaîm) facendola però seguire in entrambi i casi dalla parola «giorni» (yamîn). In questo contesto di genere narrativo-autobiografico, e perciò letterale, il profeta sembra voler avvertire il lettore che il termine «settimana», a differenza del contesto profetico-simbolico del capitolo 9, deve essere preso nel suo senso lessicale corrente. Infatti dice per due volte: «tre settimane di giorni» (Daniele 10:2,3). Anche gli avvenimenti profetizzati nei versetti 26 s.p. e 27 vengono spiegati con un po’ di fantasia dai moderni studiosi per poterli inserire in un quadro storico che non li può contenere. Li si spiegano dicendo che qualche tempo dopo la morte di Onia, Antioco Epifane tornando dall’Egitto spogliò il Tempio e devastò tutto, e circa 3 anni dopo la morte di Onia fece assalire la città da squadre armate, che da questi esegeti vengono considerate come l’«inondazione» e la «devastazione» per il saccheggio e le violenze fatte. Ma, oltre a ricordare quanto già detto, l’opera di Antioco è stata di profanazione del tempio e non la sua distruzione, come specifica il testo biblico. Tutti i tentativi di inserire gli avvenimenti di quegli anni nel quadro temporale delle parole del profeta Daniele, malgrado i diversi maneggiamenti, gli stessi sostenitori di questa schizofrenia teologica riconoscono, come scriveva il teologo liberale anglicano inglese S.R. DRIVER: «Sembra impossibile trovare due elementi che siano separati da duemilatrecento giorni e che corrispondano alla descrizione» cit. SDA Bible Commentary, vol. IV, Washington 1955, p. 844; o come scrive il fisico evangelico svizzero Loys de Chéseaux: «Oso dire che tutti gli sforzi che gli interpreti hanno fatto per applicare alle persecuzioni di Antioco l’oracolo delle 2300 sere e mattine non hanno portato a nulla». Lasciamo al lettore ogni giudizio di valutazione su tali spiegazioni dei nuovi teologi. Da parte nostra concludiamo con il pensiero di Frédéric GODET: «L’applicazione di queste parole agli avvenimenti del tempo dei Maccabei non è ancora riuscita ad alcun interprete». Dopo aver considerato la spiegazione di Ewald che vede nell’Unto soppresso non Cristo, ma Seleuco Filopatore che morì nel 171 a.C. al momento dell’invasione in Giudea, così conclude: «Che dire di una simile mostruosità esegetica! Non rileviamo tutte le altre improbabilità alle quali si urta l’interpretazione di questo studioso». Questo giudizio severo di F. Godet crediamo possa essere esteso anche a tutte le altre spiegazioni non messianiche. «Singolare 1010
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errore (quello di Daniele), se si trattasse di un vero profeta di Dio; errore più strano ancora, se si tratta di uno storico che si attribuisce il ruolo di profeta!... Questi tentativi così evidentemente infruttuosi costituiscono la più completa dimostrazione dell’impossibilità che c’è per una esegesi imparziale di applicare questo ciclo profetico delle 70 settimane ad un periodo diverso da quello che si ha tra lo stabilimento di Gerusalemme e la venuta del Cristo» (Études Bibliques, t. I, 4 ed, Neuchâtel 1889, pp. 350, 353,354). Pierre WINANDY, nella sua tesi Etude philologique de Daniel 9:24-27, presentata a Parigi nel 1977, a p. 230 rileva, a proposito dell’espressione “Unto-Capo”: «La letteratura apocalittica qumraniana sembra dare generalmente una prospettiva escatologica alla nozione di Messia... Abbiamo notato che la letteratura qumraniana dà generalmente una prospettiva escatologica contemporaneamente al termine “unto” e al termine “capo”. Essi non sono mai applicati a un personaggio storico contemporaneo. L’apocalisse di Daniele faceva parte di questa categoria di letteratura, noi saremo portati, di conseguenza, a dare a questi due termini una prospettiva escatologica messianica». Interpretazione futurista della 70a settimana Riportiamo quanto scrive René Pache, la cui spiegazione è condivisa dagli evangelici fondamentalisti. «Sembra impossibile situare l’ultima settimana in qualsiasi altro posto che non sia alla fine dei tempi. È all’inizio di questi sette anni che l’anticristo cercherà di sedurre Israele facendo una alleanza ingannatrice con lui; poi innalzerà l’abominazione della desolazione durante i tre ultimi anni e mezzo che precederanno immediatamente il ritorno glorioso del Messia e lo stabilimento della giustizia eterna (Daniele 9:27 e 24; Gesù Cristo stesso situa “l’abominazione della desolazione” nella grande tribolazione, subito prima del suo ritorno, Matteo 24:15,21,30). È solamente alla fine dei tempi che cesseranno i peccati e le profezie saranno pienamente realizzate (Daniele 9:24). «Perché c’è una tale separazione tra la 69ma settimana (terminata con la morte del Cristo) e la 70ma? E perché Daniele non dice nulla degli avvenimenti che le separano? Ci troviamo davanti allo stesso problema che solleva la sparizione dell’Impero Romano passata sotto silenzio, e la sua riapparizione alla fine dei tempi. Il periodo che ha seguito la croce e la sparizione mondiale d’Israele è quello della grazia e della Chiesa, di cui l’Antico Testamento non parla. Esso è un “mistero” di Dio, rivelato solamente agli apostoli del Cristo (Efesi 3:3-6); esso è come la parentesi della misericordia divina, che sospende provvisoriamente l’esecuzione dei decreti del Signore, nel desiderio che tutti pervengano al pentimento. Ma allorquando la sua pazienza si sarà esaurita, il tempo delle nazioni arriverà alla fine, gli ebrei ritorneranno in Palestina, e l’esecuzione dei disegni divini rivelati da Daniele riprenderà il suo corso fino alla fine che sarà molto prossima» (PACHE René, Le Prophète Daniel, Yverdon, pp. 79,80). Nel rispetto della buona fede delle persone, lasciamo al lettore valutare le argomentazioni di simili spiegazioni. Quanto abbiamo esposto nei nostri capitoli, sia sulla settantesima settimana sia sulla identificazione dell’Anticristo descritto da Daniele e da Paolo, crediamo che appartenga ad un altro genere di valutazione. Sulle 70 settimane ci permettiamo di fare solo alcune brevi considerazioni. Quando la profezia diventa storia
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Non riusciamo a comprendere come l’orologio della profezia abbia cessato di segnare il tempo. Che Dio debba riprendere a fare scandire il tempo della profezia quando le sue relazioni ricominceranno con l’Israele storico, al tempo della restaurazione della nazione ebraica in mezzo alla Palestina, non è nell’intenzionalità del testo. Se la profezia avesse avuto un intervallo di tempo indeterminato, Daniele mai sarebbe stato in grado di comprendere la rivelazione. Lui stesso sarebbe stato disorientato e la stessa rivelazione non avrebbe avuto significato. Come nel testo non c’è nessun elemento che indichi che ci sia un intervallo di tempo tra le prime 7 settimane e le 62, così pure è tra le 62 settimane e la 70a settimana. È puramente arbitrario inserire un intervallo di tempo tra questo secondo e terzo periodo. Il patto di cui si parla nelle 70a settimana è quello che Gesù inaugura con l’ultima cena (Matteo 26:28) e che compie alla croce. Pensare che l’Anticristo faccia un patto nel tempo della fine, è attribuire a questo personaggio un’azione che nessun testo biblico della Scrittura ha mai pensato di esprimere. Il patto annunciato in Daniele 9 è quanto il Messia avrebbe fatto con il suo popolo. La prima metà del versetto 27 è messo in riferimento con la morte di Gesù del versetto 26. Crediamo si possa concludere questa Appendice dicendo che ci siano dei motivi che fanno pensare che le traduzioni riflettano più il pensiero teologico moderno che l’intenzionalità della rivelazione. Leggendo le versioni della Bibbia si constata questa evoluzione.
Traduzione nel mondo protestante
Diodati Edizione 1641
Prima revisione 1894
Seconda revisione 1924 Luzzi
Terza revisione 1995 Nuova Luzzi
26. «E, dopo quelle sessantadue settimane, essendo sterminato il Messia, senza che gli resti più nulla ; il popolo del Capo dell’esercito a venire distruggerà la Città, e il Santuario ...
26. «E dopo quelle sessantadue settimane, essendo sterminato il Messia senza che gli resti più nulla, il popolo del Capo dell’esercito a venire distruggerà la città, e il santuario...
26. «Dopo le sessantadue settima un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui. E il popolo di un capo che verrà, distruggerà la città e il santuario...
26. «Dopo sessantadue settimane un unto sarà soppresso, nessuno sarà per lui. Il popolo d’un capo che verrà, distruggerà la città e il santuario...
27. Ed esso confermerà il patto a molti in una settimana: e nella metà della settimana farà cessare sacrificio e l’offerta poi verrà il disertatore…»
27. Ed Esso confermerà il patto a molti in una settimana... poi verrà il devastatore... ».
27. Egli stabilirà un saldo patto con molti, durante una settimana; e in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore...».
27. L’invasore (sic!) stabilirà un patto con molti, per una settimana (sic!); in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerte... Sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore. Il devastatore ...».
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GLI ABBAGLI DELL’ESEGESI RAZIONALE O COME VENGONO SPIEGATE LE 70 SETTIMANE DI DANIELE IX
Traduzioni cattoliche
Sisto Clementina
Mons. A. Martini
ed. Paoline 1964
Ed. Paoline 1986
26. «Dopo sessantadue settimane il Cristo sarà ucciso, e non sarà più suo il popolo che lo rinnegherà. La città e il santuario sarà distrutto da un popolo con un condottiero che verrà...
26. «Dopo sessantadue settimane, il Cristo sarà ucciso, e non sarà più suo il popolo che lo rinnegherà. E la città e il santuario saranno distrutti da un popolo con un condottiero che verrà…. 27. Ei confermerà il testamento con molti in una settimana, e alla metà della settimana verran meno le ostie e i sacrifici, e sarà nel tempio l’abominazione della desolazione….»
26.«E dopo sessantadue settimane sarà tolto di vita un Unto, che nessuno difenderà. La città e il Santuario saran distrutti da un principe che verrà...
26. «E dopo sessantadue settimane sarà ucciso un Consacrato, senza che in lui sia colpa. La città e il santuario saranno distrutti da un principe che verrà;…
27. E stringerà una forte alleanza con molti durante una settimana. E in mezzo alla settimana farà cessare il sacrificio e l’oblazione. E nel Tempio vi sarà l’abominazione della desolazione…».
27. Stringerà una alleanza con molti durante una settimana e durante mezza settimana farà cessare sacrifici e oblazione; sull’ala del tempio ci sarà una abominazione desolante….».
Ed. Salani
card. Ferrari
La Bibbia di Gerusalemme
Testo della C.E.I.
v. 26. E dopo sessantadue settimane, un Unto sarà messo a morte e non sarà il suo popolo che lo rinnegherà. E un popolo con il suo duce che verrà, distruggerà la città e il santuario…
26. «Dopo sessantadue settimane, Cristo sarà messo a morte e non sarà più per lui il suo popolo che lo rinnegherà. E un popolo con il suo duce che verrà distruggerà la città e il Santuario...
27. Egli confermerà il testamento con molti in una settimana; e alla metà della setti-mana verran meno le ostie e i sacrifici, e sarà nel tempio l’abominazione della desolazione…».
v.
27.
26. «Dopo sessantadue settimane, un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui; il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine sarà un’inondazione e, fino alla fine, guerra e desolazione decretate. Salderà 27. Salderà l’alleanza 27, Egli stringerà una 27 Egli stringerà una
Quando la profezia diventa storia
26. «Dopo le sessantadue settimane, un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui; il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario...
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APPENDICE N. 4
l’allean-za con molti in una settimana; e alla metà della settimana, cesse-rà l’offerta e il sacrificio, e nel tempio vi sarà l’abominazione della desolazione, e fino alla consumazione e al termine perdurerà la desolazione.
con molti in una settimana; e alla metà della settimana, cesserà l’offerta e il sacrificio, e nel tempio vi saranno l’abominazione della desolazione, fino alla consumazione...».
forte alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l’offerta; sull’ala del tempio porrà l’abominazione della desolazione e ciò sarà sino alla fine…».
forte alleanza con molti per una settimana e, nello spazio di metà settimana, farà cessare il sacrificio e l’offerta; sull’ala del tempio porrà l’abominazione della desolazione e ciò sarà fino alla fine..»
Traduzione concordata e interconfessionale
La Bibbia Concordata, ed. A. Mondadori, Milano 1968:
La Bibbia, Parola del Signore, TILC:
«26. E dopo le sessantadue settimane un unto sarà soppresso, e non sarà per lui… Il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario. La sua fine avverrà nell’inondazione e sino alla fine vi sarà guerra e devastazione decretata. 27. Egli salderà l’alleanza con molti per una settimana, e per mezza settimana farà cessare sacrificio e offerta, porrà all’estremità l’abominazione del devastatore, sino a che la rovina decretata si riversi sul devastatore.
«26. Al termine di questi sessantadue periodi, un uomo consacrato sarà eliminato senza che alcuno lo difenda. Poi verrà un condottiero con il suo esercito per distruggere la città e il santuario...
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27. Durante l’ultimo periodo di sette anni, questo condottiero (sic!) confermerà un patto con un gran numero di persone. E a metà della settimana, farà cessare anche i sacrifici e le offerte, porrà sull’altare un idolo orribile (sic!), finché la fine decretata non si abbatterà su questo devastatore».
Quando la profezia diventa storia
Appendice n. 6 I PERIODI PROFETICI DI DANIELE XII: 1290 e 1335 giorni Daniele alla fine del suo libro, dopo aver ricevuto la rivelazione dell’ultima azione dell’Anticristo nei confronti della Chiesa, conclude il suo scritto riportando le ultime parole a lui annunciate (vedere Daniele 12:4-13). In questo brano, oltre ai 1260 giorni/anni, già menzionati con l’espressione «un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo» nel capitolo 7:25, vengono indicati due altri periodi profetici: 1290 e 1335 giorni il cui momento di inizio è «dal tempo che sarà soppresso il sacrificio continuo e sarà rizzata l’abominazione che cagiona la desolazione» (versetto 11). Per il significato simbolico profetico di questi periodi, ricordiamo che la maggioranza dei commentatori del libro di Daniele hanno compreso questi giorni in senso profetico e quindi sono stati tradotti in anni. In effetti, dai primi secoli della nostra era e pure prima della venuta di Cristo, i dottori giudei avevano già adottato il principio giorno-anno. Più d’una ventina di commentatori giudei celebri, fra i quali il rabbino palestinese Akiba ben Joseph (†nel 135 d.C.), Isac Abarbanel (†942), Salomone Ben Isac, detto Raschi (†1105) hanno dato ai giorni di Daniele il valore di anno. Questa è anche l’opinione del celebre Saadia Gaon (†942), che ammetteva che la parola «giorno» impiegata nel dodicesimo capitolo di Daniele, significa «anno». Anche Mosè ben Nahnian Nahmanide (†1268) dice che «il termine giorno deve essere compreso come significante anno» (GROSS Beniamin, Le messianisme Juif, Paris 1969, pp. 287, 293). «Dai tempi di Cipriano, verso la metà del III secolo, fino ai tempi di Gioacchino e dei Valdesi, al XIII secolo, il principio d’interpretazione secondo il quale un giorno ha il valore di un anno è stato riconosciuto nella Chiesa da una continuazione di commentatori; l’applicazione ne è stata fatta non senza riflessione e con prove a sostegno, sia dall’uno che dall’altro dei periodi di giorni profetici, compreso il più corto di quelli che si riporta all’Anticristo» (ELLIOTT Edward-Bishop, Horae Apocalypticae, t. III, 5a ed., London 1862, p. 283). Alla conclusione di questa appendice riportiamo come il Maestro A.F. Vaucher ha riportato le differenti posizioni dei commentatori di Daniele su questi due periodi e quello di 1260 giorni in Daniele 12.
Data di inizio Alcuni esempi. I rabbini del Medio Evo con Nahimanide fanno datare i 1.290 giorni dalla distruzione del secondo Tempio, 70 d.C. Altri rabbini hanno preso come data di inizio la profanazione del Tempio ad opera di Antioco Epifane nel II secolo a.C. Altri preferiscono la data del 135 d.C., quando l’imperatore Adriano eresse sulle rovine del Tempio di Gerusalemme quello a Giove Capitolino.
APPENDICE N. 6
Si è pensato anche al 603 d.C. data dell’erezione della moschea di Omar, sempre sulle rovine del Tempio di Gerusalemme, cosa che agli occhi dei rabbini appariva come la sostituzione del culto islamico a quello mosaico. Neppure tra i commentatori cristiani c’è uniformità di pensiero. Si è fissato come data di partenza il 476 d.C., anno della caduta di Roma. Il 533, anno dell’editto di Giustiniano. Si è pensato al 537 d.C. Altri ancora hanno fissato altre date. Due attirano particolarmente la nostra attenzione: 70 d.C. e 508 d.C.
Prima data di inizio più attendibile: 70 d.C. Questa data della distruzione del Tempio di Gerusalemme è stata sostenuta da alcuni studiosi: GRAVE Gerharde, Tabulae apocalypticae, Leiden 1647, p. 98; HALES, A New Analysis, II, 2a ed., 1830, p. 493; GARRATT Samuel, A Commentary in the Revelation, London 1866, pp. 186-187; HOPKINS E.D.., World Hist. in Prophecy, 1942, pp. 33, 34 e più recentemente da GROSS Charles, Témoins de la verité prophétique, Metz 1970, che seguiremo nella presentazione degli argomenti, essendo questo lavoro più esteso. Sopprimere il «continuo» e rizzare l’«abominazione che cagiona la desolazione» di Daniele 12:11, vengono messi in relazione con Daniele 11:31. Le parole dell’angelo «molti saranno purificati, imbiancanti affinati», riportate in Daniele 12:10, sono presentate altrove nella Sacra Scrittura come indicanti il combattimento della fede che sfocia anche nel martirio (Zaccaria 13:9; 1Pietro 1:6,7; Apocalisse 2:10; 7:14), e vengono quindi poste in relazione con Daniele 11:35 che presenta la persecuzione papale del Medio Evo. In quei secoli si elevarono delle voci sia nel mondo cattolico, sottomesso alla corte di Roma, sia tra gli eretici che censuravano il papa con l’appellativo di Anticristo annunciato da Daniele 7. Costoro vengono identificati con i «savi» che hanno capito (Daniele 12:10) e che hanno istruito molti (Daniele 11:32). Col tempo le conoscenze profetiche divennero il patrimonio religioso di un numero sempre più crescente di persone che formarono un popolo desideroso di approfondire i misteri della rivelazione, anche se in quel tempo la Parola di Dio era proibita. Nel XIV secolo, scadono i 1290 giorni/anni. In quel tempo quasi la totalità della cristianità era sottomessa all’autorità della corte di Roma. I1 papa, sovrano delle anime e dei corpi, eleggeva e destituiva i re obbligando i sovrani recalcitranti a un giuramento di fedeltà che vincolasse anche i propri sudditi. Sommando a1 70 d.C. i 1290 anni si giunge nell’anno di grazia del 1360. In quell’anno sorge o si manifesta l’araldo dell’immenso movimento protestante del XIV secolo; viene dall’università di Oxford ed è curato di Luttervort in Inghilterra, si chiama John Wyclef. Gli storici Louis ALPHEN e Philippe SAGNAC scrivono: «In Inghilterra nasceva una nuova e più pericolosa eresia, poiché al posto di svilupparsi presso i semplici o di conservarsi tra le popolazioni rifugiate in qualche valle inaccessibile, essa si manifesta in una delle prime università d’Europa da dove potrà facilmente spandersi fra gli scrivani di tutte le nazioni. John 1024
Quando la profezia diventa storia
I PERIODI PROFETICI DI DANIELE XII: 1290 E 1335 GIORNI
Wyclef era nato verso il 1320 (1324, 1329, 1330) in Yorkshire; studente, poi nel 1360 preside del Balliol College, curato nel 1361 di Fillingham nel Lincolnshire, aveva trascorso la maggior parte della sua vita all’Università di Oxford dove insegnava con successo. L’università serviva prima di tutto a formare i monaci dell’ordine monastico. Conosceva a fondo i Padri... Ma sapeva la Bibbia e il Nuovo Testamento al punto che i suoi allievi l’avevano soprannominato “il dottore evangelico”» (Peuples et civilisations - Histoire génerale, t. VII, La fin du moyen âge, p. 107; cit. C. Gross, o.c., p. 13,14). «Proprio nell’anno 1360 l’università fu teatro di accesi dibattiti tra sacerdoti e professori da una parte e i monaci mendicanti che sostenevano il papa dall’altra. Appoggiati dall’opinione pubblica inglese, dai nobili e dal re, i professori di Oxford scelsero come loro campione Wyclef... Se noi dovessimo fissare con esattezza la data della nascita della Riforma, che fu un immenso movimento di ritorno all’insegnamento della Bibbia, non esiteremmo a citare l’anno 1360, quello nel quale Wyclef divenne professore al Balliol College» (C. Gross, o.c., pp. 14,15). «Verso il 1360 apparve in Inghilterra un poema allegorico molto letto dal popolo sotto il nome di: Visioni di Pietro il lavoratore. Rimproverava alla Chiesa la simonia e l’orgoglio..., denunciava l’avarizia degli ecclesiastici e la rapacità degli inviati dalla Santa Sede incaricati di raccogliere il denaro di San Pietro. Sono queste dolenze, in parte fondate, che Wyclef formulerà con più rigore dando a loro la coesione di un sistema» (Dictionnaire de Théologie CathoIique, fascicolo LXXIII, col. 914). Dalle discussioni che ne seguirono tra l’opinione e la corte del re da una parte e la curia romana rappresentata dai monaci mendicanti dall’altra, scaturì la Riforma inglese che si estese fino in Boemia e che trovò poi in Germania nel monaco agostiniano Martin Lutero il suo più valido difensore e sostenitore. Wyclef scrisse varie opere e un commentario sull’Apocalisse. Parlando dei suoi scritti, Louis Alphen e Philippe Sagnac dicono: «Formulava con una audacia tranquilla la dottrina più vigorosa e più dissolvente che si potesse elevare prima di Lutero nei confronti della Chiesa romana. Aveva sperato che Urbano VI riformasse il mondo cattolico, ma quando il pontefice romano si difese con le armi vide, come i Fraticelli, come i Gioacchini, come i Valdesi, incarnarsi in lui l’Anticristo. Nel nome della Scrittura, sola sorgente di verità, rigettò il papato come immorale e assurdo. Restando Cristo il solo capo della Chiesa, il primato di Pietro non si potrebbe dimostrare ed invano il suo successore rivendica una autorità infallibile, usurpa il diritto di canonizzare i morti e di scomunicare i viventi, traffica con le indulgenze, ecc.» (o.c., p. 107; cit. da C. Gross, o.c., p. 16). «Come ci si doveva attendere, Wyclef appoggiandosi sulle profezie di Daniele, di Paolo e di Giovanni, seguendo l’esempio dei Valdesi, d’Eberhardt di Salzbourg, di Milliez e Mathias, di Janow di Boemia, arrivò alla conclusione che il papato era l’Anticristo. Nel suo combattimento contro Roma, era guidato e sostenuto dai suoi simboli ispirati» (FROOM LeRoy Edwin, The Propheties of our fathers, vol. II, p. 54). Wyclef fu un uomo di una pietà esemplare, versato nel diritto civile e canonico, avvezzo a tutte le sottigliezze della filosofia scolastica che gli avvaleva la considerazione degli amici e il rispetto dei nemici. Cappellano del re, predicava contro gli abusi della Chiesa che aveva sostituito alla parola di Cristo e degli apostoli la propria tradizione. Quando i suoi nemici lo minacciavano con le folgori e lo votavano alle fiamme dell’inferno, lui sorrideva. Per lui «la Bibbia contiene tutta la Rivelazione... Nessun testo dei Padri o dei papi o dei concili ha valore se non nella misura in cui si appoggia sulla Bibbia. La Bibbia e la legge di Dio, il codice unico e completo della fede e della morale umana. Tutti i miti della Chiesa Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 6
provengono dall’ignoranza della Bibbia» (Enciclopedia Cattolica, articolo Wyclef, col. 1723, 1724). «Lo studio della Bibbia dovrebbe essere l’occupazione principale del sacerdote, del religioso, del cavaliere, dell’uomo comune. La Bibbia è la carta scritta da Dio. Essa è la molla di tutte le leggi. Essa contiene tutte le verità» (Dictionnaire de Théologie Catholique, col. 3594). Iniziò la traduzione della Bibbia e la portò a buon fine. Sotto il suo impulso, i letterati si misero all’opera e una Bibbia completa, redatta in un linguaggio accessibile a tutti, fu messa a punto. Daniele scrive: «Beato chi aspetta e giunge a 1335 giorni». Aggiungendo a1 70 i 1335 anni si giunge nel 1405. Cosa avvenne in quell’anno? Già Valdesi, Albigesi e Catari, perseguitati in Francia, trovarono rifugio in Boemia dove subirono dure repressioni nel 1312, nel 1318 e per tutto il secolo. Alla fine del XIV secolo, nel 1382, dopo la morte di Wyclef, il re d’Inghilterra Riccardo prese in moglie Anna, sorella del re boemo Venceslao. Questa unione diede origine a numerosi rapporti religiosi tra il Tamigi e il Moldau. Questi rapporti furono particolarmente stretti tra l’Università di Praga e di Oxford, dove le dottrine di Wyclef erano insegnate apertamente. Il giovane Gerolamo da Praga, nel 1398, usufruendo di una borsa di studio, si recò ad Oxford dove studiò per tre anni. «Ritornando nel 1401, Gerolamo portò con sé un quadro che rappresentava Wyclef come principe dei filosofi, e anche due manoscritti ricopiati da lui dalle opere di Wyclef, particolarmente dal Trialogus, che era come una riduzione di tutta la sua dottrina. Gerolamo aveva per Wyclef un culto ardente... che non ebbe nessuna pena a comunicare a un patriota ceco conquistato ancora prima come Giovanni Hus» (articolo Wyclef, in Dictionnaire de Théologie Catholique, col. 3612). Giovanni Hus era una persona nota a Praga. Diplomato in arti libere nel 1393, diplomato l’anno seguente in teologia, ordinato sacerdote nel 1400, diventava confessore della regina Sofia e docente della facoltà di filosofia. Nel 1401 assumeva le funzioni di rettore dell’Università di Praga. Hus già conosceva alcuni scritti di Wyclef, ma la lettura del Trialogus lo sconvolse. Per lui il libro fu una vera rivelazione. Lo tradusse in latino e in lingua ceca. I1 vescovo di Praga, che da principio condivideva i suoi sentimenti, lo nominò predicatore della grande Chiesa di Betlemme. Vi predicava ogni giorno in boemo mettendo in luce le meravigliose verità bibliche che Wyclef aveva riscoperto. In poco tempo la chiesa di Betlemme divenne come una Università popolare. Nel 1405 Giovanni Hus prendeva apertamente posizione contro la Chiesa ufficiale. «Godendo della più alta considerazione, Giovanni Hus fu chiamato, come predicatore sinodale, a tenere al clero di Praga l’esortazione abituale, e quando estese il suo biasimo ai vescovi, ai cardinali, al papa, senza escludere nessuno, l’approvazione episcopale non gli mancò... Reso attento da questo predicatore sinodale agli abusi che si faceva della reliquia del prezioso sangue conservato a Wilsnack, Zbynek von Hasenburg (arcivescovo di Praga) vi probì i pellegrinaggi. Per giustificare la proibizione, Hus, su desiderio dell’arcivescovo scriveva il suo memoriale: De omni sanguine Christi glorificato. Domandava ai cristiani di non cercare segni e miracoli, ma di attenersi alla Santa Scrittura... Ciò fu una vera wyclefolatria. Le opere del maestro di Oxford furono lette nei templi e sui muri, dove si 1026
Quando la profezia diventa storia
I PERIODI PROFETICI DI DANIELE XII: 1290 E 1335 GIORNI
scrivevano le principali proposizioni di Hus. In città come in campagna, tutto gli cedeva oramai... Tutto il popolo di Boemia è assetato di verità, non vuole conoscere che l’Evangelo di verità e le Epistole; in qualunque parte in una città, in un villaggio, in un castello, un predicatore della santa verità appare, è un fiume di persone che vi accorrono in massa. Il nostro re, tutta la sua corte, i baroni e il popolo ordinario sono per la parola del Cristo» (articolo Hus, in Dictionnaire de Théologie Catholique, col. 338, 342, 339-340). Siamo nel 1405, 1335 anni dopo il 70 d.C. Hus, come Wyclef, insegnava le profezie di Daniele e dell’Apocalisse e identificava l’Anticristo con Roma, la curia ed il suo clero corrotto ne erano la personificazione. Nel 1414, al Concilio di Costanza, Hus viene illegalmente condannato al rogo e nel martirio seguirà anche Gerolamo da Praga. Le basi della grande Riforma Protestante sono gettate, solamente il tempo e un uomo come Martin Lutero la porteranno a maturazione. «Beato chi aspetta e giunge a 1335 giorni». Questo periodo porta quindi al tempo di Hus in cui la sete e la fame della parola di Dio si fa sempre più sentire nel popolo e gli empi agiscono ancora più coscientemente in modo empio. Critica
A critica di questa spiegazione, inizio 70 d.C., (vedere pp. 981,982), particolarmente per lo scadere dei 1290 giorni/anni nel 1360, pensiamo di poter dire che questa data è in anticipo di dieci, quindici anni sulla realtà storica. Nel 1360 non iniziano ad Oxford i contrasti religiosi. Nel 1360 Wyclef è solo preside del Belliol College. Nel 1361 viene nominato parroco di Fillingham. Nel 1363 Wyclef inizia i suoi studi teologi. Nel 1370 o 1372, dopo il dottorato in teologia, Wyclef inizia ad insegnare all’Università di Oxford. È solo nel 1374 che Wyclef inizia la sua azione riformatrice (Enciclopedia Treccani). L’opera letteraria di Wyclef è tra il 1374 e il 1384. Nel maggio 1378 papa Gregorio IX si lamentò dell’insegnamento di Wyclef e gli inviò una bolla di condanna alla quale Wyclef rispose con una Protestatio e con delle Conclusiones nelle quali si eleva a forza contro il papa che identifica con l’Anticristo. Ma è solo in seguito che la sua veemenza contro la Chiesa sarà più grande, con il De potestate papae, 1379, e con il Trialogus, 1382. È dopo il 1376 che «si sviluppa in Inghilterra una corrente antipapale e anticlericale e Wyclef diventa rapidamente uno dei capi... Fu il portaparola più dogmatico e più implacabile delle querele del suo paese contro il papato» (articolo Wyclef, in Dictionnaire de Théologie Catholique, col. 3588). Nel 1378 Wyclef saluta l’elezione di Urbano VI con simpatia. Il 31 dicembre 1384 muore a seguito di un attacco di paralisi avuto dopo avere assistito alla messa del 28 dicembre. Non togliendo nulla all’opera del grande preriformatore Wyclef, egli morì però in «comunione con la Chiesa». Ebbe sepoltura ecclesiastica. Successivamente si esumarono le sue spoglie per essere bruciate e sparse nel fiume Swift affluente dell’Avon. Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 6
Seconda data di inizio più attendibile: 508 d.C. A quanto presentato sopra, preferiamo questa seconda spiegazione per alcuni motivi. I due periodi profetici di 1290 e 1335 giorni/anni ci devono condurre in un tempo ben preciso nel quadro della profezia: «Poiché queste parole sono nascoste e sigillate sino al tempo della fine» (Daniele 12:9). Devono quindi trovare la loro realizzazione in un tempo particolare. Ora il XIV secolo, sebbene sia un tempo importante per l’opera della Riforma, non è però considerato nella profezia biblica come il tempo della fine. La Chiesa continua ad essere perseguitata e lo sarà ancora duramente nei secoli successivi, come in quelli precedenti. Inoltre Wyclef e Hus, pur essendo stati dei luminari, delle guide per il Popolo di Dio, hanno ripetuto quanto già prima di loro era stato insegnato a proposito dell’identificazione del papa con l’Anticristo. I capitoli 2, 7, 9, 10, 11 del profeta Daniele sono stati sempre abbastanza ben compresi. L’angelo caratterizza il «tempo della fine» con un periodo di studio particolare del libro di Daniele. Questa indagine deve portare a comprendere i brani rimasti ancora incompresi fino a quel tempo. Il tempo fissato per la fine si colloca allo scadere del XVIII secolo, quando cade l’imperialismo papale medioevale, a seguito della Rivoluzione francese. Con lo scadere dei 2300 giorni/anni di Daniele 8, si giunge alla metà del XIX secolo, tempo a seguito del quale nessuna data profetica si dovrà più realizzare (vedere i nostri Capitoli XI, p. 425 e seg., XIII, p. 507 e seg., XIV, p. 531 e seg.,). È in quel tempo che si giunge a ben comprendere «la purificazione del Santuario» dopo 2300 anni dal 457 a.C. Daniele menziona la parola «continuo» tre volte nel suo testo: Daniele 8:11; 11:31 e qui nel nostro brano: 12:11. Nel contesto simbolico profetico di Daniele 8:11, il «continuo», come spieghiamo nel nostro Capitolo XI, p. 415 e seg., indica la soppressione del culto celebrato in ispirito e verità, la sostituzione del sacrificio irripetibile di Gesù Cristo compiuto al Golgota con la ripetizione irriverente del sacrificio della messa. Con la soppressione di questo «continuo», l’opera sacerdotale di Cristo Gesù compiuta nel cielo viene sostituita da quella miriade di intermediari, chiamati santi e martiri, che si frappongono tra Dio e gli uomini. Gesù, nel suo discorso escatologico di Matteo 24, Marco 13, Luca 21, parlando della distruzione del Tempio di Gerusalemme fa riferimento a Daniele 9:27 dove la soppressione del «continuo» ed il collocamento dell’abominazione che provoca la desolazione ha un valore letterale, perché il brano di Daniele è del genere profetico letterale e non simbolico. Gesù cita questo testo del profeta per indicare il «segno» grazie al quale la Chiesa di Gerusalemme poteva comprendere che era giunto per lei il tempo di lasciare la città sulla quale si sarebbe riversato il giudizio di Dio, a causa di un popolo che ostinatamente si era ribellato alla sua grazia. Di fatto, il cerimoniale israelitico, «il continuo» del Tempio, era già stato realizzato nel suo significato tipologico nel 31 d.C., al Golgota, e quindi non aveva più ragione di continuare. Quanto avviene nel 70 d.C. più che la soppressione del «continuo», sebbene si realizzi l’«abominazione che cagiona la desolazione», è un giudizio di Dio su un «continuo» formale ormai privo di valore. Il genere letterario di Daniele 12:11 è lo stesso di quello del capitolo 8:11,12 e 11:31 e diverso dal capitolo 9. Per questo motivo crediamo che il 70 d.C. non debba essere preso 1028
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I PERIODI PROFETICI DI DANIELE XII: 1290 E 1335 GIORNI
quale data di partenza dei due periodi profetici. «Il continuo che cessa è l’Evangelo eterno che cessa di essere la sola regola di fede» (Gustave Adolphe ROSSELET d’IVERNOIS, L’Apocalypse et l’Histoire, t. II, Paris 1878, p. 217). Per conseguenza preferiamo vedere nel «508 d.C. la cessazione del continuo, la fine del culto in ispirito e verità, che fa posto a un culto paganeggiante di una Chiesa diventata politica e mondana» (VUILLEUMIER Jean, Les prophéties de Daniel, Genève 1906, p. 382). A sostegno di queste conclusioni possiamo indicare le seguenti quattro motivazioni. Primo. «Si può considerare la data del 507... quella in cui Clodoveo raccolse l’eredità sociale di Roma, come la vera origine dei dieci regni del quinto Tempo, rappresentati dalle dieci corna della Bestia dell’Apocalisse e dalle dieci dita della statua» (AUCLIER Raoul, Les livres des Cycles, Paris 1947, p. 58, nota n. 1). Clodoveo, re dei Franchi, si convertì alla Chiesa di Roma nel 496 e i Franchi negli anni successivi seguirono l’esempio del loro re, da pagani divennero cristiani. Poi s’impegnarono a cattolicizzare, a volte anche con la forza delle armi, gli altri popoli barbarici che già avevano accettato l’arianesimo. Quest’opera fu coronata da grande successo, tanto che lo zelo dei Franchi per Roma valse alla Francia il titolo di «Figlia primogenita della Chiesa». Crediamo quindi che all’inizio del VI secolo, nel 508, si ponga la realizzazione spirituale della cessazione del «continuo e il rizzarsi dell’abominazione che causa la desolazione» del nostro brano. La Chiesa, in quel tempo, lascia la “potenza” dell’Evangelo per la conversione dei popoli e si appoggia sempre più per estendere il suo potere sul braccio dei re e inoltre, in quel tempo, un nuovo cerimoniale religioso, quello del sacrificio della messa, annulla il sacrificio della croce. Secondo. L’abate Jules Fabre d’Envieu, a commento del nostro brano, scrive a proposito della messa: «Il sacrificio della croce, può in effetti con una più grande ragione chiamarsi il “perpetuo”, poiché è offerto nel mondo intero in tutte le ore del giorno» (Le livre du prophète Daniel, t. II, parte II, Paris 1891, p. 1472). Infatti al Concilio di Trento si affermava: «Canone I: Se qualcuno dirà che nella messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio... Canone II: Se qualcuno dirà che con quelle parole: “Fate questo in memoria di me” (Luca 22:19; 1 Corinzi 11:24) Gesù Cristo non costituì gli Apostoli e non ordinò che essi e gli altri sacerdoti offrissero il suo corpo e il suo sangue, sia scomunicato. Canone III: Se qualcuno dirà che il Sacrificio della Messa è soltanto di lode o di ringraziamento o nuda commemorazione del sacrificio della Croce e non veramente propiziatorio, oppure che giova soltanto per chi se ne ciba e che non si deve offrire per i vivi e i defunti, per i peccati, pene e soddisfazione ed altre necessità, sia scomunicato. La Chiesa pertanto, ripetendo il gesto eucaristico del suo fondatore, compie un vero e proprio sacrificio, quello stesso che offrì Gesù» (Enciclopedia Cattolica, articolo Messa, pp. 760,762). Allo stabilimento della Cena, quale messa o sacrificio, si giunge lentamente attraverso i secoli. Infatti, «durante i primi tre secoli, non è per nulla questione di sacrificio, né di oblazione, né di messa. La frazione del pane era un atto puramente umano, fatto in ricordo di Gesù. Ma verso il 450 è certo che il papa S. Leone (440-461) parla dell’oblazione, del sacrificio e della messa. Il ricordo della cena è da quel momento cambiato in un rinnovamento del sacrificio di Gesù, e ciò diventò molto evidente sotto Gregorio il grande (590-604), verso il 600. (Pur non avendo trovato una data storica precisa) Ci sembra che si possa dire che dall’inizio del VI secolo, la messa fece cessare il sacrificio di Gesù o il continuo, e il momento era venuto in cui l’abominazione della desolazione poteva essere introdotta nel seno della Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 6
Chiesa di Gesù. (Quindi Daniele 12:11 indicherebbe) che il continuo o il sacrificio unico di Gesù, che è la sua perfetta obbedienza, sia considerato come insufficiente e rinnovato ogni giorno nell’abominevole sacrificio della messa» (BRISSET J. Pierre, Les prophéties accomplies, Paris 1906, pp. 50, 51, 104). (Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi). Terzo. Ancora prendiamo le parole dell’abate J. Fabre d’Envieu che crediamo apportino un contributo alla comprensione del nostro testo. Scrive: «Questa abominazione del culto messianico desolato sarà... la persona stessa dell’Anticristo» (o.c., t. II, p. 1472). È con papa Leone I (circa 450) che il titolo pagano di pontifex maximus viene ereditato dai Cesari e il culto all’imperatore viene col tempo fatto al Vescovo di Roma, del quale Daniele, descrivendone l’opera, dice: «Si elevò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il “perpetuo”, e il luogo del suo santuario fu abbattuto. L’esercito gli fu dato in mano col sacrificio perpetuo a motivo della ribellione...; gettò a terra la verità, e prosperò nelle sue imprese» (Daniele 8:11,12). L’apostolo Paolo scrive di lui: «S’innalzerà sopra tutto quello che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando se stesso e dicendo ch’egli è Dio» (2 Tessalonicesi 2:4). Quarto. Conseguenze delle tre motivazioni precedenti nei secoli successivi. J. Vuilleumier commentando Daniele 11:31 scriveva: «Il santuario, la fortezza e il continuo sembrano essere termini sinonimi... e tutto sembra un susseguirsi, una accentuazione della lotta contro la santa alleanza del versetto precedente. Non si tratta solamente di una irritazione contro la santa alleanza e di una intesa con coloro che la rinnegarono, ma di una profanazione della verità in ciò che essa ha di più intimo, di più sacro, e di una persecuzione aperta del culto in spirito e verità per mettere al suo posto l’abominazione che causa la desolazione. ... Il santuario della verità e della santità era profanato. Il candeliere (Apocalisse 1:20) del cristianesimo apostolico, che avrebbe dovuto brillare di una pura e continua luce, era spento; o almeno la sua luce non era più visibile nella fortezza della cristianità, e si era dovuta rifugiare nei luoghi ritirati. La Chiesa pura... si era nascosta nel “deserto” (Apocalisse 12:6,14). Bernard di Clairvaux (San Bernardo 1091-1151) scriveva al papa Eugenio III: “Ah! che prima di morire io veda rifiorire la Chiesa dei giorni antichi, che io la veda tale e quale era ai giorni in cui gli apostoli gettavano le loro reti, quando si occupavano, non di ammassare dell’oro, ma di guadagnare le anime!”. E aggiungeva: “Il papa non potrebbe essere contemporaneamente un successore di Pietro e un successore di Costantino, che riunisce la pienezza della potenza temporale e della potenza spirituale. Volerle unire tutte e due, è esporsi a perderle tutte e due”. Parlando del papato nel IX secolo, il cardinale Boronio scriveva nei suoi Annales: «... Mai prima dei preti e dei papi commisero tanti adulteri, rapimenti, incesti, imbrogli e omicidi; e mai l’ignoranza del clero è stata così grande come durante questo deplorevole periodo... In questo secolo, si vede l’abominazione della desolazione nel tempio del Signore; e sulla cattedra di San Pietro, riverita dagli angeli, si vedono seduti gli uomini più empi, non dei pontefici, ma dei mostri”. È un commento poco sospetto e fatto nei termini stessi utilizzati dalla profezia!» (J. Vuilleumier, o.c., pp. 337,338). Per quanto riportato sopra crediamo si possa dire che con l’inizio del VI secolo e con la data del 508 d.C. si assiste ad una evoluzione importante che caratterizzerà la storia dei secoli successivi. Il 508 indica la soppressione del «continuo», cioè dell’abolizione del culto in spirito e verità al Signore, sostituito anche dalla messa, ed è il tempo in cui si innalza «l’abominazione che cagiona la desolazione» che esprime il manifestarsi del culto all’Anticristo e il cristianesimo s’impone con la forza delle armi e mediante l’autorità dei re sui propri sudditi. 1030
Quando la profezia diventa storia
I PERIODI PROFETICI DI DANIELE XII: 1290 E 1335 GIORNI
Se al 508 aggiungiamo i 1290 giorni/anni arriviamo al 1798, anno in cui l’Anticristo riceve la ferita mortale e cessa la sua supremazia. Se al 508 aggiungiamo i 1355 giorni/anni arriviamo al 1843 periodo nel quale scadono i 2300 giorni/anni tempo per il quale c’è motivo per essere felici, come riporta Daniele. Per coloro che non ritengono che il nostro testo di Daniele sia stato spiegato con sufficienza riportiamo quanto scrive il Commentario Avventista: «Si pensa che si tratti qui di uno dei passi della Scrittura sui quali uno studio ulteriore getterà più luce. Se i 1290 e i 1335 giorni cominciano nello stesso tempo, l’ultimo periodo arriva all’anno 1843, data significativa in rapporto con il più grande risveglio avventista in America, conosciuto sotto il nome di movimento millenarita» (Seventh-day Adventist Bible Commentary, vol. IV, p. 881). È in quella data (1843-1844) che si possono vedere realizzate le parole di Daniele: «Molti saranno purificati, imbiancati, affinati». Coloro che avevano creduto che Gesù sarebbe dovuto ritornare nel 1844, e che si erano veramente preparati ad incontrarlo, soffrirono per gli scherni che seguirono a causa della loro fede e per la delusione della mancata realizzazione della loro aspettativa. «Ma (in quel tempo) gli empi agirono empiamente; e nessuno degli empi capì». Coloro che rifiutarono la predicazione dell’avvento non si prepararono e rimasero nell’apostasia della loro chiesa. L’esperienza di quel risveglio fu veramente un motivo di felicità. È da quel risveglio, dal desiderio di essere pronti per il Signore che viene a prendere la sua sposa, che prese vita la Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno. Essa oggi si presenta al mondo come la Chiesa che realizza la profezia, sia perché è sorta dallo studio di questa, sia perché mediante la parola profetica sa dare alla storia del nostro mondo il suo significato e annunciare il suo compimento futuro.
Inizio e fine dei 1260, 1290 e 1335 giorni-anni come interpretati attraverso i secoli Daniele 12:7: «Un tempo dei tempi e la metà di un tempo»:
- 62 a.C. - 1198 d.C.: - verso 364 - 406 d.C. - 1666: - 426 - 1686: - 430 - 1690: - 455 - 1715: - 49 -1715; - 476 - 1735: - 507/508 - 1797/1798 - 519 - 1779: - 519 - 1780: - 520 - 1780: - 532/533 - 1792/1793: - 533 - 1792:
B.O. AMYRAUT, Introduction, pp. 19,23; Anonimo, Traté, 1679, pp. 33,34; Anonimo, Romae ruina, pp. 5,6; E.T. EYTON, p.62; J. PURVES, p. 12,50; vol. II, pp. 3.4.6; G. BURTON, Supplement, p. 74. Postscriptum, p. 4: 1764-49=1715 W. BURNET, pp. 104-128,166; SEITZ, Apoc., pp. 40-43; J. CUMMING, Explication, p. 150; F.H. BERICK, An Investig., p. 20; H.W. LOWELL, p. 28; J. CUMMING, nella sua carta profetica 1854; M.L. CLARK, pp. 24,25; J. CUMMING, Red. draweth, p. 156; W. CUNINGHAME, The political, p. IX; A.E. HATCH, pp. 107,133; E. IRVING, The Proph. Work, pp. 651-660; - 533 - 1793: E.P. CACHEMAILLE, Harmony, pp. 128,129; M. HABERSHON, Guide, pp. 63-70; E. IRVING, On the proph., pp. 7,8; R.C. SHIMEALL, Age of the World, 1842, pp. 261,270; W.C. THURMAN, Our Bible, 3a ed. pp. 129,206,208; - 537 - 1797: T. CRINSOZ, Abrégè, pp. 31-37; 1031 Quando la profezia diventa storia
APPENDICE N. 6
J. LITCH, Prophetic, vol. II, p. 122; G.G. RUPERT, Time, 3a ed., p. 95; J. VUILLEMIER, Les proph. de Daniel, p. 380; S. BLISS, Inconsistencies, p. 61; W. MILLER, Evidence, p. 104; W. NEWTON, Lectures, 1859, pp. 104-107; - 575 - 1835: W.A. HOLMES, The Time, p. 79; - 583 - 1843/1844: M. HABERSHON, Giude, pp. 63-70; - 584 - 1844: J.A. BROWN, pp. XLI,111,137,372; -601/610 - 1861/1870: J.G. MURPHY, The Book, p. 139; - 606 - 1866: H. HEYCOCK, p. 125; J.I. HOLMES, The Revelt., pp. 323,440,443; J. LATHROP, pp. 4,5; W. NEWTON, Lectures, pp. 104-107; Et. SMITH, Dissertation, pp. 101,102; - 606/7 - 1866/1870: C.H. HEWITT, The Seer, 1948, p. 417; - 607 - 1867: R.H. GRAVES, Terminal, p. 45; - 608 - 1868: S. RALSTON, 1842, p. 122; - 610 - 1870: J.P. BRISSET, pp. 62-64,71; W. CHAMBERLAIN, The Time, p. 54; - 630 - 1890: W.E. GIRDLESTONE, 1820, p. 59; - 636 - 1826: F.C. ROUGEMONT de, pp. 40,41; PAYRAUBE, Essai, 2a ed., pp. 161,162; - 637 - 1897: J.A. BATTENFIELD, p. 187; E.P. CACHEMAILLE, Harmony, pp. 129, 129; - 666 - 1927: J.A. BATTENFIELD, p. 63; - 736 F. NOLAN, The chronol., pp. 153-155; - 800 - 2060: W. WHITE, Providence, pp. 538,539; Questa lista potrebbe essere integrata da quanto presentiamo nel nostro Capitolo V, nota n. 127, p. 262. - 538
- 1798:
Daniele 12:9: «al tempo della fine»
- 1798:
- 1844
A.W. ANDERSON, Some, pp. 14,15; T.M. FRENCH, Rev., 3 genn. 1935, pp. 7,8, cita E. WHITE, The Grand Controvercy, p. 356; J.E. GREGORY, Imminent, p. 91,191; S.N. HASKELL, Story, pp. 16,278,299-301; J.G. LAMSON, pp. 77,80,90; W.J. FITZGERALD, pp. 17-19,25,26; D. FORD, Daniel, p. 281; J. VUILLEUMIER, The King, n. 2, 1950, pp. 3,4;
Daniele 12:11: «milleduecentonovanta giorni»
- 42 - 62 - 68
- 1332: - 1352: - 1358:
- 70
- 1360:
1032
T. LINDER, 1947, p. 114; Salomon ben Isaac Jarchi, detto Raschi. Data distruzione di Gerusalemme, inizio guerra proposta da alcuni autori giudaici: Benj. ben Mosche Nahavendi, Abraham Bar Hiyya Hanasi, 1967, p. 175; Isaac ben Judah Halevi, Lévi ben Gershon, Moïse ben Hachmann; Abraham Aben Ezra, Mikraoth, p. 155; si giunge a Wycliff: S. GARRATT, pp 186,187; M. GRANT, Divine, p. 114; C. GROSS, Témoins, 28 pp.; W. HALES, A new, vol. II, 2a ed., pp. 493,522,524; vol. II, p. 558; C.H. HEWITT, The Seer, p. 417; Quando la profezia diventa storia
I PERIODI PROFETICI DI DANIELE XII: 1290 E 1335 GIORNI
E. HEYCOCK, p. 366; E.D. HOPKINS, World, pp. 3,34; R.A. WATKINSON, p. 7; - 135 - 1425: R. FLEMING, Apocalypt, p. 57; - 335 - 1625: P. NICOLAI, Opera, p. 121; - 360 o 366-1650 o 1656: H.J. ARCHER, p. 52; - verso 364 Anonimo, Traté, 1679, pp. 33,34; - 455 - 1745: W. BURNET, pp. 104-128,166; - 476 - 1766: J. PURVES, vol. I, p. 12,50; vol. II, pp. 3.4.6; - 508 - 1798: S. BLISS, Inconsistencies, p. 61; L.R. CONRADI, Whose, p. 44; C. C. FRENCH, 1842, p. 4; J. LITCH, vol. II, p. 130; J.G. MATTESON, pp. 408,409; J. VUILLEUMIER, Les Proph.,p. 383; - 519 - 1809: F.H. BERICK, An Investig., 1850, p. 20; 1853, p. 28; J. CUMMINGS nella carta profetica 1850; J. VUILLEUMIER, Les Proph., p. 380; - 520 - 1810: M.L. CLARK, pp. 24,25; - 532/533 - 1822/1823: J. CUMMING, Red., p. 158; Yhe Last, pp. 52-56; - 533 - 1821: J. THOMAS, Elpis Isr., 4a ed., 1867, p. 373; - 533 - 1822: E. IRVING, Babylon, pp, 129-148; R.C. SHIMEALL, Age of the World, 1842, pp. 261,270; W.C. THURMAN, Our Bible, 3a ed., pp. 129,207,208; - 533 - 1823: E. IRVING, On the proph., pp. 12,13; - 537 - 1827: T. CRINSOZ, Abrégè, pp. 31-37; - 580 - 1870: A.E.HATCH, p. 134; - 605 - 1896: J.I. HOLMES, The Revelat., pp. 440-443; - 606 - 1896: Anonimo, Scheme, p. 182; - 610 - 1900: J.P. BRISSET, p. 71; - 622 - 1912: Menahem ben Aaron ben Zerah; - 628 - 1918: G.G. RUPERT, Time, 3a ed., p. 95; - 636 - 1926: S. HARDY, p. 53; de ROUGEMONT F.C., pp. 40,41; PAYRAUBE, Essai, 2a ed., pp. 161,162; - 637 - 1927: J.A. BATTENFIELD, p. 190; W.P. GOARD, p. 170; - 666 - 1956: G.A: ROSSELET, pp. 216,217; A. MADROLLE, p. 244; - 706F. NOLAN, The chronol., pp. 153-155; - 843 - 2135: C.L. LAGRANGE, Conc., 2a ed., p. 89; - 1335 - 2625: P. NICOLAI, vol. II, 1607, p. 121.
Daniele 12:12: «milletrecentotrentacinque»
- 42 - 70
- 1377: -1405:
- 168 -1503: - 335 - 1670: - verso 364 - 455 - 1790: - 476 - 1811.
T. LINDER, p. 115; si giunge a Huss: S. GARRATT, A Comm., pp 186,187; M. GRANT, Divine, p. 16,17; C. GROSS, Témoins, 28 pp.; W. HALES, A new, vol. II, 2a ed., pp. 493,522,524; vol. III, p. 558 HEWITT, The Seer, p. 417; E. HEYCOCK, p. 366; E.D. HOPKINS, World, pp. 3,34; R.A. WATKINSON, p. 7; G.S. FABER, The second, vol. II, p. 318; Isaac Abravanel, Praeco, 1711, pp. 561-563; P. NICOLAI, Opera, vol. II, p. 121; Anonimo, Traté, 1679, pp. 33,34; W. BURNET, pp. 104-128,166; J. PURVES, vol. I, p. 12,50; vol. II, pp. 3.4.6;
Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 6
S. BLISS, Incons., p. 61; L.R. CONRADI, Whoso, p. 44; C. FRENCH, p. 4; L.E. LINCOLN, p. 125; J. LITCH, Proph. Expos., vol. II, p. 130; Adv. Her., 27 novembre 1844, p. 2; J.G. MATTESON, pp. 407,408; L. van DOLSOM, The 1335 days, in Ministry, dicembre 1963, pp. 31,32,35; J. VUILLEUMIER, Les Prophéties, p. 383; M.C. WILCOX, Signes, 7marzo 1942, pp. 7,8; - 510 - 1845: J. LITCH, Adv. Her., 27 novembre 1844, p. 2; - 519 - 1854: J. CUMMINGS, carta profetica; - 520 - 1855: M.L. CLARK, pp. 24,25; - 1854/1855: F.H. BERICK Fulfilment, e COUCH, pp. 56,57; - 529/533 - 1864/1868: J. THOMAS, Elpis, 4a ed., 1827, p. 323; - 532 - 1867: W. PILE, 1867, p. 16; - 533 - 1867: R.C. SHIMEALL, Age of the World, 1842, p. 170; - 533 - 1868: E. IRVING, Babylon, pp, 129-148; R.C. SHIMEALL, Age of the World, 1842, pp. 261,270; W.C. THURMAN, Our Bible, 3a ed., pp. 129,207,208; - 537 - 1797: T. CRINSOZ, Abrégè, pp. 31-37; - 580 - 1915: A.E. HATCH, p. 134; - 599 F. NOLAN, The chronol., pp. 153-155; - 606 - 1941: Anonimo, Scheme, p. 182; J.I. HOLMES, The Revelation, vol. II, pp. 440-443; M.C. TREVILIAN, pp. 417,418; - 610 -1945: J.P. BRISSET, pp. 76,77; - 622 - 1957: B.L. BATESON, p. 20; B.C. MOWLL, The night, p. 37; J.B. NICKLIN, Divine, p. 43; J. MEIKLE, Coming, pp. 85-95, pensava che nel 1957 sarebbe cominciato il regno millenario che sarebbe durato 360.0000 anni solari; - 628 - 1963: G.G. RUPERT, Time, 3a ed., p. 95; - 636 - 1971: S. HARDY, p. 52; de ROUGEMONT F.C., pp. 40,41; PAYRAUBE, Essai, 2a ed., pp. 161,162; W.P. GOARD, p. 170: 636+1335 anni lunari; - 637 - 1972: J.A. BATTENFIELD, p. 190; - 666 - 1956+45=2001: A. MADROLLE, p. 244; G.A. ROSSELET, L’Apocal., vol. II, p. 216; - 795 - 2130: E. HUNTINGFORD, 1895, p. 65; - 843 - 2178: C.H. LAGRANGE, Concord., p. 89; - 1099 - 2434: G. BURTON, Suppl., 1768, p. 66; - verso 1799: H.J. ARCHER, p. 53; -1407 - 2742: R. FLEMING, Apocalypt., p. 57; - 508
- 1843:
Martin LUTHER, Das Zwölfe Cap. Danielis, Regensburg 1560, pp. 75-82, faceva partire i due periodi 1290 e 1335 dalla fine della 70a settimana del capitolo 9 e li faceva scadere nel 14o anno del regno di Luigi IV imperatore dal 1328 al 1347, dunque nel 1341, e al 23o anno del regno di Carlo IV, imperatore dal 1355 al 1378, dunque nel 1377.
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Quando la profezia diventa storia
Appendice n. 7 APOCALISSE: AUTORE - CANONICITÀ - DATA DI COMPOSIZIONE - SCOPO RAPPORTO CON ANTICO E NUOVO TESTAMENTO Autore L’Apocalisse, a causa del suo genere letterario, è stato il libro della Bibbia, e in particolare del Nuovo Testamento, più discusso. Ernesto Kasemann, che è considerato tra i massimi teologi tedeschi contemporanei, a proposito della paternità dell’Apocalisse scrive: «Il problema dell’autore degli scritti giovannei è stato dibattuto appassionatamente durante un secolo, ma senza risultati definitivi. Il cerchio di coloro che mantengono l’autenticità apostolica…, si restringe sempre di più… Appare sempre più problematico che l’Apocalisse possa avere lo stesso autore dell’Evangelo e delle Epistole…» (Ernest KASEMANN, Exegetische Versuche und Besinnungen, I, XX, Goettingue 1964, p. 169; cit. da BRÜTSCH Charles, La clarté de l’Apocalypse, Genève 1966, p. 399). Lo stesso autore scrive: «Degli autori dei vangeli, degli Atti e dell’Apocalisse conosciamo solamente il nome. È ormai certo che non si tratta di discepoli del Gesù terreno…» (Appello alla libertà, ed. Claudiana, Torino 1972, p. 130). Questa posizione così assoluta non riteniamo sia valida. Basandosi su presupposti tuttora poco sostenibili, si consideravano le visioni dell’Apocalisse avvenute in date diverse. I più intransigenti negavano la paternità apostolica mentre i più moderati accettavano la paternità di alcuni brani cuciti assieme, da un autore cristiano, a una apocalisse anonima di un giudeo anonimo. Ognuno di questi teologi ha una sua posizione critica, ma le varie critiche «si contraddicono mutualmente quando si tratta di dire quali siano state le sorgenti e in che cosa siano consistiti questi rimaneggiamenti» (BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, L’Apocalypse, 3a ed. rivista ed aumentata da Alfred SCHRŒDER, Lausanne 1905, pp. 318, 319). A. HIRSCHT, (Die Apocalypse und ihre neueste Kritik, Leipzig 1895) ha dimostrato molto bene come i critici si refutino a vicenda. Ugualmente però si scrive: «Si ammette abbastanza comunemente oggi che essa ripresenti sotto la sua forma attuale il rimaneggiamento critico di uno scritto fondamentale giudeo, o almeno che l’autore cristiano ha assolutamente utilizzato degli elementi giudaici» (M. SIMON, Retour du Christ et réconstruction du temple dans la pensée chrétienne, extr. de Mélanges; M. GOGUEL, Aux sources de la tradition chrétienne, Neuchâtel 1950, p. 254, cit. da C. Brütsch, o.c., p. 402). Contro questa posizione è sufficiente constatare l’uniformità di linguaggio in tutte le sue parti. Il cattolico ALLO Ernest Bernard Marie, professore all’Università di Fribourg, nella sua opera S. Jean, l’Apocalypse, 3ª ed., Paris 1933, dopo aver considerato nelle pagine CXLIVCLXX il vocabolario, la grammatica, gli articoli, gli aggettivi pronominali, i pronomi, i verbi, le forme verbali, la particolarità della sintassi, le preposizioni e le congiunzioni, lo stile, conclude: «Vogliamo ora formulare qualche apprezzamento d’insieme? Prima di tutto, la lingua e lo stile sono uno… » (p. CLXIX). «Noi possiamo parlare dell’Apocalisse come di un libro dovuto ad un solo autore» (p. CLXIV). «L’Apocalisse è certamente di una sola mano, e costruita su un piano rigoroso, scritta in un linguaggio notevole, unico in tutta la letteratura… L’unità d’autore è un fatto acquisito dalla vera critica oggettiva» (p. CLXXIX).
APPENDICE N. 7
Contrariamente alle speculazioni moderne «è costante che durante il II secolo fino alla metà del III, l’Apocalisse era universalmente considerata come l’opera dell’apostolo S. Giovanni, dalla Chiesa greca come dalla Chiesa latina in Asia Minore come in Africa e nelle Gallie» (abate CRAMPON Auguste-Joseph-Théodore, La Sainte Bible, t. V, L’Apocalypse de S. Jean, rivista dal gesuita P. A. PIFFARD, Paris 1904, p. 418). Sebbene non tutti gli scrittori del II secolo la citino, è comunque molto conosciuta. Nel commentario sull’Apocalisse di Andrea di Cappadocia (VI secolo), si menziona Papia (65-130), vescovo di Gerapoli, come una persona che ha ascoltato Giovanni al quale attribuisce la paternità dell’Apocalisse. Giustino martire (100-165), che abitava ad Efeso nel 135, dove l’apostolo visse per diversi anni, nel suo Dialogo contro (il giudeo) Trifone, 81: 4, scritto tra il 150 e il 160, diceva: «Anche fra noi, un uomo di nome Giovanni, uno degli Apostoli di Cristo, avendo avuto una rivelazione (Apocalisse), ha predetto che coloro che hanno creduto al nostro Cristo si rallegreranno mille anni in Gerusalemme, e che dopo questo avverrà la resurrezione generale ed eterna». Ireneo (132-200), discepolo di Policarpo che era stato discepolo di Giovanni, nato a Smirne, chiama l’autore dell’Apocalisse «Giovanni, discepolo del Signore» (Contro gli Eretici, II, 22, 5; III, 3, 4; IV, 20, 11; 30: 4; V, 26, 1; 35, 2). Difendendo l’esattezza del numero 666 contro la variante 616, si appella «alla testimonianza di coloro che hanno visto Giovanni faccia a faccia» (o.c. V, 30, vedere anche 35). (Vedere Eusebio, Histoire ecclesiastique, V, 8). Ireneo è testimone delle lettere che la Chiesa di Lione e di Vienna nel Delfinato scrivono alle Chiese dell’Asia a causa delle persecuzioni del 177. Queste Chiese prendono a prestito delle immagini dell’Apocalisse: «Questa persecuzione è l’opra della bestia» (Eusebio, o.c., V, 1, chiaramente si menziona il capitolo 13 di Apocalisse). Coloro che la subiscono sono «i fedeli di Cristo che seguono l’Agnello dovunque egli vada» (Apocalisse 14:4), rifiutando con umiltà il titolo di martiri, di testimoni, riservandolo a Cristo «il testimone fedele e verace, il primogenito tra i morti, il principio della creazione di Dio» (Apocalisse 1:5; 3:14). Il sangue sparso «eccita sempre di più il furore dei legati e del popolo, simile alla collera d’una bestia», non ci si deve stupire di questo, poiché vi si vede la realizzazione della profezia «affinché la Scrittura sia compiuta». E la «Scrittura» non è altro che la dichiarazione di Apocalisse 22:11, riportata parola per parola. Nel 180 d.C., Melitone, vescovo di Sardi, consacra uno studio all’Apocalisse di cui conosciamo solamente il titolo: Sul Diavolo e sull’Apocalisse di Giovanni (Eusebio o.c., IV, 26). Clemente Alessandrino (150-215) ha commentato l’Apocalisse e dice che l’autore è Giovanni l’apostolo (Praed. B. II). Origene (185-253) ne spiega diversi passi e considera l’apostolo Giovanni come l’autore dell’Apocalisse, dell’Evangelo e della prima lettera. Tertulliano in Africa cita sovente l’Apocalisse come opera di Giovanni. Ippolito (prima metà III secolo), discepolo di Ireneo, ha fatto un commentario sull’Evangelo e sull’Apocalisse di Giovanni del quale possediamo solamente alcune citazioni. Il primo commentario completo sull’Apocalisse è di Vittorino, vescovo di Pettau, un Siro, morto martire sotto Diocleziano nel 303. Attribuisce la paternità di questo scritto a Giovanni l’evangelista. Nel II secolo iniziano le prime opposizioni all’Apocalisse e sono causate da motivi di ordine dottrinale. L’eretico Marcione (85-160) attribuisce gli scritti di Giovanni a Cerinto.
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Caio, oscuro prelato romano, verso il 211, nella sua polemica contro il montanista Proclus, pretende che il libro sia stato scritto da Cerinto con il nome di Giovanni. Egli ritiene carnale la visione del millennio, perché non la capì, e quindi ne negò l’autenticità. Contro di lui si levò Ippolito. Il critico più moderato, ma più penetrante, fu Dionigi di Alessandria (247-265) discepolo di Origene (250 d.C.). Il motivo di questa sua critica fu perché alcuni vescovi d’Egitto, di cui il principale era Nèpos d’Arsinoè, volendo reagire all’allegoria spinta di Origene, cadde nell’eccesso opposto interpretando letteralmente alcuni passi dell’Apocalisse, avvicinandosi al grossolano millenarismo giudaico. Dionigi, anziché dare una spiegazione più sana di quei passi e confutare sia Origene sia Nèpos, sostenne che l’Apocalisse non era né di Giovanni né di Cerinto, ma di un altro Giovanni la cui tomba era ad Efeso accanto a quella dell’Apostolo. Dionigi, pur non considerando l’Apocalisse opera dell’Apostolo, non ne negava però l’ispirazione. «Giovanni autore dell’Apocalisse è un uomo santo e ispirato da Dio. Ma io non accettai facilmente che questi fosse l’Apostolo» (Cit. da Oscar CULLMANN, Le Nouveau Testament, ed. PUF, Paris 1967, p. 113). Per dimostrare questo cercò di appoggiarsi sulle differenze che ci sono con i principali scritti dell’Apostolo. Questa posizione di Dionigi non ebbe successo in Egitto, dove l’Apocalisse continuò a far parte del canone, ma ebbe successo in alcune Chiese della Palestina e della Siria dove venne anche tolta dalla versione Piscitta, benché il grande dottore Efrem l’avesse letta e considerata sacra scrittura, attribuendone i passi a «Giovanni il teologo» e «Apostolo» (Efrem, Œuvres Grecques, II: 194, 248). Scrive J.L. D’Aragon: «Sotto l’influenza di Atanasio tuttavia viene lentamente conseguita nell’Oriente una certa unanimità. In Occidente non sorgono vere difficoltà e l’Apocalisse, come l’evangelo e le tre lettere sono accettatti come opera dell’apostolo Giovanni. Contro tale unanime accordo nessuna obiezione è sollevata fino al secolo XVI. Poi Erasmo rimette in questione l’identità dell’autore dell’Apocalisse, dell’evangelo e delle tre lettere. Per Lutero l’Apocalisse non è apostolica né profetica. A partire dalla fine del XVIII secolo gli esegeti tendono sempre più a negare l’origine apostolica dell’Apocalisse e il suo rapporto con l’evangelo di Giovanni» D’ARAGON Jean Louis, L’Apocalisse, in Grande Commentario biblico Queriniana, ed. Quiriniana, Brescia 1973, p. 1440.
Obiezioni alla paternità di Giovanni l’Apostolo 1. Nell’Evangelo e nelle epistole Giovanni non menziona il suo nome mentre in Apocalisse lo presenta quattro volte (1:1,4,9; 22:8). 2. L’autore parla spesso di apostoli, lui non si presenta come tale, ma come profeta (Apocalisse 22:9). 3. Come apostolo pone il suo nome sulle fondamenta della città celeste, nuova Gerusalemme (Apocalisse 21:4), atteggiamento questo di presunzione. 4. Diversità di linguaggio tra l’Evangelo e l’Apocalisse, e quindi questi due scritti non possono essere dello stesso autore. A queste obiezioni si può rispondere: 1. Era necessario che Giovanni presentasse il suo nome. Nel momento in cui redigeva questo scritto viveva in un ambiente diverso da quello dei suoi destinatari e quindi doveva dar credito al suo scritto. Precisava il suo nome sia a testimonianza delle visioni ricevute sia anche in contrapposizione alle false apocalissi che circolavano già alla fine del primo secolo con pseudonimi o anonime.
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2. Se fosse stato un anonimo che avesse voluto farsi passare per apostolo sarebbe stato senz’altro più preciso. I suoi destinatari sapevano bene che il suo nome, Giovanni, si identificava con l’apostolo. Se si presenta come profeta è perché si considera investito per tale missione e deve far conoscere una rivelazione ricevuta. 3. Questa obiezione contraddice la precedente. Giovanni, riportando la visione avuta, non poteva tacere quanto visto a meno di peccare di falsa modestia. 4. Se è vero che il greco dell’Evangelo è classico mentre quello dell’Apocalisse è corrotto, i motivi sono diversi. Giovanni usa il linguaggio del popolo, dell’Asia preconsolare, quello che forse usava nelle sue predicazioni. La ragione principale sta nel fatto che l’autore dell’Apocalisse scrive sì in greco, ma pensa in ebraico. Che la sintassi della frase sia in aramaico e lo scritto in greco lo si riconosce nelle ripetizioni dei parallelismi, nelle scarse varianti nelle forme di transizione e riproduzioni letterali di ebraismi. Non si devono sottovalutare le diverse condizioni ambientali nelle quali questi due scritti vengono composti. Giovanni scrive l’Apocalisse a Patmo, è in esilio, in prigione, forse deve compiere anche dei lavori forzati. Scrive le sue visioni forse anche clandestinamente, di getto e con il linguaggio che conosce. L’Evangelo, per contro, è scritto nella tranquillità di Efeso e molto probabilmente Giovanni si è fatto aiutare nella redazione e nella revisione linguistica. Inoltre la diversità di linguaggio tra l’Evangelo e l’Apocalisse è data anche dalla diversità del genere letterario usato per i due scritti. Il genere apocalittico è più complesso di quello storico e narrativo dell’Evangelo. Contrariamente a quanto generalmente i critici scrivono, tra le due opere c’è una comparazione di vocabolario più grande di quanto non si creda, constata E. A. Allo (o.c., pp. CXLIV-CLXX, CXCIXCCVI). Il fatto che in una medesima visione ci siano i tempi verbali al presente, al futuro e a volte al passato, manifesta la caratteristica del linguaggio dei profeti. «Anche leggendo in una traduzione alcuni passi come Apocalisse 1:1,2,4-8; 2:1-5; 3:19-22; 5:9-14; 7:9-17; 21:1-6; 22, bisogna, secondo l’espressione di un grande critico, avere l’orecchio pesante per non riconoscere il suono cristallino della voce di Giovanni» (L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 323). L’Apocalisse descrive la lotta tra il bene e il male servendosi di immagini; l’Evangelo la descrive in forma morale con le parole: luce, tenebre; verità, menzogna; vita, morte. «L’autore dell’Apocalisse è proprio lo stesso dell’Evangelo e delle Epistole, cioè Giovanni figlio di Zebedeo. La tradizione è moralmente unanime nell’affermarlo. La critica interna lo conferma. Poiché la filologia, a dispetto di un certo numero di particolarità divergenti nella grammatica - e il vocabolario soprattutto stabilisce l’esistenza di una lingua giovannea comune, la comparazione delle dottrine (logos, punti di vista sintattici, trascendenza dell’escatologia), rivela almeno una scuola di pensiero giovannea. La critica propriamente letterale ci porta più lontano; essa ci fa scoprire una immaginazione giovannea spontanea e un’arte giovannea riflettuta, talmente unite, talmente personali, che rendono inverosimili l’attribuzione dei diversi scritti giovannei a due omonimi. All’opera si conosce l’operaio; questo operaio è unico, è colui che la tradizione ha indicato sempre, quando dei pregiudizi dottrinali non lo fanno deviare dalla sua linea anteriore» (E. Allo, o.c., p. CCXXI). Osserva l’abate A. Crampon: «Se dunque l’Apocalisse canonica è pseudonima, essa sarebbe stata attribuita a S. Giovanni quando ancora era vivente, o subito poco tempo dopo la sua morte; ma è concepibile che il falsario abbia avuto l’ardire di indirizzare la sua opera apocrifa precisamente alle sette chiese che erano state in rapporto intimo con l’apostolo Giovanni, in mezzo alle quali aveva passato gli ultimi anni della sua lunga vita?» (A. Crampon, o.c., p. 419). «Avendo esaminato l’ipotesi della pseudonomia, CHARLES conclude in modo perentorio: “Non esiste la minima prova, nemmeno l’ombra di una probabilità, in favore dell’ipotesi che 1038
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l’Apocalisse sia uno scritto pseudonimo” (Revelation, vol. I, p. XXXIX). La tesi della tradizione secondo cui l’autore di tutti gli scritti giovannei è uno solo ed è un apostolo è così antica e copiosa che è impossibile rigettarla completamente. Sembra estramamente difficile spiegare come tutte le testimonianze del II secolo possono essere state erronee» J.L. D’Aragon, o.c., p. 1441.
Canonicità Sebbene in Oriente fino al V secolo ci fossero delle discussioni sulla sua canonicità, in Occidente fu sempre accettata. Il Canone di Muratori la riporta come canonica e, sebbene Eusebio (o.c., III, 25), avesse delle riserve, la pose nel Canone della Sacra Scrittura. Col tempo anche gli Orientali più refrattari finirono per accettare la canonicità di questo libro secondo la convinzione unanime della Chiesa universale. E. Allo scrive: «Tutte queste opposizioni non derivano che dai pregiudizi di un periodo di lotte intense, in cui certi ortodossi non avevano capito l’Apocalisse» (o.c., p. CXCVI). Sintetizziamo con le parole del cattolico E. Allo e del protestante Ch. Brütsch la storia della canonicità: «Nessuna difficoltà di rilievo in Occidente, dove l’Apocalisse fu sempre ammessa come ispirata in tutte le Chiese. Dopo il Canone di Muratori, testimonianza romana del II secolo, tutti gli autori ecclesiastici che ebbero a parlarne… sono d’accordo». In Oriente l’intesa non si realizza che laboriosamente: «La Chiesa d’Antiochia, nonostante le critiche e i dubbi di S. Dionigi, ha sempre ritenuto l’Apocalisse nel suo canone» (E. Allo o.c., p. CCXXXII), «benché diversi autori come Crisostomo, Teodoro di Mopsueste, Teodoreto, Cirillo di Gerusalemme non la citino mai e altri come Eusebio, esitino a pronunciarsi; i cappadoci, Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa, per contro l’ammettono. La versione ufficiale, la Pescitta, come la versione aramea, V secolo, l’ignorano; i Nestoriani lo stesso. La Chiesa greca, nel suo insieme, fu lenta a determinarsi. I commentatori di Andrea di Cesarea, VI secolo, di Ecumenio (verso il 600) e di Areta di Cesarea (X secolo) contribuirono a farla conoscere positivamente. Il concilio di Trullo, 691, 692, l’ammise. Benché Potio (IX secolo) non l’abbia raccolta nel suo “Nomocanone”, l’Apocalisse ha il suo posto assicurato nella Chiesa ortodossa fin da NICEFORE CALLISTO, XIV secolo e CIRILLO LUKARIS, XVII, l’accettavano definitivamente. Mentre il concilio di Trento l’ha raccolta senza tergiversazioni nel suo Decreti delle Sante Scritture, promulgato l’8 aprile 1546, da parte protestante ci fu qualche risucchio, come presso Lutero, e soprattutto presso Zwinglio. Ma l’Apocalisse figura in tutte le Bibbie protestanti fin dal XVI secolo» (C. Brütsch, o.c., p. 441). «Le confessioni di fede riformate sono unanimi nel mettere questo libro tra quelli canonici» (L. Bonnet, o.c., t. IV. p. 322). Data di composizione Coloro che attribuiscono a Giovanni l’Apocalisse sono influenzati dai loro preconcetti nel datare quest’opera che deducono secondo la spiegazione che vorrebbero sostenere: - 41-54 sotto l’imperatore Claudio - 54-68 sotto l’imperatore Nerone - 68-69 sotto l’imperatore Galba - 69-79 sotto l’imperatore Vespasiano - 81-96 sotto l’imperatore Domiziano Quando la profezia diventa storia
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«Se alcuni esegeti dei nostri giorni pongono la redazione dell’Apocalisse prima della distruzione di Gerusalemme, nell’anno 69, è unicamente perché il loro sistema d’interpretazione esige questa data» (A. Crampon, o.c., p. 422). «Io, Giovanni, vostro fratello e partecipe con voi della tribolazione, del regno e della costanza in Gesù, ero nell’isola chiamata Patmo a motivo della parola di Dio e della testimonianza…» (Apocalisse 1:9). «Ora tutta l’antichità ecclesiastica, da S. Ireneo a S. Clemente d’Alessandria fino a Eusebio e S. Gerolamo conobbe questo esilio dell’apostolo S. Giovanni a Patmo» (A. Crampon, o.c., p. 420). Ireneo verso il 150, a proposito del nome della bestia di Apocalisse 13:18, indica quando Giovanni ebbe la visione: «Se questo nome doveva essere chiaramente conosciuto nel nostro tempo, sarebbe stato pronunciato dallo stesso autore dell’Apocalisse, poiché non è molto tempo che (questa rivelazione) è stata vista quasi nella nostra generazione, verso la fine del regno di Domiziano» (Contro gli eretici, V, 30, 3). Eusebio assegna l’esilio nel XIV anno di regno di Domiziano (Eusebio, Cronologie). «Secondo Gerolamo (De vir. Illus., IX) Giovanni era stato deportato quattordici anni dopo la persecuzione di Nerone, cioè nel 94 della nostra era, e sarebbe stato liberato due anni più tardi alla morte di Domiziano, nel 96. Questo genere di punizione (esilio), corrente sotto il regime romano, colpiva i personaggi politici dei quali si voleva neutralizzare l’influenza. Nello stesso tempo il deportato perdeva tutti i suoi diritti civili, e tutte le sue proprietà; diventava un cittadino senza patria» DOUKHAN Jacques, Le cri du ciel, Dammarie les Lys 1996, 28. «Noi crediamo che la critica interna confermi la testimonianza di Ireneo, e la tradizione comune; e che, per conseguenza, l’esilio a Patmo e la composizione dell’Apocalisse siano avvenute negli ultimi due anni di Domiziano» (E. Allo, o.c., p. CCXXII). Domiziano Tito Flavio, figlio di Vespasiano e fratello di Tito, nacque a Roma nel 51, fu imperatore dall’81, morì nel 96.
Scopo Con la venuta del Salvatore sulla terra, con la sua morte e resurrezione, le profezie dell’Antico Testamento si realizzarono almeno nei loro dati principali. La predicazione dell’Evangelo si compie, sorge la Chiesa, varie comunità si costituiscono in tutto l’Impero e le difficoltà colpiscono sin dall’inizio i primi cristiani. Avendo accettato Cristo, si esperimenta la gioia della salvezza; e sebbene la croce sia un punto di riferimento preciso e chiaro nella storia della salvezza, essa rimane sempre scandalo per i giudei e pazzia per i pagani. Il Cristo deve ritornare, lo aveva insegnato e promesso, gli Apostoli lo avevano predicato ripetutamente, ma quasi due generazioni erano trascorse da quando Gesù era salito in cielo. Di fronte alle difficoltà contingenti: il culto all’imperatore raggiungeva l’universalità, era imposto e sempre più il cesare era accettato come signore e salvatore terreno; il panteismo pagano si fondeva con gli interessi politici ed economici; l’opposizione alla Chiesa non era più solamente ad opera dei Giudei, ma anche dei gentili; «la beata speranza», il trionfo dell’Evangelo, della verità, poteva svigorirsi nella mente dei cristiani anche se gli Apostoli avevano già scritto nelle loro lettere i destini futuri e gloriosi che la Chiesa avrebbe avuto. È in questo clima di difficoltà e di speranze che Dio prende l’iniziativa. Tramite Cristo Gesù che invia il suo angelo, fa pervenire a Giovanni la sua Rivelazione sul futuro, su quanto 1040
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«deve avvenire in breve» (Apocalisse 1:3), attraverso quali difficoltà la Chiesa dovrà passare e come il piano della salvezza si realizzerà. Il soggetto dell’Apocalisse è il trionfo definitivo di Cristo su Satana, anche tramite la sua Chiesa. «L’Apocalisse resta, per la Chiesa di tutti i tempi, la sorgente alla quale può attingere la consolazione e gli incoraggiamenti di cui essa ha bisogno nei giorni della prova» (L. Bonnet, o.c., t. IV, p. 346). «L’idea divina che sussiste, la nota forte e vibrante che attraversa tutto il libro, è quella di una immortale speranza… Il mondo può ben scatenarsi con rabbia contro la Chiesa, Cristo regna e distruggerà la potenza insolente degli avversari e dei persecutori… La Chiesa della nostra epoca ha bisogno, come quella delle origini, di temprarsi al contatto di queste pagine forti e virili. Così possiamo dire che, come scritto parenetico dirigendo gli sguardi verso l’avvenire e nello stesso tempo in cui afferma le esigenze della giustizia divina, l’Apocalisse di Giovanni conserverà in tutti i tempi il suo alto valore religioso…» (BOVON J., Théologie du Nouveau Testament, t. II, 2ª ed., p. 477). Rapporto con l’Antico e il Nuovo Testamento «Non c’è nessun commentatore che non abbia fatto rilevare la stretta relazione che esiste tra l’Apocalisse e l’Antico Testamento» (C. Brütsch, o.c., p. 411). «L’Apocalisse di S. Giovanni potrebbe essere definita, fino a un certo punto: una rilettura dell’Antico Testamento alla luce dell’avvenimento del cristianesimo. A questo proposito non ci sono libri nel Nuovo Testamento che siano più interessanti e suggestivi» (FEUILLET André, L’Apocalypse, état de la question, Paris 1963, p. 65). «Nessuno dei libri del Nuovo Testamento presenta con l’Antico affinità così complesse come l’Apocalisse di S. Giovanni. Dal solo punto di vista verbale, nessun altro tra loro ne trascrive un così grande numero di frammenti. Essa utilizza soprattutto i libri profetici, ma non attinge meno dal Pentateuco e dagli Scritti. Nel corso della lettura si possono rilevare circa 47 elementi tolti al libro di Isaia, 45 da Daniele e 55 da Ezechiele, ma non si trovano meno di 33 reminiscenze dall’Esodo e dai Salmi. Essa prende a imprestito 24 libri dell’Antico Testamento. In totale, si può stimare che la settima parte della sua sostanza è costituita dalle parole dell’Antico Testamento. Ma Giovanni non trascrive una sola volta un passo della lunghezza corrispondente a due versetti. È pure molto raro che le sue reminiscenze coprano un versetto intero» (LESTRINGANT Pierre, Essai sur l’unité de la Révélation Biblique, Genève, Paris 1942, p. 148). Il Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, A. Westphal, t. I, p. 213, articolo Citation de l’Ancien Testament dans le Nouveau Testament, fa rilevare che 453 sono il numero delle reminiscenze dell’Antico Testamento. I libri particolarmente citati sono: Ezechiele del quale utilizza 23 capitoli su 48 e Daniele del quale cita 9 capitoli su 12. Il capitolo 7 è citato 12 volte. «L’Apocalisse, scritta dall’apostolo S. Giovanni, è una ricapitolazione, una concordanza e un rinnovamento di tutte le antiche profezie che si devono compiere di nuovo, dal tempo nel quale Giovanni scrive fino alla fine del mondo» (Abate Jean-Baptiste le SESNE De MENILLES d’ETÉMARE, Histoire de la Religion representée dans les Ecritures Sainte sous divers symboles, t. II, Paris 1862, p. 244). «Tutte le bellezze della Scrittura sono riunite in questo libro: tutto ciò che c’è di più toccante, di più vivo, di più maestoso nella Legge e nei Profeti vi riceve un nuovo splendore, e ripassa davanti ai nostri occhi per riempirci delle consolazioni e delle grazie di tutti i secoli» (Jacques Bénigne BOSSUET, L’Apocalypse avec une explication, Paris 1689, prefazione p. 5). Quando la profezia diventa storia
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«L’Apocalisse è, in un certo senso, il suggello della profezia, l’ultima parola d’Israele» (Ernest RENAN, L’Antichrist, ed. Galmann-Levy, Paris 1873, p. 462). Per quanto riguarda i rapporti con gli altri scritti degli Apostoli, «Giovanni non riprende mai da nessuna parte la testimonianza del Nuovo Testamento letteralmente, ma la modifica in tutta libertà… Così noi ritroviamo la dipendenza dell’autore nei confronti di tutto il messaggio neotestamentario, e nello stesso tempo la sua libertà nei suoi confronti. Da nessuna parte prende un soggetto senza ricrearlo nello stesso tempo» (R. HALVER, Der Mythos im letzen Buch der Bibel, Hambourg 1964, p. 70; cit. C. Brütsch, o.c., p. 417).
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Appendice n. 8 APOCALISSE: GENERE LETTERARIO La parola «apocalisse» viene dal verbo greco “apocaluo” che significa rivelare, svelare. Suppone cose nascoste che vengono fatte conoscere.
Letteratura apocalittica «Si indica con il nome “apocalittica” una letteratura religiosa fiorente, soprattutto in mezzo al popolo giudaico, intorno all’era cristiana. Essa è di natura escatologica, cioè ha lo scopo di svelare l’avvenire riservato da Dio alla nazione giudaica e agli altri popoli della terra… Le rivelazioni delle apocalissi non hanno riferimento alla vita religiosa e morale delle persone, alla salvezza delle anime, ma alle cose ultime e alle catastrofi che accompagneranno la fine del mondo. Gli scrittori apocalittici pretendono di attingere le loro aspirazioni e i loro oracoli non dallo studio e dalla meditazione solitaria, ma da un contatto diretto con Dio e con i suoi angeli. È tramite visioni ed estasi che entrano in possesso delle verità soprannaturali. Per dare alla loro opera un grado superiore di certezza e di autorità, essi ne attribuiscono la redazione a uomini rinomati per la loro pietà e saggezza nella storia d’Israele, e specialmente a quelli dei tempi più lontani… Lo pseudonimo è un segno distintivo dell’apocalittica» (Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, A. Westphal, t. I, Paris 1932, p. 66). Il genere apocalittico, quale forma di rivelazione divina, ha la sua origine in Gioele, Ezechiele, Daniele e Zaccaria. I brani apocalittici di Isaia 24-27 vengono chiamati la “piccola Apocalisse”, mentre 34,35, la “grande Apocalisse”; anche 63:1-6 è nello stesso stile. Fiorisce come stile letterario del popolo, non come rivelazione di Dio, nei periodi più difficili d’Israele, II secolo a.C., durante la persecuzione di Antioco Epifane IV e negli anni che precedettero la distruzione di Gerusalemme e ai tempi di Barkokeba nel 135 d.C.. In questa letteratura apocrifa non si può non vedere l’influsso babilonese. Questo genere letterario si trova in India, nell’Iran preislamico, in Egitto e nell’ellenismo. Più tardi viene coltivato tra i cristiani e nell’Islam. Il tema centrale in questa letteratura è l’opera del Salvatore che verrà, il gran giorno in cui tutto ritornerà nell’ordine del regno celeste o paradisiaco. «A volte il genere letterario apocalittico è un pretesto per comunicare rivelazioni sulla legge, sul movimento delle stelle, sul significato della storia, sulla “geografia” del cielo, sul nome degli angeli o sull’aspetto di Dio. Spesso l’apocalittica antica si preoccupa di descrivere le cosiddette “età del mondo”. In India, per esempio, si contavano quattro età del mondo, ognuna di 3000 anni (l’idea poi è passata nel Buddismo e nel Giainismo)» (FASIORI Ivo, Quell’ultimo libro tutto pieno di speranza, in Siamo pieni di Speranza, a cura di Rolando RIZZO, ed. A.d.V., Falciani 1992, p. 19). Tra le opere letterarie ebraiche prima di Cristo possiamo segnalare: il Libro di Enoc detto anche Enoc etiopico, scritto tra il 170 e il 64 a.C., viene citato implicitamente nella I Tessalonicesi 5:3, in Ebrei 4:13, e in altri scritti, e una volta esplicitamente in Giuda 14; il Libro dei Giubilei (II secolo a.C.) chiamato anche Apocalisse di Mosè, il Testamento dei 12 Patriarchi (II e I sec. a.C.), i Salmi di Salomone (seconda metà I secolo a.C.), alcuni scritti di Qumran: il libro delle Dottrine Misteriose, la descrizione della Nuova Gerusalemme, la Preghiera di Nabonide, il rotolo di Melkisedech, e porzioni del Documento di Damasco, della Regola delle guerra, della Regola della Comunità; a ciò si devono aggiungere i libri sibillini i cui scritti aumentarono fino al V secolo d.C..
APPENDICE N. 8
Nel primo secolo dell’era cristiana si scrissero: l’Ascensione di Mosè, Adamo ed Eva, IV Esdra, l’Apocalisse di Baruch, l’Ascensione di Isaia, l’Apocalisse di Abrahamo, il Testamento di Abrahamo. La letteratura cristiana stessa produsse alcune opere: l’Apocalisse di Pietro (verso il 135), il capitolo 16 della Didachè (tra il 100-150), l’Assunzione di Isaia (100-150), il Pastore di Erma (150), il V e il VI libro di Esdra (200-300), l’Apocalisse di Tommaso, l’Apocalisse di Paolo (III secolo), che la Chiesa, molto presto, all’unanimità non riconobbe apostoliche.
Confronto tra la profezia classica e lo stile apocalittico Gli autori di entrambi gli scritti sostengono di avere ricevuto la propria rivelazione dall’Eterno. Le profezie classiche riguardano il presente e, se si proiettano nel futuro, hanno un legame stretto con il presente. La loro realizzazione è sovente condizionata dal comportamento, dalle scelte delle persone, dal popolo. Nella profezia apocalittica in genere e in quella biblica, il futuro non è condizionato, la profezia è una presentazione anticipata di ciò che sarà. Il maestro A. Vaucher spiega la differenza tra il genere apocalittico e il genere letterario delle profezie ordinarie, con queste parole: «Il profeta è un oratore sacro che si indirizza ai suoi contemporanei in un linguaggio semplice e accessibile a tutti, talvolta poetico, e con immagini che colpiscono. I suoi messaggi hanno un carattere circostanziale. Essi sono indipendenti l’uno dall’altro, e possono essere studiati separatamente. Dipingono l’avvenire in quadri sprovvisti di prospettive. L’elemento cronologico ne è quasi sempre assente. L’autore di una Apocalisse è uno scrittore ispirato che si indirizza principalmente alle generazioni future, in un linguaggio cifrato, per la cui spiegazione è necessaria una chiave. Idee e fatti sono avvolti da simboli. Le immagini apocalittiche hanno un carattere di universalità che manca generalmente ai profeti ordinari. Infine la cronologia vi occupa un grande posto» (VAUCHER Alfred-Félix, Les prophéties Apocalyptiques et leur interprétation, Collonges-sous-Salève 1972, pp. 7, 8). «Quando si confronta l’Apocalisse di Giovanni con gli altri libri di questa tendenza, si constata che nella sua forma essa appartiene indiscutibilmente a questo genere letterale. Ma su diversi punti, delle differenze sensibili si manifestano» (BRÜTSCH Charles, La clarté de l’Apocalypse, Genève 1966, pp. 415, 416). «Bisogna pertanto segnalare che (nell’Apocalisse di Giovanni) non incontriamo una sola citazione diretta di una delle altre apocalissi che ci sono conosciute» (MARXSEN Willi, Einleitung in das Neven Testament, 1963, p. 230, cit. da C. Brütsch, o.c., p. 415). Nel Nuovo Testamento, oltre all’Apocalisse, troviamo brani nello stile apocalittico in Matteo 24, Luca 21; Marco 13 che riportano il discorso escatologico di Gesù e in brani delle lettere di Paolo a: 1 Tessalonicesi 4:13-5:6; 2 Tessalonicesi 1:4-10; 3:1-12; 1 Corinzi 15:2028; nella lettera agli Ebrei 12:22-29; ecc.. Le differenze sensibili tra le apocalissi prodotte dal genio letterario ebraico e cristiano e quelle bibliche, in particolare di Daniele e di Giovanni, sono: - gli autori del testo sacro non si nascondono dietro il nome di persone importanti, conosciute, menzionano il proprio nome a più riprese; - Cristo Gesù è al centro di questi libri non solo per l’opera finale. Daniele ne annuncia la sua soppressione (8:11; 9:26). Il Messia glorioso di Giovanni è tale perché è stato precedentemente immolato e non è quello descritto nelle apocalissi giudaiche, è già venuto e ha vinto. Presentando il suo ritorno glorioso, Giovanni si riallaccia allo scritto di Daniele; 1044
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- le apocalissi bibliche, a differenza di quelle apocrife, non sono esoteriche, cioè comprensibili solamente per coloro che conoscono l’autore; - la differenza che c’è tra le apocalissi di Daniele e di Giovanni, e quelle extrabibliche è come la distanza che divide gli evangeli canonici da quelli apocrifi. Le apocalissi apocrife sono una caricatura di quelle bibliche; - mentre le apocalissi bibliche non sono sempre determinate dal momento storico in cui vive il profeta, quelle prodotte in ambito cristiano e particolarmente in quello giudaico sorgono in momenti di crisi sociali, politiche e religiose; - «negli scritti apocalittici giudaici apocrifi dei primi secoli a.C. si trova poi un “indurimento” delle pene finali dei pagani. Nasce in questi scritti l’idea delle “pene eterne” per i nemici del popolo di Dio. È la consolazione per coloro che soffrono a causa dei pagani: essi hanno la certezza che alla fine i loro nemici saranno puniti in eterno con atroci torture. Quest’idea è assente nelle profezia classica» (I. Fasiori, o.c., p. 21). Le pene eterne riflettono più il pensiero ellenistico, babilonese ed egiziano che la concezione della natura dell’uomo presentata dalla Bibbia. Se il genere apocalittico da Daniele era passato agli apocrifi, «con Giovanni la tromba apocalittica cambia di bocca. Un profeta cristiano la coglie e suona delle note nuove» (COUCHOUD P.L., L’Apocalypse, Paris 1922, p. 27). «Simile al libro di Giobbe, l’Apocalisse (di Giovanni) appartiene al genere epico. È l’epopea della lotta suprema tra Dio e Satana, per il possesso dell’umanità, come prezzo del combattimento. - Il quadro apocalittico è l’ultimo che abbia rivestito la profezia dell’Antico Testamento. Esso appare per la prima volta in una maniera completa in Daniele. È una serie di visioni… il cui oggetto essenziale è svelare lo sviluppo della storia dell’umanità al fine di preparare il popolo di Dio a traversare vittoriosamente le lotte terribili che devono precedere la fine delle cose. - L’Apocalisse di Giovanni riassume come in un quadro tutto il contenuto profetico degli insegnamenti di Gesù e delle rivelazioni apostoliche sulla fine delle cose» (GODET Frédéric, Études Bibliques, t. II, 3ª ed., Paris, pp. 286, 287, 288). La peculiarità del linguaggio apocalittico è il simbolismo. «La forma simbolica è già nella natura delle cose, ma essa serve a uno scopo perfettamente in armonia con il fine di questo genere di profezia. Bisogna che la volontà divina, nello stesso tempo si sveli, si veli, almeno fino ad un certo punto, davanti agli sguardi profani. È bene che l’uomo conosca l’avvenire e che pur tuttavia lo ignori, affinché sia obbligato a credere e a sperare ciò che è profetizzato… La forma simbolica risponde a questo duplice scopo, essa svela e vela contemporaneamente» (AUBERLEN Karl, Le prophète Daniel et l’Apocalypse de S. Jean, Lausanne 1880, p. 109). «KENNETH A. STRAND (Interpreting the Book of Revelation, Naples, Florida, 1979, pp. 25,26) riassume tre motivi per i quali gli scrittori apocalittici si servono di misteriosi simboli per presentare il loro messaggio: a) Protezione. Lo scrittore voleva proteggere la comunità a cui si rivolgeva. Presentando le verità in forma criptica, compresa solo dai membri della comunità, evitava che i persecutori potessero usare il suo scritto per trarre informazioni da usare contro i componenti della comunità stessa. b) Illustrazione più efficace. Come dice il proverbio: “Un’immagine è più eloquente di mille parole”. Un grafico riesce a spiegare semplicemente dati complessi. Lo stesso vale per i simboli apocalittici, che spesso rappresentano verità molto complesse in modo molto semplice.
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c) Uso tradizionale. Alcuni simboli venivano usati semplicemente perché erano diventati parte del bagaglio culturale tradizionale della gente, veri e propri “usi idiomatici”» (I. Fasiori, o.c., p. 27). Il simbolismo apocalittico biblico è spiegato nel testo stesso o trova il suo significato negli scritti di altri profeti. La spiegazione di questi simboli è stata da noi presentata nella presentazione del testo.
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Appendice n. 9 APOCALISSE: SISTEMI DI INTERPRETAZIONE A differenza di Daniele, al quale l’angelo dice: «Tu Daniele, tieni nascoste queste parole, e sigilla il libro sino al tempo della fine» (12:4), a Giovanni l’angelo dice: «Non suggellare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino» (22:10). Per sette volte (Apocalisse 1:1,3; 3:11; 22:6,7,10,20 - idea espressa indirettamente 6:11; 12:12; 17:10) si ripete nello scritto dell’apostolo lo scopo della rivelazione ricevuta: far conoscere le cose che «devono avvenire in breve». Come le profezie di Daniele coprono il tempo privo di rivelazione per il popolo d’Israele fino ai tempi della fine, così la rivelazione di Giovanni accompagna il credente dal tempo della chiesa apostolica fino al giorno del ritorno di Gesù, al suo regno millenario, ponendolo poi nella terra restaurata davanti all’albero della vita. Tre sono i sistemi di interpretazione dell’Apocalisse.
Preterista I commentatori che lo sostengono vedono la realizzazione delle rivelazioni di Giovanni al tempo dell’apostolo e per alcuni fino al III e IV secolo della nostra era. L’Apocalisse descriverebbe le lotte della Chiesa contro i pagani e i giudei e le conseguenti vittorie. Il primo autore che «applicò in una forma scientifica le visioni dell’Apocalisse alla storia della Chiesa primitiva, è un belga, Jean Henten, prima monaco ieronimita, poi domenicano e professore alla facoltà di teologia di Louvain», visse nel XVI secolo (RIGAUX Bèda, L’Antichrist et l’opposition au Royaume Messianique dans l’Ancien et le Nouveau Testament, Paris 1932, p. 343). Scrive il maestro A.F. Vaucher: «È Louis d’ALCAZAR (1554-1613) che ha perfezionato il sistema preterista, di cui sembra essere l’inventore. Si ha di lui un’opera sull’Apocalisse, pubblicata postuma, apparsa a Lione nel 1618, e ad Anversa l’anno successivo» (VAUCHER Alfred-Félix, in Revue Adventiste, 15 juillet - 1 août 1940). «S’impegna a dimostrare che S. Giovanni ha lo scopo di dipingerci il combattimento della Chiesa di Roma contro il giudaesimo e il paganesimo, e le numerose vittorie che essa deve riportare su questi due nemici. Dal 4° al 12° capitolo, Alcazar vede la rovina della Sinagoga, e dal 130 al 200 quella dell’idolatria. Dopo aver provato che la caduta di Roma è predetta nell’Apocalisse, questo autore sostiene che non bisogna intendere che si tratti della rovina materiale della città, ma della trasformazione di una Roma idolatra in una Roma cristiana. È verso questo scopo che tendono in questo commentario i penosi e inutili sforzi di Alcazar» (DRACH David Paul, L’Apocalypse, Paris 1873, p. 35; cit. A.F.Vaucher, Idem). «Fu soprattutto Bossuet (1627-1704) che donò una grande celebrità a questo sistema d’interpretazione, che egli adottò, modificò ed espose magnificamente in un’opera speciale “L’Apocalypse avec une explication”, Paris 1689. L’autorità dell’illustre prelato, non meno che gli argomenti che ha saputo far valere, acquistarono al suo commentario un gran numero di aderenti, fra i quali si contano esegeti capaci, come Dupin, Calmet, Lallemant, Bacuez, in Francia; in Germania Hug, Stern, Allioli, Scholz, Aberle. Tra i protestanti, diversi adottarono
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questo sistema di spiegazione, come Grotius e Wetstein» (Dictionnaire de la Bible di Vigouroux; t. I, Paris 1923, col. 751, 752). Sebbene «il sistema preterista spiega in maniera soddisfacente certe porzioni dell’Apocalisse, tuttavia i suoi partigiani sono costretti a confessare che questo libro ha per soggetto principale il ritorno di Cristo, avvenimento ancora futuro. (Per questo motivo) sono in difficoltà nel giustificare il silenzio che la profezia avrebbe mantenuto sul periodo intermedio, che si estende dalla Chiesa primitiva alla consumazioni finale» (VAUCHER Alfred Félix, Les prophéties Apocalyptiques et leur interprétation, Collonges sous Salève 1972, p. 34. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto messo tra parentesi). I partigiani stessi di questo sistema hanno riconosciuto la sua debolezza. «Secondo Bossuet, l’Apocalisse ci descrive il giudizio di Dio sui nemici della chiesa nascente: gli Ebrei (capitoli da 4 a 8 incluso), gli eretici (capitolo 9:1-12), e soprattutto Roma pagana (capitoli 9:12 al capitolo 19 incluso). Il capitolo 20 si riporta direttamente agli ultimi tempi del mondo, che sono inoltre annunciati simbolicamente nel corpo della profezia: per esempio, la persecuzione romana è figura di quella dell’anticristo. Ma Bossuet si rifiuta di fare la minima ipotesi sulla maniera in cui le cose si svolgeranno in questo avvenire lontano» (Dictionnaire..., col. 1865). Bossuet scrive: «Del resto, io non pretendo per nulla di entrare qui in dettaglio su questo senso futuro: ma quel tanto che mi pare possibile, lo vedo come impenetrabile, almeno alle mie deboli luci» (J.B. Bossuet, o.c., prefazione, p. 46). Purtroppo è oggi il sistema più diffuso sia in ambito cattolico che protestante.
Futurista Questo sistema, a differenza del primo, considera la realizzazione dell’Apocalisse solamente nel lontano futuro, dove tutto sarà sempre possibile. Solamente i primi tre capitoli (lettere alle sette chiese) riguarderebbero il tempo apostolico. «Il metodo escatologico, inaugurato da qualche antico, fu ripreso nel XVIII secolo da François Ribera e propagato da Viegas, Bellarmino, Cornelius, Lapide, Menochius, Escobar y Mendoza e Sylveira» (B. Rigaux, o.c., pp. 365, 366). Lo stesso autore tra i sostenitori più recenti menziona: Zahn, Cornely, Corluy, Kohlofer, Verdunoy, Sickenberger. (Idem., p. 367). Secondo questo sistema «Nessuna profezia dell’Apocalisse si è realizzata fino a questo momento» (Dictionnaire de la Bible, Vigouroux, t. I. col. 752). «Coloro che hanno voluto spiegare tutta la Rivelazione con la storia dei primi tempi della Chiesa, o che l’hanno ristretta alla storia degli ultimi tempi, e coloro che l’hanno estesa unicamente ai primi e agli ultimi secoli, hanno lasciato sussistere una lacuna di quindici secoli. Niente meno che questo» (NEGRONI Bernardino, Dell’ultima persecuzione della Chiesa e della fine del mondo, t. I, Fossombrone, 1861, p. 158; cit. da A. Vaucher, o.c., p. 35). In prevalenza, nell’interpretazione evangelica fondamentalista, dal capitolo 4 in poi l’Apocalisse si realizzerà nei 7 anni che precederanno il ritorno di Gesù.
Tradizionale o storia continua Le posizioni precedenti sono troppo esclusiviste. Anche prendendole tutte e due assieme non si completano. Il problema rimane, troppi secoli di silenzio tra il sistema preteristico che 1048
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si rifà ai primi secoli e il sistema futuristico che proietta tutto nel lontano futuro. A Giovanni sono state fatte vedere le cose che si devono realizzare attraverso i secoli. Secondo il sistema che accettiamo, e che abbiamo esposto nel corso del nostro lavoro, «l’Apocalisse abbraccia tutta la storia della Chiesa» (Dictionnaire de la Bible, Vigouroux, t. I, col. 751). «Che l’Apocalisse sia la rivelazione profetica della storia del cristianesimo, non può essere oggetto di un dubbio; è il sentimento dei Padri, e il testo sacro, del resto, lo stabilisce chiaramente» (Abate MICHEL M. J., Histoire du bien et du mal depuis Jésus Christ jusqu’à la fin des temps d’après la Révélation de S. Jean, Lyon 1867, p. 4). Questo sistema si divide in due correnti. Ci sono dei commentatori che vedono nelle diverse rivelazioni avute da Giovanni delle profezie successive o consecutive e altri che vi vedono delle profezie parallele. Il francescano Pierre d’Auriole, morto nel 1322, «faceva una applicazione continua dell’Apocalisse alla storia della Chiesa, ogni visione corrisponde ad un’epoca diversa. La visione dei suggelli si estendeva fino a Giuliano l’Apostata; quella delle sette trombe fino all’imperatore Maurizio; quella del dragone e delle due bestie fino a Carlomagno; quella delle sette coppe, fino al regno dell’imperatore Enrico e alla conquista della Terra Santa dai crociati; quella della rovina di Babilonia fino al secolo dell’autore, dopo il quale pensava che l’anticristo sarebbe dovuto apparire» (BOVET François de, L’Esprit de l’Apocalypse, Paris 1840, p. 81). Edouard Reuss affermava: «Tutte le scene di dettaglio che il profeta fa passare sotto gli occhi dei suoi lettori si uniscono a un solo e stesso filo cronologico, che non si rompe da nessuna parte, che non si ripiega mai su se stesso per formare delle linee parallele, ma che progredisce sempre, fino a raggiungere il termine finale» (REUSS Edouard, L’Apocalypse, Paris 1878, pp. 17, 18). «Questo sistema ha qualcosa di seducente per delle menti geometriche - scrive il maestro A. Vaucher - È stato riassunto in qualche parola da DIGBY William, (Courte Explication des sceaux et des trompettes de l’Apocalypse, Paris 1839, p. 102): “La settima tromba comprende le sette coppe della collera di Dio, come il settimo volume suggellato comprende le sette trombe”. Il sistema del parallelismo è molto più antico di quello menzionato sopra, e ha un più grande numero di partigiani. E. Allo ne ha presentato una lunga lista. Tertulliano lo raccomanda di già, verso l’anno 200, nel suo trattato Sulla resurrezione della carne, capitolo 25. È stato seguito da Vittorino de Pettau, martire sotto Diocleziano, uno dei più antichi commentatori dell’Apocalisse. Lo si ritrova nelle Omelie dello pseudo Tyconius sull’Apocalisse, come nel capitolo 20:17 della Città di Dio di S. Agostino. Primaso, Bede il Venerabile, Ambrogio di Ansbert, Alcuino, Walafrid Strabon, Berengario, Bruno d’Asti e l’abate Gioacchino vi si sono conformati. Nei tempi moderni, il parallelismo ha trovato innumerevoli difensori» (VAUCHER Alfred Félis, Lacunziana, II serie 1952, p. 59). Così si sono espressi alcuni rappresentanti di questo sistema, che del resto noi condividiamo. «L’Apocalisse non è una storia, ma un susseguirsi di diversi quadri, in cui la storia della Chiesa è rappresentata sotto diversi punti di vista» (RONDET, Supplément à la Dissertation sur le Rappel des Juifs, 1780, pp. 237, 238; cit. A. Vaucher o.c., p. 59). Quando la profezia diventa storia i
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«Quattro storie complete della Chiesa militante sotto quattro rapporti differenti, e di cui ognuno va dal primo al secondo avvento di Gesù Cristo» (NICOLAS Amédée, Conjecture sur les âges de l’Eglise et les derniers temps, 2ª ed., Paris 1881, p. 2). «Gli eruditi non arriveranno a dare dell’Apocalisse una interpretazione coerente e soddisfacente finché non avranno riconosciuto pienamente il fatto che Giovanni predisse in diverse volte gli stessi avvenimenti, sotto aspetti diversi che si completano, al posto di fare non so quale cronologia rettilinea dell’avvenire» (ALLO Ernest, in Revue Biblique, 1932, p. 305; cit. A. Vaucher o.c., p. 49). «Ci sono qui sette vedute diverse dello stesso periodo» (GORDON S. A., Quiet Talks about our Lord’s Return, 2ª ed., p. 123; cit. A. Vaucher o.c., p. 59). Il pastore Antoine Reymond così si esprime: «L’Apocalisse non fa la storia del regno di Dio in un racconto continuato, portandoci attraverso i secoli dalla prima alla seconda venuta di Cristo. La struttura di questo libro rassomiglia a una spirale, di cui ogni anello o spirale forma un cerchio completo sebbene non esattamente chiuso, disposizione che gli permette di riallacciare il cerchio superiore o inferiore vicino. Nel primo cerchio delle cinque prime visioni gli avvenimenti sono condotti fino al ritorno di Gesù; in modo che passando da un cerchio nell’altro non si avanza nell’ordine del tempo; ma si contemplano successivamente le cinque facce del regno, la cui storia si presenta sotto diversi aspetti… In altri termini, le cinque prime visioni sono parallele» (REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanne 1904, pp. 128, 129). Concludiamo con le parole del maestro A. Vaucher: «In una maniera generale, il sistema del parallelismo si raccomanda, di preferenza al suo rivale, per una più grande flessibilità. Tuttavia non è esente da difficoltà, se lo si vuole mantenere rigorosamente. Qui, come altrove, bisogna osservare lo spirito del sistema. D’altronde, la maggior parte dei partigiani del parallelismo ammette delle eccezioni alla regola. Si è visto che se A.S. Gordon applica il suo sistema a sette visioni dell’Apocalisse, A. Reymond si attiene alle cinque prime. È ancora troppo. Si possono considerare come parallele, coprenti tutta la dispensazione evangelica, le tre prime (sette chiese, sette suggelli, sette trombe) e la quarta (dei tre mostri). La quinta (le sette coppe) è ribelle a questo trattamento: essa descrive gli ultimi flagelli della storia: è dunque una visione escatologica, come le due ultime, concernenti Babilonia e Gerusalemme. Andrea di Cesarea si mostrava di già partigiano di una interpretazione mista. È la stessa cosa di Barth, Holzhauser. È il partito più saggio» (A.F. Vaucher, o.c., p. 60). «Il sistema tradizionale, detto della storia continua, non sarebbe mai stato abbandonato, se delle considerazioni di ordine confessionale e delle preoccupazioni di controversia non avessero spinto alcuni teologi, soprattutto gesuiti, a controbilanciare l’influenza dei commentari protestanti che apparivano opprimenti per la Chiesa dominante e per il suo clero. Per i commentatori protestanti e giansenisti, l’Apocalisse è stata un vero arsenale che ha fornito loro le armi più micidiali contro la Chiesa romana. D’altra parte, gli esegeti cattolici provavano qualche imbarazzo. (Per giudicare la validità di questa critica vedere, ad esempio, il nostro Capitolo VIII, p. 319 e seg.)... È per strappare ai protestanti delle armi terribili prese ad imprestito dall’Apocalisse che dei controversisti cattolici hanno immaginato il sistema preterista e futurista, l’uno respingendo le profezie apocalittiche al periodo anteriore al trionfo politico della Chiesa di Roma, l’altro rinviando il compimento di queste stesse profezie in un avvenire sconosciuto in cui si può supporre che la Chiesa romana sarà vittima di violenti persecuzioni. È tempo di ritornare al buon senso, di scartare dei sistemi confessionali, inventati per i bisogni della polemica confessionale. Il sistema della storia continua è l’unico a
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dare alla rivelazione di Giovanni tutta la sua ampiezza e il suo valore storico» (A.F. Vaucher, Les prophéties apocalyptiques..., pp. 36, 37).
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Appendice n. 10 PIANO DELL’APOCALISSE GESÙ SOMMO SACERDOTE NEL SANTUARIO CELESTE E IL CALENDARIO DELLE FESTE EBRAICHE PIANO DELL’APOCALISSE Contrariamente alla critica che con grande difficoltà riesce a vedere un’armonia in questo libro e una unicità di pensiero e di autore, crediamo di poter dire: «L’unità dell’Apocalisse pare solidamente stabilita. Essa scaturisce dall’unità di dottrina, dall’unità del procedere letterario, dall’unità della lingua che è mantenuta ancora da certe singolarità proprie dell’autore» (REINE J., Manuel d’Ecriture Sainte, t. V, Lyon 1935, p. 314). «L’autore dell’Apocalisse ha una predilezione marcata per la cifra sette, cifra della creazione, che esprime la pienezza, la perfezione delle opere divine. Come ha descritto i 7 candelieri, i 7 suggelli, le 7 trombe, le 7 coppe, ha anche raccontato le 7 visioni. Il suo libro si divide dunque naturalmente in 7 parti. Il principio di questa divisione è stato riconosciuto in tutti i tempi, e rincresce che certi commentatori moderni abbiano creduto di poterlo abbandonare. Sembra che Ticonio, verso la fine IV secolo, abbia già adottato questo principio. È stato seguito da Beda il Venerabile, Ansbert, Haymon d’Halberstadt, Berengardo, Richard de Saint-Victor, Bruno d’Asti, Gioacchino da Flora, Alberto il Grande, Bernardino di Siena, Pannonius, ecc.» (VAUCHER Alfred-Félix, Lacunziana, II serie, Collonges-sous-Salève 1952, p. 53). Nei tempi moderni, da un numero considerevole di commentatori (vedere LŒNERTZOP R.J., The Apocalypse of St. John, H.J. Carpenter trad., Sheed & Wand, London 1947). L’opera è architettata in modo da presentarci un dramma perfetto in 7 atti, con 7 scene, introdotti da un prologo e con un epilogo. Prologo:
1:1-8.
I atto - Le sette Chiese (vedere Appendice n. 10). Visione inaugurale -I scena: lettera alla Chiesa di Efeso: amore - II scena: lettera alla Chiesa di Smirne: amarezza - III scena: lettera alla Chiesa di Pergamo: elevazione - IV scena: lettera alla Chiesa di Tiatiri: costanza - V scena: lettera alla Chiesa di Sardi: residuo - VI scena: lettera alla Chiesa di Filadelfia: amore fraterno - VII scena: lettera alla Chiesa di Laodicea: giudizio dei popoli
1:9-3:22 1:9-20. 2:1-7 2:8-11 2:12-17 2:18-29 3:1-6 3:7-13 3:14-22
II atto - I sette sigilli (vedere Appendice n. 10). Visione inaugurale (vedere Appendice n. 10). - I scena: I sigillo, I cavallo - II scena: II sigillo, II cavallo - III scena: III sigillo, III cavallo - IV scena: IV sigillo, IV cavallo - V scena: V sigillo, l’attesa dei martiri
4:1-8:1 4-5 6:1,2 6:3,4 6:5,6 6:7,8 6:9-11
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- VI scena: VI sigillo, scuotimento della natura che precede il gran giorno Intermezzo: sigillamento dei credenti che vedranno venire il Signore (Vedere il nostro Capitolo n. XVIII) - VII scena: VII sigillo, silenzio in cielo per il giorno del Signore
6:12-17
III atto - Le sette trombe (vedere Appendice n. 10). Visione inaugurale - I scena: I tromba - II scena: II tromba - III scena: III tromba - IV scena: IV tromba - V scena: V tromba - VI scena: VI tromba Intermezzi complementari e riepilogativi del profeta Daniele - VII scena: VII tromba
8:2-9:19 8:2-6. 8:7 8:8 8:9-11 8:12,13 9:1-12 9:13-21 10-11 11:15-19
IV atto - atto centrale: i tre mostri - I scena: la donna rivestita dal sole (Vedere il nostro Capitolo VIII) - II scena: il dragone rosso (Vedere Idem) - III scena: la bestia che sale dal mare (Vedere il nostro Capitolo IX) - IV scena: la bestia che sale dalla terra (Vedere il nostro Capitolo XV) - V scena: i 144.000 (Vedere il nostro Capitolo XVIII) - VI scena: i tre messaggeri (vedere il nostro Capitolo XVI) - VII scena: la raccolta e la vendemmia
12-14 12:1,2 12:3-18 13:1-10 13:11-18 14:1-5 14:6-13 14:14-20
V atto - Le sette coppe: (Vedere il nostro Capitolo XVII) Visione inaugurale - I scena: I coppa - II scena: II coppa - III scena: III coppa - IV scena: IV coppa - V scena: V coppa - VI scena: VI coppa - VII scena: VII coppa
15 e 16 15 16:1,2 16:3 16:4-7 16:8,9 16:10,11 16:12-16 16:17-21
VI atto – Babilonia: (Vedere il nostro Capitolo XIX) - I scena: descrizione della grande prostituta seduta sulla bestia - II scena: l’interpretazione data dall’angelo a questa visione - III scena: la proclamazione sulla città colpevole - IV scena: le lamentele sulla città - V scena: rovina di Babilonia - VI scena: l’inno a Dio - VII scena: inno all’Agnello e annuncio delle nozze
17:1-19:10. 17:1-6 17:7-18 18:1-8 18:9-20 18:21-24 19:1-4 19:5-10
VII atto - Visione terminale: trionfo e restaurazione, (Vedere il nostro Capitolo XXII) - I scena: la parusia trionfale di Cristo - II scena: la distruzione delle due bestie - III scena: imprigionamento del Dragone
19:11-22:3; 19:11-16 19:17-21 20:1-3
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7 8:1
Quando la profezia diventa storia
PIANO DELL’APOCALISSE - GESÙ SOMMO SACERDOTE NEL SANTUARIO CELESTE
- IV scena: il millennio - V scena: la vittoria su Satana - VI scena: giudizio finale - VII scena: ristabilimento di ogni cosa, nuovi cieli e nuova terra (Vedere il nostro Capitolo XXIII)
20:4-6 20:7-10 20:11-15
Epilogo:
22:6-21.
21:1-22:5
Scrive Ivo Fasiori: «Dal punto di vista della struttura letteraria, la migliore proposta è quella di dividere il testo in due parti: 1. dal capitolo 1 al capitolo 14 troviamo la prima parte, definita “storica”, perché presenta avvenimenti che si svolgono nella storia, dall’epoca del Nuovo Testamento fino alle ultime scene del gran conflitto tra il bene e il male; 2. dal capitolo 15 alla fine del libro troviamo la seconda parte, definita “escatologica”, perché riguarda quasi esclusivamente avvenimenti relativi alla fine dei tempi. Inoltre i brani del testo sono organizzati con la figura del “chiasmo”. In termini semplici si tratta di questo: a ogni brano della prima parte corrispondono temi simili in un brano della seconda parte. Ecco un breve esempio illustrativo: Prologo 1:1-8 Epilogo 22:6-20 Introduzione Conclusione Dio ha mostrato le cose che devono avvenire Queste sono parole fedeli e veraci in breve - 1:1 22:6 Gesù ha mandato il suo angelo - 1:2 Gesù ha mandato il suo angelo - 22:6,16 Beato chi legge - 1:3 Beato chi serba - 22:7 Ecco, egli viene con le nuvole - 1:7 Ecco io vengo presto - 22:12,20 Io sono l’Alfa e l’Omega - 1:8 Io sono l’Alfa e l’Omega - 22:13 Io Giovanni udii e vidi - 1:9-11 Io Giovanni udii e vidi - 22:8 Diverse corrispondenze sorprendenti si possono trovare confrontando gli altri brani della prima parte con i corrispondenti della seconda: Prima parte Seconda parte Le 7 chiese - 1:10-3:22 La nuova Gerusalemme - 21:9-22:9 I 7 suggelli - 4:1-8:1 Il Millennio - 19:11-21:8 Le 7 trombe - 8:2-11:8 Le 7 piaghe - 15:1-16:22 Il gran conflitto 11:19-14:20 La caduta di Babilonia - 17:1-19:10» (FASIORI Ivo, Quell’ultimo libro tutto pieno di speranza, in Siamo pieni di Speranza, a cura di Rolando RIZZO, ed. A.d.V., Falciani 1992, pp. 25,26.)
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APPENDICE N. 10
GESÙ SOMMO SACERDOTE NEL SANTUARIO CELESTE SECONDO CALENDARIO DELLE FESTE EBRAICHE
IL
«L’Apocalisse è il libro del Nuovo Testamento che si riferisce di più all’Antico Testamento e alle istituzioni ebraiche tradizionali. André FEUILLET vede nell’Apocalisse “una rilettura dell’Antico Testamento alla lettura degli avvenimenti cristiani” (L’Apocalypse - état de la question, Desclée de Brouwer, Paris - Bruges 1963, p. 65). Vi si contano meno di duemila allusioni all’Antico Testamento, di cui quattrocento in forma esplicita e novanta citazioni letterali del Pentateuco o dei profeti. A proposito del testo di queste citazioni, è da notare che l’Apocalisse si mostra pure “più fedele all’originale ebraico che alle versioni della Settanta” PRIGENT P., (L’Apocalypse de saint Jean, Lausanne-Paris 1981, p. 19). L’illustre Renan faceva notare che “la lingua dell’Apocalisse è forgiata sull’ebraico, era pensata in ebraico e non può essere compresa che da delle persone che sappiano l’ebraico” (RENAN Ernest, L’Antichrist, Paris 1873). Per comprendere l’Apocalisse bisogna leggerla alla luce dell’Antico Testamento» (DOUKHAN Jacques, Le cri du Ciel, ed. V.& S., Dammarie-les-Lys, 1996, pp. 28,29). L’Apocalisse, come abbiamo detto, è strutturata in cicli di sette visioni simultanee e parallele, sui cui particolari non sempre gli studiosi concordano. A ciò si deve aggiungere che questa struttura si sviluppa nel contesto del tempio e secondo il calendario delle feste ebraiche nell’ordine presentato in Levitico 23. L’Apocalisse può essere divisa in due parti: storico/terrestre ed escatologico/celeste al cui centro si trova il giudizio di Dio, capitolo XIV (confr. Daniele VII; vedere J. Doukhan, o.c..). «Il Santuario celeste è il perno centrale nel messaggio dell’Apocalisse» (MAXWELL Mervyn, God Cares, Boise, Idfaho, Pacific Press, 1985, p. 164; cit. GOLDSTEIN Clifford, Between the Lamb and the Lion, Pacific Press 1995, p. 38). È evidente che Giovanni pone al centro di questo libro la persona di Cristo Gesù. Già nel primo versetto scrive: «La rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli ha dato per mostrare ai suoi servitori le cose che devono avvenire in breve» (1:1). Poi il Signore è chiamato col nome di: «Gesù» o «Cristo» (1:1,2,5,9; 11:15; 14:12; 18:10; 20:4,6; 22:16,20,21); «fedele testimone» (1:5); «primogenito dei morti», «principe dei re della terra» (1:5); «figlio dell’uomo» (1:13; 14:14); «Colui che investiga le reni e i cuori» (2:23); «leone della tribù di Giuda» (5:5); «Agnello» (5:6,8,12,13; 6:1; 7:9,10,14,17; 12:11; 13:8; 14:1,4,10; 15:3; 17:14; 19:7,9; 21:9,14,22,23,27; 22:1,3); «Fedele e Verace» (19:11), «la Parola di Dio» (19:13); «Re dei re e Signore dei signori» (19:16); «Alfa e Omega» (21:6). Con l’essere: «primo e ultimo» (1:18). Gesù dichiara la sua propria divinità ripresentandosi come fece al profeta Isaia 44:6: «Così parla l’Eterno, re d’Israele e il suo redentore, l’Eterno degli eserciti; “Io sono il primo e sono l’ultimo, e fuori di me non v’è Dio”» confr. 1:18. Anche con il nome «Vivente», «ecco sono “vivente” per i secoli dei secoli» (1:18), ricorda quanto Giosuè diceva dell’Eterno: «Da questo riconosciamo che l’Iddio vivente è in mezzo a voi» (3:10). L’Apocalisse, annunciando il compimento della Parola di Dio, la vita eterna dei salvati, presenta Gesù come colui che per l’eternità porta i segni della sua morte ed è risuscitato. La salvezza degli uomini è il risultato del suo ministero terreno e del suo ministero sacerdotale. Questo scritto apostolico presenta quanto la lettera agli Ebrei afferma di Gesù nella sua 1054
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funzione di Sommo Sacerdote, nella sua azione giornaliera, come nostro rappresentante, e nel tempo del giudizio preliminare prima del suo ritorno. Come abbiamo detto, il ministero di Gesù in cielo è presentato nella prospettiva del piano della salvezza descritto nelle feste annuali ebraiche: Pasqua (Esodo 12:5-7,21-23; 1 Corinzi 5:7), Pentecoste (Esodo 19:1-20:23; Atti 2:1-3), mensili della luna nuova che costituivano un di giudizio parziale in vista del gran giorno del giudizio, seguito dal giorno dell’espiazione (Levitico 16) per finire con quella dei tabernacoli. (Vedere GOULDER M.D., The Apocalypse as an Annual Cycle of Prophecies, ANT, 1981; BACCHIOCCHI Samuele, God’s Festivals - in Scripture and History, part 2 - The Fall Festivals, Biblical Perspectives, 12, Berrien Springs, Michigan 1966; J. Doukhan, o.c.).
La festa di Sabato Giovanni ha la Rivelazione nel giorno di Sabato (Apocalisse 1:10), prima festa d’Israele a seguito della quale Levitico 23 presenta tutte le altre del calendario ebraico che indicano le tappe storiche del popolo d’Israele dall’uscita dell’Egitto alla terra promessa.
La festa di Pasqua Fin dalle prime parole (1:5) Gesù viene presentato come colui che ha subito la morte e «ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue», in favore «dei figli d’Israele», dice il libro del Levitico (16:16,18,19). Il suo sacrificio richiama l’Agnello pasquale (1 Corinzi 5:7; Esodo 12:5,7). Per 25 volte il Signore è presentato come l’Agnello. L’avvenimento della croce è al centro dell’Apocalisse sia perché è attraverso essa che l’Eterno manifesta la sua opera di salvezza, sia perché l’uomo riflettendo sulla croce scorge la presenza di Dio in un mondo nel quale non si presenta nella sua onnipotenza e sia perché è il luogo dove Dio ha accettato di condividere il destino dell’uomo nella solitudine e nel disprezzo. La croce è la risposta di Dio a tutti i perché ai quali vogliamo dare un senso; è la risposta a tutto ciò che ci angoscia in questo mondo che ci sgomenta, quando consideriamo le tragedie dei popoli. La croce è la risposta di Dio alla sofferenza dell’uomo. È una risposta non di parole, ma di una realtà in cui lui stesso è coinvolto dove il male lo porta sul legno del Golgota. Là non è solo il luogo della morte dell’uomo o di Dio, ma è il luogo dove il dolore dell’uomo e del mondo incontrano quello di Dio. Nella prima visione Gesù è presentato nelle vesti del sommo Sacerdote e cammina tra i sette candelabri, raffigurazione della Chiesa nella differenti epoche della storia. L’espressione «un figlio d’uomo» (1:13) rievoca quella di Daniele 7:13, quando descrive il giudizio preliminare. Il popolo di Dio non è lasciato a se stesso e agli avvenimenti della storia. Il Signore è presente in mezzo al suo popolo. Come la nuvola e la colonna di fuoco guidarono Israele fuori dall’Egitto nel deserto e successivamente la shekhina segnava la sua presenza in mezzo al popolo. Yhavé aveva promesso all’Israele dell’Esodo «Io camminerò in mezzo a voi», (Levitico 26:12), così Gesù conduce la Chiesa e ha ripetuto la promessa al momento della sua partenza: «Io sarò con voi fino alla fine del mondo» Matteto 28:20. Come la colonna di fuoco
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APPENDICE N. 10
faceva muovere e orientare la marcia del popolo liberato, così la presenza del Figlio dell’uomo garantisce la luce ai candelabri e il cammino al popolo. La Pasqua commemorava l’uscita dall’Egitto, la creazione d’Israele, e annunciava la speranza messianica. Il sangue del sacrificio dell’agnello garantiva la protezione delle case ebraiche e la proibizione di rompere le ossa dell’agnello pasquale era un messaggio di resurrezione (Ezechiele 37:1-14; 2 Re 13:21; confr. Giobbe 10:11; Salmo 34:20; Isaia 66:14; Genesi 50:25). Nel libro apocrifo dei Giubilei (primo secolo a.C.) questo insegnamento è esplicitamente presentato: «Poiché le ossa degli Israeliti devono restare complete» in vista della resurrezione (Giubilei 49:13). Come la consumazione del pane che non si è lievitare richiama lo stato nomade del popolo sempre in piedi e in attesa della terra promessa, così, ancora oggi, il canto liturgico della hagadah di Pasqua ripete, di generazione in generazione nelle famiglie ebraiche, anche per quelle che abitavano a Gerusalemme, l’anelito profondo d’Israele, «l’anno prossimo a Gerusalemme»; così pure nella tradizione cristiana, la santa cena è per la Chiesa dal giovedì santo l’annuncio della morte del Signore finché egli ritorni (1 Corinzi 11:26). Alla fine della lettera alla chiesa di Laodicea il Signore bussa alla porta affinché, aperta, vi possa entrare e cenare con i fedeli (Apocalisse 3:20).
Il Santuario: luogo Santo
Festa di Pentecoste: l’investitura di Gesù quale sommo Sacerdote Giovanni, invitato a salire in cielo (Apocalisse 4:1), vide una porta aperta nel cielo che corrisponde a quella che nel santuario israelitico introduceva nel luogo santo (Levitico 3:1, Esodo 29:4,11; Levitico 1:3,5; 1 Re 6:31,32,34). Poi vide un trono, che non descrive, e Colui che era seduto sopra era simile a diaspro. Intorno c’erano ventiquattro anziani, raffigurazione dei due patti, Antico e Nuovo Testamento e le quattro creature viventi, simbolo della creazione. L’apostolo scrive: «Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, e aveva sette corna e sette occhi che sono i sette spiriti di Dio… Egli venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono» (5:6,7). Gli anziani e le quattro creature viventi cantarono: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i suggelli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio, con il tuo sangue, gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti; e regneranno sulla terra» (5:9,10). Gli essere celesti, di numero incalcolabile, a loro volta cantarono: «Degno è l’Agnello che è stato immolato di ricevere la potenza, le ricchezze, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode» (5:12). La presenza di Gesù alla destra del Padre e i canti alla sua gloria sono l’intronizzazione di Gesù nelle corti celesti alla funzione di sommo Sacerdote nel giorno di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la sua morte e resurrezione. In conseguenza di ciò che avvenne nel cielo si ha la discesa dello Spirito Santo sui discepoli a Gerusalemme («i sette spiriti di Dio mandati per tutta la terra» (5:6) e in quel giorno Pietro disse alla folla coinvolta e stupita in quella manifestazione di potenza e di soprannaturale: «Questo Gesù Dio lo ha risuscitato; di ciò noi tutti siamo testimoni. Egli dunque, essendo stato esaltato alla destra di Dio e avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete e udite» (Atti 2:32,33). Cinquanta giorni dopo la liberazione dall’Egitto gli ebrei si trovarono al Sinai. Mosè fu invitato a salire sul monte. L’Eterno promulgò la sua legge su tavole scritte da una parte e dall’altra (Esodo 32:15), stabilì il suo patto che mirava a fare d’Israele un «regno di sacerdoti 1056
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PIANO DELL’APOCALISSE - GESÙ SOMMO SACERDOTE NEL SANTUARIO CELESTE
(Esodo 19:6), il tutto in uno scenario di «tuoni, lampi, fortissimo suono di tromba» (Esodo 19:16). Il libro dell’Esodo poi descrive la costruzione del santuario e la sua inaugurazione (capitolo 40). Nei capitoli 4 e 5 di Apocalisse troviamo le stesse espressioni: Giovanni è invitato a salire (4:1), i credenti saranno un regno di sacerdoti (5:10) e gli arredi del santuario, tranne la tavola del pane. Crediamo che abbiamo motivo di pensare che questa visione del capitolo 5 indica quanto è avvenuto alla Pentecoste: l’inaugurazione del ministero sacerdotale di Gesù e del Santuario. L’autore della lettera agli Ebrei scrive a tale proposito: «Ora, il punto essenziale delle cose che stiamo dicendo è questo: abbiamo un sommo Sacerdote tale che si è seduto alla destra del trono della Maestà nei cieli, ministro del santuario e del vero tabernacolo, che il Signore e non un uomo ha eretto» (Ebrei 8:1,2) Gesù può essere sommo Sacerdote perché è stato vittima, Agnello immolato. Questi due ruoli, di vittima e di sacerdote, sono inseparabili. È il nuovo modo di essere dell’Eterno fatto uomo, il Salvatore che Isaia aveva annunciato e che in Gesù si compie (Isaia 44:6). In virtù della sua morte e della sua resurrezione Gesù può assicurare la vittoria della Chiesa. È lui che si è presentato come uno dei suoi fratelli, e mediante la sua morte ha vinto il nemico (Ebrei 2:14,17). Nella persona di Gesù il cielo e la terra sono uniti. Gesù-Dio rappresenta la divinità accanto ai credenti (Giovanni 14:9). Come alla prima Pentecoste Mosè offrì il sangue del sacrificio per ratificare il patto del Sinai, patto di redenzione (Esodo 24:8; confr. 20:2; Deuteronomio 9:11) con il quale Israele si costituiva come popolo, qui in Apocalisse il sangue dell’Agnello immolato (Apocalisse 5:6) è l’elemento «del patto» (Matteo 26:28; Esodo 24:8) per ricondurre gli uomini a Dio i quali costituiscono un popolo di re e sacerdoti (Apocalisse 5:9,10). Durante il corso della storia ed il ministero sacerdotale di Gesù una domanda sale dal sangue dei martiri alla presenza dell’Eterno: «Fino a quando aspetterai, o Signore santo e veritiero, per fare giustizia e vendicare il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?» (6:10). Nel libro di Daniele abbiamo la risposta: «Fino a duemilatrecento sere e mattine poi il santuario sarà purificato» (8:14) e il profeta dell’Antico Testamento già aveva visto il giudizio che si compie nel cielo e gli viene detto che dopo di ciò i santi riceveranno il regno (Daniele 7:9,22,27). Giovanni, dopo aver udito la prima risposta di invito all’attesa, giunto nel tempo del giudizio che sfocia nel Kippur (purificazione), sentirà che «non c’è più tempo» (10:6).
La festa delle trombe Anche nell’introduzione della visione delle sette trombe (8:2) viene riproposto un arredo del santuario, l’altare dei profumi, il cui fumo era simbolo delle preghiere dei santi che salgono alla presenza di Dio. Gesù-uomo rappresenta la Chiesa presso il trono della grazia. Ad introduzione della visione delle sette trombre il prof. J. Doukhan scrive: «La visione dell’Apocalisse ci pone nel contesto del rituale quotidiano nel corso del quale il sacerdote, come l’angelo dell’Apocalisse, getta il suo incensiere con le braci incandescenti tra il portico del tempio e l’altare. Tutta la cerimonia è descritta nel più vecchio trattato rabbinico, il Tamid, uno scritto del primo secolo a.C., che è stato incorporato nella Mishna un secolo dopo, cioè appena una dozzina d’anni dopo l’Apocalisse (vedere L. GINZBERG, Tamid, in Journal of Jewish Lore and Philosophy, 1919, pp. 33,38,197,263,291). Il parallelo con il nostro testo dell’Apocalisse è notevole: “Uno dei sacerdoti prese la paletta e la gettò tra il portico e Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 10
l’altare, e nessuno può capire la voce del suo vicino a causa del suono della paletta” (Tamid V,6). “Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco dell’altare e lo gettò sulla terra. Immediatamente ci furono tuoni, voci, lampi e terremoto” (Apocalisse 8:5)» (o.c., p. 110). Le sei trombe rappresentano avvenimenti successi nella storia fino alla realizzazione del Regno di Dio che si instaurerà con il suono della settima tromba. Le sette trombe rievocano i setti mesi che dalla primavera portano all’autunno. Queste feste mensili della luna nuova sono di transizione, fanno da ponte tra le feste di primavera (Pasqua e Pentecoste) e quella delle trombe d’autunno (Numeri 10:2,10; 29:1). «Le sette trombe segnano il divenire della storia; sono dei segni che annunciano e avvertono e chiamano gli uomini e le donne di tutti i tempi ad incontrare il loro giudice. Poiché, anche se l’avvenimento del giudizio è situato a un momento preciso, alla fine della storia umana, ogni uomo e ogni donna di tutti i tempi ne saranno coinvolti» (J. Doukhan, idem, pp. 113,114).
Santuario: luogo Santissimo Giorno del giudizio Il giorno del giudizio, chiamato Rosh Hashana, nuovo anno, iniziava il primo giorno del settimo mese e si prolungava per dieci giorni, che erano per il popolo di penitenza e di preparazione al giorno dello Yom Kippur, Giorno dell’Espiazione, giorno di purificazione. In essi le persone giudicate e perdonate venivano considerate popolo di Dio e indicava che nel futuro il regno del mondo sarebbe tornato ad essere il regno di Dio. I primi nove capitoli dell’Apocalisse presentano l’opera sacerdotale del Cristo. Si deve riconoscere che c’è un parallelismo tra questi capitoli dell’Apocalisse e il talmudico trattato Tamid che «contiene tutte le regole per le offerte del sacrificio quotidiano in accordo con Numeri 28:3,4» (SIMON Maurice, Introduction, Tamid, ed. Sancino Press, London 1948, p. IX; cit. C. Goldstein, Idem, p. 52). In altre parole, Giovanni vede Gesù nella funzione di compiere il servizio quotidiano o Tamid (vedere PAULIEN, Intertextuality, 13; cit. Idem). La Mishnah Tamid (3.9), presenta i sacerdoti che operano attorno al candelabro: Apocalisse 1:12-20 presenta Cristo fra i candelabri; Mishnah Tamid (3.7) ha “una grande porta” aperta: l’Apocalisse 4:1 presenta una porta aperta in cielo; Mishnah Tamid (3.7) ha un agnello sgozzato: come pure Apocalisse 5:6; Mishnah Tamid (5.4) ha l’offerta dell’incenso: Apocalisse 8:3,4 fa altrettanto; e finalmente, Mishnah Tamid (7.3) ha delle trombe che suonano: Apocalisse 8:1 le ha pure (vedere C. Goldstein, Idem). In questo santuario celeste non c’è la separazione tra un luogo santo e un luogo santissimo, come c’era nel tempio di Gerusalemme. Ciò è dato dal fatto che: 1. Cristo, salendo al cielo, si è posto a sedere sul trono del Padre; 2. dove c’è l’Agnello di Dio c’è la sua santità; 3. i due luoghi del santuario israelitico erano a tipologia delle due funzioni dell’opera sacerdotale del vero e unico Sommo Sacerdote. 4. Inoltre la lettera agli Ebrei (10-20) dice che la cortina rappresenta la «carne» di Gesù e, al momento della sua morte, la cortina del tempio di Gerusalemme si squarcia (Matteo 27:51), non più separando i due ambienti. Alla fine del capitolo 11 Giovanni vede il tempio di Dio che è nel cielo e nel quale scorge l’arca, l’unico arredo che era nel luogo santissimo, su cui si manifestava la presenza dell’Eterno. In essa c’erano le tavole del decalogo. 1058
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Delle voci annunciano: «Il regno del mondo è venuto ad essere del Signore nostro e del suo Cristo» 11:15. In altre parole, l’Eterno assume la sua funzione di giudice ed è ciò che al versetto 18 viene detto: «È giunto il tempo di giudicare i morti...». Come abbiamo già ricordato, durante l’opera sacerdotale di Gesù il sangue dei martiri sotto l’altare dei profumi aveva domandato: «Fino a quando, o nostro Signore, che sei santo e verace, non fai tu giudizio e non vendichi il nostro sangue su quelli che abitano sopra la terra?... E fu loro detto che si riposassero ancora un po’ di tempo, finché fosse compiuto il numero dei loro conservi» (6:10,11). Nel capitolo 14:6 si annuncia che l’ora del giudizio è giunta e nei versetti 9-11 si invita a non adorare la bestia e la sua immagine per non incorrere nelle conseguenze del giudizio. Il popolo di Dio che è in Babilonia è invitato ad uscire, a non partecipare ai suoi peccati, a non esserne responsabile, e si annuncia: «In uno stesso giorno verranno le sue piaghe... perché potente è il Signore che l’ha giudicata» (18:8). La conclusione del giudizio è presentata nel capitolo 15, dove Giovanni vede uscire dal tabernacolo del cielo sette angeli con le sette coppe delle piaghe con le quali si compie «l’ira di Dio» (15:1,7) e il tempio è ripieno di fumo, e più nessuno vi può entrare o continuare a svolgere un’azione di soccorso in favore degli uomini. In questo momento il verdetto viene pronunciato sui regni di questo mondo. Allora «Chi è ingiusto sia ingiusto ancora; e chi è giusto pratichi ancora la giustizia e chi è santo si santifichi ancora» (22:11).
Festa della purificazione Dopo dieci giorni di penitenza dal giorno del giudizio in Israele si celebrava il giorno dell’espiazione, della purificazione del santuario. Si esprimeva il verdetto definitivo del giudizio emesso sul popolo d’Israele. Come conseguenza dell’opera di purificazione in cielo si annuncia che la sposa dell’Agnello si è preparata (Apocalisse 19:6) e sulla terra l’umanità che ha rifiutato la salvezza, subirà le ultime piaghe. Le piaghe che cadono sulla terra colpiscono coloro che hanno rifiutato la protezione dell’Eterno e hanno scelto il dominatore di questo mondo, il marchio della bestia. In quel tempo si ha la risposta ai martiri: «Sei giusto, tu che sei e che eri, tu, il Santo, per aver così giudicato. Hanno sparso il sangue dei santi e dei profeti, e tu hai dato a loro a bere del sangue; essi ne sono degni! L’altare diceva: Sì, o Signore Iddio onnipotente, i tuoi giudizi sono veraci e giusti» (16:6,7). E Giovanni, dopo essere stato invitato a vedere il giudizio della gran meretrice (17:1), ode una grande voce come di una immensa moltitudine nel cielo che diceva: «Perché veraci e giusti sono i suoi giudizi» (19:2). È a seguito di questo che il Signore Gesù esce dal santuario celeste in veste regale, macchiata di sangue, cavalcando un cavallo bianco, portando scritto: «RE DEI RE E SIGNORE DEI SIGNORI» (19:16). Verrà per vincere le forze avverse di questo mondo. Come il capro per Azazel veniva portato ed abbandonato nel deserto, così Gesù, venendo a vincere i suoi nemici e a prendere i suoi fedeli, il vero Azazel, il padre della menzogna, il diavolo e Satana, sarà relegato per mille anni in una terra inabitata, per la morte di coloro che non hanno amato la venuta del Signore e hanno reso inabitabile la terra a causa dagli sconvolgimenti subiti dalle ultime piaghe. Con l’inizio del millennio finisce la festa dello Yom Kippur. Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 10
Festa delle capanne o tabernacoli Con la purificazione del santuario, del popolo, del campo si annunciava la festa dei Tabernacoli, delle Capanne, che sarebbe iniziata dopo cinque giorni. Era l’ultima festa del
calendario ebraico, era anche chiamata zéman simhaténou “tempo della nostra gioia”. Era proibito il digiuno e si costruivano i souccot, i tabernacoli, le capanne. Aveva lo scopo di richiamare alla mente del popolo il tempo trascorso nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto, prima di entrare nella terra promessa e, anche se per quaranta anni Israele aveva vissuto momenti di privazione e di difficoltà, la festa che durava 7-8 giorni (Levitico 23:33-37) era per la nazione un memoriale della grazia, delle cure e della protezione con la quale Dio aveva assistito il suo popolo nel grande e terribile deserto (Deuteronomio 8:15). Oltre a questo tempo la festa rievocava «anche la costruzione del santuario, la souccah di Dio, la cui funzione era quella di indicare la presenza di Dio fra il suo popolo: “Mi facciano un santuario, e abiterò (shakhan) in mezzo a loro” (Esodo 25:8)» J. Doukhan, o.c., p. 264. Il millennio è la fase di transizione dei salvati che, prima di ereditare la terra restaurata, rinnovata, trascorreranno la vittoria della loro liberazione temporaneamente in cielo dove continueranno a partecipare alla tragedia di questo mondo mediante il giudizio al quale sono chiamati a partecipare. Questa ricorrenza era chiamata anche la Festa del Raccolto, era l’ultima dell’anno religioso e l’ultima parte di Apocalisse 14 presenta la mietitura e vendemmia che si compie alla fine della storia. In occasione di questa festa, come per quelle di primavera, quella di Pasqua e delle primizie (Pentecoste) gli ebrei si recavano a Gerusalemme. Così alla fine dei tempi, il popolo di Dio si riunirà nella Nuova Gerusalemme (Apocalisse 21:4,5) per adorare per sempre l’Eterno e il Signore (22:3,4) ed essere per l’eternità il suo popolo e vivere alla sua presenza (21:3). L’antico Israele era invitato a rallegrarsi davanti all’Eterno presentando frutti e rami di palme (Levitico 23:40). Nel compimento dell’Apocalisse coloro che verranno dalla grande tribolazione finale saranno davanti a Dio «con della palme in mano» (7:9) e lo loderanno con arpe (14:2) e celebreranno le nozze dell’Agnello (19:9). «La nuova Gerusalemme, scrive J. Doukhan, è data come l’ultima festa del calendario ebraico. La visioni dell’Apocalisse la rievoca con termini che la paragonano a Souccot, la festa dei tabernacoli. Questa coincidenza la si comprende già attraverso un gioco di parole che rinviano all’immagine dei tabernacoli: “E udii una gran voce dal trono, che diceva: ‘Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini’; ed Egli abiterà con loro” (Apocalisse 21:3). La parola greca skene che indica il “tabernacolo” risuona della parola ebraica familiare, la shekhina, la nube gloriosa, segno della presenza di Dio fra il suo popolo (Esodo 40:34-38). La parola shekhina deriva dalla radice shakhan (abitare) che si ritrova nel verbo greco che segue skenosen (abitare). Una parafrasi letterale rende conto del gioco di allitterazione e lascia intravedere l’intenzione dell’autore: «Ecco il tabernacolo (shekhina) di Dio con gli uomini! Egli tabernacolerà (sarà come la shekhina) con loro” (Apocalisse 21:3). Secondo la tradizione ebraica, la souccah come il santuario simboleggiavano la shekhina (Talmud Babli, Suk. 116). I Salmi letti nella souccah testimoniano di questo simbolo poiché portano sulla presenza protettrice di Dio (Salmo 27;31; 36;57;63;91). Parallelamente, la 1060
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PIANO DELL’APOCALISSE - GESÙ SOMMO SACERDOTE NEL SANTUARIO CELESTE
natura provvisoria della souccah ricordava il carattere effimero della città terrena e stimoleggiava la speranza della città celeste» J. Doukhan, o.c., pp. 263,264. Il profeta Zaccaria aveva annunciato: «E avverrà che tutti quelli che saranno rimasti di tutte le nazioni venute contro Gerusalemme, saliranno d’anno in anno a prostrarsi davanti al Re, all’Eterno degli eserciti, e a celebrare la festa delle capanne» 14:16.
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Appendice n. 11 LETTERA ALLE SETTE CHIESE L’ADORAZIONE A DIO SUL TRONO, ALL’AGNELLO E IL LIBRO DELL’AVVENIRE SIGILLATO I SETTE SIGILLI LE SETTE TROMBE
LETTERA ALLE SETTE CHIESE Apocalisse I:9-III:22
Introduzione «La Chiesa, nella visione inaugurale dell’Apocalisse, è rappresentata da sette candelabri d’oro, rievocazione del candelabro simbolico che illuminava il santuario israelitico, descritto nel libro dell’Esodo 25 e 37. Il Cristo sta in mezzo ai candelabri (1:13), nell’atteggiamento di chi cammina (2:1). Gesù Cristo è la luce del mondo; la sua Chiesa è il candelabro che gli offre un punto di appoggio per la sua azione benefica e salvifica. I capi della Chiesa sono rappresentati da stelle, le quali stanno in mano al Cristo, Capo supremo di essa (1:20 e 2:1)» (VAUCHER Alfred-Félix, Le sette Chiese dell’Apocalisse, in L’Araldo della Verità, gennaiofebbraio 1931). Le sette lettere vengono inviate a sette chiese dell’estremità occidentale dell’Asia Minore, nella provincia che i romani avevano chiamato Asia. Queste chiese, possiamo dire, facevano parte della diocesi di Giovanni, poiché l’Apostolo, prima di essere deportato a Patmo, aveva la sua sede a Efeso. Numerosi sono coloro che credono che queste sette lettere abbiano valore solo per quelle sette chiese contemporanee dell’apostolo. «Se così fosse i sette messaggi apocalittici avrebbero per noi un interesse semplicemente retrospettivo. La maggioranza degli interpreti, però, è d’accordo nell’estendere a tutta la cristianità il contenuto delle lettere apocalittiche. Difatti il libro intero (e non soltanto i brevi messaggi epistolari dei capitoli 2 e 3) è dedicato alle sette chiese (1:4,11). Ora è evidente che il libro dell’Apocalisse non ha un interesse puramente regionale, giacché fra tutti i libri del Nuovo Testamento è probabilmente il più cattolico, ossia universale. Un’altra ragione, che avvalora la nostra tesi, la desumiamo dal simbolismo della cifra sette, che così spesso ricorre nell’Apocalisse e che suggerisce l’idea di pienezza, di perfezione, idea inseparabile dall’altra di cattolicità o di cristianità universale. Se Gesù vive e cammina sino alla fine dei secoli fra le sette chiese, dobbiamo ammettere che sotto questo simbolo, o si nasconde la Chiesa universale di tutti i secoli, o bisogna pensare che Gesù s’interessasse soltanto a sette piccole comunità cristiane dell’Asia Minore, trascurando tutte le altre» (A.F. Vaucher, idem). «Bisogna che le sette chiese siano successive e non coesistenti, perché il nostro Signore passeggia in mezzo ad esse. Se fossero esistite tutte insieme al tempo di S. Giovanni, il Salvatore sarebbe posto tra esse, nel punto centrale d’un cerchio, invece di camminare tra loro, e di passare così dall’una all’altra» (Amédée NICOLAS, Conjectures sur les âges de l’Église et les derniers temps, 2ª ed., Paris 1881, p. 69).
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Alcuni commentatori si sono attenuti ad una spiegazione storica e profetica letterale, come se questi messaggi concernessero esclusivamente le comunità nominate nel testo apocalittico (vedere KEITH Alexander, Les prophéties et leur accomplissement littéral, Paris 1838, pp. 350-366, tradotto sulla 15ª ed. inglese). Ma è meglio dire: «La nostra visione presenta un primo senso letterale; poi, a causa del carattere simbolico della cifra sette, essa ha inoltre un significato tipologico, e di conseguenza pure profetico» (REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanne 1904, p. 41). Sul significato tipologico si riscontra un certo numero di opinioni: DEMONVILLE (L’Apocalypse, Paris 1812, pp. 4-15) suppone che le sette chiese rappresentino sette classi differenti di fedeli: operai, indigenti, ricchi, letterati, maestri, militari, commercianti. ROSSELET d’IVERNOIS A.G. (L’Apocalypse et l’Histoire, t. I, Paris 1878) immagina che esse corrispondano a sette rami della cristianità, le chiese: greca, siriaca, russa, romana, protestante, ecc. J. B. FREY, non contento di vedervi il cattolicesimo e il protestantesimo, vi aggiunge il giudaismo, l’islamismo, il paganesimo. Come scrive il maestro Vaucher: «Queste interpretazioni sono troppo bizzarre per attirare la nostra attenzione» (VAUCHER Alfred-Félix, La portée prophétique des messages aux sept églises, in Revue Adventiste, 15 settembre 1940). Una spiegazione più sostenibile è quella di GODET Frédéric (Études Bibliques, 2ª serie, 5ª ed., Paris 1900, p. 302), che vede nelle sette chiese le diverse espressioni di vita spirituale, morale e religiosa della Chiesa universale di ogni tempo, ma nella loro simultaneità. In ogni tempo la Chiesa vi si può rispecchiare. Questa spiegazione è condivisa anche da altri commentatori: Bullinger, Reymond, Henriquet, Stainheil, H. de Perrot, Bosio, ecc. Crediamo che la spiegazione migliore sia quella già menzionata: la simbolica-profetica, che vede nelle sette chiese letterali la rappresentazione di sette periodi successivi della storia della Chiesa cristiana, dall’origine fino al ritorno di Cristo. Questo modo di comprendere il testo di Giovanni risale a Cocceius (inizio XVII secolo). Questa spiegazione si poggia sulle seguenti riflessioni: - La limitazione del numero delle chiese considerate. In quella regione c’erano altre chiese anche più importanti: Colosse, Ierapoli, Troas (Colossesi 1:2; 4:13; Atti 20:6). Ciò confermerebbe il significato simbolico del numero sette, che ha valore di pienezza, universalità, perfezione. - Il significato etimologico che racchiude il nome di ogni chiesa e l’ordine nel quale sono nominate indicano una progressione e anche una evoluzione dello stato morale della cristianità. - L’idea di una successione cronologica è chiaramente espressa dal Cristo che cammina tra i candelabri. Questo camminare di Gesù non significa solamente la sua presenza continua tra il suo popolo fino alla fine dei tempi, come ha promesso (Matteo 28:20). Il suo spostamento nello spazio indica una progressione, una marcia nel tempo, un seguire la Chiesa attraverso la storia. - Il Cristo che cammina da una chiesa all’altra, passando da un periodo all’altro, annuncia con termini che pongono più prossimo il suo ritorno: 2:16,25; 3:3,11,20. - Dal momento che tutto il libro dell’Apocalisse è indirizzato alle sette chiese dell’Asia, la spiegazione letterale presenterebbe troppi problemi. - Il carattere ciclico della profezia apocalittica è rinforzato dal circuito geografico delle sette chiese. 1062
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«Queste sette chiese dell’Asia Minore furono il tipo di sette età future della Chiesa, fino Interprétation de l’Apocalypse, alla fine del mondo» (HOLZHAUSER Bartholomaeus, renfermant les 7 âges de l’Église catholique, II, 1, 1856, p. 56). «Sotto l’emblema di fatti presenti e contemporanei, si trova descritto e profetizzato l’avvenire delle sette età contenute nella serie dei tempi cristiani» (MICHEL M.J., Histoire du bien et du mal dépuis Jésus-Christ jusqu’à la fin des temps d’après la Révélation de S. Jean, Lyon 1867, p. 31). Già «alcuni antichi commentatori (Vittorino, Ticonio, Areta, Primaso) avevano presentato il significato profetico dei messaggi indirizzati alle sette chiese. Questo sistema di interpretazione è stato sviluppato presso i cattolici moderni (Holzhauser, Michel, Chauffard, Amédée Nicolas, Verschraege) e presso i protestanti (Vitringa, Mede, Ebrard, Gaussen, de Rougemont, Seiss, Tochedieu, ecc.)» (VAUCHER Alfred-Félix, Un livre difficile mais nécessaire, in Signes des Temps, ottobre, 1961, p. 12). «C’è anche in queste lettere un elemento profetico e, esaminando l’ordine con il quale esse sono state dettate, numerosi commentatori cattolici e protestanti, inglesi, francesi e tedeschi hanno riconosciuto che esse sono un riassunto della storia della Chiesa dalla santa e pura infanzia fino al giorno in cui Gesù Cristo chiamerà i suoi servitori fedeli a regnare con lui» (ROUGEMENT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, Neuchâtel 1866, p. 162). C’è qualche divergenza d’opinione tra i commentatori sul significato etimologico di alcuni nomi di queste chiese e sulla durata del tempo che esse rappresentano. «Le epoche alle quali questi nomi corrispondono non possono essere limitate in una maniera rigorosa e matematica; c’è, al punto d’unione dell’uno e dell’altro, una certa mescolanza di fatti che caratterizzano il periodo che finisce e quello che incomincia» (M. Michel, o.c., p. 70). «Un periodo non finisce necessariamente quando l’altro comincia, e l’ultima parte dell’uno può molto bene coesistere con la prima parte - l’inizio - dell’altro» (F. de Rougemont, o.c., p. 168).
Efeso «La prima lettera è indirizzata alla chiesa, all’inizio così fervente, del secolo apostolico, la Chiesa del desiderio, come è il senso greco della parola Efeso» (GAUSSEN Louis, Daniel le prophète, t. III, Paris 1849, p. 210). L’accordo è unanime nel vedervi la chiesa apostolica. «La Chiesa del Signore non si trovò in uno stato più desiderabile di quello dei tempi apostolici, rispetto alla fede? Certo che no. Nondimeno, verso la fine di questo periodo, essa perde quel primo amore, pur continuando a mostrarsi severa di fronte agli eretici che incominciano a sorgere e a preparare la teocrazia cristiana, il mistero d’iniquità, al quale allude San Paolo» (ELDIN François, Derniers temps et avenir eternel… d’après l’Apocalypse, Paris 1885, p. 91). I Nicolaiti erano i membri di una setta eretica la cui influenza, oltre che nel I secolo, si fa sentire anche nella Chiesa di Pergamo (2:15). Ireneo li identifica con gli gnostici che negavano la divinità del Cristo. A loro forse si fa riferimento nelle epistole della cattività e pastorali. Ci sono prove storiche del II secolo di una setta gnostica chiamata Nicolaita. Alcuni Padri fanno risalire questa setta a Nicola, uno dei diaconi (Atti 6:5). Si pensa generalmente Quando la profezia diventa storia
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che avessero le mogli in comune e considerassero con indifferenza l’adulterio e la fornicazione e che mangiassero ciò che i pagani avevano offerto agli idoli. Con REUSS E.G.E. (L’Apocalypse, Paris 1878, p. 55), crediamo che i Balaamiti e i Nicolaiti siano una stessa cosa (2:6,14,15). «Il testo esige assolutamente l’identificazione dei due nomi… Nicolaiti è per l’autore la forma greca, o moderna, o storica, di quanto viene chiamato Balaam nel racconto tipico dell’Antico Testamento… Il nome Balaam poteva venire tradotto, in greco, con Nikolaos…» (A.F. Vaucher, o.c.). Si tratta dunque dell’introduzione dell’idolatria nel cristianesimo, ostacolata prima, poi agevolata. Per la durata di questo periodo, bisogna scartare l’idea di coloro che fanno giungere questa Chiesa fino verso il 300 o fino a Costantino. Diciamo con L. Gaussen: «La prima epistola è indirizzata alla Chiesa, da principio così fervente, del secolo apostolico». La minaccia di rimuovere il candeliere dal suo posto (versetto 5) può essere riferita al fatto che la Chiesa primitiva di origine giudaica, quindi giudaico-cristiana, si sarebbe trasformata, a seguito della distruzione del tempio, nella chiesa cristiana di origine pagana, rappresentata da Smirne.
Smirne «La seconda lettera è indirizzata alla chiesa perseguitata nei due secoli successivi, Chiesa di mirra e di amarezza» (L. Gaussen, o.c., t. III, p. 210). Gli interpreti sono pressoché unanimi nel riconoscere che Smirne derivi dalla parola mirra, sostanza aromatica che serviva per imbalsamare i morti. Pur avendo un odore amaro era anche gradevole. Smirne è la Chiesa dei martiri: dal tempo di Nerone a quello di Diocleziano. Non si può giungere fino a Maometto, come ha pensato qualcuno, per il fatto che in quel periodo la Chiesa non era più martire, ma dominava. Diversi interpreti ravvisano nei dieci giorni del versetto 10 le persecuzioni di Diocleziano, dal 303 al 313, come le più terribili, tendenti a sopprimere per sempre il cristianesimo. Questa Chiesa segna la transizione da Efeso, chiesa apostolica, a Pergamo, chiesa trionfante, che, con l’editto di Milano del 313 promulgato da Costantino che riconosce il cristianesimo come una religione dell’impero, inizia ad essere corteggiata dal potere imperiale. Smirne è un «Chiesa provata per quanto riguarda i beni temporali, ma ricca di tesori spirituali imperituri, colpita da molteplici afflizioni, calunniata dai Giudei, diventati ormai una sinagoga di Satana» (F. de Rougemont, o.c., p. 170).
Pergamo «La terza lettera è indirizzata alla chiesa innalzata nei giorni di Costantino il Grande e nei secoli che seguiranno: alla chiesa dell’elevazione (è il senso in greco, della parola Pergamo)» (L. Gaussen, o.c., t. III, p. 211). Pergamo significa: elevazione, luogo elevato, fortezza elevata, acropoli, cittadella. Il pulpito nelle chiese, è chiamato pergamo e si trova in una posizione elevata rispetto all’assemblea, è chiamato pergamo. Questa lettera presenta la Chiesa che giunge fino verso il 533, 538.
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La Chiesa, stanca di soffrire, ha accettato la mano tentatrice stesale dal mondo ed è salita ad una posizione elevata dopo l’adesione di Costantino al Cristianesimo, divenendo poi la religione dello Stato. La vittoria apparente nasconde la disfatta spirituale. «Al principio del IV secolo, la Chiesa contrae un matrimonio adulterino. La figlia di Moab, vestita di porpora imperiale, ha invitato la Chiesa al suo ballo, e questa, sedotta, è andata a contaminarsi con essa presso le statue dei suoi falsi dèi!… Ne risultò una alleanza contro natura della Chiesa cristiana col paganesimo e l’invasione dell’idolatria nella Chiesa» (TOPHEL, Les septs Églises d’Asie, p. 73). A Pergamo c’era il trono di Satana. Il culto all’imperatore divino da Babilonia passò a Pergamo, dopo che la capitale della Mesopotamia fu vinta dai Medo Persiani. Nel 133 a.C., dopo la morte di Attalo III, il regno di Pergamo venne incorporato all’Impero Romano e la città divenne la sede amministrativa di tutte le province. A Pergamo c’era il monopolio del culto a Esculapio, dio del fuoco e delle guarigioni miracolose. Il suo emblema era il serpente che troviamo su diverse medaglie e che la Bibbia identifica con Satana (Genesi 3:1; Apocalisse 12:9; ecc.). È in questa città che si espresse per la prima volta nel 29 a.C. il culto all’imperatore romano adorato come dio. I cristiani alla fine del I secolo, rifiutando di vedere nell’imperatore Domiziano (81-96 d.C.) il “Signore e dio”, venivano perseguitati. Con il tempo il trono da Pergamo si spostò a Roma e il “Pontefice Massimo” pagano lasciò il seggio al Pontefice Massimo cristiano. Chi è Antipa? «Gli storici antichi non ne fanno parola. Per cui alcuni commentatori hanno considerato il nome di Antipa (contro tutto) come un personaggio tipico destinato a impersonare la protesta dei cristiani autentici contro l’invasione della mondanità nella Chiesa, protesta che si è spenta allorquando la Chiesa è stata innalzata al posto sociale, così pericoloso per la fede, indicato dalle parole: “dove abita Satana”» (F. Eldin, o.c., p. 93)
Tiatiri L’origine e il significato del nome sono un po’ incerti. È composto da un sostantivo che significa «sacrificio» e da un verbo che significa «tritare». Si è suggerito quindi il significato di «fedele servizio», costanza, consumazione delle vittime. Alla chiesa di Pergamo, castigata dalle invasioni barbariche, succede Tiatiri, la chiesa che esprime la fedeltà nelle privazioni. «La quarta epistola è indirizzata alla Chiesa perseguitata, durante i secoli del Medioevo, sotto la crudele tirannia dei papi, periodo lamentevole d’idolatria e di sterminio; abbiamo qui la Chiesa della consumazione delle vittime (in greco Tiatiri)» (L. Gaussen, o.c., t. III, p. 211) Iezebel era profetessa e sacerdotessa di Baal, il dio solare dei Fenici. Divenuta regina d’Israele, introduce il culto dei falsi dèi i cui sacerdoti mangiano alla sua tavola (1 Re 18:19). Non esita a utilizzare il potere temporale (1 Re 21) per mantenere il suo culto. Durante il suo regno Israele conosce la carestia per tre anni e mezzo (Giacomo 5: 7). Alcuni commentatori hanno pensato che il periodo di questa Chiesa vada dal VI secolo fino alla Rivoluzione francese, al tempo della ferita mortale papale, con il declino politico del suo potere. Sebbene questo periodo di tre anni e mezzo, annunciato da Elia su Israele, potrebbe corrispondere in un possibile accostamento di analogia profetica, ai 1260 anni della supremazia papale, crediamo che questo modo di pensare sia troppo lungo perché sarebbe in parallelo anche, per oltre due secoli, con il tempo della chiesa di Sardi. Inoltre, in Quando la profezia diventa storia
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considerazione del fatto che Iezebel pretende di legiferare nel nome di Dio, incarna molto bene il peccato della chiesa di Roma, che oltre alla sua apostasia religiosa, tra cui la sua devozione al culto solare, aggiunge la fornicazione con i re del suo tempo mediante l’illecita unione politica e religiosa, stato e clero. A questa Chiesa Gesù accorda del «tempo per ravvedersi». Quest’opera di censura e di richiamo, una volta compiuta dal profeta del deserto, Elia, nel Medioevo è stata incarnata da diversi movimenti preriformatori: valdesi, albigesi, catari e altri, e da uomini come Wycliff, Savonarola, Hus, Gerolamo da Praga e da tutti quei cattolici che vedevano nel vescovo di Roma il piccolo corno di Daniele 7, la prima bestia di Apocalisse 13 e la prostituta di Apocalisse 17. Con Lutero il tempo accordato per il ravvedimento crediamo finisca, Roma respinge l’invito alla grazia e scade per sempre agli occhi di Dio. Non ci si deve illudere di recuperarla, diventa «la madre delle meretrici» (Apocalisse 17:5). La Riforma protestante dà un nuovo indirizzo alla storia del Popolo di Dio, ma delle pratiche religiose della chiesa di Roma vengono ereditate e continuano a fare parte del patrimonio religioso del cristianesimo non cattolico. Nel linguaggio profetico biblico la donna simboleggia sempre la Chiesa; sposa fedele se segue gli insegnamenti del suo divino sposo (Isaia 54:5,6; 2 Corinzi 11:2), adultera se segue altri insegnamenti (Ezechiele 16:32; 23). In questa lettera per tre volte viene ripetuta l’espressione fornicazione-adulterio (2:20,21,22) riferentesi all’idolatria e all’immortalità. «La chiesa dove Iezebel vaticina racchiude tre classi di cristiani. Prima di tutto, i veri fedeli che si distinguono mediante la loro carità, la loro fede, la cura che hanno per i poveri, la loro pazienza e l’abbondare nelle opere buone, ma che allo stesso tempo tollerano Iezebel. Poi viene Iezebel, la quale si dice ispirata, infallibile, e seduce i servi stessi del Cristo, i suoi ministri, insegnando dottrine diaboliche e pagane sotto forma di misteri cristiani profondi, inscrutabili… Infine, Tiatiri comprende un residuo: i veri fedeli, più intelligenti e più coraggiosi dei primi, e che non temono di smascherare i cosiddetti profondi misteri, facendoli apparire tali quali sono, misteri di Satana. Il Signore dichiara agli uni e agli altri di non voler aggiungere altro peso su di loro, che hanno già tanto da soffrire per il giogo tirannico della falsa profetessa. Solo conservino fino al suo ritorno quanto posseggono di verità» (F. de Rougemont, o.c., pp. 174,175)
Sardi Canto di gioia, residuo, qualche cosa di nuovo, pietra preziosa per associazione al nome sardonico. Il “resto” viene suggerito dal testo (3:2). «La quinta lettera è indirizzata alla Chiesa del residuo (è il senso ebraico della parola Sardi)» (L. Gaussen, o.c., t. III, p. 211). Si attribuisce a questa chiesa il periodo dall’800 al 1793, ma è troppo lungo. Gaussen ed Eldin la pongono al XIV e XV secolo. La si è posta anche tra il 1517 e il 1806. Ma «Sardi è la Chiesa protestante prima dei tempi di Spener e di Wesley» (F. de Rougemont, o.c., p. 180). Le parole rivolte a questa chiesa sono abbastanza severe. I cattolici, non vedendo di buon occhio la Riforma, che considerano come un tradimento, una rivolta alla chiesa madre, indirizzano ai protestanti le stesse critiche. 1066
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I protestanti sono ugualmente stupiti del messaggio severo a loro rivolto, sebbene considerino la Riforma come qualcosa di divino. In questo periodo sono poche le conversioni personali, sono conversioni in massa, sebbene i princìpi della Riforma siano giusti. Si è un po’ verificato quello che è avvenuto quando gli imperatori romani prima e i re pagani poi si sono “convertiti”, per così dire, al cristianesimo. Molti principi e re, per interessi politici o di varia natura, abbracciarono la Riforma e per il popolo divenne quasi obbligatorio diventare protestante perché il capo di stato lo era. In diverse città svizzere la popolazione rimaneva cattolica, diventava protestante o tornava cattolica seguendo la scelta di chi governava. L’esordio della lettera la giudica come organismo vivente, ma in realtà è morta, cioè è viva esteriormente. È dai frutti che la si vede morta. «Ravvediti» (pentiti). Il pentimento non è per coloro che non conoscono la verità, ma per quelli che la conoscono e credono di conoscerla. «Pochi - confessa il de Rougemont (o.c., p. 180) - sono stati i protestanti i quali abbiano, anziché abusato della dottrina della salvezza gratuita per fede e senza opere, condotto una vita degna della giustizia divina imputata ai credenti. Perciò la gran massa dei riformati potrà vedere un giorno con terrore il proprio nome tolto dal libro della vita, e le chiese luterane e calviniste, che non si saranno pentite alla voce del Signore, possono essere certe di perire tosto o tardi di subita rovina». In realtà la Riforma che ha riscoperto cosa significa «vivere per la fede in Gesù Cristo» non l’ha sperimentata completamente.
Filadelfia Amore fraterno. Pensiero unanime tra gli studiosi. Molti protestanti attribuiscono a loro questo periodo. Il Tophel la chiama la chiesa dei risvegli, pensando a quello di Spener in Germania, di Wesley in Inghilterra, e, più recentemente, al potente risveglio religioso che scosse tutto il protestantesimo prima della metà del secolo scorso. «Noi riconosciamo questa chiesa della missione e dell’umanità fraterna in tutte quelle che, dal tempo di Spener e di Zinzendorf, hanno annunciato l’Evangelo ai cristiani di nome e ai pagani» (F. de Rougemont, o.c., p. 182). È a questa chiesa che il Signore apre la porta (3:8): la porta delle missioni in terra pagana. È in questo periodo che sorgono le organizzazioni per la diffusione della Parola di Dio. È la Chiesa del XVIII e XIX secolo.
Laodicea Giudizio del popolo, giudizio dei popoli, condanna del popolo, separazione dei popoli, rigetto dei popoli. Quindi, «la settima epistola è indirizzata alla Chiesa degli ultimi tempi, in cui Gesù Cristo verrà a giudicare le nazioni e il suo popolo; la Chiesa del giudizio dei popoli (in greco, Laodicea)» (L. Gaussen, o.c., t. III, p. 212).
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APPENDICE N. 11
È la Chiesa dei tempi della fine. Il suo periodo inizia con lo scadere delle 2.300 sere e mattine di Daniele 8:14, che segna l’inizio del giudizio preliminare che si svolge nel cielo e che si conclude poco prima del ritorno di Gesù. Quanto all’invito: «Io sto alla porta e picchio…», «una esegesi logica ci obbliga qui a riconoscere che si tratta dell’imminenza del ritorno del Signore» (Pierre de BENOIT, Ce que l’Esprit dit aux Eglises - Commentaire sur l’Apocalypse, Vennes sur Lausanne 1941; p. 31). J. JEREMIA, scartando la concezione mistica con la quale si vede Gesù che batte alla porta del cuore, scrive: «Contro una tale concezione parla il carattere escatologico dell’immagine della cena della salvezza… Bisogna dunque comprendere 3:20 indicante il ritorno del Signore, (confr. Luca 12:37 e seguenti), che domanda d’entrare come l’ospite presso i suoi discepoli per poi accordare loro la comunione alla tavola della cena celeste» (cit. Charles BRÜTSCH, La clarté de l’Apocalypse, 5a ed., Genève 1966, p. 88). Laodicea non riceve nessun elogio, neppure quello di possedere la Verità. Non riceve neppure un rimprovero d’ordine dogmatico, teologico. I suoi errori sono interamente d’ordine spirituale: tiepidezza e sufficienza. «A questa Chiesa i rimproveri più severi, ma anche le più grandi promesse. Se dovesse persistere nella propria tiepidezza, verrebbe finalmente vomitata dal suo Signore; ma Gesù sta alla porta e picchia, impaziente di entrare per il banchetto sacro che suggellerà la comunione dei fedeli col Signore morto e tornato in vita per sempre» (A.F. Vaucher, o.c., p. 9).
Conclusione «Contro questo sistema di interpretazione, si è argomentato che gli esegeti che l’adoperano non s’accordano sempre tra loro quando si tratta di fissare l’inizio e la fine di ogni periodo. Ciò perché si dimenticano due cose: prima di tutto è difficile segnare con certezza, come anche succede nella vita di una persona, il momento preciso in cui finisce un’età e in cui comincia quella successiva. Ancor più si dovrebbe esitare quando si tratta d’una collettività dispersa sulla superficie del globo, che evolve incessantemente, ma le cui diverse parti non si modificano con la stessa rapidità. Si può ammettere, per conseguenza, che i diversi periodi della chiesa si accavallano gli uni sugli altri. Così si è fatto qualche volta con Smirne, la chiesa della persecuzione, facendola incominciare con Nerone, mentre la maggior parte degli interpreti danno a Efeso, la chiesa desiderabile, tutta l’età apostolica, fino al tempo di Domiziano» (VAUCHER Alfred Félix, La portée prophétique des messages aux sept églises, in Revue Adventiste, 15 settembre 1940). «Si deve riconoscere che due età successive s’intrecciano necessariamente durante una parte della loro durata; non è, nell’ordine intellettuale e morale, come nell’ordine fisico e materiale. Affinché un cambiamento si manifesti nel primo di questi due ordini, bisogna che il germe in sé sia prima depositato nella mente o in qualcuno di loro; che cresca, si estenda, si sviluppi, che acquisti abbastanza forza per lottare contro le disposizioni che avevano dominato fino a quel momento; che finisca infine per vincerli e farli interamente sparire. Ma questo germe cresce, si estende, diventa grande e lotta durante l’esistenza dell’età precedente al quale appartiene, per sua nascita, senza appartenergli nel testo sacro; in modo che queste due età vivano insieme durante una parte della loro durata» (A. Nicolas, o.c., pp. 65, 66). Concludiamo con le parole del maestro A.F. Vaucher: «Possiamo rimpiangere le divergenze di opinione che si sono manifestate tra i commentatori sulla questione che ci 1068
Quando la profezia diventa storia
LETTERA ALLE SETTE CHIESE - L’ADORAZIONE A DIO … - I SETTE SIGILLI - LE SETTE TROMBE
occupa come su tante altre. Per me, ciò che mi meraviglia, non è tanto il disaccordo nel dettaglio piuttosto quanto l’accordo nell’insieme, fra tanti autori, gli uni cattolici, gli altri protestanti, appartenenti a epoche diverse. Non abbiamo motivo di abbandonare il sistema di interpretazione al quale Gaussen ha legato il suo nome e che ha riassunto in questi termini: “Gesù Cristo detta personalmente a Giovanni queste sette epistole, indirizzate letteralmente alle sette chiese dell’Asia, ma simbolicamente ai sette periodi successivi della Chiesa cristiana, dai giorni di Giovanni fino al glorioso millennio. Poiché bisogna bene ricordare che, in tutte queste divisioni profetiche dei secoli, il numero sette, simbolo della perfezione, esaurisce sempre la storia dei tempi futuri, di modo che la settima e ultima cifra ci conduce necessariamente al termine di tutte le cose” L. Gaussen, o.c., t. III, p. 209» (A.F. Vaucher, Idem)
Le lettere alle 7 chiese Nome
EFESO
SMIRNE
Epoca
I secolo
II - III secolo
Significato
Desiderabile
Amarezza
Elevazione
Consumazione delle vittime
Elogi
Opere Fatica
Perseveranza nelle tribolazioni
Fede
Opere Amore Servizio Fede Costanza
Costanza
PERGAMO
Promesse
Abbandono del primo amore
SARDI
FILADELFIA
LAODICEA
XIX secolo
Dal XIX secolo
Il rimanente
Amore fraterno
Giudizio dei Popoli
Fedeltà di alcuni
Opere, Lealtà, Costanza
IV - V secolo VI- XVI sec. XVII-XVIII secolo.
Ricchezza spirituale
Rimproveri Esortazioni
TIATIRI
Falsi Falsi insegnamenti insegnamenti
Tu sei morto
Tiepidezza Orgoglio
Ravvediti ! Fai le opere di prima !
Non temere ! Sii fedele !
Ravvediti !
Tieni fermamente quello che hai !
Sii vigilante e rafferma il resto ! Ravvediti !
Tieni fermamente quello che hai !
Compra dell’oro Metti il collirio Ravvediti !
L’albero della vita
La corona della vita
La manna nascosta. Un nome nuovo
Potestà sulle nazioni La stella mattutina
Vesti bianche Scritti nel libro della vita
Colonna nel tempio di Dio
Regnare con Cristo sul suo trono
Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 11
L’ADORAZIONE A DIO SUL TRONO, ALL’AGNELLO E IL LIBRO DELL’AVVENIRE SIGILLATO Apocalisse IV e V
Con il capitolo 4 inizia una nuova visione. Versetti 1, 2. Una porta si apre in cielo. «Il cielo e la terra sono due province dello stesso regno: il regno di Dio. Ciò che avviene nell’invisibile ha le sue ripercussioni nel mondo del visibile e non si può cogliere il senso dei fenomeni della storia se non mettendoli in relazione con le cause celesti» (VAUCHER Alfred-Félix, Les visions de l’apôtre Jean, in Signes des Temps, 15 maggio-30 giugno, 1919). Ciò che attrae l’attenzione di Giovanni è «un trono posto nel cielo, e sul trono v’era uno a sedere». Dio è sovrano, Dio regna: è quanto appare al primo sguardo nel cielo anche se il suo dominio non è immediatamente evidente. L’Apostolo non nomina Dio, ma lo paragona a una pietra preziosa: «Dio è luce». Osserva DOUKHAN Jacques: «Delle sessantadue volte che si incontra nel Nuovo Testamento la parola “trono”, quarantasette si trovano nell’Apocalisse, poi viene l’evangelo di Matteo con quattro volte. Questa parola è importante nella visione di Giovanni, per i suoi contemporanei, così preoccupati del potere, dei troni terrestri e in particolare del trono di Cesare, per i lettori di ogni tempo che temono il potere o che lo desiderano, l’Apocalisse moltiplica i richiami affinché ci si ricordi che c’è “un trono nel cielo” al di sopra di tutti i troni. La parola “trono” è la parola chiave del capitolo 4: sui quarantasette impieghi in Apocalisse, quattordici si trovano in questo capitolo» (Le Cri du ciel - Étude prophétique sur le livre de l’Apocalypse, Dammarie-les Lys 1996, p. 73,74). Non si descrive né il trono né chi vi è seduto sopra: «la realtà va al di là delle parole» J. Doukhan, o.c, p. 74. Versetto 3. Il suo trono è circondato da un «arcobaleno che, a vederlo, somigliava a uno smeraldo». Questo arcobaleno non è una rappresentazione figurata dell’aureola di Dio, ma il segno del «patto», l’«immagine della grazia» (Genesi 9:12,13). Il Dio della Bibbia, della rivelazione, il vero Dio, il Dio vivente non è isolato nell’infinito, come il dio dei filosofi o delle speculazioni umane. Ed è anche per questo che Giovanni lo descrive attorniato dall’assemblea celeste. Versetto 4. «I 24 anziani». Alcuni hanno pensato a degli esseri celesti. Altri vi hanno visto i rappresentanti dell’umanità salvata che sono di già in cielo (come Enoc, Mosè, Elia e altre persone che risorsero alla morte di Gesù e salirono poi con lui, Efesi 4:8). È preferibile la spiegazione di coloro che vedono in questi 24 anziani la rappresentazione celeste del popolo di Dio, la Chiesa. Il numero 24 indica l’Antico e il Nuovo Patto, la somma dei 12 patriarchi e dei 12 apostoli, la Chiesa nella sua pienezza, la Nuova Gerusalemme. Sono vestiti di vesti bianche - una sola volta nell’Apocalisse le vesti bianche sono l’abbigliamento degli angeli che esprime grazia (19:14) - cioè ricoperti della giustizia di Cristo e hanno delle corone in capo, simbolo del trionfo finale dei credenti. Troni, vestiti, corone sono promessi nelle lettere alle sette chiese a coloro che vinceranno. Qui la Chiesa è già rappresentata nel cielo quale garanzia del trionfo finale della grazia di Dio e a conferma che i nomi dei salvati sono scritti fin dalla fondazione del mondo nel libro dell’Agnello (13:8). Versetto 5. I «lampi», le «voci» e i «tuoni» sono sia segni dell’onnipotenza di Dio che si esprime sul mondo sia anche manifestazione della sua presenza come al Sinai. Sotto 1070
Quando la profezia diventa storia
LETTERA ALLE SETTE CHIESE - L’ADORAZIONE A DIO … - I SETTE SIGILLI - LE SETTE TROMBE
l’immagine delle «sette lampade» ardenti viene raffigurato lo Spirito Santo nella sua pienezza che esercita la sovranità di Dio nell’universo. Versetto 6. Il «mare di vetro simile al cristallo» che si estende davanti al trono di Dio ha avuto diverse spiegazioni. Gli interpreti antichi e medievali vi hanno visto l’immensa moltitudine dei salvati. L’umanità purificata che davanti a Dio è trasparente come vetro. Altri vi hanno visto l’immagine della grazia, dalla quale scaturisce il fiume della vita. Ma l’immagine della grazia è già raffigurata dall’arcobaleno. Altri vi hanno visto l’emblema della verità, il battesimo. Crediamo che sia meglio vedervi la serena limpidezza dell’ordine eterno: la creazione inanimata. «Le quattro creature viventi». Ireneo, Agostino, Gerolamo, Gregorio Magno, altri commentatori e artisti nelle loro opere vi hanno visto i quattro evangelisti. Gerolamo scriveva: “La prima figura, quella dell’uomo, rappresenta Matteo, perché ha cominciato a parlare dell’uomo: la genealogia di Gesù Cristo; il leone rappresenta Marco perché in lui risuona la voce del leone che attraversa il deserto; la terza, il bue, rappresenta Luca…; la quarta figura, l’aquila, rappresenta Giovanni, che si leva in volo sulle ali, parlando della Parola Eterna!”» (BRÜTSCH Charles, L’Apocalisse, Torino 1949, p. 60). «Un’antica parabola giudaica, un midrash, riprende la stessa immagine. Secondo Rabbi Abahu, ci sono quattro creature potenti: l’aquila, l’animale più potente tra gli uccelli; il bue, tra le bestie domestiche; il leone tra le bestie selvagge; ed infine l’uomo, il più potente fra tutti gli animali (STRACK H.L., BILLERBECK P., Kommentar sum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch, t. III, München 1979, p. 799). Secondo questa tradizione i quattro animali rappresentano la creazione vivente tutta intera, come i ventiquattro anziani rappresentano più specificatamente il genere umano. La creazione dell’universo è dunque nel cuore della visione del trono» (J. Doukhan, o.c., p. 77). Questo modo di vedere viene confermato nei capitoli 5 e 7:11; 15:7. Tutta la creazione raggiunge la sua destinazione a seguito della redenzione, torna a una santa e sublime unità con l’umanità riscattata e loda il suo Creatore. Le quattro creature viventi hanno sei ali e molti occhi, non danno alcuna impressione di pesantezza, appaiono liberate dai loro istinti e da ogni legge di gravità, sono dedite al servizio di Dio. Questo mondo creato per rendere gloria a Dio, sotto la direzione dell’uomo, fatto ad immagine e somiglianza dell’Eterno, a causa del proprio peccato, che lo ha privato della gloria divina, lo ha trascinato nel suo squilibrio, con il resto del mondo visibile: animato ed inanimato. Nel ristabilimento di tutte le cose, Dio rende loro la dignità. «I cherubini… sono i rappresentanti più elevati della creazione, riuniscono nella loro persona quattro personificazioni principali di Dio che si riflettono nelle creature, cioè: la saggezza rappresentata dall’uomo, la forza produttrice dal toro, la maestà dal leone e l’onniscienza dall’aquila» (REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanna 1904, p. 15). Questa visione di Giovanni ci vuole offrire, per anticipazione profetica, un quadro della fine ultima della creazione: i 24 anziani rappresentano l’umanità riscattata nel lodare l’Eterno; le quattro creature viventi la creazione animata al suo servizio e mezzo di rivelazione della gloria di Dio; il mare di vetro la restituzione alla pace celeste della creazione inanimata. Il capitolo 5, continuazione del 4, non ci presenta il Dio Creatore, ma il Dio Redentore. Mentre il capitolo 4 conclude con gli anziani e le creature viventi celebranti la gloria di Colui che ha chiamato all’esistenza «tutte le cose», il capitolo 5 canta le meraviglie ancora più grandi dell’amore del Padre che ha riscattato i suoi figli con il sangue dell’Agnello (A. Reymond, o.c., t. I, p. 157). Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 11
Versetto 1 «Libro sigillato». Questo libro racchiude gli avvenimenti con i quali si realizzano i destini del regno di Dio e si trova nella mano destra di Dio. Lui è il Signore dell’universo, è il sovrano, dominatore dei popoli, capo della Chiesa, governatore del mondo. Lui ha concepito il piano della salvezza e questo libro sigillato contiene gli eventi attraverso i quali il suo progetto si inserisce e si compie nella storia. Il libro è scritto e sigillato. Dio non vi cambia nulla. «Il sigillo è l’emblema di un avvenimento ancora nascosto, ma già divinamente decretato» (GODET Frédéric, Études Bibliques, t. II, 5ª ed., p. 304). Il piano della salvezza sarà realizzato completamente, malgrado l’opposizione degli avversari, degli eventi, delle macchinazioni e del furore di colui che vuole dividere. Quanto alla libertà che lascia ai suoi nemici, Dio la rispetta, ma anche nelle più grandi deviazioni la sua volontà sovrana si compie e il suo piano si realizza, poiché l’Eterno è ammirabile in consigli, la sua saggezza è insondabile e sa fare concorrere al suo scopo gli uomini e le cose, gli amici e i nemici, gli avvenimenti più contrari come quelli più favorevoli ai suoi disegni (es. vedere storia di Giuseppe). Questo libro è scritto di dentro e di fuori perché, sebbene il disegno di Dio sia semplice, la salvezza dell’uomo, è comunque d’una ricchezza infinita, l’abbondanza e la varietà della materia superano ogni immaginazione. È scritto da ambo i lati perché la storia degli uomini si presenta con diverse sfaccettature. I fogli sono sigillati in modo che un sigillo rotto non permetta di leggere che un foglio alla volta. I sigilli sono 7. Cioè hanno il numero del compimento, della perfezione, della pienezza. Ciò significa che il disegno di Dio sarà conosciuto nella sua totalità e nella grande varietà dei suoi aspetti solo quando tutti i sigilli saranno stati successivamente rotti. Versetto 2. La voce dell’angelo si estende per tutto l’universo, raggiunge i più lontani mondi abitati per chiedere: «Chi è degno di aprire il libro e rompere i sigilli?». L’attesa è generale, gli occhi si dirigono verso tutte le direzioni per vedere se qualche essere particolare tra tutti gli esseri creati si possa alzare tra l’immensa moltitudine. Versetto 3. Agli esseri umani non è possibile; come possono conoscere le cose del futuro se non riescono ad avere una chiara visione della storia del passato e del presente? Anche agli esseri celesti non è possibile. Essi stessi cercano di penetrare nel piano della salvezza per poterlo meglio comprendere (1 Pietro 1:11). Versetto 4. Giovanni, non potendo penetrare nei consigli dell’Onnipotente per rivelare le disposizioni di Dio alla Chiesa, piange. Così facendo dimostra il suo cuore sacerdotale di pastore e di apostolo. Giovanni vuole conoscere l’avvenire per meglio consolare la Chiesa nei momenti delle prove spirituali e materiali. Per Giovanni l’apertura del libro significa avere una risposta ai perché che preoccupano la mente degli uomini quando constatano la realtà del presente e del passato. Giovanni percepisce che in quel libro si può leggere la consolazione degli afflitti, il trionfo della verità, la distruzione dell’errore, la confusione degli avversari, la fedeltà nella perseveranza. Versetto 5. Chi può aprire il libro è un figlio dell’umanità è «il leone della tribù di Giuda (Giuda = lode dell’Eterno (Genesi 29:35) “Giuda, te loderanno i tuoi fratelli” Genesi 59:8), “il rampollo di Davide”. È un anziano che prende la parola perché il decreto dell’Eterno interessa particolarmente l’umanità riscattata. La Chiesa cristiana non deve solamente insistere sulla divinità di Cristo, ma anche sulla forza della sua umanità. Questi due attributi del Messia sono presi dalla parola profetica di Genesi 49:8-10; Isaia 11:1,2,10. Il leone è il simbolo del Messia nella sua forza contro i suoi nemici. Egli li distruggerà come il leone distrugge la sua preda. La parola greca dalla quale viene la nostra traduzione «rampollo», significa anche radice, perché il Messia è nello stesso tempo radice di Davide, quanto alla divinità, e suo rampollo, germoglio, quanto all’umanità. Come diceva Andrea di Cesarea: «Cristo è la radice 1072
Quando la profezia diventa storia
LETTERA ALLE SETTE CHIESE - L’ADORAZIONE A DIO … - I SETTE SIGILLI - LE SETTE TROMBE
di Davide, come Creatore, secondo la sua divinità, ma viene dalla radice di Davide secondo la sua umanità». Il Messia non è solo il germoglio di Davide, ma è anche colui che lo precede, lo produce, lo porta. Questa espressione ricorda quelle di Gesù in cui, citando il Salmo 110:1, si dichiara contemporaneamente figlio e Signore di Davide, (Matteo 22:41-46). Il Messia prima dell’incarnazione è la radice dalla quale sorge non solamente Davide, ma anche Mosè, Abrahamo, tutto il popolo d’Israele e la comunità dei santi. E possiamo dire ancor meglio: se c’è stato un Abrahamo, un Mosè, un Davide, tutto un popolo, questo è stato generato in vista dell’incarnazione del Figlio di Dio. Il Figlio porta in sé Davide e i Patriarchi e contemporaneamente lo scopo, il termine verso il quale questi e tutta la storia d’Israele, tutta l’antica economia e tutte le dispensazioni divine dell’antica alleanza convergono e concludono. Il Figlio di Dio è l’anima, il principio, lo spirito, la vita intima di questa alleanza al termine della quale Egli si incarna nella persona di Gesù» (A. Reymond, o.c., t. I, pp. 164, 165). Versetto 6. Sulla terra dove si è svolto il dramma della salvezza si è vista una scena deplorevole, di tenebre, di scherni, di beffe, di delusioni: la croce. Nel cielo, dove tutto acquista la vera forma, il Crocifisso è al centro della visione, in piedi come un vincitore. L’ultimo degli uomini è diventato il primo. Nel cielo non c’è spazio per la presentazione dei successi, dei clamori, delle conquiste degli uomini, con i loro eserciti e le loro scoperte. Ma la croce, questo ignobile strumento di morte, è presentata nel suo vero significato. Lo scacco, la sconfitta (ad occhio umano) del Cristo sul Golgota riempie i luoghi altissimi del suo splendore. Cristo Gesù viene presentato crocifisso e glorificato, rivestito dell’Onnipotenza: aveva «sette corna»; dell’onniscienza: «e sette occhi», e della pienezza dello Spirito Santo: «i sette Spiriti di Dio». Gli è stata ridata la gloria che aveva presso al Padre prima che il mondo fosse (Giovanni 17: 5) (vedere C. Brütsch, o.c., p. 65). Questo leone in forma di Agnello raffigura la grazia manifestata nella redenzione e la distruzione del male quale conseguenza del giudizio. Gesù è l’autore dell’una e dell’altra; Gesù è la pietra angolare sulla quale si edifica la propria esistenza o sulla quale si infrange la propria vita, il male ed il suo autore. Per questo motivo ha il diritto di rivelare la vittoria finale, cioè rompere i sigilli. In Cristo Gesù, nella sua persona, nella sua opera, vi è il centro e si riassume tutto il significato della storia degli uomini. Egli è colui che svela i pensieri di Dio, ne è la Parola e il realizzatore. Senza di lui e fuori di lui questo mondo è un enigma, un incomprensibile caos e, come diceva Voltaire, la storia dell’umanità è spesso sembrata come una cattiva burla. Gesù solo, malgrado tutti i misteri che la sua persona e la sua opera presentano alla nostra mente di persone limitate, è la sola luce (Giovanni 8:12). Versetto 9. Mediante il suo trionfo sul male Cristo Gesù dalle due creazioni, celeste e terrestre, ha formato un solo popolo (Colossesi 1:20; Efesi 1:10) di re e sacerdoti che servono liberamente Dio. «Gli uni (gli angeli) con voce sonora per i quali nulla ha mai alterato lo splendore, pubblicano la fedeltà dell’Altissimo che corona magnificamente l’umile e perseverante sottomissione alla sua volontà; gli altri (l’umanità), su un tono più grave e con un accento più contenuto, come conviene a degli esseri il cui canto è nato nelle lacrime, glorificano la sua grazia che cancella l’infedeltà e perdona la rivolta; quelli mostrano a noi uomini, nel loro esempio, la scala luminosa sulla quale hanno potuto elevarsi fino a Dio senza mai uscire dal bene, raggiungere la perfezione, ma senza la caduta, realizzare il progetto nel seno dell’innocenza, glorificando così la santità e la veracità di questo Dio che non permette che il peccato possa mai essere considerato come necessario o anche come utile in sé; e dall’altro lato, noi uomini risponderemo a loro mostrando, con umiltà profonda, i bui abissi Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 11
del peccato dove eravamo precipitati, ma da cui la mano di Dio ci ha ritirati mediante prodigi senza uguali; glorificando così ai loro occhi questa grazia “che sovrabbonda là dove il peccato abbonda” e che, cambiando il male stesso in bene, compie il miracolo dei miracoli. Dal seno dei due popoli che ne formeranno uno, si eleverà allora, su toni diversi, questo inno comune, ultima parola della storia degli esseri liberi, di cui il canto degli angeli e la lode dei pastori nella notte di Natale fu il preludio: “Gloria a Dio e all’Agnello che è seduto sul trono! Alleluia!”» (F. Godet, o.c., t. I, 4ª ed., pp. 34, 35). Questo canto sarà eternamente nuovo perché i riscattati di Dio e tutto il creato non cesseranno di penetrare sempre di più nell’insondabile mistero del suo amore redentore. La Bibbia non conosce degli adoratori silenziosi. Noi abbiamo un posto e un posto principale in questa assemblea celeste. Possiamo fin da ora mescolare le nostre voci con quelle degli esseri celesti. Non è ancora reso manifesto quel che saremo, ma già da ora i nostri cantici possono celebrare la gloria e l’amore del nostro Dio-Redentore, degno di ricevere la lode, l’onore e la magnificenza in eterno.
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Quando la profezia diventa storia
LETTERA ALLE SETTE CHIESE - L’ADORAZIONE A DIO … - I SETTE SIGILLI - LE SETTE TROMBE
I SETTE SIGILLI Apocalisse VI-VIII:1
I sette sigilli si dividono in due gruppi: i primi quattro introdotti dalla voce delle quattro creature vivente e gli ultimi tre introdotti diversamente. Per i primi quattro riteniamo opportuno presentare le seguenti riflessioni. «La cifra quattro serve particolarmente a indicare le quattro direzioni geografiche. Simbolizza per estensione l’universalità, la pienezza dello spazio umano. Gli avvenimenti che sono collegati ai quattro cavalieri sono dunque a dimensione planetaria». «Quattro è un simbolo di pienezza, frequente negli scritti apocalittici. L’origine è senza dubbio nei quattro punti cardinali, che permettono di orientarsi nell’universo: ci sono le quattro estremità della terra (Isaia 11:12; Ezechiele 7:2; Apocalisse 7:1; 20:8), ci sono pure i quattro venti (Geremia 49:36; Ezechiele 37:9; Daniele 7:2), quattro grandi fiumi in Eden (Genesi 2:10), ci sono quattro animali (Daniele 7:3,17; Apocalisse 4:6), quattro corna e quattro carri nella visione di Zaccaria (1:18; 6:1), quattro angeli della distruzione (Apocalisse 9:14)» (Dictionnaire Encyclopédique de la Bible, A. WESTPHAL, Imprimeries réunies, Valance-sur-Rhône, 1973). Diverse sono le spiegazioni date a commento dei sette sigilli. Nell’interpretazione storicoprofetica che vede in essa sette quadri che vanno dalla prima alla seconda venuta di Cristo, non sempre si è avuta un’unanimità di pensiero. Noi presentiamo tre sistemi.
Primo sistema Diversi studiosi che noi abbiamo citato nel corso del nostro lavoro come: Elliott, Gaussen, de Rougemont, Henriquet, Rosselet, con alcune varianti hanno visto nei sigilli fasi successive della storia di Roma pagana prima, cristiana poi. «Il cavallo era consacrato al dio Marte, e i Romani amavano chiamarsi figli di Marte… Sui loro stendardi per questa pretesa c’era la rappresentazione di un cavallo» (DAPPLES C.A., Résumé du Commentaire d’Elliott sur l’Apocalypse, Lausanne 1875, p. 16). I sigillo. Rappresenta di conseguenza l’entrata gloriosa degli imperatori che, per tale occasione, sceglievano di preferenza un cavallo bianco. Storicamente questo sigillo indicherebbe il periodo storico tra la morte di Domiziano (96 d.C.) e l’avvento al trono di Commodio (180 d.C.). II sigillo. Rappresenterebbe il periodo di guerre civili dall’assassinio di Commodio (192 d.C.) fino al tempo del vecchio Severo. III sigillo, indica un periodo di grande distretta, con grandi ed estese carestie, viene fissato tra il regno di Antonio e la morte di Valeriano (268 d.C.). IV sigillo, presenta l’annuncio di una terribile mortalità. Si riferirebbe allo stesso periodo aggiungendovi la terribile peste, con la conseguente fame del 250-265, che colpì molte province. «Se si obietta che la profezia parla solamente della quarta parte della terra, mentre il flagello che abbiamo menzionato ha colpito l’impero intero, rispondiamo che l’impero intero doveva essere colpito, poiché tutto il corpo politico, figurato dal cavallo, è rappresentato dal colore livido della morte» (C.A. Dapples, o.c., p. 25). Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 11
V sigillo. Si cambia registro. Non vengono più presentati dei cavalli, ma si vede l’altare. Ciò viene visto come il culto pubblico della Chiesa, perché tutto quanto era fatto nel cortile del tempio, dove c’era l’altare dei sacrifici, era visibile a tutti. A coloro che erano stati martirizzati nei primi secoli fu detto che altri fedeli avrebbero subìto la stessa sorte. «…I Padri della Chiesa hanno capito che Apocalisse 6:11 si riferisce al martirio di coloro che lo dovranno subire dopo la manifestazione dell’uomo del peccato, o dell’anticristo» (C.A. Dapples o.c., p. 29). VI sigillo. Si pensa che si riferisca ad una rivoluzione avvenuta nell’impero romano dopo l’epoca dei martiri, indicata dal sigillo precedente e che porta al trionfo del cristianesimo. Questo periodo inizia con Costantino con il quale il sistema politico religioso di Roma pagana cade per lasciare il posto a quello della Roma cristiana. Questa spiegazione non la possiamo condividere per alcune ragioni. Se il primo cavallo e cavaliere rappresentano Roma vittoriosa sul mondo e il trionfo che veniva celebrato nella capitale dai generali che entravano cavalcando il cavallo bianco, alla fine del primo secolo, quando Giovanni scrive, «il trionfo dell’Impero Romano era un fatto compiuto e non che si doveva realizzare» (BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, L’Apocalypse, Lausanne 1905, p. 379). La seconda ragione è che le calamità rappresentate dai cavalli hanno un senso più generale. Esse non possono essere limitate a quelle avvenute nel passato. Inoltre riteniamo che sia più corretto vedere nel VI sigillo la manifestazione di fenomeni cosmici che precedono il ritorno di Cristo, come viene indicato nel sigillo stesso, più che uno scuotimento politico, religioso e sociale del governo di Roma.
Secondo sistema «I quattro primi sigilli con i loro cavalli e il loro cavalieri sono simbolici. Il cavallo rappresenta ogni volta la cristianità nel suo insieme, la Chiesa nella sua maggioranza come essa è, e non necessariamente come deve essere; il cavaliere indica la potenza che presiede in ogni periodo ai destini della Chiesa. I sigillo. Il cavaliere figura Gesù Cristo e i suoi apostoli che escono per vincere; II sigillo. Indica gli imperatori non cristiani; III sigillo. Si riferisce a Costantino e gli imperatori cristiani; IV sigillo. Raffigura il tempo della supremazia papale. Mediante i colori i quattro cavalli indicano la gradazione discendente dello stato della religiosità della cristianità. Se il bianco raffigura la purezza, il rosso indica una alterazione notevole, la persecuzione della Chiesa, il nero l’apostasia, mentre il colore smorto, livido o verde, simboleggia la decomposizione…(della Chiesa) Al simbolismo puro succede una prosopopea o personificazione che risponde esattamente alla situazione nuova che segue con il millennio della supremazia papale… V sigillo. L’altare dei sacrifici… simboleggia la nostra terra, il cui seno nasconde la cenere e il sangue delle innumerevoli vittime dell’intolleranza» (VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse, Dammarie-les-Lys 1938, pp. 55, 75, 76, 77). 1076
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LETTERA ALLE SETTE CHIESE - L’ADORAZIONE A DIO … - I SETTE SIGILLI - LE SETTE TROMBE
VI sigillo. Indicherebbe i grandi fenomeni fisici avvenuti con il terremoto di Lisbona, 1 novembre 1755: l’oscuramento del sole con la luna che appare di colore rosso sangue il 19 maggio 1780, la pioggia di meteore del 1832 vista in Europa, in Arabia e negli Stati Uniti, e specialmente del 13 novembre 1833 osservata dall’oceano Atlantico fino all’oceano Pacifico, dal Sud del Messico fino alle regioni del Nord del Canada. Questo sigillo termina con la manifestazione del Cristo che è descritta con il silenzio in cielo per mezz’ora all’apertura del settimo sigillo. A questa spiegazione, che è condivisa da diversi studiosi, preferiamo il terzo sistema che ci sembra più soddisfacente e riflette meglio il messaggio del testo.
Terzo sistema Questo sistema consiste nel vedere nel capitolo 6 di Apocalisse i simboli del discorso escatologico di Gesù riportato nei sinottici: Matteo 24; Marco 13; Luca 21. Questa spiegazione è sostenuta da Bullinger, F. Godet, L. Bonnet, E. Bosio, A. Vaucher e da altri. « La visione dei sigilli è fondata su Matteo 24:6 e seguenti dove viene descritto il periodo detto dei dolori del Messia» (L. Bonnet, o.c., p. 379). I sigillo. Versetti 1, 2. La sua epigrafe possono essere le parole profetiche di Gesù: «Quando questo evangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo allora verrà la fine» Matteo 24:14. Con l’apertura del I sigillo appare un cavallo bianco, colui che lo cavalca ha un arco, una corona ed esce fuori da vincitore e per vincere. «Da Ireneo, II secolo, (il cavaliere) lo si è identificato con Gesù Cristo. Il principale argomento in favore di questa opinione proviene da Apocalisse 19:11, dove nessun equivoco è possibile: là, il cavaliere sul bianco destriero è il Cristo… La «voce di tuono» non risuona che per il primo cavaliere e ne sottolinea dunque la maestà» (BRÜTSCH Charles, La Clarté de L’Apocalypse, Genève 1966, p. 121). «In tutta l’Apocalisse il colore bianco è un attributo celeste… il verbo vincere non ha il senso secondario e peggiorativo di “vincere mediante la violenza” indica al contrario un atto divino» (CULLMANN Oscar, Christ et le temps, Neuchâtel 1966, p. 114). «Il primo cavaliere differisce sostanzialmente dagli altri e non è presentato come un flagello. Se rappresentasse la guerra, sia pur vittoriosa, sarebbe un duplicato del secondo, perché anche le guerre vittoriose non si fanno senza stragi ed orrori» (BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 55). Alla fine dell’Apocalisse 19:11 il Cristo appare trionfante per distruggere i suoi nemici. Ma fin dall’inizio il Cristo è vincitore: «Esce da vincitore come chi ha riportato già grandi vittorie, così Cristo mediante la sua morte e resurrezione e mediante i primi trionfi del Vangelo, esce per vincere, cioè per continuare a vincere fino al finale completo trionfo su tutti i suoi nemici. La descrizione si addice dunque al Cristo che alla Pentecoste è partito alla conquista del mondo mediante l’Evangelo. E si noti che una tale interpretazione, sotto forme diverse, è stata mantenuta fin dalla più remota antichità cristiana, da Ireneo (II secolo), da Vittorino di Pattau (III secolo), che scorge nel cavaliere la parola della predicazione, da Andrea di Cesarea (VI secolo) che vi intravede le vittorie dell’età apostolica» (E. Bosio, o.c., p. 55). «Ticonio, Agostino e altri padri della Chiesa, Areta, Primasio (per il quale il cavallo rappresenta gli apostoli, il cavaliere Cristo Gesù)» (C. Brütsch, o.c., p. 171). «Poi nel Medio Quando la profezia diventa storia
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Evo, da Beda, da Alberto Magno, e più tardi da Bossuet; nei tempi moderni da Hengstenberg, Duesterdieck, F. Godet, Lange, Bonnet, Alford, B. Weiss, Zahan, Perrot, Allo, ecc.» (E. Bosio, o.c., p. 55). Si possono aggiungere i nomi di «Anselmo, N. de Lyre, Rupert, M. Hoffmann, Bullinger, Bengel, Könn, Langenberg, Miskotte, Visser’t, Reisner, Olivier, P. Y. Emery, Forck, Hodges…» (C. Brütsch, o.c., p. 121). Un così gran numero di studiosi a sostegno di questa spiegazione faceva dire già nel 1840, a mons. F. de Bovet: «Questo vincitore che marcia per nuove vittorie è Gesù Cristo: tutti gli interpreti ne convengono» (BOVET François de, L’Esprit de l’Apocalypse, Paris, p. 225). «Il P. Allo vede nel primo cavaliere il corso vittorioso del Vangelo attraverso il mondo e nota: “La visione del trionfo divino precede così quella dei giudizi dell’ira, al fine di riempire l’animo di Giovanni e dei suoi lettori di un senso di sicurezza, facendo loro intendere lo scopo provvidenziale dei castighi che stanno per seguire… L’Evangelo ha da esser predicato a tutte le genti prima che venga la fine… Tutte le calamità che Dio permette non hanno altro fine che affrettare la salvezza del mondo… Conveniva che la figura del Verbo in persona, o dell’opera sua salutare, apparisse in capo alle altre, per mostrare quale sia il disegno essenziale di Dio nel governo provvidenziale del mondo; e conveniva che apparisse in una maestà non inferiore a quella delle altre… Veduta questa, si possono aspettare le altre senza apprensione, sapendo che, nei disegni superiori, esse lavoreranno per Cristo”» (E. Bosio, o.c., p. 56). Coloro che non hanno visto un rapporto tra i flagelli del II, III, IV cavallo con la predicazione dell’Evangelo del primo cavallo, hanno applicato anche il primo cavallo all’impero romano perché «il primo cavaliere deve avere un senso analogo a quello dei tre seguenti che rappresentano degli avvenimenti di ordine temporale» (ROUGEMONT Frédéric de, La Révélation de S. Jean, Neuchâtel 1866, p. 195). Ma esiste un rapporto tra il primo sigillo e gli altri tre: «Di questi cavalli, i tre ultimi hanno un aspetto lugubre, e indicano dei flagelli che rispondono allo scopo che persegue il Re del regno… La guerra, la carestia e la mortalità sono, nell’intenzione di Dio, destinati a tracciare le vie dell’Evangelo, ad aprire i cuori, a disporli ad accogliere favorevolmente il messaggio di salvezza. I tempi di pace e di prosperità non sono sufficienti per questa buona opera. Le prove di ogni genere che portano con sé dei tempi d’insicurezza generale sono necessari per rompere le resistenze umane, umiliare i cuori, disamorarli dalla terra e costringerli a guardare in alto» (REYMOND Antoine, L’Apocalypse, t. I, Lausanne 1904, pp. 171, 174). Critica al primo sigillo
Questa spiegazione del primo sigillo è stata criticata da Bernard DENÉCHAUD, Le rebelle et le serviteur, in Revue Adventiste, settembre 1966, pp. 9-13 con delle argomentazioni che riteniamo opportuno riportare. Rimanendo nel parallelismo con Matteo 24, anziché vedere nel cavallo il trionfo dell’evangelo nel mondo sembra più corretto vedervi la vittoria della seduzione nei confronti dei credenti. «Anche se il primo cavaliere sembra meno sinistro dei suoi pari, fa comunque parte della stessa famiglia. L’arco che tiene questo fiero cavaliere è sovente associato, nelle Scritture, alla potenza dell’orgoglio che trae l’uomo dalla sua propria forza. È il simbolo della caccia, della guerra, ma anche dell’uomo che si considera sufficiente a se stesso. È per questo che, quando Dio interviene nella storia per salvare il suo popolo, non fa ricorso né all’arco né ad alcun altro strumento della forza dell’uomo: “Avrò compassione della casa di Giuda; li salverò 1078
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mediante l’Eterno, il loro Dio; non li salverò mediante arco, né spada, né battaglia, né cavalli, né cavalieri” Osea 1:7; vedere 2:20». I sigillo: versetti 1, 2. «Guardate che nessuno vi seduca. Poiché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo, e ne sedurranno molti”» Matteo 24:4,5. Sebbene questo primo cavallo e cavaliere possano richiamare quelli del capitolo 19 di Apocalisse, il Cristo che viene cavalcando un cavallo bianco come un grande vincitore per eseguire i giudizi sulla terra, sebbene il colore bianco sia simbolo della purezza e della giustizia (1:14; 3:4) e la corona sia accordata a credenti vincitori (2:10), nessun flagello sembra seguire questa figura così trionfante, la voce del tuono sembra sottolineare la sua maestà; questo cavallo e cavaliere dovrebbero però indicare l’opera più seducente svolta dall’Avversario realizzata nel nome di Gesù. È vero che Ireneo già nel secondo secolo lo identificava con il Cristo, altri come Wesley, Godet e Culmann, con la Chiesa e l’Evangelo, Rilevava correttamente il pastore ANTOMARCHI: «Un cavallo bianco, non è sufficiente per raffigurare Gesù Cristo». Soprattutto le parole di MACK: «Fino alla fine dei tempi, Gesù non trionfa giustamente mediante l’aiuto dell’arco e della corona, ma come Agnello immolato». Per queste ragioni c’è da rilevare che: «Benché questo cavaliere non sia accompagnato da flagelli, non è neppure portatore di beni». Nell’accostamento tra le due figure del capitolo 6 e 19 si rileva che: «Il primo è armato d’un arco, il secondo di una spada che esce dalla sua bocca. Il Cristo è coronato di diversi diademi e non d’una corona. Il contesto di conquista del primo è diverso dal secondo, che compie un giusto giudizio. La menzione dell’arco non si trova da nessuna parte del Nuovo Testamento, ma è un elemento corrente nell’Antico. L’arco è qualche volta associato al giudizio di Dio che viene visto come nemico (Giobbe 6:4; Salmo 38:2; Habacuc 3:9). In altri passi è il simbolo dell’orgoglio umano che sarà spezzato (1 Samuele 2:4; vedere anche Osea 1:5-7; 2:20). In altri passi ancora, l’arco è descritto come l’arma dei nemici del popolo di Dio (Salmo 11:2; 37:14; Geremia 51:56; Ezechiele 39:4-6). Inoltre, l’espressione “gli fu dato” si applica in diverse parti dell’Apocalisse ai mezzi che la Provvidenza accorda ai nemici di Dio per realizzare i loro obiettivi. Questa espressione segna nello stesso tempo i limiti della loro azione: è Dio che rimane sempre padrone degli avvenimenti (vedere ad esempio Apocalisse 9:1-5; 13:4-7,14,15). È per questo motivo che diversi (Darby, Charles, Schick, ecc.) hanno identificato in questo cavaliere il simbolo della volontà di dominazione, avvolta da una mistica gloriosa, che genera la guerra e tutte le sue rovine. “K.L. SCHMIDT stigmatizza l’imperialismo efferato che caratterizza il regno del Cristo e riporta qualche volta straordinarie vittorie senza colpo ferire. Richiama che, in tutte le relazioni umane, ‘lo spirito di trionfo è uno spirito persecutore’.” (Ch. Brütsch, o.c., p. 122,123). La stessa cosa per ECHTANA: “È la volontà di vittoria, la volontà egoista, l’insaziabile sete di potenza, di farsi valere... (Il primo cavaliere) fu suscitato al tempo delle sfere dei tormenti eterni e dell’odio eterno quando i primi uomini si sentirono soffiare all’orecchio: ‘Voi sarete come degli dèi’... Appare seducente, l’assassino apocalittico! Lo si confonderebbe quasi con il Cristo che deve venire, come Giovanni lo vedrà più tardi.” (Ch. Brütsch)» (D. Denéchaud, o.c., p. 13). II sigillo. Versetti 3, 4. Gesù aveva detto: «Voi udrete parlare di guerre e di rumori di guerre… Si leverà nazione contro nazione e regno contro regno» Matteo 24:6, 7. Giovanni descrive tutto questo sotto il simbolo di un cavallo rosso color sangue, con un cavaliere al quale è dato il potere di togliere la pace dalla terra. Quando la profezia diventa storia
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Molti commentatori sono concordi nel dire: «Il cavallo con la grande spada è il simbolo della guerra, che è spesso presentata nelle scritture come uno dei più terribili flagelli… Non si tratta di una guerra speciale come sarebbe quella che precedette la rovina di Gerusalemme o le guerre civili che desolarono l’impero romano durante e dopo il regno dei due Severi; né è questione di persecuzione dei cristiani sotto Nerone o sotto altri imperatori. Il cavaliere della grande spada rappresenta la guerra in genere, quindi tutte le guerre, civili o internazionali, scatenate dal peccato umano, ma permesse da Dio qual giudice destinato a trarre gli uomini a pentimento e i credenti alla vigilanza e all’umiliazione» (E. Bosio, o.c., p. 56). III sigillo. Versetti 5, 6. «Ci saranno carestie… in vari luoghi» Matteo 24:7. «Il terzo cavaliere simboleggia la carestia che suol tenere dietro alla guerra. Il nero non è qui l’emblema del lutto ma quello della fame. …La bilancia serve a pesare le razioni di frumento e dell’orzo, perché vi è grande scarsità dei prodotti alimentari più necessari, tanto che il prezzo ne è salito a dodici volte quello dei tempi ordinari» (E. Bosio, o.c., p. 56). «Una misura (greco choinix, misura per le materie secche), un po’ più della libra; secondo Erodoto, la razione quotidiana di un uomo. Un denaro valeva 88 centesimi; era ciò che un operaio guadagnava per giorno (Matteo 20:2); tutto il suo salario era dunque impiegato ad acquistare il suo nutrimento» (L. Bonnet, o.c., p. 380). «E chi ha famiglia deve accontentarsi dell’orzo, cibo meno caro ma più ordinario… Sono risparmiati due prodotti agricoli: il vino e l’olio. La vite e l’ulivo soffrono meno dei cereali, per la siccità. Il flagello è raramente spinto all’estremo. Anche qui molti interpreti hanno voluto scorgere l’adempimento del simbolo in carestie particolari come quella avvenuta sotto Claudio, mentre il simbolo le abbraccia tutte quante. Delle interpretazioni allegoriche che hanno voluto qui la carestia del cibo spirituale o talune eresie, non è il caso di parlare» (E. Bosio o.c., p. 56). La bilancia è quindi il simbolo di una profonda crisi economica che provoca una impennata dei prezzi degli alimenti essenziali. Dio in questa situazione interviene e ne fissa il prezzo. Giovanni sente una voce dal cielo che indica dei limiti. IV sigillo. Versetti 7, 8. «Vi saranno… in diversi luoghi pestilenze» Luca 21: 11. «Il quarto cavaliere, che cavalca un cavallo livido (o giallastro, di colore cadaverico) e che si nomina la Morte, rappresenta, secondo molti, la peste. La versione dei LXX traduce sovente con la morte il termine ebraico che designa questo flagello. Per altri Giovanni avrebbe in vista la Morte personificata e che opera con i mezzi di distruzione enumerati nel seguito del versetto» (L. Bonnet o.c., p. 380). «Il quarto cavallo che è livido, riassume e completa i due precedenti per l’aggiunta di un tratto nuovo, la mortalità che opera la sua distruzione con la spada, la fame e le bestie selvagge, le quali non appaiono che nelle regioni spopolate. Da qui il nome del cavaliere: la Morte il distruttore che fa delle così grandi mietiture che l’Ades l’accompagna, con la gola spalancata pronta a ricevere le vittime dei diversi flagelli» (A. Reymond, o.c., t. I, p. 173). «Il cavaliere simboleggia la morte, non nella sua opera quotidiana in mezzo ai mortali, ma nei suoi periodi di attività straordinaria, allorché l’Ades accoglie a migliaia e a milioni le moltitudini umane mietute da quei lugubri servitori della morte che sono la guerra, le carestie, le epidemie, e le fiere che invadono i territori spopolati. I quattro flagelli distruttori sono mentovati insieme nel capitolo 14 di Ezechiele, versetti 13-20» (E. Bosio, o.c., p. 57). «Per i lettori contemporanei del vecchio profeta, attorniato dagli dèi greci e romani, questi cavalieri prendevano ancora un significato maggiore di quanto ne possiamo ricavare noi oggi. Come in effetti non riconoscere Saturno sotto i tratti dell’arciere del cavallo bianco? Non è 1080
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esso il centauro primitivo, sempre rappresentato portando un arco? Padre degli dèi del mistero, è, secondo la mitologia, il primo re di Babilonia. Non sarebbe questo il primo re deificato che il profeta Isaia accusava di voler prendere il posto di Dio? Si riconosce senza difficoltà nel secondo cavaliere Marte, il dio della guerra. Il cavaliere che porta la bilancia può essere identificato con Mercurio, il dio della bilancia o del commercio, ma anche il dio dei ladri. Si comprende facilmente che la profezia lo considera responsabile del disordine economico e delle crudeli ingiustizie che ne risultano. L’ultimo cavaliere viene chiamato per nome: “la Morte”, nome di uno dei figli di Plutone (il dio degli inferni). Ecco dunque le caratteristiche delle potenze che i contemporanei di Giovanni ammiravano. Se questi dèi riportavano tanti successi, è perché essi erano all’immagine stessa dei cuori degli uomini. Erano animati dalle stesse passioni, dallo stesso orgoglio, delle stesse ambizioni. Il popolo vedeva in loro ciò che voleva essere: un eroe, un superuomo, un semidio, un dio forse» (B. Denéchaud, o.c., p. 12). Il vero eroe della visione è l’Agnello che sul trono sembra però sia stato ucciso, ma di fatto è colui che controlla gli avvenimenti e opera nella storia affinché il suo Regno si compia. L’Agnello messo a morte è l’antitesi dei cavalieri. Egli è colui che si spoglia per essere un tutt’uno con gli uomini. Vedere Filippesi 2:6-11. V sigillo: versetti 9-11. Con questo sigillo il quadro cambia e cambiano i simboli. Non c’è più l’intervento delle quattro creature viventi che rappresentano la creazione animata. Il cambio di registro ci autorizza a pensare che dal campo politico, sociale, la visione ci porta a quello spirituale. «Allora vi getteranno in prigione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutte le genti a cagion del mio nome» Matteo 24:9. Con l’apertura del V sigillo, diceva Bullinger «abbiamo una figura della prosopopea: figura che consiste nel far parlare cose che non parlano». Giovanni vede sotto l’altare le anime dei martiri e ode che gridano a Dio di affrettare il tempo del giudizio. «Nella Pirke-Abboth 26, collezione di sentenze del secondo secolo a.C., si legge: “Chiunque è sepolto in terra d’Israele, è come se fosse sepolto sotto l’altare; e chiunque è sepolto sotto l’altare, è come se fosse sepolto sotto il trono di gloria”. L’autore dell’Apocalisse riprende questa immagine spiritualizzandola; non pensa all’altare del tempio di Gerusalemme, ma a un altare nel cielo, in cui egli trasporta le diverse istituzioni del culto dell’antica Alleanza. Può essere l’altare dei profumi. Se egli vede le anime dei martiri sotto l’altare, non è perché esse vi sono prigioniere e vi attendono la liberazione. Questo simbolo, che non bisogna prendere alla lettera, esprime il pensiero che la morte violenta di questi testimoni di Gesù Cristo, era stata accettata come un sacrificio gradito a Dio. Essi domandano al Maestro (gr. sovrano, despota) a colui che è santo e riprova dunque il peccato, che è veritiero, al quale appartiene veramente il sovrano potere, di vendicare il loro sangue sugli abitanti della terra. Vendicare significa fare diritto, giustizia, Luca 18:3. In presenza degli ingiusti di cui è testimone o vittima, il credente può sospirare al trionfo della giustizia che è l’ordine voluto da Dio. Questo desiderio non è incompatibile con il dovere di amare i nemici. Dei crimini tali come le persecuzioni eseguite contro i testimoni di Cristo sono, nel dominio morale, la negazione di Dio come Maestro (Signore) e dominatore del mondo. Coloro che sono stati soppressi in tali circostanze domandano che la maestà di Dio, oltraggiata nelle loro persone, sia riconosciuta e ristabilita… La risposta che viene data loro mostra che la fine non può venire prima che il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che devono essere messi a morte come loro, sia completo… Questa parte della Quando la profezia diventa storia
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visione ci trasporta in un’epoca in cui la Chiesa era stata di già provata da una persecuzione violenta, che aveva lasciato un’impressione profonda, e dove aveva bisogno di essere avvertita che essa non era al termine delle sue tribolazioni. I martiri ricevono le vesti bianche, che sono il simbolo della loro giustificazione e le garanzie della loro gloria prossima» (L. Bonnet, o.c., pp. 381, 382. Siamo noi che abbiamo aggiunto quanto scritto tra parentesi). «La veste bianca è simbolo della loro giustificazione dinanzi a Dio, ma anche della loro riabilitazione davanti agli uomini. Hanno potuto per breve volgere di anni esser tenuti in conto di empi e malfattori degni di morte; ma il tempo è galantuomo perché Dio regna, e i martiri dei primi secoli sono ricordati come santi nei secoli seguenti» (E. Bosio, o.c., p. 5). VI sigillo: versetti 12-17. «Il sole si oscurerà, e la luna non darà il suo splendore, e le stelle cadranno dal cielo, e le potenze dei cieli saranno scrollate» Matteo 24:29. Fenomeni simili sono già stati osservati nei nostri tempi. Ma questi sconvolgimenti già avvenuti non sono da paragonare con quanto dovrà avvenire. «E vi saranno dei segni nel sole, nella luna, e nelle stelle; e sulla terra angoscia delle nazioni, sbigottite dal rimbombo del mare e delle onde; gli uomini venendo meno per la paura nell’attesa di quello che accadrà al mondo, poiché le potenze dei cieli saranno scrollate» Luca 21:25,26. I profeti dell’Antico Testamento avevano descritto a varie riprese le convulsioni del globo e il turbamento dell’universo nei tempi che precederanno di poco l’avvento di Cristo (Gioele 2:10,30,31; Amos 8:9; Isaia 13:10; 34:4). «L’apertura del sesto sigillo rivela gli sconvolgimenti che si produrranno nella natura immediatamente avanti il gran giorno della collera dell’Agnello» (L. Bonnet, o.c., p. 382), e strapperà agli uomini il grido: «È venuto il gran giorno della sua ira, e chi può rimanere in piedi ?» Apocalisse 6:17. Il capitolo 7 di Apocalisse apre una parentesi, prima dell’apertura del VII sigillo, per dare la risposta a questa domanda. Possono resistere alla presenza di Dio i 144.000 che sono la grande folla (vedere nostro Capitolo XVIII). Con il primo versetto del capitolo 8 si presenta l’apertura del VII sigillo che ci fa assistere alla consumazione del presente secolo. VII sigillo. «E quando l’Agnello ebbe aperto il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa lo spazio di mezz’ora» Apocalisse 8:1. Il Signore Gesù alla sua venuta «manderà i suoi angeli con gran suono di tromba a radunare i suoi eletto dai quattro venti, dall’una capo all’altro dei cieli» Matteo 24:31. Osserva DOUKHAN Jacques: «È la sola volta in cui Giovanni non è implicato nella visione. Fino a quel momento, ogni sigillo iniziava con la sua partecipazione. I primi quattro sigilli sono regolarmente introdotti da “io udii”, il quinto e il sesto sigillo da “io vidi”, o “io riguardai”, ma il settimo sigillo cade di colpo nella coscienza di Giovanni senza che egli possa né sentire né vedere. È anche la sola volta che l’avvenimento iniziato con l’apertura del sigillo si svolge esclusivamente in cielo. I primi sei sigilli riguardano la terra e seguono i movimenti della storia umana. In contrasto con questi sigilli, il testo che racconta il settimo sigillo è eccezionalmente corto. È presentato in un solo versetto (Apocalisse 8:1)» (Le cri du ciel, Dammarie les Lys 1996, p. 106). Le espressioni «silenzio» e «mezz’ora» si trovano solamente qui nell’Apocalisse. Questo silenzio di mezz’ora ha avuto diverse spiegazioni. È stato identificato da BRICHTMANN con il riposo della Chiesa sotto Costantino; Alessandro MIMORITE e N. di LYRE l’identificano con la persecuzione di Giuliano l’Apostata, BROCARDUS vi riconosce la predicazione evangelica da Savonarola a Lutero. 1082
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«Perché questo silenzio? Nella tradizione profetica il silenzio annuncia una teofania, un intervento strepitoso di Dio (Abacuc 2:20; Zaccaria 2:17; soprattutto Sofonia 1:7). Pure in Apocalisse 8, il “silenzio” annuncia l’avvicinarsi del gran giorno (BOISMARD Marie-Emile, L’Apocalypse-La Sainte Bible, Ecole Biblique de Jerusalem, Paris 1950, p. 716)» (C. Brütsch o.c., p. 150). «Il silenzio esprime ciò che le parole, la musica, oppure il dipinto stesso non possono presentare. È il silenzio che accompagna la venuta di Dio, la parusia. Solo il silenzio è adeguato per esprimere l’inesprimibile. Solo il silenzio attesta la presenza di Dio (vedere Habacuc 2:20; Sofonia 1:7; Zaccaria 2:13)» (J. Doukhan, o.c., p. 106). «Noi troviamo effettivamente nell’ebraesimo una nozione chiara del silenzio escatologico. Il “silenzio” fa parte del mito della creazione in IV Esdra 6:39: prima della creazione regna il silenzio totale. Baruc syr. 3:7 si lamenta… : “Il mondo deve abbigliarsi di nuovo nel silenzio delle origini?”. La legge apocalittica, secondo la quale l’origine è il modello della fine, porta una parte degli apocalittici ebrei ad attendere che il mondo ricada nel silenzio dell’inizio e che sorga un mondo nuovo dal caos; così IV Esdra 7: 30 e seguenti… » (RISSI M.; cit. da C. Brütsch, o.c., p. 150). Il settimo sigillo quindi «sarà il segnale della fine» (E. Bosio, o.c., p. 61). «Presto si aprirà il settimo sigillo, Gesù viene. Eccolo!» (ROSSELET d’IVERNOIS G. A., L’Apocalypse et l’Histoire, t. I, Paris, p. 253). Continuando il parallelismo con il discorso escatologico di Gesù il VII sigillo, il silenzio celeste, oltre a chiudere la serie dei sigilli, crediamo che vada oltre il ritorno di Gesù, indicato nel VI sigillo. Il VII sigillo segue la venuta del Signore, può indicare la raccolta dei credenti di tutti i tempi che salgono in cielo (1 Tessalonicesi 4:16,17) verso l’eternità per andare alla presenza del Padre. Mezz’ora, nel linguaggio profetico dove un giorno corrisponde ad un anno, indica una settimana. «La storia umana finisce dunque come era incominciata mediante un tempo di creazione: la settimana iniziale (Genesi 1). Questa idea è largamente confermata dalla tradizione ebraica (vedere 4 Esdra 6:39; 7:30 ss; e Baruc 3:7; ecc.). All’apertura del settimo sigillo si può decifrare il messaggio del rotolo: è l’annuncio della venuta di Dio e la promessa di una nuova creazione e di un nuovo mondo, la sola risposta a tutte le domande e a tutte le nostalgie, la sola soluzione a tutte le sofferenze» (J. Daoukhan, o.c., p. 107). Concludiamo con le parole del maestro A.F. Vaucher: «Lasciamo ricadere la cortina, sollevata per brevi istanti, ma ci rimanga negli occhi e nel cuore la visione dell’Iddio nostro, che dall’alto del suo trono vede serenamente svolgersi gli eventi da Lui diretti verso la meta prefissa: il trionfo della giustizia, e con essa l’eterno gaudio dei giusti».
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APPENDICE N. 11
LE SETTE TROMBE Apocalisse VIII:2-IX:21; XI:15-19
In diverse occasioni, spiegando il testo dell’Apocalisse, abbiamo riportato le espressioni con le quali i commentatori hanno presentato le difficoltà del testo. Degli autori avrebbero preferito non commentare un certo capitolo, per altri un determinato testo era la croce dei teologi, e altri ancora hanno usato espressioni simili per la complessità incontrata. Malgrado questo, crediamo che le spiegazioni che abbiamo dato allo scritto apostolico, anche se non accettate, siano comunque valide, presentandosi con argomentazioni sia esegetiche sia storiche. Riteniamo utile ribadire che quanto abbiamo riportato ha una sua struttura che è stato condiviso nel tempo. Per quanto riguarda le sette trombe, crediamo di essere di fronte a due capitoli dell’Apocalisse che, se si esclude l’interpretazione ormai storica tradizionale che ha visto la sua origine nell’VIII secolo, quando i Saraceni padroneggiavano la Spagna, le altre spiegazioni non sono molto illuminanti. Il monaco Beatus fu il primo ad applicare il capitolo 9 ai turchi. Successivamente questo pensiero è stata condiviso, soprattutto nel passato, da un consistente numero di studiosi. (Vedere Appendice n. 14, Tavola n. 19). Questa spiegazione, sempre più contestata, non ci sembra che abbia di fronte a sé una linea di pensiero che unisca diversi studiosi. Sembra di trovarsi su un terreno dove ognuno dice quello che vuole. Quando si leggono queste spiegazioni con una certa distanza dal testo biblico sembrano valide, ma, al confronto con le parole di Giovanni, quanto viene detto lascia molto perplessi. Diversi commentari si limitano a parafrasare il testo biblico, altri danno via libera alla propria immaginazione e quindi si può riscontrare che ciò che uno nega un altro approva; altri ancora, ed è la cosa migliore, mettono le espressioni dell’apostolo in relazione a quanto i profeti dell’Eterno hanno detto nei loro scritti. Ci sembra comunque di avvertire un disagio di fronte a questa porzione della Parola di Dio. Dai commentatori cogliamo dei frammenti, delle riflessioni interessanti, ma che non soddisfano l’intensità che scaturisce dal testo. Alcuni studiosi hanno scritto la loro perplessità nei termini che seguono. A. Pieters nel 1950 diceva: «Se tu mi chiedi cosa significa tutto questo, e aspetti che io sia capace di indicare qualcosa nella storia che corrisponda alla montagna che brucia buttata nel mare, alla stella cadente chiamata “Assenzio”, alle locuste del pozzo, o alla terribile cavalleria che corre dall’Eufrate, io non posso rispondere. Mi dispiace deludere i miei lettori e mi spiace apparire così ignorante, ma in realtà non so che cosa queste cose significhino. Io non so dire cosa debbano significare questi dettagli. Possono avere un significato che probabilmente la prima chiesa capiva meglio di noi, benché non ci sia ancora nessuna prova della loro spiegazione. Per me essi non hanno nessun significato, e io sono confortato nel trovare questa mia stessa posizione in eccellenti compagni come Alford, Swete ed altri, che apertamente confessano che non possono interpretarli, o silenziosamente passano sopra. Alford scrive: “Io non ho mai visto... un’interpretazione di questi particolari in modo approssimativo e verosimile se non da qualcuno che non sia obbligato a forzare il pieno senso delle parole, o 1084
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certi avvenimenti di storia per farli adattare alla spiegazione data”» (PIETERS Albertus, Studies in the Revelation of St. John, Grand Rapids, 1950 idem, pp. 128,129). Quindici anni dopo T.F. Glasson, nel 1965 scriveva: «Pochi commentatori sono stati capaci di trovare molti valori spirituali o letterali in questo capitolo. Abbiamo l’impressione che lo scrittore abbia gonfiato in un modo o nell’altro il suo schema numerico di sette in sette; e così orrore si aggiunge ad orrore» GLASSON T.F., The Revelation of John. The Cambridge Bible Commentary on the New English Bible, ed. P.R. Ackroyd, A.R.C. Leaney, J. Packer, Cambridge 1965, p. 59. R. Way, E. Giller e B. Brinsmead rilevano nel 1975: «Gli avventisti hanno ricordato le vedute delle trombe in varie pubblicazioni. Hanno però sempre ripetuto che la profezia delle trombe non era ancora molto comprensibile. Non si è ancora sentito che quei simboli siano stati correttamente interpretati. Quelle interpretazioni non sembrano contenere molta rilevanza per il ventesimo secolo» (WAY R. - GILLER E. - BRINSMEAD B., The Consumation, duplicato dall’autore, aprile 1975, p. 146). In questa appendice proponiamo alcuni tentativi di spiegare le 7 trombe, una sintesi di D. Ford e la spiegazione storico tradizionale con l’aggiunta di un’ulteriore spiegazione inedita della VI e VII tromba sostenuta da W. Shea.
Introduzione alle 7 trombe Crediamo che le sette trombe crediamo che s’inseriscano nel seguente quadro generale: Gesù è presentato nelle 7 chiese come Sommo Sacerdote e come tale cammina in mezzo ai sette candelabri; è presentato come Profeta nei 7 sigilli perché presenta i destini del mondo e della Chiesa e come Re nelle 7 trombe perché governa e giudica. A causa di un errore nella divisione dei capitoli del testo sacro e, nel nostro caso, dell’Apocalisse, due sono i principali sistemi d’interpretazione che hanno caratterizzato la spiegazione delle sette trombe. Il sistema meno sostenibile è quello che considera le sette trombe come un susseguirsi di avvenimenti che iniziano con l’apertura del settimo sigillo. La spiegazione che viene data è prettamente escatologica. L’altro sistema consiste nello spiegare le sette trombe, che iniziano con il versetto 2 del capitolo 8, come una visione del tutto indipendente e distinta dalla precedente. Giovanni introduce la visione delle sette trombe presentando le preghiere della Chiesa che salgono al cielo. «L’angelo compie un servizio… L’atto che compie è destinato a mettere in evidenza un fatto: nel modo e nel momento opportuni, Dio risponde al grido che sale dalla sua Chiesa tribolata che implora la liberazione, la fine del regno del male» (BOSIO Enrico, L’Apocalisse di S. Giovanni, Firenze 1924, p. 67). «Il fuoco dell’altare gettato sulla terra è la giustizia di Dio che fa cadere sul mondo colpevole i flagelli destinati a convertirlo e a purificarlo» (CRAMPON Auguste Joseph Théodore, La Sainte Bible, t. VII, L’Apocalypse, Paris 1904, p. 459). «La tromba serve ad annunciare le grandi feste d’Israele (Levitico 25:9), i suoi rallegramenti nazionali e religiosi (2 Samuele 6:15; 2 Cronache 5:12,13; 29:26-28); nel linguaggio dei profeti annuncia una rivelazione, una esortazione, un giudizio di Dio (Osea 8:1; Gioele 2:1). Il suono della tromba inaugura le ultime scene del giorno di Cristo (Matteo Quando la profezia diventa storia
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24:31; 1 Corinzi 15:52; 1 Tessalonicesi 4:16). Qui in Apocalisse le sette trombe devono annunciare dei nuovi giudizi di Dio» (BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. IV, L’Apocalypse, Lausanne 1905, p. 386). A questi accostamenti dell’uso delle trombe si deve aggiungere che «il suono della tromba è un segnale di guerra. Le sette trombe corrispondono a sette grandi epoche di guerra che debbono succedersi fino al ritorno di Gesù Cristo» (ROSSELET d’IVERNOIS C.A., L’Apocalypse et l’Histoire, t. II, Paris 1878, p. 7). «Le trombe, simbolo della guerra (Numeri 10:9; Geremia 4:19; 1 Corinzi 14:8), ci annunciano che tramite la guerra, per diverse guerre successive, Dio eseguirà i suoi giudizi» (HENRIQUET Alexandre, L’Apocalypse ou Révélation de Jésus Christ, Paris 1873, p. 77). «Dando il segnale della distruzione del mondo empio, esse affrettano la salvezza e la ricompensa dei giusti, la realizzazione del regno di Dio… Esse suonano… nel corso della storia terrestre, dalla glorificazione del Cristo fino alla fine del mondo… Il suono dell’ultima coinciderà con la fine del mondo; …esse abbracciano tutta l’età della redenzione, dall’incarnazione dell’Agnello, o dall’ascensione del Cristo» (ALLO Ernest, S. Jean, l’Apocalypse, 2ª ed., Paris 1921, pp. 105, 106). «Le sette trombe sono destinate ad annunciare i giudizi di Dio sul popolo in possesso della vera religione» (MÉRAULT Paul, Explication de l’Apocalypse, rivista dall’abate d’ETÉMARE, manoscritto della Bibliotèque du Protestantisme français, Paris, p. 328). H.M. Féret con la maggioranza dei commentatori vede che nella letteratura apocalittica le trombe annunciano sempre il grande giorno di Yahwé, il giudizio che ha come conseguenza la fine del male. Ma con questo annuncio è anche inseparabilmente associata la liberazione degli eletti e la loro trionfale riunione. Giovanni non è il primo, fra gli autori del Nuovo Testamento, a presentare il suono delle trombe. C’è un riferimento ad esse nel discorso escatologico di Gesù (Matteo 24:31) e anche in Paolo (1 Corinzi 15:51; 1 Tessalonicesi 4:15). Noi siamo così avvertiti che i passi che seguono lo squillo annunciano e riassumono, sotto differenti simboli e con una diversa intenzione dottrinale, il tema del giusto castigo del quale abbiamo già avuto una presentazione nella visione dei sette sigilli, nella rappresentazione dei tre cavalli scuri e nel cataclisma cosmico... Qui c’è un’altra prospettiva, la punizione di chi fa il male e la preservazione degli eletti è enfatizzata (FÉRET H.M., The Apocalypse of St. John, trad. da Elizabeth CORATHIEL, Maryland 1958, pp. 113,114). È un angelo a svolgere il ministero sacerdotale davanti all’altare dei profumi e lanciare sulla terra dei carboni accesi, quale espressione di giudizio. Questo essere può rappresentare l’opera del Cristo il cui giudizio contingente, parziale, di richiamo al ravvedimento è preludio della realtà ultima. In questa prospettiva il suono del sofar (corno) rievoca la festa delle trombe (Numeri 10:2,10; 29:1), del giudizio di Dio sul popolo per l’anno trascorso, celebrata all’inizio del settimo mese per la durata di dieci giorni e che sfociava nel giorno dell’espiazione, della purificazione del santuario. Per sei mesi, dalla festa di Pasqua, in occasione di ogni luna nuova, il suono della tromba invitava il popolo alla festa che era una preparazione alla grande festa del settimo mese. Ogni festa della nuova luna era una anticipazione, una festa in miniatura del giudizio in preparazione del grande giorno dello Yom Kippur. (Vedere DAVIDSON Richard M., Sanctuary Typology, in Frank B. Holbrook, ed., Symposium on Revelation, Biblical Research Institute, General Conference of Seventh-day Adventist, Silver Spring, MD, 1992, pp. 123,124). Le trombe esprimono dei giudizi parziali, colpiscono non l’intera terra, ma parte di essa, un terzo (Apocalisse 8:7,9,11,13), nella quinta tromba è detto di tormentare gli uomini per cinque mesi (9:5), e hanno lo scopo di richiamare l’umanità al ravvedimento (9:20,21), a 1086
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differenze delle sette ultime piaghe che esprimono un giudizio definitivo di Dio su una umanità che ha scelto di non tornare a Dio. Come i sette sigilli, anche le trombe si presentano divise in due gruppi: le prime quattro e le ultime tre.
Alcuni tentativi di spiegare le 7 trombe Caratteristiche comuni delle prime 4 trombe
Per 12 volte incontriamo l’espressione degli effetti del suono della tromba che colpiscono un terzo della popolazione della terra. Al profeta Ezechiele l’Eterno disse di Gerusalemme: «Una terza parte morrà di peste, e sarà consumata dalla fame in mezzo a te; una terza parte cadrà per la spada attorno a te, e ne disperderò ai quattro venti l’altra terza parte » (Ezechiele 5:12). Abbiamo qui un modo di agire di Dio. Prima che il popolo subisca le conseguenze delle proprie azioni Dio lo avverte! Tutte le minacce di Dio sono condizionate. Per impedire conseguenze devastanti e ancora più dolorose, Dio pone dei limiti. Le trombe indicano dei giudizi, delle conseguenze a un modo di vivere, un inizio di distruzione, ma non totali, generali, riguardano un terzo. Crediamo che si possa dire che tutti i flagelli che hanno colpito l’umanità prima della fine del tempo di grazia, le cui ultime piaghe sono presentate nel capitolo 16, sono sempre stati limitati, circoscritti dalla grazia di Dio. Per le prime quattro trombe il testo biblico è estremamente breve, talvolta un solo versetto. Ciò crea anche una difficoltà di comprensione. Le prime 4 trombe sono dei giudizi, conseguenze del male, che causano una catastrofe naturale nelle quattro sezioni della creazione: terra, mare, fiumi e sorgenti delle acque, cielo (FRIEDRICH; cit. Ch. BRÜTSCH, La Clarté de l’Apocalypse, Genève 1966, p. 152).
Le trombe messe in relazione con il XX secolo
René VILLENEUVE, nel suo studio, L’Apocalypse! - Révélation ou mystère? 1980, considerando che la V piaga non colpirà le persone suggellate da Dio, pensa che le trombe riguardino il tempo della fine, tempo nel quale secondo il capitolo 7 avviene il suggellamento degli eletti. Le prime quattro piaghe richiamano quelle d’Egitto, quando Israele doveva essere liberato, e quindi alcuni commentatori attribuiscono questi significati: I tromba. Inquinamento della natura (Isaia 42:15; Ezechiele 21:3; 2 Pietro 3:7). È quanto l’uomo sta causando con il suo modo di vivere. Vedere Geremia 21:14 ; Gioele 1:19; Isaia 39:6. II tromba. Inquinamento dei mari. III tromba. Inquinamento dei fiumi e delle sorgenti delle acque. L’autore vede nella stella Lucifero, l’opera che compie è negativa. IV tromba. Inquinamento atmosferico, sole, luna e stelle. Quando la profezia diventa storia
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V tromba. Il nostro secolo è quello della conoscenza e sembra che di fatto sia quello delle tenebre più fitte. La scienza nel passato non ha raggiunto una vetta così alta. Le sue invenzioni e tecniche che avrebbero dovuto liberare l’uomo hanno prodotto del fumo. L’esistenza umana non è mai stata agitata come quella del nostro tempo: preoccupazioni, obblighi, ricerca delle ricchezze, inquinamento, odio, furti, due guerre mondiali. A differenza delle trombe precedenti, questa preserva la natura e colpisce le persone. Le punture degli scorpioni è una immagine del nostro tempo. Più avanziamo nella scienza, più si spera in lei, più i suoi effetti sono dolorosi. Questa tromba presenta la prima guerra mondiale. VI tromba. Seconda guerra mondiale. Fissa un momento particolare del tempo: l’ora, il giorno, il mese e l’anno: 10 settembre 1939 ore 6. Hitler invade la Polonia. Malgrado questa tragedia senza precedenti nel corso della storia, l’umanità non si è ravveduta e ha continuato a incrementare la costruzione di armi sempre più terribili. Il nostro secolo che presenta un potenziale di morte inimmaginabile è anche quello degli “incantesimi”, dello spiritismo o dei fenomeni paranormali nelle sue diverse manifestazioni. Ch. Brütsch dice che alcuni hanno decifrato in queste immagini la predizione di avvenimenti che avvengono nel nostro tempo. Il fisico contemporaneo Bernard PHILIBERT, per esempio, presenta «i dettagli decisivi di una grande conflagrazione nucleare... Tutte le armi sono presentate fino nei dettagli più precisi, con la loro funzione, apparenza e efficacità specifiche» (o.c., p. 153). Quindi: I tromba. Bombardamento aereo, in cui il fuoco cade dal cielo sotto forma di quanta, di luce Röntgen e gamma. II tromba. Indica la bomba H. III tromba. Dei missili intercontinentali, ecc. RAVAY pensa che questa tromba presenti la radioattività che inquina progressivamente pioggia, neve, fiumi... V tromba. Basileia SCHLINK vede nelle armi le bombe atomiche. Ch. Brüstch, a conclusione delle sue note sulla prima tromba, crediamo in un eccesso di ottimismo aggiunge: «Questi “risucchi” sono tanti avvertimenti per evitare la catastrofe, e ci sono anche, da parte del mondo, dei “segni” positivi che promettono un rinnovamento divino», o.c., p. 153.
Spiegazione allegorica spirituale
Altri commentatori, da S. Agostino, hanno tentato di spiritualizzare tutto. E quindi: «Non cerchiamo di precisare la natura di questi flagelli; sono molto più simboli che realtà» (P. BOISMARD, in Lumière et Vie, 1952, p. 120). I tromba. La grandine simboleggia «l’inimicizia contro Cristo», e il fuoco, «l’odio fanatico contro la Chiesa»; gli alberi, secondo il Salmo 1, i credenti; l’erba bruciata, la predicazione intralciata; più pastura per le anime...! (Ch. Brütsch, o.c., p. 153). III tromba: Agostino vi vede il tradimento di un dottore della Chiesa. LANGENBERG suggerisce «un avvelenamento della concezione del mondo e delle correnti spirituali, causate dall’eresia 1088
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di un apostata». «La natura rifiuta all’uomo ciò che gli è indispensabile per vivere» (BEGM, cit. Ch. Brütsch, o.c., p. 154). V tromba: richiama l’VIII piaga d’Egitto (Esodo 10:12-15), e soprattutto quanto annuncia Gioele 1:4 e seg. In questa tromba il viso umano rievoca i centauri; cavalli di donne secondo Svetonio. Il nome Abaddon significa: perdizione, rovina. «La parola si trova 5 volte nell’Antico Testamento e significa: luogo di perdizione, abisso, soggiorno dei morti o sheol, dove i morti esistono lontani da Dio, ma non nascosti ai suoi occhi. Abaddon è messo in parallelo con gli inferi e significa soggiorno dei morti, aperto davanti a Dio, Giobbe 26:6; confr. Proverbi 15:11. Indica il sepolcro in Giobbe 28:22. Nel Nuovo Testamento l’espressione si trova solamente in Apocalisse 9:11» (S. SCHULZ; cit. Brütsch, o.c., p. 161). «Come nome di un principe Abaddon non sembra riscontrabile nella letteratura giudaica antica». L’abisso è aperto là dove l’uomo rifiuta di vedere i cieli.
Interpretazione della crisi finale
In questa spiegazione ci rifacciamo a quanto Desmond FORD scrive nella sua opera: Crisis ! A Commentary on the Book of Revelation, vol. II, Newcastle 1982, pp. 399-459; che riteniamo importante, con il contributo attinto da altri studiosi ai quali fa riferimento. C’è anche un parallelismo tra i giorni della creazione, le ultime piaghe e le trombe. Settimana creativa Genesi - I giorno: Terra - II giorno: Mare - III giorno: Fiumi - IV giorno: Sole, luna e stelle - V giorno: Volatili e creature del mare (abisso) - VI giorno: Creazione degli animali terrestri inclusi il cavallo, il serpente e l’uomo - VII giorno: raggiunto lo scopo: Sabato
7 ultime piaghe I - Terra (16:2) II - Mare (16:3) III - Fiumi e fonti (16:4) IV - Sole (16:8)
7 trombe - Terra (8:7 ecc.) - Mare (8:8) - Fiumi, fonti (8:10) - Sole, luna, stelle (8:12)
V - Trono della bestia, tenebre (16:10)
- Abisso, re Abaddon, tenebre (9:11)
VI - Fiume Eufrate – popoli (16:12)
- Fiume Eufrate - popoli (9:14)
VII - Voci, lampi e tuoni, ecc., la fine (16:17,18)
- Voci, tuoni, ecc., la fine (9:15,19)
La differenza tra la creazione, le trombe e le piaghe è che la creazione è stata fatta nell’amore ed ora viene distrutta nel male. Isaac Newton metteva in relazione la festa dell’espiazione che si annunciava con le trombe e celebrava in Israele il giudizio sul popolo (Levitico 23) e il ritorno di Gesù. Come l’anno del giubileo, dopo 7 anni sabbatici, doveva proclamare la liberazione di tutti gli oppressi ed il recupero delle possessioni vendute per necessità, così alla fine la grande liberazione, la restaurazione di ogni diritto, avviene dopo il suono delle sette trombe.
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I tromba. Dal principio generale che il giudizio inizia dalla casa di Dio (1 Pietro 4:17; Ezechiele 9:6; Geremia 25:25-29) la tromba annuncia la distruzione di Gerusalemme e della terra di Giuda (Deuteronomio 28:45-47; 28:22). La terra alluderebbe quindi alla Palestina (1 Tessalonicesi 2:15,16; Genesi15:16; Matteo 23:32; Luca 21:23,24. Vedere Ezechiele 38:1922; Salmo 11:6; Isaia 28:1,2; 29:1-6; 10:16-20; Geremia 11:16,17; 21:14; 22:17; Ezechiele 15:6,7; Zaccaria 11:1,6; Gioele 1:19,20). In questa prospettiva anche Gesù ha paragonato Israele a un albero, immagine questa che è già stata utilizzata nell’Antico Testamento: Matteo 21:19; Marco 11:13-21; Luca 23:31; 13:1-9 ; Salmo 80:8-11,15,16; 79:1-5. II tromba. Dopo la caduta di Gerusalemme c’è quella dell’impero Romano, raffigurato da una “montagna” che viene gettata in mare. La montagna nell’Antico Testamento è simbolo di regno, nazione, potenza: Geremia 51:26; Isaia 2:2,3;13:4; Daniele 2:35,44,45; Salmo 50:3; 97:3; Geremia 4:4; Isaia 10:16-18; 2 Samuele 22:9-16; Daniele 7:2,3,17; Apocalisse 17:1,15; Ezechiele 32:6; 38:21,22; Gioele 2:30; Michea 3:10; Ezechiele 47:9,10; Zaccaria 11:2-4; Habacuc 1:14. Le navi possono essere simbolo della flotta di Genserico re dei Vandali; Alarico re degli Ostrogoti. Anche l’opera di Attila ha causato rovina, desolazione, morte e sangue. A questa spiegazione si possono muovere le seguenti critiche: - Non è Roma la montagna che va verso i popoli, raffigurati dal mare, per vincerli; ma sono i popoli, i barbari che invadono l’Impero. In questa prospettiva il testo avrebbe dovuto dire che un maremoto avrebbe sommerso la montagna. - Il testo precisa che è una massa “simile a una montagna”. Non è una montagna, ma un qualcosa che la fa sembrare tale. Questo linguaggio può essere a favore della illustrazione che la montagna non sia un monte, bensì una potenza, un impero; ma può avere anche il significato che questa realtà simile ad una montagna non voglia indicare che sia una montagna, e quindi non può rappresentare una potenza, un regno. III tromba. La stella che cade nei fiumi e nelle fonti delle acque potrebbe rappresentare un messaggero che rappresenta l’autorità celeste, la personificazione dei responsabili della Chiesa (Apocalisse 1:20) che avvelenano l’insegnamento causando la morte spirituale nella Chiesa. Questi responsabili, nel tentativo di assecondare le masse, hanno avuto l’atteggiamento di Aronne che presentò l’Eterno nel vitello d’oro. I fiumi e le fontane sono l’emblema della vita. Vedere Salmo 36:8,9; Geremia 2:13; 17:8,13; Isaia 12:3; 41:18; Deuteronomio 8:7,8; Proverbi 13:14; 14:27; Gioele 3:18-20; Zaccaria 13:1; Apocalisse 21:6; Giovanni 4:10,11; Ezechiele 47:1-12; Proverbi 25:26; Geremia 6:7; Osea 13:15,16; Geremia 50:12,38. Le fonti della cristianità vengono avvelenate. Vedere Deuteronomio 29:18; Geremia 9:15,16; Amos 5:7; Atti 8:23; Ebrei 12:15. IV tromba. La mancanza di luce può richiamare il periodo medioevale. È la conseguenza della tromba precedente. È un giudizio sulla Chiesa di Dio che avrà nella V piaga, le tenebre sul trono della Bestia, la piena espressione del giudizio. Vedere Matteo 8:12 ; 2 Corinzi 6:14,15; Colossesi 1:13; 2:13-15; Apocalisse 16:10. L’aquila, nell’intermezzo tra la IV tromba e la V, ricorda quanto Gesù disse in relazione al suo ritorno e che Giovanni riprende in Apocalisse: Matteo 24:28; Apocalisse 19:17,18. V tromba. Si può pensare di avere in questa tromba la descrizione del trionfo del male, il regno delle tenebre: fumo, abisso, fornace, scorpioni, che contrasta il regno della luce, il sole che si oscura. Solo i suggellati, perché sono protetti dall’Eterno, non sono colpiti dagli effetti 1090
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della caduta della stella nell’abisso che rievoca Isaia 14. Quanto alla stella del mattino, Lucifero, viene presentato per descrivere il re di Babilonia che schiavizza i popoli della terra. Con questa immagine Giovanni vuole indicare qualcosa di più di un potere umano. Il dragone nel capitolo 12, lui, la prima stella del mattino, trascina nella sua caduta un terzo delle stelle del cielo. Anche in questo capitolo 9 si deve pensare alla supremazia dell’apostasia sulla luce. Si deve quindi identificare questa stella con l’angelo dell’abisso, Satana, presentato con il nome di Abaddon o Apollion, il distruttore, colui che dal bene ha fatto generare il caos, il disordine, il male. Il pozzo dell’abisso senza fondo è l’espressione figurata del suo regno (Luca 8:31). È capo dell’esercito delle cavallette, di una moltitudine immensa di fedeli che, colpite le persone del loro veleno, soffrono come quando sono punte da uno scorpione. È il principe delle tenebre, malgrado sia stato vinto da colui che può dire: «Io sono il primo e l’ultimo, e il Vivente; fui morto, ma ecco sono vivente per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades» (Apocalisse 1:18). Giovanni descrive la sua caduta parafrasando quanto Gesù aveva detto di Satana dopo l’esperienza evangelistica dei suoi discepoli (Luca 10:18-20). Le locuste, contrariamente al loro modo di danneggiare la terra: raccolti, vegetazione, alberi e non colpiscono gli uomini, qui risparmiano la terra per ferire direttamente le persone con il potere degli scorpioni, raffigurazione del male (Luca 10:18-20), e il tormento che causano fa invocare la morte che non arriva. Queste forze del male dal viso di uomini e dai capelli di donna, possono simboleggiare la vitalità e la seduzione (Atti 26:14; 1 Corinzi 15:55), hanno denti da leoni, che esprimono il potere distruttivo (Gioele 1:6; 1 Re 12:11.). Gioele 2:25 può essere un testo al quale Giovanni fa riferimento per questa descrizione. Come le locuste devastano il paese di Giuda a causa dell’infedeltà del popolo, qui in Apocalisse colpiscono, per motivi di infedeltà, coloro che erano illuminati dalla luce del sole. È un quadro che riguarda il tempo escatologico, quello che dovrebbe precedere l’esodo da Babilonia, come avvenne al tempo dell’Egitto. Si può pensare che nel nostro tempo, in un modo particolare, si abbiano i risultati dell’apertura del pozzo dell’abisso. Il cielo sopra l’uomo è così oscurato e a causa dell’acqua avvelenata nei secoli precedenti dalla religione, come viene detto per la III tromba, e a causa della filosofia, della tecnologica, della ricchezza del sapere l’uomo ha perso la speranza del Regno di Dio. Sulla testa degli uomini il cielo è buio, il sole non splende, le stelle non si vedono. Ma al di sopra del fumo, dei pensieri di confusione, la luce continua a risplendere. Il tormento causato dall’opera delle locuste potrebbe rappresentare le conseguenze del peccato, l’autodistruzione, perché il peccato pone sempre l’uomo in guerra con se stesso (Giovanni 8:44). Senza la luce dell’evangelo l’uomo non può distinguere la verità dall’errore. In contrapposizione a questa situazione ci sarà la finale opera dello Spirito Santo espressa in Apocalisse 14:6-12; 18:1-4. I cinque mesi non hanno valore profetico, perché le locuste non hanno una durata di vita così lunga. Due osservazioni potrebbero essere fatte, di cui la prima ha già avuto la risposta: - il tormento per la puntura degli scorpioni, che fa invocare la morte, non crediamo sia stato fino ad ora avvertito. Domani sarà possibile. - Se il periodo di cinque mesi non è profetico - nel principio giorno anno - che tempo vuole indicare, anche in considerazione di quanto si è detto, sulle locuste che non vivono così a lungo ? VI tromba. La VI tromba completa la V. La sofferenza degli uomini del versetto 6 è illustrata dai seguenti passi: Giobbe 3:20,21; 7:15; Geremia 8:3; Luca 23:30; Apocalisse 6:16. Come per la precedente tromba lo sfondo profetico è quello di Gioele 2 che descrive l’esercito di locuste nel giorno del Signore, anche qui nella VI abbiamo un numerosissimo esercito di cavalli la cui testa è come quella del leone, dalle cui bocche esce fuoco e fumo. Quando la profezia diventa storia
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Mentre il leone divora, lo scorpione punge soltanto. Qui si uccide, nella precedente tromba si tormentava solamente. Questa tromba indica una crisi precisa nella storia dell’uomo. Indicherebbe il compimento dell’opera delle sette chiese, il dissolversi dei cieli nel gran giorno del sesto sigillo e il raduno di Harmaghedon, nel giorno della sesta piaga. Il riferimento al mese indicherebbe l’uscita degli spiriti immondi dalla bocca del dragone, dalla bocca della bestia, che ha agito per 42 mesi, e del falso profeta. Questa VI tromba con la precedente è una parodia della resurrezione di Gesù, è il trionfo del nemico, prima però della sua fine. Il primo simbolo è l’altare d’oro e le sue quattro corna, sulle quali veniva posto il sangue dell’espiazione che è una testimonianza all’azione dell’Agnello e alla sua opera in cielo per il suo popolo sulla terra. I quattro angeli sull’Eufrate, il cui numero sta ad indicare i quattro punti cardinali, cioè l’intero mondo, sono messi in relazione con la distruzione. Subiscono l’impossibilità della non azione, sono legati e non possono compiere la loro opera di morte che realizzeranno con il loro stesso scioglimento. Per questi motivi non hanno nessuna relazione con quelli del capitolo 7. Sono messi in relazione con Babilonia che sarà il tema dell’ultima parte dell’Apocalisse. L’Eufrate, nell’Antico Testamento, indicava il confine della terra promessa, dove dal Nord venivano i re ad invaderla. Ora qui questo fiume richiama la lotta tra il bene e il male. In questa prospettiva il testo può offrire diverse riflessioni: - Presenta un quadro che vorrebbe descrivere l’irrompere di forze ed insegnamenti pagani che invaderanno il mondo che ha mischiato la verità dell’evangelo con insegnamenti non veri, per richiamare i suoi abitanti alla vera fedeltà. - Anche se la descrizione lo potrebbe alludere, non crediamo che questa tromba rappresenti la realizzazione di Apocalisse 17:16, quando le acque sulla quale siede la donna, i dieci regni che le hanno dato il potere, le si rivolteranno contro e la renderanno desolata e nuda. La VI tromba suona in un tempo in cui la scelta tra la vita e la morte, tra il regno di Dio e quello degli uomini, è ancora possibile. - Il fuoco e lo zolfo che esce dalla bocca di questi cavalli richiama i testi di Genesi 19:24; Isaia 30:33; Luca 17:29; Ezechiele 38:22; Apocalisse 14:10; 19:20; 21:8; con i quali si esprime un giudizio. Questa tromba come il VI sigillo è in relazione alla ribellione del mondo. Il numero 4 indica il mondo intero e, sebbene coloro che verranno uccisi saranno una parte, un terzo, il quadro riguarda l’intera terra. Scrive Milligan: «Quando verrà l’ora, e il giorno, e il mese, e l’anno..., il cui momento è stato fissato nel consiglio dell’Altissimo, la catena che trattiene la distruzione sarà rotta, il mondo sarà sommerso dalle acque di questa inondazione». In conclusione, questa tromba presenta la realtà finale, nel tempo in cui l’umanità dovrà scegliere tra l’evangelo annunciato dalla bocca dei testimoni di Dio e lo pseudo evangelo annunciato dalla bocca della bestia, del falso profeta e del dragone, però prima del tempo della sesta piaga. Isaia 8:6-8 che riguarda la storia d’Israele può essere preso a figura della realtà futura. Malgrado i morti spirituali, un terzo dell’umanità, il resto dell’umanità non si ravvide e continuò ad adorare i morti, a praticare l’occultismo, a non scegliere per l’Eterno. Riteniamo importante la lettura di Gioele 2 e 3, del quale queste due trombe possono essere la realizzazione.
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Spiegazione storica delle 7 trombe «I flagelli simboleggiati dalle trombe colpiscono la terza parte della terra: della terra profetica, si intende, cioè dell’Impero Romano, poiché non si deve dimenticare che la rivelazione di Giovanni si ispira a quella di Daniele, dove la storia umana culmina nella quarta monarchia, ossia nell’Impero Romano» (VAUCHER Alfred Félix, La visione delle sette trombe in L’Araldo della Verità, maggio-giugno 1931, p. 3; vedere il nostro Capitolo VII). «Di conseguenza… le trombe iniziano a suonare su questo impero quando esso si trova diviso in tre parti. Dopo la morte di Costantino il mondo romano fu diviso così: ad Oriente, Asia minore, Egitto, Tracia, sotto il governo del figlio Costanzo; ad Occidente Gallia, Spagna, Bretagna, sotto il governo di Costantino II; al Centro, Italia, Illiria, Africa, sotto il governo del figlio Costante» (C.A. Rosselet d’Ivernois, o.c., t. II, p. 8). Le prime quattro trombe (capitolo 8) preannunciano le invasioni barbariche che distruggeranno l’Impero Romano centro-occidentale. Questa spiegazione è stata sostenuta da un numero considerevole di commentatori tra cui: J. Mede, Elliot, Digby, Henriquet, Rosselet, de Rougemont, ecc. Vedere Appendice n. 14, tavola n. 19. Prima tromba: i Goti
La prima, tromba annuncia una grandine di fuoco. «Non bisogna immaginare che questa visione predica una grandine letterale, o una distruzione letterale degli alberi e delle piante» (HUNTINGFORD Edward, A practical interpretation of the Revelation of John, London 1871, p. 67; cit. da VAUCHER Alfred Félix, Signes des Temps, n. 3, 1976, p. 33). «La prima tromba, è la tromba Gota. Si pensi ad Alarico coi suoi Visigoti, …essi scendono dal nord come una gragnola mescolata con fuoco e sangue, e devastano un terzo della terra profetica» (GAUSSEN Louis, Daniel le prophète, t. III, Paris 1849, p. 225). Il 24 agosto del 410, dopo 1163 anni, la città di Roma, che aveva sottomesso e controllato la maggior parte della terra, fu abbandonata al saccheggio. «Orosio, S. Agostino, S. Gerolamo parlano di questo sacco di Roma con orrore; ma vi riconoscono una giusta punizione di Dio contro gli increduli che ancora non s’erano convertiti e speravano aiuto dagli idoli pagani. Per essi Alarico non è che uno strumento nelle mani di Dio» (VILLARI Pasquale., Le invasioni barbariche in Italia, Milano 1902, pp. 75, 77). È più corretto però vedere in questa invasione il castigo di Dio nei confronti di una società cristiana degenerata, più colpevole di quella pagana. Seconda tromba: i Vandali
Al suono della seconda tromba una massa simile a una montagna ardente viene precipitata in mare e la terza parte del mare diventa sangue. «Si tratta indubbiamente di una eruzione simbolica, effettuata dalle navi da guerra dei Vandali» (DIGBY W., Courte explication des sceaux et des trompettes de l’Apocalypse, Toulouse 1839, p. 31; L. Gaussen, o.c., t. III, p. 225). Quello che Alarico non riuscì a fare, perché morì nello stesso anno, lo fece Genserico re dei Vandali. Nel 429 dalla Spagna si trasferì in Africa e dopo pochi anni Cartagine cadde nelle sue mani.
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«La catastrofe annunciata dalla seconda tromba è stata compresa come una descrizione delle depredazioni commesse dai Vandali. Cacciati dal loro insediamento in Tracia dalle incursioni degli Unni che venivano dall’Asia centrale, i vandali attraversarono la Gallia e la Spagna e fondarono un regno a Cartagine, in Africa del Nord. Da lì diventarono i padroni del Mediterraneo occidentale e con una flotta di pirati saccheggiarono le coste della Spagna, dell’Italia e pure della Grecia, rovinando la navigazione romana. Raggiunsero il culmine delle loro depredazione saccheggiando per quattordici giorni la città di Roma nell’anno 455» (Seventh-Day Adventist Bible Commentary, t. VII, p. 789). I saccheggi di Gianserico sulla terza parte della terra profetica durarono ventitré anni. Terza tromba: gli Unni
Con la terza tromba si descrive la caduta del grande astro simile ad una torcia che colpisce la terza parte dei corsi d’acqua e delle sorgenti. «La terza tromba è quella di Attila e degli unni» (L. Gaussen o.c., t. III, p. 225). «Partiti dopo Genserico e i vandali, Attila e gli unni - come una stella ardente, devastarono la Gallia e l’Italia settentrionale. Seguendo il corso del Danubio, del Reno, della Senna, della Loira, della Soana, del Rodano, del Po, essi resero amare le acque di questi fiumi e fecero perire gran numero di uomini. Nel 451, Attila s’avvicinò a Roma, ma la minacciò soltanto, poiché passò come un fulmine» (C.A. Rosselet d’Ivernois, o.c., t. II, pp. 22, 23). Il loro passaggio in Occidente durò tre anni. Quarta tromba: gli Eruli
Con la quarta tromba il terzo del sole, della luna e delle stelle fu offuscato. «Nessuna immagine poteva essere più perfetta per descrivere come l’Impero Romano di occidente doveva sparire» (C.A. Rosselet d’Ivernois, o.c., t. II, p. 25). «La quarta, è la tromba degli eruli» (L. Gaussen o.c., t. III, p. 225). «Qui abbiamo Odoacre, re d’un popolo conosciuto nella storia sotto il nome di Eruli. Il suo compito fu quello di provocare una tempesta, la quale coprì il cielo di nubi talché ne fu oscurato il sole dell’impero occidentale (la terza parte della terra), come pure la luna e le stelle. Come avvennero queste cose? - Dall’occidente egli passò in Italia a capo di un esercito; s’impadronì di Roma, sbalzò dal trono l’ultimo dei Cesari (chiamato, per dileggio, Augustolo) e ne prese il posto quale re di Roma. Così fu oscurato il sole di questa antica signora del mondo… Seguirono, nel volgere di pochi anni, l’oscuramento della luna e delle stelle del cielo di Roma. Nel 566, l’autorità del senato e dei consoli decadde totalmente, e Roma stessa, che per oltre dieci secoli aveva dettato legge alle nazioni, si ridusse a un misero ducato, sottoposto agli eserciti di Ravenna» (W. Digby, o.c., p. 34; vedere A. Henriquet, o.c., pp. 84, 85). Versetto 13. Prima di suonare le altre trombe c’è un avvertimento di dolore. Perché questi mali sull’impero? «Il mondo romano diventa cristiano, e l’Evangelo non riesce a rigenerarlo. Il mondo romano adora Gesù Cristo, ed ecco che Dio, anziché benedirlo, si adira vieppiù contro di lui! Qui c’è uno scandalo per molte persone le quali, pur essendo oneste e sincere, sono poco illuminate. Questa pagina dell’Apocalisse ci rivela come la conversione del mondo sia stata solo apparente, come la Chiesa smisuratamente ingrandita contasse pochi veri fedeli, e come questi fossero d’accordo con Dio sulla necessità di castigare i pagani mascherati» (F. de Rougemont, o.c., p. 221).
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«I goti prima, poi i vandali, gli unni e gli eruli, furono incaricati dal Signore a castigare i peccati di coloro che si nominavano ortodossi… La maggior parte degli interpreti a me conosciuti si accordano su questo punto, che i guai annunciati ai suoni guerrieri della quinta e della sesta tromba, devono riguardare l’Impero Romano d’Oriente, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente; poi, essi stimano che la quinta profetizzasse gli arabi o i saraceni, e la sesta i turchi; per conseguenza, l’una e l’altra, l’islamismo. All’inizio del VII secolo apparve Maometto, come una stella che cadrebbe dal cielo sulla terra. Sembrava avere in mano la potenza dell’inferno e, dalle contrade da cui vengono le cavallette, l’Arabia, i settari del falso profeta estesero il loro dominio sulla porzione dell’Asia e dell’Africa appartenente all’Impero Romano, fino in Spagna» (BURNIER Pierre Louis Etienne, Études élémentaires et progressives sur la Parole de Dieu, t. VII, L’Apocalypse, Lausanne 1852, p. 464). Introduzione alla V e VI tromba
«Le ultime tre trombe sono chiamate “guai”; è senza dubbio perché esse presagiscono delle calamità più grandi o più prolungate delle precedenti. Dobbiamo constatare che su queste tre trombe di guai c’è tra gli interpreti una considerevole unanimità di sentimenti» (VUILLEUMIER Jean, L’Apocalypse, ed. S.d.T., Dammarie-les-Lys 1938, p. 1249). «La maggioranza degli interpreti a mia conoscenza, scrive L. Burnier, sono concordi su questo punto: i guai annunciati al suono della quinta e della sesta tromba devono riguardare l’Impero Romano d’Oriente, dopo la rovina dell’Impero d’Occidente; inoltre essi stimano che la quinta profetizzi gli arabi o i saraceni, e la sesta i turchi: per conseguenza, l’una e l’altra il maomettanesimo». G.A. Rosselet, si esprime in un modo simile: «La quinta tromba è quella dei saraceni, o arabi, queste cavallette del deserto, così ben descritte nella visione». Vede inoltre un capo illustre nella stella cadente dal cielo sulla terra; in Abaddon e Apollion, riconosce i «distruttori di due religioni, la giudaica e la cristiana; e nel fumo la dottrina fanatica di Maometto... fumo che oscura il sole e l’aria, la luce della verità cristiana e il soffio della vita che l’accompagna». Quinta tromba: gli Arabi
Dall’Occidente si passa ora all’Oriente. «La quinta tromba è quella dei Saraceni o Arabi, locuste del deserto così ben descritte nella visione. Un capo illustre, stella caduta dal cielo sulla terra (come già Satana era caduto con gli angeli suoi), Abaddon o Apollion, distruttore di due religioni, la giudaica e la cristiana, mediante il fumo o dottrina fanatica ch’egli fa uscire dal pozzo dell’abisso… Maometto domina spiritualmente, dalle origini fino alla fine, come un angelo dell’abisso, le incursioni di queste cavallette inebriate dal fumo delle sue dottrine» (C.A. Rosselet d’Ivernois, o.c., t. II, pp. 36, 37). Maometto come una stella luminosa (nella terminologia biblica un capo, un messaggero viene spesso così rappresentato. Gesù stesso è chiamato «la lucente stella mattutina» in Apocalisse 22:16; il re di Babilonia, controfigura di Satana, è paragonato ad una «stella mattutina… che cade» in Isaia 14:12; i messaggeri di Cristo sono chiamati stelle in Apocalisse 1:20; gli angeli ribelli sono chiamati stelle in Apocalisse 12:4, 9; ecc.), organizza le tribù arabe disseminate nella desolazione del deserto arabico, l’«abisso», e ne fa un corpo potente ed unito. Il versetto 3, paragonando gli arabi a delle cavallette, non deve meravigliare. Le cavallette vengono generalmente dal deserto dell’Arabia. Per chi ha visto un esercito di cavalieri arabi Quando la profezia diventa storia
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sui loro cavalli, con i loro lunghi mantelli svolazzanti al vento e che nella corsa fanno come da ali alle loro spalle, comprende che per rappresentarli non v’era immagine più adeguata delle cavallette. Inoltre la forza delle cavallette è nel loro numero che paralizza quasi ogni sforzo per distruggerle. Il nome cavallette, in ebraico arebh, richiama bene all’orecchio quello dell’arabo “arabei” e quello del deserto “arabäh”. Il «fumo» che esce dal pozzo dell’abisso rappresenta la dottrina islamica ancor più pericolosa di quella pagana in genere. Con essa si fanatizzano i mussulmani per la conquista del mondo. A commento del verso 4, J. Vuilleumier scriveva: «Se mai una predizione sia stata realizzata letteralmente fu proprio questa, cinque secoli e mezzo dopo che fu annunciata. Ecco testualmente la proclamazione fatta da Aboubèkre, successore immediato di Maometto: “Guerrieri dell’Islam, fermatevi un istante, e ascoltate bene i precetti che io voglio promulgare per i tempi di guerra! Combattete con bravura e lealtà! Non usate mai né l’imbroglio, né la perfidia nei confronti dei vostri nemici; non mutilate i vinti; né uccidete i vecchi, né i bambini, né le donne; non distruggete le palme, né bruciate le messi, né tagliate gli alberi fruttiferi, né sgozzate gli animali, se ciò non vi è necessario per il vostro nutrimento. Voi troverete sulla vostra strada degli uomini che vivono nella solitudine e nella meditazione e nell’adorazione di Dio: non fate loro alcun male né alcuna ingiuria! ... Non eccettua da questa inviolabilità dei deboli e degli eremiti cristiani, per la guerra, che coloro che fanatizzano le popolazioni contro la dottrina dell’unità di Dio” (LAMARTINE, Histoire de Turquie, vol. I, p. 125)» (o.c., pp. 126,127). Versetti 5,6. Il senso della puntura di scorpione scaturisce dal testamento dello stesso Maometto. «Le nazioni che abbracciano la nostra fede saranno assimilate a voi stessi: godranno degli stessi vostri vantaggi e saranno sottomessi agli stessi vostri doveri. A coloro che vorranno conservare le loro credenze, impongo l’obbligo di dichiararsi vostri sudditi e di pagarvi un tributo (un quinto del guadagno), in cambio del quale voi li coprirete della vostra protezione. Ma coloro che rifiutano di accettare l’islamismo o la condizione del tributo, combatteteli fino a quando li avrete sterminati. Qualcuno di voi cadrà nella lotta; a coloro che periranno, il paradiso; ai sopravvissuti la vittoria» J. Vuilleumier, o.c., p. 127. Il tormento era come quello prodotto da uno scorpione, il veleno che faceva soffrire era nella coda, e il falso «profeta che insegna la menzogna è la coda» Isaia 9:14.. «Non c’è che un solo Dio e Maometto è il suo profeta. Ecco il veleno che le cavallette ricevettero per far soffrire le persone. Che sofferenze subirono coloro i quali non si sottomisero per convinzione e tributo a quella formula! Come esempio riportiamo l’invito alla sottomissione agli abitanti di Gerusalemme fatta da Abu-Obeidah: «Salute e felicità a coloro che seguono la diritta via! Noi ve l’ordiniamo, dichiarate che c’è un solo Dio e che Maometto è il suo apostolo. Se non lo fate, consentite a pagare un tributo e a essere nostri sudditi; se no, io porterò contro di voi degli uomini che metteranno un miglior prezzo alla morte... e io non vi lascerò, se piace a Dio, che dopo aver sterminato coloro che combattono per voi, e ridotto i vostri bambini in servitù» (G.A. Rosselet, o.c., p. 41). Poco dopo la morte di Maometto, Aboubèkre, suo suocero e successore, cominciò la conquista per impossessarsi dell’Arabia. Omar, suo successore, conquistò Gerusalemme. Il 13 luglio 633 ci fu la famosa battaglia di Aisnadin con la quale cominciò l’invasione della Siria. Poi s’invase la Persia. Nel 638 l’Egitto veniva sottomesso e si iniziava la costruzione del Cairo. Gibbon dice che Omar conquistò 36.000 città o castelli, distrusse 4.000 chiese e costruì 1.200 moschee. Nel 698 Hassan conquistò Cartagine e il litorale: 300.000 cristiani furono ridotti in schiavitù e inviati in Asia; 466 vescovili o parrocchie distrutte. Nel 711 Tarik passò 1096
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in Spagna, prese Xeres, Toledo attraversò i Pirenei e penetrò in Francia fino a Besançon. Nel 732 ci fu la battaglia di Poitiers vinta da Carlo Magno che lasciava sul campo 375.000 morti. In cento anni (632-732) gli arabi si estesero come un gigante che apre le sua braccia, scrive V. Duray, dall’Indo ai Pirenei. I loro confini andavano dalle sabbie del Sahara, dall’Etiopia alle rive dell’Atlantico, dalla muraglia dei Pirenei e le Cévennes meridionali fino all’Asia, al deserto del Touran, al fiume Indo e alla valle del Cachemire e al Nord alle steppe del Turkestan, Mar Caspio e Caucaso. Nel Mediterraneo occupavano Rodi, Cipro e le Baleari. Da 1.700 a 1.800 leghe (6.800-7.200 chilometri) di lunghezza. Nessun impero dell’antichità aveva avuto una così grande estensione. Versetti 7-9. La cavalleria araba, la più celebre del mondo, giustifica la descrizione di Giovanni. Assomigliava a dei cavalli preparati per la battaglia. La corona sembrava d’oro, era il turbante giallo (colore nazionale) che serve da turbante e qualche volta da stendardo: il viso d’uomo descrive bene il viso arabo ornato dalla barba che dona un’aria grave e virile. I capelli delle donne corrispondono a quelli dei beduini che, fino al tempo delle crociate, erano lunghi. Le stanze dell’esercito di Aleppo, dice Eusebio di Salle, conservano ancora milioni di frecce, di armature, cosciali, bracciali, corazze e piastroni che i Saraceni portavano ancora prima dei cavalieri. Il rumore dei carri descrive l’attacco imprevisto e trionfante della cavalleria araba che rovesciava tutto davanti a sé. I cinque mesi sono compresi per la prima con il principio giorno anno (5x30 = 150 giorni/anni) da Gioacchino da Fiore nel 1191. In seguito Elliott, Digby, Rosselet, Burnier, Gaussen ed altri spiegarono: «Centocinquanta giorni profetici, cioè centocinquanta anni, dall’anno 612, anno in cui il falso profeta pubblica la sua missione, fino all’anno 762, anno in cui queste cavallette divoratrici si stabiliscono, depongono le loro uova, perdono le loro ali sul Tigri e costruiscono Bagdad, la loro Città di pace, come essi l’hanno chiamata» (L. Gaussen, o.c., t. III, p. 227). Sesta tromba: i Turchi
H. Bullinger nel 1577 per la prima volta applicò la VI tromba ai Turchi. Al XV secolo, le province greche o orientali dell’Impero Romano si estendevano ancora su Macedonia, Iconia, Cipro, Creta e Acaia. Queste province erano chiamate Impero Greco o Basso Impero «erano cadute al più basso livello; la decadenza era profonda e irrimediabile; il Basso Impero non era più che un nome, la sua potenza un’ombra e il Cesare di Bisanzio un fantasma che regnava su delle popolazioni nervose ed abbruttite, plebs ad servitum parata... “C’erano dei principi che facevano arrossire la regalità” ha detto Chateaubriand. Mai parola fu più vera per questi bastardi del popolo-re, che disonoravano il cristianesimo e che avevano conservato di Roma e della Grecia solo vizi senza nome e delle mostruosità morali. E tuttavia questi principi, che non sapevano regnare, che non sapevano morire, di cui il sopruso, la corruzione e le bassezze formavano la politica, di cui il tradimento e l’assassinio costituivano i mezzi di difesa, questi principi s’intitolavano imperatori d’Oriente, e il loro orgoglio non era uguagliato che dalla loro vigliaccheria» (de la JONQUIÈRE, Histoire de l’empire Ottoman, 2a ed., Hachette, p. 126). I quattro angeli, quattro capi, letteralmente messaggeri, prima legati e poi sciolti sull’Eufrate, sono stati identificati con «le quattro principali sultanie o Stati politici dei turchi (a partire dal 1055: quella di Persia o di Bagdad; della Siria superiore o di Aleppo; dell’Asia Minore o dell’Iconia, e della Siria inferiore o di Damasco), di cui volle servirsi il Signore per Quando la profezia diventa storia
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fare venire sul suo popolo idolatra il secondo dei tre ultimi guai» (A. Henriquet, o.c., p. 109; siamo noi che abbiamo aggiunto quanto tra parentesi). Questi quattro sultanati, slegati, marciano assieme contro l’Impero Romano d’Oriente. Alla fine del IX secolo i califfi non trovavano più soldati arabi per la difesa, accettarono i turchi come milizia. Nell’XI secolo delle tribù turche conquistarono Bagdad, dove Togroul Beg regnò al posto del califfo. Si costituì così tra il 1050 e 1100 un primo impero turco sotto Seldjouk, Togroul Beg Alp Arslan (il leone valoroso) e Malek Schah. I sultani abbracciarono poi l’Islam e sognarono le conquiste. Nel 1075 si affacciarono a Costantinopoli. Nel 1281, Othman o Osman s’impadronì del trono dei Seldjoukcides e pose le basi di un secondo impero turco e presto gli invasori divennero padroni dell’Asia Minore, passarono i Dardanelli e domarono i serbi, i bosniaci, gli ungheresi e i valacchi. Il sultano Amurath pose la sua residenza a Andrinopoli e lasciò all’Impero d’Oriente solo la capitale. Verso il 1400 uno dei più terribili emiri turchi, il sultano Bajazet, assediò Costantinopoli. Un’invasione dei Mongoli fece mantenere la propria indipendenza per ancora cinquanta anni. Sotto Amurath II, i turchi furono sciolti di nuovo e, dopo aver minacciato Bisanzio, l’assediarono e il 29 maggio 1453, sotto Maometto II, l’imperatore d’Oriente, Costantino XII morì, la città fu saccheggiata, Santa Sofia fu trasformata in moschea, 60.000 prigionieri furono venduti come schiavi e Costantinopoli divenne la capitale dell’Impero Ottomano. Sotto Selim I e Soliman il Grande, nel XV e XVI secolo, la potenza turca al sua apogeo trattava su un piano di uguaglianza con Carlo V e Francesco I. Si sottomisero: Arabia, Kurdistan, Mesopotamia ed Egitto. Nel 1530 il “Grande Turco” pose i suoi eserciti fin sotto le mura di Vienna, terrorizzando l’Occidente. Il Turco era il principe più grande in cavalleria. C’è da chiedersi se la guerra nella ex Jugoslavia degli anni ‘90 può avere le sue radici nelle conquiste del XV secolo. Con la caduta di Costantinopoli nel 1453 finisce un’era e se ne apre una nuova. Con il XVIII secolo la potenza turca cominciò a restringersi a seguito degli attacchi occidentali e della Russia. Vennero cacciati dall’Ungheria, Valachia, Moldavia e dalla Crimea. La spedizione di Napoleone in Egitto fece intervenire l’Inghilterra e da quel momento tutte le potenze «si interessarono al destino di questo Stato malato, di cui nessuno vuole lasciare al suo vicino il beneficio della successione. Si apre la questione d’Oriente» (articolo Turquie, in Nouveau Larousse Illustré). Nel 1822 insorse la Grecia. Nel 1840 la rivolta di Mehemet-Ali, pascià d’Egitto, obbligò il sultano a porsi tra le braccia della quadruplice alleanza (tedesca, austriaca, russa, inglese), e a partire da quel momento le grandi potenze occidentali si misero d’accordo per salvaguardare ciò che chiamavano “La dignità e l’integrità dell’Impero Ottomano”. Nel 1852 scoppiò la guerra russo-turca che riprese nel 1877 e nel 1897. Ogni volta la Turchia era stata soccorsa dall’Europa e ogni volta il tributo fu la perdita di qualche provincia. 9:16-19. La cifra di 200 milioni dell’esercito corrisponde a una media di 500 mila persone arruolate ogni anno per i 400 anni. Scrive Lamartine che, nel XII secolo, Alp Arslan aveva oltrepassato l’Eufrate con un diluvio di turchi. Le sue tende coprivano ormai tutta l’Asia occidentale. 1.200 principesse o figli di principi tartari attorniavano il suo trono; 200.000 soldati erano ai suoi ordini da Bagdad a Trebisonde. Quando volle ripassare il fiume Oxus per sterminare nel Tukestan, suo primo dominio, il sultano Kharisme, la moltitudine del suo esercito impiegò venti giorni e venti notti senza sosta per attraversare il ponte costruito per l’occasione. «Io vidi i cavalli...». A tale proposito Lamartine dice che Soliman I scriveva a Francesco I in questi termini: «Notte e giorno il nostro cavallo è sellato e la nostra sciabola è alla cintura».
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Non c’era in Oriente nessun popolo che uguagliasse i turchi nel cavalcare e il cavallo era considerato il «trono dei tartari». I colori «fuoco» rosso, «giacinto» blu e «zolfo» giallo li si trovavano nell’uniforme turca. Le teste di leone, può indicare la loro impetuosità. L’uscita del fuoco dalle loro bocche è una descrizione figurata delle loro armi con la polvere da sparo. Il potere espresso dalle code di cavallo, può rappresentare l’insegna dell’autorità presso i turchi osmanli. Era fissata nella parte terminale della lancia con una palla d’oro. La gerarchia era rappresentata dal numero (13) delle code. Il Vulliet scrive che i turchi «non erano motivati nelle loro spedizioni né dalla gloria, né dall’onore, ma dall’amore della distruzione e del saccheggio». Il saccheggio di Costantinopoli divenne proverbiale. I massacri caratterizzarono le conquiste nell’Europa dell’Est e nel Mediterraneo. In diversi modi si è calcolata, in chiave profetica, l’espressione del versetto 15: «Quell’ora, quel giorno, mese ed anno». Un’«ora» = giorni 15 (ventiquattresima parte di un giorno/anno, cioè un anno = 360 giorni : 24 = 15 giorni), «giorno» = un anno, «mese» = 30 anni, «anno» = 360 giorni/anni; (360 + 30 + 1) 391 anni e 15 giorni. Fu George DOWNHAM, nel 1603, che per primo comprese questa espressione per 391 anni; mentre nel 1684, Thomas BEVERLEY, per la prima volta, propose la parola “ora” per il corrispondente tempo profetico di quindi giorni. - 1062 + 391 = 1453; - 1452 + 391 = 1844. Nel 1795 per la prima volta E.W. WHITAKER fa iniziare questo periodo profetico nel 1453 e lo fa scadere nel 1884. Per la prima volta fu il vescovo George DOWNHAM a comprendere la suddetta espressione in 391 anni che ha datato dal ; - 1449-1840. Il millerita Josiah Litch nel 1838 dichiarava che, nel mese di agosto 1840, l’impero ottomano sarebbe caduto (LITCH Josiah, The Probability of the Second Coming of Christ About a.D. 1843, p. 157): 1449 + 391 = 1840. Quanto previsto si è realizzato. Questo periodo inizia alla morte di Giovanni Paleologo, il penultimo imperatore greco di Costantinopoli, nel 1449. In quel tempo i resti dell’impero sono in uno stato pietoso a causa dei turchi, della debolezza dei greci e dalla divisione della famiglia imperiale che rendeva ancor meno stabile il potere. Dei quattro fratelli dell’imperatore che non aveva lasciato figli, i due maggiori Costantino e Demetrio si contendevano il trono. Il popolo sosteneva Costantino che considerava più onesto e nobile. Si ridusse alla vergogna di andare presso il sultano Amurat II di fatto considerato come arbitro e signore dei destini dell’impero. Sebbene accomiatasse Costantino con regali per l’onore che gli aveva accordato, pronunciò anche un presagio nel quale diceva che i greci sarebbero diventati schiavi dei turchi e che già disponeva della corona imperiale come di un dono che gli apparteneva (Vedere P. Louis MAIMBOURG, Histoire du schisme des Grecs, t. II, Paris 1678, pp. 411,412). Ciò avvenne il 27 luglio 1449. Quattro anni dopo Costantinopoli cambiò imperatore. Il trono veniva occupato dai sultani dell’impero ottomano. Dopo aver trattato da pari a pari nel XV e XVI secolo con Carlo V e Francesco I, e dopo aver esteso le proprie conquiste in Europa fino alle mura di Vienna, con Solimano il Grande si segna l’apogeo della potenza e della gloria turca, che da quel momento comincia anche la decadenza sotto i colpi ripetuti delle potenze occidentali e della Russia. Il XVIII e XIX secolo sono funesti per gli Ottomani. Perdono presto la più gran parte dei Balcani, indietreggiano in Egitto, la Grecia insorge. Comincia a proporsi la questione Medio-Orientale. Intanto nel 1840 il famoso pascià Mehemed Alì, vice re d’Egitto, già in rivolta dal 1831, dopo varie brillanti Quando la profezia diventa storia
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vittorie mette in scacco l’armata turca e minaccia Costantinopoli. Tutto fa presagire ch’egli si preparasse a salire sul trono degli Osmanli. Il 10-12 agosto 1840 il sultano mette il suo impero sotto la protezione delle grandi potenze occidentali. La quadruplice Alleanza: Germania, Inghilterra, Austria e Russia interviene con il famoso ULTIMATUM contro il pascià d’Egitto per fermare la sua corsa. - 1453-1844. Questa data sembra la migliore in quanto inizia con la presa di Costantinopoli che apre il dominio turco all’Europa e «segna la fine del vecchio ordine in Europa e nel vicino Oriente. Gli Ottomani erano ora ben posti per colpire in profondità la terra centrale del Cristianesimo» (RILEY-Smith. J., The Atlas of the Crusades, Facts on File, New York 1991, p. 150). È il 21 marzo 1844 che il sovrano dell’Impero Turco, il Sublime Porta, emana un editto di tolleranza nei confronti dei cristiani del suo territorio con il quale in persona s’impegna «a prendere delle reali misure per prevenire d’ora in avanti l’esecuzione e la messa a morte del cristiano che è un apostata». Questa sesta tromba ci porta fino agli anni quaranta del secolo scorso, tempo in cui, secondo la profezia di Daniele, ha inizio l’opera di giudizio nel cielo. Apocalisse 10 descrive il grande risveglio religioso dell’avvento e l’invito a continuare a predicare l’evangelo al mondo intero. Sebbene la Cristianità occidentale e orientale sia stata considerata punita per la sua idolatria e infedeltà al Signore, nondimeno «il resto degli uomini che non furono uccisi da queste piaghe, non si ravvidero delle opere delle loro mani sì da non adorare più i demoni (cioè non prestare più il culto ai morti) e agli idoli d’oro e d’argento e di rame e di pietra e di legno, i quali non possono né vedere, né udire, né camminare; e non si ravvidero dei loro omicidi né delle loro malie, né della loro fornicazione, né dei loro furti» versetti 20, 21. A proposito delle parole di Giovanni: «Quell’ora, quel giorno, mese e anno» L. Bonnet giustamente rileva che gli interpreti si dividono in due orientamenti. Un primo gruppo, come abbiamo presentato, interpreta questa espressione come essendo di 391 anni e 15 giorni, indicando il tempo nel quale si compiono gli avvenimenti descritti, mentre il secondo gruppo vede nelle parole dell’apostolo il momento preciso, determinato da Dio, in cui questi avvenimenti devono cominciare (L. Bonnet, o.c., p. 390. Cioè: «Essere pronti per l’ora, il giorno, il mese e l’anno… significa semplicemente esser pronti per compiere il disegno di Dio al momento preciso ch’egli ha fissato nell’infinita sua sapienza» (A. Henriquet, o.c., p. 111).
Obiezioni alla spiegazione storica Siamo consapevoli che la spiegazione tradizionale storica delle sette trombe presti il fianco a delle critiche, ma ci permettiamo riproporla, presentando anche una comprensione diversa della V e VI tromba perché, anche se esse stesse suscitano delle perplessità, ci sembra che possano soddisfare la spiegazione del testo meglio di altre interpretazioni. Possiamo anche dire che è più facile criticare la spiegazione tradizionale che trovarne una migliore. La principale obiezione alla quale non rispondiamo perché la domanda è una constatazione, è la povertà di supporto esegetico alla spiegazione che viene data che è più un accostamento del testo ad un quadro storico, che una realizzazione storica del testo biblico. Le obiezioni che vengono fatte a questa tesi le possiamo così riassumere:
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1.- Nelle prime quattro trombe non c’è nulla che faccia pensare alla guerra, tranne il suono della tromba stessa. Risposta. Sebbene ciò debba essere ammesso, bisogna anche riconoscere che il richiamo alla guerra sembra che la si abbia in forma esplicita nella V e VI tromba. 2.- Perché le prime quattro trombe parlano solamente di quattro popoli barbarici, uno dei quali è quello degli Unni che non vengono neppure presi in considerazione nella visione profetica della storia presentata dalle dieci corna della quarta bestia del capitolo 7 di Daniele? Risposta. La domanda è pertinente e forse la risposta la possiamo trovare nel fatto che, sebbene gli Unni non si fossero installati nell’Impero Romano, contribuirono a segnare il suo declino. 3.- Possibile che le trombe di Apocalisse 8 e 9 si riferiscano ad avvenimenti che sono del passato, lontani dal nostro tempo, e non prendano in considerazione le guerre del nostro secolo? Risposta. Anche altre porzioni del messaggio profetico di Daniele e dell’Apocalisse si riferiscono a momenti precisi della storia passata: es. pagine specifiche della storia d’Israele in Daniele 11; Medio Evo, Apocalisse 12; 13 pp., ma ciò non sminuisce la loro portata. 4.- La VI tromba giunge alla metà del secolo scorso e poi c’è un vuoto di oltre un secolo per il suono della VII. Perché la prima e la seconda guerra mondiale non vengono menzionate, considerando che hanno coinvolto numerose nazioni e sconvolto tutto l’Occidente cristiano più di qualsiasi guerra del passato? Risposta. Non sempre ciò che può essere importante sul piano militare, politico, economico e sociale acquista la stessa rilevanza nella visione biblica della storia. Le due guerre mondiali hanno coinvolto nazioni cristiane che hanno continuato ad esercitare un culto ai demoni, cioè a credere nell’immortalità dell’anima e non compiere quella riforma che, partendo dall’insegnamento biblico sull’uomo, avrebbe sviluppato una filosofia di vita nella quale l’individuo non sarebbe stato più un mezzo per raggiungere un fine, ma il fine stesso. La VII tromba, oltre ad annunciare il tempo in cui Dio è investito dell’autorità regale e deve regnare, è anche messa in relazione alla capacità, possibilità, dell’uomo di «distruggere la terra» e con «l’ira delle nazioni». Queste due espressioni presentano in modo esplicito il progresso e la conseguente capacità distruttiva che segue la Grande Guerra e la seconda guerra mondiale giungendo fino a noi. Crediamo sia importante sottolineare che la VII tromba ci colloca anche nel tempo in cui in cielo si svolge, dal 1844, il giudizio preliminare: «È giunto il tempo di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servi i profeti, ed ai santi ed a quelli che temono il tuo nome, e piccoli e grandi» 11:18. Così con la fine della VI tromba, 1842 o primi decenni XIX secolo, inizia la VII con il termine della quale si conclude anche la storia. Inoltre, la VI tromba è in relazione con i periodi profetici, si colloca dopo i 1260 giorni/anni e precede il compimento delle 2300 sere e mattine. 5.- Il testo, utilizzando le stesse espressioni, non vuole presentare la stessa opera di sigillamento dei santi indicati nei testi 9:4 e 7:1-8. Risposta. La rassomiglianza di espressioni non è sinonimo di uguaglianza di situazioni; il sigillamento di 9:4 non dovrebbe essere lo stesso di 7:1-8. Quest’ultimo, in modo chiaro, è messo in relazione con il ritorno di Gesù, cosa che non corrisponderebbe con quanto è detto nel testo di 9:4. Quando la profezia diventa storia
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6.- C’è un parallelismo tra le sette trombe e le sette coppe/piaghe. Risposta. Questo parallelismo è stato osservato e sostenuto da diversi commentatori sia europei che americani dagli inizi dell’epoca coloniale, ma è stato contestato con validi argomenti dai teologi avventisti del 7o giorno che hanno posto le piaghe nel futuro. Riteniamo inoltre che l’assomiglianza sia più apparente che reale.1 Le piaghe, che sono le ultime, si collocano in un tempo particolare della storia, alla fine. È con esse che si compie il giudizio di Dio. Le sette coppe hanno una finalità diversa dalle sette trombe e, anche se il linguaggio può sembrare simile, le differenze sono tali che ci autorizzano a pensare che non presentino la stessa realtà. Sebbene le sette trombe e le sette coppe siano introdotte da un rito che si svolge nel santuario celeste, le sette trombe portano al giudizio finale e sono di preparazione a questo ultimo evento (Apocalisse 11:15-19), mentre le sette coppe esprimono l’ultimo giudizio di Dio (Apocalisse 15:17). Le piaghe delle trombe sono la risposta ai santi che chiedono al Signore giustizia (Apocalisse 9:20; 6:9-11; 8:3-5). Inoltre, mentre le trombe hanno lo scopo di invitare l’umanità al ravvedimento, ad abbandonare l’idolatria, l’immoralità, il culto ai morti (Apocalisse 9:20,21), le sette piaghe hanno origine nel luogo santissimo, dove c’è l’arca del patto (11:19), esprimono il giudizio, del giorno dell’espiazione, su coloro che hanno rifiutato la grazia, il perdono di Dio. «Le sette piaghe sono l’amplificazione della settima tromba» (LaRONDELLE Hams K., La signification des sept dernier plais, in AA.VV., Études sur l’Apocalypse, Conférences Bibliques Division Eurafricaine, t. I, 1998, p. 208). Il giudizio delle trombe è locale, riguarda geograficamente un terzo della terra. Questo è detto per 14 volte. Esse hanno lo scopo di richiamare al pentimento. Non è così per le ultime sette piaghe che colpiscono la Babilonia del tempo della fine, dopo che i fedeli sono da lei usciti, nel tempo dell’imposizione del marchio della bestia. Queste piaghe corrispondono al disastro dell’esercito egiziano affogato nel Mar Rosso dopo che il Paese è stato danneggiato dalle piaghe (vedere CAIRD G.B., Revelations on Revelation, Word Booke, Waco, Texas 1977, cap. 3). Con le ultime piaghe l’accesso al santuario celeste non è più possibile. Si è nel giorno del giudizio. I giudizi compiuti con le sette trombe sono a tipo di quelli più estesi, universali e definitivi delle sette coppe. Concludiamo rilevando che in favore di questa spiegazione si deve riconoscere che studiosi di ogni confessione religiosa e nei vari secoli l’hanno sostenuta.
Una spiegazione alternativa alla V e VI tromba
Riteniamo opportuno riportare le riflessioni del teologo William H. SHEA, The Fifth and Sixth Trumpets, Silver Spring, MD 20904, dattiloscritto, senza data, 44 pp., sulla V e VI tromba, che identifica con le crociate e le guerre di Napoleone I. Riteniamo che questa spiegazione si collochi bene nel quadro generale che abbiamo della profezia. Il palcoscenico della storia, dalla quarta bestia di Daniele e quello della bestia dell’Apocalisse, è l’antico territorio dell’Impero Romano d’Occidente. Le trombe devono riguardare questo territorio. Le critiche che possiamo muovere alla posizione espressa nella spiegazione precedente possono essere così riassunte: a) La stella caduta non rappresenta bene né Maometto né qualche sovrano mussulmano o turco perché non comincia la loro attività come una stella che stava in cielo e poi è caduta. b) L’abisso non ha alcuna connessione geografica simbolica con l’Arabia. 1102
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c) I 5 mesi della V tromba non hanno nessuna connessione diretta con il tempo della VI tromba e le date usate da diversi commentatori come: 1299 - 1449, non sono state molto importanti nella storia turca. d) Sembra più conforme al testo biblico vedere i credenti muovere guerra ai non credenti. Nella prospettiva delle crociate sono i cristiani che partono per la guerra contro i mussulmani e quanti fanno ostacolo alla fede.
Quinta tromba: le Crociate
La V tromba si apre con la caduta di una stella (9:1) la cui identificazione è importante per la comprensione del testo. La si è messa in relazione con il testo di Apocalisse 12:9; Isaia 14 ed Ezechiele 28. Ma si preferisce Daniele 8:10,23; 12:3 e Apocalisse 1:20 dove le stelle sono messe in relazione con il popolo di Dio, rappresentano dei credenti, come i tre “angeli” (la cui parola deriva da messaggio e quindi rappresenta un messaggero) del capitolo 14 e quello del capitolo 18 che danno gli ultimi messaggi alla terra. La stella cadente, come le stelle delle 7 Chiese (1:21), può essere identificata con un angelo. «L’azione attribuita a questa stella mostra che l’autore vede in essa un essere intelligente, un angelo forse» (L. Bonnet, o.c., p. 388). «Un angelo che cade rappresenta alcuni aspetti della vita corporativa degli uomini che sono in aperta rivolta contro il progetto di Dio» (CAIRD G.B., The Revelation of S. John the Divine, ed. Harper & Row, New York 1966, p. 118). A proposito della terza tromba J. PAULIEN ha notato qualcosa di simile: «Se l’intorpidirsi delle acque è una immagine dell’apostasia, la stella che cade appare in relazione con questo tema. In questo caso simboleggerebbe l’agente che dà inizio alla spirituale caduta di un popolo che una volta era fedele a Dio» (Decoding Revelation’s Trumpets, Literary Allusions and Interpretations of Revelation 8:7-12, Andrews University Dissertation Series, vol. 11, Berrien Springs, MI, 1988, pp. 277,278). L’associazione della stella caduta con l’abisso è importante perché è da quella sorgente che questo potere ottiene le forze con le quali imporre la propria autorità. L’abisso è il luogo di desolazione dove le forze del male risiedono (Luca 8:31) e dove Satana verrà infine relegato (Apocalisse 20:3). Obiettivo dell’attacco. I soldati-locuste sono diretti dalla stella caduta contro una specifica parte dell’umanità. Non dovevano danneggiare l’erba, le piante e gli alberi. Avrebbero dovuto danneggiare quelli dell’umanità che non avevano il sigillo di Dio sulle loro fronti (versetto 4) cioè non hanno accettato l’evangelo o non lo conoscono La stella cadente in questa prospettiva è identificata con la guida spirituale della Chiesa dell’Impero di Roma. Le locuste come le forze da lui guidate. L’obiettivo contro il quale le forze vengono lanciate non sono cristiane. In quale occasione speciale il papato ha guidato una forza militare contro i non credenti? La risposta è evidente: la crociata. Durante l’era cristiana non c’è un esempio più vivido di questa attività delle crociate. Quando Urbano II divenne papa nel 1088 dovette affrontare il problema creato dallo scisma con la Chiesa Orientale nel 1054 e convocò un concilio al quale l’imperatore Alessio di Costantinopoli inviò dei rappresentanti per potere avere delle truppe per sostenerlo contro i turchi. Quando la profezia diventa storia
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Urbano, il 18 novembre 1095, inaugurò il Concilio a Clermont. Quella data è considerata nella storia come l’inizio delle crociate, ma il discorso più importante fu pronunciato alla fine del concilio il 27 novembre. Si hanno quattro resoconti di quanto è stato detto «con eloquenza gallica». Urbano ha dipinto con colori forti l’oppressione che subivano le chiese cristiane dell’Oriente. «C’era un compito per i cavalieri nobili della cristianità. Il successo dell’appello fu straordinario. Deux lo volta - Dio lo vuole, fu il grido che si sollevò dalla folla che ascoltava» (MAYER H.E., The Crusades, 2a ed., Oxford University, Oxford 1988, p. 9). Dopo il Concilio, Urbano rimase in Francia per predicare la crociata. Ovunque uomini d’arme e uomini di pace erano pronti per il viaggio a Gerusalemme. In tutta la terra di Francia la risposta fu superiore a quanto Urbano potesse prevedere. Le crociate sono una questione prettamente religiosa. Per i cavalieri questa era una guerra santa al servizio della Chiesa. «Una crociata era un pellegrinaggio, ma un pellegrinaggio armato a cui erano garantiti privilegi speciali della Chiesa» (H.E. Mayer, o.c., p. 14). «Soprattutto c’era un’offerta completamente nuova: la piena remissione di tutte le punizioni temporali dovute al peccato, specialmente quelle che si sarebbero sofferte in purgatorio. L’assoluzione data nel sacramento della penitenza toglieva la colpa. Prendere la croce comportava la cancellazione di tutte le punizioni anche prima di averle commesse. Non accettare questa offerta, o non prenderla seriamente significava essere matti» (H.E. Mayer, o.c., p. 36). Si era dovuto predisporre una teologia «della guerra santa e preparare una classe di cavalieri cristiani per essa» (Idem, p. 20). Queste armate di cavalieri si erano riunite a Costantinopoli nella primavera del 1097. La più grande armata venne dal Sud della Francia. Altri contingenti francesi erano presenti. Gli arabi, non avendo alcuna parola per esprimere i crociati, li chiamarono franchi perché essi erano i più numerosi. Gli Stati crociati furono considerati come Stati franchi nella Terra santa. I crociati lasciarono Costantinopoli nell’aprile del 1097. Il 21 maggio combatterono contro gli arabi a Nicea. Marciarono attraverso l’Anatolia ed arrivarono ad Antiochia in ottobre. L’assedio della città durò fino a giugno dell’anno successivo. La conquista del Libano cominciò a gennaio nel 1099. Combattendo, si aprirono la strada tra le città del Libano arrivando in maggio a Lidda, nella pianura costiera della Palestina. Poi proseguirono all’interno verso Gerusalemme. Il 6 giugno Betlemme fu occupata e i crociati fecero sventolare le loro bandiere nel luogo della natività. La marcia del giorno seguente a Gerusalemme fu breve e giunsero in vista della città. Erano stati per strada tre anni. La città di Gerusalemme ben fortificata resistette al primo assalto. I rifornimenti erano scarsi e il morale dei crociati era basso. Inoltre sapevano che i mussulmani attendevano una armata di rinforzo dall’Egitto. In quella situazione una visione venne al sacerdote Peter Desiderius. «Gli fu detto che se avessero digiunato e avessero fatto una processione attorno alle mura, la città sarebbe caduta nello loro mani entro nove giorni» (H.E. Mayer, o.c., p. 55). Il digiuno e la processione furono tenuti l’8 luglio, l’assalto finale incominciò il 13 luglio. All’inizio i crociati presero le porte, poi l’area del tempio. I difensori della città capirono che tutto era perduto, si ritirarono nella torre di Davide vicino alla porta di Giaffa. Il Governatore e la sua guardia furono i soli mussulmani che riuscirono a scappare. I crociati piombarono nella città compiendo un orribile bagno di sangue. I mussulmani inorridirono. Gerusalemme fu libera e i luoghi sacri conquistati alla cristianità. I rinforzi egiziani giunsero in agosto e furono sconfitti. I crociati si erano assicurati la Terra santa. 1104
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Sorvoliamo sulle altre crociate e arriviamo all’ultima. È sufficiente dire che in centocinquant’anni si ebbero nove crociate. Gli storici ne contano cinque e danno il nome di “crociate dei bambini” alle altre. L’intervallo di tempo più lungo tra una crociata e l’altra fu tra la prima e la seconda che avvenne tra il 1145-1149. Continuamente dall’Europa si dovette andare in Palestina a causa dalle alterne vicende in Terra santa. Dopo qualche tempo i mussulmani, sconfitti in precedenza, riconquistavano i loro territori ai crociati i quali, dall’Europa, dovevano organizzare un’altra spedizione per riprendere quanto perduto e rinforzare le posizioni acquisite. Il periodo della profezia è precisato per 5 mesi simbolici, 150 anni. La fine delle crociate contro il Medio Oriente mussulmano si ebbe con la nona che fu condotta personalmente da Luigi IX re di Francia. Fu una questione prettamente francese sia perché la gran parte dell’armata era sua sia perché le spese furono sostenute principalmente dalla Chiesa francese. Luigi si preparò per la sua crociata accumulando i rifornimenti nell’Isola di Cipro che, per due anni, divenne una base per i suoi attacchi in Egitto. S’imbarcò dalla Francia nell’agosto 1248, trascorse l’inverno a Cipro e poi navigò per l’Egitto nel maggio del 1249. Ancorò il 5 giugno al largo di Damietta che conquistò facilmente. Quindi commise un errore strategico accampandosi lì per cinque mesi. Quando marciò verso Sud in novembre s’impantanò in un ramo della foce del Nilo e quando sul fiume fu costruito un ponte, nel febbraio 1250, iniziò la battaglia di Mansourah. Dopo alcuni iniziali successi subì una grossa disfatta. Il re stesso fu catturato e venne riscattato con la restituzione della città di Damietta e un pesante pagamento. L’ultima crociata in Medio Oriente finì in una disastrosa sconfitta. Gli Stati crociati resistettero nel Medio Oriente per ancora circa cinquanta anni. Si mantennero in una stretta difesa diminuendo nel tempo i loro confini. Non arrivarono altri crociati in loro aiuto e la fine avvenne quando Mameluk conquistò la Siro-Palestina nel 12901291. La città di Acra fu l’ultimo principale bastione difeso dai crociati. Cadde il 18 maggio nel 1291. La popolazione «fu decimata», i domenicani, con l’inno Veni Creator Spiritus sulle labbra, furono uccisi nella loro chiesa. Solo i Templari nel castello della città resistettero per qualche tempo. Ma il 28 maggio la loro fortezza fu conquistata e abbattuta... Il resto della Palestina cedette senza combattere» (.E. Mayer, o.c, p. 20). Un confronto degli eventi significativi tra la prima e l’ultima crociata può essere schematizzato come segue:
Prima crociata 1. Urbano annuncia la crociata: novembre 1095 2. Preparazione: 1096-1097 3. Partenza per l’Asia Minore: aprile 1097 4. Arrivo in Terra santa: maggio 1099 5. Caduta di Gerusalemme: luglio 1099
Ultima crociata 1. Luigi prende la croce: dicembre 1244 2. Preparazione: 1245-1248 3. Partenza per Cipro: agosto 1248 4. Arrivo in Egitto: maggio 1249 5. Partenza da Mansourah: marzo 1250.
La prima crociata fu essenzialmente su terra, l’ultima, fu essenzialmente marittima. Se si osservano gli avvenimenti fondamentali, il modello è relativamente simile in natura e nei Quando la profezia diventa storia
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tempi, con la differenza che sono separate da un secolo e mezzo: i 5 mesi, i 150 anni della profezia. Descrizione dei soldati. Apocalisse 9:7-9, descrive in linguaggio figurativo l’aspetto dei soldati coinvolti in questo quadro. È difficile applicare tutti questi dettagli ai crociati perché potrebbero essere applicati anche ad altri tipi di eserciti. Tuttavia alcune caratteristiche spiccano in questo caso. Molta enfasi è riposta sui cavalli e la cavalleria. Tra i crociati ogni cavaliere era assistito da due scudieri e quattro, cinque fanti. Così l’enfasi sui cavalieri è molto appropriata perché i crociati e la cavalleria formano il nucleo centrale dell’esercito. Quattro delle frasi descrittive si riferiscono alle teste, criniere dei soldati. Si riferiscono alle corone, ai volti, ai capelli e ai denti di queste truppe. Mentre queste frasi non potrebbero essere appropriate per altri tipi di soldati, esse possono essere applicate opportunamente agli elmi dei cavalieri. Il riferimento agli usberghi di ferro (cotta di maglia di ferro indossata dai cavalieri) che avevano sul petto è un termine specifico dell’armatura ed è in contrasto con quelli della VI tromba (9:17) che sono colorati e non necessariamente fatti di metallo. Un altro contrasto importante con la VI tromba è la mancanza di fuoco, fumo e zolfo, che fa pensare alla polvere da sparo. Durante le crociate questo tipo di armi non erano ancora state inventate. Si deve riconoscere che il significato di alcune frasi rimane oscuro anche se si inquadra nella visione generale della cavalleria.
Sesta tromba: le guerre napoleoniche
Come anticamente l’importanza centrale del fiume Eufrate era data dalla città di Babilonia che attraversava, così dobbiamo ritenere che in Apocalisse, dove c’è la Babilonia simbolica, spirituale, che inebria e impera sulla terra, il suo fiume portatore di acqua, raffiguri i popoli, le nazioni che la sostengono e le danno forza. Il testo di 9:15 viene così tradotto: «Preparati per quell’ora, per quel giorno e mese e anno, per uccidere la terza parte degli uomini» da Luzzi; «per quell’ora, e giorno e mese ed anno» G. Diodati; La Parola del Signore traduce: «Per quell’ora, quel giorno, quel mese, quell’anno»; La Sacra Bibbia, ed. Fiorentina e Salani, ha una traduzione letterale: «Per l’ora e giorno e il mese e l’anno»; debba avere un significato diverso da quello indicante un periodo profetico. Lo scandire «per l’ora e giorno e mese e anno» più che esprimere “durata” di tempo indica il “momento” per il quale gli angeli sono stati preparati. Il contesto immediato non lo indica e non dice cosa dovrà succedere. Il contesto più ampio può dare la risposta. Nei capitoli 11, 12, 13 abbiamo i periodi profetici espressi cinque volte con diverse formule, ma che indicano lo stesso spazio di tempo: - 1260 giorni 11:3; 12:6; = 42 mesi = 3 anni e mezzo; - 42 mesi 11:2; 13:5; = 1260 giorni = 3 anni e mezzo; - 3 tempi e mezzo, cioè 3 anni e mezzo 12:14; = 42 mesi = 1260 giorni. Si ritiene che queste espressioni corrispondano alle parole “giorno”, “mese” e “anno” di 9:15. Nel capitolo 11 c’è un altro periodo di tempo più breve: 3 giorni e mezzo (versetto 9) indicando il tempo, 3 anni e mezzo, nel quale i due testimoni rimarranno uccisi sulla piazza della città. Questi testimoni, rappresentati dai fedeli, sono stati perseguitati per 3 anni e mezzo profetici, 42 mesi, 1260 giorni/anni e alla fine di quel tempo subiranno per un breve periodo la soppressione più violenta e completa: saranno uccisi (versetto 7). In questo tempo della 1106
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Rivoluzione francese (vedere il nostro Capitolo IX) ci sarà il rigetto della Parola di Dio da parte di un Governo ateo. Per la fine del XVIII secolo, nel tempo della Rivoluzione Francese Giovanni scrive: «E in quell’ora, si fece un gran terremoto, e la decima parte della città cadde» (versetto 13). Crediamo che questo testo completi gli elementi di Apocalisse 9:15. Il tempo nel quale sarebbe venuto un gran terremo e la decima parte della città sarebbe caduta, è specificato dalla parola “ora”. La VI tromba suonerà in un momento particolare della storia. Se poniamo in relazione i due quadri di Apocalisse 9:15, con quello che presenta i periodi profetici più lunghi di Apocalisse 11-13 abbiamo il seguente schema:
Apocalisse 11-13
Scioglimento dei quattro angeli
Apocalisse 11:13 «E in quell’ora...» Apocalisse 11:3; 12:6 «1260 giorni» Apocalisse 11:2; 13:5 «42 mesi» Apocalisse 12:14 «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo»
Apocalisse 9:15 «quell’ora» «e giorno» «e mese» «e anno»
Si può vedere che tutti i periodi profetici convergono verso un punto finale: «in quell’ora». Questo punto finale è identificato dalle unità di tempo (ora, giorno, mese e anno) che si trovano in Apocalisse 9:15. Queste profezie terminano con l’unità di tempo della VI tromba. Ciò permette di pensare che la profezia della VI tromba sia associata al compimento delle profezie di Apocalisse 11-13. La data storica della conclusione dello stesso periodo profetico, espresso con termini diversi (giorni, mesi e tempi), dovrebbe fornire l’inizio della VI tromba. La fine della profezia corrisponde allo scioglimento degli angeli, messaggeri, distruttori. Morte di un terzo dell’umanità. Cosa accade nel 1798 che realizzò la profezia di Apocalisse 9:15? Non fu la Rivoluzione francese, la quale avvenne prima e fu ristretta alla Francia. Solo un paio di classi sociali furono colpite e il numero di morti durante la Rivoluzione fu piccolo in confronto a quelli che seguirono. Durante i quindici anni successivi si ebbero le guerre napoleoniche che bagnarono l’Europa di sangue come non era mai stato fatto prima. Poiché Napoleone fu la figura principale in queste guerre, la storia può essere raccontata ampiamente attraverso lo svolgersi della sua carriera. Ascesa al potere: 1795-1798. Fu nominato comandante dell’armata francese nel 1795 a seguito di una soppressione, comandata da lui, di una rivolta monarchica. Nel 1796 fu nominato comandante dell’armata in Italia cominciando una serie di grandi guerre. Le vittorie in Italia e sull’Austria culminarono col trattato di Campoformio a danno dell’Austria nel 1797. Non rimase in Italia per conquistare gli Stati Pontifici e venne richiamato in Francia dal Direttorio per valutare la forza navale inglese al Nord della Francia. Napoleone la valutò nel febbraio 1798, nello stesso mese in cui Pio VI veniva fatto prigioniero dalle truppe francesi giunte a Roma. Non ritenne ancora opportuno invadere la Bretagna. Campagna del Medio Oriente: 1798-1799. Napoleone decise di colpire l’economia inglese interrompendole le rotte commerciali verso l’Oriente. Per questo motivo conquistò l’Egitto. Ebbe successo in terra, ma perse la flotta nella battaglia del Nilo. Su terra si estese su Palestina e Libano e, dopo la battaglia di Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 11
Acre (Acco) contro gli inglesi, rientrò in Francia superando il blocco navale nemico nella primavera del 1799. Origine profetica e destinazione. Da Roma Napoleone organizzava la sua campagna in Europa e nel Medio Oriente. Il simbolo dei quattro angeli dovrebbe essere messo in relazione con i quattro punti cardinali, come in Apocalisse 7:1. Guardandoli in questa prospettiva si ha la visone che la loro opera di morte si compie a 360 gradi. Ciò avvenne con le guerre napoleoniche che si combatterono al Nord dalla Gran Bretagna alla Russia; al Sud in Italia; in Egitto, all’Est nel Vicino Oriente e a Ovest con la battaglia navale dei Caraibi. Prima guerra Napoleonica 1800-1814. Attraversando le Alpi, nel tardo inverno del 1800, colse di sorpresa l’esercito austriaco e lo sconfisse in due battaglie, costringendolo a firmare un trattato nel 1801. Stancati dalla guerra, gli inglesi firmarono un trattato nel 1802. Napoleone venne nominato console a vita e la Francia controllava i mercati d’Europa e la linea costiera da Genova a Antwerp. Su mare Napoleone puntò ad estendere l’influenza francese dall’emisfero occidentale all’Oceano Indiano. Per consolidare queste conquiste fu proclamato l’Impero Francese e Napoleone divenne il suo imperatore nel 1804. L’Inghilterra, non potendo accettare la situazione, dichiarò guerra alla Francia. Per formare una flotta abbastanza grande per invadere l’Inghilterra, Napoleone creò una operazione congiunta con la Spagna, ma il piano fu sventato dalla flotta inglese guidata da Nelson a Trafalgar nel 1805. Napoleone attaccò nuovamente l’Austria e entrò a Vienna nel novembre. Nella sua più grande vittoria sconfisse gli austriaci e le armate austriache-russe a Austerlitz nel dicembre del 1805. Con un trattato, gli austriaci cedettero i loro possedimenti di Venezia, Dalmazia e di Germania alla Francia. Napoleone proclamò suo fratello re di Napoli e la confederazione del Reno per controllare la Germania meridionale. La Prussia entrò in guerra nel 1806, ma subì pesantissime sconfitte. I Russi attaccarono, ma dopo qualche successo iniziale furono sconfitti. Alessandro di Russia firmò un trattato con Napoleone cedendo la maggior parte della Polonia e la Prussia alla Francia. Per rinforzare il blocco dei porti europei contro l’Inghilterra, Napoleone invase e conquistò il Portogallo. Controllò anche per un certo tempo la Spagna divisa, ma in seguito queste due nazioni si unirono e si ribellarono. Napoleone era sul punto di sedare questa rivolta nel 1809 quando un attacco in Germania da parte degli austriaci lo costrinse ad andare ad Est. Sconfisse gli austriaci, ma la Spagna e il Portogallo si erano liberati dalla supremazia francese. Nel 1810 la fortuna di Napoleone era allo zenit. Il suo impero era nella maggiore estensione territoriale e si considerava l’erede politico di Carlo Magno. Sposò una principessa austriaca e la nascita del figlio, re di Roma, sembrava assicurare il futuro dell’impero. A causa della intransigenza crescente dello zar russo, decise di invadere la Russia nel 1812. La battaglia più grande fu combattuta nel mese di settembre a Borodino. Durò una settimana, fu sanguinosa e selvaggia, ma non decisiva. Una settimana dopo Napoleone entrò a Mosca che i russi avevano abbandonato. Lo zar si rifiutava di negoziare con Napoleone che si ritirò perdendo la maggior parte della sua armata. Incoraggiati per la ritirata napoleonica dalla Russia, i tedeschi, gli italiani, i prussiani e gli austriaci si ribellarono contro la Francia. I francesi avevano anche perso il loro entusiasmo per l’ideale imperiale di conquista. La più grande sconfitta di Napoleone avvenne nell’ottobre 1813 a Lipsia, conosciuta come la “Battaglia delle Nazioni”. Gli alleati ridussero l’armata francese allo sbando. Una serie di sconfitte su tutti i fronti costrinsero l’imperatore ad abdicare nell’aprile del 1814 e ad essere esiliato nell’isola d’Elba. 1108
Quando la profezia diventa storia
LETTERA ALLE SETTE CHIESE - L’ADORAZIONE A DIO … - I SETTE SIGILLI - LE SETTE TROMBE
Seconda guerra napoleonica: 1815. Fra il maggio 1814 e il marzo 1815 non si raggiunse la stabilità in Francia. Napoleone rientrato in patria riunì le truppe, marciò su Parigi e, dopo aver ripreso il potere, non come imperatore ma come personificazione dello spirito della Rivoluzione francese, incapace di sistemare gli affari politici della capitale, riunì l’esercito, salì verso il Belgio ad incontrare gli alleati, sconfisse i prussiani a Ligny il 16 giugno 1815; due giorni dopo si scontrò con gli inglesi a Watterloo in una battaglia selvaggia nella quale si intravedeva la vittoria, quando i rinforzi prussiani arrivarono e lo sconfissero. Napoleone abdicò e fu esiliato a Sant’Elena nell’Atlantico dove morì nel 1821 a 42 anni. Armata profetica: numeri. Il testo biblico dice che l’armata era di 200 milioni. Riteniamo che questa cifra sia da considerarsi come numero simbolico, come viene condiviso da numerosi commentatori, ed esprima quindi un valore grandissimo. Dare significato letterale all’espressione richiederebbe mettere tutta una popolazione, anzi più nazioni di uno stato moderno impegnate nella guerra. Questo numero si contrappone alle truppe della V tromba che non vengono numerate. L’esercito francese sotto Napoleone era molto più numeroso di quello delle crociate nel Medioevo. “La Grande Armata” con la quale Napoleone invase la Russia contava 453.000 soldati, probabilmente la più grande mai riunita fino a quel tempo. Per mostrare l’estensione del massacro subito sotto questa tromba bisogna notare che ritornò dalla Russia con solo 10.000 uomini. 9:17. Uniformi. Le uniformi avevano i colori del fuoco, rosso, zaffiro, blu, oro, giallo. Va notato il contrasto tra la natura dell’armatura della V e la VI tromba. Quella della V tromba era descritta nel contenuto e nella forma come metallica, mentre qui non si parla di metallo. L’enfasi è messa sull’apparenza del colore. Si può pensare che il testo presenti l’uniforme dell’armata francese di quel periodo. Dobbiamo però anche convenire che questi colori potrebbero essere applicati ad altre armate in altri tempi. 9:18. Armi. Presentano del fuoco e del fumo che escono dalla bocca delle code dei cavalli e della cavalleria. Sono un richiamo alle armi da fuoco della polvere da sparo.
Settima tromba: futura
«La settima tromba, lo vuole l’analogia, ha da essere pure essa una guerra, ma una guerra nascosta ancora sotto il velo che ci occulta l’avvenire. Il Gaussen pensava a una invasione russa. Altri pronosticano una guerra universale. Comunque sia, quest’ultima catastrofe verrà salutata con allegrezza in cielo, perché foriera del glorioso ritorno di Cristo» (A.F. Vaucher, o.c., p. 5). «Arriva il giorno decisivo l’ultimo giorno così spesso annunciato dai profeti antichi, il giorno di Cristo, come lo chiama S. Paolo, l’ora dell’avvento del Figlio dell’uomo o della sua parusia (parola greca che significa presenza o arrivo). Per lungo tempo Gesù è stato in cammino: eccolo infine. La settima tromba annuncia il suo arrivo» (PERROT Henri de, Le voyant de Patmos, Lausanne 1902, p. 132). «Siamo giunti a quei giorni decisivi del compimento del piano divino riguardo all’umanità» (E. Bosio, o.c., p. 83. Vedere 1Tessalonicesi 4:13-18). Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 11
«Ancora un po’ di pazienza, e verrà il momento in cui potremo unire le nostre voci a quelle dei celesti abitanti, per ringraziare l’Iddio onnipotente che possederà lo scettro e regnerà. All’ira delle nazioni succederà quella di Dio. All’era della violenza seguirà quella della pace, quando Iddio avrà instaurato la giustizia anche in questa parte dell’universo dove ora imperversa il peccato» (A.F. Vaucher, o.c., p. 5).
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Quando la profezia diventa storia
LETTERA ALLE SETTE CHIESE - L’ADORAZIONE A DIO … - I SETTE SIGILLI - LE SETTE TROMBE
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CONFRONTO TRA LE SETTE TROMBE E LE SETTE ULTIME PIAGHE Apocalisse VIII,IX,XVI
I tromba TERRA (7a piaga d’Egitto)
I piaga TERRA (6a piaga d’Egitto)
Grandine con fuoco e sangue, 1/3 della terra e degli alberi vengono bruciati con l’erba verde.
L’ulcera colpisce gli uomini che hanno il marchio della bestia.
II tromba
II piaga
MARE
MARE (acque salate)
Montagna ardente 1/3 del mare diventa sangue 1/3 dei pesci e delle navi perisce.
L’acqua del mare diventa sangue. Ciò che vive nei mari muore.
III tromba FIUMI E SORGENTI DELLE ACQUE
III piaga FIUMI E SORGENTI DELLE ACQUE
Stella come una torcia.
(1a piaga d’Egitto) Giudizio di Dio (acque dolci) l’acqua diventa sangue.
1/3 delle acque divenne assenzio. Molti uomini muoiono.
IV tromba SOLE - LUNA – STELLE
SOLE
(9a piaga d’Egitto) 1/3 dei corpi celesti oscurati
Uomini bruciati dal fuoco per il gran calore come in Egitto «... non si pentirono...».
V tromba (primo guaio) apre il POZZO DELL’ABISSO dal quale esce fumo e oscurità. Gli uomini che non hanno il sigillo di Dio sono tormentati dagli scorpioni per cinque mesi. Il loro re si chiama Abaddon/Appolion (greco: distruzione /distruttore, suo segno: le cavallette). (8a piaga d’Egitto) Stella,
capo
dell’abisso
VI tromba (secondo guaio) Quattro angeli sul fiume EUFRATE vengono sciolti e versano le loro piaghe: fuoco, fumo, sofferenza, uccidono 1/3 degli uomini. «... non si pentirono...».
VII tromba (terzo guaio)
IV piaga
V piaga Sul TRONO della BESTIA Suo regno coperto di tenebre. Gli uomini hanno grandi dolori a causa delle loro ulcere.
«... Non si pentirono...».
VI piaga L’EUFRATE si secca e prepara la strada ai re che vengono dall’Oriente (dal sol levante) per il combattimento finale: Harmaghedon.
VII piaga
Voce nel CIELO Il Tempio è aperto «Il tempo è venuto» Dio distrugge i distruttori
Nell’ARIA Voce nel Tempio celeste «È compiuto» Babilonia divisa in tre parti
LAMPI/TUONI/TERREMOTO/GRANDINE
LAMPI/TUONI/TERREMOTO/GRANDINE
Quando la profezia diventa storia
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Appendice n. 12 IL PRINCIPIO GIORNO-ANNO Questa Appendice è a complemento di quanto abbiamo già scritto nei nostri Capitoli II, pp. 66-74; V, pp. 252-255; VIII, pp. 326-332; IX, pp. 349-355; X, pp. 366,380-392; XI, pp. 440-449; XIII, pp. 525-532 e nelle Appendice n. 4, 5 e 6. Il principio biblico giorno-anno nel nostro tempo non è condiviso dai teologi, non perché il testo non sia evidente, ma principalmente per i due modi con i quali si considera la profezia. a) Primo, essa è generalmente vista o come un annuncio post-eventum, e quindi quanto dice è già stato realizzato nel passato, prima anche di quando il profeta pretende di vaticinare, o b) secondo, essa è qualcosa che riguarda il lontano futuro, dove tutto sarà possibile. Tra il passato, il tempo dei profeti e il nostro presente non ci sono profezie da realizzare e quindi l’idea di annunci, di avvenimenti che si compiono nella storia non c’è. Pur tuttavia il principio giorno-anno riteniamo che sia chiaramente espresso nel testo biblico. La Bibbia presenta in alcune occasioni il computo del tempo dandogli come esempio di misura realtà diverse. Il faraone egiziano, di stirpe Hyksos, fa chiamare Giuseppe per farsi spiegare il sogno che ha fatto (Genesi 41:25-30): sette vacche magre che divorano sette vacche grasse senza migliorare il loro aspetto e sette spighe sottili, arse dal vento orientale, che inghiottono sette spighe grosse e piene. Il figlio di Giacobbe annuncia che l’Egitto avrà sette anni di grande abbondanza seguiti da sette anni di terribile carestia. La cosa è certa, e per questo la rivelazione è stata anche data due volte. Giuseppe sarà incaricato di organizzare quanto è utile fare per impedire che l’Egitto subisca la lunga carestia di sette anni. La storia ci dirà che dopo la dominazione Hyksos i faraoni furono padroni di tutta la terra d’Egitto. Nel sogno 7 mucche e 7 spighe volevano significare 7 anni di abbondanza e 7 anni di carestia. Già Giuseppe aveva spiegato al coppiere e al panettiere del Faraone che i tre tralci e i tre canestri che avevano sognato, significavano tre giorni entro i quali l’uno sarebbe ritornato al servizio del re e l’altro sarebbe stato ucciso (Genesi 40). Diverse volte nel linguaggio biblico la parola “giorno” è sinonimo di “anno”. Il contesto lo dimostra all’evidenza: Genesi 25:8; 47:9; Esodo 20:12; Deuteronomio 11:21; Giobbe 8:9; 14:1, 5; 17:1;21:13; Salmo 31:15; 34:12; 37:18; Proverbi 3:2; Ecclesiaste 12:3; Isaia 65:22; Michea 5:1. I libri di Daniele e dell’Apocalisse presentano i seguenti periodi profetici in ordine di grandezza: - 2300 sere e mattine: Daniele 8:14; - 1335 giorni: Daniele 12:12; - 1290 giorni: Daniele 12:11; - 1260 giorni: Apocalisse 11:3; 12:6; - 42 mesi: Apocalisse 11:2; 13:5; - un tempo, dei tempi e la metà di un tempo = tre tempi e mezzo = tre anni e mezzo: Daniele 7:25; 12:7; Apocalisse 12:14; - 70 settimane: Daniele 9:24-27;
APPENDICE N. 12
- una espressione non chiara: essa può avere un significato di tempo (quindi profetico) o indicante un momento preciso: «per quell’ora, per quel giorno e mese e anno»: Apocalisse 9:15; - 5 mesi: Apocalisse 9:5; - 10 giorni: Apocalisse 2:10; - 3 giorni e mezzo: Apocalisse 11:9. Si è pensato di vedere anche una forma profetica temporale nelle espressioni: - in uno stesso giorno: Apocalisse 18:8; - un’ora: Apocalisse 17:12; - mezz’ora: Apocalisse 8:1. Tutte queste espressioni hanno un valore simbolico. Il giorno è visto come elemento di misura che indica un tempo maggiore. Il testo biblico obbliga a considerare la durata di ciò che viene descritto per un tempo superiore a quello letteralmente indicato. Ad esempio, il periodo più breve di 3 giorni e mezzo è proposto in un contesto di rivoluzione, di lotte e di uccisione. Quando si specifica che i corpi dei due testimoni uccisi rimangono sulla piazza della città per tre giorni e mezzo, mentre in tempo di guerra e di rivoluzioni a volte i cadaveri rimangono sul campo per un periodo più lungo, riteniamo che intenzionalmente il testo biblico voglia insegnare qualcosa di particolare. Dire alla Chiesa di Smirne che dovrà subire una persecuzione di 10 giorni, è una rivelazione che ci rende perplessi se i giorni devono essere intesi letteralmente, perché le persecuzioni e gli imprigionamenti che la Chiesa ha subito nella storia hanno avuto durate molto più lunghe. Per questo motivo è logico quindi credere che anche qui i 10 giorni indichino 10 anni. In questo senso la rivelazione ha un valore. I testi dove vengono menzionati periodi profetici di 1260 giorni, 42 mesi, 3 anni e mezzo, 1290 e 1335 giorni e 2300 sere e mattine, come abbiamo più volte detto nei capitoli che li riguardano, presentano una profezia che giunge in un tempo preciso della storia, per tale motivo la durata del tempo presentato non riguarda solamente alcune stagioni che si esauriscono in pochi anni, ma il tempo della fine. È normale che i Padri della Chiesa non abbiano interpretato questi periodi profetici con il principio giorno-anno, e quindi nella forma letterale diceva ELLIOTT E.B., (Horae Apocalypticae, vol. III, 3a ed., London 1847, p. 233), perché, credendo all’insegnamento biblico del ritorno di Gesù e vedendo questa realizzazione, la parusia, in un tempo prossimo, era fuori dalla loro aspettativa che questo avvenimento, con il quale si chiudeva la storia, venisse proiettato nei secoli futuri. La dimostrazione della correttezza di questo ragionamento ha tre argomenti di supporto, uno nel mondo cristiano, l’altro in quello ebraico e il terzo nel mondo pagano: a) Un certo numero di commentatori cristiani, secondo E.B. Elliott (o.c., pp.233-240) hanno considerato come degli anni i tre giorni e mezzo di Apocalisse 11:9. - Nel IV secolo. Questo modo di spiegare inizia con Ticonio, scrittore donatista (Omelie III, in MIGNE, P.L., XXXV, col. 2433. Disgraziatamente le omelie di questo esegeta hanno subíto delle interpolazioni da parte di un autore cattolico sconosciuto. Su questo passo di Ticonio vedere Charles MAITLAND, The Apostles’ School of prophetic Interpretation, London 1849, pp. 247,248; L.R. CONRADI, The Impire Forse, p. 82). È seguito da Vittorino di Pattau. 1112
Quando la profezia diventa storia
IL PRINCIPIO GIORNO-ANNO
- V secolo. Prospero di Aquitania (in De Promissionibus et praedictionibus Dei, 4a parte, capitolo 16, MIGNE, P.L., LI, col. 849, opera di autenticità dubbia secondo Pietro de LABRIOLLE, Histoire de la Littérature latine chrétienne, Paris 1920, p. 577, nota 3). - VI secolo. Primasio (Commentario sull’Apocalisse, MIGNE, P.L., LXVIII, col. 868). - VIII secolo. Ambrogio (Biblioteca Maxima Veterum Patrum, XIII, Paris 1677, p. 526); Berengardo (Esposizione delle sette visioni dell’Apocalisse, MIGNE, P.L., XVIII, col. 871). - IX secolo. Haymon d’Halberstadt (MIGNE, P.L., CXVII, col. 1074; questo autore scriveva verso l’843, secondo P. Allo). - XI-XII secolo. Bruno d’Asti (MIGNE, P.L., CLXV, col. 664). - XIII secolo. Alberto il Grande (Enarrationes in Apocalipse, Opera omnia, Paris 1899, XXXVIII, pp. 643,644; opera di autore dubbio, secondo PALEMON GLORIEUX, Répertoire des Maîtres de Théologie de Paris au XIII siècle, I, 1933, p. 66; attribuito a Nicolas de Gorran, domenicano morto nel 1295, da C. SPICQ, Esquisse d’une histoire de l’exégèse latine au moyen âge, Paris 1944, pp. 294,327; questo autore, chiunque sia, propende per il senso letterale pur ammettendo l’interpretazione simbolica). - XIV secolo. Nicola di Lione (Postillae Perpetuae, Rome 1471-72); (vedere VAUCHER Alfred Félix, Lacunziana, n. I, Collonges-sous-Salève 1949, p. 45). - «Nei tempi moderni, qualche commentatore conserva il senso letterale dei tre giorni e mezzo (come il gesuita Corneille LAPIERRE e il protestante Joseph Augustus SEISS), ma molti interpreti cattolici (come RIBERA e CALMET) e protestanti (Joseph MEAD o MEDE, P. JURIEU, T. CRINSOZ, Th. NEWTON, P. de LAINAY, G. CROLY, W. DIGBY, E.B. ELLIOTT, L. GAUSSEN, A. HENRIQUET, ecc.) adottano il senso simbolico pur differendo nell’applicazione cronologica» (A.F. Vaucher, Idem). Anche a proposito dei 10 giorni di Apocalisse 2:10 si dà una spiegazione di 10 anni (FROOM LeRoy E., The Prophetic Faith of Our Father, vol. I, Washington 1950, p. 700). Nei primi secoli interpretare i tre giorni e mezzo e i 10 con valore di anni non spostava di secoli la venuta del Signore. Gli altri periodi sì. Anche le 70 settimane erano viste come una profezia che si realizzava con la prima venuta di Gesù e quindi in forma chiara, anche se non esplicita, presentava un rapporto giornoanno. «La regola secondo la quale un giorno profetico equivaleva a un anno letterale era già conosciuta da Cipriano (200-v.258) scrittore latino cristiano, se crediamo a Pontius, suo biografo contemporaneo (Vita Cipriano, 12, 13). “Il buon biografo racconta una singolare visione che ebbe il suo vescovo, il giorno stesso dell’arrivo a Curabis. A Cipriano apparve un giovane di una statura straordinaria, che lo condusse al tribunale del proconsole. Il magistrato guardò l’accusato poi, senza dirgli nulla, si mise a redigere il suo arresto. Il giovane che si teneva in piedi dietro al giudice, e che indifferente leggeva sulle tavolette, fece comprendere al pervenuto, con gesti, che si firmava la sua condanna di morte. Cipriano domandò con insistenza una proroga di un giorno, al fine di poter regolare i suoi affari. Il magistrato, sempre in silenzio, aggiunse qualche cosa alle sue tavolette; e, mediante nuovi segni del suo indiscreto e misterioso amico, il vescovo capì che la proroga era stata accordata. Tale è lo strano racconto che Cipriano fece ai suoi compagni e nel quale si riconobbe l’annuncio del martirio, ma d’un martirio ancora lontano. Pontius si è impegnato a dimostrare che la visione si è realizzata punto per punto: poiché la parola Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 12
giorno indicava qui un anno, e il vescovo di Cartagine è morto proprio un anno dopo questo avvenimento”. (Paul MONCEAUX, Histoire littéraire de l’Afrique chrétienne, t. II, p. 233). Concludiamo con E.B. Elliott (o.c., p. 283): “Dal tempo di Cipriano, verso la metà del III secolo, fino al tempo di Gioachino e dei Valdesi, nel XIII secolo, il principio d’interpretazione secondo il quale un giorno ha valore di un anno è stato riconosciuto nella Chiesa da un susseguirsi di commentatori e l’applicazione è stata fatta, non senza riflessione, e con prove a sostegno, sia all’uno che all’altro dei periodi dei giorni profetici, compreso anche il più corto di quelli che si riferisce all’anticristo; ma, non ancora in quell’epoca, a quello dei 1260 giorni che segnano la durata dell’anticristo”.» (F.A. Vaucher, o.c., pp. 45,46). b) Il mondo ebraico che non aveva questa problematica del ritorno prossimo di Cristo Gesù considerava i periodi danielici in anni, come può essere documentato dagli scritti di Rabbi Akiba alla fine del I secolo. Vedere mota n. 53, p. 73. c) Anche il mondo latino e greco aveva questa forma di misurazione del tempo (vedere p. 74, nota n. 56) Come abbiamo già avuto modo di rilevare, la Bibbia non usa mai l’espressione “giorno” presentando una durata di tempo superiore a due mesi. Solo una volta riporta 150 giorni. Mentre la parola “mese” solo una volta raggiunge il tempo di un anno. Per giorni abbiamo: 30 giorni: Numeri 20:29; Deuteronomio 34:8; 33 giorni: Levitico 12:4; 40 giorni: Genesi 7:14; 50:3; Esodo 24:18; Numeri 13:25; 14:34; Deuteronomio 9:18, 25; 1 Samuele 17:16; 1Re 19:8 Matteo 4:2; 50 giorni: Levitico 23:16. In Genesi 7:24 abbiamo l’unico testo che presenta un periodo che potrebbe essere calcolato, per la sua durata, con l’espressione 5 mesi, ma dice 150 giorni. Questo modo di esprimere la durata della permanenza delle acque del diluvio sulla terra dà l’idea di un conteggio che giorno dopo giorno veniva registrato, simile a quello che i militari di leva hanno per contare le albe che li separano dal congedo. Per mesi abbiamo: 2 mesi: Genesi 11:39; 3 mesi: Luca 1:56; Atti 7:20; 19:8; 20:3; 28:11; 4 mesi: Giovanni 4:35; 5 mesi: Luca 1:24; 7 mesi: 1 Samuele 1:6; 12 mesi: Daniele 4:29. Quando lo scrittore sacro presenta un tempo che supera l’anno, utilizza la parola anno come abbiamo in due testi Atti 18:11 (1 anno e 6 mesi); Giacomo 5:17 (3 anni e 6 mesi, vedere anche Luca 4:25); 1 Samuele 27:7 (7 anni e 6 mesi). Qui la parola anno è diversa da quella di Daniele, che utilizza l’espressione “tempo”. Come abbiamo già scritto (p. 253), in Daniele la parola indeterminata “tempo” ha valore di anno e ciò è dimostrato dal fatto che i 3 tempi e mezzo corrispondono a 42 mesi, a 1260 giorni, cioè a 3 anni e mezzo. Crediamo che si possa affermare che intenzionalmente il profeta dell’esilio utilizzi la parola tempo per indicare un anno profetico anziché la parola anno che potrebbe fare credere al suo valore letterale. Quindi i passi biblici che indicano periodi di 1260, 1290, 1335 giorni, 42 mesi, 2300 sere e mattine, presentando un tempo che supera l’anno, crediamo che intenzionalmente vogliano indicare un tempo simbolico la cui chiave di lettura è offerta dal testo biblico nel suo contesto immediato, che descrive cose, avvenimenti che si protraggono e portano sempre in un tempo lontano. La principale chiave di lettura del principio giorno-anno è data da un testo di Numeri (14:34) e dal profeta Ezechiele (4:6) il quale era un contemporaneo di Daniele ed entrambi si possono essere influenzati a vicenda. 1114
Quando la profezia diventa storia
IL PRINCIPIO GIORNO-ANNO
Riassumendo molto concisamente la documentazione che la storia ci offre sul come gli studiosi del testo biblico hanno applicato il principio giorno-anno, possiamo riportare quanto segue. Questo modo di calcolare il tempo profetico è stato successivamente applicato da alcuni rabbini alle settanta settimane di Daniele 9:24-27. Come abbiamo riportato nel nostro secondo capitolo, nella letteratura ebraica il termine settimana aveva valore di anni. È nel primo secolo della nostra era che rabbi Akiba ben Joseph (circa 50-132) lo riconosce come principio. Giuseppe Flavio, forse riportando un pensiero del tempo, presentava il corno di Daniele 8 come Antioco IV e quindi ci sembra naturale che, sia prima che dopo di lui, gli ebrei non potessero pensare che le 2300 sere e mattine avessero una valenza millenaria. Il rabbino Nahazendi (IX secolo) per primo calcolò le 2300 sere e mattine di Daniele 8:14, dal tempo della distruzione di Shiloh, 942 a.C., al 1358 d.C., anno in cui sarebbe dovuto apparire il Messia. Calcolò poi i 1290 giorni di Daniele 12:11 come iniziati dalla distruzione del tempio di Gerusalemme nel 70 d.C. giungendo alla stessa data del 1358. Nahazendi fu seguito da Sahadia ben Joseph e nel X secolo da Salomon ben Jeroham il quale ha conteggiato i 1335 giorni di Daniele 12:12 facendoli iniziare da Alessandro Magno per arrivare nel 968 d.C. come data in cui si sarebbe realizzata la redenzione d’Israele. Anche il famoso rabbino Rashi (1040-1105) sostenne questa tesi stabilendo nel 1352 lo scadere dei 2300 giorni-anni, data in cui il Messia sarebbe apparso. Abraham ben Hiyya Hanasi (circa 1065-1136) sosteneva che i periodi profetici di Daniele scadevano in date diverse nel XV secolo. In seguito furono numerosi i rabbini che applicarono questo principio. Fu l’abate calabrese cistercense di Corace, Gioachino da Fiore (circa 1130-1203), il primo cristiano ad applicare questo principio ai periodi di Daniele e dell’Apocalisse. Senza fissare esplicitamente la data, orientava però a pensare che nel 1260 si sarebbe realizzata l’era dello Spirito. Quando i suoi seguaci videro che quel tempo trascorse senza nessun cambiamento apportato dalla nuova era, molti di loro cessarono di credere ai suoi insegnamenti. Però gli scritti di Gioachino da Fiore inaugurarono una nuova era ponendo il principio giorno-anno come chiave di comprensione dei periodi profetici. Numerosi protestanti si attennero a questo principio fino al secolo scorso. Nel nostro tempo il principio giorno-anno è rigettato a causa dell’errato uso che se ne è fatto. I sostenitori di questa regola di ermeneutica hanno commesso diversi sbagli nell’indicare la data di inizio e d’arrivo di questi periodi. Dobbiamo però anche dire che gli altri principi ermeneutici non sempre sono stati rispettati nella spiegazione del testo biblico, non per questo però sono stati annullati. Sarebbe un errore ancora più grave rigettare una regola perché la sua applicazione si è inserita in una errata comprensione del contesto. Una regola è sempre valida anche se coloro che la utilizzano la usano in modo errato. Un esame corretto del testo biblico ci offre gli elementi per stabilire il corretto principio di ermeneutica: un giorno nel tempo profetico corrisponde nel tempo della storia ad un anno. Lo studio del testo biblico ci permette di affermare che il principio giorno-anno è presente nella Sacra Scrittura in una forma inequivocabile. Numeri 14:34 è un brano storico. Presenta i 40 giorni che le spie d’Israele hanno trascorso in Palestina, nel visitare la terra promessa. Questi giorni sono presi a simbolo per indicare altrettanti anni durante i quali il popolo avrebbe dovuto soggiornare nel deserto del Sinai come risultato della mancanza di fede nell’accettare la protezione dell’Eterno. Ezechiele 4:6 presenta una parabola espressa mediante l’azione. Il profeta riproduce nei suoi gesti il tempo del passato. 390 anni per la casa di Israele e 40 anni per la casa di Giuda, Quando la profezia diventa storia
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430 anni - che ricordano la durata della schiavitù d’Egitto, Esodo 12:40 - e sembrano riportarsi in grosso alla durata della monarchia ebraica e allo stato di peccato che si è progressivamente sviluppato in seno alla società di quell’epoca, nei due regni. I giorni simbolici durante i quali il profeta doveva portare questi peccati (390 giorni doveva stare adagiato sul fianco sinistro, 40 giorni sul fianco destro) corrispondevano al tempo preso da Dio per giudicare il suo popolo e pronunciare la sentenza finale, sul tempio di Gerusalemme, secondo la scena descritta in Ezechiele 1 e 9-10 (Vedere SHEA William H., Le principe jourannée, in AA.VV., Prophétie et Eschatologie, Conférence Bibliques Division Eurafricaine, vol. I, Seminaire Adventiste du Salève, 1982, p. 306). Sebbene sia da rilevare che il testo di Numeri presenti dei giorni storici letterali che vengono presi per indicare altrettanti anni storici letterali che si compiranno nel futuro, Ezechiele propone il procedimento opposto: degli anni della storia vengono rappresentati da giorni. Da qui possiamo asserire che il principio giorno-anno viene confermato dai due testi messi a confronto.
Numeri 14:34 «Secondo il numero dei giorni (bemispar hayamim) che avete impiegato per visitare il paese, 40 giorni (arbaïm yom). b) Un giorno per un anno (yom lashana yom lashana), c) porterete le vostre iniquità (tissou eth aonoteikhm) quaranta anni (arbaïm shana)». a)
Ezechiele 4:6 «Il numero dei giorni (mispar hayamim) che tu ti sdraierai su questo lato, tu c) porterai la loro iniquità (tissa eth aonam). Ed io ti assegno gli anni della loro iniquità (eth shneia aonam) secondo il a) numero dei giorni (le miyamim), trecentonovanta giorni, e tu c) porterai l’iniquità (ayon) della ca-sa d’Israele. ... Tu c) porterai l’iniquità (nassata eth ayon) della casa di Giuda, quaranta giorni (arbaïm yom); ti ho assegnato b) un giorno per ogni anno (yom lashana yom lashana)». a)
Dal confronto di queste due dichiarazioni risalta l’uso delle stesse espressioni ebraiche: «Il numero dei giorni» una volta in Numeri e due in Ezechiele. Il verbo «portare» proviene dalla stessa radice nei due testi. La parola «iniquità» è la stessa nei due passi. Anche l’espressione «un giorno per un anno» viene esplicitamente ripetuta. «Essendo il numero delle corrispondenze messe in luce da queste comparazioni, alcun dubbio è possibile: la fraseologia impiegata da Ezechiele è presa in prestito dal passo di Numeri. Poiché la fraseologia ebraica di questi due testi è essenzialmente la stessa, è evidente che il principio impiegato è pure lo stesso» (W.H. Shea, idem, p. 307). Ezechiele non dice «anno per giorno», ma come il testo di Numeri «giorno per anno». «Questo particolare appare nei due passi esattamente nello stesso modo; non c’è nessuna divergenza tra i due passi da questo punto di vista, anche se l’applicazione storico cronologica differisce. Ciò dimostra che lo stesso principio giorno-anno può essere impiegato in maniere diverse in occasioni differenti» (Idem, p. 308). Nelle apocalissi cambia il genere letterario, i brani hanno una connotazione simbolica ed indicano anche avvenimenti futuri. «L’applicazione del principio giorno-anno a questi periodi cifrati sarà semplicemente considerata come una ulteriore possibilità di applicazione. - Un periodo di giorni simbolici deve corrispondere a un periodo ancora futuro di anni storici» (Idem, p. 308).
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Daniele, contemporaneo di Ezechiele, quando ha iniziato il suo ministero profetico (verso il 550 a.C.) ha avuto modo di conoscere quanto il compagno d’esilio aveva insegnato prima di lui: un giorno simboleggiava nella profezia un anno. Sebbene in Numeri e in Ezechiele non abbiamo delle cifre simboliche per indicare dei periodi, cosa che per contro abbiamo nelle apocalissi, possiamo ugualmente affermare che in Daniele al giorno profetico non si può attribuire un significato simbolico indefinito, esso non può che indicare un anno solare. Come W.H. Shea dimostra, la riprova di questo principio ermeneutico l’abbiamo nel capitolo 8 di Daniele il quale ingloba tutti i periodi profetici del libro stesso, compreso le 70 settimane, che sono la parte iniziale, e anche quelli che Giovanni presenta nell’Apocalisse. «È evidente che quando nei libri apocalittici ci sono dei periodi temporali in relazione al Regno, essi hanno un valore simbolico: qualsiasi interpretazione letterale fa violenza al testo biblico. La prova è data dal testo delle 70 settimane di Daniele 9» (Idem). È impossibile spiegare un tale periodo in chiave letterale di giorni, cioè un anno e mezzo. Il periodo profetico delle 2300 sere e mattine (espressione che, come abbiamo già detto, non corrisponde a 1150 giorni) di Daniele 8:14 ha il suo inizio nel periodo persiano, ingloba, come il testo biblico evidenzia, i 490 anni di Daniele 9, quale parte iniziale di questo tempo cronologico, e si compie in un tempo lontano. Come abbiamo fatto notare, il versetto 13 del capitolo 3, presenta una domanda che è messa in relazione a cinque elementi. La Bibbia - Parola del Signore in lingua corrente, traduce: a) - Quanto tempo dureranno gli avvenimenti annunciati in questa visione? b) - Per quanto tempo sarà abolito il sacrificio quotidiano; c) - Trionferà l’ingiustizia; (la ribellione che produce la desolazione); d) - Il santuario e) - e gli esseri celesti saranno calpestati? Questa traduzione piuttosto libera su alcuni punti, coglie bene l’idea della ripetitività dell’espressione interrogativa facendo così risaltare l’intenzionalità del testo. La “visione” è l’insieme di quanto Daniele vede dal versetto 2 fino al versetto 12, cioè: - versetti 3, 4 il montone persiano, - versetti 5-7 il becco greco, - versetto 8 le quattro corna, - versetto 9 l’apparizione del piccolo corno, - versetto 10 sua azione contro l’esercito del cielo - domanda versetto 13e - versetto 11 sua azione contro il santuario “ versetto 13d - versetto 11,12 sua soppressione del continuo “ versetto 13b - versetto 12 riuscita nelle sue imprese “ versetto 13c Ripetiamo, l’insieme di tutti questi particolari è la "visione" del versetto 13a. La parola “visione” è presentata nel capitolo 8 sette volte: il versetto 1 l’annuncia, il versetto 2 dice che Daniele è in visione, al versetto 13 la troviamo nella domanda, il versetto 15 ricorda Daniele in stato di visione, al versetto 16 l’angelo Gabriele è invitato a spiegarla, il versetto 17 dice che essa riguarda la fine e al versetto 26 viene detto che «la visione delle sere e delle mattine riguarda un tempo lontano». Come abbiamo detto, il capitolo 8 riepiloga le precedenti visioni dei capitoli 2 e 7 e i capitoli che lo seguono ne sono la spiegazione. In questi capitoli Daniele, pur non avendo Quando la profezia diventa storia
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nessuna visione, con la parola “visione” più volte menzionata (9:21,23,24; 10:14; 11:14) fa riferimento a quanto ha visto nel nostro testo. (Invitiamo a vedere il rapporto tra Daniele 8 e 2 e 7 e Daniele 8 e 9-12 nel nostro Capitolo XI, pp. 400-403). La domanda di Daniele 8:13 è molto articolata, ma ha però una sola risposta che verte specificatamente sul santuario. Se analizziamo i diversi elementi della domanda di Daniele 8:13 e li mettiamo in relazione con le altre profezie del libro di Daniele, nelle quali sono indicati periodi di tempo in cifre, scopriamo che esse si applicano ad ogni domanda tranne a quella del santuario il cui solo periodo profetico che possa essere a esso collegato lo si trova menzionato al versetto 14 del capitolo 8. I 2300 giorni sono quindi in relazione al santuario e nelle altre profezie, con gli altri periodi di tempo, abbiamo le risposte a tutte le altre domande, completando in modo organico la risposta parziale di già data in Daniele 8:14 relativa al santuario. Si ha così che il periodo di 2300 anni ingloba tutti gli altri tempi profetici. Possiamo schematizzare queste relazioni nel modo seguente:
Domande - 8:13b Fino a quando il continuo sarà soppresso? - 8:13c Fino a quando durerà il peccato e la ribellione che produce la desolazione? - 8:13d Fino a quando il santuario sarà calpestato? - 8:13e Fino a quando l’esercito sarà calpestato?
- 8:13a Fino a quando durerà la visione?
Risposte - 12:11 Fino a 1290 giorni (dal tempo che sarà soppresso il continuo ci sono 1290 giorni). - 12:11 Fino a 1290 giorni (dal tempo che sarà rizzata l’abominazione che cagiona la deso-lazione, ci sono 1290 giorni). - 8:14 Fino a 2300 sere e mattine poi il santuario sarà purificato. - 7:25; 12:7 Fino a tre tempi e mezzo; fino a 1260 giorni (i santi saranno dati nelle mani per un tempo dei tempi e la metà di un tempo). - 8:25; 2:45; 7:26 Fino a che il piccolo corno sarà infranto senza opera di mano.
Crediamo si possa affermare che il lungo periodo profetico delle 2300 sere e mattine, giorni, incorpori tutti i periodi di Daniele e dell’Apocalisse i quali hanno nel principio giornoanno la loro regola di applicazione. La “visione” inizia tra il 539 e il 331 a.C. e giunge fino allo stabilimento del Regno di Dio. Se i rabbini e i dottori della legge prima e poi i Padri della Chiesa non hanno correttamente applicato il principio giorno-anno ai periodi profetici presenti nei capitoli 7, 8 e 12 di Daniele e successivamente in Apocalisse 11,12 e 13, ciò non deve essere per noi un pretesto che invalidi la regola. Il fatto che questa norma ermeneutica venga solamente applicata alle 70 settimane ancora prima del cristianesimo, e solamente nel Medio Evo venga capita e messa in relazione con gli altri lunghi periodi profetici, non deve far pensare a motivi pretestuosi. Non solo la rivelazione è progressiva, ma lo è anche la sua comprensione. È solo verso il tempo in cui il Messia sarebbe dovuto apparire, che le 70 settimane vennero comprese nel principio giorno-anno. Al tempo di Gesù l’attesa del Messia era viva perché il tempo era compiuto. La profezia biblica, anche nella sua cronologia, non è stata offerta all’uomo per soddisfare la sua conoscenza del domani, ma per essergli luce nella misura in cui il tempo della storia evolve attraverso i secoli. Nel testo di Daniele, avendo un orientamento escatologico, è del tutto naturale che certe precisazioni cronologiche non fossero chiare in tutti i tempi. Del resto, 1118
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come ha fatto osservare L. Gaussen, se alla chiesa apostolica, se ai padri della chiesa fosse stato ben chiaro il principio giorno-anno, e fosse stato applicato a tutti i periodi profetici, la profezia biblica non avrebbe sostenuto la loro fede, ma sarebbe stata per contro una pietra d’inciampo, perché avrebbe detto a chiare lettere che il ritorno del Signore era distante da loro numerosi secoli e la beata speranza in questa prospettiva, anziché riscaldare i loro cuori, si sarebbe affievolita. Il Signore aveva detto a Daniele: «Tieni nascoste queste parole, e sigilla il libro sino al tempo della fine; molti lo studieranno con cura, e la conoscenza aumenterà» (12:4). Più ci si avvicina al compimento delle date profetiche, più gli amanti della Parola di Dio (e a volte purtroppo anche del proprio pensiero) sono stati illuminati su questo principio giorno-anno, non subito come il sole allo zenit, ma come per il chiarore dell’alba, passando progressivamente dal buio alla luce piena. La comprensione e la corretta applicazione di questa regola non la si deve cercare nel lontano passato, nei primi secoli della Chiesa, per il fatto che riguarda il tempo della fine deve essere capita e correttamente applicata nel tempo a cui essa si riferisce. Ora che siamo stati pienamente messi al chiaro su questo principio, mentre la storia si avvia al suo crepuscolo, le profezie apocalittiche di Daniele e di Giovanni, collegate al principio giorno-anno, sono una luce che illuminano la notte del nostro presente dando la garanzia che l’aurora del gran giorno che inaugurerà per i credenti il tempo dell’eternità è vicino. L’onorata formula del tempo profetico biblico giorno-anno è stata fissata da ThomasRawson BIRK nella sua opera, First Elements of Sacred Prophecy, London 1843, ed è stata così riassunta da Desmond FORD nel suo libro, Daniel (Southern Publishing Association, Nashville, Tennessee, 1978, pp. 300,301): «Il principio giorno-anno è stabilito su queste basi: 1. Era nel piano di Dio che la Chiesa dopo l’ascensione di Cristo si mantenesse nella viva attesa del suo prossimo ritorno; 2. Un lungo periodo di quasi duemila anni era l’intervallo tra la prima e la seconda venuta. Questo intervallo era una dispensazione di grazia per i gentili; 3. Per consolidare la fede e la speranza della Chiesa a causa della notevole distanza di tempo che separava i due eventi, una lunga parte di questo intervallo era profeticamente annunciata, in un modo che la sua vera lunghezza non doveva essere capita che verso la fine della storia; 4. I periodi simbolici di Daniele e di Giovanni devono essere interpretati secondo lo stesso principio; 5. I periodi figurativamente rivelati sono quelli di Daniele e di Giovanni e sono in relazione con la storia generale della Chiesa tra il tempo del profeta ed il secondo avvento; 6. In quella predizione un giorno rappresentava un anno, come nella visione di Ezechiele, dove un mese corrisponde a trenta anni e un anno a trecentosessanta anni. A questi argomenti, nelle pagine seguenti, D. Ford che per numerosi anni ha difeso la regola giorno-anno, aggiunge: 1. I tempi profetici sono una parte essenziale dei due libri della Bibbia che Dio stesso con urgenza vuole farci capire. Daniele, per esempio, è il solo libro del Vecchio Testamento del quale abbiamo registrato una esortazione da parte di Gesù stesso ad un suo specifico studio (Matteo 24:15), e l’Apocalisse inizia con una divina benedizione per chi «legge e per coloro che ascoltano». Noi siamo assicurati dal sacro testo che tutta la porzione profetica di Daniele, che è stata sigillata, verrà compresa dal savio nel «tempo della fine», Quando la profezia diventa storia
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e la stessa cosa sarebbe per quelle profezie dell’Apocalisse che sono strettamente legate a quelle di Daniele. 2. I tempi profetici sono presentati in diverse occasioni nel contesto di scene particolarmente solenni. In tre occasioni Cristo stesso è il rivelatore dei messaggi che indicano il tempo (confr. Daniele 8:11-14; 10:5,6; 12:6,7 con Apocalisse 1:13-16). Il soggetto in ogni occasione è molto impressionante. Il contesto dei 2300 giorni, dei 1290 e dei 1335 giorni, mette in evidenza gli avvenimenti catastrofici associati con la fine della grande controversia tra Cristo e Satana (vedere Daniele 8:1,25,26; 12:3,4,9-13). 3. Gli stessi profeti non hanno compreso come tali i giorni presentati nelle loro profezie. Come le visioni abbracciano in poche parole un insieme di avvenimenti tutt’altro che insignificanti, così i tempi enfatizzati sono da intendersi simbolicamente, come delle ere, piuttosto che periodi brevi, limitati. a. Le visioni che includono i periodi di tempo sono ovviamente simboliche, ma il simbolismo fondamentale impiegato in ogni occasione ha uno specifico significato accertabile. In Daniele 2, per esempio, i quattro metalli indicano quattro regni. Nello stesso modo le quattro bestie di Daniele sono interpretate come rappresentanti quattro regni e i periodi di tempo incorporati in queste profezie, con aggiunta di altri elementi, sono necessariamente simbolici, piuttosto che letterali. Il testo lo dimostra. b. C’è un peculiare motivo per il quale i periodi di tempo in Daniele e Apocalisse sono espressioni che indicano misure simboliche. Consideriamo per esempio l’espressione «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo» di (Daniele 7:25). Perché si usa questa particolare espressione se si vuole indicare tre anni e mezzo? In due altre occasioni nella Scrittura ricorre questo intervallo di tempo, ed in entrambe le volte è riportata la sua naturale espressione, tre anni e sei mesi (vedere Luca 4:25, Giacomo 5:17). Questo si ripete in ogni simile occasione. Paolo rimane a Corinto «un anno e sei mesi» (Atti 18:11). Davide regna in Hebron «sette anni e sei mesi» (2 Samuele 2:11). È detto che è rimasto nel campo dei filistei «un anno e tre mesi» (1Samuele 27:7). Differisce da questi casi l’espressione «un tempo, due tempi e la metà di un tempo». La teoria del giorno anno esigerebbe che il simbolo sia espresso in un modo tale da non essere inteso letteralmente. Non lo fa Daniele 7:25 in un modo ammirevole? c. Il caso è simile al vicino grande periodo di tempo dei 2300 giorni. «Per duemilatrecento sere e mattine, allora il santuario sarà ristabilito al suo giusto stato». Questa espressione non può essere presa per indicare un periodo di tempo tra i sei e sette anni. Ci sono quattro dichiarazioni in tutta la storia della Bibbia dove un periodo superiore ai quaranta giorni è espresso solo in giorni, e non si può provare assolutamente tramite la Scrittura che periodi superiori ad un anno siano descritti in questo modo (Genesi 7:24; 8:3; Nehemia 6:15; Ester 1:4). Le diverse espressioni usate per indicare lo stesso periodo sono una ulteriore prova che «un tempo, dei tempi e la metà di un tempo» di Daniele 7:25 non possa rappresentare tre anni e mezzo letterali. Tre volte è menzionato come «tempo, dei (due) tempi e metà tempo» (7:25;12:7; Apocalisse 12:14), due volte come «quarantadue mesi» (11:2; 13:5) e due come «milleduecentosessanta giorni» (11:3; 12:6). Confrontando il contesto in ogni occasione, è evidente che tutti quanti si applicano allo stesso periodo, ma la naturale espressione di «tre anni e sei mesi» non è usata una sola volta. Ovviamente Dio ha voluto fare rilevare la simbolica natura dell’espressione.
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d) Il contesto di Daniele 7 e 8 proibisce l’idea che il periodo menzionato sarebbe letterale. Nel primo caso il piccolo corno sorge dal IV impero mondiale e sussiste fino al tempo del giudizio e dell’avvento. 7:25 dichiara che il periodo «di un tempo, dei tempi e la metà di un tempo» si estende sulla maggior parte della sua esistenza. Sarebbe impossibile prendere questo tempo per soli tre anni e mezzo! Nello stesso modo in 8:17 il profeta ha detto che 2300 giorni si estenderebbero dalla restaurazione del santuario fino al «tempo della fine». Questo significa che è implicato un periodo di circa 2300 anni. Il calpestamento del santuario è presentato in 8:11-13 e non può iniziare prima della restaurazione annunciata in 9:25, nel V secolo a.C. La fine di questo periodo è espressamente dichiarata come appartenente all’ultimo giorno, proprio prima della finale proclamazione del vangelo da parte del «savio» (12:3,4). È stato largamente osservato dai critici che 8:17 quando lo si ricollega con 12:3,4,9,10,15, fa concludere che il periodo dei 2300 giorni copre diversi secoli. Nello stesso modo in Apocalisse 13 il periodo dei 42 mesi copre in gran parte il tempo tra la prima e la seconda venuta, quando la Chiesa sarebbe nel deserto delle persecuzioni durante il buio Evo. Questo è riconosciuto da quasi tutti i commentatori. Come la breve vita delle bestie è utilizzata come simbolo della lunga esistenza degli imperi, è quindi verosimile che i tempi annunciati siano anche presentati in scala, con una piccola unità di tempo a rappresentazione di uno più lungo. Anno è l’unità del tempo usato per tradurre nella storia i periodi simbolici di Daniele e Apocalisse. Ma, come abbiamo detto sopra, nel testo ebraico non c’è l’espressione anno; abbiamo le espressioni: giorni, settimane e mesi riferite a 1260 giorni, settanta settimane, quarantadue mesi. La parola ebraica è m"ed (Daniele 12:7), che tradotta correttamente è «un tempo» e non ha come il suo uso frequente il significato di «un anno». La parola ricorre anche in altri testi del Vecchio Testamento ed è utilizzata per periodi di differenti lunghezze. La prima volta che viene utilizzata è in Genesi 1:14 «Siano dei segni per le stagioni». La parola è spesso utilizzata per indicare il tempo fissato per tutte le feste della legge (vedere Levitico 23:2, 4, 37, 44; Numeri 9:2, 3, 7, 13, ecc.). Che la parola “tempo” abbia il suo corrispondente nella parola “anno” (anche se l’aramaico e l’ebraico hanno per anno un’altra espressione) è confermato dai diversi modi con i quali è riportato lo stesso periodo: «tre tempi e mezzo» = «quarantadue mesi» e «1260 giorni», cioè 3 anni e mezzo. La spiegazione di questa voluta omissione della parola «tempo» usata per indicare l’anno in Daniele e Apocalisse, mentre si trovano gli altri termini del calendario (giorno, settimana e mese), è che l’anno è la misura tipologica in ogni parte di questa profezia e il giorno, il più piccolo dei tempi del calendario simbolico, è utilizzato per rappresentarlo. C’è una naturale appropriazione nel principio giorno-anno che è stato scelto dal Creatore quando ricordiamo che ci sono due grandi rivoluzioni della terra, una è sul suo asse per cui impiega 24 ore e dà origine al giorno, e l’altra è nella sua orbita per cui impiega 365 giorni e dà origine all’anno. Il più piccolo sarebbe utilizzato come un simbolo del più grande. Nella Scrittura è indicato in forma esplicita il principio giorno-anno e la sua applicazione in Numeri 14:34 e Ezechiele 4:6. Dio ha scelto l’uso specifico di questo simbolismo durante il tempo della cattività degli ebrei in Babilonia. Daniele ed Ezechiele erano contemporanei e quello che Ezechiele insegna con dei gesti davanti al popolo, Daniele lo scrive nelle sue rivelazioni. La dimostrazione più evidente del principio giorno anno Daniele 9:24-27. La profezia delle 70 settimane sembra non permettere equivoco per la sua evidenza. Il principio è accettato anche da coloro che lo rifiutano negli altri capitoli. La parola ebraica indicata qui Quando la profezia diventa storia
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per settimana, shabia, semplicemente significa ebdomada (una misura di sette giorni), normalmente l’uso scritturale di questo termine è sempre per una settimana di giorni (vedere Genesi 29:27,28; Daniele 10:2. In Levitico 25:1-10 indica un periodo di sette anni). Questo periodo di 490 anni, nel quale si costruisce la città, si assiste alla venuta del Messia, alla sua opera e alla distruzione del Santuario e di Gerusalemme, è tagliato via, è tolto da un periodo più lungo, dalle 2300 sere e mattine. È quindi ovvio che quest’ultimo deve consistere in altrettanti anni. In Daniele 9 abbiamo il pragmatico testo ed il principio giorno-anno è giustificato, malgrado il fatto che la parola giorno non sia qui utilizzata. 8. Un’altra testimonianza che non si dovrebbe omettere è quella di Apocalisse 10:5-7. Il Nuovo Testamento fa riferimento a questo passo di Daniele indicando che la realizzazione del tempo profetico di Daniele era ancora nel futuro quando Giovanni fece la profezia. Solo il principio giorno-anno applicato al periodo di Daniele renderebbe questa realizzazione possibile. 9. Il principio di ripetizione e di ampliamento caratterizza la profezia di Daniele e dell’Apocalisse ed inoltre illumina i periodi di tempi indicati in questi libri. Ovviamente una lettura di Daniele 7, fatta senza preconcetto, riconosce che si riferisce al capitolo 2 il quale presenta lo stesso quadro. Nello stesso modo, il capitolo 8 ancora attraversa gli imperi del mondo, menzionandone due di quelli elencati nel primo quadro del capitolo 2. Il capitolo 8 termina con la distruzione del malvagio tramite la pietra che si stacca «senza opera di mano» come è indicato nel capitolo 2. Come il IV impero viene presentato rimaneggiato nella sua frammentarietà di stati fino al secondo avvento, così è con il piccolo corno del capitolo 8. Inoltre, il quarto profilo che fa Daniele nei capitoli 11 e 12 copre ancora lo stesso panorama dei capitoli 2, 7 e 8. La descrizione presentata in 11:31-45 chiaramente si accosta con 8:11-13, 23-25. La conclusione del capitolo 11 di Daniele presenta in dettaglio quanto è detto nei versetti 44,45 del capitolo 2. Così i poteri che si susseguono durante i 2300 giorni sono presentati nel capitolo 11 fino a quando il regno di Dio si stabilisce. Da qui l’inadeguatezza di interpretare le 2300 sere e mattine come soli giorni durante l’era maccabaica.
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Appendice n. 13 HARMAGHEDON Harmaghedon: suo significato Harmaghedon richiama alla mente, anche della gente comune, avvenimenti catastrofici che precedono o che sono concomitanti con la fine della storia. Possiamo dire che due sono state le posizioni che hanno caratterizzato la comprensione del testo biblico: a) Harmaghedon, luogo geografico nel quale gli avvenimenti bellici chiuderanno la storia; b) situazione di ribellione dell’umanità nei confronti di Dio; Crediamo che la seconda sia più rispondente al testo dell’Apocalisse, ma il quadro generale che offre la Parola del Signore, pur non presentando un conflitto nel Medio Oriente, dove scorre l’Eufrate, presenta la VII tromba, l’ultima, in un contesto di guerre. In tutto ciò stando al profeta Daniele, la Terra Santa svolge un ruolo importante. L’espressione Harmaghedon è considerata «oscura» (A. Reymond), anche perché la si trova una sola volta nel testo biblico e questo aumenta la sua difficoltà di comprensione. Il nome è ebraico, lingua dell’Antico Testamento, ma Giovanni scrive in greco. Etimologicamente sembra che il problema, per gli studiosi, sia insolubile. Scrive J. JEREMIAS: «Una sicura spiegazione del nome non è ancora stata data… L’enigma dell’Ar Maguedon non è stato ancora chiarito» (Dictionary of the Bible, Hasting, New York, Scribner 1909, vol. 2), attende ancora di essere spiegato. Già E. Renan aveva detto: «Enigma per noi indecifrabile» (cit. Charles BRÜTSCH, La clartée de l’Apocalypse, Genève 1966, p. 270). Gli antichi commentatori cristiani (Andrea di Cesarea ed Oecumenius) danno ad Harmaghedon il significato letterale: Montagna del carname. Ciò sembra avvallato dalla LXX che traduce Zaccaria 12:11 «la pianura di Meguiddo» la parafrasi anziché traslitterarla con: «nella pianura del massacro, dello sterminio (boschetto, taglio, tagliato in due)». Questa traduzione greca fatta prima di Cristo confermerebbe che Meghiddo più che avere la radice di ya’ad (assemblea), preferisce gedad che significa “tagliare”, o “abbattere” e si accorda con quanto dicevano Andrea di Cesarea ed Oecumenius. Con Teodoro di Béze, nel XVI secolo, si vede in Maguedon la traslitterazione greca della parola ebraica Meguiddo. La LXX per due volte ha traslitterato Meguiddo con Maguedon (Giudici 1:27; 2 Cronache 35:22). Meguiddo ricorda la valle di Esdrailon dove si sono combattute diverse battaglie (Giudici 4, 5(5:19); 2 Re 23:29; 2 Cronache 35:20-25). Alcuni studiosi vi vedono anche la battaglia finale di Ezechiele (38:8,21; 39:2,4,17). Bartina menziona il “tell”-collina di Meguiddo, ma non è alto. La montagna più vicina, a una distanza di una decina di chilometri, o meglio la più importante in questa valle è il Carmelo dove Elia ha combattuto contro i falsi profeti (1 Re 18). Sono queste analogie che hanno portato un gran numero di studiosi a identificare Maguedon con Meguiddo. E. NECTLE, dopo aver passato in rassegna le varie posizioni, conclude: «In generale l’allusione a Meguiddo è ancora la spiegazione più plausibile» (cit. in Dictionary of the Bible, Hasting, New York, Scribner 1909, vol. 2, p. 305).
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Molti commentatori oggi, a seguito di F. HOMMEL, (Neue Kirchl. Zeitschrift, I/1890, p. 407 ss,) sono portati a vedere in Harmaghedon la traslitterazione della parola greca HarMo(go)’ed = montagna dell’assemblea (degli dèi) (Isaia 14:13) «alla quale il re di Babilonia, con ingiuriosa temerarietà, vuole dare la scalata» (J. JEREMIAS, cit. C. Brütsch, o.c.,). Degli studiosi hanno pensato che Harmaghedon sia il monte Sion. Agli occhi di RISSI questa spiegazione è la più soddisfacente: «materialmente una dipendenza da Isaia 14:13 sembra essere provata» (cit. C. Brütsch, Idem, p. 271). Scrive il prof. J. DOUKHAN: «Il profeta parla della “montagna” di Meghiddo (Harmaghedon) perché pensa chiaramente a Gerusalemme. Il luogo della battaglia non è la valle di Esdrailon, ma come il profeta Daniele l’aveva previsto, «la gloriosa e santa montagna» (Daniele 11:45). Tutti i re della terra, tutti i poteri qui riuniti, non hanno che un solo obiettivo: il controllo di Gerusalemme. Non si tratta della Gerusalemme dello Stato moderno d’Israele. Nel contesto particolare dell’Apocalisse in cui il linguaggio è impregnato di simbolismo, la Gerusalemme di cui si parla è nell’ordine spirituale. Nel libro di Daniele, la montagna gloriosa di Sion rappresenta sovente il regno celeste di Dio. Nel capitolo 2, alla fine dei regni umani che spariranno, il profeta vede il regno di Dio sotto la forma di una montagna (Daniele 2:35,44,45). Pure alla fine del capitolo 11, l’orizzonte della speranza si disegna sotto la forma della «santa e gloriosa montagna» (Daniele 11:45). Bisogna dire che il tema di Gerusalemme e della montagna di Sion giocano un ruolo predominante nella formulazione biblica della speranza. Così, la Sion della speranza è posta molto in alto nel cielo (Salmo 47:2; confr. Isaia 14:13); è l’abitazione di Dio (Salmo 78:68; 132:13), ha tutte le caratteristiche del giardino dell’Eden (Ezechiele 47:1,2; Gioele 3:18; Zaccaria 13:1; Apocalisse 22:1,2). Nell’Antico come nel Nuovo Testamento, Gerusalemme è diventato il nome della città che sta in alto (Galati 4:26), ripiena di tutte le felicità della presenza sovrana di Dio (Ebrei 12:22). È questa Gerusalemme che le forze della terra vogliono prendere d’assalto. Come gli antichi costruttori della torre di Babele, lavoravano per fare della città che è qui in basso il paradiso dei loro sogni. La speranza si vuole costruire qui, sul dio di Babele con l’esclusione del Dio che sta in alto» (Le cri du ciel - Étude prophétique sur le livre de l’Apocalypse, ed. Vie et Santé, Dammarie-les-Lys 1996, pp.215,216). Harmaghedon, Monte di Meghiddo, è il nome apocalittico del luogo dove i potenti di questo mondo e l’umanità intera sono stati riuniti per contrastare la presenza di Dio in questo mondo data dai suoi credenti. Harmaghedon è il luogo/stato spirituale dove la Babilonia spirituale viene giudicata da Dio. Questo monte, quale segno di potenza, è il monte di Sion (Apocalisse 14:1-5), della nuova Gerusalemme, dove sono riuniti coloro che hanno vinto perché non hanno adorato la bestia, la sua immagine e non avendo accettato il suo marchio, sono stati suggellati da Dio. Riepilogando, Harmaghedon è ricordata con i seguenti significati: - monte del carname; - Meghiddo, valle di Esdrailon con il monte Carmelo nelle vicinanze alla fine della valle; - pianura del massacro; - monte dell’assemblea (degli dèi), il Monte Sion della Nuova Gerusalemme. Isbon T. Beckwith quindi conclude: «Il (nome Har-Magedon) è allora un nome immaginario per designare la scena della grande battaglia tra l’Anticristo ed il Messia» (BECKWITH Isbon T., The Apocalypse of John, Grand Rapids: Baker Book House, 1979, ristampa del 1919, p. 685).
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Robert H. Mounce nello stesso modo considera Harmaghedon come il culmine della storia: «Ovunque prende posto, Har-Magedon è il simbolo del rovesciamento finale di tutte le forze del male dalla potenza e dal potere di Dio. Il grande conflitto tra Dio e Satana, Cristo e l’Anticristo, il bene e il male, che sta dietro alla corsa della storia terminerà alla fine in una lotta conclusiva nella quale Dio emergerà vittorioso e stabilirà con lui tutti coloro che hanno posto la loro fede in lui» (Robert H. MOUNCE, The Book of Revelation, The New International Commentary on the New Testament, Grand Rapids, Eerdmans 1977, p. 302; cit. LaRONDELLE Hans K., Chariots of Salvation, The Biblical Drama of Armageddon, Rewiew and Herald Publishing Association, Washington 1987, pp. 122, 123).
1. HARMAGHEDON: situazione di ribellione dell’umanità Babilonia caldea tipo della Babilonia apocalittica LaRondelle sostenitore della seconda spiegazione scrive: «Ogni volta che l’Apocalisse di Giovanni menziona un nome ebraico o un luogo, o fa allusione ad un personaggio o ad un avvenimento dell’Antico Testamento, il principio tipologico esige che la determinazione del valore originale redentivo storico di questi termini si faccia in relazione con l’alleanza tra Dio e l’antico Israele… Questo principio tipologico si applica non solamente al nome di Israele, ma anche ai nomi dei suoi nemici - come Babilonia, Egitto ed Edom -, in tal modo i nemici dell’antico popolo di Dio sono dei tipi dei nemici della vera Chiesa di Gesù Cristo (confr. Apocalisse 19: 13, 15 e Isaia 63: 1-6)» (LaRONDELLE Hans K., La signification des sept derniers plaies, in AA.VV., Études sur l’Apocalypse, Conférence Bibliques Division Eurafricane, Institut Adventiste du Salève, 1988, p. 203). Il trionfo del popolo di Dio, la liberazione della Chiesa, è descritto nell’Apocalisse nel quadro tipologico della liberazione d’Israele dall’Egitto e da Babilonia. Gesù è presentato 28 volte come l’arnion, l’Agnello immolato, che ricorda quello pasquale che espia all’esodo. Le sette ultime piaghe non possono non ricordare quelle che hanno colpito l’Egitto prima dell’uscita d’Israele. Come Dio ha espresso il suo giudizio su un popolo che opprimeva i figli di Giacobbe, così nel tempo della fine Dio esprimerà il suo giudizio nei confronti di coloro che opprimeranno la sua Chiesa. Come gli Israeliti hanno cantato di gioia dopo l’attraversata del Mar Rosso (Esodo 15: 1-18), così Giovanni vede i fedeli vincitori della bestia e della sua immagine (i faraoni del tempo della fine) sul mare di vetro che cantano il canto di Mosè e dell’Agnello che mette in risalto non tanto la distruzione dei malvagi quanto gli atti redentivi del Signore (Apocalisse 15:2-4). Un aspetto da tenere in considerazione è il fatto che le sette ultime piaghe dell’Apocalisse richiamano i giudizi sull’Egitto e Babilonia. Infatti le prime cinque sono collegate a quelle che hanno preceduto la liberazione dall’Egitto (la prima dell’Apocalisse, l’ulcera, corrisponde alla VI dell’Esodo che colpì gli uomini e gli animali (Esodo 9:8-11); la seconda e la terza, l’acqua sangue, corrisponde alla prima in Egitto (Esodo 7:17,19-21); la quinta che rende tenebroso il trono della bestia, corrisponde alla nona che oscurò totalmente il paese d’Egitto per tre giorni (Esodo 10:21-23) e le ultime due, la sesta (il prosciugamento dell’Eufrate) e la settima (la caduta di Babilonia), richiamano gli avvenimenti concomitanti con la conquista dell’antica città della Mesopotamia fatta da Ciro nel V secolo a.C., come profetizzati da Isaia (44-47) e
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APPENDICE N. 13
da Geremia (50;51). Queste ultime piaghe sono state precedute dall’annuncio della caduta di Babilonia (vedere Apocalisse 18:4-6; Isaia 13:19; 21:9; Geremia 51:7,8). Gli avvenimenti storici del passato hanno valore tipologico per la liberazione finale della Chiesa di Gesù Cristo non più circoscritta in una località, ma nella sua espansione mondiale. È riconosciuto da tutti che i nomi nel testo dell’Apocalisse hanno un valore simbolico, cioè tipologico teologico, più che geografico: Babilonia si riferisce al suo significato etimologico anziché geografico; è difficile trovare commentatori che vedono in questa città l’antica metropoli sull’Eufrate: Sodoma ed Egitto (11:8) e una piazza della grande città (di Babilonia) «dove è stato crocifisso il Signore». Abbiamo qui indicato una città dell’antichità e un paese non nel suo significato geografico, ma teologico. Anche i nomi delle lettere alle sette chiese acquistano nella spiegazione storico profetica un significato tipologico, la cui realtà storica del passato permette di caratterizzare la storia della Chiesa attraverso i secoli: dal primo amore (Efeso) della Chiesa apostolica a quella del tempo del giudizio (Laodicea). Balaam (Apocalisse 2:14-17), personaggio dell’Antico Testamento, viene preso ad immagine di chi corrompe la Chiesa. Jezebel (2:20) nome che ricorda la moglie del re Acab, è preso a figura di coloro che rendono la Chiesa pagana con i suoi sacerdoti, riti ed insegnamenti. I versetti 1,2 del capitolo 11 parlano della misurazione del tempio di Dio e che la santa città sarà calpestata dai gentili per 42 mesi. I commentatori vedono in questo tempio e nella santa città non quelli dell’antica dispensazione, ma la rappresentazione figurata del popolo di Dio nella sua fedeltà che si contrappone alla donna del capitolo 17, chiamata col nome dell’antica Babilonia, la città che domina il mondo nel tempo della fine, sulla quale l’Eterno esprimerà il suo giudizio, sul popolo di Dio che si corrompe e si prostituisce ai potenti del mondo per condividere con loro il potere. Prima che il giudizio si compia su questa società, come già era avvenuto nel passato (Isaia 48:20; 52:11; Geremia 56:3; 51:6,45), Dio invita il suo popolo ad uscire da Babilonia (Apocalisse 18:4). La Babilonia della storia fu vinta in una notte, quella apocalittica cade anche essa all’improvviso (18:8). Isaia (13:19,20) e Geremia (50:39; 51:37) avevano annunciato che Babilonia non sarebbe stata più abitata, Giovanni della sua Babilonia dice che, a seguito della sua caduta, non sarà più trovata (18:21-24). Babilonia nel testo biblico simboleggia i nemici del popolo di Dio sia del tempo della fine (Apocalisse 14:8; 17:4,5; 18:2) sia dell’antico Israele.
Eufrate Il fiume Eufrate, simbolo dei re d’Assiria (Isaia 8:7), è presentato da Geremia come un mare (51:36), potrebbe quindi indicare in Apocalisse non il fiume della Mesopotamia, ma la barriera protettiva di Babilonia. Come le acque dell’Eufrate impedivano l’espugnazione della città caldea, così il fiume Eufrate di Apocalisse 16:12 rappresenta le acque/popoli (17:15) che proteggono, difendono, sostengono Babilonia la Grande. «La ribellione di Babilonia contro l’autorità di Dio si è operata in due dimensioni: verticale, contro Yahvé, sua sovranità e sua salvezza; ed orizzontale, contro il popolo dell’alleanza ed il suo culto centrato nel santuario. Babilonia ha portato un combattimento sul doppio fronte: contro il Dio d’Israele, e contro l’Israele di Dio. L’odio che animava l’antica Babilonia animerà la Babilonia apocalittica con un’intensità ancor più grande… L’Apocalisse onora Gesù attribuendogli tutte le prerogative divine (22:12). La Babilonia apocalittica dirige le sue bestemmie e il suo odio contro Dio, il suo Cristo e la sua Chiesa fedele. Babilonia attacca ed asserve la Chiesa universale e deforma 1126
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l’insegnamento concernente il cammino della salvezza e la vera adorazione (14:6,7)» (Idem, pp. 216, 217). C’è un parallelismo tra la caduta dell’antica Babilonia, come è stata annunciata da Isaia (41:44-47), da Geremia (50; 51) e la sua realizzazione storica riportata da Daniele 5 e dagli storici greci Erodoto (nato verso il 484 a.C.) e Senofonte (nato verso il 429 a.C.) ad opera dei Medo Persiani, i re che venivano dall’Oriente, che entrarono in città dopo aver deviato le acque dell’Eufrate (cioè prosciugato il suo percorso naturale). La conquista di Ciro, la caduta improvvisa di Babilonia, la neutralizzazione dell’ostacolo fiume Eufrate, ha adempiuto letteralmente la profezia (Isaia 44:27,28; Geremia 51:13,36; 50:38). Ciro è presentato come colui che ricostruirà la santa città e il tempio (44:28), libererà il popolo di Dio (45:13). È per questo che Dio accorda a Ciro titoli onorabili: mio «unto» e «mio pastore» (45:1; 44:28), titoli che caratterizzeranno il Cristo futuro e faranno di lui (Ciro) un tipo drammatico del combattimento finale del Messia contro la Babilonia dell’Apocalisse. Di già dell’Eufrate era stato detto: «seccati, (io) asciugherò i tuoi flutti» (Isaia 44:27). «Ciro non era che lo strumento del giudizio di Dio pronunciato su Babilonia. Come Yahweh ed il suo popolo dell’antica alleanza erano al centro della caduta di Babilonia, così pure il Cristo ed il suo popolo della nuova alleanza - la Chiesa fedele - sono al centro della caduta di Babilonia moderna e di Harmaghedon» (Idem, p. 218). Possiamo così riassumere il significato teologico e tipologico: 1. Come la Babilonia storica era nemica di Dio e del suo popolo, così il suo nome indica, nel linguaggio dell’Apocalisse, la potenza mondiale che contrasta Dio e la sua Chiesa. 2. Come l’Eufrate proteggeva la potente città della Mesopotamia e la difendeva dalle invasioni dei nemici, così, nel tempo della fine, il nome del fiume rappresenta i popoli e le nazioni che sostengono, difendono e proteggono la Babilonia spirituale. 3. Come il prosciugamento dell’Eufrate fu la causa della caduta di Babilonia, così nel futuro il si prosciugheranno le potenze che sostengono Babilonia. 4. Come Ciro, con i suoi alleati, venne dal sol levante, quale l’unto che Dio si era scelto per vincere Babilonia e liberare il suo popolo, così il Messia alla fine della storia verrà dall’Est per vincere le potenze avverse e liberare la sua Chiesa. 5. Come nella Babilonia storica c’erano dei fedeli dell’Eterno, così anche ci saranno nella Babilonia apocalittica.
La VI e la VII piaga sono ampliate in Apocalisse 17-19 I capitoli 17-19 dell’Apocalisse sono un ampliamento di quanto Giovanni scrive nel capitolo 16 della VI e VII piaga. Il capitolo 17 non presenta degli avvenimenti supplementari a quanto detto nel precedente. Infatti la visione del capitolo 17 viene introdotta presentando un angelo del capitolo 16 con in mano una delle coppe del giudizio. Considerando che viene detto a Giovanni che gli verrà mostrato il giudizio della grande prostituta che ha scritto sulla fronte: mistero, Babilonia la grande (versetti 1,5), non è difficile pensare che si abbia a che fare con l’angelo della piaga ad essa riferentesi. La caduta di Babilonia descritta nella VII piaga è vista nei versetti 16, 17 e viene poi ampliata nei capitoli 18 e 19 s.p.. F. WERE, in The Woman and the Beast in the Book of Revelation, Berrien Spring, Michigan, 1985, pp. 91, 92, fa delle comparazioni che riproponiamo con delle varianti: Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 13
Apocalisse 16 - piaghe V, VI, VII sono in relazione a Babilonia - versetti 12, 19, sono in relazione al fiume e alla città di Babilonia - versetto 12, le acque dell’Eufrate
- versetto 12, il prosciugamento del fiume che avrà come conseguenza la distruzione di Babilonia
Apocalisse 17 - versetto 1, Giudizio su Babilonia - versetto 1; Geremia 51:13, presentano le acque di Babilonia - versetti 1, 15, le acque di Babilonia sono i popoli al servizio della donna che poi odieranno - versetto 16, la donna non ha più il sostegno dei popoli, essi non la obbediscono più; le acque si sono prosciugate - 19:19,20; 2 Tessalonicesi 2:9, l’unione è realizzata dai falsi miracoli compiuti dallo spirito dei demoni credenza dell’immortalità dell’anima - spiritismo - versetto 14 le acque e la bestia faranno guerra ai santi dell’Altissimo e all’Agnello; 19:12; 12:17 - versetto 14, l’Agnello li vincerà perché è il Signore dei signori, Re dei re
- versetti 13,14, i tre poteri mondiali si uniscono per la forza dei falsi miracoli compiuti dallo spirito dei demoni - credenza dell’immortalità dell’anima - spiritismo - versetto 14, la triade satanica e i re della Terra combatteranno contro l’Iddio Onnipotente - versetto 16, saranno riunite ad Harmaghedon, la montagna del carname, dove verranno distrutti i nemici di Dio - versetto 17, nel tempio Dio annuncia: - versetto 17, affinché «siano compiute «È fatto» le parole di Dio» - versetto 19, «La grande città fu divisa - versetto 16, Babilonia sarà distrutta e in tre parti». resa deserta. Nel tempo della fine l’Evangelo annunciato in tutto il mondo (Matteo 24:14) avrà i suoi fedeli disseminati su tutta la terra, ma anche Babilonia avrà esteso oltre misura la sua influenza: ha dato a bere del calice della sua fornicazione a tutti i re della terra ubriacandoli (Apocalisse 14:8). La Chiesa avrà un’estensione su tutta la Terra, Babilonia pure avrà un’influenza mondiale. «Conformemente a questa portata universale di Babilonia, l’ispirazione dà anche all’Eufrate, il fiume di Babilonia, un’applicazione universale: “Le acque che tu hai visto sulle quali la prostituta siede, sono dei popoli, delle folle, delle nazioni e delle lingue” (17:15). Coloro che insistono nel vedere nell’“Eufrate” solo i popoli che abitano le regioni bagnate dal fiume devono dare la stessa interpretazione a “Babilonia”, a “Israele”, al “Monte Sion”, ecc.. Questi commentatori perdono così di vista il carattere cristocentrico della tipologia biblica. L’Evangelo di Gesù Cristo ci libera dalle restrizioni del letteralismo etnico e geografico in ciò che concerne l’epoca messianica. L’interpretazione dell’Eufrate data dall’angelo di Apocalisse 17 serve a preservarci dal ricadere nell’interpretazione dell’Eufrate come essendo il Medio Oriente. Ogni volta che Dio ha prosciugato un fiume letterale o un “fiume” di nemici nella storia d’Israele - come il Mar Rosso, o il Giordano, o il fiume degli invasori che venivano dall’Eufrate (Isaia 8:7,8) - questo atto ha sempre rappresentato un giudizio provvidenziale sui nemici del popolo di Dio. Il prosciugamento del grande fiume di Babilonia durante la sesta piaga ancora nel futuro non deve fare eccezione… 1128
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La dissoluzione repentina di Babilonia, mediante la provvidenza divina, è il tema del capitolo 17 e spiega la sesta e la settima piaga. Questo capitolo rivela il mutamento repentino dei partigiani politici di Babilonia, che si mettono ad odiare la sua autorità religiosa come risultato del verdetto divino (17:17). Ciò che è sorprendente è che Dio provocherà l’autodistruzione di Babilonia con le mani dei suoi propri partigiani. Le acque dell’Eufrate, cioè le moltitudini che perseguitano il popolo di Dio (17:15), saranno all’improvviso prosciugate, cioè cesseranno di sostenere Babilonia, si metteranno all’improvviso ad odiarla e a distruggerla completamente (17:16). Ma il rovesciamento inatteso di questa unione maledetta non avverrà che alla sua “ora”, quando Babilonia unita attaccherà la parte finale del popolo che attende il ritorno del suo Signore (vedere 17:14; 12:17; 18:15). Una volta che Ciro aveva prosciugato le acque dell’Eufrate, la strada era pronta per tutti i re dell’Oriente: essi potevano allora impadronirsi della capitale e del suo governo mondiale. Fu allora che si compì la profezia tracciata da una mano invisibile sul muro della sala del banchetto del palazzo di Belzhatsar: “Il tuo regno sarà diviso, e dato ai Medi e ai Persiani” Daniele 5: 28. Tuttavia la profezia fu pienamente compiuta quando Ciro, dopo essersi impossessato di Babilonia, permise ad Israele di ritornare a Gerusalemme (Esdra 1:1-5). Il compimento apocalittico dei segni cosmici della distruzione di Babilonia non si realizzeranno che quando il Messia in persona entrerà in scena come combattente per rovesciare Babilonia, e quando i suoi peccati contro il popolo di Dio si saranno «accumulati fino al cielo» (vedere Apocalisse 18:5). Il fatto che Cristo farà cadere dal santuario celeste il giudizio divino sulla Babilonia della fine dei tempi (15-19) è più che una analogia evidente con la vittoria di Ciro sull’antica Babilonia. La missione finale del Cristo è di compiere i tipi e le profezie che annunciano che Israele sarà liberato da Babilonia, su una scala universale ed in una gloria cosmica. Questa venuta non si realizzerà partendo da un luogo terreno, ma direttamente dal trono celeste di Dio, cioè dalla direzione cosmica dell’Oriente. Sarà la più grande teofania cosmica mai manifestata prima al mondo, la più splendida liberazione del popolo di Dio mai compiuta. “Poi vidi i cieli aperti, ed ecco apparire un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava si chiamava il Verace, giudica e combatte con giustizia… Gli eserciti che sono nel cielo lo seguivano su dei cavalli bianchi, rivestiti di un lino fine, bianco e puro” (Apocalisse 19:11,14)» (Idem, pp. 219, 220). Che questa battaglia sia quella di Harmaghedon è confermata dal versetto 15 dove il combattente dell’Onnipotente, il Re dei re e Signore dei signori, ha una spada che gli esce dalla bocca per colpire le genti. Nei versetti 19, 20 vengono indicati i combattenti: «la bestia, i re della terra e i loro eserciti, radunati per far guerra a colui che cavalcava il cavallo ed al suo esercito» e il falso profeta. Sebbene il capitolo 19 non indichi da quale parte dell’universo venga questo esercito del cielo, nel capitolo 7:2 un angelo, dell’esercito del cielo, viene presentato come proveniente dal sol levante avendo il compito di suggellare i credenti dell’ultima generazione affinché siano in grado di contrastare il male nella sua esplosione finale. Ezechiele 43:1,2 annuncia che la gloria dell’Iddio d’Israele veniva dal levante e la sua voce era simile al suono di grandi acque. Il canto di Zaccaria dice che la salvezza viene dall’aurora (Luca 1:76,77). Gesù presenta la sua venuta come il lampo che esce dal levante (Matteo 24:27).
2. HARMAGHEDON: Quando la profezia diventa storia
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APPENDICE N. 13
luogo geografico nel quale gli avvenimenti bellici concluderanno la storia Nessun testo biblico identifica i re dell’oriente con gli angeli del cielo. Sono le analogie nel quadro tipologico che permettono di sostenere questa spiegazione. Ciro, suscitato dall’Oriente per liberare Israele da Babilonia (Isaia 41:2; 45:1-4; 46:11), è accompagnato da molti re (Geremia 50:41; 51:28; Isaia 46:11; 41:2,25). Micael (Daniele 12:1) che si leverà per difendere il suo popolo, è presentato da Giovanni come Re dei re e Signore dei signori ed è il principale capo (Daniele 10:13) dell’esercito del cielo. Questo titolo può lasciare presupporre che tra gli esseri celesti ci siano degli angeli con maggiore autorità, come del resto Lucifero è presentato come la principale creatura e, ribellandosi a Dio, è diventato il tipologico rappresentante dei re di Babilonia (Isaia 14:4-12) e di Tiro (Ezechiele 28:12-16). Questi re dell’Apocalisse che vengono dall’Oriente non dovrebbero essere visti nella consueta veste politica. Essi in Apocalisse 19:14 sono presentati con Gesù che ritorna nella sua potenza, vestiti come lui di vesti bianche e cavalcanti essi stessi, come lui, dei cavalli bianchi. Si è pensato anche che questi re possano essere quei credenti che già sono alla presenza del Signore, sia perché non sono morti: Enoc ed Elia, o perché resuscitati, ad esempio Mosè e quelli che sono usciti dalle tombe in occasione della morte di Gesù (Matteo 27:52) e portati in cielo in occasione della sua ascensione (Efesi 4:8). LaRondellle, nel continuare le sue osservazioni, scrive: «Per rispondere all’interpretazione letterale di Harmaghedon come essendo, nel futuro, la situazione geografica della “montagna di Meghiddo” (suggerita nel New Scofield Reference Bible, Oxford, New York 1967, p. 1388), due note possono essere fatte: prima di tutto, nessuna “montagna di Meghiddo” letterale si trova menzionata nell’Antico Testamento, non ha quindi neppure un’esistenza geografica. Per conseguenza i primi commentatori cristiani (compresi Origene ed Eusebio) non hanno visto in Harmaghedon il nome di un luogo. Tuttavia, l’argomento decisivo che permette di rigettare il letteralismo geografico del sistema dispensazionalista è il fatto che le profezie dell’Antico Testamento avevano già chiaramente indicato il luogo di questo combattimento apocalittico: nelle montagne e nelle valli che attorniano il monte Sion (Gioele 2:32; 3:1-17; Isaia 29:1-7; Ezechiele 39:11; Daniele 11:45; Zaccaria 12:2,3,9; 14:1-4). Il libro dell’Apocalisse riprende questa escatologia unanime dell’Antico Testamento (Apocalisse 14:1,20; 20:9) con una sola modifica teologica: è l’Agnello di Dio che determina il compimento della nuova alleanza e di tutte le promesse e minacce divine (vedere Apocalisse 7:9,10; 12:17; 14:12; 15:1,2; 17:14; 19:11; 21:9,22,23; 22:1,3). Se il monte Sion (14:1) deve essere definito dall’ermeneutica evangelica come essendo il luogo santo messianico, allora la montagna di Meghiddo deve essere definita negli stessi termini come essendo il luogo della maledizione e della desolazione dell’Anticristo» (Idem p. 222). Scrive il teologo Georges STÉVENY: «Il greco eis ton tipon tradotto con “nel luogo”, può essere anche reso con “nella situazione di”. Questo modo di tradurre non è raro nel Nuovo Testamento (Atti 1:26; Romani 16:23; 1 Corinzi 14:16; Efesi 4:27; Ebrei 12:17). Ci pone dunque alla presenza di un assembramento simile a quello che si ebbe al Carmelo, largamente descritto nell’Antico Testamento (1 Re 18). Al tempo di Elia una scelta cruciale si imponeva tra il vero Dio e i falsi dèi. Sul Carmelo ci fu un celebre e terribile giudizio. Dio riportò una chiara vittoria. Tutti i sacerdoti di Baal e d’Astarte perirono. L’Harmaghedon apocalittico sarà il compimento solenne, la conclusione definitiva, terribile e pertanto meravigliosa, dello stesso conflitto arrivato alla sua fase finale. In breve, noi siamo in presenza di un nome immaginario come segno del confronto tra il Cristo e l’Anticristo accompagnati dai loro seguaci» (Harmaghedon, in Signes des Temps, n. 2, 1976). 1130
Quando la profezia diventa storia
HARMAGHEDON
La tesi di LaRondelle e di tutti coloro che escludono il Medio Oriente come luogo geografico dove si dovranno svolgere anche gli avvenimenti finali della storia è molto interessante e validamente giustificata, ma crediamo che si possano fare delle osservazioni. LaRondelle asserisce: «Esiste pure qui una confusione nella tradizione avventista, si tratta in particolare delle applicazioni delle profezie non ancora realizzate di Daniele 11 e Apocalisse 16» (o.c., principes herméneutique… pp. 14, 15). Riteniamo che sia proprio il testo del profeta Daniele a suscitare delle critiche agli studiosi che vogliono escludere il vicino Oriente quale elemento della fase finale della storia (vedere Harmaghedon nel nostro Capitolo XX). Lo scritto di Daniele pur presentando la transizione dal letterale allo spirituale presenti la fase finale con una chiave di lettura letterale. Daniele 2 indica Nebucadnetsar re della letterale Babilonia, testa d’oro della statua. Ma Babilonia, che si pone in contrapposizione al Regno di Dio, nel corso della storia cambia il nome in Medo Persia, Grecia, Roma sul territorio della quale si spanderà il cristianesimo che nella sua apostasia diventa Babilonia, espressione con la quale è presentato in Apocalisse 17. Il culto al dio solare di Babilonia continua nel cristianesimo facendo della Domenica, “giorno del sole”, il tempo appartato per il culto. L’orgoglio di Nebucadnetsar è espresso nelle parole: «È questa la gran Babilonia che io ho edificato come residenza reale con la forza della mia potenza e per la gloria della mia maestà» Daniele 4:30. La Babilonia escatologica ripeterà la stessa presunzione con le parole di Isaia: «Io seggo regina, non sono vedova e non farò mai cordoglio» (Apocalisse 18:7; Isaia 47:7). L’espressione «Gran Babilonia» usata dal re Nabucco è ripresa da Giovanni per descrivere il potere avverso a Dio nel tempo della fine (Apocalisse 14:8; 16:19; 17:18; 18:2,10,16,18; 19:3). La babilonica statua è confermata da Apocalisse 13 dove i mostro con sette teste, che sale dal mare, riepiloga in se stesso le quattro bestie di Daniele 7, le quali pur essendo distinte (leone, orso, leopardo e mostro innominabile con 10 corna) si devono considerare, in base al testo di Giovanni, come un solo potere che si è presentato in tempi diversi. L’Apostolo presenta il suo mostro per tre volte per indicare le trasformazioni che ha avuto nel tempo l’ultimo regno di Daniele. Il testo di Daniele, più che prestarsi al passaggio dal letterale allo spirituale, presenta la vera natura delle potenze di questo mondo che con nomi diversi sono sempre Babilonia. Crediamo quindi che si faccia violenza al testo di Daniele quando lo si voglia privare del suo valore letterale a favore di quello tipologico. Se nel testo dell’Apocalisse possiamo riconoscere un’intenzionalità teologica e antitipica dell’Antico Testamento e un completamento anche del libro di Daniele, dobbiamo però pure riconoscere che il testo di Daniele, ricco di valore teologico, ha un’intenzionalità letterale, anche se le sue visioni sono presentate con simboli (statua, bestie, corna, venti, giorni, mesi e tempi). Le sue profezie, a differenza di tutte quelle degli altri profeti dell’Antico Testamento, hanno uno specifico senso cronologico e assenza del tipologico anche se dai suoi testi storici (capitoli 1,3,4,5,6) si possono fare delle applicazioni. Le 70 settimane, ad esempio, non sono correttamente spiegabili in una chiave tipologica: l’editto per ricostruire Gerusalemme, la venuta dell’UntoCapo, la distruzione del tempio e di Gerusalemme, l’opera che il Messia compirà sulla terra e nel cielo hanno un valore letterale. Anche il capitolo 7 è cristocentrico. Presenta la superiorità del Figlio dell’uomo, al quale viene dato il regno, che viene messo in contrapposizione all’anticristo, il piccolo corno, che pur presentato con un linguaggio simbolico ha una sua realizzazione letterale nella storia. L’apostolo Paolo, nel riprendere l’insegnamento di Daniele Quando la profezia diventa storia
1131
APPENDICE N. 13
sia di questo capitolo che del capitolo 11, gli conferisce connotazioni letterali: l’empio si manifesterà dopo la caduta dell’Impero Romano, scriverà in termini velati, per prudenza, nella 2 Tessalonicesi 2. Se è vero che quanto l’Antico Testamento diceva a proposito dell’Israele palestinese dovrebbe avere una dimensione a ripercussione più ampia del limitato contesto geografico del vicino Oriente, ciò è dato anche dal fatto che il popolo di Dio, la Chiesa, nel tempo della fine è estesa per tutta la terra. È però altrettanto vero che il testo di Daniele, nel presentare la cronologia della storia, delimita i suoi avvenimenti in un quadro geografico distinto. La storia di Daniele presentata in anticipo non può essere modificata ed avere una realizzazione ed un significato diverso da quella profetizzata anche a seguito dell’incarnazione stessa di Dio, del quale aveva annunciato il momento e l’opera (9:24,26). Se così non fosse, l’anticristo, il piccolo corno di Daniele, l’uomo del peccato di Paolo, non sarebbe un potere distinto, preciso, ma di volta in volta il testo del profeta dell’esilio, anche se non si presta, potrebbe essere adattato alle diverse forze ostili che nel corso dei secoli sono emerse. I tentativi già fatti per identificare l’anticristo in un potere diverso dal Papato non hanno tenuto conto della rivelazione ed hanno quindi travisato il testo biblico. Inoltre Daniele, come abbiamo detto, ha delimitato il territorio profetico entro i confini del quale descrive il sorgere della monarchia universale (vedere il nostro Capitolo VII), tanto è vero che Giovanni in Apocalisse, nel presentare un’altra potenza che eserciterà un’influenza particolare nella storia della salvezza, descriverà il sorgere di un’altra bestia, il cui corpo, come quello delle bestie di Daniele, rappresenta uno specifico territorio geografico (vedere il nostro Capitolo XV) anche se la sua influenza politica, sociale, economica e religiosa travalicherà i suoi confini. Riteniamo che si commetta un errore nel non conferire all’ultima parte di Daniele 11:4045 un valore letterale e geografico, e si tolga al testo biblico l’intenzionalità che il profeta voleva trasmettere. Nel nostro Capitolo XX abbiamo presentato l’identificazione dei personaggi e dei popoli della fase finale della storia nella cornice del vicino Oriente. La propensione a togliere dal quadro profetico escatologico della storia il vicino Oriente crediamo abbia due motivazioni, oltre alle argomentazioni teologiche che vengono date per Harmaghedon. La prima, contrastare gli insegnamenti escatologici non biblicamente sostenibili creduti dagli evangelici fondamentalisti e la seconda, evitare che si ripetano gli errori fatti nel passato durante le due guerre mondiali nel corso delle quali con i carri armati in oriente si prevedevano gli avvenimenti finali. Gli errori dei dispensazionalisti sono quelli di attribuire ad Israele letterale un compito particolare per il tempo della fine. Si attualizzano nel XX secolo le dichiarazioni di Geremia che annunciavano il ritorno del suo popolo dall’esilio di Babilonia, come si è realizzato nel V secolo a.C.. Si crede che, con la costituzione dello Stato d’Israele nel 1948, si sia entrati nell’ultima generazione (Marco 13:30) della storia, fissando per il 1988, dopo 40 anni, la durata di una generazione, la data della guerra di Harmaghedon (Hal LINDSEY, The Late Great Planet Earth, ed. Bantam Books, New York 1973) o/e indicando nel nostro tempo lo scoppio della III guerra mondiale (J.F. WALVOORD, Armaghedon, Oil and the Middle East Crisis, Grand Rapids, Zondervan Books, 1974 pp. 23, 200-206, ed. italiana) e conferendo ad Israele una missione teocratica (Derek PRINCE, The Last World on the Middle East, Lincoln Chosen Books, 1982). I sostenitori di queste posizioni teologiche insegnano anche il rapimento della chiesa, (vedere il nostro Capitolo XXII, nota n. 13) prima delle ultime piaghe, l’annuncio dell’Evangelo tramite il popolo ebraico e lo stabilimento sulla terra di mille anni di pace. 1132
Quando la profezia diventa storia
HARMAGHEDON
Al tempo della prima e della seconda guerra mondiale dei predicatori, adattando il testo biblico alle circostanze belliche del momento, avevano spostato i carri armati dei vari campi di battaglia verso la piana di Esdrailon. Le guerre si sono concluse, Harmaghedon non c’è stata. I commentatori avventisti hanno spiegato gli ultimi versetti di Daniele 11 e la VI piaga di Apocalisse 16 nei seguenti modi: - Dal 1846 al 1871 il re del Nord era identificato con il papato. Harmaghedon era il conflitto tra le forze di Cristo e quelle di Satana. - Dal 1871 al 1903 il re del Nord era identificato con la Turchia. Harmaghedon era il combattimento delle nazioni riunite in Palestina contro il Cristo. - Dal 1903 al 1952 Harmaghedon era il gigantesco conflitto militare tra le nazioni del mondo riunite in Palestina. L’aspetto religioso era minimizzato. - Dal 1952 ritorno parziale alle posizioni precedenti: il re del Nord corrisponderebbe al papato. Harmaghedon conflitto tra Cristo e Satana. In questi ultimi anni anche se si continua a non vedere nel brano di Daniele 11:40-45 tre personaggi: “lui”, l’anticristo; poi il “re del nord” (che generalmente erroneamente gli interpreti l’hanno identificato con il “lui”) e il re del sud; le tendenze crediamo siano quelle di sottrarsi dal dare una spiegazione al testo biblico, di interpretare il brano in chiave tipologica evitando la spiegazione geografica che non ha avuto felici riscontri nel passato. Si presenta il Nord come il potere dell’uomo che s’innalza fino a Dio e il Sud come l’ambizione dell’uomo nel negare la realtà di Dio. Nelle interpretazioni che si offrono si dice che il re del nord, che in numerosi versetti del capitolo 11 rappresenta il sovrano del territorio geografico seleucida, sia l’anticristo e il re del sud, il cui territorio geografico è quello dell’antico Egitto, sia una potenza non identificabile. Non crediamo che, per evitare di ricadere in errori del passato, si debbano percorrere strade che possano eludere il testo biblico. Daniele dalla visione generale della storia del capitolo 2 scende nello specifico nei capitoli successivi. Presenta, fin dalla spiegazione del primo sogno, l’abominazione, l’idolo di questo mondo, il potere dell’uomo che si contrappone a quello di Dio, nella statua tetrametallica presenta il potere/idolo di questo mondo che pur cambiando nome attraverso i secoli, perché cambiano gli imperi, rimane però sempre Babilonia. Nella visione successiva del capitolo 7 presenta la dinastia del potere che, attraverso i secoli, si contrappone al Figlio dell’uomo, per descrivere nel capitolo 8, qualora non sia stato sufficientemente chiaro nel capitolo precedente, che questo potere è di natura religiosa e ha lo scopo di contrastare il Principe dei principi. Daniele presenta il potere dell’uomo che sopprime il perpetuo, il vero culto, ed abbatte il santuario. Il profeta indicare poi, nel capitolo 11, al tempo della fase finale della storia, questa potenza, che è stata un susseguirsi di pontefici attraverso i secoli, con l’ultimo uomo che incarnerà l’abominazione, giungendo alla sua fine nei luoghi geografici, dove il Dio fatto uomo ha dimostrato la sua signoria nel servire e morire per l’umanità, mentre lui vi ha stabilito il suo quartiere generale.
Quando la profezia diventa storia
1133
APPENDICE N. 13
Cap. II: Visione generale della Il popolo di Dio è assente storia
Il futuro Regno di Dio è raffigurato dalla pietra che diventa un grande monte.
Si annuncia che il Regno di Dio è Cap. VII: Un re/regno è il potere Il popolo di Dio è perseguitato. nemico del popolo di Dio. L’investitura del Re del futuro dato ai santi dell’Altissimo. Regno. Cap. VIII: L’Anticristo contrasta Il Popolo di Dio perseguitato Il popolo di Dio si è preparato. il Capo del popolo di Dio. viene purificato con il santuario. Cap. XI: L’Anticristo finale, Cap. XII: Micael il capo del Gli eredi del regno, i salvati l’ultimo, è una persona fisica popolo di Dio viene a liberare risuscitano per ricevere il regno. come i personaggi del capitolo. il suo popolo. Viene vinto senza intervento umano dal Signore che viene.
1134
Quando la profezia diventa storia
Appendice n. 14 Tavole di riepilogo delle spiegazioni date dai principali autori che nella storia hanno commentato i libri di Daniele e dell’Apocalisse
Spiegazione abbreviazioni abom. desol. Abominaz. aC A. e N.T. Aless. Anticr. Antic. fin. Apost.anticr. Apost.in Ch. avv. Batt. metà BPAless. BPGR (BPGR) c CB Ch. Corp. Diab. d. distr. Divis. divis.pres. dopo 2a ven. duran.mell. ebr. EVO Forma gov. gg Gr Imp. Rm Iniz. Assieme It.Ra.Pent. Maom. metà mill. o.g.m.a.
Abominazione e desolazione Abominazione Avanti Cristo Antico e Nuovo Testamento Alessandro Magno Anticristo Anticristo finale Apostasia dell’anticristo Apostasia in Chiesa Avvento Battesimo nella metà della 70a settima Babilonia, Persia e Regno di Alessandro Babilonia Persia Grecia Roma Idem, ma non esplicito Circa Commento alla Bibbia Chiesa Corporazione diabolica Dopo Distruzione Divisione impero romano Divisione presente Dopo 2a venuta Durante il millennio Ebrei Eruli, Visigoti, Ostrogoti Forma di governo Giorni Grecia Impero Romano 70 settimane e 2300 iniziano assieme Italia, Ravenna, Pentacoli Maometto/mussulmani Metà della 70a settimana Millennio Ora, giorno, mese e anno
Periodo ant. Pot. persec. PG PGRA Pre o Post M. Predic.Anticr. Prost. Rg R.Rav.Long. Ra.Grec. Ra.L.R. Rip. eterno Riv. Franc. Rm Sconf.e distr.di G Sette Prot. Success.Aless. t. 3 assogg. 3 sradic. Trip.cor. Ult.piagh. U.O.L. U.pecc. 1-4 pass. v.
Periodo della supremazia dell’Anticristo Potenza persecutrice Persia e Grecia Persia Grecia Roma e Anticristo Pre o Post Millennio Predicazione dell’Anticristo Prostituta di Apocalisse 17 Regno Roma, Ravenna, Longobardi Ravenna, Grecia Ravenna, Longobardi, Roma Riposo eterno Rivoluzione Francese Roma Sconfitta e distruzione di Gerusalemme Sette Protestanti Successori di Alessandro Tempo 3 regni assoggettati 3 regni sradicati Triplice corona Ultime piaghe Unni, Ostrogoti, Longobardi Uomo del peccato Le prime 4 trombe sono passate Verso
APPENDICE N. 14
TAVOLA N. 1 DANIELE: PRINCIPALI SCRITTORI EBREI DELL’ANTICHITÀ E CRISTIANI DEI PRIMI SECOLI DELLA CHIESA Nome
Data
Daniele il profeta Septuagesima Talmud Targum Midrash Gesù Cristo Apostolo Paolo Johanan ben Zakkai Giuseppe Flavio Akiba ben Joseph Barnaba II Esdra Giustino martire Sibilliene Ireneo Clemente Alessandr. Ippolito Tertulliano Giulio l’Africano Origene Cipriano Porfirio Vittorino Concilio di Nicea Lattanzio Eusebio (visione recente) Eusebio Panfili Aphrahat Ilario Atanasio Efraim Cirillo Ambrogio Crisostomo Sulpicio Severo Gerolamo Policronius Isidoro di Pelusium Teodoreto
6°sec.aC
Seconda Risurrevenuta
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37
1136
zione
Daniele 2
Dan. 4
4 Metalli ferro/arg. Pietra/Reg Tempo
letterale B(P-G)4°
divisione
Rg. di Dio
2°sec.aC
t.=anno
C.B. A.D.
B-P-G-R 2 avventi letterale
1° sec. 2 avventi letterale 1° sec.
(B-P-G-R)
c. 100
(B-P-G-R)
d. 132
B-P-G-R
Regno Mess. t.=anno
c. 150 (c. 150) c. 165 2 avventi letterale 3° sec.
B-P-G-R
c. 205 2 avventi letterale
B-P-G-R 10divisione segue divis.
c. 220 d. 236 2 avventi letterale
B-P-G-R c. 240 2 avventi fine mondo (B-P-G-R)
10 regni
2° avvento
10 regni
2° avvento
c. 240 c. 254 quotidiano spirituale
simboleggia tutte le profezie
c. 258 2 avventi letterale c. 304
Prossimo non profezia ma storia
c. 304 enfatizza 325
2 avventi letterale
c. 330 2 avventi letterale (B-P-G-R) divisioni c. 340 c.
2 avventi
c. 350 2 avventi letterale
B-P-G-R
10 regni
B-P-G-R
divisione al 2o avven
Rg. di Dio
368 373
2 avventi letterale
373 386
2 avventi letterale (B-P-G-R)
397
2 avventi letterale
407
2 avventi letterale
c. 420 420
divisioni Rg.di Cristo
(B-P-G) R divis.pres. Rg Futuro 2 avventi letterale
430
B-P-G-R divis.pres. Dopo distruz
spirituale B-P- Aless
450 457
B-P-G-R
Rg. eterno
succes.Aless
B-P-G-R 2 avventi
B-P-G-R
divisioni al 2° avvent
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
Segue TAVOLA N. 1 Daniele 7 4 bestie 10 corna 3 corna Piccolo Corno
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29
Daniele 8 3½ Giudizio Capro 5o Tempi Regno Dio montone Corno
Potenza Periodo di Regno Santi persecutr controllo
B(P-G)4 Divisione
P-G
1 re
4 Identifi- 2300 corna cazione gg. 5o corno 4 divis. re crudele
4 Regni B-P-G-R abom.desol
Al 2° avven.
Roma=4 Roma=4
P-G
(B-P-G) R Regno futuro
Alessan. 4 divis. Antioco
3 sradic terribile
(B-P-G-R) (B-P-G-R)
fine profezia nel 2° avvento
molto breve
2° avvento
B-P-G-R B-P-G-R 10 regni
3 sopp Anticristo 3 ½ anni 2° Avvento
B-P-G-R 10 divis
3 regni Anticristo letterale Regno santi
Anticristo letterale
(B-P-G-R)
P-G
letterale
10 regni periodo esteso tra i 2 avventi regno futuro P-G riempito di enigmi e parzialmente oscure tipo-Antioc
mesi Anticristo
dopo 2ª ven.
3ª= Aless. 4ª=Tolomei/ Seleucidi Antioco (B-P-G-R) 10 divisioni
3 regni Anticristo
(B-P-G-R) dopo Gealasio) (B-P-G-R)
all’Avvento
10 regni 3 distrut Anticristo 42 mesi Regno santi Ch. presente al 2o avvento
B-P-G-R 10 regni 3 distrut
10½ anni al 2o avvento
B-P-G-R Seleucidi
Futuro (B-P-G-R)
10 regni
Roma Roma
al 2o avvento
3 regni Anticristo
(B-P-G) Tolomei e Seleucidi
P-G P-G
Antioco
Anticristo (P-G)
Anticristo
o
30 31 32 33 34
B-P-G-R Divisioni 3 assog Anticristo 3½ anni al 2 avvento
35 36
B-P- Aless
Anticristo
al 2o avvento
3 Anticristo sradicati Antioco
giudizio al 2o avvento
B-P-G-R
1150 g. B-P-G-R 10 design
B-P-G-R
Quando la profezia diventa storia
P.G. P-G
1150 g.
Alessandro Seleucidi
1137
APPENDICE N. 14
37
B-P-G-R Contempor 3 assog Anticristo
segue TAVOLA N. 1 Daniele 9
1 2 3 4
Dan. 11
Daniele 12
1138
Pietro
6000 anni
Babilonia
Tempo abom/desol adempim è adesso a venire
5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36
2 Tessalonicesi 2
70 Ultima Croce 2,3,4 1290 gg. 1335 gg. Ostacolo Uomo settimane settimana Potenza peccato per ebrei Morte metà P-G (2e3) abominazione tagliato via di anni Roma 4ª
Senza legge Anticristo
alla chiusura
Anticristo Persia
Cristo
all’avvento 490 anni
70ª sett.
Roma
Anticristo
all’avvento Roma
durante separata
PGRA
Anticristo Roma
Anticristo
finale Roma finale
490 anni
a Cristo
metà
alla croce
7 anni
letterale
letterale
Roma
Anticristo
Roma
Anticristo
Roma
Anticristo
Roma
Anticristo Anticristo
Conteggio
Roma in ogni Ch.
490 anni 490 anni
7 anni
metà Anticristo finale
Roma
in Chiesa Anticristo
6000
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
37
490 anni
3½ anni
Anticristo Vedere L.E. Froom, o.c., vol. I, pp. 456,457.
TAVOLA N. 2 APOCALISSE: PRINCIPALI SCRITTORI DEI PRIMI SECOLI DELLA CHIESA Nome
Data
1Giovan. 2:8 Apoc. 2,3 Anticristo
1 2 3 4 5 6
Giustino Martire Ireneo Ippolito Sibilliene Tertulliano Origene
7 Cipriano 8 Vittorino 9 10 11 12
apostasia apostata
1° Cristo
c. 240 c. 254
personale
6° fine
c. 311 c. 330 c. 340 373
13 Atanasio 14 Ambrogio 15 Gerolamo
Apocalisse 6, 7 7 sigilli
c. 160 c. 200 d. 236
c. 258 c. 304
Metodio Lattanzio Eusebio Efraim
7 chiese
375 397 420
Apocalisse 11
Apocalisse 8, 9 7o sigillo 7 trom. 5a trom 6a trom
(profezie tra i 2 avventi)
figlio di Satana prossimo (Nerone)
7 Classi coprono l’èra Cristiana
Riposo eterno
descrizione ripetuta dei flagelli
bestia successore Roma disposto 3 spire
7° (reg.)
segue divisioni
Apocalisse 12
Apocalisse 13
2 testimoni 3½ gg. Donna Bam- Dragone 3½temp 1ª Bestia 10 corna 42 mesi 2ª Bestia bino
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
falso profeta
Anticristo Enoc Elia
Chiesa Cristo
Enoc Elia
Roma Chiesa Cristo
letterale
Roma
666
Teitan
Anticristo Lateinos
Roma letterale anticristo 10 regni
Anticristo Lateinos
anticristo Enoc Elia 3½ anni Chiesa Cristo
Roma Letterale anticristo divisione letterale
Chiesa Santi
Quando la profezia diventa storia
Diclux
mistico disfatta
Chiesa
Falso profeta
anticristo
letterale Anticristo
anticristo
1139
APPENDICE N. 14
13 14 15
Enoc Elia
anticristo
segue TAVOLA N. 2 Apoc. 14 Apoc. 16 3 angeli
7 coppe
Apocalisse 17
10 regni
3 4 5
Roma
Apocalisse 21,22 Resurr.
Nuova Gerusal.
Nuova Terra
Pre-mill. 2ª Risurr.
(Roma)
Pre-mill
Roma
Pre-mill
letterale
Anti-mill
Incerto
dopo Durante millennio millennio Rg. eterno Rg. eterno
Roma
ultime piaghe
6
11 12 13 14 15
1000 a.
Pre-mill. 2ª Risurr.
1 2
7 8 9 10
Apocalisse 20
Donna 7 Monti Babilonia 10 corna
Durante Millennio Porte dell’anima
letterale Elia, etc.
ripetuto
Roma
città Rm
Roma Letterale Pre-mill.
2ª risurr.
Durante Rg eterno millennio
Anti-mill
marchio Anti-mill Vedere L.E. Froom, o.c., vol. I, p. 458,459.
1140
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
TAVOLA N. 3 TAVOLA CRONOLOGICA DELLA INTERPRETAZIONE EBRAICA DEI QUATTRO IMPERI E DEL PRINCIPIO GIORNO-ANNO Data 37-100 d.C. 1° secolo c. 50-132 8° e 9° sec. 8° o 9° secolo 882-942
Nome Giuseppe Flavio Johanan ben Zakkai Akiba ben Giuseppe Benjamino ben Mosè Nahawendi Pirke de rabbi Eliezer
10° secolo 10° secolo 10° secolo
*Saadia ben Giuseppe (al Fayyum) Solomon ben Jeroham Sahl ben Mazliah Hakohen Jephet ibn Ali (Halevi)
11° secolo
Tobia ben Eliezer
1040-1105 *Rashi (Solomon ben Isacco) 1065-1136 Abraham ben Hiyya Hanasi 1092-1167 *Abraham ibn Ezra c1195-1270 Nahmanides (Mose ben Nahman) 1135-1204 Maimonides (Mose ben Maimon) 13° secolo Isacco ben Giuda Halevi c1260-1340 Bahya ben Asher 1288-1344 *Gersonides (Levi ben Gershon) c1310-1380 Hayyim Galipapa 1310-1385 Menahem ben Aaron ben Zerah 1361-1444 Simon ben Zemah Duran 15°-16° sec. Abraham Saba 1437-1508 Don Isacco ben Giuda Abravanel c1460-1530 Abraham Halevi ben Eliezer 1494-1539 *Giuseppe ben Davide ibn
Luogo di residenza Palestina - Roma Palestina Palestina Persia Palestina, Siria o Asia Minore Gaon di Sura, Babilonia Gerusalemme Palestina Palestina
BulgariaPalestina Francia Spagna Spagna Spagna
Interpretazione Quattro imperi = B-P-G-R Quarto impero = Roma Quattro imperi e giorno-anno 1290 e 2300 = giorno-anno Quattro imperi e pietra messianica Quattro imperi; 490, 1290, 1335, 2300 (:2=1150) = giorno-anno 1290 e 1335 = giorno-anno 1290, 2300 = giorno-anno Quattro imperi: ferro e argilla = Romani e Arabi; pietra = Messia; piccolo corno = Mussulmani; 2300 sere-mattine (÷ 2) = 1150 giorno-anno; 70 settimane = 490 anni 1335 = giorno-anno Quattro imperi: 3½ tempi, 70 settimane, 1290, 1335, 2300 = giorni anno 1290, 1335, 2300 = giorno-anno Quattro regni;70 settimane = 490 anni 70 settimane,1290,1335,2300=giorno-anno
Spagna ed Egitto Roma = quarta monarchia Francia Spagna Francia Spagna Spagna Spagna e Algeria Spagna Portogallo e Spagna Spagna,Palestina Italia
1290, 1335 = giorno-anno 1290, 1335, 2300 (÷2) = giorno-anno Quattro regni; 1290, 1335 = giorno-anno Tutti adempimenti storicamente passati 1290, 1335 = giorno-anno 1290, 2300 = giorno-anno Quattro regni Quattro imperi; Piccolo Corno = Papato; 1290,1335,70 settimane,2300=giorno-anno 1290, 1335, 2300 = giorno-anno Quattro imperi; 2300 = giorno-anno
Germania
1335 = giorno-anno
Turchia e Polonia Italia
1335 = giorno-anno
Yahya
16° secolo
Naphtali Herz ben Giacobbe Elhanan c1512-1585 Naphtali Herz ben Giacobbe Elhanan c1527-1585 Mordecai ben Giuda Dato Quando la profezia diventa storia
Quattro imperi; 1335 = giorno-anno
1141
APPENDICE N. 14
c 1550 Daniele ben Perahiah 1604-1657 Manasseh ben Israel
1335 = giorno-anno Quattro regni; illustrati da Rembrandt
Olanda
* oltre a sostenere il principio giorno-anno, presentano Roma come IV potere mondiale
Vedere L.E.Fromm, o.c., vol. II, p. 194.
TAVOLA N. 4 DANIELE: PRINCIPALI SCRITTORI NEL PRIMO MEDIOEVO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Nome
Data
Agostino Gregorio I Andreas “Sargis d’Alberga” Nahawendi * Eliezer * Venerabile Bede Berengaudo Walafrid Haymo Jehoram * Hakohen * Jephet ibn Ali * Saadia * Rupert di Deutz Valdesi Rashi * Abraham bar Hiyya * Bernard (il veggente) Abraham ibn Ezra * Peter Comestor Gioacchino da Fiore “De Semine” Eberhard II (Salisburgo) Pseudo Gioachino Tommaso d’Acquino Arnaldo da Villanova
430
28 Pietro Giovanni d’Olivi 29 Ubertino di Casale
Daniele 2 4 Metalli
Ferro/Argilla Pietra Regno
Tempo
(B-P-G-R)
Ch. Cattolica
presente
604
Chiesa
7o sec.
B-P-G-R
7o sec.
B-P-G-R
molti regni
o
8 -9o sec. 8o-9o sec.
B-P-G-R
Rg. messianico
735
(B-P-G-R)
Chiesa
9o sec.
(B-P-G)R
849 853 10o sec. 10o sec. 10o sec.
B-P-G-R
942
B-P-G-?
Roma e Arabi Rg. messianico
12o sec. 12o sec. 1105
B-P-G-R
divisioni
Rg. Messianico
1136 1153 1167
B-P-G-R
1178
B-PG-R
Roma e Islam Rg. messianico divisioni
Regno di Dio
futuro
1202
BPGR Saraceni
regni finali
Celeste
futuro
1205 1246 c. 1248 1274 1292
B-P-G-R (proclama 2300 g/a alla sera di questa epoca e al mattino della prossima
1298 1305
* Ebreo
1142
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
segue TAVOLA N. 4 Daniele 7 4 Bestie
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 21 22 23 24 25 26
B-P-G-R
10 corna 3 corna Regni
Daniele 8
Piccolo 3½ Giudizio Corno Corno 2300 giorni corno Tempi Regno Dio cospicuo grandissimo Anticristo 3½ anni Regno eterno . Anticristo
B-P-G-R
(Anticris.)
B-P-G-R divisione
Falso Mess
giud. univers 2300 anni
B-P-G-R B-P-G-R
3 sovrani Anticristo
(B-P-G)R
elencati
B-P-G-R
10 re
Tito
B-P-G-R
10 troni
Mussulm.
B-P-G-Gog
10 re
re crudele
10 Rg. Rm
Tito
incerto 2300 anni Mussulmani
letterale 2300 anni:2
B-P-G-R 4o=Ch.Rom B-P-G-R
=1335 anni
anni + anni al 1468
B-P-G-R 10 Divis.
3 Re
Giud-Rom Regni Arabi Sarac. futuri
Anticristo 3½ anni Anticristo no Antioco
Alessandro 23 sec.da Dan
(B-P-G)R
Indicati Nominati
B-P-G-R
10 regni 3 regni
Papato Anticristo 1260 anni
27 28 29
Quando la profezia diventa storia
Anticristo 3½ anni santi eternità
1260 anni
Anticristo Antioco e letterale Anticristo 2300 anni da Daniele al 15° secolo anni 2000 aC. anni 2000 aC
1143
APPENDICE N. 14
segue TAVOLA N. 4 Daniele 9 70 Settimane
1 2 3 4 5 6 7
Ultima Settimana
Dan 11 Croce
Abominazione
14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 1144
1335 gg
alla croce
2Tessalonicesi 2 Ostacolo Roma (?)
Uomo peccato apost.Ch. Anticristo
69 sett. a Cristo anni al 1358 475 anni solari
battesimo metà
alla fine
letterale
8 9 10 11 12 13
Daniele 12 1290 gg
2° avvento
Anticristo
all’avvento Roma o Ch Anticristo
anni
d. Anticristo
+ 45 gg
1290 anni
1335 gg.
Corpo diabolico
1290 anni anni sabbatici a Tito 490 anni dall’esilio
letterale
letterale
1290 anni
1335 gg. Ch. Papale
490 anni
anni dal 62 dC
anni al Messia anni al 1358 anni al 1403
settimane di anni sabbatici
Anticristo 490 anni
incerto
incerto dubbioso
Anticristo Rm bestia
da Daniele al 16o secolo Papato = Papa 475 anni solari anni a Cristo Settimana di anni
alla fine Anticristo caduta Gerusalemme
3½ anni
= anni Anticristo anticristo = 1260 anni
Anticristo Anni (dal 46 anni dopo la croce al 14° secolo) anni al pseudo Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
7°Stato
Papa
= 1260 anni
29
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. I, pp. 894,895.
TAVOLA N. 5 APOCALISSE: PRINCIPALI SCRITTORI NEL PRIMO MEDIO EVO Nome 1 Ticonio 2 Agostino 3 4 5 6 7 8
Primasio Andrea Gregorio I Beato Bede Venerabile Berengaudo
9 Walafrid 10 Haymo 11 12 13 14
Areta Adso Berengario Rupert di Deutz
15 Valdesi 16 Bruno di Segni 17 Bernardo (Clairvaux)
Data I Giov. 2 8
Ap. 2, 3
Anticristo
7 Chiese
c.380 Posses.Diav. d.430
apostasia
Apocalisse 6, 7 7 sigilli
Apocalisse 8, 9
7° sigillo 7 trombe 5ª trom. 6ª trom.
(Ricapitolazione della teoria applicata ad Apocal.20) Città di Dio
Regno di Dio - fatti politico-religiosi presenti
città d.mondo
d.560 da Daniele 7°sec dall’Eufrate
èra crist.
d.604 da Daniele
Anticr. imminen. - prossima fine
8°sec regal.sacerd.
Saraceni
c.716 da Babilonia al 2°avvent èra crist. Rg. eterno defezioni 9°sec
Eretici
chiesa gen.
dalla creazione dai Primi martiri all’èra dei Gentili patriarchi Padri d.849 èra apostasia Intr.trombe 1-4 pass. Anticristo 3½ anni cristiana nella Ch d.853 da Daniele 6°ultima Anticristo tribolaz. d.860 Imperat. fut. gener.segue Arethas d.992 da Daniele d.1088
Roma sede di Satana
12°sec personale
(nuova trattazione dell’Apoc. inizia nell’A.T.)
12°sec Ch. romana d.1123 (come Haymo e Bede) apostasia d.1153 antipapa (futuro Anticristo nella
Chiesa)
18 19 20 21
d.1158 Anselmo Riccardo (S.Vittore) d.1173 d.1178 Peter Comestor Gioacchino da Fiore d.1202
22 23 24 25 26
Innocenzo III
7 ere
paradiso
èra crist. èra crist.
èra crist.
da Daniele quasi Papa
èra cristiana parall. 2ª èra parallela
AT
Èra crist.
Catari 7ª pace 150 anni?
d.1216
Eberardo II Salisburgo d.1246
Papato
c.1248 federaz. ect
Pseudo Gioacchino Grosseteste Robert d.1253 sistem.papal Tommaso d’Acquino d.1274 Giudeo da
Quando la profezia diventa storia
(fine)
7ª=risurr
1145
APPENDICE N. 14
Babilonia d.1280 27 Alberto Magno 28 Arnaldo da Villanova 1292 person.futur
29 30
Jezebel = Islamismo
precursori dell’Anticristo
èra dopo1290 L’Anticristo viene prima del 6° cristiana anni sigillo èra èra giubileo èra Chiesa rovesciaPietro Giov.d’Olivi d.1298 Ch. romana cristiana cristiana cristiana carnale mento Ch Ubertino di Casale 1305 Bonifacio VIII
segue TAVOLA N. 5 Apocalisse 11 2 Testim
3½ gg 3½ anni
1
Apocalisse 12 vera Ch. membri
3
Enoc -Elia
4
Uccisi in Gerusalem Enoc -Elia Pers.assogg.Anticr.
2a bestia
666
Corpus falsi sacerd. diaboli Città senza Anticristo ? Dio Anticristo Simon 1225 gg. Mago Anticristo Falso agnello profeta iniquo
3½ anni
Chiesa
Diavolo
Chiesa
Cristo
Chiesa
Cristo
3½ anni
3½ anni
Corpus Anticristo Titano diaboli Anticr. infed. Predicat.antic Sconosc. Anticristo
apost.Anticr
Anticristo apost. Antic.
Titano
Bab.(Sarac.) 3½ anni Chiesa
arianesimo
(vera Ch. implicita) 3½ anni
Chiesa
Figli-Ch
Maria vergine
Cristo
Chiesa
Cristo
Ch. romana Anticristo Erode (Luna=Chiesa)
Anti-papa
pagano
Falsi fratelli
(testa Anticr.)
Enoc –Elia 2 ordini 3a èra
22
1146
1a bestia
Chiesa
18 19
23 24 25 26
350 anni
Sat.=Roma
Enoc Elia
8 Minist.cris 9 10 Enoc -Elia 11 Enoc -Elia 12 Enoc -Elia 13 14 15 16 2 Testam. 17
20 21
Satana
Sconfitto al I avv.
2
5 6 7
Apocalisse 13
Donna Bambino Dragone 3½ tempi
3½ anni (42 mesi= Ch.intera 3½ tempi)
Cristo
Diavolo 1260 ann = Combin.be- Falsi profeti Indefinito 42 mesi stie di Dan. Anticristo Maometto (anche Uomo anni fino a del peccato e. Anticristo) Maometto Feder. ect 1260 anni
Enoc -Elia
Indefiniti Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
Periodo ant Ch.Maria
27 28 29
Enoc -Elia
30
Enoc -Elia anche Frances
Cristo
Anticristo prediac.anticr
Satana
Maometto
Enoc -Elia
3½ anni
Chiesa
Cristo
1260 anni
Sovrani secol. Bonifacio VIII
falsi profeti Immag.=
Apocalisse 20
Ap. 21,22
1260 anni
e Domenicani
pseudo papa
monaci Benedetto Benedettini
segue TAVOLA N. 5 Apocal. 16 7 piaghe
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29
Apocalisse 17 Donna
Bestia
Babilonia
1000 anni
1 Resurrez Eventi finali
Ch.mondan
Ch.Romana
350 anni
spirituale
Nuova Gerusalem. avv. nel 381 Ch. attuale
Ch.mondan
Città Roma
tra i 2 avv.
spirituale
Antic. 3½ an
Chiesa att.
Agostiniano Agostiniano Roma
Anticristo
Incerto
appare l’Antic.
Agostiniano Agostiniano appare l’Antic. tempo Anticr.
il perduto testa=ant. Roma pagan
Agostiniano Dannato
testa=ant.
Ch.romana
Grazia celeste
spirituale
Agostiniano Agostiniano èra agostiniana
viene l’Antic.
non agostiniana Incerto
incerto
Ch.romana
èra cristiana Repubblica come Repubblica bestia in Ch. Romana Daniele Romana
7° periodo 3ª èra
Satana sciolto Ch.contemp Gog e Magog
Papato Ch. romana Agostiniano
Spirituale
monte. Ulivi
Agostiniano bestia in Rm Ch. romana
Quando la profezia diventa storia
Ch. Romana Satana legato
Satana sciolto
1147
APPENDICE N. 14
30 Vedere L.E. Froom, o.c., vol. I, pp. 896,897.
TAVOLA N. 6 DANIELE: PRINCIPALI SCRITTORI PRIMA DELLA RIFORMA Nome
Data
Daniele 2
Daniele 7
Statua Pietra
1 2 3 4 5 6 7
Dante Alighieri Nicola de Lyrs Michele di Cesena Giovanni di Rupescissa Francesco Petrarca Giovanni Miliz Iohn Wycliff
c.1310
8 9 10 11 12 13 14
Matthias of Janow R. Wimbledon John Purrey Walter Brute Giovanni Huss Nicola di Cusa Girolamo Savonarola
c. 1388
Daniele 8 becco
1 2 3 4 5 6 7 8 1148
capro
2300 gg
10 corna 4a bestia
Piccolo 3½ tempi corno
c.1310 c.1331 c.1345 c.1350 c.1367 c. 1379 BPGR
BPGR
gover. tempor.
papa
molti secoli
Roma
1260 anni
c. 1389 c. 1390
3½ secoli
c. 1393 BPGR Cristo BPGR c. 1412 c. 1452 c. 1497
Daniele 9 70 settimane
Daniele 12 1290 gg
1335 gg
anni
anni
Anticristo
papa papa - 13 P
G
anni implicati
papato papa gerarchia
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
anni da Tito
9 10 11 12 13 14
anni anni
anni
anni
papa papato papa
559aC-1750dC anni
papa Vedere L.E. Froom, o.c., vol. II, p. 156.
TAVOLA N. 7 APOCALISSE: PRINCIPALI SCRITTORI PRIMA DELLA RIFORMA Nome
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
Data
Dante Alighieri Nicola de Lyrs Michele di Cesena Giovanni di Rupescissa Francesco Petrarca Giovanni Miliz John Wycliff Matthias of Janow R. Wimbledon John Purrey Walter Brute Giovanni Huss Nicola di Cusa Girolamo Savonarola
Apocalisse 12 Dragone Donna
1 2 3 4 5 6
Matteo 24:15 2 Tess. 2 Apoc. 2, 3 Apoc. 6, 7 abom. desolaz uomo pecc. 7 chiese 7 sigilli
Apoc. 8, 9 7 trombe
c.1310 c.1310 c.1331 c.1345 c.1350 c.1367
Papato
Papato
c. 1379
Papato
Papato
c. 1388 Caduta Chiesa Ch.contemp. c. 1389
Apostasia
Papato
Èra Ch.
c. 1390
Èra Ch.
c. 1393 Vesc. di Roma
Papato
c. 1412
Papato
Papato
10 gior/anni
Èra Ch. 150 anni
c. 1452 c. 1497
Papato
Apocalisse 13
3½ tempi 1a Bestia 2a Bestia 42 mesi 1260 gg
Èra Ch.
Apocalisse 17 666
Apocalisse 20
Bestia Babilonia Prostituta
Roma
Millennio
Ch. Romana
42m 3½ t
Agostiniano Ch:di Roma Ch.Roma Ch. di Roma corte Papale
. Quando la profezia diventa storia
1149
APPENDICE N. 14
anni impieg.
7 8 9 10
Papi
gerarchia
lungo Papato Gerarchia Papa periodo. Vera da Cesare a Imp.Rm Pontificia Dux Cleri Chiesa Federico II Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Vera Ch.
11 12 13 14
Papato Papato
Mussulm.
Agostiniano
Maometto
Apost.Ch
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. II, p. 157.
TAVOLA N. 8 DANIELE: PRINCIPALI SCRITTORI DEL TEMPO DELLA RIFORMA Nome
Data
1Giovanni 2:18 Anticristo
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 1150
1522 Papato Martin Lutero Œcolampadius Johann 1530 Papato-Uomo pecc. Melanchthon Philipp 1543 Papato-Maometto Papato Osiander Andreas 1545 1545 Papato-Uomo pecc.- Bestia Joye George 1547 Chiesa di Roma** Knox John 1550 Papato Bale John 1553 Papato Latimer Hugh Papato von Amsdorf Nikolaus 1554 1554 Papato Ridley Nicholas Papato Bullinger Heinrich 1557 1558 Papato Funck Johann 1560 Papato Solis Virgil 1562 Papato Jewel John c.1563 Papato (anche Prostituta.) Formulas Anglican 1570 Papa - Turchi Nigrinus Georg 1572 Papato Chytraeus David Selnecker Nikolaus 1579 1582 Papato Cranmer Thomas Futura infedeltà Ribera Francisco * 1590 1593 Papa Napier John 1593 Futuro Giudeo Bellarmino Roberto* 1601 Futuro Viegas Blasus * **** Malvenda Thos. * 1604 Futuro Giudeo
Matt.14:15
Daniele 2
abom.desol. 4 metalli ferro/argill Papato
Pietra
B-P-G-R Regni moder. Rg di Cristo B-P-G-R Regno di Dio B-P-G-R Regni moder. Rg Messian.
Trad.Papale (B-P-G)R
divisioni
B-P-G-R
divisioni
Eterna
Papato Trad.Papale Papato
B-P-G-R Papato futuro Regno
B-P-G-R
Roma ***
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
25 Brightman Thomas 26 Pareus Davis * ** *** ****
1614
Papa
1618
Papa e Turchi
(B-P-G)R
Futuristi (anche Uomo del peccato, Babilonia, Prostituta) Non ancora diviso, Anticristo non ancora venuto Sconosciuto, alla fine del tempo
segue TAVOLA N. 8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25
Daniele 7 Piccolo corno .
4 bestie
10 corna
B-P-G-R
elencate
B-P-G-R
elencate
Papato
B-P-G-R
elencate
Mussulmani
(B-P-G)R B-P-G-R
confuso
Daniele 8 Montone Piccolo QuotiCapro corno diano dopo divis. P-G Papato Giudizio
caduta Pap.
P-G
Papato
2300 gg
letterale
Papato Elencate
Papato
B-P-G-R caduta di Rm
Papato
(B-P-G)R
Papato
B-P-G-R
3½ tempi
P-G
divisioni
(B-P-G)R (B-P-G)R
Papato
(B-P-G)R
Papato
evangelo
B-P-G-R
Papato
adorazione
(B-P-G)R
Papato
B-P-G-R
elencate
(B-P-G)R B-P-G-R (B-P-G)R
412-1672
Turchi
P-G
futuroAnticr Letterale elencate
divisioni
Quando la profezia diventa storia
letterale
1260 anni Unico re
(B-P-G)R
Giustiniano
Papato
4ª Satana B-P-G-R
Papato
Papa/Turchi 1260 anni Papato
elencate
1260 anni
Papato
giorni lett.
letterale
messa
lett. futuro
messa
anni
1151
APPENDICE N. 14
26
Segue TAVOLA N. 8
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 1152
Daniele 9 Croce 70 settimane 1 settimana anni (2o Dario) 34-41 inizio anni
Daniele 11 Re re del malvagio Nord Papato Papato
lungo periodo
Anni (2°Artaserse)
Daniele 12 1290 gg 1335 gg
6000 anni
37-1372
fine vicina
37dC.1372
Anticristo metà
Papato
Papato Turchi
Anni in relazione alla fine
Papato
anni alla fine
fine vicina fine vicina
Ciro – anni
fine vicina
457 a.C-34 d.C
-34
fine
457 a.C-34 d.C
-34
fine
Papato 261-1550
261-1595
anni
anni
anni
365-1700
Letterale Futuro
Letterale Futuro anni al
Papato Papato 456 a.C-34 d.C
fine
anni (2° Artaserse)
Papato Papato
490 anni 490 anni Settimane di anni
Antioco
fine c. 1700
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
giudizio.
24 25 26
Turchi
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. II, pp. 528,529.
TAVOLA N. 9 70 SETTIMANE INTERPRETAZIONI
PRINCIPALI Data di Pubblic azione
Autore
70 settim. inizio fine
PROTESTANTI
Basi della cronologia
Nessuna data dal 2o anno di Dario Longimane al 7o anno dopo la crocifissione Nessuna data dal 2o anno di Longimane a 3 ½ anni dopo la crocifissione - 1 d.C. dal 32o anno di Dario Istarpe alla nascita di Cristo Nessuna data Dal 1o anno di Ciro a 3½ anni dopo la croce Nessuna data Dal 1o anno di Ciro a 3½ anni dopo la croce 457-34 Olimpiadi; Tolomeo
1530
Lutero
1543
Melantone
1558
Bibliander
1561
Calvino
1561
Calvino
156470
Funck
1570
Nigrinus
456-34
1576
Bullinger
1583
Scaliger
458-33? 457-34? 424-70
1627
Petavius
455-(36)
1643
Mede
1650
Ussher
454-(37)
1670
Labbe
454-37
421-70 417-74
Quando la profezia diventa storia
Segue Funck; Ignora l’assenza dell’anno 0 nella sottrazione. Segue Funck piuttosto da vicino; anni non esatti Tolomeo; i 490 anni + 3½ anni contati a ritroso dal 70 d.C. Tolomeo;20° anno dalla coreggenza supposta di 10 anni Tolomeo; Distruzione del tempio alla fine, o preferibilmente a metà, delle 70 settimane Abbandona Tolomeo; Sposta il regno di Artaserse 9 anni prima Tolomeo; chiama lo spostamento coreggenza
Osservazioni Date inesatte o incomplete Date inesatte o incomplete Date inesatte o incomplete Date inesatte o incomplete Date inesatte o incomplete Dal 7° anno di Artaserse alla croce; Olimpiadi dal 775/4 aC. Dal 7° anno di Artaserse alla croce; Olimpiadi dal 775/4 a.C. Dal 7° anno di Artaserse alla croce; Olimpiadi dal 775/4 a.C. Basato sul 70 d.C. 20° anno dal trasferimento di Artaserse Basato sul 70 d.C. 20° anno dal trasferimento di Artaserse 20° anno dal trasferimento di Artaserse
1153
APPENDICE N. 14
1702
Whiston
(1713) Lloyd
445-33+ 445-70
171518
Prideaux
458-33
1733
Is. Newton
457-34
1754
Blair
458-33
1756
Ferguson
457-33
1768
Petri
1787
Wood
420-70
1799
Hales
420-70
454/3?-37?
Tolomeo; 360- giorno anni; 70a sett. inizia 33 A.D. Tolomeo; 360-giorno anni; lacuna (32-63) tra la 69ª e la 70ª sett. Tolomeo;33 croce dal calendario rabbinico
20° anno di Artaserse; 360-giorno anni. 20° anno di Artaserse; 360-giorno anni. Dal 7° anno di Artaserse alla croce
Tolomeo; Olimpiadi; dal supposto avvento dopo Artabanus Tolomeo; tavole complete; come Prideaux Tolomeo; calcolo astronomico; anno 0 quindi 457 = 458 di Prideaux Ignora la cronologia secolare come incerta; 453 anni prima della nascita di Cristo Come Scaliger, Mede; sorvola assenza dell’anno 0 Tolomeo; segue Scaliger, Mede, Wood; sorvola assenza anno 0
Dal 7° anno di Artaserse alla croce Dal 7° anno di Artaserse alla croce Dal 7° anno di Artaserse alla croce Croce + 3½
Basata sul 70 d.C. Basato sul 70 d.C.
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. II, p. 430.
TAVOLA N. 10 APOCALISSE: PRINCIPALI SCRITTORI DEL TEMPO DELLA RIFORMA Nome
1 2 3 4 5 6 7
Lutero Martino Melanchthon Philipp Osiander Andreas Tyndale William Hooper John Bale John Amosdorf von
8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Ridley Nicholas Flacius Matthias Bullinger Heinrich Funck Johann Solis Virgil Conradus Alfonsus Jewel John Nigrinus Georg Chytraeus David Cranmer Thomas Foxe John Ribera Francisco * Napier John
Data
2 Tessalonicesi 2
1522
Uomo peccato Papato
1543
Papato
1545
Papato
Apoc. 2,3
Apocalisse 6,7
ostacolo
7 Chiese
4 cavalli
Impero Rm
letterale
Tormenti
Apoc. 8,9
6o sigillo 4 trombe
Impero Rm
1550 Papato (anche Anticr., Piccolo corno) 1550 Anticr. e abominaz. della desolazione 4° papato 1550
Papato
èra cristiana apost. Ch.
giudizi
7 età
1554
Nicholaus
1154
1554 1556 Papato (anche Anticristo con Turchi) 1557
Papato
1558
Papato
Rm pagana èra cristiana
calamità
1560 1560 Papato (anche Anticr., piccolo corno) 1562
Papato
Rm pagana
1570
Papato
Rm pagana
1572
Papato
1582 1587
Papato
apost. pap
Vescovo di Roma (anche Anticristo)
1590 1593
calamità
1ª tribolaz Anticristo Punizione Papato
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
21 Bellarmino Roberto* 22 Viegas Blasius * 23 de Alcazar Luis **
1593 non venuto 1601
Roma
Anticristo futuro
24 Brightman Thomas
1614 Ap.1-11; rigetto giudei e distruzione di Gerusalemme 1614 Papato Rm pagana 7 periodi
25 Parsus David
1618
Papato
26 Cornelio di Lapide* 27 Cretius Hugo **
1620
Futuro
28 Hammond Henry **
1653
1640
tutti sigilli futuri
Trombe
prima crescita Ch.
Giudizio
Tutti prima di Costantino coprono l’èra cristiana tutti sigilli futuri
Barbari sigilli Trombe
Ia guerre Roma-Giudea
Apocalisse 1-11; sconfitta e distruzione di Gerusalemme
prima
* Futuristi ** Preteristi
segue TAVOLA N. 10 Apocalisse 8,9 5a tromba
5 mesi
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Apocalisse 11
Apocalisse 12
6a o.g.m.a 2 42 mesi Donna tromba testimoni Mussulm Ch.pura .
Dragone
Apocalisse 13
1260 gg 42 mesi
1a bestia Imp.Rm
anni
Papato
42 mesi anni (Foca)
Papato Papato al giorno del Giud.
anni
Papato Papato Papato
A e N.T.
10 11 12 13 14 15 16 17 18 19
Saraceni
20
Maomet.
Turchi
anni
martiri
Rm.pag
AT-NT
diavolo 261-1521 Papato Chiesa
nella
Papato
Anni 606-
Papato
Chiesa
anni
Papato
1260 a.
Papato vera Ch.
441-1701 Rm.pag
Mussulm vera Ch. Persec.Ch letterale Chiesa sott/Antic
10511201
Turchi c. 1300
Quando la profezia diventa storia
1260 a.
Imp.Rm
AT-NT
Vera Ch
Rm pag Satana
lett.Fut. anni 316- ult.imp.
lett. 1260 a.
1155
APPENDICE N. 14
21 22 23 24 25 26 27
Enoc/Elia
futuro del Giudaesimo (Apocalisse 12-19 cristiani distruzione Roma pagana) Saraceni 630-780 Turchi 1300- cristiani 1696 paralleli Conquist. Mussual. tutte
lett. letterale letterale
fut.Ant. Ch. apostol. pura Ch
Rm pag 1o papa
anni
anni
Rm pag 606-1866 Papato
future
fut.Ant.
della caduta di Gerusalemme (Ap. 1220 vittoria di Cristo su Roma pagana)
Paganes.
Domiz.
Rm pag
Domiziano
Rm pag
28
segue TAVOLA N. 10 Apocalisse 13
1 2 3 4 5 6 7 8 9
2a best.
666
Papato
anni (Gregorio)
Apocalisse 17 Babil.
Bestia
Apocal. Apocal 20 21,22 10 corna 7a testa 1000 a. N.Ger
5a papato Papato Papato Nazioni
Romith
Agostin.
Papato
Tescher Romith sottomiss
Papato Papato
Roma
elencati
Papa
Papato Papato Prelati
Nome
Papato Papato
Roma
Papato Papato
Papato
Adorat.
Papato Papato Imp. Rm
Fedeltà
Papato Papato
Anni
Nazioni Papato
Papato
Papato
Papi
Lateinos
10
Rm pap 97-763
11 12 13 14 15
Papato
16 17 18 19
Apocal. Apocal. 14 16 Marchio 3 angeli 7 piaghe Prost.
anni
Compor. 5a Rom Ch.Rm Papato pratico Papato Papato
Agostin.
5a papato Papato Papato nome
pre-mill
Papato Papato Nazioni Predic.
Papato Papato
Roma
Rm pap Ch.latin a
Papato Lateinos
Roma
Agostin.
Papato Papato Vesc.Rm Romanus
1156
nome Anticr.
Agostin. Rm pagana & futura apost. 10 regni
Croce Anticris.
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
20 21 22 23 24
Papato Lateinos
obbedien
Papato Papato Ult..imp
Lutero saggezza carnale ultimo papa
Rm pag
Papi
Agostin.
10regni
Rm pagana & futura apost. 10 regni
Reg.santi
Rm pag Rm pag
Reg. catt Ch.catt
predicaz
retribuz Papato Papato
predicaz
giudizi
Papato
Rm pagana e futura apost.
25
Potere Lateinos .spirit.
26 27
Precurs Traino
Future
cultura magica
tribulaz Rm pag Rm pag Rm pag
Re
28
sacerdoz.
Rm pag Rm pag
Regni
Impero
Regni
Papi
Agostin. N.terra
Papi
Agostin.
311-1311 Costan. Tito
Agostin. Costan.
pagano
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. II, p. 530,531.
TAVOLA N. 11 DANIELE: PRINCIPALI SCRITTORI DEL TEMPO DELLA POST-RIFORMA Nome
Data
1 Giov. 2:18 Anticristo
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18
James I of England Downham George Pacard George Broughton Hugh Mede Joseph Tillinghast John More Henry Sherwin William Beverley Thomas Jurieu Pierre Cressener Drue “Mysteries…Finished” Lowth William Cocceius Johannes Fleming Robert jr. Giblehr Georg Her. Whiston William Horch Heinric Quando la profezia diventa storia
1600 1603 1604 1607 1631 1655 1664 1670 1684 1687 1689 1699 1700 1701 1701 1702 1706 1712
Daniele 2 4 metalli
Pietra
(B-P-G)-R
Regno di Cristo
Papato Papato Papato B-P-G- successori di Alessandro Papato
B-P-G-R
Regno di Cristo
Papato
B-P-G-R
Regno di Cristo
Papato
(B-P-G)-R
Papato
(B-P-G)-R
Regno di Cristo
Papato
(B-P-G-R)
Regno di Cristo
Papato
B-P-G-R
Regno di Cristo
Papato Papato Papato (Bestia, Uomo del pecc.) Papato
B-P-G-R
Papato Papato Papato Papato
B-P-G-R
Regno di Cristo
1157
APPENDICE N. 14
19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35
Sir Newton Isaac Th. De Bionens Crinsox Bengel Johann Al. Berlenberg Bible Willison John Newton Thomas Petri Johann Ph. Purves James R. M. Wood Hans Thube Christian G. Bicheno James Bell George Simpson David King Edward Valpy Richard de La Flechere Jean G.
1727 1729 1740 1743 1745 1754 1768 1777 1787 1787 1789 1793 1795 1797 1798 1798 1800
Papato
B-P-G-R
Regno di Cristo
Papato
(B-P-G-R)
Regno di Cristo
Papato
B-P-G-R
Regno di Cristo
(B-P-G-R)
Regno di Cristo
Papato
B-P-G-R
Regno di Cristo
Papato
B-P-G-R
Papato Papato Papato
Papato (Papato) Papato
Papato (Babil.) Papato (Bestia) Papato
(B-P-G-R)
Papato Papato
B-P-G-R
segue TAVOLA N. 11
4 bestie
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
(B-P-G)-R
Divisione
3½ Tempi
Papato
1260 aa. alla fine
(B-P-G-R)
elencati
Papato
1260 anni (600-)
(B-P-G)-R
divisione
Papato
1260 anni
Re
Antioco
(letterale)
Papato
1260 anni
B-P-G-R
elencati
B-P-G-R
Papato
396-1656
(B-P-G)-R
divisione
Papato
1260 anni
(B-P-G)-R
divisione
Papato
1260 anni
(B-P-G-R)
Regni
Papato
437-1697
B-P-G-R
Regni
Papato
454-1714
(B-P-G)-R
Regni
Papato
Giustiniano c.1800 425-1685
12 13 14 15
(B-P-G-R)
16 17
(B-P-G-R)
1158
Daniele 7 10 corna Piccolo corno
(B-P-G-R) B-P-G-R
elencati
B-P-G-R
B-P-G-R
Regni
Papato
606-1866
Papato
1260 anni
Papato Papato
Giustiniano -1794 1260 anni
Papato
606-1866
Daniele 8 Montone Capro
p.p. Grande corno Papato
Papato=2a bestie con 2 corna di agnello, Apocalisse 13
Bestia; Babilonia;Uomo-peccato 2300 anni per il Santuario
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35
B-P-G-R B-P-G-R
elencati
Papato
(Anni)
P-G
Papato
1260 anni
P-G
Roma
1058-1836 c. 410(B-P-G-R)
divisione
Papato
B-P-G-R
Regni
Roma Occid.
533 o 606
Turchi
587-1847
(B-P-G-R)
Papato Francia 10ª parte della città P-G
Roma
P-G P-G B-P-G-R
Papato
B-P-G-R
divisione
Papato
620-1880
B-P-G-R
divisione
Papato
529-1789
(B-P-G-R)
divisione
Papato
537-1797
(B-P-G)-R
divisione
Papato
538-1798
(B-P-G-R)
Papato
538-1798
P-G
B-P-G-R
Papato
538-1798
P-G
Papato
1260 anni
P-G
B-P-G-R
elencati
Francia 10ª parte della città
Roma papale
segue TAVOLA N. 11 Daniele 8 s.p. Quotidiano 2300 gg
1 2
adorazione
1150 anni
adorazione
Ciro-1701
3 4 5 6 7 8 9
adorazione
-1700
Adorazione
Periodo alla fine
10 11
Adorazione
12 13 14 15 16
Daniele 9 70 Croce settimane
417-74
(33)
Fine 34
34
490 anni
letterale
Papato
anni
anni a nuova Gerusalemme
Turchi - Papa
366-1656
366-1701
490 anni
Turchi
Anni a Cristo
Turchi
anni 490 anni
Daniele 12 1290 gg 1335 gg
Turchi
601-1699 anni
Daniele 11 Re del Nord
-1656
-1700
anni
anni alla fine
anni dal quotidiano 395-1685
anni alla fine
anni
anni
anni
425-giudizio
-1699
(33)
490 anni 540-1760 Quando la profezia diventa storia
1159
APPENDICE N. 14
17 18 19 20 21 22 23 24
adorazione
(552-1716)
445-32+
33
Ciro-fine
490 anni
a metà
2300 anni
457-34
34
Anni
anni a Cristo
a metà
-1748
anni a Cristo
a metà
Turchi
555-1745
anninon spiegati 453-1847
25 26 27
Turchi 453-37
a metà
534-1766
28 29 30 31 32 33 34 35
adorazione
558-1742
adorazione
420-1880
anni al 1° avvento 420-70 -37
Turchi 30
481-1819
70-1360
70-1405
455-1745
455-1790
c. 410-
410-1748
anni
anni
557-1847
557-1892
anni
anni
590-1880
Papato Turchi
529-1819
529-1864
537-1827
537-1872
anni
Anni
538-1762 adorazione
550-1750
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. II, p. 784,785.
TAVOLA N. 12 APOCALISSE: PRINCIPALI SCRITTORI DEL TEMPO DELLA POST-RIFORMA Nome
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14
James I of England Downham George Pacard George Helwig Andreas Cramer Daniel Hos Matthias Mede Joseph Corhard Johannes Goodwin Thomas Tillinghast John Sherwin William Alsted Johann H. Beverley Thomas Philipot Jacques
1160
Data
2 Tessal. 2 Uomo pecc.
1600
Papato
1603
(Papato)
Apoc. 2,3 7 Chiese
Apoc. 6,7 7 sigilli 4 cavalli 4°=Papato
Apocalisse 8,9 4 Trombe 5a Tromba Monaci
1604
Papato 1612 Papato (Anticr.) 1618
Papato Èra cristiana Persecuzioni 1618 Papato è Anticr. Tribolazioni 1631
Papato
7°=Sigilli
1643
Papato
1654
(Papato)
segue Mede
Papato
segue Mede
1655 1670
Papa
7a Tromba
Barbari
Saraceni
Tribolazioni
Eretici
7° Sigillo=Trombe
Monaci Saraceni
2300 anni includ. le 70 settom., 1260, 1290, 1335 anni Barbari
papato è l’Anticr.,picc. corno
segue Mede
Papato Èra cristiana 1685 Papato (Anticr.)
7°=Trombe
1681
Corte papale Eretici
1684
Saraceni Clero romano Saraceni Gesuiti
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
15 16 17 18 19 20 21
Jurieu Pierre Cressener Drue Cocceius Johannes Fleming Robert jr. Whitby Daniel Whiston William Horch Heinrich
1687
(Papato)
1689
Papato
22 23 24 25 26 27 28 29
Doubex Charles Sir Newton Isaac Th.de Bionens Crinsoz Pyle Thomas Bengel Johann Al. Newton Thomas Gill John Wesley John
1720
30 31 32 33
Petri Johann Ph. Wood Hans Bicheno James Prïestley Joseph
1768
(Papato)
1787
(Papato)
34 35 36 37
Thube Christian C. King Edward Valpy Richard Galloway Joseph
1796
Papato
1798
Papato
1798
Papato
segue Mede
Barbari
Saraceni Saraceni
1701 1701 1703 1706
Papato
Barbari
Papato Èra cristiana (Sardi) dopo Riforma
1712
1727
Barbari
Èra cristiana
Barbari
Saraceni
Barbari
Saraceni
Barbari
Saraceni
Barbari
Saraceni
Papato (Piccolo Corno)
1742
(Papato)
1764
Papato
Conquiste
Letterale
Papato (Anticr. picc. corno) Papato (Anticristo)
Saraceni
Le Trombe coprono l’èra cristiana
(èra cristiana) (èra cristiana) èra cristiana
1793 1794 1803*
Saraceni
Èra cristiana Roma pagana
1735
1758
Barbari
Saraceni Papato
1729
1754
Saraceni
(la Ch.rom. è l’Anticris.) (proiezione del post-Millenn.; convers. mondiale
Papato (piccolo corno)
letterale
(Barbari)
Saraceni
Barbari
Saraceni
Caduta. impero Rm
Saraceni
Saraceni Storia Chiesa
1798
Barbari
Saraceni
* ristampa
segue TAVOLA N. 12
5 mesi
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
830-980
14
1540-1690
Apocalisse 8,9 6a tromba o-g-m-a-
Turchi
2 Test.
391 a. (1350-)
1260 gg
Apocalisse 12 10a parte Donna Dragone 1260gg Città 3½ tempi
Anni
Anni Anni
Mussulmani
Èra papale
vera Ch. Rm pag.
Turchi Turchi
396 a (1453)
Anni
Chiesa Rm pag.
Anni Turchi
1453-1849
Francia Chiesa
600-
Turchi
vera Ch.
1300-1696
396-1656
Chiesa Rm pag.
(Anni)
Turchi (1453)
adoraz.
437-1697
1 dei 10 regni
(7°=Coppe)
In Francia
445-1705
Francia
Quando la profezia diventa storia
Rm pag. Chiesa Rm pag. 396-1656
Croce-1666
Anticristo
Anni Anni
vera Ch.
437-1697 445-1705
1161
APPENDICE N. 14
15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37
Giorni-anni
Turchi
Giorni-anni
Viventi
Turchi
-1800
Protest.
Turchi
(Anni)
Francia
454-1714
Giustino c. 1800
1 dei 10 regni
Giust. c 1800
Anni
Francia
Anni
Resurrez.spirituale, Nuova Gerus. la Chiesa)
Turchi
1301-1697
Turchi
1057-1453
612-762
Turchi
Giorni-anni
637-936
Turchi
1063-1453
150 Anni
Turchi
c. 400 Anni
622-
Anni
Anni
vera Ch.
Chiesa Rm pag. 1 dei 10 regni
Turchi
Rm pag.
Anni
Anni Chiesa
612-762 737-936 Giorni-anni
Turchi
1281-1672
Turchi
Giorni-anni
Anni
Francia
864-1521
Chiesa Rm pag.
Anni
606-1866 2300 anni alla fine
Mussulm.
Chiesa
-1836
587-1847 630-780
Turchi
1030-
150 Anni
Turchi
1300-1697
612-762
Turchi
1281-1672 contr.corr
587-1847 Chiesa Francia
=Dan.7
620-1880 Rm pag. 529-1789
Francia vera Ch. Imp.Rm
anni
vera Ch Giorni-anni
Turchi
Giorni-anni
538-1798
Giorni-anni
Turchi
Giorni-anni A.e N.T. 606-
538-1798 538-1798 Rm pag.
segue TAVOLA N. 12
1 2 3 4 5 6 7 8 9
1a Bestia Papato
Apocalisse 13 42 mesi 2a Bestia Gior.-anni Papato
Papato
Gior.-anni
Roma
1260 anni
666
Ap. 16 Apocalisse 17 Ap. 20 7 coppe Prostituta Babilonia 7a Testa 1000 aanni Papato Papato Papi Agostiniano Agostiniano
Papato
Papato
Papato
Vicarius Filii Dei
Papato
Pre-Mill. Papi
Agostiniano
Roma pag. 1260 anni Roma pap. Lateinos
Giudizi
Papato
Pre-Mill.
Roma imp. 1260 anni Roma pap.
7° Giud.
Papato
Agostiniano
Roma civ. Gior.-anni
Papato
Lateinos
Caduta
Roma civ. 1260 anni Roma pap. Papato
-1866 Imp. prot.
10 11
Papato
396-1656
Papato
1260 anni
12
Roma Imp.
1162
Papato
Papato
Papa
Pre-Mill.
Papato
Papato
Papa
Agostiniano
1335 anni alla fine
Pre-Mill. Papato
Fine al Millennio. Roma pap. Lateinos
Pre-Mill. Papato
Papato
Pre-Mill. Papato
Pre-Mill.
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37
Papato
437-1697
Papato Papato
454-1714
Papato
Giust. c 1800
Papato Papato
Papato Papato
Papato
Imp. Ch.
Caduta
Gerarchia
Giudizio
Gerarchia Lateinos Giustiniano 1794
Lateinos
606-1866
Lateinos
Pre-Mill.
Papato
Papato
Pre-Mill
Papato
Papato
Pre-Mill.
Papato
Papato
Pre-Mill.
Papato Caduta
Pre-Mill.
Papato
6-Turchi
Papato
Pre-Mill.
Papato
Post-Mill.
Papato
Pre-Mill.
Papato
Papato
Pre-Mill.
Papato
Reg. lat.
Pre-Mill.
Papato
Pre-Mill.
Papato
Pre-Mill.
Papato
Pre-Mill.
Roma civ. 476-1736
R. eccl.
Roma Occ
Imp. gr.
Lateinos
Papi
Lateinos
Giudizio
Anni
Futuro
Roma Imp. 445-1715
Papato Papato
Anni 1058-1830 Gesuitismo
Papato
533 o 606 anni
Papato
606-1866
Papato Papato
Caduta
Clero rom.
Futuro Futuro
-1836 Imp.Orient 587-1847
Roma pap.
Imp.Orient 529-1789 Luigi XIV Ludovico
Papato Giudizi
RmEccles Lateinos
Papato 538-1798
Papato
538-1798
Papato
Post-Mil
Papato
Imp.pag.
Papato
.
Papato
Pre-Mill. Pre.Mill. Pre-Mill. Pre-Mill.
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato Sacro Rm. Impero
Papato
Caduta
(Papato)
Pre-Mill
Papato
Pre-Mill
Papato
Papato
Pre-Mill
Papato
Papato
Pre-Mill
Papato
Papato
Pre-Mill
Papato
Papato
Pre-Mill
Papato
Pre-Mill
606-
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. II, p. 786-787.
TAVOLA N. 13
DANIELE: PRINCIPALI SCRITTORI NON MILLERITI 1798-1844 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
Brown’s Bible Emerson Joseph Haywood John Ogden Uzal (DD) M’Corkle Sam’l E. Belknap Jeremy Livingston Jhon. H. Bacon Jno. (Giudice) Farnham Benj. CHRISTIAN OBSERVER CONN.EVANG.MAG. Quando la profezia diventa storia
Data
Local.
1792*
Scozz
Denom. 1Giov. 2:18 Anticrist 4 metalli Presbit Papato B-P-G-R
Massac. Congreg.
Papato
Tenn. 1795 1798 1798 1799 1799
N.J.
Episcop
N.C.
Presbiter
Massac. Congreg. N.J.
Rif.Ted.
Massac. Congreg.
1800
Conn.
1802
Mass.
1803/15
Conn.
Papato Papato Papato
Daniele 2 Fer -Arg
B-P-G-R
10 regni
(B-P-G-R)
10 regni
(B-P-G-R)
10 regni
B-P-G-R
10 regni
Pietra Chiesa
Reg. Cristo
(B-P-G-R) Divisione Non ancora
Papato Papato
(B-P-G-R)
Divisone
Anglic.
Papato
B-P-G-R
10 divis.
Inter.Den
Papato
B-P-G-R
10 regni
1163
APPENDICE N. 14
12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23
Priestley Joseph Nott Eliphalet (DD) Rollin Chas. Bible Douay McFarland Asa (DD) King John (DD) Romeyn John B.(DD) HERALD of GOSP.LIB. Smith Elias Miller William F. Scott Thomas Morse Jedediah
1803/4*
USA
Unit.
Gnostico
B.P.G.R
Rg. barbar
1804
N.Y.
Presbit.
Papato
(B-P-G-R)
Divisone
1805*
Franc.
Cattol.
24 25 26 27 28
Davis Wm. C. Smith Ethan Dwight Timothy (DD) Lathrop Joseph (DD) Criffin Edw. D. (DD)
1811
29 Newton Thomas (vesc.) 30 Kinne Aaron 31 Dow Lorenzo 32 Tyng Stephen H. (STD) 33 Armstrong Amzi (DD) 34 Boudinot Elias (LLD) 35 Columbian Fam.Bible 36 Wheeler Char. 37 Reid Robt. 38 Livermore Harriet 39 “Robertson Th. R.” 40 Wilson Joshua L. (Ph.D) segue TAVOLA N. 13
1813*
Ingl.
1814
Conn.
Daniele 2 Montagna
1 2 3 4 5 6 7 8 9
nel Millennio Reg.Cristo
1805*
Franc.
Cattol.
1808
Massac.
Presbit.
Ant.futuro
Siria Rom
B-P-G-R
Pa
Presbit.
Papato
1808
N.Y.
Presbitt.
Papato
B-P-G-R
? Elenc.
1808
N.Y.
Congr.Cr
Papato
B-P-G-R
Divisone
1808
N.H.
Conn.Cr.
Papato
B-P-G-R
10 regni
(B-P-G-R)
Div.Roma
1808
Conn.
Presbiter
Papato
B-P-G-R
1809*
Ingl.
Anglic.
Uomo pecc.
B-P-G-R
10 regni
1810
Mass.
Congreg.
Papato .Maometto
(B-P-G-R)
10 regni
S.C.
Presbit.
1811
Papato
(B-P-G-R)
Divisone
Papato
(B-P-G-R)
Divisone
Papato
(B-P-G-R)
10 regni
Papato .Maometto
(B-P-G-R)
10 regni
Anglic.
Uomo pecc
B-P-G-R
Rg barbar
Congreg.
Ell.White
B-P-G-R
10 regni
Massac. Congreg.
1812
Conn.
Congreg.
1812
Massac. Congreg.
1813
Massac. Congreg.
Connet. Metodis. Pa
Episcop.
Papato
B-P-G-R
10 regni
Papato
B-P-G-R
10 Divis.
1815
N.J.
Presbiter
Papato
(B-P-G-R)
10 regni
1815
Pa.
Congreg.
Papato
B-P-G-R
10 regni
1822*
USA
B-P-G-R
Rm divisa
1823
Pa
Battista
Papato (B-P-G-R)
Divisone
1824
Pa.
Pres.Rif.
Papato
1824
N.H.
Congreg.
Papato
1826
Indiana
1828
Ohio
Presbit.
Papato
(B-P-G-R)
Divisone
Papato
(B-P-G-R)
Divisone
Daniele 7 10 Corna 3 corna Piccolo 3½ Tempi Corno B-P-G-R 1O Regni 3 re in Papato 1260 anni Italia B-P-G-R 10 elencat Papato 606-1866 4 Bestie
B-P-G-R
10 regni
Papato
(B-P-G-R)
10 regni
trip.cor
B-P-G-R
B-P-G-R
Cristianità
1808
(B-P-G-R) Reg.Cristo
B-P-G-R
Cristianità
Giudizio
Daniele 8 Mont. Grande capro Corno P-G Antioco tipo
Rg. Cristo
Cristianità
Cristianità Immag.colp
Ch. crist.
2300 giorni circa 3 anni
Papato 538-1798 Elenccati
Papato
Regni terra
P-G
Reg.Cristo (B-P-G-R) Reg.Cristo
10 1164
B-P-G-R
Papato 606-1866 Divisioni R.Raven Papato 529-1789
Regni terra
P-G
344aC-1966dC
P-G
481aC-1819dC
Longob
(B-P-G-R)
Papato fino Riv.Fr..
Roma
457aC-1843/44
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
11 12
B-P-G-R Futuro
B-P-G-R
Reg.Cristo (B-P-G-R)
16 17 18 19 20 21 22
Reg.Cristo
10 regni
Papato 535-1795
Santi liber.
B-P-G-R 10 reg. dopo Aless.
Ch.cattol. B-P-G-R
Anticris. Antioco
Divisioni
(B-P-G-R)
3½ anni d.C.
P-G
Roma
P-G
Imp.Rm
- 2000 534-1757
Antioco persec.Antioco Maometto
P-G
434aC-1867dC
P-G
da Rm.pag anni fine vicina a Papale
Papato 606-(1866) Regni terra
Reg.Cristo
B-P-G-R
10 regni
Papato Quasi finito
B-P-G-R
10 Divis.
Papato
B-P-G-R
10 regni
B-P-G-R
P-G
P-G
10 Elenc.
Progresso
- 1867 Antioco
Papato 606-1866
B-P-G-R
Reg.Dio
P-G P-G
Papato 534-1794
Reg.Cristo
Papato 534-1794 Elencati Ra.L.R. Ch.pap 1260 anni. alla fine
23 24
B-P-G-R
10 Elenc.
Papato 587-1847
Caduta Papa
P-G
Rm.pag/ Papale
453aC-1847
Reg.Cristo
B-P-G-R
Divisioni
Papato 606-1866
Giudizio
P-G
Maometto
481aC-1819
Reg.Cristo
B-P-G-R
10 regni
Papato Conclus.
P-G
Romani
334aC-1966
P-G
Maometto
(B-P-G-R) Gov. Dio
(B-P-G)R
Futuro
B-P-G-R
U.O.L. Papato 606-1842 10 regni
Papato 606-1847 List.varie Ra.L.R, Papato 8o sec. 2000
B-P-G-R 30 B-P-G-R 31 32 (Reg.Crist) B-P-G-R. B-P-G-R 33 34 Reg.Cristo B-P-G-R B-P-G-R 35 36 37 (Reg.Dio) B-P-G-R (B-P-G-R) 38 B-P-G-R 39 40 Reg. Dio (B-P-G-R) segue TAVOLA N. 13
10 regni
Papato 606-1866
10 regni
Papato 587-1847
10 regni
Papato 533-1793
10 Elenc.
Papato 566-1826
10 Elenc.
Papato
-1800
P-G
RaGre Papato
Antioco (457aC)-1843/4
P -G 10 regni
Papato
- 1863
Papato
Papato 587-1847
P-G
10 Elenc.
Papato 587-1847
P -G
Division
Papato 587-1847 Purif.Chies
P-G
Nome
41 42 43 44 45 46 47
Regni crist
alla fine
13 14 15
25 26 27 28 29
10 regni Papato 606-1866 10 Divis. R-L-R Papato 1260 anni
McCorkle Sam’l M. Campbell Alex. MILLENN.HARBINGER WATCHMAN OF THE NIGHT Clarke Afam (D.F.) McGregor David Jenk’s Compr. Comm.
48 PROTESTANT VINDICATOR 49 Brownlee Wm. C. Quando la profezia diventa storia
Data Local.
c. 1850 457aC-1843
R.Pap.
453aC-1847 453aC-1847
1Giov. 2:18 Daniele 2 Anticrist 4 metalli Ferro Argilla Pietra Dispens. Papato (B-P-G-R) Divisone Non ancora
Denom.
1830
Tenn.
1830
Va.
Dispens.
Papato
B-P-G-R
1830
Va.
Dispens.
Papato
B-P-G-R
10 regni
1833
Pa.
Papato
B-P-G-R
Divisone
1833*
Inghil
Wesliana
Anticr
B-P-G-R
10 regni
Prima Ch.
1833
Me
Presb
1834*
USA
Congr.
B-P-G-R
Impero indebolito
Chiesa
1834
N.Y.
Rif.Ted.
Papato
1834
N.Y.
Rif. Ted.
Papato
10 regni
1165
APPENDICE N. 14
50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64
Thomas John (MD) De Rozas Jose M. Scott Robt. (MD) Burwell Adam H. Junkin George (DD) Cottage Bible Duffield Geroge (DD) Crandall A.L. Ramsey Wm. (DD) Freewill Bapt. Conf. Henshaw Jon. P.K. Hinton Asaac T. Shimeall Rich. C. Burdick Elias A. (MD) MILLEN. AMERICANA
65 Robinson John (DD) 66 Shannon Jas. 67 Winthrop Edward
1834
Va.
Papato
1834 Messico Cattolica 1834
N.Y.
Battista
1835 Canada 1836
Pa
1841*
Inghil.
Presbit.
1841 Michig. Presbit.
Papato
B-P-G-R
10 regni
Papato
B-P-G-R
10 Divisione
Papato
B-P-G-R
10 Divisione
Falso Cri.
B-P-G-R
Rg. Barbarici Divisone
Futuro Cristianità
Papato
1841
N.Y.
Papato
(B-P-G-R)
1841
Pa
Presbit.
Rapato
B-P-G-R
Divisone
alla frantum
1842
N.H.
F.W.Batt
Papato
B-P-G-R
10 Divisione
Non ancora
1842
R.I.
P.E.Vesc
Papato
1842
Illin.
Battista
Papato
B-P-G-R
10 regni
1842
N.Y.
Episcop.
Papato
B-P-G-R
Divisone
verrà
1843
N.Y.
Batt. 7 g.
Papato
B-P-G-R
10 Divisione
Non ancora
1843
N.Y.
Isaac Labagh
Papato
B-P-G-R
10 Divisione
1843
Ohio
Presbit.
Papato
(B-P-G-R)
1843
Ky
Cristiana
1843
Ohio
Episc.Prot.
Papato
(B-P-G-R)
Divisone
* ristampa
segue TAVOLA N. 13 Daniele 2 Montagna
B-P-G-R
Daniele 7 10 corna 3 corna Piccolo 3½ Tempi corno Divisione Papato 687-1847
B-P-G-R
10 Divis. Rm. Rav.
4 Bestie
41 42
Reg. Dio
43
Reg.Cristo
44 45
Reg. Dio
B-P-G-R
Divisione
Èra crist.
B-P-G-R
Divisione
Papato 606-1866
Giudizio
Daniele 8 Mont. grande Capro corno
2300 giorni 453aC-1847
P-G
453aC-1847
Longob
46
1166
B-P-G-R
Papato 533-1793
10 regni
453aC-1847
606-1866
Papato 533-1793 Ra.L.R
Papato
-1798 755-2015
456aC-1844 P-G P -G
Impero Rm
334aC-1966 457/53aC1843/47
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
47
BPGR/Siria
10 regni re Seleuc.
48 49 50
B-P-G-R
51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62
Papato 606Antioco 3½ anni
P-G
Divisione
Papato
P -G
B-P-G-R
10 Divis.
B-P-G-R
10 regni
Papato Papato 587-1347
E-O-L
334aC-1866 gg Antioco
Maom.
606-1866
Anticr. (Reg.Crist)
B-P-G-R.
10 regni
Reg. Dio
B-P-G-R
10 Divis.
Reg.Dio
B-P-G-R.
U.O.L
Anni
Papato 606-1866 Papato 533-1793 Papato (533-1793
P-G
454aC-1847
P -G
458/8aC-1843/44
P-G
Maom.
P-G
Maom.
606-1866
P-G
Antioco Roma
B-P-G-R. 10 Elenc.
Papato 532-1792
P -G
457-53aC-1843-47
Reg.Cristo (B-P-G-R) Divisioni
Papato 533-1793
P-G
432aC-1868
457aC-1843
Giudizio
453aC-1847 -1866
606-1866)
Futuro
B-P-G-R
Varie liste
Ra.L.R
Papa
giorni 334aC-1966
Reg.Dio
B-P-G-R.
10 Divisioni
Papato
Reg.Cristo
B-P-G-R.
10 regni
Papato
P -G
Reg.Cristo
B-P-G-R.
10 regni
Papato 533-1793
P -G
Maom.
- 1810
Reg.Dio
B-P-G-R.
10 Divisioni
Papato 533-1793
P-G
Maom.
453aC-1847
63 64
Reg.Cristo
B-P-G-R.
10 regni
Papato
(Reg.Crist)
B-P-G-R.
10 Divisioni
Papato 533-1793
65
(Reg.Crist)
B-P-G-R. Divisioni
It Rav. Pentapoli
Papato
P-G P-G
66 B-P-G-R. 10 Elenc.
67
457/53aC1843/47 (457aC)-1843 (453aC)-1847 (457-53aC)-1 843-47
Papato (533-1793 606-1866)
segue TAVOLA N. 13 Daniele 9 70 settimane Croce
1
7o o 20o Artaserse
fine vicina Croce
2 3 4 5 6 Quando la profezia diventa storia
11:36 11:44 Re onnip. Re Nord Anticristo romano
Turchi
Daniele 12 1290 gg 1335 gg
2 Tessalonicesi 2 Ostacolo Uomo Pecc.
Antic.+30 al millennio Impero Rm. 606-1896
606-1941
- 1874
- 1919
Papato
1167
APPENDICE N. 14
7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22
Rm.Papale Sett alla Croce
606-1896
606-1941
Turchia
529-1819
529-1864
1260+30
1290+15
457aC-33dC
Turchia
457aC-Croce
Rm.papale
dalla visione
73 d.C.
454454aC.
Papato
Papato
Antioco
Antioco
Papato
Papato Imp.Rom.
a metà (33)
Anni a Croce
Ch.papale
alla fine Papato
Papato
Anni
Anni
Papato
Turchia Papato Papato Papato 7o Artaserse
metà o fine
453aC-37dC
Metà
Papato
Turchi
1260+30 al Pross.ademp Messia
Turchia
23 24 25 26 27 28 29
587-1877 Francia
587-1922
Papato
al Millennio Anni al Mill
Ateismo Gr. Rm. Apostasia
Daniele 9 70 settimane Croce 453aC-37dC 33 (metà) 453aC-37dC
1168
Turchi
- 1922 Anni alla conversione mondiale nel Millennio
Imp. Rm
Papato
Rm pagana
Papato Papato
Roma
Ateismo
Rm.pagana
Turchi Papato
456aC-33dC
34 fine
456aC-33dC
fine
Papato
Impero Rm Ch.papale
Papato
Papato
Papato
Papato
Napoleone
11:36 Re orgogl
11:44 Re Nord
Papato
Turchia
587-1877
587-1922
587-(1877)
587-1922
Daniele 12 1290 gg 1335 gg 1260+30 1290+45
Papato Rm pagana
Papato
2 Tessalonicesi 2 Ostacolo Uomo Pecc Rm Pagana Papato
33 metà
Artaserse Croce
44 45 46
Papato
Ateismo Turchia
30 31 33 (fine) 32 457aC-33dC 33 Metà 34 34 457aC-33dC Esdra croce 35 36 37 Artaserse (40) 33 inizio 38 457aC-33dC Metà 39 453aC-37dC 40 453aC-37dC segue TAVOLA N. 13
41 42 43
Turchia
Papato - 1820
(533)1866
Papato
612-1902
612-1947
Turchia Papato
Turchi
Imp.Rom.
Papato
Metà o fine
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DATE DEI PRINCIPALI AUTORI
47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67
458 aC alla Croce
29 aC
Papato Antioco
Turchi Antioco
1260 + 30 1290 + 45 Papato Rm Pagana
454aC-37dC
33 (metà)
Papato
Anni
458/7aC-33dC
33
453aC-37dC
33 (metà)
Papato Papato
Papato
458aC -
Fine (33)
Antioco Papato
Turchi
660-1950
660-1995
Papato
606-1896
606-1941 Rm pagana
Papato
1260+90
(533)-1866 Rm Pagana
Papato
533-1823
533-1868
Papato
457aC-33dC
Papato Rm Pagana
453aC-37dC
Papato
Turchia
453aC-37dC
Papato
533-1866
Papato
533-1823
533-1868
Papato
533-1823
533-1868
Papato Turchia 453aC-37dC
33 Metà
457aC-33dC
Metà
30 anni 45 anni Rm Pagana dopo 1260 dopo 1290
Papato
Rm Pagana
Papato
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. IV, p. 392,393,396,397.
Quando la profezia diventa storia
1169
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
TAVOLA N. 14 APOCALISSE: PRINCIPALI SCRITTORI NON MILLERITI 1798-1844 Nome
Data Località Denomin Conn.
1 Miller William F. 2 Self-Interpreting Bible
1792* Presbit
3 Ogden Uzal (DD)
1795
N.Y.
4 5 6 7 8 9
1798
N.C.
M’Corkle Sam’l F. Belknap Jeremy Farnham Benj. EVANGELICAL Mag. Bacon Jno. (Giudice) Priestley Joseph
10 CHRISTIAN OBSERVER 11 Bible Douay 12 HERALD of GOSP.LIB. 13 Smith Ethan 14 15 16 17 18 19 20
Davis Wm. C. Buck Chas. Dwight Timothy (DD) Dow Lorenzo Prudden Nehemiah Kinne Aaron Armstrong Amzi (DD)
21 22 23 24 25 26
Boudinot Elias Lathrop Joseph (DD) Smith Elias Schmucker Jno. G. (DD) Emerson Joseph Bible (O’Oyly & Mant)
27 28 29 30 31 32
Haywood John Reid Robt. “Robertson Th. R.” Wilson Joshua L. (Ph.D) McCorkle Sam’l M. MILLENN.HARBINGER
Dal 95-323 Ch. primi tre secoli
Invas.barbari e mussul.fino 750
Caduta pagani
da Costantino Papa e a Giustiniano Saraceni morte Conqquis. di Episcop 1o secolo (95-323) Costantino Maomet. 750
Presbiter
1798 Massac. Congreg. 1800 1800
Conn.
Inv. barbari
Saraceni
Rm.caduta Impero
Saraceni
Presbit.
1803 Massac. Congreg. 1803/4*
Unitar. da Traiano Rivol. di a Valeriano
Costant
1804- Massac. Anglic. 1805*
Cattol.
1808-
N.H.
Congr.Cr
1811
Mass.
Congreg.
1811
S.C.
1811*
Presbit.
Cristo e 3 giudizi
Eresie
Giudizio su Giudei e Inv. nord. Mussulm. Rm pagana Mussulm.
Indipend
1812
Conn.
Congreg.
1812
Conn.
Metodis.
1813
Conn.
Congreg. Dalla distruz. del 70 Inv. barbari
1814
N.J.
1813
N.J.
1815
Mass.
Congreg.
1815
N.H.
Conn.Cr.
1817
Pa.
Luterana
1818
Mass.
Congreg.
1818*
Re Goti
Presbiter Copre èra cristiana flag. barbari Mussulm. e eventi finali
1815
Anglic
primi 4 secoli primi 3 secoli
Inv. barbari
Saraceni
cad.pagani Caduta Rm
Saraceni
1819
Tenn.
Crist.
1824
Pa.
Presbit..
fino a Costantin Inv. Barbari Maometto
1826
Indiana
Presbit.
Mussulm.
1828
Ohio
1830
Tenn.
1830-
Va.
33 Clarke Adam
1833*
34 WATCHMAN of the NIGHT 35 Jenk’s Compr. Comm.
1833-
Quando la profezia diventa storia
Presbiter
Apocalisse 6 e 7 Apocalisse 8,9 4 cavalli 6o sigillo 4 Trombe 5a Tromba
Giud. sul Papato – mussul.
Presbit. Dispens. copre èra cristiana copre èra crist. Dispens.
7 periodi fino alla parallelo 7 suggelli nuova Gerusalem. Wesley. guerr/pest Costant. Sconosciuto Saraceni e
1834*
Pa. Congreg
Periodo a Costan, Invas.di Rm della Ch.
Saraceni
1169
APPENDICE N. 14
36 Campbell Alexander
1837
Va.
Dispens.
* ristampa
segue TAVOLA N. 14 Apocalisse 8 e 9 5 mesi 6a Trom o,g,m,a,
1 2
anni al 760
7a Trom
2 Test.
Turchi 1281-1672 caduta testim.con- 608-1866 futuri anni Rovesc. 1302-1698 Anticristo tro pagan 756-2016 Papato
3 4 5 6
612-762 Ottomano 1281-1672 Fine ogni
7 8 9
612-672
Turchi 1281-1672 Ora inizia testim.con-
612-762
Turchi 1281-1672
10 11
Turco
come 1686-1790 Rivoluz Francia tro corruz. Daniele 7 .Francese Riv.Fran Francia
Turchi 1299-1690 1453-1844 Turchi 1453-1844
vera Ch
Santi
Ch. Maria Creden. Cristo
Vero popol Dio
Riv.Fran
622-734 (Turchi) 1453-1844 Purif.Sant il Fedele
Vera Ch.
Cristo
1792-1796 Riv.Fran Francia Vera Ch.
Cristo
Futuro
Ancora nel futur
Maomet 1453-1844 Riv.Fran
150 anni
Turchi 1281-1672
612-762
Turchi 1281-1672
vestiti sacc 606-1866 Parola Ordin.
Insegn. Biblico
21 22 23 24 25 26
612-762
27
150 anni
28 29 30 31 32 33
convert
Scuote Francia
cosa
Enoc/Elia
13
15 16 17 18 19 20
Chiesa
vera Ch.
12
14
Apocalisse 11 Apocalisse 12 1260 g. 3½ gg. Terrem 10 città Donna Bamb. Riv.Fran -1848 Ch.Crist.
da 1800
Riv.Fran Francia
- 1842
Riv.Fran
Ch.Crist.
Riv.Fran Francia turc/tartar
Ch.Crist.
Turchi 1281-1672 Cad. Rg test.contr Anticristo Rm (391)-1777 Sabato restaurato Turchi 1281-1672
anni
622-734 (Turchi) 1453-1844 Purif.Sant il Fedel
incompiuti
Ch.idol.
Anc fut
Ch. Pura
Par.Spir
34 1170
in tutti i tempi
Sconosc.
Sconos
Costant.
Ch. crist Futuro
vestiti sacc 587-1847
150 anni Arabi e Turchi
Chiesa
Ch. crist Sconosciut Rivoluz
Vera Ch
vestiti 533-1793 sacerdotali Quando la profezia diventa storia
Costant
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
35
612-762
Turchi
1281-1672 1302-1698
Riforma Ministero fedeli
anni breve tempo Riforma dell’Anticr
Prima Ch
36 segue TAVOLA N. 14 Apocalisse 12 Dragone 1260 gg 1a bestia 3½ Tempi
1 2 3
Papato Imp.Rom anni dal 606
Papato
4
Potere persec. Rm Papato
5
Rm. Papale
6 7 8
Papato
9
21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33
666
-1848 ordine relig.
Luduvice
papa e clero
Lateinos
poten.Rm 10 Regni 10 Divis. 550-1810 534-1794 10 Divis. 606-1866
Assomigl. Papa
529-1729 Gerarc. Rm
Nome Bestia Lateinos
10 Divis. Prot.2 cor. =lib.Civ.eRel
Imp.Roma 1260 anni
10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
Apocalisse 13 7 Teste 10 corna 42 mesi 2a bestia Immagin
sacro Rm Impero
For. gov Rg europ.
Rm Eccles
Lateinos
Nemici di Dio Papato
B-P-G-R Persecuz. 607ecc minori For.Gov. 10 Regni
Pers.pagani
Nerone del Pagan.
Rm. secol. Papato
Sostit. Pap 7 for.Gov. 10 Regni 587-1847
Romiith
Gerarchia
Rm pagana Roma Pag
Papato
Elencati
10 Regni
Papato
Napoleone
Papato
606-1866
606-1866 Roma Pag
606-1866 gerarch .Rm Rm. Civile For. Gov.
Roma Pag Roma Pag
566-1826
Papato
10 Regni
Rom.Civ.
10 Regni
Papato Gesuiti
Rom.Civ
For.Gov.
Imp.Rm
Imp.Rm pagano
forme governi
Rm Pagan
Papato
606-1866 Stato Rm
10 divis. 7 Forme
Rm Pagan 587-1847 Rm Pagan 587-1847 1260 anni
-1850 Clero Pap
Lateinos Romith Papa
Lateinos
Gerarchia
587-1847
Papato persec. Rm
587-1847 Credi Protestanti Marchio
Papato
10 regni
Sacro Rm Impero
7 aspetti 10 monarc sconosc.
Quando la profezia diventa storia
Ierar.Pap. gerararc. rm
10 Regni 587-1847
Papato
Imp. Rm. pagano
-1842
Papato
Papato
Papato
Lateinos Lateinos Vicarius Filii Dei
Sette particol.
587-1847 Ch. Riform Clero Rm
Basileia
1171
APPENDICE N. 14
34 35
Papato Rm pag. 533606Rm pagan 606-1866
Rm papale
36 segue TAVOLA N. 14 1o Angelo
1 2
Apocalisse 14 2o Angelo
3o Angelo
Adempiuto
7 piaghe
Rm papal
Lateinos
Papato
Lateinos
Apocalisse 16 5a Piaga 6a Piaga Su Babilonia
7a Piaga
Futuro sul su Roma fine Islam Papato Giudizio sul Regno del Papa
fine Papato
Papato
cad. Turchi
Tempo disordini
Russia ?
Cad. Papato
Adempiuto Messaggio ultimo giorno
Soc.Bibbliche e Missionar
10 11 12 13 14
Cont.Papato Rivol.Franc. Sede Bestia
Mondo perver
da Riforma s/ sede bestia sui Turchi
nel millennio
dalla Riforma
Rg distrutti
Infedeli
15 16 17 18 19
Realizzata
a Riforma
sui Turchi
su Babil.spir Distr.finale
sta cadendo
Soc. Missionarie e Bibliche
20 21 22 23 24 25 26
Missionari
Punizione
vera Riforma
Giudizio
sta cadendo
asciugato per entrata sui Turchi
Esc.Apostol.
Durante millennio Incluso Bengel Tentativo di Riforma
27 28 29
33
606-1866
Speciale predicazione ancora futura
5 6 7 8
30 31 32
10 Regni 606-
Papato
Testimonian. contro Papa
3 4
9
aspetti Rm
post Riforma
Contro Rm Contro i suoi papale sost.
Futuro contro Rm
Grande crisi 1844 su Roma
Speciale predicazione ancora futura Infedeli
fine Islam
Fine Papato
su Babil.spir dalla Riforma
sui Turchi
Rg distrutti
su Ottomano su Roma Mess. ultimo giorno Soc.Bibliche Contro Rm papale
1172
Contro Rm papale
su Turchi
4a su Roma sull’Anticrist Tevere (?)
Simbolica ?
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
34 35
Non ancora versate Valdesi
Ussiti
Riformati
Futuro contro Rm
Caduta Papismo
Caduta Anticristo
36 segue TAVOLA N. 14
Donna
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29
Apocalisse 17 Babilonia Bestia
Apocalisse 20 Pre o 1a Risurpost Mill. rezione
Rm Papal Rm Papal Imp.Papal
Post M
Città 7 colline
Post M.
Figurata
Nuova Gerusalemme Mill. e cieli
Papato Parido Restaur. alla fine d. Mondo
Spirituale
Papato Rm Papal Rm Papal Imp.Crist
Papato
Città Diav Potere Rm Pagan Diavolo Papato Governi Papato
7o millennio
Mill. e Paradiso
Era Nuovo Testam. da caduta Anime dei Rm pag santi Dopo 7a piaga
Pst.M
Chius.d 1335 (1922)
Post M.
Mistica
Rm Papal Ch.Cattol
Papato
Rg papale
Graduale
Spirituale
Papato Papato
Papato Santi con Cristo
Pre.M
Sat.legato (1850)
Pre M.
Dopo 1941
Post M
Letterale
Papato Papato
Papato
Papato
Papato Papato
Papato
Papato
Parad. Restaur. Papato
Imp.Papal Rg. Catt.
Sant.Purif. (1850)
Pre M. Post M.
Papato
Papato
Chiusura di 1335 (1922) Chiusura di 1335 (1922) Satana Legato
Papato
Papato
Ch.latina
Imp.latino
Spirituale
Post M
Papato
30 31 32 33 34
1000 anni
Figurativo
Ch. nella Nuova Gerusalemme
Pre M. Letterale Post M(?) Figurata
Figurata
Pre M.
Quando la profezia diventa storia
1173
APPENDICE N. 14
35 36
Ch. Rm
Papato
Papato
Papato
gov.temp
forse 7o millennio Inizio 1996
Figurata
Stato celeste
Pre M.
segue TAVOLA N. 14 Nome
37 38 39 40 41 42 43
Livermore Harriet Tyng Stephen H. (STD) Shimeall Rich. C. Brownlee Wm. C. Scott Robt. (MD) Smith Sam’I B. Burwell Adam H.
44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55
PROTESTANT VINDICATOR Junkin George (DD) Thomas John (MD) Ramsey Wm. (DD) Cottage Bible PROTESTANT BANNER Henshaw Jon. P.K. Hinton Isaac T. Winthrop Edward Burdick Elias A. (MD) Robinson John (DD) Walmesley Chas. Apocalisse 8 e 9 5 mesi 6a Trom o,g,m,a,
37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48
Data Località Denomin N.H.
Congreg.
Pa
Episcop.
N.Y.
Episcop.
1834
N.Y.
Rif. Ted.
1834
N.Y.
Battista
1835
N.Y.
Evang.
1835
Canada
1836
N.Y.
Rif.Ted.
1836
Pa
Presbit.
Pa
Presbit.
1837 1841
Apocalisse 6 e 7 Apocalisse 8, 9 4 cavalli 6o sigillo 4 tromba 5 tromba
Inv.barbar
Saraceni
Copre èra cristiana Rivoluzione Francese
Copre èra cristiana applic. all’Orien. Occ.
Prima delle invasioni
Maomett
Maometto
Cristad Ch.primi 3 sec Cad.pag. caduta Rm Saraceni
1841* 1842
Pa.
1842
R.I.
P.E.Vescov
Saraceni
1842
Illin.
Battista
Maometto
1843
Ohio
Episc.Prot.
1843
N.Y.
Batt. 7 g.
1843
Ohio
Presbit.
ristam
Cattolica.
prima delle invasioni Inv.barbar Riforma
Apocalisse 11 Apocalisse 12 7a Trom 2 Test. 1260 g. 3½ G. Terrem 10 città Donna Bambino
maom. Turchi
Turchi 1453-1844 606-765
Turchi 1299-1690 Rivoluz.
Vera Ch
American
riv.Franc Francia Pura Ch.
612-762
Turchi 1453-1844
612-762 Ottomani 1261-1672 Turchi
612-762
1174
Turchi 1281-1672 Introduz. Test.contro piaghe
606-
Riv.Fran Riv.Fran Francia
Chiesa Prog.Ch.
Roma
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
49 50
612-762 Ottomani 1261-1672 Turchi
- 1672 51 612-762 Turchi -1453 52 53 54 55 1525-1675 Maomett Punt. finale segue TAVOLA N. 14
37
Apocalisse 12 Dragone 1260 gg 1a bestia 3½ tempi Papato
letterale Gerusal Ch.Rom Cristiani
7 teste
10 corna
Papato Papato
40 41 42 43 44 45 46
Rm Secol . Rm Pagn 606-1866 Rm civile 10 regni Papato 533-2793 Papato . Rm Sscol Papato 7 for.gov. 10 regni Papato 7 forme 10 divis.
37 38 39 40 41 42 43
1177-1843 Lateinos
533-1793 606-1866 587-1847 606-1866
Papato Ch. Romana Papato Ch. tiran
Rm Eccles
Lateinos
Lateinos Lateinos
7 imperat 10 divisio Apocalisse 14 2o Angelo
Rm Pap. Rm Pap. somig.prot Sette Prot. Settarianes
Rg europei
Papato Papato
1o Angelo
44 45
governo
Rom.Civ. For.Gov. Rom.Sec. 10 regni
53 54 55
666
Lateinos Romiith Vicar.Filii Dei
533-1793
Papato 7 Forme 47 48 Rm pagan 1260 anni Sacro Rm forme
49 50 51 52
Immagine
-1847 -1866
38 39
impero Papato
Apocalisse 13 42 mesi 2a Bestia
3o Angelo
533-1793 606-1866
Rm Papale Rm Papale
606-1866 587-1847 Letterale
7 piaghe
Lateinos
Eresia
Apocalisse 16 5a Piaga 6a Piaga su Ottomani
Maometto
7a Piaga
Ora Veloce Turchi
Valdesi
Riforma Protes
Futura
In.RivFran
su Roma
su Turchi
Inizio Riv. Franc
su Turchi
Ult. giudiz
Iniz.con Riv. Franc
Turchi
Distruz.
46 Quando la profezia diventa storia
1175
APPENDICE N. 14
Evangelo predicato al 2o Avvento 47 48 Soc.Bibl.Miss 49 Società Bibliche e Missionarie 50 51 52 53 Spir.Evang Grido Guerra 54 55
Riv.Franc
Catt.Romana
Fine Papato
Prima Millen Mistica Babil
giudizio
finale
segue TAVOLA N. 14
Donna
37 38 39 40 41 42 43
Papato
Papato
Ch. Anticr
Papato
Papato
Papato
44 45 46 47 48 49 50
Apocalisse 17 Babilonia Bestia
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Inizio 1847 fine dei 1335 (1868)
Post M
Fine dei 1335 (1995)
Pre M
Ch. Latina Pre M.
Nazioni
Rm Papal Rm. papal Imp.Crist
51 52 53 54 55
Apocalisse 20 Pre o post 1a Nuova Millennio Risurrez. Gerusalemme Pre M.
1000 anni
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato Rm Pag.
Post M
Spirituale
Post M
Letterale
Post M
Letterale Metropoli Rg. Messianico
7o millennio
Papato Papato
1847Punto focale
Naz.Occid fine dei 1335 (1866) Iniz a Harvest
Eternità Nuova terra terra rinnovata
Post M Post M
Letterale
Post M
Figurato
fine dei 1335 Roma
Trionfo Ch. Vedere L.E. Froom, o.c., vol. IV, pp. 398-401.
1176
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
TAVOLA N. 15 XIXo SECOLO: SOSTENITORI DEI 2300 ANNI PROFETICI CON SCADENZA TRA IL 1843-1847 Nome
1 2 3 4 5 6 7 8 9
Tedesca Irlandese Inglese Inglese Americana Americana Inglese Irlandese Americana Inglese
1768 1787 1794 1795 1799 1800 1808 1803 1804 1806
Frankof.
453 1847 420 1880 481 1819 Egham 2400 Indetermin. Mass. 2300 334 1966 Conn. 2300 481 1819 2300 538 1762 London 2300 420 1880 N.Y. 2300 434 1867 London 2400 1866
Giorno del giud Purificaz Chiesa Liberaz.Palestina
Americana Inglese Inglese Americana Inglese Americana Americana Inglese Inglese Inglese Inglese Inglese Scozzese Inglese Inglese Inglese Imglese Inglese Inglese Inglese Wolff Joseph Inglese Park John R. (M.D.) Robertson Th.R.(Davis) Americana Wilson Joshua L. D.D. Americana
1808 1806 1810 1810 1810 1811 1811 1813 1813 1814 1818 1818 1820 1820 1820 1820 1822 1823
Pa. 2300 Inghilt 2300 London 2300 Boston 2300 London 2300 S.C. 2300 Mass. 2300 London 2300
Purificaz.Chiesa Distr.Anticristo
Petri Johann Ph. Wood Hans Bicheno Jas. Whitaker E.W. Bacon John Farnham Benj. King Edward Hales Wm. (D.D.) Nott Eliphalet
10 Faber G.S. 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33
Nazionalità Pubblicaz. Periodo Per. date Eventi Inizio Eventi Finali Data Posto 2300 2400 a.C. d.C.
King John Scott Thos. J.A.B.(CHRISTIAN OBSER) CHRISTIAN OBSERVER Clarke Adam Davis Wm. C. Smith Ethan Cuninghame Wm. Frere Jas. H. Maitland Capt. Chas. CES (Christian Observ) Roberts Peter Mason Arch. (D.D.) Bayford Jno. C.C. (JEWISH EXP.) Cirdlestone Wm. Fry John Brown Jno. A. Way Lewis
Quando la profezia diventa storia
1822 1826 1826 1828
2300 2300 London 2300 London
434 1867 non mol.dist.
457 457 434 453 481 457 London 2400 553 London 2300 515 London 2300 457 London 2400 553 Glasgow 2300 457 London 2300 481 London 2300 457 Oxford 2300 London 2300 457 London 2300 457 London 2300 508 London 2300 453 Liverpool 2300 (453 Indian 2300 453 Ohio 2300 453
1843 Coman.Esdra 1843 1966 1847 Regno pers. 1819 1843 1847 tempo d.visione riv.fr. 1844 1847 tempo d.visione 1843 decr. Artaser. 1819 1843 Coman.Esdra 1965 Alessandro 1844 1844 decreto Esdra 1792 Dario 1847 1847) 1847 1847
Ritorno giudei
Purificaz.Chiesa
Inizio millennio Cadut Turchi Harmagh-Giud. Purif.-Maometto Purificaz.tempio Caduta .Maom
fine domin.mussul
Concern.Gerus
Appar. Cristo Resto vera ador. Purif. Chiesa
1177
APPENDICE N. 14
34 T.B. (JEWISH EXP.) 35 Dialog.on PROPHECY
Inglese Inglese
1828 London 2400 553 1847 1843 457 1828 London 2300 1847
36 Cooper Edw.
Inglese Inglese Svizzera Inglese Inglese Inglese
1825 1829 1829 1826 1828 1828
Inglese Inglese Inglese
1829 London 2300 1828 London 2300 1828 London 2300
37 Wood Lt. G.H. 38 Nicole Alphonse M.F. 39 Irving Edward
40 White Thomas 41 “Anastius” 42 Homan Ph.M.WATCH 43 Vaughan Cd. T.
44 Keyworth Thos.
tempo d. visione
453
London
2300 London 2300 London 2300
457 (457 453 London 2400 553 London 2300 457 453 London 2300 457
(1843)
1843) 1847 Da Artaserse 1847 1843 1847 1843
457 1843 7o di Artaser. 457 1843 457 1843
Ristabil.Geru Roves.Maom
segue TAVOLA N. 15 70 Relazione Data la Croce Identità Date degli altri periodi profetici Settimane 70 settim. nella del a.C. d.C. con 2300 Croce 70a corno 1260 anni 1290 anni 1335 anni 391 anni settimana 8:9-14 Metà 587-1847 557-1847 557-1892 1 453 37 Prima Parte 33 (1453-1844) 620-1880 590-1880 2 420 70 Prima Parte 529-1789 529-1819 529-1864 1300-1697 3 1453-1844 4
5 6 7 8 420
70
9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32
Primo segmento
31
606-1866 606-1896 606-1941 529-1789 529-1819 526-1864 538-1798 620-1880 70-1360 70-1405
Metà
535-1795 Maomett 606-1866
70 sett. da 7o Artaserse
2520 anni
1301-1692
534-1794 7o Artaserse
1281-1672 Iniz.Assiem
457
583-1843
33
Roma
7o Artaserse
453
37
Priima parte
33
Metà
Restaur.vera adorazione
(457-)
Roma
587-1847 587-1877 587-1922 606-1866 533-1792 533-1822 533-1867 1302-1697
Maomett 533-1793 533-1822 533-1867 Papato 533-1792 533-1822 533-1867 (457-)
1453-1844
457
33 Prima parte
33
Fine
457
33
33
Fine
457
33
33 34
Fine Fine
453
37
33
Metà
1178
603-1847
533-1792 533-1822 Maomett 529-1789 529508-1798 Maomet 630-1890 630-1920 Maomet 533-1793 533-1823 584-1844 622-1872 531-1791 531-1821
533-1867 5291281-1672 630-1965 533-1868 1453-1844 677-1844 622-1917 1453-1844 531-1866
606-1866 1453-1844 587-1847 587-1877 587-1922 Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
33 453 34 35
37
457
33
36 37 38 39 40 41 42 43 44
33
Metà
fino Rivol. Francese
33
33 33
Fine Fine
33
33
Fine
(457-)
457
603-1847 1327-1718
Maomett 533-1792 533-1822 533-1867 533-1793 533-1823 533-1868
(457-)
457
587-1847 587-1877 587-1922
533-1792 533-1823 533-1867 554-1814 554-1844 1453-1844 533-1792 533-1822 533-1867 -1847 1453-1844 677-1843 537-1797 Maomet 606-1866 + 30 + 45 1281-1672
segue TAVOLA N. 15 Nome
Nazional.
Pubblicaz. Periodo Date Eventi Inizio Eventi Finali Data Posto 2300 2400 a.C. d.C.
45 Addis Alfred
Inglese
1829 London 2300
457 1843/4
46 47 48 49 50 51
Inglese
1829 London 2300
453 1847
Inglese
1829 London 2300
Hooper John Pym William Hoare Ed. Newenh. Digby William McCorkle Sam’l M. Campbell Alex.
457 453
Restaurazione in Oriente .dei Giudei
2o ritorno
1843 1847
Irlandese 1830 Dublino 2300
457 1843
Irlandese 1831 London 2300
457 1843
Americana 1830 Tenn. 2300
453 1847
Distr.Anticr.
Americana 1830
453 1847
Purific. Chiesa
Va. 2300 453 1847 Americana 1824 N.Y. 2400 553 1847
Inizio Millenn
Va.
2300
52 MILLENIAL ARBINGER Americana 1830
53 54 55 56 57 58 59 60
Livermore Harriet Gaussen Louis Richter Johann H. JGO (Jewish Exp.) Keith Alexander MORNING WATCH Christian Herald Anderson Wm. 61 Brooks Joshua Will. 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74
INVESTIGATOROF PROPH.
WATCHM.OF THE NIGTH
Habershon Matthew De Rozas Jose M. Scott Robert (M.D.) Burwell Adam H. Kelber L. H. Heintzeter H. McGregor David Wheeler Chas. Scott Jas. Junkin Geo. Holmes Wm. A. 75 Wilson Daniel (Bp.)
Svizzera
1839 Paris 2300
Tedesca
1834 Germ. 2300
453 1847
Inglese
1831 London 2300
457 1844
Inglese
1832 London 2300
480 1820
Inglese
London
1830
2300
(457 1843)
457 453
1843 1847
Irlandese 1832 Dublino 2300
457 1843
Inglese
1830 London 2300
457 1843
Inglese
1833 London 2300
457 1843
Inglese 1831- London 2300 Americana 1833 Pa. 2300 Inglese 1834 London 2300 Messicana 1834 Puebla 2300 Americana 1834 N.Y. 2300 Canadese 1835 Montr 2300
457 1843 456 1844 457 1844 7o Artaserse 454 1847
Ritorno d.Giudei
453 1847
Fine Impero
Tedesca Danese
2300
453 1847
Americana 1833 Mine 2300
-1843-7
Americana 1833
2300
-1843/4
Edimb. 2300
457 1843
Scozzese
457 1843 Decreto di Ricostr
Americana 1836 N.H. 2300
1866
Inglese
1836 London 2300
465 1836
Inglese
1836 India 2300
453 1847
Quando la profezia diventa storia
Fine Anticristo
1843/4
458/7
1835 Nurberg 2300
Pa.
Harmaghed.
Purif. Chiesa
1179
APPENDICE N. 14
76 77 78 79
Inglese
Bickersteth Edward Miller William Duffield Geo. Crandall A.L.
1836 London 2300
Americana 1836
N.Y.
2300
Americana 1841 Mich. 2300
457 1844 457 1843 7o Artaserse 457 453
1843 1847
Americana 1841 N.Y. 2300
432 1868
80 FREEWILL BAPT.CONFER. Americana 1842 N.H. 2300
457 1843 453 1847
81 82 83 84 85
Shimeall Rich. C. Shannon Jas. Birks Thomas Rawson Robinson Jno. Cumming Jno.
86 Elliott Edw. B 87 The Prophetic Herald 88 Hinton Isaac C.
Americana 1842 N.Y. 2300 Americana 1843
Ky.
2300
457 453
1843 1847
1843 London 2300
457 1843
Americana 1843 Ohio 2300
453 1847
Inglese
Scozzese 1843
German
2o Avvento 2o Avvento
2300
430 1820
Inglese 1844 London 2300 Inglese 1845 Birken 2300 Americano 1842 St.Louis 2300
430 1820 553 1847 430 1820
Distruz. Papato
Dissol.Maometto
segue TAVOLA N. 15 70 Rela.70 Data la Croce Identità Date degli altri periodi profetici Settimane settimana nella corno a.C. d.C. con 2300 Croce 70a settim. 8:9-14 1260 anni 1290 anni 1335 anni 391 anni 2520 anni
45 46 47 48 49 50
457453
37
457 453
33 37
457
33
Iniz.eternità
33
Fine
553-1814 553-1843/4 553-
33
Metà
533-1792/3 533-1823 533-1868
33
Metà
533-1793 533-1823 533-1867
33
Fine
533-1793
457
33
33
Fine
533-1793
453
37
33
Metà
587-1847
51 453 52 453
37 37
33 33
Metà Metà
606-1866
53 457 54 457 55 56 57 58
33 33
59 457
33 Tagliati via
33
Fine
34
34
Fine
33 33 33
Metà Fine Metà
533-1793 606-1866
680-1840 673-1847 723-1793
- 1820
(5331866)
587-1847 1057-1453 Maomet 529-1789 +30 + 45 587-1847 554-1814 554-1844 1453-1844 1057-1453 533-1793 533-1823 533-1867 533-1793 533-1822 533-1867 538-1798
Maomet 533-1793
60 61 62 456 63
Maomet 533-1793
64 457 33/4 65 454 34 66 458/7 33 67 453 37 68
533-1793 533-1823 533-1867
677-1843
Maomet 533-1793 533-1823 533-1867 1453-1844 677-1843 606-1866 660-1950 660-1955 533-1793
69 70 71 72 73
457
74
1180
33 1453-1844 533-1793 606-1866
685-1836 Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
453 457 457
37 Iniz.sincron 34 Tagliato via 33 Prima parte
34
Metà
33
Fine
80 457 81 453
33 37 33 33 33 Tagliato via
33
Fine
75 76 77 78 79
82 83 84 85 86 87 88
457 457 457
457
33
533-1792 533-1822/3 533-1868 677-1843 538-1798 508-1798 508-1843 1448-1839 677-1843 (532)-1868 532-1792 533-1793 533-1823 523-1868 533-1793 533-1823 533-1868
33 Roma (534-1794) 33
33
606-1843
Metà
Fine
532-1792 606-1866 533-1793 Maomet 533-1793
532-1822 606-1896 533-1823 533-1823
532-1867 606-1941 533-1867 533-1866
1057-1453 1057-1453
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. IV, pp. 404-405.
Quando la profezia diventa storia
1181
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
TAVOLA N. 16 DANIELE: INTERPRETAZIONE DEI PRINCIPALI MILLERITI TRA IL 1831-1844 N.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44
Nome
Denomi- 1Giov.2:18 Daniele 2 nazione Anticristo 4 metalli ferro argilla Pietra Montagna Battista Papato B-P-G-R 10 regni Reg.di Dio Reg.eterno Miller William Metodista Papato B-P-G-R 10 elencate Reg.eterno Litch Josia Presbit. Papato B-P-G-R Naz.moderne Reg.eterno Fitch Charles Crist. Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.eterno Himes Joshua V. Episcop. Papato B-P-G-R 10 divisioni 2o avvento Reg.celeste Ward Henry Dana Congreg. Papato Posizione standard Jones Henry Interden. pato Posizione standard Reg.eterno I Confer. Generale Congreg. Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.eterno Bliss Sylvester Papato B-P-G-R 10 divis. 2o avvento Reg.eterno Southard Nathan Crist. Papato B-P-G-R 10 elenc. 2o avvento Reg.di Cristo Fleming Lorenzo D. Crist. Papato Posizione standard Marsh Joseph o Wesler. Papato B-P-G-R 10 divis. 2 avvento Reg.di Dio Hutchinson Richard Metodis. Papato B-P-G-R 10 elenc. Reg.eterno Hale Apollos Battista Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.di Dio Whiting Nathan N. Episcop. Papato B-P-G-R 10 divs. Reg.di Cristo Sabine James Crist. Papato B-P-G-R 10 regni Reg.di Dio Reg.di Dio Cole Timoty Battista Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.di Dio Cook John B. o Battista Papato B-P-G-R divisione 2 avvento Reg.eterno Brown Freeman G. Battista Papato B-P-G-R 10 regni Reg.di Dio Bernard David Congreg. Papato B-P-G-R 10 divis. 2o avvento Reg.eterno Hawley Silas Battista Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.eterno Galusha Elon Crist. Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.di Dio Russell Philemon R. Crist. Papato Posizione standard Reg.eterno ADVENT HARBINGER o Met.Prot Papato B-P-G-R 10 Divis. 2 avvento Reg.di Dio Jacob Enoch Papato B-P-G-R 10 Regni 2o avvento Reg.eterno Hervey N. Papato B-P-G-R 10 elenc. Reg.eterno Litch Chart Crist. Posizioni standard Miilard David Batt. F.W Papato Posizione standard Reg.eterno Preble T.M. Metod. Papato B-P-G-R 10 elenc. 2o avvento Reg.Gloria Storrs George Crist. Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.eterno Bates Joseph Metod. Posizioni standard Robinson D I Crist. Papato B-P-G-R 10 divis. 2o avvento Reg.eterno White James Metod. Papato B-P-G-R 10 regni Reg.eterno Winter Robert Papato B-P-G-R 10 elenc. Regno di Cristo Cunner Fred Papato Posizioni standard MIDNIGHT CRY Ed. Papato B-P-G-R 10 Divis. Reg.di Dio Dealtry Charles o Papato B-P-G-R 10 Divis. 2 avvento Reg.eterno Playford Thomas Papato Posizioni standard French Calvin Papato B-P-G-R Roma Div. MIDNIGHT CRY Chart Papato Posizioni standard French Chart Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.di Dio “1843” Broadside Papato B-P-G-R Divisione 2o avvento Reg.di Dio Cunn Lewis C. o Papato B-P-G-R 10 elencati 2 avvento Reg.di Dio 1843 Chart (Fitch) Mmovim. of 7o Month Inter.Den. Papato B-P-G-R 10 regni 2o avvento Reg.di Dio Quando la profezia diventa storia
1181
APPENDICE N. 14
Crist.
45 Plummer Henri segue TAVOLA N. 16
Papato
Posizione standard
Daniele 7
N. 4 bestie
10 3 piccolo 3½ corna corna corno tempi 1 B-P-G-R 10 Rg L.Rm.Ra Papato 538-1798
Scena finale
E.V.O.
2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43
Daniele 8 M Corno Quotid 2300 giorni C Orgogl P-G Roma Paganes 457aC-1843
B-P-G-R 10 elenc. E.V.O. Papato B-P-G-R 10 Rgi Papato B-P-G-R 10 Rg Papato Triregn B-P-G-R 10 div. Posizione standard Papato Posizione standard Papato B-P-G-R 10 div. E.V.O. Papato B-P-G-R 10 div. Papato B-P-G-R 10 Rgi L.Rm.Ra Papato Posizione standard
538-1798 538-1798 538-1798 538-1798 538-1798 538-1798 538-1798 538-1798 538-1798
B-P-G-R B-P-G-R B-P-G-R B-P-G-R B-P-G-R
538-1798 P- G 538-1798 P-G 538-1798 Giudizio P-G 538-1798 P-G Pos.stand P -G
10 Rgi Papato 10 div. Papato 10 Rg B.V.O. Papato 10 div. Papato Eur.div
B-P-G-R 10 elenc. B.V.O. B-P-G-R 10 div. B-P-G-R 10 div. B-P-G-R 10 div. B-P-G-R 10 Rgi B-P-G-R 10 div. E.V.O. Posizione standard B-P-G-R 10 Rg B-P-G-R 10 elenc. E.V.O. B-P-G-R 10 elenc. E.V.O. Posizioni standard Posizioni standard B-P-G-R 10 elenc. E.V.O. B-P-G-R 10 Rgi E.V.O. Posizioni standard B-P-G-R 10 div. B-P-G-R 10 div. B-P-G-R 10 Rg
Papato standar Papato Papato Papato Papato Papato Papato Papato Papato Papato Papato Papato Papato
1182
Proc.Giud P-G Roma Paganes
Giudizio Distruz. Distruz. Giudizio Giudizio Giudizio Giudizio
538-1798 Giudizio Posizione Standard 538-1798 Giudizio 538-1798 Giudizio 538-1798 ucc.bestia 538-1798 Giudizio 538-1798 538-1798 538-1798 Giudizio 538-1798 ucc.bestia 538-1798 538-1798 538-1798 Giudizio 538-1798 Giudizio
Papato 538-1798 Papato 538-1798 Papato 538-1798 Posizioni standard B-P-G-R 10 div. Papato 538-1798 B-P-G-R 10 Rg . Papato 538-1798 Posizioni standard Papato 538-1798 B-P-G-R 10 Div. Papato B-P-G-R Divisio Papato 538-1798 B-P-G-R 10 elen E.V.O. Papato 538-1798 B-P-G-R 10 Rg Papato 538-1798 B-P-G-R 10 elen E.V.O. Papato 538-1798
Reg.di Dio
P- G P-G P-G P -G P-G P- G P-G P-G P -G
in relaz. alle 70 settimane Iniz.assieme tagliate via
457aC-1843 Roma 457aC-1843 Roma Paganes 457aC-1843 457aC-1843/39 Roma Roma 457aC-1843 Roma 457aC-1843 Roma 457aC-1843 Roma 457aC-1843 Roma Paganes 457aC-1843 Roma 457aC-1843
tagliato via Iniz.assiem. Iniz.assiem Iniz.assiem. Iniz.assiem. Iniz.assiem. Iniz.assiem. Iniz.assiem. Iniz.assiem.
Roma Roma Paganes Roma Roma Roma
tagliato via Iniz.assiem. Iniz.assiem.
P-G Roma
457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843/4
457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843 457aC-1843
Iniz.assiem. Iniz.assiem. tagliato via tagliato via tagliato via tagliato via
P-G Roma Paganes P-G Roma P-G Roma Paganes Posizione standard P-G Roma P-G Roma tagliato via P-G Roma Paganes 457aC-1843/4 tagliato via P-G Roma Paganes 457aC-1843 Tagliato via Posizioni standard 457aC-1843 Posizioni standard 457aC-1843/39 457aC-33dC P-G Roma Paganes 457aC-1843 tagliato via P-G Roma 457aC-1843 tagliato via Posizioni standard
Giudizio P-G Roma Papato Posizione standard Cons.best P-G Roma Giudizio Giudizio
Giudizio Giudizio Giudizio
457aC-1843 Iniz.assiem. 457aC-1843 457aC-1843 Iniz.assiem. Pos. stand.(Mod.di Cr.) Posizioni standard Posizioni standard 457aC-1843 Posizione standard e date tagliato via P-G Roma 457aC-1843 Iniz.assiem. P-G Roma P-G Roma Pagan. 457aC-1843 P-G Roma Pagan. 457aC-1843 tagliato via P-G Roma 457aC-1843 P-G Roma 457aC-1843 Iniz.sssiem. Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
44 B-P-G-R 10 Rg E.V.O. Papato 538-1798 Giudizio P-G Roma Posizioni standard Papato 538-1798 45
457aC-1844
Iniz.assiem.
TAVOLA N. 16 N.
Daniele 9 70 settim.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38
457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC
Daniele 11
1 sett Croce 27-33 27-33 -33 -33 27-33 27-33 27-33 -33 27-33 27-33 27-33
Quadro generale
Daniele 12
2520 giorni
Papato Papato 538-1798 508-1798 508-1843 Francia Napoleone 538-1798 508-1798 508-1843 538-1798 508-1798 508-1843 Papato Papato 538-1798 508-1798 508-1843 538-1798 Papato 538-1798 508-1798 508-1843 Papato 538-1798 508-1798 508-1843 Papato 538-1798 508-1798 508-1843 Papato 538-1798 508-1798 508-1843 Papato 538-1798 508-1798 508-1843 Posizione standard
677aC-1843 677aC-1843
3½ tempi
1290 gior
7 Tempi 1335 gior
re org.
Re Nord
Fine Fine Fine Fine Fine Fine Fine Fine Fine Fine Fine
P-G-R P-G-R
457aC-33dC 27-33 Fine 457aC-33dC 27-33 Fine 457aC-34dC 27-34 metà 457aC-33dC Posizione standard
P-G-R P-G-R P-G-R
Papato Papato Papato
457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC 457aC-33dC
Fine Fine Fine Fine
P-G-R P-G-R P-G-R P-G-R
Papato Papato Papato
538-1798 508-1798 508-1843 538-1798 508-1798 538-1798 508-1798 508-1843 Posizione Standard
457aC-33dC 27-33 Fine 457aC-33dC Fine 457aC-33dC Fine
P-G-R P-G-R P-G-R
Papato Papato Papato
538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843 538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843 Posizione standard
457aC-33dC 27-33 Fine
P-G-R
Papato
457aC-33dC 27-33 Fine 457aC-33dC -33 Fine
P-G-R P-G-R
Papato Roma
Posizione standard 538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843/4 538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843
457aC-33dC Fine 457aC-33dC 27-33 Fine 457aC-33dC 27-33 Fine
P-G-R P-G-R P-G-R
Papato Papato
Papato
457aC-33dC -33 Fine 457aC-33dC -33 457aC-33dC 27-33 Fine Posizione 457aC-33dC
P-G-R
Papato
Papato
Posizione
P-G-R
Papato
Papato
538-1798 Posizione Standard
27-33 27-33 27-33 27-33
457aC-33dC 27-33 33 fine
39 40 457aC-33dC 27-33 Fine 41 457aC-33dC 27-33 Fine 42 457aC-33dC 27-33
Quando la profezia diventa storia
P-G-R P-G-R P-G-R P-G-R P-G-R P-G-R
Papato
677aC-1843
677aC-1843 677aC-1843 677aC-1843 677aC-1843
538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843 538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843 538-1798 508-1798 508/9-1843/4
538-1798 508-1798 508-1843 538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843
538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843 538-1798 508-1798 508-1843 538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843 538-1798 508-1798 508-1843
1183
APPENDICE N. 14
43 457aC-33dC 27-33 (31) 44 457aC-34dC 27-34 31metà 45
P-G-R
Papato
Papato
538-1798 508-1798 508-1843 677aC-1843 538-1798 508-1798/9 508-1843
Per 1260,1290,1335 gg. vedere pp. 255,.256,1031-1034, per 2300 s/m vedere pp.445-449,540 e seg. Vedere L.E. Froom, o.c., vol. IV, p. 846,847.
TAVOLA N. 17 APOCALISSE: INTERPRETAZIONE DEI PRINCIPALI MILLERITI TRA IL 1830-1844 Nome
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31
Miller William Litch Joshua Fitch Charles Himes Joshua V. Vard Henry Dana Jones Henry
Apocalisse 2 e 3 7 chiese Specific.
Apocalisse 6 e 7 4 cavalli 6o sigillo
Vera Ch.
corruz.Ch
Èra Ch.
Chiese
(èra Ch.)
Posizione standard
Vera Ch.
Èra Ch.
Èra Ch.
Ultim.epoc
7 modi
Ult.Laodic.
Anoniymous Chart 1840
Segue Mede -100-350
Midnight Cry Chart 1843
Seg. Mede
1843 Broadside 1843 Chart (Fitch) Bliss Sylvester Southard Nathan Fleming Lorenzo. Hutchinson Richard Hale Apollos Cole Timothy Cook John B. Bernard David Hawley Silas Galusha Elon Russell Philemon Hervey N. Preble T. M. Storrs George Bates Joseph Robinson D.I. White James Gunner Frederic Winter Robert Dealtry Charles Hersey Lewis
1184
Fino Riv.Fr.
Apocalisse 8 e 9 4 trombe 5a tromba 5 mesi Barbari
Turchi
1298-1448
Barbari
Turchi
1299-1449
Barbari
Turchi
1299-1449
dal 350 alla fine
612-762
Barbari
Mussulm.
Barbari
Mussulm. 1299-1449 Mussulm. 1299-1449
7 epoche
Sviluppo apostasia
Barbari
(Barbari)
Turchi
1299-1449
Turchi
1299-1449
Turchi
1299-1449
Barbari Barbari Ult.Laodic.
Mussulm. 1299-1449
Barbari
Mussulm. 1299-1449
Barbari
Mussulm. 1299-1449
Barbari
Turchi
1299-1449
Barbari
Turchi
1299-1449
Barbari
Turchi
1299-1449
Posizioni standard Èra Ch.
Copre èra Cristiana Barbari
Turchi
1299-1449
Turchi
1299-1449
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
segue TAVOLA N. 17 Apocalisse 8 e 9 6a tromba o.g.m.a. 7a tromba
2 testim.
1260 gg
Apocalisse 11 3½ giorni Terremoto
2 Testim.
538-1798
1793-1796 Riv.Francese
10ma parte Città Francia
1
Ott.Turchi
1448-1839
Meglio 1839-1843
2 3 4 5 6 7
Ott.Turchi
1449-1840
Imminente
A. e N.T.
538-1798
1792-1796 Riv.Francese
Francia
Ott.Turchi
1449-1840
Turchi vinti
A. e N.T.
538-1798
Riv.Francese
Francia
Turchi
1281-1672
Squillo dell’Arcang.
Turchi
1449-1840
Stabilimento Regno di Dio
Riv.Francese
Francia
8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 29 30 31
Turchi
1449-1840
Turchi
1449-1840
(Turchi)
(1449-1840)
Turchi
1449-1840
Turchi
1449-1840
538-1798
2 Testim.
538-1798
A. e N.T.
538-1798
A. e N.T.
538-1798
A. e N.T.
538-1798
(A.e N.T.)
538-1798
Fine misteri 538-1798
Ott.Turchi
1449-1840
Turchi
1449-1840
Ott.Turchi
1449-1840 1453-1843
Raccolta
A. e N.T.
538-1798
A. e N.T.
538-1798
Riv.Francese
Francia
1793-1796 Riv.Francese
Francia
Riv.Francese
Francia
2 Test.
538-1798
Ott.Turchi
1449-1840
2 Test.
538-1798
Turchi
1449-1840
A. e N.T.
538-1798
1449-1840
A. e N.T.
538-1798
Turchi
1449-1840 Fine mondo
Quando la profezia diventa storia
1185
APPENDICE N. 14
segue TAVOLA N. 17 Apocalisse 12
Apocalisse 13
1
Donna Vera Chiesa
Figlio Cristo
Dragone Rm Pag
1260 gg 3½ Tempi 538-1798
2
Chiesa
Cristo
Imp. Rm
538-1798
Papato
Vera Chiesa
Cristo
Rm Pag
538-1798
Papato
3 4 5 6 7 8 9 10 11
Roma
Chiesa Chiesa
Cristo
Rm Pag
538-1798 538-1798
25 26 27 28 29 30 31
Chiesa
Cristo
Papato
Rm Pag
538-1798
Papato
Rm Pag
10 Corna 10 Regni
42 Mesi 538-1798
10 Regni
538-1798
10 Regni
538-1798
10 Regni
538-1798
Papato
538-1798
14 15
7 Teste Forme Governo Forme Governo
Papato
Rm Pag
12 13
16 17 18 19 20 21 22 23 24
1a Bestia Rm.Civile
538-1798 Forme Governo Forme Governo
538-1798
Papato
538-1798
Papato
538-1798 538-1798
Forme Governo Posizioni standard
10 Regni 538-1798
Posizioni standard Chiesa
538-1798
538-1798
538-1798 Papato
Vera Chiesa
Papato
538-1798
Forme Governo
538-1798
Vera Chiesa
Cristo
Rm Pag
538-1798
Papato
538-1798
Vera Chiesa
Cristo
Rm Pag
538-1798
Papato
538-1798
Vera Chiesa
Cristo
Chiesa
Cristo
1186
Rm Pag
Posizioni standard
538-1798
Papato
10 Regni
538-1798
Rm Pagana
10 Divis.
538-1798 538-1798
Rm Pagana
10 Regni
538-1798
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
segue TAVOLA N. 17
1 2 3
Apocalisse 13 sp 2a Bestia Immag. Rm Eccl Rm. pag Buonaparte
10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31
Apocalisse 14 1o Angelo 2o Angelo Messaggio Avventista
anni 158aC-508dC
Regni Lat.
Progressivo
168aC-508dC 158aC-508dC
4 5 6 7 8 9
somigl.
666
Papato
Papato
10 Regni
Papato
Protest. Fg Babilonia
10 Regni
Cad. Babil.
Anni Rm. Pagana
Franc.Infed.
Apocalisse 17 Donna Babilonia Bestia 10 corna Ch.Rom Papato Imp.Rom 10 Regni
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
2 corna 158aC-508dC Franc.Italia
Veloce Veloce Francia
Papato Posizioni standard Posizioni standard Ora veloce
Ora veloce Veloce Posizioni standard
Quando la profezia diventa storia
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
Papato
10 Regni
Papato
Papato
10 Regni
10 Regni
1187
APPENDICE N. 14
segue TAVOLA N. 17
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31
1188
Apocal. 17 7a Testa
Apocal. 18 Cad. Bab
Papato
Distruz. Papat
Inizio chiamat. “43
1000 anni
Apocalisse 20 1a 2a resurrezione resurrezione Giusti Malvagi
Letterale
Pre o Post Millennio Pre Mill.
Anni letterali
Pre Mill.
Anni letterali
Pre Mill
Letterale
Pre Mill.
Letterale
Letterale
Pre Mill.
Letterale
Pre Mill.
Letterale
Pre Mill.
Letterale
Letterale giusti Letterale
Malvagi
Malvagi
Chiusura Eventi 2a Risurrez .Esec. Giud 2a Risurrez.
Pre Mill Fine Papato
Alla chiusura Alla chiusura Comb.per Città
alla chiusura
Pre Mill.
Anni letterali
Pre Mill. Pre Mill.
Letterale
Pre Mill.
Letterale
Letterale
2a Risurrez.
Pre Mill.
Letterale
Letterale
2a Risurrez.
Pre Mill.
Letterale
2a Risurrez.
Pre Mill.
Letterale
2a Risurrez.
Prima
Letterale
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. IV, pp. 848-851.
Quando la profezia diventa storia
1189
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
TAVOLA N. 18
APOCALISSE 13 E 14 - ESPOSIZIONE STORICA Nome
Data Nazio- DenoApocalisse 13 Apocalisse 14 nalità minaz 1a Bestia 7a testa 2a bestia Immag. 1o angel 2o angel 3oangel
PRIMA della RIFORMA Andrea di Cesarea Venerabile Beda Berengaudo Valdesi Bernardo di Clairvaux Gioachino da Fiore Alberto di Magonza Eberard II di Salisburg Ubertino di Casale Wycliff John Matthias di Janow Olivi Giovanni Piero Brute Walter Huss Giovanni Purvey John
632
Greca
735
Ingles
Anticrist uom.pec
9osec
Anticrist
1120 Italian
Ch. Rom
adoratori suoi pred.
1153 Franc.
Anticrist
1202 Italian
Anticrist
Anticristo
1206 Franc
Anticrist
pred.Anticr
1240 Austr.
Papato
1259 Franc
Anticrist
1384 Ingles
Papato
1394 Boem
PapalAnticr
1298 Franc
Rm Secol
Falsi crist
14osec Ingles
Rm pag.
Pontific
1415 Boem
Papato
1428 Ingles
Pap.Anticr
Futuro
Clero
Gerarchi
Predicaz. Contro Anticr.
Predicaz. Evangelo
Predicaz. Contro Anticr.
Wycliff
Huss
Lutero
Wycliff Huss
Lutero
Predicaz. Evangelo
SEDICESIMO SECOLO Oecolampadius Johann
1531 Svizz
Tyndale William Lutero Martino Osiander Andreas
1536 Ingles
Papato
1546 Tedes
Imp. Rm
Rm Papal
1552 Tedes
Papato
Joye George Bale John
1553 Ingles
Papato
falso prof. Papato
1563 Ingles
Papato
Prelati
von Amsdorf Nicolaus
1565 Tedes
Papato
Tedes Anon. Comm.su Apocal. 1567 Tedes Solis Virgil 16osec Italian Conradi Alfonso 1571 Ingles Jewell Bp. John 1575 Svizz Bullinger Heinrich 1587 Ingles Foxe John DICIASETTESIMO SECOLO 1607 Ingles Brightman Thomas 1610 Franc Pacard George 1617 Ingles Napier John (Lord) 1622 Tedes Pareus David
Cappel Jacques King James I Cramer Daniel Gerhard Johannes Alsted Johann H. Mede Joseph Helwig Andreas Grotius Hugo
Papato
Papato Papato Pap.Anticr Vesc. Rm
Papato Rm Pag
Rm Papal
Rm Civil
Rm Eccl.
Calvin Rm Civil
Rm Papal
ImpRom
Pap.Anticr
ImpRom
Rm Spirit
1624 Franc Calvin Rm Pag
Rm Papal
1625 Ingles Angl.
Papato
Papato
1637 Tedes Luter.
Rm Pag
Rm Papal
1637 Tedes Luter. Rm Civil
Rm Papal
1638 Tedes Luter. ImpRom
Rm Papal
1638 Ingles
pap-clero
RmSecol
1643 Tedes Luter. Pap.Anticr 1645 Danes
Quando la profezia diventa storia
Rm Pag
culto mgic
1189
APPENDICE N. 14
Hope Matthias
1645 Tedes Luter.
Pm Pag
Rm Papal
segue TAVOLA N. 18 Nome
Data Nazio Deno Apocalisse 13 nalità minaz 1a Bestia 7a testa 2a bestia 1650 Amer. Papato
Johnson Edward 1652 Amer. Cotton John 1655 Ingles Tillinghast John 1658 Amer. Holyoke Edward 1661 Franc Launay Jacques 1669 Tedes Cocceis Johanner Goodwin Dr. Thomas 1680 Ingles 1683 Amer. Williams Roger 1685 Franc Philipot Jacques 1686 Tedes Lucius Johana 1687 Ingles Sherwin William 1690 Amer. Harris Benjamin 1696 Amer. Mather Cotton DICIOTTESIMO SECOLO Mather Increase (Pres.) 1702 Amer. 1705 Tedes Spener Philipp 1713 Franc. Jurieu Pierre 1716 Ingles Fleming Robert Jr. 1717 Ingles Daubus Charles 1718 Ingles Cressener Drus Anonimo - Exp.of Revel. 1719 Ingles 1724 Amer. Burnet William 1727 Ingles Newton Sir Isaac 1729 Tedes Horche Heinrich Dudley Paul (Giudice) 1745 Amer 1745 Ingles Willison John 1747 Amer. Edwards Jonathan Crinsoz de Bionens. 1750 Svizz 1752 Tedes Bengel Johann 1756 Ingles Pyle Thomas 1757 Amer. Burr Aaron (Pres.) 1768 Tedes Petri Johann P. 1771 Ingles Cill John (D.D.) Langdon Samuel (std.Pres.) 1774 Amer. Newton Bp. Thomas 1782 Ingles 1787 Ingles Wood Hans 1791 Ingles Wesley John 1793 Ingles Bicheno James Dudley Paul (giudice) 1745 Amer. 1767 Amer. Backus Isaac 1778 Amer. Gatchel Samuel Gale Benjamein (M.D.) 1788 Amer. Winchester Elhanon 1789 Amer. 1789 Amer. Lathrop Joseph 1793 Amer. Hopkins Samuel PROPHETIC CONJECTUR 1794 Finlad
1190
Purit. Ch. Catt. Indipe
Papi
Apocalisse 14 Immag. 1o angel 2o angel 3oangel
Papi
Papato Rm Papal
Congr Rm Civil Calvin
Papato
Luter.
Papato
Gerarchi Pap.Antic
Congr Pap.Antic Battist
Papato
Calvin
Roma
Papato
Prot.Imm Papi
Papato
Luter. AnticRm Angl. RmCivile
RmEccl
Papato Congr
Papato
Congr RmCivile
Rm Papal
Pietist Imp Rm
RmPapal
Calvin RmCivil
Rm Eccl.
Presbi
Roma
Papale
Anglic Rm Civil Anglic
Rm Eccl.
Papato
Gerarchi
RmPapal
Imp.Ottom
Papato Rifo
Papato Papato
Presbi
Papato
Congr
Papato
Ch.Greca ancora .futuro Papato Clero
Rifor. Rm Orien Luter.
Papato
Papi Papale
Anglic Rm Civil Presbi
pred.rifor
Papato
Anglic Rm Papl Purit
Predicaz. contro gli errori papali
Sacro Rm Impero
Gesuiti
Arndt
Spener (Futura)
Rm Papl
Papato
Luter. Rm Civil
Rm Eccl.
Battist Ant.Rom Congr Rm Civ
RmPapal
Amgli
Papato
Clero Rom
Rm Civil
Rm Eccl.
Metod
Papato
dall’Asia
Indip.
Papato
Fran Inf.
Puritan
Papato
Battist
Papato
Congr
Papato
Papato Papi
Protestan somig.prot tocca US
Pap.Civ.
Pap.Eccl
Univ.
Papato
Gerarch.
Congr
Papato
Congr
Papato Rm Papl
Soc. Bibliche e Mission. Papa Clero
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
segue TAVOLA N. 18 Nome
Osgood Samuel Linn Pres.William (DD) Austin David Winthrop James Ogdon Uzal (D.D.) Spalding Joshua Dwight Pres.Timoty (DD) M’Corkle Samuel Daubeny Charles (DCL) Valpy Richard (DD) Simpson David King Edward Belknap Jeremy Thube Christ. G. Bacon John (giudice)
Data Nazio Deno Apocalisse 13 Apocalisse 14 nalità minaz 1a Bestia 7a testa 2a bestia Immag. 1o angel 2o angel 3oangel Ant.Papal 1794 Amer. Congr Papato 1794 Amer. Presbi
Papato
1794 Amer. Congr
Papato
1795 Amer.
Papato
1795 Amer. Episco
Papato
1796 Amer.
Papato
1796 Amer. Congr Ant.Papal 1798 Aneric Presb
Papato
1798 Ingles
Papato
Angl
1798 Ingles. Anglic
Papato
1798 Ingles Anglic
Papato
1798 Ingles.
Papato
1798 Amer. Congr
Papato
1799 Tedes Luter.
Papato
1799 Amer. Congr
Papato
Papato Papato Predicaz. Precedente il Millennio Messaggio che precede il Millennio
Papi Papale
Protesta. Cor=Lib. Rrel e Civ
DICIANNOVESIMO SECOLO Henry Matthew (Apocal.) Scott Thomas (Comment) Clarke Adam (Comm.) Brown John (Bibbia)
Rista m Rista m Rista m Rista m
Am.Ed Nessun Rm Pagana
Rm Papal
Rm Secol
Am.Ed Anglic Rm Secol Am.Ed Weslian
Papato
Am.Ed Presbi
Papato
Rm Eccl.
PapaCler.
Farnham Benjamin Galloway Joseph (Atty.) EVANGELICAL MAG. BAPTIST ASSN. Smith Elias Nott Pres.Eliphalet (DD) Faber George S. McFarland Asa (DD) King John (D.D.) Romeyn John B. (DD) Scott Thomas Miller William F. Smith Ethan Davis William C. Beecher Lyman (DD) Cuninhame William Griffin Edward D.(DD) Prudden Neh.
1800 Amer.
Papato
1800 Amer.
Rm Papal
Papale
Franc.Infedle
Gerarchi
1803 (Conn)
Rm Pagan
Rm Papal
1805 Amer. Crist. Rm Pagan
Rm Pagan
HERALD of GOS. LIB. Kinne Aaron Tovey Samuel Armstrong Amzi Frere James H.
Nuovo Messaggio contempor.
1805 (Conn Battist 1806 Amer. Presbi
Missione Papato
1807 Ingles Anglic Rm Papal 1808 Amer. Presbi
Papato
1808 Amer. Presbi
Papato
Ierar.Rm Missione che si sta compiendo
Papate
1808 Amer. Presbi Rm Civile Papato
Rm Papal Papale
1811 Amer. Congr Rm Secol 1811 Amer. Presbi
Corna Lib-Ugua
Rm Papal
1808 Ingles Anglic Rm Pagan 1808 Amer. Presbi
Bonapart
Gesuiti mov.Mis cont.papat ult.avver
Rm Papal
Papato
Papato
Rm Secol.
Rm Eccl
1812 Amer. Presbi 1813 Ingles
Predicazione Iniziata
1813 Amer. Congr
Papato
Nuova Era Eterna
1813 Amer.
Papato
Concretizzazione delle Società Missionarie e Bibliche
1813 (N.Y.) Crist.
Papato
1813 Amer. Congr Rm Pagan 1813 Inglrs
Papato
1815 Amer. Presbi Rm Secol. 1815 Ingles
Quando la profezia diventa storia
Papato
Imp.Pagan
Papi Rm Papal Francia 1798
Rm Papal
2 cora=ordine sacerd. e eccles.
Inizio del Messaggio I messaggi vengono dati
1191
APPENDICE N. 14
Fuller Andrew Emerson Joseph Schmucker John G. (DD)
1815 Ingles Battis
Imp.Rm
Rm Papal
1817 Amer. Congr Rm Civ.
Rm Papal
1817 Amer. Luter.
Papato
Il volo dell’angelo include Bengel
Gesuiti
segue TAVOLA N. 18 Nome
Data Nazio Deno Apocalisse 13 Apocalisse 14 nalità minaz 1a Bestia 7a testa 2a bestia Immag. 1o angelo 2o angelo 3o angelo Horn Thomas H. (Introd.) 1818 Am.Ed Weslian Papato 1820 Ingles Anglic RmCivile RmPapal Èannun Ancora Futuro Bayford John
Mason Archibald Fry John Way Lewis Agier Pierre J. (Giudice) Reid Robert Stewart James H. CONTINENTAL SOCY. Cooper Edward Irving Edward Lacunza Manuel Park John R. (M.D.) “Robertson Th. R.” Croly George Keyworth Thomas Keith Alexander (D.D.) Wilson Joshua L (DD,Ph.D) Allwood Philip Hooper John Jones William M’Corkle Samuel M. MILLEN. HARBINGER Drummond Henry Thorp William Leslie James Cox John Livermore Harriet WATCHMAN OF THE NIGHT Smith Samuel B. Brownlee William C.
1820 Ingles Rif.Pr RmSecol.
Scott Robert (M.D.) Thomas John (M.D.) Prophetic INVESTIGATOR PROT. VINDICATOR Wilson Bp. David Campbell Alexander Gaussen Louis Crandall A.L. Ramsey William (DD) Henshaw Bp.John P. (DD) Shimeall Richard C. Winthrop Edward Hinton Isaac T. Burdick Elias A. Robinson John (DD)
1834 Amer. Battist RmPagan 1834 Amer. Crist. Papato
Rm Papal
1834 Ingles Anglic RmCivile
Rm Eccle
1192
RmEccle.
1822 Ingles Anglic
Papato
Sta per essere realizzata
1822 Ingles Anglic
Papato
Sta per essere gridato il giudizio
1823 France Gianse RmPapal 1824 Amer. Pres.Rif
Papato
1825 Ingles Anglic
Papato
Evangelo eterno
1826 Ingles
Papato
Ora del giudizio annunciato
CleroPap
Predic. Angelica ancora futura
Papi
1826 Ingles Anglic RmSecol.
RmEccle.
I messaggi che seguono il 1792
1826 Ingles Presb Rm Imper
Rm Papal
Messagg. Del giudizio
1826 Cileno Cattol Anticristo
Rm Sacerd.
1826 Ingles
RmEccle
RmSecol.
1826 Amer. Presbi
Papato
Papato
1827 Ingles Anglic
Papato
Inquisiz.
1828 Ingles Congr
Papato
cler.papal
RmImper
RmPapal
1828 Ingles
ch.Liber
1828 Amer. Presbi
Papato
1829 Ingles Anglic RmImper 1829 Ingles Anglic 1830 Ingles
I messaggi presentano il trionfo
RmPapal
2cor.=OrdSacerd
Papato
Batti Rm Secol
Verso il compimento Rm Eccl
1830 Amer. Discep
Papato
Protestan
1830 Amer. Discep
Papato
Crist.Rif.
1830 Ingles
Papato
Il Messaggio è predicato
1831 Ingles Discep 1832 Ingles
Il grido del giudizio è incominc.
Papato
1832 Ingles Battist RmCivile 1832 Amer. Congr 1833 Amer.
RmPapal
Papato
Avvertim. contro Babilonia
RmPapal
Complice
Papato 1834 Amer. RifOlan RmPagan
Rm Papal
1834 Amer. Evang
1835 Amer.
Rif.Olan
RmPagan
Settarismo Protestant
Tiran Eccl
1836 Indian Anglic Ant.Papal 1837 Amer. Discep 1839 Svizze Evang 1841 Amer.
Papato Papato Papato
1841 Amer. Presbi 1842 Amer. EpisPr
Papato Papato
1842 Amer. Episco Papato 1843 Amer. Epis.Pro RmCivile 1843 Amer. Battist RmSecol. 1843 Amer. Batt7o g
Papato
1843 Amer. Presbi
Papato
Messaggio del Giudizio
Rm Papal Messaggio di Apocalisse 14 Papato Inquisiz.
Valdese Loll.Ussiti Lutero Messaggio prepar. all’avvento
Preparaz. via per il 2o avvento
Rm Papal Rm Eccle. Angelo che sta dando l’avviso
Pot.Secol Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI RmEccles
1844 Ingles Anglic RmCivile Elliott Edward B. Junkin Pres.George (DD) 1844 Amer. Presbi RmCivile
Ch.Roman
Valdesi Rif.Prot. Futura
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. IV, pp. 1091,1092.
TAVOLA N. 19
APOCALISSE: LE 7 TROMBE E I TRE PERIODI PROFETICI 150 anni = 5 mesi; 391 anni=360+30+1; 396 anni = 365+30+1 Nome
Data Nazion Denom 4 Trom 5a Trom
5 Mesi
6aTrom
o-g-m-a-
Per. anni
gg
PERIODO PRE-RIFORMA 304 Austr. Vittorino 675 Inglese Venerabile Beda 849 Tedes. Valafrid Strabo 8-9sec Spagn. Beato il Monaco Gioacchino da Fiore 1191 Italiano 1391 Inglese Brute Walter SEDICESIMO SECOLO 1545 Tedes. Lutero Martin 1572 Tedes. Chritraeus David 1577 Svizzer Bullinger Heinrich 1586 Inglese Foxe John 1593 Scozze Napier Sir John DICIASETTESIMO SECOLO 1603 Inglese Downham George 1609 Inglese Brightman Thomas 1618 Tedes. Pareus David 1618 Cramer Daniel 1618 Tedes. Hoe Matthias 1631 Inglese Mede Joseph
Cattol.
Le 7 trombe coprono l’era cristiana (parallelo con i 7 suggelli)
Cattol.
Ultime due trombe ancora future
Cattol.
Le prime quattro trombe nel passato, le ultime tre nel futuro
Cattol.
Saracen
Cattol.
Scismat
.
150 anni (Maomet 150 anni
Mussulm
Protest.
Mussulm
Protest. Protest.
Maomet
Protest.
(Saracen
Turchi
Protest.
Saraceni 1051-1201 (Turchi) 1300-(1696) 396
606-756
Turchi
Turchi
1051-1573
(Saracen
630-780
Presbit.
Saraceni
630-780
1169-(1552) 391 1300-1696
396
Luteran
Maomet
606-756 Mussulm
1300-1696
396
1057-1453
396
Turchi Anticrist Anglic. Barbari Saraceni
Cotton John Huit Ephraim Parker Thomas
1639 Americ. Puritan
Launay Pierre de Goodwin Dr. Thomas Holyoke Edward Poole Matthew Sherwin William Hooke William Mather Increase Beverley Thomas Jurieu Pierre Cressener Drue Knollys Hanserd Lloyd William Newton Sir Isaac
1651 Frances
Saraceni
1654 Inglese Anglica
Saraceni
1658 Americ. Congre
cleroPap
Turchi 830-980 955-1055
Turchi Turchi
1644 Americ. Battista
606-756
Turchi
1300-1695
395
1646 Americ. nonCatt
150 anni
Turchi
1258-1649 (1370-1859)
395
1453-1849
396
1666 Inglese
Turchi 830-980
Turchi Turchi
839-980
1670 Inglese
Barbari Saraceni
600
1669 Americ Anglic. Giudizi Papato
1057-1453
396
Turchi
1300-1696
396
Ottomani
1300
1669 Americ Congre.
Saraceni
Turchi
1301-1697
396
1684 Inglese
Saraceni
Turchi
1055-1453
391 + 15 gg 396
1687 Frances Calvin.
Saraceni
622-772
Turchi
1300-1696
1689 Inglese
Saraceni
637-787
Turchi
1800
1689 Inglese
150 anni
(391)
391
1690 Inglese
150 anni
1302-1698
396
1691 Inglese Anglic. Barbari Saraceni
637936(300)
1063-1453
391
1057-1453
396
1697 Tedes. Horche Heinrich 1698 Americ Noyer Nicholas DICIOTTESIMO SECOLO 1701 Inglese Fleming Robert Jr. Quando la profezia diventa storia
Riform. Barbari Saraceni
622-772
Turchi
Saraceni
Turchi
Barbari Saraceni
Turchi
Anni
1193
APPENDICE N. 14
Baxter Richard Mather Cotton Brussken Konrad Vitringa Camp.
1701 Inglese
150 anni
1702 Americ Congre Barbari Saraceni
1300-1696
396
Anni
Turchi
1300-1697
396
Saraceni
606-756
Turchi
1055-1453
391
Barbari Saraceni
673-823
Turchi
1301-1697
396
Data Nazion Denom 4 Trom 5a Trom
5 Mesi
6aTrom
o-g-m-a-
p.a.
Turchi
1301-1697
396
1712 Inglese Non C. Barbari Papato
Turchi
1057-1453
396
1719 Inglese
Turchi
1703 Tedes. Luteran 1705 Danese
segue TAVOLA N. 19 Nome
Whiston William Henry Matthew Anonimo Anonimo Daubuz Charles de Bionens Th. Crinzos Pyle Thomas Edwards Jonathan Newton Thomas Burr Aaron Gill John (D.D.) Langdon Samuel Kershaw Wood Hans Gale Benjamin Scott Thomas Winchester Elhanan Bicheno James Osgood Samuel Winthrop James Woodhouse J.G. Whitaker E.W. King Edward Galloway Joseph Kett Henry Farnham Benjamin Mitchel Evanson Edward Faber George S. CHRISTIAN OBSERVER Priesly Joseph Barnes Albert Chamberlin Richard Johnstone Bryce HERALD of GOS.LIB. French Lawrence Fuller Andrew Buch Charles Davis William C. Smith Ethan Cuninghame William Kinne Aaron Armstrong Amzi
1194
1706 Inglese
1719 Inglese
150 anni
1720 Frances
Barbari Saraceni
612-762
1729 Frances
Barbari Saraceni 150 anni
1735 Inglese Anglic. Barbari Saraceni
1757 Americ Presbit.
612-762
Saraceni
1758 Inglese Battista Barbari Saraceni
Anni
Turchi
c. 400 anni
Turchi
1296-1453
Turchi
1281-1672
Anni
Barbari Saraceni
630-780
Saraceni
1791 Inglese Anglic. Barbari Saraceni 1793 Americ Battista Diss.
1794 Americ
Turchi
622-772
1281-1672
391 +15 gg
Turchi
1281-1672
391 + 15 gg
Turchi
1300-1697
396
Turchi
1299-
391
150 anni
-1775 391
1794 Inglese
1055-1697
391 + 16 gg
Turchi
1453-1844
391
Anni
Turchi
Anni
Anni
Turchi
Anni
1795 Inglese Anglic. 1798 Inglese
Saraceni
1798 Inglese
Barbari Saraceni
1799 Inglese
396
1030
Turchi
Barbari Saraceni 150 anni
1794 Americ
391
Anni 1301-1697
Turchi
612-762
Saraceni 150 anni Saraceni
396
Turchi 629-779
1787 Irlande s 1788 Americ
1793 Inglese
1057-1453 Turchi
Turchi
1774 Americ Congre Barbari Saraceni 1780 Inglese
-1471 396
Turchi
1739 Americ Congre. Barbari Saraceni 1754 Inglese Anglic. Barbari Saraceni
612-762
1800 Americ
Barbari Saraceni
612-762
Ott-Tur.
1281-1672
391
1800 Inglese
Saraceni
622-772
Turchi
1300-1696
396
1802 Inglese
Saraceni
632-782
Turchi
1057-1453
396
1804 Inglese Anglic. Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
1804 Inglese
Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
1804 Inglese
Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1805 Inglese
Saraceni
622-772
1805 Americ. 1807 Inglese
Saraceni
1281-1672
391
1057-1453
396 391
150 anni
Turchi
1292-1683
606-756
Turchi
699-1090
391
Turchi
1281-1672
391 391
1808 Americ. 1810 Inglese
Saraceni
612-762
Turchi
1299-1685
1810 Inglese
Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
Maom.
1453-1844
391
1811 Inglese
gg
Ind.
1811 Americ. Presbit.
Maomet
622-734
1811 Americ. Congr. Invasion Maomet
Turchi
1453-1844
391
Turchi
1453-1844
391
1813 Inglese Congr.. Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1302-1697
395
1813 Americ. Congr.. Barbari Reg.Got i 1814 Americ. Presbit. Barbari Maomet
612-762
Turchi
1281-1672
391
612-762
Turchi
1281-1672
391
+ 15
Quando la profezia diventa storia
TAVOLE DI RIEPILOGO DELLE SPIEGAZIONI DEI PRINCIPALI AUTORI
M’Lleod Alexander Holmes James I. Columbian Fam. Bible Frere James H. Fuller Andrew
1815 Americ.
Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
+ 15
1815 Inglese
Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
+ 15
Americ.
Saraceni
606-
391 anni
391
1815 Inglese Indip. Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1281-1692
391
1815 Inglese Battista
612-762
Turchi
1281-1672
391
Saraceni
Segue TAVOLA n. 19 a Nome Data Nazion Denom 4 Trom 5a Trom 5 Mesi 6 Trom Bible (O’Oyly & Mant) 1818 Inglese Anglic. Barbari Saraceni 612-762 Turchi
Inglese Presbit. Barbari Saraceni Anni a 760
Self-Interpreting Bible
o-g-m-a-
p.a.
1281-1672
391
Turchi
1281-1762 1302-1698
391
Haywood John Bayford John Cornwallis Mrs. Gauntlett Henry Fry John Brown John A. Reid Robert Cooper Edward Park John R. (M.D.) “C.E.S.” (CHR.OBSER.) Irving Edward “Robertson Th. R.” “Laicus”
1819 Americ. Crist.
Keyworth Thomas Keith Alexander White Thomas Homan Ph. Cox John Tudor John Anonimo Hales William Jones William Drummond Henry “J.G.O.”(JEW.EXP.) Miller William Habershon Matthew Jenk’s Compr. Comm.
1830 Inglese Anglic Barbari Saraceni
Turchi
1832 Inglese Anglic.
Turchi
1453-1844
391
1832 Americ. Battista
Maomet 1298-1448 Ott.Turc
1448-1839
391
Scott Robert (M.D.) Walmsley Charles Ashe Isaac Bickersteth Edward PROT. VINDICATOR Bogie B.D. Gaussen Louis Litch Josiah Cottage Bible Crandall A.L. Henshaw J.P.K.
Giudizi Maomet
150 anni
Turchi
1376-1777
391
1820 Inglese Anglic.
Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
1820 Inglese
Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
1821 Inglese Anglic. Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
1822 Inglese Anglic Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1453-1844
391
1823 Inglese
610-760
Turchi
1453-1844
391
Turchi
1281-1672
391
1825 Inglese Anglic. Barbari Saraceni
533-762
Turchi
1327-1718
391
1825 Inglese Anglic Barbari Saraceni
612-762
Turchi
Maomet
1824 Americ. Presbit. Barbari Maomet
1826 Inglese 1826 Inglese Presbit. Barbari Saraceni
1453-1844
391
1453-1844
391
Maomet
622-734
Turchi
1453-1844
391
1827 Inglese
Saraceni
Turchi
1299-1690
391
1828 Inglese Anglic. Barbari Saraceni
630-930 (300) 612-762
Turchi
1281-1672
391
1828 Inglese
622-772
Turchi
1057-1453
396
Turchi
1453-1844
391
1828 Inglese Anglic 1829 Inglese
+ 15
Turchi
1826 Americ. Presbit.
Barbari Saraceni
gg
Saraceni
Inglese
Turchi
1453-1844
391
Turchi
1453-1844
391 + frazione
1829
Saraceni
612-762
Turchi
391 anni
1829 Inglese
Saraceni
632-782
Turchi
1062-1453
391
1830 Inglese Anglic..
Saraceni
620-770
Turchi
1281-1672
391
Mussul. Turc
1299-1690
391
1830 Inglese Battista Barbari Anticrist
1834 Inglese Anglic. Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1453-1844
391
1834 Americ.
Invasio Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672 1302-1698
391 396
1834 Americ. Battista Barbari Saraceni
606-756
Turchi
1299-1690
391
+ 15
Inglese Cattol. Barbari Riforma 1525-1675 Maom. Punto d. fine 1835 Irlande Protest. Barbari Saraceni s 1836 Inglese Evang. Saraceni
612-762
Turchi
1057-1483
636-786
Turchi
1053-1483
1836 Americ. Rif.Dan
Maomet
612-762
Turchi
1453-1844
391
1836 Inglese
Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
1837 Svizzer Evang. Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1057-1453
396
Barbari Turchi 1299-1449 Ott.Turc
1449-1840
391
RovesRm
Turchi
1281-1682
391
Turchi
1281-1672
391
Turchi
1261-1672
391
1838 Americ.
M.E.
1841 Inglese
Saraceni
1842 Americ.
Inquisiz.
1842 Americ. Episco p
Saraceni
Quando la profezia diventa storia
612-762 612-762
396
+ 15 + 15
1195
APPENDICE N. 14
Hinton Isaac T. Cumming John Junkin George Shimeal R.C. Elliott E.B. Scott James * periodo anni
1196
-1672 -1453
1842 Americ. Battista
Maomet
612-762
Turchi
1843 Americ. Presbit.
Saraceni
612-762
Turchi
1057-1453
396
1844 Americ Presbit. Barbari Saraceni
612-762
Turchi
1281-1672
391
Turchi
1453-1844
391
Americ. Episco p 1844 Inglese Barbari Maomet Inglese
Anni
396
Turchi
1057-1453
396
Turchi
1453-1844
391
Vedere L.E. Froom, o.c., vol. IV, pp. 1124,1125.
Quando la profezia diventa storia
Appendice n. 15 DISCORSO ESCATOLOGICO DI GESÙ: Matteo XXIV - Marco XIII - Luca XXI Importanza del discorso «I capitoli 24 e 25 (di Matteo) costituiscono il quinto ed ultimo dei grandi “discorsi” che sono alla base del primo evangelo. Nella concezione della catechesi di Matteo, questa quinta grande istruzione concerne non più la “giustizia” o fedeltà del Regno (capitoli 5-7), né la proclamazione del Regno nel mondo (capitolo 10), né il mistero di questo Regno provvisoriamente nascosto (capitolo 13), né la comunità fraterna dei figli di questo Regno, nel presente nascosto, diventa manifesto agli occhi di tutti (capitolo 24) e, di conseguenza, la vigilanza attiva e misericordiosa che è di rigore in previsione di questi avvenimenti (capitolo 25). L’evangelista dimora dunque rigorosamente fedele al suo proposito iniziale che è di mostrare tutte le conseguenze, per gli uomini, dell’irruzione del Regno di Dio nella persona di Cristo Gesù» (BONNARD Pierre, L’Evangile selon S. Matthieu, 2a ed. Neuchâtel 1970, p. 347).
Difficoltà del discorso Le principali difficoltà sono date dal fatto che il discorso non ci è stato riportato integralmente. Ciò lo deduciamo per i seguenti motivi: - gli evangelisti non ce lo riportano nello stesso modo; - l’apostolo Paolo, facendo riferimento all’insegnamento di Gesù (1Tessalonicesi 4:15), completa quanto dice Matteo 24:30,31. - Matteo 24, raggruppa gli insegnamenti di Gesù relativi alla parusia che Luca, più cronologico, pone in circostanze diverse. Infatti l’insegnamento di Matteo 24:37 e seguenti, Luca li pone dal capitolo 17:26. Non possiamo però escludere che anche sul monte degli Ulivi Gesù possa aver ripreso quanto già insegnato in precedenza.
Circostanze del discorso e domanda dei discepoli Gesù, già nel giorno del suo ingresso trionfale in Gerusalemme, annuncia la distruzione della città: «Poiché verranno su di te dei giorni...» (Luca 19:43,44). E nel momento in cui lascia definitivamente Gerusalemme, dopo aver pianto su lei, ne ricorda la desolazione annunciata qualche giorno prima (Matteo 23:38). Egli non ritornerà più nel Tempio perché il suo conflitto con le autorità religiose ha raggiunto il punto culminante. Nell’attraversare il Tempio, uscendo, alcuni apostoli gli fanno notare gli splendidi doni votivi che adornavano i muri del cortile interno ed esterno che i proseliti e i giudei, anche residenti nella diaspora, avevano fatto. Tra questi il più importante e appariscente era quello del re Erode il Grande: un colossale ceppo di vigna in oro.
APPENDICE N. 15
All’esterno del Tempio uno degli apostoli, quale portavoce dei compagni o al quale i compagni si associarono, fa notare al Cristo le pietre enormi con le quali il Tempio era stato costruito e le fondamenta ciclopiche di questo santuario del culto israelitico. Ma la sentenza di Gesù è perentoria: nulla rimarrà di quello splendore, di quella magnificenza e di quel simbolo di potenza. Ne annuncia il giudizio. Quando poi gli apostoli sono seduti sul Monte degli Ulivi, dirimpetto alla città santa, prima di riprendere il viaggio per Betania, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea si avvicinano al Maestro e gli rivolgono una domanda, alla quale si associano anche gli altri apostoli. La domanda degli apostoli verte su tre punti (Matteo dice chiaramente ciò che Marco e Luca non specificano, ma lasciano intravedere nelle espressioni che usano): - quando avverranno queste cose (distruzione di Gerusalemme); - quale sarà il segno della sua (di Gesù) venuta; - quando sarà la fine dell’età presente. «Nella domanda indirizzata a Gesù dai discepoli si vede che, nel loro pensiero, la rovina di Gerusalemme doveva essere il segnale del ritorno glorioso di Gesù e della fine dell’economia attuale. Questa intuizione risulta per loro dalle profezie dell’Antico Testamento nelle quali il giorno del Signore comprendeva contemporaneamente il giudizio finale d’Israele e il castigo definitivo dei popoli pagani prima dello stabilimento del Regno di Dio (Zaccaria 13 e 14; Malachia 3 e 4). A loro dunque sembrava che alla rovina d’Israele seguisse immediatamente la consumazione di tutte le cose» (GODET Frédéric, Introduction au Nouveau Testament, t. II, Neuchâtel 1904, p. 186). La risposta di Gesù, in ogni caso, assolutamente non identifica i due avvenimenti (distruzione e ritorno), ma frappone tra loro un lungo intervallo di tempo. Il discorso di Gesù ha una «oscurità relativa che caratterizza la profezia in generale, essendo questa una rivelazione parziale, che vela mentre svela e che diventa comprensibile in misura del suo adempimento» (VAUCHER Alfred Felix, Lacunziana, II serie, Collonges-sousSalève 1952, p. 25). La profezia ha lo scopo di sostenere la fede e non di soddisfare la curiosità. Gesù, pur distinguendo le due realizzazioni - distruzione di Gerusalemme e suo ritorno - può sembrare che parli come se rispondesse a una sola domanda, perché la realizzazione della prima è garanzia della realizzazione della seconda. Ci sembra comunque di potere dire che, dal modo in cui gli evangelisti hanno redatto questo discorso, essi hanno distinto i due avvenimenti senza confonderli, e la dichiarazione di Luca 21:24: «E cadranno sotto il taglio della spada, e saranno menati in cattività fra tutte le genti; e Gerusalemme sarà calpestata dai gentili, finché i tempi dei gentili non siano compiuti» non lascia equivoci. «La distruzione di Gerusalemme era considerata in questo discorso del divino Maestro come una immagine profetica del giudizio ultimo e universale, che tuttavia non doveva venire che dopo il tempo dei gentili (Luca 21:24)» (FABRE d’ENVIEU Jules, Le livre du prophète Daniel, t. II, Paris 1891, p. 1450). Gesù, pur non confondendo i due avvenimenti, descrive la distruzione di Gerusalemme con accenti tali che trovano la loro totale realizzazione nella sua parusia. «Il primo colpisce i giudei, è il castigo provocato dalla morte del Messia e dal rigetto della sua parola; il secondo colpisce il mondo intero, è il castigo dell’infedeltà dei malvagi e del rigetto dell’azione del Messia continuata nella sua Chiesa» (DIDON P., Jésus Christ, vol. II, Paris 1891, p. 213).
1198
Quando la profezia diventa storia
DISCORSO ESCATOLOGICO DI GESÙ: MATTEO XXIV - MARCO XIII - LUCA XXI
Possiamo identificare questo modo di parlare di Gesù con quello dei profeti dell’Antico Testamento. Quando essi parlavano della pace e della prosperità che avrebbe avuto il popolo dopo l’esilio (Isaia 35,36), lo facevano con accenti tali che in realtà troveranno la loro realizzazione solamente nel ristabilimento finale. Quando annunciavano la venuta del Messia, la descrivevano identificando la prima con la seconda, sopprimendo il tempo che separava queste due manifestazioni. Così, per esempio, annunciando il giudizio relativo a una città, descrivevano il gran giorno.
Suddivisione del discorso «Bisogna convenire che tutti i numerosi tentativi fatti, dai Padri della Chiesa fino ai nostri giorni, per ritrovare in questo discorso una predicazione chiara e distinta dei due grandi avvenimenti che Gesù annunciava, sono in parte falliti a causa delle difficoltà del testo» (BONNET Louis, Le Nouveau Testament, t. I, Evangiles Matthieu, Marc et Luc, Lausanne 1880, p. 189). Non pretendiamo di mettere il punto a tale argomento, ma crediamo, pur riconoscendo le difficoltà, che il discorso sia ben strutturato.
Domanda dei discepoli Risposta - Panorama generale della vita della Chiesa e segni apparenti relativi alla distruzione del tempio e al ritorno di Gesù - Segno relativo alla distruzione del tempio - Situazione religiosa dopo la distruzione di Gerusalemme - Segno inequivocabile del ritorno di Gesù - Applicazione pratica del discorso Similitudine - Quando avverrà la distruzione di Gerusalemme - Veridicità delle parole di Gesù - Quando il ritorno di Gesù - Esortazione
Matteo 24 3
Marco 13 3
Luca 21 3
4-14
5-13
3-19
15-22 23-28 29-31 32-51 32-33 34 35 36 37-51
14-20 21-23 25-28 28-36 28 32 31
20-24 24 24-27 28-37 30-31 30 33 32 33
34-36
Spiegazione delle varie parti Domanda dei discepoli
La domanda dei discepoli l’abbiamo già considerata.
Risposta: Panorama generale della vita della Chiesa e segni apparenti relativi alla distruzione del tempio e al ritorno di Gesù
Quando la profezia diventa storia
1199
APPENDICE N. 15
Le difficoltà che la Chiesa incontrerà non le impediranno di realizzare il suo mandato: Matteo 24:14. Matteo 24:4,5. Il primo avvertimento di Gesù è quello di non cadere nella seduzione e di non seguire i seduttori. Questi pericoli trovano riscontro nella vita della Chiesa primitiva. Gli apostoli dovevano continuamente mettere in guardia i credenti contro i falsi insegnamenti: Atti 20:29,30; Galati 1:8; 2 Tessalonicesi 2:2,3; 2 Pietro 2:1; 1 Giovanni 4:1; 1 Timoteo 4:1; Apocalisse 2:3. Da qui la preoccupazione di Paolo nel richiamare i suoi collaboratori Timoteo e Tito alla vigilanza, ad attenersi al «deposito» che è stato loro affidato e «alla sana dottrina» quale garanzia di guida sicura per la Chiesa. «Si leveranno dei falsi cristi (versetto 5) e dei falsi profeti (versetto 11), come Simone il mago che pretendeva di essere la grande potenza di Dio (Atti 8), Dosite, che si chiamava figlio di Dio e pretendeva di essere il cristo promesso da Mosè (Origene, Contro Celso, I,57,VI), Menendre, discepolo di Simone, che si diceva l’inviato delle potenze invisibili; poi degli agitatori di popolo, come l’egiziano di cui si parla in Atti 21:38...» (F. Godet, o.c., p. 179). Questo problema dei seduttori non è stato avvertito solamente nei primi anni della Chiesa, ma è una realtà che accompagna ed è parallela alla fedeltà della Chiesa, perpetuandosi e rinnovandosi in tutti i secoli fino ad oggi, con «dottrine che sono precetti d’uomini». Da qui l’importanza di avere alla base della Chiesa l’insegnamento dei Profeti e degli Apostoli, cioè la Sacra Scrittura intera. Matteo 24:6,7. La Chiesa primitiva avrebbe dovuto sentire parlare di guerre e di rumori di guerre, che dovevano impegnare nazioni contro nazioni. All’interno della Palestina abbiamo la tensione tra Erode e Aretas. Tacito, parlando della situazione politica dei primi decenni della Chiesa, dice: «Entro nella storia di un tempo ricca di disgrazie, crudele per la battaglia, dilaniata dalle rivolte, tormentata fino nella pace. Quattro imperatori sono stati uccisi da spade; tre guerre civili all’interno, diverse altre all’esterno, spesso due alla volta, hanno scosso l’Impero. L’Illiria era piena di disordini, la Gallia prossima alla rivolta, la Bretagna, soggiogata, ha scrollato il giogo; le tribù Sarmate degli Svevi si sono sollevate, i Daci sono diventati celebri per le loro guerre civili, i Parti sono ricorsi alle armi, eccitati da un falso Nerone. L’Italia è stata riempita da mille disgrazie spesso ripetute; alcune città sono state inghiottite o scosse da terremoti sulle coste fertili della Campagnia; Roma è stata devastata dagli incendi, il Campidoglio messo a fuoco dalle mani dei cittadini... Nobiltà, ricchezza, onore, tutto è diventato crimine e la virtù la più sicura strada della rovina» (cit. da L. Bonnet, o.c., p. 190). Ernest Renan in L’Antichrist, capitolo XIV, scriveva: «Il globo stesso attraversava una convulsione parallela a quella del mondo morale. Mai i terremoti furono così comuni come nel primo secolo: nel 63 Pompei fu quasi distrutta, l’Asia minore era in uno scuotimento perpetuo, 14 città furono distrutte nella regione del Tmole. A partire dal 59 non c’è stato un anno che non sia stato segnato da qualche disastro; nell’anno 60 Laodicea e Colosse sono distrutte: non ci si ricorda di un tempo in cui la crosta del vecchio continente sia stata così fortemente agitata» (cit. da F. Godet, o.c., p. 179). «Una spaventevole fame imperversò in Oriente sotto Claudio (vedere Atti 11:28 e Giuseppe, Antichità Giudaiche, XVIII,XI,I). Dei vulcani spenti da molto tempo si risvegliarono. Un terremoto distrusse diverse città dell’Asia minore, in particolare Laodicea e Ierapoli... E. RENAN dice: «I terremoti facevano strage in ogni parte; la fame infieriva; una peste terribile colpì il mondo; si credette fosse la più terribile epidemia che mai vi fosse stata» (GODET Frédéric, Commentaire sur l’Evangile de S. Luc, t. II, Neuchâtel 1969, p. 410). 1200
Quando la profezia diventa storia
DISCORSO ESCATOLOGICO DI GESÙ: MATTEO XXIV - MARCO XIII - LUCA XXI
Questa situazione di guerre e di disordini, presentata da Gesù, si riferisce a tutto l’intervallo tra la sua ascensione e il suo ritorno. Questa è la storia del nostro mondo. Gli storici non hanno nulla da raccontarci se non questa realtà. Alla guerra si aggiunge la fame, essa stessa è uno squilibrio, aumenta anche a causa dei cataclismi e terremoti in vari luoghi. Luca menziona i segni del cielo, molto probabilmente volendo indicare con questa espressione: passaggio di comete, eclissi o fenomeni insoliti, ma questi segni non indicheranno una fine prossima, essi saranno dei pali indicatori che attestano che realmente in un futuro la parola di Gesù troverà tutta la sua realizzazione. Tutte queste cose non saranno che il debutto della sofferenza, «sofferenze di parto» (letteralmente) che indica la rinascita di un nuovo mondo. Questi segni, sebbene non siano indicativi per la distruzione di Gerusalemme e il ritorno di Cristo, presentano ugualmente una progressione: dall’udire parlare di guerre (versetto 6) si passa al versetto 7 : «nazione contro nazione». «Quando alle grandi commozioni sociali si aggiungono le convulsioni della natura fisica, le immaginazioni si eccitano, il popolo si fa profeta e grida: “La fine è prossima!”. È proprio contro questi impulsi che Gesù mette in guardia i fedeli che, più che gli altri, per l’effetto stesso della loro speranza religiosa, potrebbero essere esposti a simili delusioni» (F. Godet o.c., t. II, pp. 409, 410). Con le sue parole Gesù vuol dire che questi fenomeni per nessun motivo devono essere presi come segni precursori del suo ritorno. In altre parole, non possiamo attribuire il valore di segni a qualche guerra del passato o del presente: «Perché bisogna che questo avvenga, ma non sarà ancora la fine». «Perché bisogna che queste cose avvengano prima, ma la fine non verrà subito dopo» (Matteo 24:6; Luca 21:9). «Tutto questo non sarà che principio di dolori» (Matteo 24:8). «Mentre i versetti 4-8 descrivono delle catastrofi generali o cosmiche, i versetti 9-14 evocano delle persecuzioni contro i discepoli (umas)» (P. Bonnard, o.c., p. 350). I versetti 9, 10 di Matteo riassumono quelli di Luca 9-19, più dettagliati. La persecuzione della Chiesa inizia subito dopo la Pentecoste, con la testimonianza degli apostoli davanti ai tribunali giudei (Atti 4:3,7; 5:18, 26, 27; 6:12; 8:3; 9:2; 12:1) e pagani (Atti 16:22; Atti 24 e 25; Filippesi 1:12; 2 Timoteo 4:16, ecc.). I versetti 8 e 9 cercano di mettere in risalto la progressività del male. Prima le persecuzioni dall’esterno («allora vi getteranno…») e a causa di esse, anche dall’interno («allora molti si scandalizzeranno…»). Inoltre dei falsi profeti, seducendo, toglieranno dalla chiesa coloro che non si sono fermati alla parola di Cristo. Se mettiamo in relazione il versetto 11 con il versetto 5, sembrerebbe che Gesù voglia dire che come molti falsi cristi sorgeranno dopo la sua morte, così ne verranno altrettanti poco prima della distruzione e del suo ritorno. Matteo 24:12. L’«iniquità» (gr. anomia) «è la rivolta contro la legge, contro ogni legge divina e umana» (L. Bonnet, o.c., t. I, p. 191). Ci sarà un moltiplicarsi del male a tal punto che l’egoismo, la diffidenza reciproca estenderanno il loro impero, e la carità, l’amore, la solidarietà si raffredderanno e deperiranno anche tra i fedeli stessi della chiesa. «La carità non sussiste che con la verità e la santità. Dio solo è amore e Gesù solo è il focolare di quest’amore nella sua chiesa» (P. Bonnard, o.c.). È perché gli uomini avranno rifiutato Quando la profezia diventa storia
1201
APPENDICE N. 15
apertamente la legge di Dio che verranno i tempi difficili di 2 Timoteo 3:1-5. Sarà nella società detta cristiana che ciò si realizzerà. In questo regno del rifiuto di Dio si manifesterà potentemente l’uomo del peccato o letteralmente senza legge (2 Tessalonicesi 2:3), che contrasterà e rifiuterà volutamente la Legge di Dio. Si ripresenterà come l’ottavo re (Apocalisse 17:11) compiendo ciò che il profeta Daniele dice al capitolo 11:40-12:1 (vedere anche Apocalisse 17:14 e 13:15-18). Matteo 24:13. Cioè chi avrà perseverato nel fare sì che Dio compia la sua opera in lui (Filippesi 1:6) sarà salvato. Matteo 24:14. La fine avverrà con il compimento della predicazione dell’Evangelo eterno. Questo Evangelo del regno non è altro che la predicazione che il Regno di Dio si è realizzato in Cristo e quindi l’invito ai giudei di accettare l’Uomo-Re (Daniele 9:25). Quando questo invito sarà stato fatto a tutti i giudei, allora Gerusalemme sarà distrutta (Colossesi 1:23). «La fine del versetto 14 è la stessa di quella del versetto 3. Il versetto 14 significa letteralmente che l’Evangelo sarà annunziato a tutta la terra abitata» (P. Bonnard, o.c., p. 351). Stesso pensiero di L. Bonnet (o.c., p. 191), il quale poi aggiunge: «Questa testimonianza diventa così per ogni popolo, per ogni anima, una crisi, un giudizio interiore che sfocia nella vita o nella morte». «L’Evangelo di cui il Cristo parla qui non sembra essere la predicazione della fede, ma piuttosto l’annuncio della fine del mondo» (NEGRONINI Bernardino, Dell’ultima persecuzione della Chiesa e della fine del mondo, Fossombrone, vol. II, 1861, p. 199; cit. da VAUCHER Alfred Félix, Deux essais sur la prophétie biblique, Collonges-sous-Salève 1969, p. 14). Questo Evangelo è quello della realizzazione «Venga il tuo regno» (Matteo 6:10), annuncia la venuta di Cristo e corrisponde a «l’Evangelo eterno» di Apocalisse 14:6,7. In conclusione i versetti da 4 a 14 presentano un panorama generale della vita della Chiesa fino alla parusia e trovano la loro realizzazione anche prima della distruzione del tempio.
Segno relativo alla distruzione del Tempio
Segno preciso, chiaro, ben definito: Matteo 24:15. Matteo e Marco invitano a riflettere, perché se i credenti non colgono quel segno non ci sarà per loro alcuno scampo. Quel segno è l’unico, il solo. Non ci sono segni, c’è «il segno». Gesù risponde con precisione alla domanda: «Quale sarà il segno…». Luca, per il fatto che si rivolge a uditori greci, sostituisce le parole «l’abominazione della desolazione» con altre espressioni più chiare per il mondo dei gentili: «Gerusalemme circondata dagli eserciti». Finché i credenti non vedranno quel segno non dovranno preoccuparsi, ma dopo non ci sarà più tempo da perdere, la situazione precipiterà. Ecco perché Gesù invita a essere vigilanti e pronti. Perché non si sa quando arrivi il Padrone o quando arrivi il segno. Con queste espressioni: «abominazione e desolazione», «Gerusalemme circondata», Gesù non si riferisce alla presa di Gerusalemme, ma all’invasione graduale della Terra Santa da parte dell’esercito nemico. Impossibile scappare quando Gerusalemme sarebbe stata circondata. «…Il termine di Daniele, citato da Gesù, si può applicare alla profanazione di questo luogo sacro (e non del tempio) da parte degli stendardi romani, simboli dell’idolatria e adorati dai soldati romani» (GODET Frédéric, Introduction au Nouveau Testament, t. II, p. 180). I cristiani 1202
Quando la profezia diventa storia
DISCORSO ESCATOLOGICO DI GESÙ: MATTEO XXIV - MARCO XIII - LUCA XXI
si ricordarono di quanto detto da Gesù. Essi capirono il segno. Eusebio descrive l’esodo: «Inoltre, il popolo della Chiesa di Gerusalemme ricevette, grazie a una profezia trasmessa per rivelazione ai notabili del luogo, l’ordine di lasciare la città prima della guerra e di andare ad abitare in una città di Perea, nominata Pella. Fu in quel luogo che si trasferirono i fedeli del Cristo, dopo essere usciti da Gerusalemme in modo tale che gli uomini abbandonarono completamente la metropoli reale dei Giudei e tutta la terra di Giuda. La giustizia di Dio colpì allora i Giudei perché essi avevano commesso tali iniquità contro il Cristo e i suoi profeti» (Eusebio, Histoire Ecclesiastique, III, V, 3). Matteo 24:20. La fuga in giorno di sabato poteva essere ostacolata dalle porte chiuse e da uno stato d’animo contrario alla fuga, dal timore di violare il sabato. «Mentre Marco limita la sua preghiera a che la fuga non arrivi durante l’inverno, Matteo aggiunge: “…né di sabato”. Il cammino permesso ai giudei in giorno di sabato era di 2000 passi, pressappoco sei stadi. Non si poteva portare niente con sé. Matteo ha inserito questo termine per riguardo ai giudeocristiani che osservavano alla lettera il riposo sabatico» (ROSE, Evangile selon S. Matthieu, Paris 1908, p. 183; cit. da BACCHIOCCHI Samuele, Un esame dei testi biblici e patristici dei primi quattro secoli allo scopo d’accertare il tempo e le cause del sorgere della domenica come giorno del Signore, tesi alla Pontificia Università Gregoriana, aprile 1974, p. 28). Del resto la chiesa di Gerusalemme era zelante nell’osservanza della Legge e non è da escludere che accettasse anche le tradizioni (vedere Atti 21:22,23,20). Matteo 24:21. (Vedere Abate Giuseppe RICCIOTTI, Storia d’Israele, vol. II, 1965, pp. 487516). «Nei cinque mesi che durò l’assedio, i prigionieri furono 97.000 e i morti 1.100.000. Queste sono le cifre fornite da Giuseppe Flavio, (Guerre Giudaiche, VI, 9, 3)» e, scriveva: «…Tra tutte le città soggette ai romani fu la nostra quella cui toccò d’innalzarsi al più alto grado di fortuna e di piombare nel baratro più profondo della miseria» (Giuseppe Flavio, Idem, I, 1, 11, p. 9 ed. Mondadori 1974). «La guerra dei giudei contro i romani, la più grande non soltanto dei nostri tempi ma forse di tutte quelle fra città e fra nazioni di cui ci sia giunta notizia» (G. Flavio, Idem, I, 1, 1, p. 6). Giuseppe dice che Tito ammirando i macigni che formavano la massicciata, dopo essere entrato in Gerusalemme, esclamasse: «Davvero… abbiamo fatto la guerra insieme con Dio e fu Dio che da questa fortezza tirò abbasso i giudei! Poiché mani d’uomini o macchine che cosa possono contro queste torri?» (G. Flavio, Idem, VI, 409, cit. mons. BORGONCINI DUCA, Le LXX settimane di Daniele, Padova 1951, p. 249). Matteo 24: 22. Tre riflessioni: - Sono gli eletti che permettono la conservazione della vita, e grazie a loro i giudei non furono annientati. È la chiesa quale sale della terra (Matteo 5:13) che rende possibile ancora la vita. La presenza della chiesa sulla terra preserva il mondo dalla corruzione completa e fa sì che l’opera che deve compiere differisca il giudizio di Dio (vedere MIEGGE Giovanni, Il sermone sul monte, Torino 1970, p. 68). Si rinnova l’intercessione di Abramo per Sodoma e Gomorra (Genesi 18:27-33). - Quei giorni sono stati abbreviati per evitare che il furore dei Romani si accentuasse e colpisse indiscriminatamente tutti i Giudei del paese e della diaspora, compresi soprattutto i giudeo-cristiani. È per aver voluto conservare gli eletti, i giudeo-cristiani, che anche i giudei non credenti come popolo continuarono a vivere. - «Se quei giorni (i giorni di questo giudizio di Dio) non fossero stati abbreviati (letteralmente tagliati, amputati, mutilati) ogni carne (tutta l’umanità) non sarebbe stata salvata, la vita di nessuna persona sarebbe stata risparmiata, tutti sarebbero periti. Perché? Quando la profezia diventa storia
1203
APPENDICE N. 15
Perché questo terribile giudizio di Dio, segno premonitore del ritorno del Cristo, si sarebbe esteso a ogni carne, sarebbe diventato il giudizio ultimo. Ma quei giorni, per un atto della misericordia e della pazienza di Dio, saranno tagliati, disse Gesù; ci sarà un intervallo, una dilazione dopo la distruzione del popolo ebreo. In favore di chi? A causa degli eletti. Non a causa di coloro che allora di già vivevano, erano credenti; ma di coloro che molto più numerosi crederanno e saranno salvati durante i tempi della pazienza di Dio. Così comprese, queste parole hanno un significato magnifico» (L. Bonnet, o.c., p. 193). Luca 21:24. In quei giorni si compirono tutte le minacce di distruzione fatte a Israele da Mosè (Levitico 26:14 e seg.) fino a quelle di Zaccaria 11:1-17 e di Malachia 4:6. La dominazione di Gerusalemme da parte dei pagani durerà finché durerà l’epoca della dominazione pagana, in altre parole sino alla fine. Perché se anche Gerusalemme è governata, come oggi, dagli ebrei, questi sono sempre dei pagani perché non hanno riconosciuto il tempo nel quale sono stati visitati. Il popolo di Israele non è più, e non sarà più il popolo di Dio, è posto sullo stesso piano dei gentili. «… “I tempi delle nazioni” rappresentano la durata che occorrerà perché la predicazione evangelica, cominciata a Gerusalemme nel giorno della Pentecoste, si spanda gradatamente per tutto il globo, raggiunga progressivamente tutte le tribù, tutte le razze, tutti i popoli della terra, e penetri abbastanza profondamente per far spuntare in ogni luogo, e in tutti i rami della famiglia umana, il seme della fede» (BILLOT Louis, La parusie, p. 89). Matteo 21:43. Dopo il fallimento della rivolta del 130 di Simon Bar Kokeba, la città santa divenne, per volontà dei romani, una città pagana chiamata Colonia Aelia Capitolina. Gerusalemme potrà ancora essere al centro dell’attenzione internazionale, ma resterà nelle mani dei gentili, delle nazioni inconvertite e sino al tempo della fine sarà l’oggetto della loro contesa.
Situazione religiosa dopo la distruzione del tempio
Matteo 24:23. «Questo “allora” non si riferisce più esclusivamente all’epoca dei giudizi di Dio su Gerusalemme, ma indica i tempi posteriori nei quali si produrranno… i segni indicati (versetti 24-26). Questo sguardo profetico si estende di nuovo fino all’ultima fine che Gesù indica dal versetto 27 e descrive nei versetti 29 e successivi» (L. Bonnet, o.c., p. 193). «Si tratta dunque dello stesso soggetto dei versetti 4 e 5; ma, mentre al versetto 5 si trattava di impostori che si presentavano sotto il nome di Cristo (ego eimi o Kristos), i versetti 23 a 28 denunciano coloro che dicono alla Chiesa (umin)… : “Egli è qui, è là!”» (P. Bonnard, o.c., p. 352). «Il brano precedente esprimeva l’idea che i giorni della tribolazione… sarebbero abbreviati per la conservazione degli eletti (versetto 22). Il brano che segue descrive lo stato di cose che deve succedere a questa fine messa bruscamente dalla Provvidenza ai giorni della tribolazione (versetti 23-28). Alla rovina del popolo giudaico succede un periodo di lotte religiose e di seduzioni spirituali (falsi cristi e falsi profeti) e per i fedeli un tempo di attesa ansiosa del Cristo, che tarderà ad apparire: correranno il rischio di credere che il Cristo sarà qui e là» (F. Godet, Introduction ..., p. 181). Matteo 24:28. Come la presenza di cadaveri richiama gli uccelli da preda per divorarli, nello stesso modo, dove uno stato, una nazione, un popolo, una chiesa, il corpo dell’umanità intera è colpito a morte ed è in decomposizione, là cadono per una necessità morale i giudizi di Dio (Matteo 13:41,42). 1204
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Segno inequivocabili del ritorno di Gesù
Matteo 24:29. «Le prime parole di questo passo “subito dopo” racchiudono la principale difficoltà di tutto il discorso» (F. Godet, o.c., p. 185). Se la tribolazione alla quale Gesù si riferisce è quella della città, «subito dopo» Gesù non è ritornato. Quindi si è sbagliato? No di certo (vedere versetto 36). Non possiamo neppure pensare a una inesattezza del testo, perché non ci sembra il sistema migliore di sormontare le difficoltà. «Tutti i tentativi fatti per sbarazzarsi di queste parole precise, “subito dopo”, hanno mancato il loro scopo» (L. Bonnet, o.c., p. 195). Marco nel passo parallelo è meno drastico, meno categorico e più scorrevole: «ma in quei giorni, dopo la tribolazione…» (13:24). La distretta della distruzione di Gerusalemme (Luca 21:24) secondo Luca dura sino alla fine. Questa durata è sconosciuta. In questa tribolazione si può vedere tutto ciò che ha colpito il popolo: - catastrofe nazionale e dispersione; - occupazione del paese; - trasmissione ad altri della testimonianza del «Regno di Dio». Sebbene tutto questo sia vero, però non soddisfa completamente l’espressione «subito dopo». «Io non vedo che una soluzione: è di considerare la distretta che accompagnò la guerra giudaica come tipo della grande tribolazione finale annunciata da Daniele 12:1 e da Giovanni, Apocalissse 3:10; 7:14» (VAUCHER Alfred-Félix, Lacunziana, v. II, 1952, p. 28). «Noi crediamo di poterci unire all’opinione di LUTHARDT…, KLIEFOTH…, secondo la quale i versetti che precedono il “subito dopo” (versetti 21-28) ci trasportano di già, per un processo di prolungamento di prospettiva nel linguaggio profetico, all’epoca delle ultime lotte che precederanno immediatamente il ritorno di Gesù» (GRETILLAT Augustin, Théologie Systématique, t. IV, Dogmatique, II, Neuchâtel 1890, pp. 523, 524). «Il Figlio dell’uomo apparirà subito dopo la grande tribolazione che deve terminare l’umiliazione di Gerusalemme e chiudere infine il periodo dei Gentili che la calpestano sotto i loro piedi da così lungo tempo» (GUERS Émile, Israel aux derniers jours, p. 373; cit. A.F. Vaucher, o.c., p. 29). Gesù riunisce quindi nel suo pensiero due grandi crisi di cui l’una è tipo dell’altra. Ciò che è stata la tribolazione di Gerusalemme per il popolo di Israele, lo sarà del mondo intero per l’umanità. Ciò che è stato motivo di liberazione per i credenti nel 70, lo sarà altrettanto alla fine: Daniele 12:1; Apocalisse 17:14. «Simile a una nave che scricchiola da tutte le parti prima di rompersi in pezzi, il globo che noi abitiamo e il nostro sistema solare tutto intero subiranno delle commozioni mai avute. Le forze motrici ben regolari fino allora sono come liberate dalle loro leggi da una potenza sconosciuta. E l’umanità, spaventata da questi disordini che scuoteranno ciò che è chiamata la terra ferma e che sono il preludio della sua dissoluzione, passerà un’ora di angoscia senza precedenti» (GODET Frédéric, Evangile selon S. Luc, t. II, 4a ed., Neuchâtel 1969, p. 423).
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APPENDICE N. 15
Con le parole del versetto 29 Gesù riassume la varie dichiarazioni dei profeti: Gioele 2:10; 3:15, 16; Isaia 13:10; 34:4; Sofonia 1:15; Aggeo 2:6; Geremia 4:23; Ezechiele 32:7,8; riprese in Apocalisse 6:12-14; 16:17-21. Non è trascorso molto tempo tra l’invasione della Palestina da parte dell’esercito romano e la distruzione della santa città («primavera del 69, principio della fine», segnale per la fuga). «Le truppe di Tito giungevano di fronte a Gerusalemme verso la Pasqua del 70 e iniziavano l’assedio. Fuggire allora sarebbe stato troppo tardi. La linea di circonvallazione con 13 torri fu pronta per la fine di maggio. Il tempio fu incendiato il 6 agosto» (Mons. Borgoncini Duca, o.c., p. 253). Così non passerà molto tempo da quando gli uomini vedranno questi cataclismi e l’apparizione del Cristo. Pensiamo che il testo di Apocalisse ci possa permettere di affermare che coloro che vedranno questi fenomeni vedranno il Figlio dell’uomo. Il testo non lascia dubbi a tale proposito. Questi segni sono quelli che precederanno immediatamente il ritorno di Gesù. L’intervallo è breve tra lo scuotimento delle potenze celesti e il segno del Figlio dell’uomo. Questi fenomeni corrispondono alla VII piaga: Apocalisse 16:17-21 e sono descritti con l’apertura del VI suggello: Apocalisse 6:12-17. Allora chi vedrà queste cose «rialzi il capo perché la sua redenzione è vicina». «La venuta del Messia è un avvenimento così straordinario che la creazione intera stessa la sente… A questo avvenimento cosmico, il cielo e la terra prenderanno parte. Il senso profondo della concezione escatologica della storia è una volta di più segnato. Nessuna trasfigurazione o perfezionamento. Questo mondo della caduta è degno solo di essere distrutto. Il sole e la luna perdono il loro splendore. Le stelle cadono e le forze del cielo sono scosse. Dio instaura un mondo trasformato, rigenerato, nuovo. Allora, nel profondo silenzio che succede all’ultima catastrofe, il Figlio dell’uomo viene con grande potenza e gloria. Un tempo nuovo comincia» (GÜNTHER Dehn, Le Fils de Dieu, Commentaire à l’Evangile de Marc, Paris 1936, p. 225, 228, 229; cit. VAUCHER Alfred-Félix. Supplement à l’Histoire du Salut, Collonges sous Salève 1969, p. 96). «Certi hanno preteso che già delle cadute di stelle, delle aurore boreali straordinarie, delle piogge di cenere e altri segni erano stati osservati nel cielo. È possibile. Da parte nostra noi crediamo che i fenomeni annunciati dalla Scrittura saranno infinitamente più straordinari. Essi saranno così terribili che semineranno l’angoscia fra le nazioni e che nessuno potrà sbagliarsi» (PACHE René, Le retour du Seigneur, p. 96, 97). SPICER William A., (Our day in the Light of Prophecy, Washington D. C. 1918, p. 77), ricorda il sisma di Lisbona (1755), il giorno oscuro (1780), la caduta meteorica (1833) e aggiunge: «È possibile che questi fenomeni siano visti di nuovo su scala più spaventevole e universale, quando le potenze del cielo saranno scosse e il cielo atmosferico si ritirerà come un rotolo, preludio immediato all’apparizione gloriosa del Cristo» (o.c., p. 102, cit. da A.F. Vaucher, o.c.). La traduzione italiana dice: «Può darsi che questi stessi fenomeni si ripetano in più vaste e terrificanti proporzioni nell’ultimo, terribile sconvolgimento annunciante l’immediata venuta del Re di gloria» (SPICER William A., Tempi odierni alla luce della profezia, London 1917, p. 102). In realtà questi fenomeni non sono stati altro che «i primi avvertimenti del cielo e i sintomi di uno scuotimento generale delle potenze celesti» (VAUCHER Alfred-Félix, L’Histoire du Salut, 3ª ed., Dammarie les Lys 1951, p. 377). Matteo 24:30,31. «Nel versetto 30 si parla dell’apparizione del segno del Figlio dell’uomo. È difficile determinare in che cosa consista il segno. Grammaticalmente può sostenersi l’interpretazione: apparirà il segno che sarà lo stesso Figlio dell’uomo. Il contesto 1206
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sembrerebbe escluderla, perché infine allo stesso verso si dice che “allora vedranno il Figlio dell’uomo”; il segno sembrerebbe piuttosto un fenomeno che annunzia l’imminenza dell’arrivo del Figlio dell’uomo. È sentenza molto diffusa che si tratti della croce, ma è assai probabile che si abbia un puro tratto descrittivo dell’escatologia apocalittica il cui significato ci sfugge, o ancor meglio che si tratti semplicemente della vittoria splendente di Cristo sui suoi nemici» (ZEDDA Silverio, L’Escatologia biblica, vol. I, Brescia 1972, p. 387). Ellen White scrive su questo segno: «Presto appare verso oriente una piccola nuvola nera, grande come la mano di un uomo. È la nube che circonda il Salvatore e che, a distanza, sembra avvolta dalle tenebre. Il popolo di Dio sa che questo è il segno del Figlio dell’uomo» (WHITE Ellen, Il gran conflitto, Firenze 1976, p. 466). «La descrizione è fatta secondo Daniele 7:13. Le nubi suggeriscono la divina origine dell’essere sovrumano che appare investito di autorità divina e di splendore celeste. Le nubi nell’Antico Testamento sono il veicolo di Dio, servono a Dio come cocchio e trono (confr. Salmo 104:3). La “nube” circa 70 volte nell’Antico Testamento accompagna la manifestazione di Dio: essa è il suo veicolo (confr. Isaia 19:1)» (S. Zedda, o.c., pp. 385, 386). «La nuvola non è una nube; è il velo con il quale Dio si avvolse quando apparve nel deserto e all’inaugurazione del tempio di Salomone; noi la ritroviamo all’ascensione» (F. Godet, o.c., t. I, p. 603). Commentando Luca 21:27, F. Godet scrive: «Questo passo non racchiude una parola che dica che Gesù ritorna sulla terra per fissarvi la sua dimora. Questo ritorno mi sembra piuttosto che debba esser compreso come una apparizione istantanea, alla quale si riallaccerà la resurrezione dei fedeli (1 Corinzi 15:23; Filippesi 3:20,21), poi l’ascensione della Chiesa (Luca 18:31,35)» (F. Godet, o.c., p. 424). E in generale la nuvola è nella Scrittura il simbolo del giudizio. Del resto il versetto 36 di Luca ci presenta Gesù in veste di giudice del mondo.
Applicazione pratica del discorso Similitudine versetti 32, 33.
«La parabola del fico non riveste probabilmente un senso esortativo, né polemico, ma piuttosto restrittivo: come il contadino non si spazientisce se non vede venire l’estate prima che le foglie del fico germoglino, così i discepoli non sognino l’innalzamento del Figlio dell’uomo, che essi non si agitino prima di vedere prodursi tutti i segni evocati più sopra. È sempre la stessa idea: nessuna agitazione prima che appaiano i segni irrefutabili della fine!» (P. Bonnard, o.c., p. 353). Matteo 24:33. Con queste parole Gesù tira le conclusioni relative a Gerusalemme.
Quando avverrà la distruzione di Gerusalemme
Matteo 24:34. Gesù risponde alla prima domanda. Per il Maestro la distruzione e il suo ritorno non si confondono nella sua mente, sono due avvenimenti distinti e ben divisi l’uno dall’altro. Gerusalemme sarà distrutta «in questa generazione», la medesima che lo sta ascoltando. Letteralmente si dovrebbe tradurre: «questa generazione qui». «Si è tentati di dare alla parola “generazione” il senso di specie umana (Gerolamo), o di Chiesa cristiana Quando la profezia diventa storia
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(Crisostomo), o di razza degli eletti (Cremer), o di nazione giudaica (Dorner, Riggenbach); ma nel nostro contesto, nel quale Gesù vuole dare una determinata cronologia, il senso delle parole “questa generazione” non può essere altro che temporale: l’insieme degli uomini che vivono nel momento in cui si tratta» (F. Godet, Evangile ... Luc, t. II, p. 426). Già prima di uscire dal tempio Gesù aveva detto la stessa cosa: su quella generazione che lo ascoltava sarebbe ricaduto il sangue dei profeti da Abele fino a Zaccaria (Matteo 23:35; Luca 11:50). Matteo usa sette volte l’espressione «questa generazione» (11:16; 12:39; 14:4; 12:41,45; 17:17; 23:36), sempre riferendosi a quella che lo ascoltava. «L’espressione “questa generazione” è ripetuta fino a 16 volte negli Evangeli, sia di Matteo, sia di Marco, sia di Luca, e sempre, costantemente, invariabilmente, essa significa la generazione che fu favorita dalla presenza, dagli insegnamenti e dai miracoli di Gesù» (L. Billot, o.c., p. 41). «Questo termine (generazione) indica presso gli scrittori greci (Erodoto, Eraclito, Tucidide) uno spazio da trenta a quarant’anni. Si contano ordinariamente tre generazioni per secolo. La parola d’Ireneo relativa alla compilazione dell’Apocalisse, dove dichiara “che questa visione è stata vista non molto tempo prima della sua epoca, ma quasi nel tempo della nostra generazione, verso la fine del regno di Domiziano”, conferma questo modo di vedere, perché Ireneo dice espressamente “quasi”, sentendo bene ch’egli era al di là del suo valore ordinario della portata del termine generazione» (F. Godet, o.c., p. 427). «È inutile prendere “generazione” in un senso diverso dal normale: la generazione che viveva al momento in cui Gesù teneva questo discorso…» (LAGRANGE P.M. J., Evangile selon S. Marc, Paris 1966, p. 348). «Questa dichiarazione… non può che riguardare la rovina di Gerusalemme, che avvenne in effetti durante la vita di quella generazione» (L. Bonnet, o.c., t. I, p. 566).
Certezza delle parole di Gesù
Matteo 24:35. Questa affermazione di Gesù ci presenta l’immutabilità della sua Parola e del suo piano rispetto agli uomini che passano (2 Corinzi 4:18). «Il tempio dell’universo visibile, edificio più solido di quello che si voleva far ammirare a Gesù, è pertanto più fragile delle minacce e delle promesse del Maestro che parla loro» (F. Godet, o.c., p. 428). Quando il cielo e la terra saranno passati, la sua parola sussisterà ancora e creerà nuovi cieli e nuova terra.
Quando il ritorno di Gesù
Matteo 24:36. Con questo versetto Gesù risponde alla seconda domanda: «Quando avverrà il suo ritorno». «Sottolineiamo: 1. Questo versetto (Matteo 24:36) si riferisce alla parusia, tutti ne convengono, comincia con la congiunzione avversativa “ma”, il che oppone nettamente questo giorno al giorno precedente (versetto 34); 2. Nei due testi (Matteo 24:36 e Marco 13:32) è usato il pronome “ekeinê”, “quel giorno”, per indicare il giorno e l’ora della parusia, in opposizione al pronome “hauté”, “questa generazione” (Matteo 24:34 e Marco 13:30)» (F. Godet, Introduction...., p. 190). Per quanto riguarda la distruzione della città: «questa generazione qui non passerà». Per quanto riguarda la parusia: «quel giorno là (lontano) nessuno lo sa». 1208
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«KLOSTERMANN ha proposto di applicare le parole “questa generazione” non alla generazione contemporanea di Gesù, ma a quella che vivrà all’inizio dell’ultima crisi. Gli uomini che assisteranno ai segni precursori della parusia, ne vedranno anche la fine, tanto il corso degli avvenimenti sarà rapido. Due passi biblici non permettono di accettare questa interpretazione pure tanto seducente: Matteo 23:36; Luca 11:50» (F. Godet, o.c., p. 189). Però possiamo dire che coloro che vedranno quei fenomeni cosmici, vedranno anche Gesù. È la convinzione che scaturisce dall’accostamento dei passi dell’Evangelo a quelli dell’Apocalisse: Matteo 24:29,30; Apocalisse 6:12-17; 16:19-21; 11:18,19.
Conclusione Quali sono in questo capitolo i segni validi che ci permettono di cogliere l’approssimarsi del suo ritorno? Possiamo cogliere l’avvicinarsi del suo ritorno dai seguenti particolari: 1) Matteo 24:14. Annuncio dell’evangelo al mondo intero. 2) Matteo 24:12. Aperta opposizione nei confronti della Legge. 3) Matteo 24:29 p.p. Distretta finale. 4) Matteo 24:29 s.p. Segni cosmici: coloro che vedranno questi fenomeni assisteranno al ritorno di Gesù. «Poiché la data del ritorno di Cristo non può essere fissata, essa fa parte dei segreti di cui Dio conserva il monopolio assoluto, e costituisce un terreno di caccia riservato che solo dei bracconieri temerari osano invadere, Atti 1:7. Il dovere del cristiano si riassume in una parola: attendere pazientemente il ritorno del suo Maestro» (A.F. Vaucher, o.c., p. 31). «Bisogna che questa beata speranza riprenda, nel pensiero dei cristiani, il posto d’onore al quale ha diritto e che un tempo già occupava. Il Signore lo vuole» (PIERSON A. T., Les Nouveaux Actes des Apôtres, Genève 1896, p. 493, 494). «Il vero avventista, non è colui che si accontenta di ripetere: “venga il tuo regno!”. È colui che si sforza di realizzare l’ideale del regno di Dio nella sua propria esistenza» (A.F. Vaucher, o.c., p. 31).
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Appendice n. 16 IL CULTO SOLARE Paolo Benini
Tutti gli studi storici, antropologici ed etnologici lo hanno ampiamente dimostrato: una costante fondamentale dell’uomo: la sua religiosità Così si esprime Julien Ries, quasi a sintesi di studi e di ricerche pluridecennali, condotti da tanti: «Le scoperte storico scientifiche archeologiche, condottesi un po’ ovunque, provano senza alcun dubbio che l’uomo è sempre stato Homo-Religiosus. Il fenomeno religioso si presenta come primordiale, all’interno di ogni civiltà» (RIES Julien, Il rapporto Uomo-Dio nelle grandi religioni preistoriche, Milano 1983, p. 9). (Per un approfondimento vedere MIRCEA Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino, 1976; SERVIER Jean, L’uomo e l’invisibile, ed. Borla, Torino 1967; ed. Rusconi, Milano 1973). Un altro elemento, a parere nostro, ancora più interessante, è costituito da tutta una serie di dati storici-archeologici che, in questi ultimi anni, i ricercatori stanno riportando alla luce. Per molto tempo si è insistito nel dire che le prime manifestazioni religiose sono state di tipo politeistico e panteistico con un accentuato totemismo, una divinizzazione degli oggetti e degli animali domestici. Dopodiché si sarebbe prodotta una prima evoluzione verso il culto astrale (il sole, la luna, le stelle), per arrivare, infine, alle manifestazioni religiose monoteistiche, con un dio spirituale, che si rivela. Così, per questa corrente di pensiero, il monoteismo biblico sarebbe il primo fenomeno storico di culto ad un unico Dio e l’unico esistente sin dal tempo dei patriarchi (ALVANS F., Monoteismo, in Enciclopedia della Bibbia, vol. IV, Torino col. 1304-1309). È chiaro, questa visione della cosa urta con il quadro generale offerto dalla Scrittura, secondo la quale il processo è all’opposto. In queste righe ci prefiggiamo, molto sinteticamente, di raccogliere e mettere assieme recenti studi etnologici, filologici con qualche dato archeologico per offrire una riflessione sul tema.
Il culto monoteistico: alcuni segni della sua priorità Contrariamente agli orientamenti di decenni di studi di storia delle religioni, notevoli argomenti stanno emergendo. I primi studi in materia risalgono al secolo scorso e portano la firma di LEGGE James, The Notion of The Chinese Concerning God, Honk Hong, 1852. Da studi condotti, dapprima sui caratteri complessi della lingua cinese, peraltro antichissima, poi, inoltrandosi in ricerche sulle primitive forme religiose del continente asiatico, egli arriva a questa conclusioni: - Nei primordi della civiltà cinese, al tempo del leggendario imperatore Shun, 2230-2200 a.C. (Idem, p. 50) si adorava una divinità unica, eterna, «senza fine di anni», definita Altissima (Idem, p. 32), che essi chiamavano Shangti o Shanghai. Questo nome è, foneticamente, parallelo all’ebraico El Saddai e significa, come quest’ultimo, “Signore, Supremo, Altissimo”. È lo stesso Dio Altissimo di cui troviamo menzione nella Bibbia ben 46 volte e di cui Melchisedek era Sacerdote. Ciò è sostenuto formalmente da J. Legge (Idem, p. 7).
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- La cosa diventa, però, decisamente interessante quando si prende in esame la forma di culto con cui si adorava tale divinità, allora il rapporto con la religione biblica diventa assoluto: quegli adoratori offrivano allo “Shanghai” un doppio sacrificio quotidiano, di un agnello o un vitello, uno era offerto al mattino dalle 9 alle 11 e l’altro all’ora del “hsi”, che si traduce nella nostra lingua con “imbrunire” (Idem, p. 50 e seg.). Il parallelismo con l’olocausto continuo biblico, che risale sin dalla Genesi e dopo il diluvio, è perfetto. Uno degli agnelli l’offrirai la mattina, e l’altro l’offrirai sull’imbrunire. Esodo 29:39. Nel corso dei secoli successivi (1800-1200) questo Dio ed il culto che gli era legato andò man mano dimenticato. Dalla conoscenza di Shangti che ha attributi personali quali la bontà, il sentimento, la vista, l’udito (GLASENAP Helmuth von, Le religioni non cristiane, Milano 1964, p. 294), si evolve verso il culto ad uno spersonalizzato “Figlio del cielo”, chiamato anche “Wang” termine molto vicino al classico Yang (il contrapposto è Yin) che indica luce, ciò che è luminoso, il sole! È l’introduzione del culto solare. Si passa ben presto ad una forma diversa di culto: nel vasellame cerimoniale dalle immagini di agnelli e vitelli si passa a quelle di serpenti e dragoni, si passa allo zodiaco con 12 segni, simili a quello babilonese, ed agli attuali nostri! Si passa da una partecipazione generale agli atti di culto, alla gerarchizzazione della vita religiosa: il sovrano solo può presenziare a certi riti! Subentra il culto degli antenati! Rimanendo sempre nel continente asiatico, abbiamo le testimonianze di alcune popolazioni della Birmania di antichissima tradizione, esse adorano una divinità spirituale ed eterna che chiamano Y”WA”. In seguito abbiamo uno studioso che ha dedicato molta attenzione all’origine del monoteismo, W. Schimidt. Egli difende il monoteismo come forma religiosa primitiva (SCHIMDT W., La Formation Du Monoteisme, in Revue International d’Ethnologie et linguistique, Fribourg, 1926, pp. 269-272). Gli studi più interessanti sono recentissimi, protagonista principale è l’archeologo Emmanuel Anati, i suoi studi interessano l’età che va dalla fine del Calcolitico a quella del Bronzo (3000-2000), baricentro delle sue ricerche è la nostra Valcanonica (BS). In una sua opera afferma: «Una religione con un solo Dio creatore onnipotente, una religione unica diffusa in tutta l’Europa, dal Caucaso all’Atlantico, tra il 3200 e il 2500 a.C. monopolizzò gli interessi spirituali delle popolazioni del continente, ...una vera religione rivelata, predicata da profeti o missionari in giro di evangelizzazione per l’Europa... doveva essere la stessa religione già fiorente presso le primissime popolazioni dell’oriente... (con) i suoi santuari, i suoi luoghi pubblici di venerazione e di preghiera, ...resti di fuochi e di capanne abitate probabilmente da sacerdoti eremiti, i quali celebravano i riti di un Dio unico e trino giunto in Italia (ed Europa) dalle profondità dell’Asia» (VECCHI Luigi, Quanti anni ha Dio? in Panorama del 14/4/80, pp. 145-146). I legami con le testimonianze derivate dalla Cina sono evidenti e diventano estremamente interessanti se li consideriamo alla luce di Genesi 11 dove è detto che i discendenti di Noè, tutti parlanti un unico linguaggio, prima della dispersione di Babele risiedevano in Oriente, a Sinear fra il bacino del Tigri e la penisola indiana (Genesi 11,2).
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IL CULTO SOLARE
Un’altra testimonianza, anch’essa molto recente, ci completa il quadro. Essa si riferisce al continente americano; le prime popolazioni che vi si stanziarono hanno lasciato i segni del loro culto rivolto ad un dio, anch’esso come quelli fin qui considerati, unico e trino, Signore supremo e Creatore della Vita. Nell’altopiano del Machu Picchu, studi archeologici hanno portato alla luce l’antichissima adorazione al Dio unico, creatore onnipotente del cielo e della terra chiamato Viracoscha Parachuti, monarca dell’impero Inca dal 1439 al 1471, che è così definito: «È l’antico dei giorni, remoto, increato, non ha bisogno di moglie. Si manifesta come una trinità quando vuole». Esso risale a prima del sorgere delle civiltà precolombiane, cioè intorno al II millennio a.C. Col sorgere di queste civiltà prese sopravvento il culto al dio Jinti, il dio sole! (FIORESE Vittorio, Le tracce di Dio, in Cristo la risposta, Benevento, p. 12). Dunque, un quadro religioso che verso la fine del III millennio a.C. si presenta uniforme in quasi perfetto parallelismo con quello enunciato dalla Scrittura, ripetiamo le forti rassomiglianze onomastiche, (Signore altissimo ed onnipotente, che richiama ad El Elion, Iddio altissimo di Melchisedek ed El Saddai, Iddio onnipotente di cui già detto) agli attributi, identici (Creatore personale e unico e trino), ed al culto che gli è tributato anch’esso strettamente parallelo. Dal tempo del Diluvio, anch’esso fortemente testimoniato da tutte le tradizioni religiosoculturali (sul diluvio vedere: Il diluvio universale: una catastrofe cosmica? in PI KAPPA, 5/1981, pp. 10-15), attraverso la dispersione di Babele, per un certo numero di secoli si è conservata un’unitaria forma di credo e di culto all’unico Signore. Poi, improvvisamente anche qui, quasi contemporaneamente ovunque avviene il complesso e misterioso passaggio al culto solare.
L’intrusione del culto solare Per delle ragioni che sono sconosciute assistiamo un po’ ovunque, intorno all’ultimo periodo del III millennio, alla comparizione del culto solare. Fondamentalmente questo culto affonda bene le sue radici in Egitto, in Asia ed in Europa, altrove lo troviamo con sporadiche apparizioni, ma un po’ ovunque: Africa, Oceania ed Americhe. Nel continente americano avrà invece un ruolo rilevante in Perù e Messico (E. Mircea, o.c., p. 126). Il fenomeno trova nella religione Egiziana la massima manifestazione: «Essa fu dominata dal culto solare. ... con la V dinastia (2380-2280 a.C.) in seguito si generalizza, diventa ufficiale, ed assorbe tutte le altre divinità» (idem, p. 142). Dall’Egitto la eliolatria passa in Asia. A Babilonia troverà altro terreno fertile, diverrà il dio della giustizia, Signore del giudizio, dell’oltretomba, patrono dei profeti e degli indovini (HOOKE S.H., Babilonian and Assirian Religion, Londra 1953, p. 109; E. Mircea, o.c., p. 147). Da queste due roccaforti il culto solare, a cavallo fra il III e II millennio, si sposta un po’ ovunque. Dapprima in Medio Oriente (Assiria, Fenicia, popolazioni cananee) dove Baal, da semplice e generica divinità, diventa il dio sole centro del culto (COMONT Franz, The Oriantal Religion In Roman Paganism, New York, 1956, p. 307). Con il Neo-impero babilonese avviene un’altra assimilazione al culto solare con le divinità locali Baal, Bel e Bel Marduk. «Bel-Marduk della religione assiro-babilonese corrisponde al dio semitico occidentale Baal» (LANGDON Steven H., Semitic Mytology, Boston 1931, p. 156). Quando la profezia diventa storia
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«Bel-Marduk, come massima figura della religione antica, viene a rappresentare il sole primaverile» (Idem, p. 169). Il suo rituale si allaccia a quello di Tammuz che riprederemo fra breve. Da Babilonia alla Persia dove con l’avvento del Zoroastrismo ci fu una riforma religiosa che portò ad una purga di tutte le forme «culturali orgiastiche e politeistiche, con l’istituzione ben formulata del culto a Mithra, il dio della luce, il - Sol Invictus - l’invincibile signore della verità e della giustizia» (Seventh Day Adventist Bible Students, Source Books, vol. 9, Washington, 1962, pp. 1098,1100). A Roma arriverà con due millenni di ritardo, ma con conseguenze enormi! Così, nel corso di due millenni, assistiamo a questo passaggio dal culto al Dio supremo, invisibile, spirituale e personale, al culto solare. È evidente il passaggio alla deificazione della natura, i cui fenomeni diventano simboli di concetti religiosi (E. Mircea, o.c., pp.126-157) (fecondità, nascita, rinascita, morte).
Le conseguenze storiche, culturali e religiose del culto solare
1. Culto Solare e divinizzazione dell’uomo Ovunque questo culto si installa, al fenomeno segue il rafforzamento e la divinizzazione delle gerarchie regali e sacerdotali. In Egitto il monarca è in primo luogo il vicario del sole. Il termine Faraone viene da FaRa, e significa grande casa/tempio/dimora del sole (Idem, pp. 126.143). Lo stesso dicasi in Babilonia, dove Hammurabi si definisce «il sole di Babilonia che causa il sorgere della luce» (F. Cumont, o.c., p. 50); uguale dignità la pretenderanno pure tutti i successori, compresi quelli del Neo impero (confr. Nabucadnetsar in Daniele 3), nonché quelli personali, (confr. Dario, Daniele 6). Tale fenomeno si produsse pure a Roma. «Gli imperatori piano piano assursero alla dignità dei monarchi egizi e babilonesi e portarono nell’impero il culto imperiale, l’imperatore divenne l’immagine del sole... Con Aureliano c’è l’introduzione da Palmina nei suoi nuovi santuari delle immagini di Bel e di Relios. Stabilendo questo nuovo culto statale, egli proclamò la caduta dell’idolatria romana e l’ascesa del semitico culto del sole» (Idem, pp. 53,54,55). Egli tentò di fondere tutti i culti dell’impero nel monoteismo solare. «Il sole non proteggerà soltanto l’imperatore ma sarà considerato il massimo protettore dell’Impero e quindi posto a capo del culto pubblico romano» (Enciclopedia Italiana Treccani, voce Aureliano). Nel 274 egli edificò nel Quirinale il magnifico tempio al “Sole invitto”. Con questo portò a compimento quella riforma religiosa voluta e cominciata a suo tempo con Pompeo, riforma che in questo lasso di tempo (30 a.C. -274 d.C.) conobbe i seguenti momenti: - Nel 67 a.C., Pompeo, che era stato iniziato al culto di Mitra, introdusse il culto solare clandestinamente (Plutarco, Vita Pompei, cap. 24). - Nel 30 a.C. Augusto porta dall’Egitto il culto solare, trasferendo gli obelischi consacrati al sole (BACCHIOCCHI Samuele, From Sabbat To Sanday, Roma 1977, p. 239).
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- Nel 26 a.C. si fece proclamare Divus Max Pontifex, titolo che fu conservato da tutti i suoi successori ed i successivi vescovi romani (Dizionario Ecclesiastico Utet, Torino 1950, vol. 3, p. 269). Egli introdusse pure la settimana planetaria Mitraica in cui ogni giorno settimanale era dedicato ad un astro. - Eliogabalo nel 200 d.C. istituì il culto Mitraico del Sol-Invictus-Eliogabalus (S. Bacchiocchi, o.c., p. 238), eresse grandiosi templi e si proclamò Re Sole.
2. Culto solare e ritualismo religioso e feticistico Il culto solare, si può dire, è all’origine di gran parte del ritualismo e della mitologia religiosa che in maniera naturale è rimasta “pratica” culturale in tante tradizioni dei culti dei santi e dei patroni locali. Queste pratiche rituali si ricollegano al mito di Tammuz. Questo mito è vecchio quanto la storia, esso risale, secondo la leggenda, al periodo postdiluviano. Si ritrova nell’epopea di Ghilgamesh. Questo mito è il più sincretistico della storia mondiale delle religioni. È legato, assieme a Isthar, ai miti di Osiris ed Isis, Dionisio e Bacco, Proserpina e Corè, Adonis e Venere. La storia di questo mito-leggenda cominciò nella terra di Babilonia, e, come detto, la si fa risalire a dopo il diluvio. «Un enorme uovo cadde dal cielo sul fiume Eufrate, dei pesci lo spinsero a riva, delle colombe lo covarono e vi nacque Ishtar» (HISLOP Alexander Rev., The two Babilons, New Jersey 1959, p. 109). La Ishtar babilonese diventa la Astarte fenicia, assira e palestinese dei racconti biblici, diventa la Isis degli Egizi (Enciclopedia della Bibbia, elle di ci, Torino 1969, voce Isis), la Meni delle tribù arabe (A. Hislop, o.c., p. 94; Isaia 65, 11), e la Venere dei greci e romani (Enciclopedia della Bibbia, voce, Astarte), figlia della dea luna (Idem). Era la dea dell’amore, della vegetazione, era adorata come regina del cielo in tutto il medio oriente antico, questo culto penetrò anche in Israele ed in Giuda (Geremia 7:18; 44:17-19, 25) attorno al IX e VIII secolo a.C. Oltre che in Egitto e in Babilonia era adorata in Cina e in India, in Tibet, in Giappone ed in numerosi altri paesi dei vari continenti. Era adorata inoltre come Dea Madre ed era raffigurata da una madre con un fanciullino in braccio (A. Rev. Hislop, o.c., pag. 19,20). In diverse regioni babilonesi ed assire era chiamata “signora” (Belit) o “mia signora” (Belit-ni) Bel = dio; it = terminazione femminile; ni=mia; da qui il termine latino Madonna, mia donna (Seventh Day Adventist Bible Commentary, Washington 1962, vol. IV, p. 152; A. Rev. Hislop, o.c., pag. 103). Praticamente era la dea madre universale, era chiamata pure madre degli dei (Idem, pag. 74-90, 100). Tracce del culto di questa dea si trovano anche in Scozia e nel Messico (Idem, pag. 102, 104). Il suo culto era associato con il rinascere della natura, il suo mito è legato al rifiorire della natura che, morta al diluvio, risorge nella prima primavera successiva alla catastrofe in coincidenza, secondo il mito, all’aprirsi dell’uovo, di cui sopra, covato dalle colombe (WEISER F.X., Handbook of Christian feast and costoms, pag. 238). Essa ebbe un figlio illegittimo che si chiamava Tammuz, l’equivalente dell’egizio Otis e del greco Bacco (A. Rev. Hislop, o.c., pp. 20,46), Adonis o Baal per i Fenici e gli Assiri (S.H. Langdon, o.c., p. 17). Egli fu concepito il 25 marzo e nacque il 25 di dicembre, questa data è ricordata nelle più antiche mitologie greche ed egiziane (A. Hislop, o.c., p. 93). Gli arabi per Quando la profezia diventa storia
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la nascita di Mani, gli assiri per la nascita di Baal-Berit; e i romani per la nascita di Saturno, vi associano il rito dell’albero di cedro. (Idem, pp. 94-98). Tammuz (Adonis o Baal) fu ucciso da un cinghiale e la sua morte fu pianta dalle donne (Idem, p. 99; Ezechiele 8:14). fino a quando Ishtar, la dea madre commossa per tale pianto e digiuno, ridiscese negli inferi e lo riportò alla vita (Enciclopedia delle Religioni, ed. Vallecchi, voce: Tammuz), questo evento veniva ripetuto mitologicamente ogni anno il primo giorno della settimana seguente il primo novilunio successivo all’equinozio di primavera (A. Hislop, o.c., pp. 103-113). Il pianto delle donne durava 40 giorni, “era una solenne festa”, digiuno di 40 giorni in onore della divinità astrale Ishtar (Idem, p. 105). Il rito della dea madre, della sua discesa negli inferi per riportare alla luce il dio ucciso, costituiva il rito agricolo del rinascere primaverile della natura (Seventh Day Adventist. Bible Dictionnary, voce Easter=Pasqua, vol. 8); dopo questa discesa la dea madre veniva riassunta in cielo con il rito di assunzione che si celebrava intorno alla metà di agosto (A. Hislop, o.c., pp. 125-128). Sarà sufficiente una analisi superficiale per constatare come la maggior parte di queste leggende e di questi miti hanno preso piede nei riti e nella cultura religiosa cristiano-romana.
3. Culto solare e astrologia Il terzo effetto di questa intrusione solare riguarda la settimana nella sua connotazione planetaria ed astrale, nonché la pratica astrologica. Lo studio degli astri, dei loro movimenti e della loro corrispondenza con gli eventi umani sta alla base di tutta la civiltà mesopotamica; babilonese prima e persiana poi. Essa parte dal presupposto di corrispondenze fra il mondo degli astri ed il mondo terrestre. Così quest’ultimo è considerato il riflesso delle situazioni dell’universo astrale. Con l’intrusione della religione solare assunse grande importanza il ruolo che questo astro aveva nei ritmi della natura (rinascere della natura, stagioni, giorni, anni) in seguito come alleato del sole, si introdusse anche il dio lunare agente col novilunio sul ritmo del mese e della fecondità. Poi fu il ruolo dei pianeti ad esser preso in considerazione, le diverse posizioni in rapporto all’anno solare incidevano, si credette e si crede ancora, sul destino dell’uomo a ritmi più ampi: su particolari eventi storici, politici, militari, e sulle relazioni umane. Grande importanza fu data all’astrologia sotto il monarca Nabucadnetsar (600 ca. a.C.), gli astrologi occupavano un posto notevole nella vita di corte (Daniele 1 e 2). Il loro operato e le loro previsioni riguardavano in particolare gli eventi di corte, re compreso. Il legame dell’astrologia con il culto solare era molto stretto, siccome il monarca era la personificazione del sole, l’azione degli astri sulla sua persona era azione diretta sul dio Sole. In Grecia, dove il culto solare ebbe meno successo, ebbe invece grosso peso l’azione degli dèi-pianeti anche sui singoli oltre che sui monarchi, (questo fu dovuto alla concezione dell’uomo specifica che si formò nel pensiero in greco). In questo senso Babilonia e Grecia, come correnti astrologiche, hanno molto trasmesso alla cultura posteriore romana e postromana. A questa va unita la tradizione e la cultura religiosa astrale persiana. Modellata dalla riforma di Zoroastro la religione iraniana conobbe una vera e propria sintesi originale. In seguito alla riforma monoteistica di Zoroastro, Mitra diventa il dio unico 1216
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ed il suo culto, culto organizzato. Il Mitraismo fra le religioni orientali sarà quello che avrà il maggiore influsso sulla religione romano-cristiana e sulla cultura post-romana. Inizialmente Mitra era distinto dal sole, poi, dopo averlo vinto, strinse alleanza perpetua con lui e da allora “l’uno e l’altro si identificarono” e le rappresentazioni di questo “accordo” sono quelle di un giovane portante attorno al capo una corona di raggi di sole. Zoroastro con la riforma fece una mirabile fusione fra culto solare e pratica astrologica babilonese: «Nel Mitraismo, come elemento notevole e talvolta preponderante, le rappresentazioni astrologiche di origine mesopotamica si erano andate fondendo con la religione iraniana... I pianeti sono divinizzati, hanno virtù proprie, talvolta in conflitto fra loro, presiedono ognuno un giorno della settimana... Il loro numero di sette diviene sacralmente rilevante... Divinizzati sono i segni dello zodiaco che esercitano le loro influenze sugli uomini e sul mondo» (Enciclopedia delle Religioni, voce: Mitra). Fu questa operazione a trasmetterci una settimana in cui ogni giorno è dedicato ad un astro. Per il fatto che Mitra era superiore agli altri dei, il giorno a lui dedicato era considerato giorno di festa (Tertuliano Apologia, 16; Ad Nationes 12). Con l’introduzione in Roma della religione solare, dalla settimana planetaria Mitraica e l’obbligo del culto al Sol Invictus e del rispetto alla socialità del giorno a lui dedicato divennero particolarmente importanti. Questo in particolare da Adriano in poi (140 d.C.) (S. Bacchiocchi, o.c., pp. 249-251). Fu così che nacque in Roma la sacralizzazione del giorno del Sole, l’attuale Domenica.
4. Culto solare e rapporto Dio-uomo e uomo-salvezza La quarta conseguenza riguarda i rapporti di culto che si produrranno fra le divinità e il credente. In ogni luogo in cui questo culto ha preso piede, si è prodotto, rispetto al culto monoteistico precedente, un’adulterazione della relazione religiosa con la divinità! Assistiamo ad un’accentuazione della pratica sacrificale e a una sua evoluzione verso una celebrazione cruenta, dalle celebrazioni e sacrifici di animali si passa un po’ ovunque a quella dei sacrifici umani. La pratica è «diffusa in rapporto stretto al culto solare» (GOLLA Eduard, Sacrifici umani in Israele, in Enciclopedia della Bibbia, vol. VI, Torino 1971, pp. 32-34). Comprendere le motivazioni di tale legame non è facile, sembra che esso sia da ritrovare nel fatto che il rapporto con tale divinità fosse legato alla paura, paura che sorgeva dal fatto che questo dio esprimesse la sua collera con gli eventi spaventevoli della natura: caldo soffocante, freddo, vento, fulmini e tuoni. Attraverso questi fenomeni la divinità esprimeva il suo disappunto: bisognava propiziarsela, essendo detentrice delle vite, lo si doveva fare offrendogli la vita. È in questo contesto che nella religione solare si introdurrà sin dai suoi albori oltre alla pratica del sacrificio teso a placare le divinità in collera, anche la figura del mediatore, che per le sue virtù, i suoi uffici e la sua posizione di superiorità clericale potrà stare da medium tra il credente e le divinità Il rapporto col dio non è più dunque motivato dall’amore e dal rispetto e dalla riconoscenza, ma dalla paura e dal distacco: ogni atto religioso o no diventa perciò elemento di recupero del suo favore: di qui i sacrifici, le “buone opere” di suffragio, i riti. Quando la profezia diventa storia
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Conclusione In poco meno di due millenni la storia ha assistito ad una profonda evoluzione, dal culto al Dio unico, Signore e Creatore dell’Universo e della Vita, all’adorazione di una delle sue creature, il Sole. Il fatto non finisce lì, tutta la vita, la religiosità, i rapporti umani, la cultura e la società ne sono stati profondamente condizionati; se non addirittura cambiati! Ma proprio nel pieno di questo processo involutivo, quell’Iddio Altissimo che ha preceduto il sorgere del culto solare ha iniziato, in seno alla storia, la realizzazione del suo piano. Ha cominciato con la chiamata di Abramo, capostipite di quel popolo che sarebbe stato, fra alterne vicissitudini, il depositario della conoscenza di questo Dio e della Sua volontà, costruendo nella storia i tempi per la maturazione della venuta di Gesù Cristo, che, con la sua apparizione, breve nel tempo, ma dagli effetti profondi ed incrollabili, ha portato la rivelazione vivente di un Dio che vuole avere un rapporto personale e diretto con l’uomo! Tutto questo sarà completato con il Suo glorioso ritorno, di fronte al quale il Sole si oscurerà, la Luna arrossirà e le stelle cadranno dal cielo! (Matteo 24:29-31).
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Appendice n. 17 MARIA, LA MADRE DI GESÙ, NUOVA PROPOSTA DI DIVINITÀ FEMMINILI PAGANE DELL’ANTICHITÀ E I FENOMENI PARANORMALI Luigi Caratelli
Ai nostri giorni si registra un vertiginoso incremento di apparizioni mariane. Non tutte sono accettate dal Vaticano; ma ai fedeli importa poco. Dalla rivista cattolica Jesus si può trarre uno spaccato di questa “strana” situazione; un lettore scrive per avere delucidazioni sui famosi segreti di Fatima, e termina la sua lettera con queste parole: «… mi fermo pregando il teologo di darci, se lo ritiene opportuno, almeno alcune chiavi di interpretazione delle parole della Madonna. Grazie!». La risposta del teologo è la seguente: «Per essere esatti e teologicamente corretti, si deve dire: “predizioni attribuite da Lucia alla Madonna”, “parole attribuite da Lucia alla Madonna”, ecc.. Nulla ci autorizza a considerare veramente pronunciate dalla Vergine quelle predizioni e quelle parole» (Vedere Jesus, marzo 1987). Quindi, prudenza, quasi sospetto. Eppure vanno a gonfie vele gli affari delle varie “opere dei pellegrinaggi”. Non si autorizza “a credere”, ma si autorizza “ad andare”; un via vai turbinoso, inarrestabile, che rende i confini della prudenza quasi debordanti nell’ambiguità. Forse l’attuale gerarchia cattolica avrebbe fatto meglio a rispondere al fenomeno mariano con chiare prese di posizione, simili a quelle degli antichi padri della Chiesa, che pure su essi si fonda teologicamente, e da essi prende ispirazione. Scrive il Miegge: «Nella letteratura sub-apostolica della prima metà del secondo secolo, regna un silenzio quasi completo sulla Vergine Maria. La Didaché, Clemente Romano, lo pseudo Barnaba, Erma, Policarpo, l’Epistola a Diogeneto, (nella sua parte autentica), i più antichi apologisti, Atenagora, Tiziano, Teofilo, i frammenti conservati dalle apologie di Ermia, Quadrato, Aristone, Milziade, non la menzionano affatto. Ignazio di Antiochia, nelle sue epistole autentiche, la cita alcune volte e una volta Aristide, nei frammenti armeni della sua Apologia ad Adriano, sono i primi rudimenti del simbolo “apostolico” che cominciano a disegnarsi…» (MIEGGE Giovanni, La Vergine Maria, ed. Claudiana, Torino 1982, p. 27). Nestorio diceva: «Non fate della Vergine una dea. Noi non abbiamo divinizzato colei che si deve annoverare tra le creature…». Gli fa eco Cirillo: «Noi sappiamo che appartiene all’umanità come noi!» (Cirillo Adversus Nestorium, I, 9-10, MIGNE, Patristica Greca (PG), col. 56-57). Epifanio (fine del IV secolo) dovrà tuonare contro gli eccessi di alcune “sacerdotesse di Maria” (il brano si riferisce alle “colliridiane”, un gruppo di donne che formavano una piccola setta in Arabia. Offrivano delle focacce di farina d’orzo, collyridia, alla Vergine del cielo) affermando che: «Non si devono onorare al di là del giusto i santi, ma si deve onorare il loro Signore… Maria infatti non è Dio, né ha ricevuto il suo corpo dal cielo, ma da un concepimento, da un uomo e da una donna… Si onori Maria, ma si adori il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Nessuno adori Maria… Così dunque certe donnette non disturbino più la Chiesa e non dicano più: noi onoriamo la Regina del Cielo, poiché dicendolo e offrendo le loro focacce, esse compiono ciò che è stato predetto, che alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demoni. No, questo errore del popolo antico non
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prevarrà su noi al punto da allontanarci dal Dio vivente per adorare le creature, poiché se un angelo si rifiuta di essere adorato da San Giovanni (confrontare Apocalisse 19: 9,10), come lo rifiuterebbe ancor più colei che non fu che la figlia di Anna» (Epifanio, Panarion 78,24;79,4,7). Epifanio paragona il culto alla Vergine con il culto idolatrico del paganesimo; attesta, inoltre, che tale madornale errore della Chiesa era stato addirittura profetizzato dall’apostolo Paolo (I Timoteo 4:1. Vedere p. 175). Infatti è dall’ambiente pagano che la Chiesa del IV secolo assorbe le modalità e l’oggetto del culto alla dea madre. Scrive Franz BAUMER: «Il 22 giugno del 421 d.C. nei vicoli di Efeso dilagò il giubilo. Prelati, vescovi e arcivescovi riuniti con grande sfarzo a concilio avevano appena dichiarato “Theotokos” - Madre di Dio - la Santa Vergine Maria. “Grande è la Diana degli Efesini!” era risuonato un tempo il grido degli adoratori di Artemide-Diana alle orecchie dell’apostolo Paolo. Ora gli Efesini avevano riavuto la Grande Madre in una forma sanzionata dalla religione di Stato cristiana. La Dea Madre era diventata la Madre di Dio» (Franz BAUMER, La Grande Madre, ECIG, Genova 1995, p. 255). Lo stesso autore, parlando dei vari titoli onorifici che la cattolicità ha attribuito alla Madonna, aggiunge: «I titoli onorifici della cristiana “regina di maggio” e “madre del verde e dei fiori” assomigliano a quelli delle dee pagane che la precedettero. Già Iside e Astarte venivano definite “santa vergine”, “regina del cielo”, “dispensatrice di grazie”, “regina del mare”, “salvatrice” e “madre misericordiosa che ascolta le preghiere”, e Cibele “madre di tutti i benedetti”. Anche le statue di madre con bambino dedicate alle antiche divinità materne si differenziano ben poco da quelle cristiane della Madre di Dio. Le numerose statue ed icone della Madonna Nera delle chiese cattoliche, meta di pellegrinaggio in tutto il mondo, ricordano le statue di Artemide che non erano realizzate solo in oro, argento e legno pregiato, ma anche in pietra nera e pure una Artemide efesina del II secolo a.C. dal volto, mani e piedi neri. In quanto semplice serva del Signore, Maria subì comunque una totale desessualizzazione. A dispetto di tale cancellazione della forza sessuale, nel culto della Madonna è sopravvissuto molto dello splendore e della maestà dell’arcaica religione del grande Femminino. Nelle processioni per l’ascensione di Maria sono chiaramente riconoscibili elementi caratteristici dei cortei festivi in onore di Artemide e Cibele, mentre i versi di una liturgia medievale in onore di Maria tradiscono un intatto potere matriarcale: “Progenitrice della natura, signora degli elementi, germoglio dell’inizio di tutti i tempi, somma potenza, regina dei Mani, prima tra i celesti, unico volto di tutti gli dei e di tutte le dee, col cenno del suo capo comanda alle luminose sommità dei cieli, ai freschi venti del mare e al fecondo silenzio sotterraneo; la sua unica volontà venera in molti modi, secondo differenti usanze e molti nomi, tutta la terra”» (F. Baumer, idem, pp. 258, 259). In molti luoghi il cristianesimo delle origini trasformò le divinità femminili, che continuarono a regnare ancora a lungo , in sembianti di Madonna.
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MARIA, LA MADRE DI GESÙ, … DIVINITÀ FEMMINILI PAGANE DELL’ANTICHITÀ E I FENOMENI PARANORMALI
La stessa figura della “Madre di Dio” che allatta il suo bambino è del tutto estranea al Nuovo Testamento. A riguardo si sviluppa un acceso dibattito teologico che durerà sino al VI secolo. Uno studioso contemporaneo, Klaus Schreiner, scrive: «In questo contesto, proprio nel VI secolo, nascono le immagini della Madonna Lactans. Il modello originario, nella forma e nel contenuto, si suppone mutuato dalla dea egizia Iside. In Maria, che come già Iside a Osiride, dà il proprio seno a Gesù, si mescolano elementi cristiani e pagani: Maria e Iside si compenetrano in una sola figura. Maria raccoglie l’eredità egizia, l’adorazione della Madre di Dio diventa una “prosecuzione del culto di Iside”». Colui che scrive è un cattolico convinto, quindi attendibile, imparziale. Ci informa che delle statue rappresentanti dee madri pagane sono state semplicemente rivestite dei panni della Madonna e offerte al culto di adorazione dei fedeli cattolici. Lasciamo ancora allo Schreiner il compito di descrivere più dettagliatamente questo strano processo: «Non ci si dovrà stupire, dunque, se “antiche figure della madre divina egizia rinvenute in seguito vennero adorate come immagini della Madonna cristiana”. Un’immagine di Iside si trovava per esempio nella chiesa benedettina di Saint-Germain-des-Prés a Parigi… (Iside) ha percorso trionfalmente i continenti, riuscendo a diventare una cinese per i cinesi, una indiana per gli indiani… “l’immagine della Madre di Dio che allatta - sostengono alcuni - aveva radici profonde nella fede popolare e nel culto ufficiale dell’età faraonica, e attraverso il processo di ellenizzazione aveva raggiunto una tale forza universale, che la religione cristiana fu costretta ad assumerla nel proprio bagaglio”» (SCHREINER Klaus, Vergine, Madre, Regina; i volti di Maria nell’universo cristiano, Donzelli editore-Roma 1995, pp. 128, 129). Non solo l’apostolo Paolo, ma anche Giovanni, autore del libro dell’Apocalisse, vede profeticamente la Chiesa cristiana scrollata prima e contaminata poi dalle eresie del paganesimo. Giovanni dipinge in due capitoli, il 12 e il 17, due Chiese contrapposte: quella rimasta fedele a Dio e quella apostata. Per quest’ultima usa immagini forti quali quella della prostituta, della bestemmiatrice, la accusa soprattutto di aver accolto nel suo seno le “abominazioni” e i “misteri” del paganesimo. Due autori evangelici, Ralph WOODROW (Babilonia mistero religioso, Evangelistic Association) e Alexander HISLOP (Dos Babilonias, Loizfaux Brothers, New York), hanno approfondito in maniera specifica il parallelismo tra la Babilonia storica e la Babilonia spirituale, simbolicamente incarnata dalla prostituta di Apocalisse 17. Le loro conclusioni sono interessanti e sorprendenti, per i due teologi è chiaro che l’apostolo Giovanni intende indicare, attraverso l’immagine della prostituta, l’insieme delle credenze e dei riti pagani che sono diventati patrimonio di fede della Chiesa cristiana nella sua forma cattolica-romana. Uno di questi “misteri” pagani è infatti evidenziato dal culto della dea madre, divenuta la Madonna cattolica. Il parallelismo tra la Chiesa apostata e l’antica Babilonia trova proprio qui la sua cesura principale. È da Babilonia, infatti, che si origina il culto della dea madre, così come noi lo ritroviamo oggi mutuato nel cattolicesimo dall’immagine della Madonna. Esempi della dea con il bambino in braccio si ritrovano in tutta l’Europa antica. Secondo E. O. James: «È probabile che in primo tempo queste figurine fossero rappresentazioni simboliche degli attributi e delle funzioni materne della donna, senza essere la personificazione specifica di una dea della fecondità che riunisse in sé tutti questi attributi e Quando la profezia diventa storia
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queste funzioni, o di altre divinità della fecondità separate e indipendenti. Sembra tuttavia che esse fossero le antesignane del culto accentrato del mistero della nascita e della generazione, della fertilità e della generazione, che costituì una caratteristica saliente delle religioni di tutto il Vicino Oriente e che si propagò ad est fino all’India e ad ovest fino a Creta, all’Egeo, alla Sicilia e a Malta per passare poi nella penisola Iberica. Di là esso si spinse lungo il litorale atlantico fino alla Bretagna e alle isole Britanniche, e dai Pirenei fino alla regione Senna-OiseMarna nel bacino di Parigi» (JAMES Edwin Oliver, Gli eroi del mito, Il Saggiatore, Milano 1996, p. 57). Poi James si fa più esplicito e afferma: «In tutta l’Asia occidentale il culto della dea e del giovane dio presentava sempre le medesime caratteristiche accentrate nel ritmo delle stagioni… della generazione e della procreazione… dalle fertili pianure della Mesopotamia il culto, nel frattempo, venne introdotto in Asia Minore attraverso l’influenza dei popoli Hittiti, e la dea apparve in Siria come Anat e Ajherah, in Anatolia come Hebat, Shauska, la dea-sole di Arinna e Hannahanna, a Comana come Ma, ad Efeso come Artemide e in Frigia come Cibele…» (E.O. James, idem, p. 102). In Egitto la dea madre prese il nome di Iside. A lei il poeta romano Apuleio, vissuto nel II secolo a.C., ha dedicato l’ultimo capitolo del suo romanzo L’asino d’oro. L’eroe del romanzo, Lucio, chiede aiuto alla dea ed essa gli appare. In quel frangente ella si presenta come la femminile creatrice del mondo dai molti nomi: «Vedi la tua preghiera è giunta sino a me, Lucio, io ti sono apparsa, io, la Madre della creazione, Cellula Germinale della successione delle generazioni, somma Divinità, Regina degli spiriti, Signora del cielo e Quintessenza degli dei e delle dee, al cui cenno obbediscono il più alto dei cieli radiosi, l’azione benefica del mare e il compianto silenzio infero; un’Entità dalle molte forme, onorata con varie usanze e con diversi nomi da tutto l’orbe terrestre». E poi enumera tutte le sue ipostasi: «Colà, gli antichi frigi mi chiamano Madre degli dei di Pessimo, qui gli indigeni attici Minerva cecropia, là i cipri circondati dal mare, Venere di Pafo, i cretesi armati di frecce, Diana dittinica, i siculi che parlano tre lingue, Proserpina stigia e gli antichi eleusini, Cerere attea! Altri mi chiamano Giunone, altri Bellona, questi Ecate, quelli Tanusia e gli etiopi di ambedue le terre salutati dai primi raggi del sole che sorge e gli Egizi, famosi per la loro antichissima saggezza che mi venerano con usanze particolari, mi chiamano col mio vero nome: regina Iside!» (F. Baumer, o.c., p. 25). Nel 431 d.C. a Efeso la Chiesa cattolica proclama solennemente che Maria è “Madre di Dio”. È l’ingresso ufficiale nel cristianesimo del culto alla dea madre. Un culto che né Gesù, né gli apostoli, né i primi padri della Chiesa hanno mai insegnato. Afferma il Baumer: «È stupefacente con quale chiarezza gli attributi della Grande Madre siano stati trasmessi alla Madonna cristiana» (F. Baumer, idem, p. 266). Sarebbe troppo lungo elencare questi attributi ma sono storicamente tutti mutuati dalle rappresentazioni delle dee pagane, compresa l’immagine della madre col bambino in braccio le cui prime effigi si riferiscono alla Semiramide babilonese con in braccio Tammuz, o alla dea egizia Iside accudente Horus, come pure alla coppia indù Devaki e Krishna o Cibele e Deoius. Ancora il Baumer è costretto ad ammettere: «In molti luoghi il cristianesimo delle origini trasforma le divinità femminili, che continuarono a regnare ancora a lungo, in sembianti di Madonna» (F. Baumer, o.c., p. 268). È indicativo l’accostamento che il Baumer fa tra la Madonna cattolica e una di queste dee pagane: «L’“Eterno Femminino” immortale e dai mille volti vive nell’anima umana come 1222
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immagine della Madre Primigenia. In Bretagna, all’estremo occidente della Francia laddove finisce la Terra, nella regione del Finistère; a Pont du Raz, sugli scogli sferzati dalle tempeste si erge sul mare la gigantesca statua di Notre-Dame-des-Naufrâges, la Madonna dei naufraghi. La stella che ha in fronte è un ricordo del potere cosmico della Grande Madre, di cui ella è tarda discendente. Ai suoi piedi è inginocchiato un marinaio in pericolo che tende una mano implorante verso la divina col Cristo bambino in braccio. Per quanto retorica sia questa scultura del XIX secolo, nei momenti di calma, quando il chiasso dei turisti tace, stagliandosi sul pianoro roccioso sotto i cumuli di nubi in rapido transito, riesce ancora a suggerire associazioni mentali con la Grande Madre che pare dormire sotto le spoglie cristiane. Mentre in fondo alla scogliera le grida dei gabbiani si mischiano al rumoreggiare delle onde, può accadere che la Madonna col Figlio divino per un battito di ciglia si trasformi nell’egizia Iside col figlio Horus, per ritrasformarsi subito e limitarsi a richiamare l’immagine dei dolmen e dei menhir primordiali presenti in quella regione, a testimonianza di una cultura megalitica all’insegna della Grande Madre». Ecco perché Giovanni, nel descrivere l’allontanamento della Chiesa cristiana dalla purezza evangelica, la paragona all’antica Babilonia, e non solo per ciò che concerne il culto alla dea madre. A questo riguardo si potrebbero citare un numero esagerato di pratiche, riti, usanze che dalla religione misterica babilonese sono convogliate direttamente nel cristianesimo romano dal V secolo in poi. Il culto a Maria non può essere autorizzato dal vangelo perché Maria dorme nella tomba in attesa della resurrezione. Questa verità è così chiara che persino teologi cattolici inorridirono al momento in cui il, 1° novembre 1950, papa Pio XII proclamò il dogma dell’assunzione corporale di Maria. Ed è anche la prima volta che viene proclamata una “verità di fede” con l’appoggio della sola autorità papale. Scrive il Comba: «Prima i dogmi ecclesiastici erano una interpretazione, una precisazione e una definizione d’una verità di fede rivelata mediante testimonianze esplicite o almeno implicite nella Sacra Scrittura, e mediante la testimonianza della tradizione ecclesiastica. Ma questa volta, la prima in cui il papato esercita il suo primato dell’infallibilità dopo la sua definizione del 1870, viene decretata l’esistenza di un fatto che non è attestato da nessun documento storico dell’epoca e che appare con tutti i caratteri di una leggenda cinque secoli più tardi (Secondo una leggenda Maria, dopo aver vissuto in Giudea per molto tempo, morì all’età di 72 anni. Del suo decesso sarebbero stati divinamente avvertiti tutti gli apostoli, tranne Tommaso, e tutti trasportati, per via aerea, su una nuvola, al capezzale della Madonna. Tre giorni dopo arriva, dall’India, Tommaso. I suoi compagni aprono il sepolcro per mostrargli la salma di Maria, ma essa non era più lì; era stata rapita in cielo). È enorme questa sfida lanciata in pieno secolo XX contro i metodi più incontestati della ricerca storica e della dimostrazione della verità» (Ernesto COMBA, Cristianesimo e Cattolicesimo, ed. Claudiana, p. 293). All’indomani della definizione del dogma, i teologi Bennet e Winch scrissero: «Quasi ovunque regna oggi uno spirito di tolleranza… Sarebbe estremamente deplorevole se Roma facesse un passo indietro, e ponesse un nuovo, non necessario ostacolo sulla via dell’unità, nella forma di un dogma, che non è accolto come dogma da nessun’altra comunità cristiana… L’Anglicanesimo… è troppo consapevole della somma importanza dell’autorità dell’antichità cristiana, perché possa prendere in considerazione il riconoscimento dell’assunzione corporale di Maria… Quanto alle comunità protestanti… questa concezione… sembrerà loro una favola, e la sua elevazione a dignità di dogma come quasi irreligiosa» (Victor BENNET - Raymond WINCH, The Assumption of Our Lady and Catholic Teology, citato da G. Miegge, o.c.).
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Max Thurian, teologo della comunità di Taizé, aggiunge il suo sdegno, definendo il dogma come una: «…dottrina priva di fondamento storico» (Max THURIAN, Le Dogme de l’Assumption, in Verbum Care, vol V, n° 17-20, p. 11). Altri eminenti teologi, sia cattolici che protestanti, parlarono di “bestemmia”, “intoppo”, “anacronismo”. Ma il dogma è passato e oggi i fedeli cattolici sono costretti a credere a ciò che né la Bibbia, né i primi cristiani, né la storia hanno mai affermato. Non solo, ad un esame attento e capillare dei messaggi “mariani” si scopre, con sorpresa, che tra le tante parole inneggiante al sacrificio, alla penitenza, all’amore fraterno, fanno capolino non di rado delle vere e proprie eresie. Come quella del purgatorio. Nessun teologo potrà mai trovare sulla Bibbia un accenno a questo “luogo di pene”. Si possono invece ritrovarne le radici in culti e misteri derivanti da Babilonia e decisamente rinnovati in epoca medioevale. Eppure le “Madonne” non smettono di predicare tale errore. E non solo questo. Queste “Madonne” dimenticano che il Vangelo e Gesù assegnano a Maria un ruolo modesto, in ombra. A don Stefano GOBBI, animatore del movimento sacerdotale mariano, l’entità mariana ha detto: «Voglio che i miei sacerdoti vivano sempre e solo nella fiducia più grande in me. Devono attendersi da Me ogni cosa, anche per quanto riguarda la loro vita e i mezzi per vivere» (Pier Angelo GRAMAGLIA, Verso un rilancio mariano…?, ed. Claudiana, Torino 1995, p. 1). E ancora: «Non tocca a te pensare quello che è per il tuo (di Don Gobbi, ndr) bene; non fare progetti, non costruire il domani perché, vedi, Io mando tutto all’aria e tu poi ci resti male. Perché non vuoi fidarti di me? Lascia che sia Io a costruire, momento per momento, il tuo avvenire» (P. A. Gramaglia, idem, p. 14). A La Salette, nel 1946, l’entità riferiva alla veggente: «Se voglio che Mio Figlio (Gesù) non vi abbandoni, debbo pregarlo incessantemente…» (È in atto la Profezia di Fatima, ed. Aggeo, Gavinana, p. 4). Infine, al veggente Vittorio Spolverini, di Farra d’Isonzo, Gorizia, la “Madonna” ha detto: «…Dio ha concesso a Satana un secolo intero per fare il pieno di anime. Ma la Vergine non è d’accordo. Così ora che il secolo sta per finire, e Satana sta accelerando i tempi… la Madonna è scesa decisamente in campo» (Il Gazzettino, Treviso, venerdì 4 novembre 1988). Queste “Madonne” sono decisamente in contrasto con le più belle verità del Vangelo. Non tutti le conoscono; eccone alcune da confrontare con quanto sopra: Gesù dice, tanto ai suoi discepoli quanto ad ogni uomo: «Dimorate in me… senza di me non potete fare nulla» Giovanni 15: 4,16. E ancora, riguardo al ricevere dal cielo le cose chieste in preghiera: «Io altresì vi dico, chiedete, e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto. Poiché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e sarà aperto a chi picchia» Luca 11: 9,10. E se non fosse ancora chiaro che Colui che dà, lo dà senza chiedere nulla in cambio, il brano evangelico aggiunge: «E chi è quel padre tra voi che, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra?… Se dunque voi… sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo domandano» Luca 11: 11-13. Basta ora ritornare alle spavalde dichiarazioni ascoltate dai veggenti summenzionati, e accorgersi che l’entità “Madonna”, sembra arrogarsi posti e diritti che spettano soltanto a Dio. Forse il messaggio dato a Renato BARON, veggente di Schio può chiarire meglio le idee: «Un giorno molto vicino - annuncia l’entità madonna - dovrai dire ai responsabili della Chiesa che Gesù vuole che la madre sia regina del mondo… e non permetterà mai l’errore di allontanarla 1224
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dagli altari… Il mondo vuole Maria e Maria salverà il mondo» (Cfr. Messaggi della Madonna al gruppo di preghiera di S. Martino di Schio, edito dal Gruppo Omonimo). Il Vangelo ci consente di dire che Gesù ha proprio evitato che sua madre potesse, un giorno, diventare regina della Chiesa, non permettendo a nessuno di portarla sugli altari. È vero che gran parte del mondo cattolico vuole Maria, ma ciò non basta a fare di Maria una dea. Questa è idolatria; una aperta e pericolosa ribellione al comandamento che vieta di farci immagini e sculture per adorarle. Perché molti responsabili ecclesiastici offendono Maria offrendole culti che lei decisamente rifiuterebbe? Perché gli attuali responsabili del culto non si sono attenuti alle indicazioni del loro confratello Epifanio: «Nessuno adori Maria…» aveva detto; e aggiungeva rispetto al culto mariano: «… è stato predetto che alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demoni». Dobbiamo considerare il culto alla entità “Madonna”, come una dottrina proveniente dai demoni? Una cosa è certa: l’entità che si presenta nelle vesti della Madonna ha creato uno scompiglio tremendo ponendosi sugli altari, mettendosi in contraddizione con il secondo comandamento della dottrina cristiana; la Maria del Vangelo, l’Umile Ancella del Signore, l’obbediente figlia di Davide non si sarebbe mai permessa di giungere a tanto. È vero che le Marie che appaiono ai veggenti vogliono cambiare gli ordinamenti cristiani, ma allora dobbiamo convincerci che in queste pretese si odono echi di stampo spiritista. La scrittrice cristiana Ellen White dice che Satana, secondo quanto afferma il Nuovo Testamento, si “traveste da angelo di luce” e i suoi angeli sono apparsi più volte impersonificando apostoli, santi, quindi anche la Madonna. La scrittrice aggiunge: «Gli apostoli impersonificati da questi spiriti bugiardi contraddicono quanto scrissero sotto la guida dello Spirito Santo mentre erano sulla terra» (Roger W. COON, Le Radici nella Profezia, ed. AdV, Firenze 1993, p. 50). Esiste un’inquietante connubio tra manifestazioni mariane e altri tipi di manifestazione non bibliche. Abbiamo parlato dello spiritismo, ma analogo discorso deve essere fatto per i fenomeni U.F.O.. È risaputo che laddove da questi oggetti volanti sono scesi degli esseri extraterrestri, essi hanno sempre proclamato tesi, dottrine, insegnamenti che sono in aperto contrasto con le verità bibliche. E qualcuno non ha mancato di fare certe connessioni. Ad esempio: I ricercatori Joaquim FERNANDES e Fina d’ARMADA, analizzando statisticamente i dati relativi alle varie ondate ufologiche dal ’47 sino ad oggi, hanno scoperto che in coincidenza dei picchi di massima e di minima, esiste un’impressionante sovrapposizione e sincronia con le manifestazioni di origine “mariana”. Dai grafici completi risulta che gli Ufo e la “Madonna” sono apparsi, contemporaneamente, nelle grandi ondate del 1947, 1950, 1954, 1958, 1968. Non può essere né un caso, né una coincidenza. A Crosia, un paesino calabrese della provincia di Cosenza, nel 1987 si poteva assistere al fenomeno di una statua della Madonna che versava lacrime. Il 2 giugno, poco prima delle 22.00, nella chiesa parrocchiale, un veggente riceve un messaggio della “Madonna”, da comunicare subito alla gran massa di persone intervenute ad una funzione religiosa: «Uscite dalla chiesa - disse - perché la Madonna mostrerà a tutti voi un “segno”, affinché possiate credere». Ciò che successe dopo vale la pena di raccontarlo con le parole di un testimone indiretto, il prof. Roberto PINOTTI, ricercatore aerospaziale: «…i fedeli, usciti dalla chiesa, si trovarono di fronte ad un inconsueto fenomeno luminoso indicato dai veggenti stessi come “La Stella della Madonna” che, per usare un’espressione locale, “zompapizz’ e pizzo” per sei minuti e trenta secondi nei cieli di Crosia senza emettere nessun rumore, presentandosi sempre con la stessa angolazione visuale, ma andando avanti e indietro, a destra e a sinistra, con accelerazioni mostruosamente inverosimili. La gente grida, piange, canta e prega, mentre la Quando la profezia diventa storia
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forma luminosa continua, come la bacchetta di un prestigiatore, a comparire e a scomparire, a nascondersi nel buio del cielo, a mostrarsi accanto a un lampione dell’ENEL, fin poi a fermarsi più vicino per qualche secondo, quasi per farsi guardare meglio». L’oggetto luminoso, ripreso da un cineamatore, si rivelò essere un disco volante, piatto, con un foro centrale e il bordo sbecchettato in due punti simmetrici. Ma, come poi verificarono i ricercatori del CUN (Centro Ufologico Nazionale), l’oggetto era praticamente identico agli Ufo visti 40 anni prima negli USA da Kennet Arnold, primo avvistatore moderno dei dischi volanti, il 24 giugno 1947. Non solo, l’oggetto misterioso rifece la sua comparsa in Belgio all’epoca della grande ondata del 1990. Ancora il Pinotti e il dott. Corrado MALANGA, chimico dell’Università di Pisa, chiamati ad interessarsi del caso, stilarono il seguente rapporto: «Intendiamo riferirci all’oggetto filmato con una videocamera nel cielo della città di Amay in un giorno di febbraio, e che la stessa RAI, nel corso del telegiornale della prima rete, ha mandato in onda in aprile. Quando abbiamo visto il brevissimo spezzone trasmesso al TG uno, dapprima siamo rimasti increduli, nel cielo belga, infatti, si stagliava lo stesso oggetto filmato a Crosia…». A dir la verità l’UFO di Crosia è apparso nei nostri cieli altre volte ancora, e questo non può che rafforzare una convinzione: il “Segno” mariano di Crosia è un evento ufologico. Manifestazioni simili, per i due eventi, sono pure i segni del sole rotante. Un altro ricercatore, Pier Luigi SANI pensa: «… che sia in atto un vero e proprio programma di “catechizzazione” destinato ad intensificarsi con il tempo. Le apparizioni “mariane”, negli ultimi anni, stanno diventando “epidemiche”: Medjugorie, Kibehe, Sohio, Carpi, Cittadella di Padova, Oliveto Citra, Flaminiano, Belpasso, Crosia, sono soltanto alcuni dei moltissimi eventi “mariani”, verificatisi negli anni ’80. In tutti questi casi la manifestazione religiosa è sempre risultata accompagnata, come a Fatima, da fenomeni di tipo ufologico (soli rotanti, luci nel cielo, ecc.). Ma che cosa significa questo connubio UFO-religione? e in ultima analisi, “chi” sta strumentalizzando, con le apparizioni della “Madonna”, le nostre credenze religiose? E soprattutto, a quale scopo?». Altri ricercatori, come lo scienziato franco-americano Jacques VALLÉE, e l’americano John KEEL, sono giunti a conclusioni analoghe. Secondo il Vallée il fenomeno è un «… riproporsi, in chiave moderna, di una corrente culturale già presente nella storia in altre epoche (elfi, gnomi, fate, folletti, regni favolosi, apparizioni angeliche e mariane, ecc.); e quindi gli odierni UFO, in altri termini, costituirebbero la versione aggiornata di una realtà intelligente manifestatasi via via nel corso dell’evoluzione umana in funzione della mentalità e delle credenze del momento». Secondo il Keel: «Il fenomeno si manifesta differentemente assumendo esso stesso, caso per caso, una particolare, fallace “maschera” in funzione delle credenze, conoscenze e aspettative di chi lo osserva. A livello di massa, il discorso si complica: queste intelligenze parafisiche, utilizzando questa tecnica, non si mostrerebbero mai nella loro realtà, ma dietro ad un paravento ingannatore…» (Roberto PINOTTI - Corrado MALANGA, I Fenomeni B.V.M., Oscar Mondadori, Milano 1990, p. 20). Concluderemo il cerchio con lo stesso Pinotti il quale, commentando le ipotesi del Vallée sulle apparizioni “mariane”, così si esprime: «I fenomeni (mariani, ndr)… sarebbero solo l’aspetto più attuale e totalizzante, avendo l’effetto apparente di unificare i critici valori psicosocio-antropologici di tutto un pianeta nel suo forse più difficile momento storico… attorno ad un archetipo spirituale rassicurante e “materno”… E “Qualcuno” ci sta così proponendo di fatto, adesso, una nuova Religione planetaria unificante imposta attraverso una apparente Teofania, atta peraltro a sviluppare nell’Uomo comportamenti palesemente acritici; e, pertanto, anche di sostanziale sottomissione alla Sua volontà». Le conclusioni di Pinotti e degli altri ricercatori evocano, involontariamente ma con inquietante precisione, gli avvenimenti predetti dal profeta Daniele con la sua profezia delle 1226
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“2300 sere e mattine”; abbiamo visto come questa profezia scada nel 1844 d.C. e concentrandoci su quella data storica scopriamo precise connessioni con gli eventi mariani. In quegli anni nasceva il movimento avventista. Dio chiamava a predicare le verità evangeliche sepolte da un cristianesimo pagano, un gruppo di persone: William Miller, Ellen White, Joseph Bates, Manuel Lacunza, Louis Gaussen ecc.; queste provenivano dalle più svariate denominazioni religiose, compreso il cattolicesimo (ricordiamo il gesuita Manuel Lacunza). Tutti riscoprirono il messaggio del secondo ritorno di Gesù sulla terra. Altri riscoprirono la dottrina del sonno dei morti e del Sabato quale giorno di riposo biblico. Ma questo movimento è in qualche modo contrastato. Scriveva in quel tempo Ellen White: «A mano a mano che ci avviciniamo alla fine dei tempi ci saranno delle manifestazioni sempre più grandi delle divinità pagane. Queste faranno apparire il loro potere come qualcosa di naturale, e si manifesteranno alle grandi città di tutto il mondo. Tutto ciò si sta verificando» (Ellen WHITE, Testimonies to ministers, pp. 117, 118). Quando E. White scriveva queste parole, da alcuni anni in Europa la “Madonna” divulgava il suo “verbo”. Sarà utile ripercorrere le tappe di quelle apparizioni, accostandole alla storia del movimento avventista: non mancheranno le sorprese! Dopo un lungo silenzio e qualche sporadica apparizione nei secoli, l’entità mariana decise di scendere in campo nel 1830. Da allora si prodigò in un crescendo vertiginoso che culminerà con le maggiori apparizioni di Lourdes (1858) e Fatima (1917). Notiamo, dunque, le date. Nel 1832 William Miller, dopo un attento e scrupoloso studio, si convinse che doveva predicare il messaggio del ritorno di Cristo. Cosa mai vista prima, l’entità mariana inscenò una nutrita serie di apparizioni eclatanti: nel 1835, 1840, 1842, 1846, 1848, e via di questo passo quasi ogni anno. Una ragione c’era. Stava scadendo il periodo profetico delle “2300 sere e mattine”. Dio si cala nella storia, la dirige, compie le sue promesse. Satana non può far altro che ostacolarlo; è la sua vocazione finale. Lo ha fatto alla prima venuta di Gesù «… e la stessa cosa accadrà - afferma ancora Ellen White - nell’ultima fase della grande lotta fra la giustizia e il peccato. Quando una vita, una luce e una potenza nuove scendono dall’alto sui discepoli di Cristo, sale anche dal basso un’energia malefica per infondere nuovo vigore agli strumenti di Satana… Il principe del male, reso astuto da secoli di lotta, si traveste da angelo di luce per presentarsi alle moltitudini che danno ascolto a “spiriti seduttori e dottrine di demoni”» (S.U., p. 174). Notiamo ancora delle coincidenze non casuali. Nel 1845 Joseph Bates, convinto dai battisti del 7° giorno, cominciò a predicare il Sabato e a scrivere sul soggetto diverse pubblicazioni. Grazie alla sua azione, James ed Ellen White conobbero e accettarono il Sabato nell’autunno del 1846. Nello stesso periodo (19 settembre 1846), l’entità mariana appariva a La Salette (Francia) ad alcuni bambini e comunicava il seguente messaggio: «Se il mio popolo non vuole sottomettersi, sarò costretta a lasciare il braccio di mio figlio… Se voglio che mio figlio non vi abbandoni, sono incaricata di pregarlo incessantemente per voi, e voi non ci fate caso… Vi ho dato sei giorni per lavorare, e mi sono riservato il settimo (la domenica) e voi non lo volete riconoscere. È questo ciò che appesantisce tanto il braccio di mio figlio». Proprio nel periodo in cui venne riscoperto il Sabato come vero giorno di riposo ad opera di quel primo nucleo di credenti che poi daranno vita alla Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno, l’entità mariana scese ancora in campo nel 1855, a Porzus, nel Friuli. Apparve ad una Quando la profezia diventa storia
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bambina che falciava l’erba per le sue caprette, una domenica mattina. Il messaggio fu inequivocabile: «Non si deve lavorare di festa… prendi solo una manciata di erba e basterà per tutto il giorno. Dì a tutti di santificare il giorno del Signore». In quello stesso anno, a Battle Creek, gli Avventisti fondavano la loro prima casa editrice che avrebbe permesso al messaggio di diffondersi, tramite la stampa, in tutto il mondo. E nel 1874 nascevano le prime missioni avventiste che avrebbero portato quello stesso messaggio in Europa, Australia, Sud Africa. Ci sono altre strane coincidenze. Nel 1873 l’entità mariana tentava di farsi “missionaria” allo scopo di spacciare il suo falso giorno di riposo. Appariva ancora, questa volta, ad un contadino di Montpellier di nome Augusto Arnaud, mentre era intento a zappare la sua vigna, manco a dirlo, in giorno di domenica. «Sono la santa vergine - affermò l’apparizione - non avere paura. Bisogna fare la festa nel giorno in cui essa ricorre». Il mese successivo l’entità si ripeté: «Non si deve lavorare la domenica, felice chi crederà, infelice chi non crederà. Sarete felici tu e tutta la tua famiglia». Lo stesso anno, grazie all’attività del Conte Luigi de Cissey, appoggiato da Pio IX, sorgeva in Francia “L’ASSOCIAZIONE DOMENICALE”. Dal 1879, negli Stati Uniti, si iniziò una impegnata attività per contrastare gli osservatori del Sabato e nacquero numerose leghe ed associazioni per chiedere l’osservanza della domenica. Il discorso non si è ancora chiuso, anzi, è appena cominciato, dal momento che proprio sul terreno dell’osservanza del giorno di riposo si giocheranno le ultime sfide tra i fedeli osservatori dei comandamenti di Dio e che li ha rifiutati. Anche per gli eventi attuali e futuri l’entità mariana gioca e giocherà un ruolo di primissimo piano. Infatti, straordinari segni di lacrimazioni hanno accompagnato l’evento mariano. Perché le “madonne” piangono? Un tentativo di risposta potrebbero essere queste parole di E.G. White: «I fedeli del papa, che considerano i miracoli come segni certi della vera chiesa, saranno facilmente sedotti da questa potenza operatrice di miracoli…» (Ellen WHITE, La Speranza dell’Uomo, p. 428). Perché piangono ora, in questo momento storico? Fenomeni di lacrimazione di statue si sono avuti anche nel passato, ma mai con questa frequenza e con questa diffusione geografica. Lucia, la veggente di Fatima, ha riferito quanto segue ad un sacerdote: «La Madonna ha detto espressamente: “Ci avviciniamo agli ultimi tempi”. Me lo ha detto tre volte… mi ha ripetuto che gli ultimai rimedi dati al mondo sono: il S. Rosario e la devozione al cuore immacolato di Maria; “ultimi” significa che non ce ne saranno altri… La terza volta mi disse che, esauriti gli altri mezzi disprezzati dagli uomini, ci dà con tremore l’ultima ancora di salvezza che è la S.S. Vergine in persona, segni di lacrime, messaggi di diversi veggenti sparsi in tutte le parti del mondo». Dall’inizio degli anni ’50, con un intensificarsi nella seconda metà degli anni ’70, si sono verificati fenomeni di lacrimazione di statue con un crescendo inaudito, sino a giungere all’esplosione del 1995. Ecco alcuni esempi tratti dal recente passato. Il 30 ottobre 1975, don Stefano Gobbi, fondatore del Movimento Sacerdotale Mariano, riceve dall’entità “madonna” la seguente comunicazione: «È giunto il tempo in cui nella chiesa io stessa mi renderò manifesta con segni sempre più grandi. Le mie lacrime sparse in molti luoghi… (alcune) anche di sangue, lasciano completamente indifferenti tanti miei figli».
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Il 30 aprile 1970 alla veggente Costanza Callegari appare “Gesù” stesso che le dice: «Mia madre soffre e piange anche lei lacrime di sangue: sono visibili in tutto il mondo, sono immagini che piangono sangue». Infine il 6 agosto 1989, alla mistica spagnola Vassula Ryden vengono rivolte analoghe comunicazioni da parte della solita entità: «Io vengo in apparizione a molti, mostro il mio cuore, do segni facendo lacrimare le mie immagini, appaio in molti posti ma… prestano poca attenzione ai miei avvertimenti… ». Il resto è storia dei nostri giorni. Aveva avvertito Ellen White: «Ci saranno molti signori e molti dèi. Si udrà gridare: “Guardate, Cristo è qui; guardate è là”. Satana con i suoi ministri opererà in ogni luogo per distogliere l’attenzione degli uomini e delle donne dal loro dovere. Ci saranno segni e prodigi. Ma l’occhio della fede saprà riconoscere in queste manifestazioni i segni precursori di un avvenire maestoso e glorioso, e il trionfo che aspetta il popolo di Dio» (Ellen WHITE, Testimonies, 9, p. 47). Da Fatima in poi, le entità mariane si sono sforzate di farci intendere che siamo giunti alla fine dei tempi; che ci stiano preparando una sorpresa? Sì. La sorpresa è proprio importante: l’entità mariana si è candidata di fatto, quale preparatrice della venuta del Signore. In una visione del 3-5-1982, a don Stefano Gobbi, l’entità ha detto: «Così ora, nella chiesa, nuovo Israele di Dio, troppe volte si è ostacolata… l’azione salvatrice della vostra mamma celeste, profetessa di questi ultimi tempi». Ancora più precisa è l’entità il 26-2-1988 quando riferisce a Vincenzo A.: «La fine dell’impero del male, che porterà al trionfo del cuore immacolato di Maria… siamo alla fine, state vivendo l’era pre-apocalittica, dove il cuore immacolato di Maria con tutte le sue apparizioni vincerà contro Satana e gli schiaccerà il capo». Ecco dunque profilarsi un progetto che ricalca anche nelle linee più particolareggiate la missione del popolo dell’avvento, per la fine dei tempi. Non ci sono dubbi a riguardo; in un messaggio ad una suora di Borgo Piave (Latina), datato 7-4-89, un’entità ha detto: «La Santa Madre di Dio fu creata… fu mandata nel mondo perché doveva precedere anche allora l’avvento del regno di Dio, l’avvento di Cristo nel mondo. Adesso che siamo arrivati alla fine dei tempi, alla Santa Madre di Dio è stato affidato ancora questo compito: preparare l’avvento del regno di Dio nel mondo… Maria sta preparando il mondo e i cuori a ricevere il Cristo che deve ritornare nella gloria per governare in mezzo agli uomini, per stabilire la sua pace e la sua giustizia nel mondo». Infine, ancora lei, l’entità mariana, si fa garante del suo stesso progetto e a Giovanni Dal FARRA dice: «Dopo di me verrà mio figlio Gesù in tutta la sua grandezza e gloria». Questo è ciò che dice l’entità mariana di se stessa e del suo compito. Resta da vedere cosa dice del Messia stesso. Scorrendo le centinaia di “messaggi” dati ad altrettanti “veggenti” emerge un quadro le cui tinte non assomigliano certo ai colori del Vangelo. Ecco un esempio per tutti: « Gesù tornerà su questa terra… Il suo regno sarà di misericordia e di perdono a tutti. Gesù verrà con una grande schiera di angeli, di martiri… girerà per le strade dappertutto». Una caratteristica ripetitiva delle apparizioni mariane è una sorta di pre-apparizione annunciata dall’entità che si spaccia per l’arcangelo Gabriele. Tutte le più grandi apparizioni mariane sono state precedute dalla materializzazione di questo “angelo”. Lo stesso disse alla veggente contemporanea di Margherita SAMPAIR (1968-1970): «La venuta di Cristo sulla terra… avverrà in questo modo: la luce dei cieli fluirà direttamente sulla terra. Sarà vista quando scenderà brillante e luminosa quanto l’occhio umano potrà sopportare. La nube di luce si fermerà lassù nel cielo sicché tutti potranno vedere Cristo, rivestito di vesti brillanti come il Quando la profezia diventa storia
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sole… La sua nube continuerà a scendere dopo aver orbitato la terra, sicché tutti potranno vedere e conoscere Cristo. Egli scenderà prima in Israele… Cristo governerà la terra e tutti lo seguiranno». Stesso tenore per Maria Valtorta (16-8-1943), ma questa volta è Gesù stesso che parlerebbe. «Io sulla terra avrò regno, regno palese e vero. Non solo spirituale. Quando verrò? Verrò. Evangelizzerò, non come evangelizzai, ma con forza nuova…». Lo stesso “Gesù” sarà più preciso ed esauriente comunicando a Vera Griza (11-6-1968) il seguente messaggio: «Io camminerò come una volta nella terra di Palestina, arriverò fin nell’estremo lembo della terra, e tutti visiterò… madre della vittoria che precede il mio ritorno, il mio trionfo, la mia venuta tra voi…». E poi, infine, a suor Ivette (5-11-1965): «Beati voi che attendete con ansietà il mio grande e trionfale ritorno. Io diffonderò sulla terra… le beatitudini del mio eterno sermone della montagna». Ci fermiamo qui con le citazioni delle entità mariane. Lasciamo adesso parlare la verità. Non sarà difficile notare che l’apostolo Paolo ci informa nella sua I epistola ai Tessalonicesi (4:17) che al ritorno di Gesù saremo noi a “salire” incontrandolo nell’aria. Se il Signore scendesse sulla terra non si comporterebbe così come spiega l’entità mariana. Anzi, Ellen WHITE, già nel secolo scorso, rivela che proprio prima del ritorno del Salvatore, Satana riuscirà a impersonare un falso ritorno, travestendosi da Messia: «A coronamento del grande dramma di seduzione, Satana stesso impersonificherà Cristo. La chiesa aspetta da molto tempo l’avvento del Salvatore come conclusione delle sue speranze, e il grande seduttore farà credere che Cristo è venuto. In varie parti della terra, Satana si manifesterà fra gli uomini come un essere maestoso, ammantato di suo splendore dardeggiante… La sua gloria sorpasserà ogni altra manifestazione che occhi mortali mai abbiano visto… La gente si prostrerà in adorazione davanti a lui, mentre egli leverà le mani e pronuncerà su di essa una benedizione come faceva Cristo con i suoi discepoli quando era su questa terra. La sua voce sarà dolce, suadente, melodiosa. Con tono affabile, ricco di tenera compassione, egli esporrà alcune di quelle belle e celesti verità insegnate dal Salvatore. Guarirà i malati e, nella sua veste di pseudo-Cristo, affermerà di aver trasferito il riposo dal Sabato alla domenica e ordinerà a tutti di santificare il giorno da lui benedetto». Queste parole hanno anticipato, e previsto con sorprendente coincidenza, le intenzioni dell’entità mariana, che oggi sta preparando il terreno alla venuta del falso messia. Un messaggio che contrasta che cerca di rendere vano il lavoro di chi predica il ritorno di Cristo. Un compito urgente, dunque, aspetta a quanti credono: proclamare le verità eterne del Vangelo e l’imminente ritorno di Gesù, affinché il mondo non sia ingannato dalle menzogne di Satana. Una missione importante è affidata a noi. Siamo parte di un disegno il cui significato è stato delineato da secoli. Allo scadere della profezia di Daniele delle 2300 sere e mattine la verità veniva riscoperta. Ma oscure forze sono scese in campo per contrastare questa missione. Tra queste, sicuramente, l’entità mariana. Un’ultima considerazione scaturisce dalla lettura di uno scritto edito dal gruppo di ufologi che si radunano attorno al contattista italiano Eugenio Siragusa. Proprio quest’ultimo ha detto: «È nelle possibilità degli extra-planetari, proiettare in un determinato spazio, immagini mobili e parlanti», volendo intendere che le apparizioni mariane possono essere provocate, volute, realizzate dagli extraterrestri. Ma se, come abbiamo visto più indietro, vi è nell’aldilà un’intelligenza spirituale alla radice sia dei fenomeni mariani che di quelli ufologici, e i frutti di entrambe le “apparizioni” sono spesso in opposizione alla verità biblica, ne consegue che l’intelligenza sovrannaturale che sta alla base delle suaccennate apparizioni non è Dio. 1230
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Paolo l’apostolo ci informava a suo tempo: «Attenzione! Perché anche Satana si traveste da angelo di luce». I fedeli, soprattutto cattolici, sono investiti di un compito importante e vitale: sincerarsi immediatamente se le entità malvagie non abbiano giocato con la loro buona fede e con il loro sincero amore per Maria. Ogni credente deve assolutamente fondare la sua fede sulla chiara evidenza della Sacra Scrittura. E grazie alla Scrittura si evince che la Madre di Cristo non è mai stata assunta in cielo, ma dorme nella tomba con tutti gli altri credenti di tutte le epoche, in attesa della resurrezione dell’ultimo giorno (Daniele 12:13; Giovanni 11:21-24), che i messaggi dell’entità mariana sono il più delle volte in aperto contrasto con gli insegnamenti biblici; che Gesù stesso, tra la sua prima venuta sulla terra e il suo secondo ritorno alla fine dei tempi, non fa accenno a nessuna apparizione intermedia di sua madre, svista colossale dal momento che l’entità mariana è apparsa ormai più di mille volte nel corso dei secoli. Anzi lo stesso Salvatore riguardo queste presunte apparizioni dirà: «…Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno gran segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti… perché, come il lampo esce da levante e si vede fino a ponente, così sarà la venuta del Figliuol dell’Uomo» Matteo 24:22-27. La Francia dai tempi di Clodoveo è sempre stata considerata la figlia della Romana Chiesa. Non solo. Pare che le apparizioni mariane, così prolifiche in terra francese, vogliano attestare questa filiazione. Lo testimonia un giornalino della “destra” religiosa cattolica. La prima apparizione mariana dei nostri tempi si fa risalire al 1830, e in quell’anno a Parigi, in rue du Bac 140 (vedere nota n. 31, p. 303), una suora, Caterina Labouré, riceve una visione mariana. L’entità le chiederà di far stampare una medaglietta con la sua effigie da un lato, e sull’altro una grande M sormontata da una croce. Da quell’anno le apparizioni mariane si sono fatte epidemiche: in rapida successione le più importanti sono state: 1846, La Salette; 1858 Lourdes; 1871 Fontain; 1876 Pellevoisin. Se si uniscono con un tratto di penna su una cartina della Francia, i cinque luoghi, appare una grande M che sovrasta e copre l’intera nazione. Se poi si considerano le apparizioni che dalla metà del decennio 1970-’80 hanno messo in subbuglio un piccolo paesino del nord della Francia, Dozulè, possiamo affermare che l’entità mariana ha completato il disegno della medaglietta miracolosa. A Dozulè la veggente e i suoi sostenitori, tra i quali numerosi ecclesiastici, chiedono alle autorità di poter costruire un’altissima croce di ferro che per dimensioni supera i più alti monumenti della terra. Se ciò avviene la grande M inscritta sul terreno francese avrà anche la croce che la sormonta.
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Appendice n. 18 L’ASCESA DEL PAPATO Introduzione «Il diritto divino del re è caduto in disuso nella stragrande maggioranza degli Stati sovrani del mondo, e la stessa tiara pontificia a tre corone, che risale al Medioevo e simboleggia il dominio del papa sul suo regno temporale, la sua autorità spirituale sulle anime dei suoi sudditi e la sua autorità morale su tutti gli altri monarchi, è un pezzo da museo. Ciononostante Karol Wojtyla, vescovo di Roma, vicario di Cristo, successore del principe degli apostoli, sommo Pontefice della Chiesa universale, patriarca dell’Occidente, primate d’Italia, arcivescovo e metropolita di Roma, servo dei servi di Dio, continua ad annoverare fra i suoi tanti titoli anche quello di sovrano dello Stato della Città del Vaticano» (WILLEY David, Il Politico di Dio - Giovanni Paolo II e la funzione del Vaticano sulla scena internazionale, ed. Longanesi, Milano 1992, p. 224). In questa appendice tentiamo di cogliere le ragioni dell’ascesa vertiginosa del papato nell’epoca contemporanea, mettere questo fenomeno sorprendente in una prospettiva storica adeguata e tratteggiare a grandi linee il posto e l’influenza del papato nel mondo d’oggi. Il limite di questa appendice, come per altri capitoli del nostro lavoro, è dato dal fatto che i riferimenti storici contemporanei sono “datati”. Essere aggiornati ci è impossibile. Riteniamo comunque importante rilevare come gli avvenimenti dei nostri anni confermino la filosofia della storia presentata nei libri apocalittici della Sacra Scrittura. Domenica 22 ottobre 1978, il primo papa non italiano dal 1522, Giovanni Paolo II, fu intronizzato durante una messa celebrata all’aperto sul sagrato della basilica di S. Pietro in Roma. Diverse centinaia di migliaia di pellegrini erano venuti ad acclamare il capo spirituale di circa settecento milioni di cattolici. Il Consiglio Ecumenico delle Chiese e numerose Chiese cristiane avevano subitamente inviato dei rappresentanti alla cerimonia. Si faceva notare, tra gli altri, la presenza del dr. Coggan, arcivescovo di Canterbury, avvenimento inedito negli annali romani. Nella tribuna riservata alle autorità temporali, dei sovrani erano a fianco dei capi di Stati e di governi. Si poteva rilevare la presenza di rappresentanti di rango elevato, degli Stati comunisti, in particolare quello del presidente del Consiglio di Stato polacco. Ad eccezione dell’Albania, tutte le nazioni d’Europa erano rappresentate. Un grande numero di delegati del Terzo Mondo si trovava nella tribuna. Gli Stati Uniti ed il Canada avevano inviato delle personalità di primo piano. In totale, un centinaio di delegazioni speciali venute dai quattro canti del globo assistettero alla messa di intronizzazione. Una assenza importante: quella della Cina, le relazioni diplomatiche tra i due Stati si erano interrotte nel 1949. Pur tuttavia l’agenzia Nuova Cina aveva annunciato con una rapidità eccezionale l’elezione del nuovo papa, cosa che contrastava con il mutismo della stessa agenzia in occasione dell’annuncio del decesso di Paolo VI qualche settimana prima. Così, per diversi giorni, Roma divenne il punto focale dell’attualità mondiale, come se gli avvenimenti che si svolgevano forzassero l’attenzione. Per quali motivi questo interesse eccezionale, e a dire il vero sorprendente, del mondo politico e religioso per una cerimonia di carattere religioso concernente prima di tutto la comunità cattolica? Era semplicemente per rendere omaggio al nuovo superiore della principale comunità religiosa del pianeta o per salutare il nuovo capo del più piccolo Stato del mondo? Come valutare il numero, l’origine e la qualità dei delegati, a cominciare da quelli del mondo socialista o del mondo arabo?
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L’osservatore non poteva non essere impressionato per l’omaggio quasi universale reso al sommo Pontefice in quell’occasione. La personalità del papa polacco fin dall’inizio ha affascinato. La sua provenienza da un paese martoriato dal nazismo e ancora negli anni ‘80 schiacciato dal potere comunista, conservando ugualmente la sua ricchezza cattolica, è stato un elemento importante che ha deposto a suo favore. La Chiesa, sulla dirittura d’arrivo del terzo millennio e protesa a continuare ad influenzare e determinare la storia, si sente da lui garantita di fronte alle prepotenze dei regimi totalitari. Per potere meglio cogliere le ragioni di questo fenomeno notevole, e rispondere così alla domanda che ci siamo posti, bisogna tornare indietro nel tempo, allo scopo di porlo in una prospettiva storica adeguata. Dopo aver fatto questo, tenteremo di precisare, a grandi linee, il ruolo dell’influenza del papato nel mondo contemporaneo, cosa che ci permetterà di cogliere meglio il significato reale della sua ascesa spettacolare nel XX secolo.
Nasce una potenza Emergente dalle rovine dell’Impero Romano (vedere il nostro Capitolo IX), il papato gioca nella seconda metà del primo millennio un ruolo crescente in Occidente. Il Medio Evo corrisponde all’apogeo della potenza papale. Potenza spirituale e temporale, la prima è la condizione della seconda, il papato afferma con forza la preminenza del suo potere spirituale sulle potenze temporali. Formulando la dottrina del papa Vicarius Christi (Vicario di Cristo), il papa Innocenzo III (1198-1216) assunse il potere supremo della Cristianità, arbitrando i conflitti, imponendo le tregue, deponendo i sovrani. Mise tutte le sue facoltà al servizio d’un pensiero grandioso: fondare una teocrazia che abbracciasse tutta la terra, e in virtù della quale il papa, rappresentando il Figlio di Dio, sarebbe l’arbitro dei re e dei popoli.
Ferita mortale: declino Ma, come tutte le istituzioni umane, anche il papato non è sfuggito all’erosione del tempo. Il suo declino iniziale verso la fine del XIII secolo. Il conflitto incessante con le autorità temporali, le lotte intestine, le scissioni, portano un grave attentato alla potenza del suo prestigio. Alla fine del XVIII secolo sembrava che l’ultima ora del papato fosse arrivata. La cattività in Francia del XIV secolo, i numerosi concili del XV secolo, la Riforma dal XVI secolo, il gallicanismo ed il razionalismo del XVII e XVIII secolo, avevano fatto perdere al papato molto dell’influenza secolare e dell’autorità religiosa che aveva posseduto nel Medio Evo. Nel 1773, Clemente XIV dovette sciogliere l’ordine dei Gesuiti; nel 1782, Giuseppe II riuscì a imporre le sue riforme ecclesiastiche radicali contro Pio VI. Istituzione più descritta del “Secolo dei lumi”, perché la più rappresentativa e la più tipica delle istituzioni de “l’Ancien Régime”, il papato riceve in pieno le ondate della burrasca rivoluzionaria della fine del XVIII secolo. Nel 1798, per ordine del Direttorio della Repubblica Francese, il papa Pio VI è fatto prigioniero. Morirà in cattività a Valenza, in Francia, l’anno successivo (vedere nostro Capitolo IX). Dichiarando il papa scaduto dal suo potere temporale, il Direttorio proclama la Repubblica romana, la nascita di una “Repubblicasorella” nella “Città eterna” simboleggia un nuovo ideale di fraternità che sostituisce quella della fede. Il seggio pontificio rimarrà vacante per sei mesi. «Il papato aveva sofferto 1234
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l’umiliazione più forte che abbia conosciuto... (e) sembrava annientato... La Rivoluzione l’ha segnato con una ferita che, sebbene il XX secolo fosse da lungo tempo iniziato, non voleva ancora guarire» (WEITLAUFF M., Papsttum und moderne Welt, Theologische Zeitschrft Univers (ThZ) 40, Bâle 1984, pp. 376,393,32,370; cit. da HEINZ Hans, La papauté moderne – prétentions et autorité, in Études sur l’Apocalypse, vol. II, Institut Adventiste du Salève, 1988. Anche le altre citazioni di autori tedeschi sono tratte da questo studio). I contemporanei di Pio VI lo consideravano come “il sesto e l’ultimo” (J. GELMI, Das Papsttum in Zeitalter der Aufklärung, in B. MOSER, Das Papsttum, Munich 1983, p. 243). Napoleone parlava di una «vecchia macchina condannata a scollarsi da tutte le parti» (M. Weitlauff, o.c., p. 371). Qualche anno dopo, i vescovi riuniti a Trento affermavano che la Chiesa cattolica aveva ricevuto la «ferita mortale». Malgrado la ricostituzione dello stato ecclesiastico, KIERKEGAARD pensava di poter affermare nel XIX secolo che «l’epoca del papato era ormai compiuta» (Cit. in Die Leidenschaft des Religiösen, Stuttgart 1973, p. 56). Il papato sembrava annientato. Di fatto il papato sopravvisse, ma non conservò più la stessa influenza di potere che aveva prima. Il suo ascendente sulle potenze temporali era definitivamente rovinato: la sua autorità spirituale per contro, sebbene si dimostrava affabile, non era per questo forte. Il XIX secolo, che vede il sorgere delle idee liberali e democratiche, la messa in pratica, in forma progressiva, dei principi rivoluzionari del secolo precedente, non è per l’istituzione romana un periodo di fasto, tanto più che la condanna pronunciata dal papa Pio IX contro le società moderne e le idee liberali lo pongono, ideologicamente parlando, in una posizione di controcorrente (vedere Enciclica Quanta Cura e il Syllabus). Il papato perdeva anche in autorità religiosa a causa dei nuovi modelli di pensiero del razionalismo, del liberalismo, del nazionalismo e del socialismo. L’emancipazione intellettuale - frutto del razionalismo, l’autonomia dell’individuo - frutto del liberalismo, l’inimicizia religiosa - frutto dell’ateismo filosofico (L. Feuerbach, K. Marx, F. Nietzche) e l’indifferenza dell’uomo moderno nei confronti della Chiesa, aprirono delle profonde fessure nei muri del cristianesimo, e di conseguenza nel cattolicesimo. Sembrava si realizzasse il pronostico che Ph. J. SPENER fece nel 1675: «Ci dobbiamo attendere un declino ancora più grande della Roma papale» (Pia desideria, Giessen 1975, p. 47). Ma Spener aveva fatto anche un’altra previsione trecento anni fa: «Sono convinto che la Babilonia romana ritroverà tutta la sua antica potenza prima che il giudizio finale si abbatta su di lei. Io temo che la maggioranza dei popoli, intimiditi dal suo potere e per paura della sua crudeltà, si lascino di nuovo imporre il giogo di cui si sono liberati 200 anni fa» (Litzie Desiderata III, 475; cit. da René PACHE, Die Wiederkunft Jesus Christ, Wuppertal 1953, p. 175).
La perdita del potere temporale segna anche la risurrezione di quello spirituale Nel 1870, Roma diventava la capitale del regno d’Italia. Nello stesso tempo, la Santa Sede perdeva ciò che le restava degli Stati della Chiesa che aveva recuperato nel 1815. Tutto ciò che il papato conservava ancora della potenza temporale disparve. Pio IX, rifiutando di riconoscere la perdita dei suoi Stati, si considerò da quel momento come “moralmente prigioniero” in Vaticano. Ma qualche mese prima, il Concilio Vaticano I aveva proclamato solennemente il dogma della infallibilità papale in materia di dottrina e di morale. Da quel momento in poi, il papa ha sulla Chiesa, in tutti i domini (governo, disciplina, dottrina), piena ed intera autorità.
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Visto in prospettiva la perdita dello Stato Pontificio nel 1870 ha piuttosto contribuito ad un rinforzamento della considerazione nei confronti del papato. «Il papa diventa nella coscienza del popolo cattolico il ben amato ed ammirato “Santo Padre”... la cui parola ed il cui consiglio sono ricevuti con timore ed obbedienza. Fu in quel momento che il papa entrò veramente al centro della vita della chiesa, che i cattolici del mondo cominciarono a guardare verso Roma» (M. Weitlauff, o.c., p. 3). La liberazione del peso dell’amministrazione dello stato e la concentrazione sui compiti puramente spirituali, posero il papato ad un livello di dominazione sovrannazionale, universale. «In nessun altro secolo della nostra èra - è ciò che pensa il filosofo delle religioni F. Leist - il trono romano ha avuto una così grande crescita di potenza come nel XIX secolo. Il suo coronamento fu il Vaticano I» (Fritz LEIST, Der Gefangene des Vatikans, Munich 1971, p. 191). L’ammirazione e la venerazione del papato prese una tale proporzione che pure Hans URS von BALTHASAR, difensore del primato romano, parla di «Papolatria ultramontana». Il mondo cattolico nella sua maggioranza si sottomise volentieri all’ «assolutismo della Chiesa» (F. HEILER) e il mondo non cattolico vide con stupore il rafforzamento di Roma in un modo diverso. Questo processo continua nel XX secolo. Con entusiasmo, milioni di anime cantano l’inno papale di Paul KELLER: «Tu che detieni la fiaccola della verità / Che curi il gregge del Salvatore/... Leone vegliardo nel santuario / A te la gloria, la lode e l’onore! /... Tu ti tieni in mare come un faro potente, / Santo Padre, rivestimento della Chiesa...». Il pensiero e l’azione dei papi più significativi di questa epoca (Pio IX, Leone XIII, Pio XII) si diressero senza alcun dubbio verso lo scopo preciso di compensare la perdita del potere secolare mediante ciò che è stato chiamato «il salto verso il soprannaturale» (Weitlauff, o.c., p. 383). In ragione delle sue prese di posizioni anti-liberali, l’avvento generalizzato dei regimi democratici, dalla fine del XIX secolo, sembravano essergli completamente sfavorevoli. Pertanto, la creazione di un partito politico cattolico o di ispirazione cattolica, consigliato dal papa Pio X (1903-1914), dava al papato i mezzi di agire indirettamente nella vita politica delle nazioni d’Occidente, almeno in quelle che comprendevano una porzione importante del cattolicesimo. Già i papi del Medio Evo avevano preteso di avere una potenza spirituale gigantesca. Ricordiamo Gregorio VII ed il suo Dictatus Papae nel quale dice che solo il vescovo di Roma è legalmente “vescovo generale” (n. 2). Lui solo può nominare e dimettere i vescovi (n. 3 e 25), lui solo può riunire i sinodi generali (n. 16). Il suo nome è unico al mondo (n. 11), lui solo ha il diritto di essere nominato nelle chiese (n. 10). Lui solo ha il diritto di portare le insegne imperiali (n. 8), i suoi piedi devono essere baciati dai principi (n. 9). Nessuno ha il diritto di rigettare la sua parola, egli ha il diritto di rigettare quella di tutti (n. 18). La Chiesa romana è per sempre al riparo dall’errore (n. 22), tutti devono essere d’accordo con lei (n. 26). Ogni papa intronizzato legalmente è santificato dai meriti di San Pietro (n. 23) (Cit. da C. MIRBT - K. ALAND, Quellen zur Geschichtedes Papsttums und des römischen Katholizismus, Tubingen 1967, 1, p. 282 [n. 547]). Innocenzo III nelle sue predicazioni e nei suoi scritti affermava: «Rappresentante di Cristo, Dio di Faraone, meno che Dio, più di un uomo, vescovo di tutti i cristiani, principe su tutti i paesi, perché il Signore non ha solamente dato a Pietro la Chiesa intera, ma a lui gli ha conferito il compito di regnare su tutta la terra» (cit. da J. HALLER, Das Papsttum - Idee und Wirklichkeit, Hambourg 1965, 3, pp. 236,238). Bonifacio VIII nella sua bolla Unam Sanctam affermava: «Noi dobbiamo accettare per fede una Chiesa cattolica apostolica santa, e attenerci... fuori di lei nessuna salvezza e perdono dei peccati... questa Chiesa dispone di due spade, l’una spirituale, l’altra secolare, ciò ci è insegnato nelle parole dell’Evangelo (Luca 22:38)... ma una spada deve essere sottomessa all’altra, ed il potere 1236
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secolare deve essere sottomesso a quello spirituale... È dunque così che noi spieghiamo, diciamo, decidiamo e insegniamo che la sottomissione al papa romano è necessaria alla salvezza» (C. Mirbt/K. Aland o.c., 1, pp. 458-460, n. 46). Mai i papi del Medio Evo e quelli della Contro-Riforma hanno osato formulare ciò che fu proclamato nel XIX secolo come “verità cattolica”, «verità della quale nessuno può deviare senza danno per la propria fede e la propria salvezza» (DENZINGER/SCHÖNMETZER, Enchiridion Symbolorum, p. 3060), il dogma “irrevocabile” (irreformabilis) «rivelato da Dio» (Idem, pp. 3074, 3073) del «primato di giurisdizione» (Idem, p. 3053), del papa su tutta «la faccia della terra» (Idem p. 3059), e la sua «infallibilità» in occasione delle decisioni ex cattedra nelle questioni della «fede» o di «costumi» (Idem, p. 3074). Così fu conferito al papato una «Autorità senza limiti» (I. DOELLINGER) contro la testimonianza della Scrittura e della tradizione. Questo dogma è l’«abominazione vaticana», secondo l’espressione di K. BARTH. Il teologo cattolico H. KUENG fa notare come questa pretesa di “infallibilità” non è possibile per un mortale: «Dio solo è infallibile... La parola “infallibile” è riservata a Colui al quale è interamente destinata: a Dio, alla Sua Parola e alla Sua Verità» (Unfehlbar?, Zurich 1971, p. 149). Questa arroganza smisurata aveva già prodotto un’altra innovazione, quella della formulazione dei dogmi ex cattedra dei papi senza il concorso di un concilio. Nel 1854 promulga l’immacolata concezione di Maria e nel 1950 l’ascensione corporale di Maria. Giovanni Paolo II, pur assumendo il doppio nome dei suoi predecessori per voler indicare una linea di continuità con i papi conciliari (Giovanni XXIII, 1958-1963 e Paolo VI, 19631978), di fatto «appare con sempre maggiore chiarezza che il suo pontificato, in realtà continua, la cosiddetta “epoca Piana” (dei papi di nome Pio) della storia del papato. Rientrano in quest’epoca i papi Pio IX (1846-1878), Pio X (1903-1914), Pio XI (1922-1939) e Pio XII (1939-1958), le cui dichiarazioni ufficiali recano inconfondibile il marchio della teologia neoscolastica che ha trovato il suo corononamento nei dogmi del Concilio Vaticano I, sul primato di giurisdizione e di magistero del papa.- Se però si guarda più in profondità, per così dire dietro la facciata radiosa dello “show man“, e se si legge ed ascolta con attenzione ciò che quest’uomo affascinante, in talare e zucchetto bianchi, dice di nuovo, di attuale e di rivolto al futuro, ben presto si accusa un profondo stupore. Dietro ai molti viaggi, che il papa definisce pastorali (anche se assomigliano piuttosto a manifestazioni folcloristiche e a visite di Stato), è sempre presente la forte tendenza a legare più strettamente a Roma i vari collegamenti esistenti con le chiese locali, e in tal modo dare nuova spinta al vecchio centrismo ecclesiastico. E dietro ai discorsi e agli scritti, che riempiono ormai spessi volumi, riguardo alla fede e alla morale si trova ben poco che non abbiano già detto i quattro papi di nome Pio. Non sarebbe dunque meglio se Giovanni Paolo II si fosse chiamato Pio XIII?» (Georg F. DENZLER, Giovanni Paolo II - perché non si è chiamato Pio XIII, in AA.VV., Contro il tradimento del Concilio, ed. Claudiana, Torino 1987, p. 89). Il teologo svizzero tedesco Dietrch WIEDERKEHER dice: «Come nessun altro, Giovanni Paolo II ha sviluppato l’immagine del papa come vescovo universale» e la sua predicazione mondiale è fatta di «proposte centralistiche che tendono a esautorare le posizioni dei vescovi locali”. Il rapporto del papa con i vescovi cessa di essere quello dei tempi della controriforma per rispecchiare sempre più quello del Medio Evo. Con Wojtyla scrive MONTANELLI, il papa «scende troppo spesso sul terreno politico», e come dice MORAVIA, Wojtyla è «un papa medioevale, perché è stato nel Medio Evo che i papi hanno fatto soprattutto politica». Giovanni Paolo II è «un papa felicemente regnante e il suo regno è di questo mondo» dice Lidia MENAPACE. Con questo papa della vittoriosa politica o del potere cristiano in un mondo che va sempre meno a messa, «La Chiesa torna, quando nessuno più lo riteneva possibile, al ruolo che ebbe lungo tanti secoli» scriveva il biblista Sergio QUINZIO. Quando la profezia diventa storia
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Questa linea di condotta in un mondo di incertezze trova dei chiari sostenitori. L’intellettuale cattolico francese, Etienne BORNE, dice: «Possiamo essere fieri di Giovanni Paolo II, perché ci sta ridando la fiducia di essere cattolici». Con il dogma dell’infallibilità il potere giuridico dei vescovi viene fortemente limitato. Affinché sia chiaro che il papa ha il primato assoluto sui vescovi e sulla Chiesa, il Concilio con minaccia di scomunica afferma: «Chi dichiara che il papa possiede soltanto la parte più importante, ma non l’intera pienezza di questo supremo potere, oppure che questo potere non sia ordinario e immediato su tutte come su ogni singola Chiesa, su tutti i pastori e fedeli come su ciascuno di essi, sia anatema» (Denzinger/Schönmetzer, o.c., p. 3064; cit. idem. p. 90). K. Wojtyla, nello spirito di Pio XII, il 28 giugno 1980, al collegio dei cardinali, «si appellò alla coscienza dei professori di teologia, ricordando come essi hanno il dovere di dare una conferma autorevole e autorizzata all’insegnamento della Chiesa, un indirizzo da seguire per comprendere sempre più a fondo la vera dottrina della Chiesa» (F.G. Denzler, o.c., p. 96). «Definendo nel 1870 l’infallibilità del papa, la Chiesa anticipava, su un piano più elevato, quella decisione storica che oggi viene presa sul piano politico: per l’autorità e contro la discussione, per il papa e contro la sovranità del Concilio, per il Führer e contro il Parlamento» (Mons. GROSCHE Robert, in HASLER August Bernhard, Come il papa divenne infallibile, ed. Claudiana, Torino 1982, p. 5).
L’aiuto delle dittature europee I regimi totalitari d’Europa sono serviti da stampella e da infermieri al potere papale in vista della guarigione (vedere nostro Capitolo XV, p. 594 e seg.) L’anno 1929 vedeva la firma dei Patti Lateranensi, che comprendevano, fra l’altro, un trattato politico mediante il quale lo Stato italiano, diretto allora da Benito Mussolini, riconosceva la sovranità del papato sullo Stato lillipuziano della Città del Vaticano. L’URSS è cinquanta milioni di volte più grande della città del Vaticano. Se l’URSS fosse un terreno di football la città del Vaticano avrebbe la dimensione di un quarto di francobollo (cit. da Maria Antonietta MACCIOCCHI, Di là delle porte di bronzo, ed. Arnaldo Mondadori, Milano 1987, p. 345). La creazione del più piccolo Stato del pianeta permetteva al papato di ritrovare il potere temporale del quale era stato spogliato nel 1870. Grazie a questa minuscola assise territoriale (44 ettari), il papato ridiventava una potenza politica paritaria, beneficiante di tutti gli attributi della sovranità, evitandone gli inconvenienti che risultano dall’esercizio del potere, il quale presta sempre il fianco alla critica. Immediatamente riconosciuto da numerosi Stati, il Vaticano iniziava da quel momento a svolgere un ruolo crescente negli affari del mondo, un ruolo, in ogni caso, sproporzionato per le dimensioni spaziali e umane del territorio sul quale estendeva la sua giurisdizione.
Verso il ristabilimento Imponendosi sempre di più come una autorità morale, il papato vede il suo prestigio accrescersi nel corso della seconda Guerra mondiale. Gli stessi Stati Uniti d’America, di cui si conosceva il pregiudizio anti-romano (molto vivo ancora in quell’epoca), non esitavano a stabilire dei contatti ufficiali col Vaticano. Il presidente Roosevelt nominava all’inizio della guerra un rappresentante speciale presso la Santa Sede, Myron Taylor (pur rifiutandosi di 1238
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stabilire delle relazioni diplomatiche ufficiali con il Vaticano fino all’inizio del 1984). La decisione presa dal presidente degli Stati Uniti traduceva la volontà di non negligere, nell’elaborazione della politica estera del suo paese, il “peso morale e diplomatico” del Vaticano. La vittoria degli alleati e l’ascesa degli Stati Uniti come potenza mondiale portarono Pio XII (1939-1958) a puntare completamente sull’America. Come i papi del Medio Evo vedevano nell’imperatore la loro spada, così gli USA devono diventare il braccio secolare della Chiesa (K. DESCHNER, Ein Jahrhundert Heilsgeschichte, Cologne 1982, 2, p. 13). I cattolici diventando la più grande chiesa cristiana degli USA e, nominando agli inizi degli anni sessanta un presidente cattolico (J. F. Kennedy), confermavano la volontà del papa: gli USA devono diventare una nazione cattolica (K. Deschner o.c., 2 p. 280). La “guerra fredda” divenne una crociata quando il suo missionario, il cardinale F. Spellman, ed il suo inquisitore J. McCarthy entrarono in funzione. Nel 1953 il papa approvò pure la possibilità di una guerra offensiva (F. KLÈBER, Friedenspolitik im Zwielicht: Spricht Rom deutlich genug?, in N. Greinacher/H. Küng (ed.), Katholische Kirche - Wohin?, Munich 1986, p. 59), nella quale non era escluso l’uso delle armi atomiche (K. DESCHNER, Ein Jahrhundert Heilsgeschichte, Cologni 1982, 2, p. 13). Tuttavia nel 1955 dichiarava il suo uso immorale. Nel 1959 agli Stati Uniti, il cardinale OTTAVIANI proclamava: «Lasciatemi dire che il vostro atteggiamento mi ricorda il ruolo che giocarono gli imperatori nel Medio Evo e più tardi i re di Francia. Voi siete in qualche modo i pilastri di sostegno, gli aiutanti e i protettori della Chiesa romana» (K. Deschner, o.c., 2, p. 496). Dopo la guerra, volendo evitare d’essere assimilato all’Occidente che declinava, il papato s’impegna a differenziare cattolicesimo e civiltà occidentale. L’iniziativa veniva presa da Pio XII aprendo il Sacro Collegio agli asiatici e agli africani. Quest’opera è stata seguita con sempre maggiore determinazione dai suoi successori. Nel 1959 Giovanni XXIII arrivava a dichiarare: «La Chiesa cattolica non si identifica con nessuna cultura, neppure con la cultura occidentale, alla quale pur tuttavia la sua storia è strettamente legata. La sua missione specifica è di un altro ordine: quella della salvezza religiosa dell’uomo» (cit. da J. RUDEL e P. SORLIN, Le Monde contemporain, ed. Bardas, Paris 1968, p. 388). Con la presenza della Santa Sede nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite il papato assume la funzione di coscienza dei popoli. È l’unico rappresentante del mondo religioso ed è la voce dei valori etici e spirituali.
Il papato va verso il mondo Mentre Giovanni XXIII si spostava solo in Italia, Paolo VI inaugurava la politica moderna dei viaggi. All’epoca dei Pio, il mondo doveva andare a Roma. Da ora in poi è Roma che va nel mondo. Nel corso dei suoi viaggi visita tra l’altro la Palestina, l’India, l’America del Nord (ONU), l’America del Sud (la Columbia) e l’Africa (l’Uganda). È Paolo VI l’artefice di questa nuova politica che diventerà tanto cara a Giovanni Paolo II. Nell’Ecclesiam suam (1964), Paolo VI sviluppa il nuovo “piano mondiale”: il mondo intero è disposto come cerchi attorno ad un asse centrale. Questo punto centrale è il papato e la Chiesa cattolica romana, c’è poi un primo cerchio: il resto della cristianità; il secondo cerchio, le grandi religioni e il terzo: l’umanità tutta intera. (vedere il nostro Capitolo XIX). Il punto di partenza e di contatto deve essere Roma. Il mondo malato sotto la sua autorità morale sarà guarito.
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Giovanni Paolo II, persegue la via inaugurata dal suo predecessore. Allorquando annuncia il suo progetto di viaggio in Africa, il 26 marzo 1980, sottolinea che lo effettuerà nella sua qualità di «ministro universale incaricato di incontrare i pastori e i popoli». All’affermazione, rinnovata con forza, della vocazione universale della Chiesa, corrisponde il lancio del Vaticano di una politica di apertura “tutto azimut”, sul piano religioso come sul piano politico. Rompendo con le tradizioni d’isolamento che i suoi predecessori si erano imposti, papa Paolo VI inizia a percorrere i continenti, compiendo nove viaggi nel corso del suo pontificato. Nel 1966 riceve per la prima volta nella storia del Vaticano un ministro sovietico, A. Gromyko, e pure per la prima volta un capo di Stato del blocco dell’Est - N. Podgorny nel 1967. Il Vaticano accettava e dimostrava di partecipare strettamente alla politica di pace. Nel 1966 lo Stato del Vaticano si associa al protocollo di Ginevra in vista della proibizioni delle armi chimiche e, nel 1971, al trattato di proibizione delle armi atomiche. Con la Populorum progressio (1967), Paolo VI tenta di continuare la missione sociale del suo predecessore. Delle voci radicali cominciano a farsi sentire. La Chiesa sosterrebbe la proprietà privata, ma altre volte il bene collettivo esige l’espropriazione, soprattutto nel terzo mondo. La rivoluzione non è certamente la risoluzione. La soluzione si chiama riforma, e la riforma si deve fare ora. Al posto degli armamenti ci si dovrebbe occupare dello sviluppo. Questo non deve essere orientato dalle leggi del libero scambio, ma secondo degli elementi umanitari. “Il mondo è malato”, per guarirlo necessita una collaborazione internazionale sotto una autorità mondiale efficace (confr. W. von Leowenich, o.c., pp. 391-393).
Ecumenismo Questa volontà d’apertura, testimoniata dagli spostamenti del sommo pontefice all’estero, si manifesta contemporaneamente in diverse direzioni. Nel 1959 Giovanni XXIII annunciava, tra la sorpresa generale, la convocazione di un Concilio ecumenico. Uno dei motivi confessati della convenzione degli “Stati generali” della Chiesa è il desiderio di favorire un riavvicinamento con le altre comunità cristiane, allo scopo di promuovere la causa dell’unità dei cristiani. Trattati, fino a quel momento, come eretici, i cristiani non cattolici sono da quel momento chiamati con deferenza “fratelli separati”. Questo spirito di conciliazione si tradurrà nell’accogliere degli osservatori protestanti ed ortodossi al Concilio Vaticano II (1962-1965), un fatto senza precedenti. Sul piano ecumenico Paolo VI segue il suo predecessore. Roma invita tutti i credenti a «entrare nell’ovile di Cristo, del quale il primo guardiano è il papa». È in questo modo che Paolo VI parla in occasione della visita al patriarca Atenagora nel 1964 a Gerusalemme, e nel 1969 al Consiglio Mondiale delle Chiese a Ginevra invitando tutti i cristiani a venire a Roma in occasione dell’anno santo del 1975. Il Concilio Vaticano II ha chiaramente sviluppato questo concetto; i protestanti per esempio sono certamente dei «fratelli nel Signore», ma la loro fede è piena di «difetti». È vero che «cercano Dio nelle sante Scritture - ma non si può avere accesso a tutta la pienezza dei mezzi della salvezza che tramite la Chiesa cattolica, che è il mezzo generale di salvezza». Da qui l’importanza del Magistero ecclesiastico. Il Concilio ha pregato per il perdono dei peccati contro l’unità e ha accordato questo perdono a coloro che, nelle altre Chiese, l’hanno offesa. Allo scopo di istituzionalizzare questa volontà di apertura ecumenica, Roma crea un organo speciale, il Segretariato per l’Unità dei Cristiani di cui il cardinale Bea fu il primo responsabile. Da quel momento in poi, i contatti tra Roma e le altre confessioni cristiane si 1240
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sono moltiplicati. Nel suo discorso del 1° gennaio 1979, Giovanni Paolo II stimava che «bisogna accelerare il passo» per pervenire a riunire in una sola Chiesa più di un miliardo di cristiani. Di fronte al Consiglio ecumenico delle Chiese, a Ginevra, Giovanni Paolo II ha ricordato che la Chiesa cattolica «con piena fedeltà verso la tradizione apostolica e verso la fede dei Padri, ha conservato nel ministero del vescovo di Roma il punto di riferimento visibile e il garante dell’unità» (G.F. Denzler, o.c., pp. 98,99).
Il papato centro della fede - relazione con le altre religioni In questa evoluzione verso l’unità, il papato appare sempre di più come essendo al servizio della comunione, centro d’unità, nello stesso momento in cui i pregiudizi anti-romani si fondono come neve al sole. Un nuovo avvenire sembra dunque aperto per lui, un avvenire ecumenico. Il papa si considera come il «garante dell’unità dei cristiani». Questa funzione unificatrice del Papa non è solamente indispensabile ai cattolici ma è anche auspicata da eminenti autorità protestanti. E. JNGEL parla di una «rappresentazione giuridica dell’unità di tutti i cristiani», U. KÜHN di una «riunificazione plausibile sotto la direzione del papa», il quale abbia la funzione di «servitore» e non di «potentato». Delle Chiese non cattoliche vedono in lui oggi il «portaparola di tutti i cristiani» (Materialdienst 34, 1983, 105. Oscar CULLMANN, nella sua opera, Papsttum als charismatischer Diens, (Unità nella diversità) dice che gli stessi protestanti vedono positivamente «che la Chiesa non è concepibile senza l’ufficio di San Pietro». Per i protestanti che soffrono della loro debolezza, il papato è visto come un «bastione» di fronte alle potenze del mondo che cercano di strappare alla Chiesa la sua autonomia e alla forme interne di decomposizione che la portano alla secolarizzazione. Non stupisce che teologi cattolici chiedano ai protestanti di riconoscere nel papato «il senso del diritto (sic) del servizio di San Pietro come il garante concreto dell’unità della Chiesa» pur lasciando alle differenti confessioni di conservare i loro insegnamenti e le loro tradizioni nella misura in cui «nessuna sentenza costituisca un dogma che obblighi l’altra confessione a rigettarlo in forma decisa e determinata». Naturalmente questo obbligherebbe i protestanti ad accettare in una forma tacita il dogma del primato giuridico e dell’infallibilità. Giovanni Paolo II è consapevole di questa difficoltà dei protestanti e per l’inizio del terzo millennio cerca per il momento di riconciliarsi con le Chiese ortodosse. Il suo scopo è quello di raggiungere una unità organica delle Chiese che superi il concetto di confessioni diverse unificate in una Chiesa mondiale rinnovata e modellata da Roma. Il titolo con il quale sempre più si fregia: “rappresentante di Cristo” tende a presentarlo sempre più come il pastore nei confronti del gregge. Benché la causa ecumenica rivesta una grande importanza agli occhi del Vaticano, essa non è che una delle sfaccettature della politica d’apertura praticata dal papato da una ventina d’anni. In effetti, Roma manifesta ugualmente una volontà di dialogare nei confronti delle comunità religiose non cristiane. Questa volontà s’è tradotta nella creazione nel 1964, al tempo di Paolo VI, del Segretariato pontificio per i Non Cristiani. Dipendente dalla Curia, questo organismo è servito soprattutto allo stabilimento delle relazioni con il Buddismo e l’Islam. Evocando la necessità di un dialogo tra cristiani e mussulmani, Giovanni Paolo II ha dichiarato a Istanbul, il 29 novembre 1979, che le due religioni potrebbero «proteggere e incoraggiare» la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà. Nello stesso giorno il rappresentante dell’Organizzazione della Liberazione della Palestina (OLP) in Turchia, Abou FIRAZ. dichiarava ad Ankara che il viaggio del papa era un «passo positivo», e aggiungeva: Quando la profezia diventa storia
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«Bisogna che il mondo islamico ed il mondo cristiano si uniscano per potere realizzare la pace mondiale». Il Concilio Vaticano II aveva già deciso che «la Chiesa cattolica non rigetta nulla di ciò che - nelle altre religioni sparse per il mondo - è vero e santo... è un raggio di questa verità che illumina tutti gli uomini... La Chiesa cattolica esorta i suoi figli ad unirsi con i credenti di altre religioni per... riconoscere, preservare e promuovere i beni spirituali e morali come i valori socioculturali che si trovano (nelle altre religioni)» (Religions, non chrétienne, 2). I viaggi apostolici sono una continuazione del Concilio con lo scopo di costruire dei ponti e avvicinare le grandi religioni tra loro presentandosi anche come il «porta parola dell’insieme del mondo religioso». È in questa ottica che Giovanni Paolo II ha visitato la sinagoga di Roma nel 1986 e ha incontrato il Dalai Lama in India. Il coronamento di questa strategia è stato l’incontro del 27 ottobre 1986 di Assisi che ha visto uniti nella preghiera i rappresentanti di 150 religioni: cristiane e non cristiane. La Chiesa cattolica con al centro il papa prende la mano dei fratelli cristiani e non cristiani allo scopo di rendere trasparente l’«unità nascosta, ma profondamente radicata in ogni uomo» (Die Zeit, 2 gennaio 1987, p. 2). Sotto l’egida del papato l’incontro di Assisi è con le parole del papa un «giorno di grazia per il mondo» (Idea-Spectrum, 22 ottobre 1986, p. 11). In un istante si è visto la nuova strategia vaticana e i mezzi per raggiungerla sono manifesti: tutte le religioni devono fare causa comune e la direzione papale permetterà il raggiungimento dello scopo: «impegnare le potenze della religione per la pace» (FAZ, 28 ottobre 1986, p. 1). La visione di una fusione di tutte le religioni in una grande religione mondiale può trovare un terreno favorevole presso mussulmani, buddisti, induisti, giudei ed animisti. Ma Assisi, come ha detto Mons. Lefèvre, è stata una «fiera di sincretismo». Il papato è un potere che, pur parlando di ecumenismo, ha chiaro l’obiettivo che si pone: essere il centro e il promulgatore delle iniziative. Tutto ciò che non viene concepito dal Vaticano non ha il suo appoggio diretto. È vero che c’è un dialogo con il mondo protestante/evangelico che l’Enciclica Ut unum sint, del 25 maggio 1995, considera questi credenti non più come «fratelli separati», come il Concilio Vaticano II aveva adottato e ufficializzato nell’Unitatis redentegratio, 3. Ma nella stesso Decreto sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano II, il papa rivendicava alla sua Chiesa la presenza della «pienezza degli strumenti di salvezza» e diceva che l’unità cristiana, traguardo dell’avventura ecumenica, si realizza «quando tutti parteciperanno alla pienezza dei mezzi di salvezza che Cristo ha affidato alla sua Chiesa» n. 86. Si trattava dunque di estendere alle altre «Chiese e comunità ecclesiali» una pienezza già sussistente nella Chiesa romana la quale «tra tutte le Chiese e comunità ecclesiali… è consapevole di aver conservato il ministero del Successore dell’apostolo Pietro, il Vescovo di Roma, che Dio ha costituito quale perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità» (n. 88). La comunione con il Vescovo di Roma che è infallibile e la sua Chiesa è il «requisito essenziale dell’unità». Nell’Enciclica Ut unum sint, Giovanni Paolo II nuovamente rivendica la sua ambizione: «La missione del vescovo di Roma nel gruppo di tutti i pastori consiste appunto nel “vegliare” episkopein come una sentinella, in modo che, grazie ai pastori, si oda in tutte le Chiese particolari la vera voce di Cristo - Pastore. Così, in ciascuna delle Chiese particolari loro affidate si realizza l’una, sancta, catholica et apostolica Ecclesia. Tutte le Chiese sono in comunione piena e visibile, perché tutti i pastori sono in comunione con Pietro, e così nell’unità di Cristo. Con il potere e l’autorità senza i quali tale funzione sarebbe illusoria, il vescovo di Roma deve assicurare la comunione di tutte le Chiese. A questo titolo, egli è il primo tra i servitori dell’unità. Tale primato si esercita a svariati livelli, che riguardano la vigilanza sulla trasmissione della Parola, sulla celebrazione sacramentale e liturgica, sulla 1242
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missione, sulla disciplina e sulla vita cristiana. Spetta al successore di Pietro ricordare le esigenze del bene comune della Chiesa, se qualcuno fosse tentato di dimenticarlo in funzione dei propri interessi. Egli ha il dovere di avvertire, mettere in guardia, dichiarare a volte inconciliabile con l’unità di fede questa o quella opinione che si diffonde. Quando le circostanze lo esigono, egli parla a nome di tutti i pastori in comunione con lui. Egli può anche - in condizioni ben precise, chiarite dal Concilio Vaticano I - dichiarare ex cathedra che una dottrina appartiene al deposito della fede. Testimoniando così della verità, egli serve l’unità» (94). «La Chiesa cattolica, sia nella sua praxis sia nei testi ufficiali, sostiene che la comunione delle Chiese particolari con la Chiesa di Roma, e dei loro vescovi con il vescovo di Roma, è un requisito essenziale - nel disegno di Dio - della comunione piena e visibile» ( n. 97).
Il papato verso i non credenti Contrariamente a ciò che alcuni potrebbero pensare, il Vaticano non restringe la sua politica di apertura ai soli credenti: lo sviluppo di contatti tra Roma e il mondo socialista ne è un segno. Il riavvicinamento si è operato a due livelli. Da una parte, a livello “ideologico” mediante la creazione di un organismo incaricato di promuovere il dialogo con i non cristiani: Il Segretariato per i Non Credenti”. Dall’altra parte, a livello politico mediante il moltiplicarsi dei contatti ufficiosi ed ufficiali con gli Stati socialisti. Se le relazioni, segnate da polemiche acerbe, erano particolarmente tese tra Roma e i comunisti all’epoca di Pio XII, che provvedeva a scomunicarli, la morte dello stesso ha segnato l’inizio di un “disgelo” delle relazioni tra Roma e il Mondo socialista. Al “bonario” Roncalli, Giovanni XXIII (1958-1963), dopo 44 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, il 25 novembre 1961, in occasione del suo ottantesimo compleanno, Nikita Krusciov inviava un messaggio di «congratulazioni e sinceri auguri di buona salute e di successo nella sua nobile aspirazione di contribuire al rafforzamento della pace sulla terra»; egli accolse degli emissari dei paesi dell’Est, ricevendo, da notare, primo segno di un contatto con il Cremlino, il genero di Nikita Krusciov, Alexis Adjoubei. La politica di apertura nei confronti dei paesi socialisti di cui il card. Casaroli (diventato più tardi Segretario di Stato del Vaticano) fu il principale artefice, si sviluppò sotto Paolo VI (1963-1978), il quale ricevette all’ONU i rappresentanti dei vari paesi e, intrattenendosi più a lungo con il ministro degli esteri Gromyko, il rappresentante degli USA commentò: «Non c’è da meravigliarsi, Gromyko chissà da quanto tempo non si è confessato». Il dialogo proseguì in Vaticano l’anno successivo sulla disponibilità del pontefice a ricevere il Presidente del Soviet, Nicolay Podgorny che arrivò in Vaticano il 30 gennaio 1967. In quell’occasione disse al Papa: «Ma forse non vi rendete conto del potere che avete nel mondo». Negli anni Novanta questo potere si manifesterà anche nella terra degli zar. Nel mese di gennaio 1979, Giovanni Paolo II accolse i ministro degli Affari esteri dell’Unione Sovietica, Andrei Gromyko. In quell’occasione, un giornalista fece maliziosamente notare che era la quinta volta che superava la soglia!... La politica di “apertura all’Est” del Vaticano ha contribuito a distendere in una maniera apprezzabile le relazioni tra Roma ed il mondo socialista, come ne testimonia l’omaggio reso dal quotidiano sovietico Izvestia al defunto papa Paolo VI all’inizio del mese di agosto 1978. Dichiarando che «i quindici anni del papa Paolo VI sono stati segnati da una serie di azioni positive”, il giornale aggiungeva che «ha fatto molto per la normalizzazione delle relazioni con i paesi socialisti» (cit. Journal de Genève 9/8/1978). La politica papale verso i non credenti viene espressa in particolare nei confronti dei Paesi dell’Est. Il loro crollo ha cambiato la geografia dell’Europa e una nuova pagina di storia viene scritta. La diminuita Quando la profezia diventa storia
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tensione con la Cina, l’incontro Fidel Castro - Giovanni Paolo II, in occasione del vertice mondiale organizzato dalla FAO nel dicembre 1996, non ha portato a proclamare il 25 dicembre giorno festivo a Cuba, ma nuove albe si vedono all’orizzonte. Infatti la festività natalizia è stata celebrata nel 1997 e la storia di Cuba dal 25 dicembre avrà pagine diverse. La visita a Cuba, come ha detto Gorbaciov, ha fatto cadere i muri ancora esistenti. Dopo il soggiorno di papa Wojtyla, Cuba non è più quella di prima. L’influenza della Santa Sede è sempre più manifesta e la sua presenza nella vita quotidiana è attestata dai mass media.
Ruolo internazionale del papato Scrive Fiamma NIRENSTEIN su Epoca, 10/9/89, L’autunno caldo del Patriarca: «Mai evento storico contemporaneo è stato più connesso alla politica del Vaticano di quanto non lo sia il processo di democratizzazione in Polonia. Le ultimissime mosse per aiutare la nascita del primo governo polacco non comunista sono state architettate addirittura in casa del Papa, Castelgandolfo, dove fino a sabato 12 agosto (1989) era riunita l’intellighenzia di Solidarnosc, ospite del pontefice: Geremek, Machnik, Kolakowski. Erano gli ultimi tocchi a quella linea mediana elaborata, non dopo pochi contrasti, fra il cardinale Glemp e il sindacato di Lech Walesa battendo la parte più rivoluzionaria dell’una e dell’altra parte. Senza il Papa, difficilmente Solidarnosc si sarebbe convinto che il proprio interlocutore era proprio il cupo generale Jaruselski, quello che nel dicembre 1981 aveva dichiarato il movimento fuorilegge. Per contro, senza il Papa, forse il primo ministro polacco sarebbe stato l’ebreo radicale Geremek, e non il cattolicissimo professor Tadeusz Mazowiecki, unitosi a Solidarnosc nel 1980, dopo essere stato fondatore della rivista cattolica Wiez, ed eletto alla Dieta nel 1981 come intellettuale del gruppo cattolico Znak, molto vicino alle gerarchie ecclesiastiche. Mazowiecki, d’altra parte è il personaggio simbolo che riassume tutto il cammino compiuto da Solidarnosc verso la sostituzione del governo, e della Chiesa in sostituzione (e in legittimazione) dello Stato. Chi dice che Wojtyla sia stato il vincitore della tensione polacca, non è affatto lontano dalla verità; durante i suoi tre viaggi nel suo Paese natale ha speso una tal quantità di pensiero e di passione patriottica a favore di Walesa, da farne un archetipo intoccabile, un recipiente di tutti i valori positivi che il mondo attuale riesce ad esprimere (amore per la libertà, solidarietà cristiana, onestà morale contro la barbaria totalitaria). Chi avesse cercato di schiacciare Solidarnosc, avrebbe cercato di schiacciare il Papa. Per contro, nessuno ora si può sognare di gestire la democratizzazione della Polonia secondo i criteri della laicizzazione capitalistica. Certo il Papa non ha fatto tutti questi sforzi per arrivare a una Polonia corrotta, scristianizzata, preda della secolarizzazione volgare come quella contro cui ha lanciato i suoi ultimi anatemi nel bagno di folla di Santiago di Compostela. Il nuovo potere deve essere cristiano, o non essere. Lo si vede anche dalla repentina violenza con cui il cardinale Glemp ha lanciato pesanti accuse agli ebrei di questi ultimi giorni, accusandoli di agire violentemente contro i polacchi “come fecero i tedeschi” nel chiedere la smobilitazione delle suore carmelitane da Auschwitz. Una accusa apparentemente incomprensibile, se non si pensa che dentro Solidarnosc c’è un forte gruppo di intellettuali ebrei e laici, la cui forza è stata tollerata finché il movimento non si è fatto Stato. Adesso lo Stato, schematizzando, deve essere legittimato dalla Chiesa, e da essa soltanto. Questo è il disegno di Giovanni Paolo, che ha infatti immediatamente provveduto a ristabilire le relazioni diplomatiche con la Polonia non appena mutata la situazione politica. Lo Stato della Chiesa riconosce lo Stato della Polonia».
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«Non si tratta affatto di una scelta tattica, come si vede da tutta la storia di questo papato», ha scritto il vaticanista Giancarlo ZIZOLA, e aggiunge: «Questo Papa polacco porta nelle sue più profonde pulsioni il desiderio della cristianizzazione dei Paesi slavi, dell’unità dell’Europa cristiana. Subito prima di essere eletto, aveva scritto un articolo in cui sosteneva che bisognava superare l’abitudine degli europei occidentali di pensare l’Europa senza i popoli slavi. Appena (eletto) papa, ha proclamato i santi Cirillo e Metodio apostoli degli slavi, copatroni d’Europa insieme a San Benedetto. La sua tensione naturale e il suo ragionamento lo portano a considerare che il mondo secolarizzato del capitalismo sia, per così dire, una zona di caccia piuttosto povera per la Chiesa. Mentre tutto il mondo socialista, l’America latina e parte dei Paesi asiatici e africani sono di gran lunga più promettenti. Naturalmente l’Est europeo gli sta maggiormente a cuore». La Chiesa Russa Ortodossa, che conta cinquanta milioni di praticanti, è per Wojtyla il primo e più importante fra i suoi obiettivi. Quando, nel 1979, visitò il patriarcato di Costantinopoli auspicò che l’unione si verificasse «all’alba del terzo millennio», mentre non ha mai detto nulla di simile all’indirizzo dei protestanti. Ucraini, lituani, lettoni sono entrati copiosamente nel collegio cardinalizio, nella Curia, nella Segreteria del Sinodo. Alla festa del Millennio del cristianesimo russo Wojtyla ha mandato il Segretario di Stato e altri dieci cardinali. Omelie come quella di Gniezno ed encicliche come Slavorum apostoli o lettere apostoliche come Euntes in mundum sono state dedicate ai confratelli delle terre dell’Est. La missione in Oriente per Wojtyla è decisiva per la sorte del cristianesimo. E Wojtyla sa che Gorbaciov capisce benissimo che le forze centripete delle nazionalità possono trovare un freno nella comune appartenenza al cristianesimo, e che quindi, prima o poi, lo aiuterà nel suo sogno di riunificazione dei cristiani poveri, se così si può dire. Per questo la diplomazia della Santa Sede, dopo l’inequivocabile segnale di avvicinamento lanciato da Gorbaciov con la lettera inviata a Wojtyla il 24 agosto, in risposta alla missiva del Papa del 13 giugno 1988, ha rinnovato il suo già instancabile impegno perché nel corso della visita del leader sovietico in Italia nel prossimo novembre, possano essersi create le condizioni anche per lo storico incontro in Vaticano». Dal XIV secolo, il triregno, serve a testimoniare la giurisdizione suprema, l’autorità episcopale ed il dominio universale. Qualche volta fu considerato come il segno della dominazione sul cielo, sulla terra e sul regno dei morti. Il papa possiede il posto d’onore prima di ogni sovrano, anche dopo il 1815, i suoi inviati sono i primi nel rango del corpo diplomatico. «Pure se un papa afferma energicamente di rinunciare al potere secolare, entra in contraddizione con la verità. Lo Stato del Vaticano e la diplomazia romana con la sua nunziatura non significa altro che il dominio secolare?» (F. LEIST, Der Gefangene des Vatikans, Munich 1971, p. 23). Sono circa 120 le nazioni che hanno un ambasciatore presso il papa, quelle che l’hanno accreditato negli ultimi 10 anni sono stati una trentina. Sebbene sua santità non sia stato intronizzato con il rito dell’incoronamento del triregno, perché papa Montini lo aveva venduto, per darne il ricavato ai poveri, anche se poi sia ritornato tra le mura vaticane, e la formula medioevale dei suoi predecessori: «Sappi che tu sei il padre dei principi e dei re, la guida del mondo, il Vicario in terra del Salvatore Gesù Cristo...» sembri anacronistica di altri tempi, risuona nei consessi e convegni cattolici il ritornello: «L’Europa deve ritrovare il suo volto cristiano», cioè cattolico.
Riunificare l’Europa dall’Atlantico agli Urali Dall’insediamento di Wojtyla sul trono di Pietro il progetto di unire l’Europa dall’Atlantico agli Urali è diventato un programma di lavoro che deve essere realizzato. A tale Quando la profezia diventa storia
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scopo si tengono riunioni, convegni, tavole rotonde. Ciò che ha unito tutti questi popoli per secoli, viene sostenuto in campo cattolico, è stato: «Un’unica fede vivente nella tradizione e nella cultura ereditata dal mondo antico, la tradizione e la cultura di Roma, cui si vennero ad aggiungere gli apporti dei popoli germanici... Quell’antico ordine unitario dell’Europa stessa che aveva avuto nel pontefice romano il padre comune che guidava i popoli verso la salvezza eterna verso il bene quaggiù in terra... L’Europa è alla ricerca delle sue radici e queste radici stanno certamente in quella Cristiana medioevale troppo a lungo dimenticate», era quanto si diceva nella settimana di studi a Passo della Mendola nel luglio dell’‘80. Scrive la F. NIRENSTEIN, nove anni dopo: «Il potere temporale della Chiesa finì con la breccia di porta Pia nel 1870. Adesso è per la Chiesa il tempo di aprire vaste brecce nel mondo secolarizzato, e di recuperare il potere perduto. In certo senso, il potere temporale» (o.c., pp. 32,33). Ora il Papa non si presenta con il triregno, ma appoggiandosi alla grande croce, ereditata dai suoi predecessori, si identifica con il Cristo sofferente del Calvario quale «testimone dell’umana sofferenza» e percorre il mondo per risuscitare l’antico splendore vaticano. Come i cavalieri del Medio Evo combattevano in onore della loro dama, Wojtyla addita al mondo la sua Dama che visita nei santuari costruiti con le pietre usate per i castelli e a lei, quale suo cavalier servente, a più riprese affida il mondo ed «in modo speciale» la Russia e la Lituania. In un tempo in cui le stesse grandi potenze non pensano più alla costituzione degli imperi, Wojtyla, come Innocenzo III, pensa al papato come potere mondiale e aggiornandosi con i tempi, non lo propone nella dimensione temporale e mondana, ma spirituale e morale. «Il successo che il papa raccoglie con questa proposta nel mondo ha fatto dire a Paul THIBAUD che Wojtyla è l’interprete di un bisogno diffuso: quello di un capo spirituale mondiale, capace di suggerire l’idea che il mondo può essere trasformato mediante lo spirito, dato che scienza e politica non ne sarebbero state all’altezza, anzi sarebbero responsabili della catastrofe. Questo spiega i suoi travolgenti successi: ma spiega anche i sospetti e le ostilità che raccoglie» (cit. Giancarlo ZIZOLA, Quanti nemici per un papa così, in Europeo, 25 maggio 1981). Giovanni Paolo II esalta la cristianità del passato, quando aveva l’apparenza di essere l’amalgama delle diverse e contrapposte società. «A Spira, in Germania, esalta i re, i principi, gli imperatori, che trascinarono con sé, nel proprio battesimo, interi popoli a Cristo. Quei cristiani di allora - sostiene Wojtyla - erano consapevoli che il proprio potere sui sudditi veniva da Dio». Ma commenta D. Del Rio: «Che cosa poi combinassero di poco cristiano quei cristiani sembra che non interessasse il pontefice: come si macellassero tra loro, come macellassero i propri sudditi cristiani e altri popoli cristiani, avendo magari ognuno a protezione dei propri eserciti un’immagine di una Vergine miracolosa. È questo un tipico procedimento di Wojtyla: quello che importa è l’affermazione, non l’analisi. Allora, quello che importava, era il trionfo di Dio, il trionfo della religione, sugli uomini, sui poteri, sui regni» (Domenico del RIO, cit. da Luigi ACCATTOLI, Wojtyla, il nuovo Mosè, ed. A. Mondadori, 1988, p. 61). In un tempo in cui il Dio del potere è messo da parte, lo si ripropone ancora affinché la Chiesa possa realizzare il suo sogno utopistico di «riunire tutte le nazioni europee che hanno le “radici cristiane”, dall’Atlantico agli Urali» (Idem, p. 62). La religione cristiana è l’elemento unificatore dei popoli europei dell’ovest e nel nostro tempo ancora di più per i popoli dell’est che, a seguito della perestroica, manifestano una riscoperta dei valori dei propri nazionalismi che la stessa Chiesa ha provocato. Dopo la visita di Giovanni Paolo II in Polonia, i cattolici polacchi hanno risvegliato la loro identità e l’anno sucessivo Solidarnosc ne è stata la loro creazione. La resistenza cattolica è stata la forza d’opposizione all’imperialismo marxista. Le chiese cattoliche dei paesi dell’Est sono luoghi nei quali risuonano i valori di libertà e si rivendicano i valori delle tradizioni più antiche. I cattolici sono sempre più una forza che desidera appropriarsi del ruolo sociale e politico. La 1246
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forza popolare cattolica polacca ha scosso le coscienze dei cattolici degli altri paesi risvegliando il bisogno di riaffermare la propria identità. Onde evitare il manifestarsi della frammentazione delle etnie che caratterizzano i paesi dell’Est, il religioso potrà essere utilizzato per smorzare le forze centripete a favore di una unità, fra le diverse etnie, grazie ai valori comuni del paese. Michall HELLER, autore con Aleksandr NEKRIC della Storia dell’URSS, edita da Rizzoli, in una intervista al Corriere della Sera del 30 novembre 1989, alla domanda: «In una prospettiva più ampia, in che cosa consiste l’interesse di Gorbaciov e del gruppo dirigente sovietico per un miglioramento delle relazioni con il Vaticano?» rispondeva: «Se si considera le cose con realismo e concretezza, questo interesse sta nel desiderio di usare il Vaticano come forza stabilizzatrice prima di tutto in Polonia, in Lituania, e anche in Cecoslovacchia dove c’è un gruppo di cattolici. Oltre ad utilizzare il Vaticano come elemento che garantisca o, almeno, favorisca una certa stabilità del “campo socialista” c’è anche un’altra considerazione: mentre Gorbaciov si presenta nell’arena internazionale come una sorta di supremo pacificatore, egli ha bisogno, se non dell’appoggio, almeno di una benevola neutralità da parte del Vaticano. Nei suoi piani di ingresso nella “casa europea” la Chiesa cattolica non può non far parte dei suoi calcoli. In tutti i sensi, sia nel senso della politica interna che di quella internazionale, Gorbaciov ha bisogno del Vaticano». «L’accordo tra Gorbaciov e Giovanni Paolo II stabilito durante il vertice del 1o dicembre in Vaticano, prevede un disimpegno politico della Chiesa dai fermenti nazionalistici in cambio dei vantaggi istituzionali di un possibile concordato tra Santa Sede ed URSS» (Panorama, 21/1/1990, p. 83). Gorbaciov, visitando Wojtyla, gli riconosce ufficialmente il doppio potere temporale e religioso. Il “riallacciamento delle relazioni diplomatiche” tra URSS e Vaticano riconoscono il papato nella sua autorità temporale; chiamandolo, più d’una volta, con un’espressione insolita nella lingua russa, «Sua santità», il segretario del Soviet gli riconoscere l’autorità spirituale. Con la visita di Gorbaciov in Vaticano si sono sciolti i nodi della storia. Se la prima guerra mondiale si è conclusa con l’esultanza dei popoli, non così è stata per la seconda guerra. Le azioni militari si sono concluse, i patti sono stati firmati, ma la tensione è continuata. La guerra fredda è durata decenni. Il 1° gennaio 1989 segna, dopo quarantacinque anni, la fine della guerra in Europa. La storia ha un nuovo inizio. Roma è la Canossa dei potenti della fine XX secolo. Come l’Impero Romano d’Occidente a seguito delle invasioni barbariche, diviso nei diversi regni che si costituirono, mantenne la sua unità nella religione cristiana, così oggi sempre più la religione di Roma è vista come l’elemento coagulante per un’Europa senza frontiere dall’Atlantico agli Urali. Con il crollo all’Est dell’impero marxista riemerge sulle sue rovine il potere di Roma. All’Est la fede marxista è morta, in Occidente il secolarismo ha fatto morire quella cristiana. Il papa, richiamandosi ai valori tradizionali e risvegliandoli nella mente dei popoli, getta dei ponti tra due mondi: l’Est e l’Ovest. È vero che tra gli obiettivi che si era fissato il Vaticano nella sua politica di normalizzazione delle sue relazioni con i paesi socialisti, ce n’è uno che non è stato ancora raggiunto: la normalizzazione con la Cina comunista. Tra Pechino e Roma esiste un pesante contenzioso. Le relazioni ufficiali tra la Cina e il Vaticano furono interrotte nel 1949 al momento in cui venne proclamata la nascita della Repubblica popolare cinese. Abbandonata a se stessa, la Chiesa cattolica cinese dovette nominare i suoi propri vescovi, senza rifarsi al sommo Quando la profezia diventa storia
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pontefice. Ciò fu valutato nel dicembre del 1958 come scisma da Giovanni XXIII. Paolo VI, da parte sua, cercò di ristabilire i contatti con Pechino. Il 10 luglio 1970, Mons. Walsh, detenuto dal 1959 dalle autorità comuniste, fu liberato dalla Cina, primo segno percettibile di distensione. Questa liberazione avvenne qualche mese prima del viaggio di Paolo VI in Asia, viaggio effettuato nello stesso anno. A Hong-Kong, Paolo VI poté anche leggere un discorso radiofonico senza che venisse disturbato dalla Cina comunista. In occasione del suo viaggio in Asia nel 1981, Giovanni Paolo II, in un discorso alla comunità cinese di Manila, espresse il suo desiderio di visitare la Cina e di incontrare i cattolici di quel paese. Ma l’assenza di diplomatici cinesi alle cerimonie organizzate in suo onore mostra la difficoltà di realizzare un tale progetto, la Cina comunista esigerebbe, prima di ogni ripresa di dialogo, la rottura delle relazioni diplomatiche della Santa Sede con Taiwan. In ogni caso durante tutto quel viaggio asiatico, la ripresa dei contatti con la Cina continentale dimorava nella prospettiva. Il Vaticano attribuisce molta importanza alla normalizzazione delle sue relazioni diplomatiche con il paese più popoloso della terra. Qualunque siano gli ostacoli che sussisteranno, non c’è dubbio che dei cambiamenti importanti sono da prevedersi a breve o lungo termine, Roma e Pechino manifestano ognuno la propria volontà di pervenire ad un “modus vivendi”. Una delle impazienze del Vaticano a rinnovare il contatto con la Cina, il più potente paese del Terzo Mondo, è dato dal fatto che essa esercita una influenza considerevole sui paesi in via di sviluppo. Ora, le relazioni con il Terzo Mondo costituiscono una delle preoccupazioni maggiori del Vaticano, come ne testimoniano i viaggi di Paolo VI e Giovanni Paolo II in Asia, in Africa ed in America latina, continenti in rapida espansione demografica. Il papato è in effetti cosciente che, come ha dichiarato padre Pedro ARUPA, generale dei Gesuiti, «l’avvenire della Chiesa è afro-asiatico» (cit. da Alfred LABHART, ChineHerausforderung für die Kirchen, in Wetwoche Magasine, 25/4/1973). Cina, Israele e Russia sono gli appuntamenti che il Papa desidera avere con la storia. Intanto visita i Pesi dell’Est: Ungheria, Cechia, ancora la Polonia, l’ex Jugoslavia e Cuba.
Cause dell’ascesa papale Così, la politica d’apertura del papato a tutto campo a 360 gradi, di cui pensiamo di aver colto alcuni momenti più significativi e le grandi linee praticate a livello politico e religioso conferma la doppia natura del papato che gli ha permesso di allacciare dei contatti con le principali “famiglie” religiose, politiche ed ideologiche del mondo e con la maggioranza dei paesi del globo, facendo in qualche modo del Vaticano il centro geografico dei differenti punti di vista della comunità umana. Moribondo alla fine del XVIII e durante il XIX secolo, compie una risalita spettacolare nel XX secolo. Il papato ha dunque visto allargarsi considerevolmente la sua audience, in questi ultimi anni, grazie alla sua politica di apertura universale. La sua influenza negli affari del mondo si è accresciuta in modo tale che si può dire, senza esagerazione, oggi ancora più di ieri, «nessun avvenimento politico può essere valutato nella sua giusta dimensione, all’epoca attuale, se non si conosce la parte che vi ha svolto il Vaticano» (GUY Emery SHIPLER, cit. Edmond PARIS, Le Vatican contre l’Europe, Librerie Fischbacher, Paris 1959, p. 362).
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La sua millenaria capacità di emergere dalle crisi L’ascesa del papato dei nostri giorni, ascesa che sembra irresistibile, porta naturalmente l’osservatore ad interrogarsi sulle ragioni profonde di questo fenomeno. In ogni caso è fuori dubbio che questa ascesa notevole è favorita dallo stato precario del mondo contemporaneo, in altri termini, l’ascesa del papato risponde a bisogni pressanti. Bisogna prima di tutto constatare che la Santa Sede è uscita con un prestigio rinforzato dalle grandi crisi che hanno scosso il mondo contemporaneo, come se il suo ascendente morale sugli uomini e i popoli crescesse in proporzione alle loro incertezze e angosce. Analizzando questo fenomeno che stupisce, M. Pernot faceva, già alla fine della prima guerra mondiale, le seguenti constatazioni: «Dall’ultima crisi mondiale il papato è uscito più grande, più imponente, più prestigioso rispetto al passato. L’opinione del mondo non potrà essere che stupita dal contrasto tra la fragilità delle dinastie e degli imperi che egli aveva visto sgretolarsi, e l’impassibile resistenza dell’istituzione due volte millenaria che essa vede uscire dalla formidabile prova, senza danni, senza cambiamenti» (M. PERNOT, Le Sainte Siège, l’Eglise catholique et la politique mondiale, cit. da Jean VUILLEUMIER, L’Apocalypse, ed. S.d.T., Dammarie-les-Lys, 1941, p. 236). Quando Giovanni XXIII morì, dopo solamente cinque anni di pontificato, aveva conquistato il cuore del mondo cristiano con il suo grande tatto, il suo calore umano e la sua bonarietà hanno profondamente impressionato il mondo non cristiano. «Il papato - come dice F. HEER - gode alla fine del nostro secolo di una immagine di valore internazionale come mai ha avuto nella sua storia. Intellettuali atei, rappresentanti delle antiche religioni asiatiche tibetani, indiani, giapponesi - politici di ogni vento, donne ed uomini delle ideologie più disparate, gioventù aggressiva, tutti furono coinvolti quando appresero della morte di papa Giovanni XXIII. Sembra che la Santa Sede abbia raggiunto una cima insormontabile di prestigio, di rispetto e d’interesse». La laica Macciocchi a Castelgandolfo con questi termini descrive il suo incontro con Giovanni Paolo II: «Non era quel bianco (del vestito) che mi abbagliava, bensì la sensazione confusa di incontrarmi con la storia del mondo, di subire l’urto o l’impatto con una vicenda che dura da duemila anni, la più lunga che si conosca, la sola che resista alle successive distruzioni in cui sono rovinati i più grandi imperi, i regni, i dominii e le civiltà splendide che apparivano imperiture» (o.c., p. 358). Simboleggiante la perennità, la continuità, la stabilità eminentemente desiderabile in un mondo così agitato e inumano come il nostro, l’istituzione più antica, la più duratura della storia umana, possiede in effetti un potere che affascina, in un modo quasi irresistibile, particolarmente coloro che sono alla ricerca di qualche punto fisso ben visibile che né i secoli né gli uomini hanno potuto corrodere.
Crisi spirituale ed ideologica della società Oltre che il fattore d’ordine psicologico che stiamo mettendo in risalto, in uno sforzo di comprensione dell’ascesa del papato, non bisogna dimenticare la crisi spirituale ed ideologica della presente generazione. In effetti, il fallimento delle ideologie - che, come già lo sottolinea Philippe SAINT-MARC, Progrès ou decline de l’homme?, ed. Stock, Paris 1978, hanno fatto la prova della loro incapacità per assicurare la vera felicità degli uomini, ha creato un vuoto immenso, che i religiosi si impegnano a colmare. Ora, in una simile congiuntura, la parola del papa prende un nuovo splendore. Quando la profezia diventa storia
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Giovanni Paolo II viene applaudito a tutta forza per la sua condanna al permissivismo morale e della società dei consumi. Ammirevolmente servito dai mass-media, la parola del Papa viene portata fino alle estremità della terra, suscitando un’eco considerevole.
Potenza economica Il Vaticano ha interessi economici in molti campi. Le azioni della Santa Sede si riferiscono a un numero imprecisato di imprese che esprimono le più diverse attività, anche le più contraddittorie. È difficile, se non impossibile, dipingere un quadro della situazione finanziaria e dei capitali che gestisce soprattutto a causa della mobilità del denaro. La Banca della Città del Vaticano, lo IOR - Istituto per le Opere Religiose - è una istituzione chiacchierata perché luogo dove avvengono operazioni finanziare discutibili che, secondo l’eminente giurista cattolico inglese e professore di logica al college di Winchester dell’Università di Oxford, Michael DUMMET, «puzzano terribilmente di corruzione». Solo un esempio che dovrebbe portare a riflettere gli uomini di buona volontà. A seguito delle operazioni finanziarie degli anni ‘70 e ‘80, tutti i giornali hanno riportato le azioni del plenipotenziario arcivescovo Marcinkus, denunciato per frode, e i suoi rapporti con Sindona, Roberto Calvi, trovato morto a Londra e il Banco Ambrosiano... La Banca Vaticana diede, come obolo, un’offerta per i danni subiti dal fallimento del Banco Ambrosiano, 240 milioni di dollari a favore dei creditori dell’Istituto associato con lo IOR. Il Vaticano che avrebbe dovuto mettere in risalto la correttezza del suo Istituto, si è guardato bene dal permettere che normali verifiche venissero effettuate.
L’incertezza del futuro è nostalgia del passato All’indebolimento delle ideologie a dominazione sociale, corrisponde un ritorno in forza di ciò che si può nominare, usando un vocabolario in senso largo, il “conservatorismo”. La corrente conservatrice che si manifesta attualmente un po’ dappertutto nel mondo, a cominciare dall’Occidente, si sforza di rimettere in vigore le tradizioni, i valori e le istituzioni del passato, sia cristiane che pagane. In generale, il conservatorismo si oppone alla corrente del pensiero liberale che, dalla fine del XVIII secolo aveva esercitato una influenza dominante in Occidente e aveva presieduto al sorgere dei regimi democratici. Contrariamente al conservatorismo - rispettoso delle tradizioni, più preoccupato di mantenere “l’acquisito” che il progresso sociale o politico privilegiando i valori d’ordine e le gerarchie - il liberalismo postula una società aperta, tollerante, caratterizzata dallo spirito critico, l’antidogmatismo, la discussione aperta senza pregiudizi, la sottomissione dell’autorità alla saggezza e al buon senso, l’opposizione agli interdetti, la fiducia nella Ragione e nel Progresso, un certo ideale di fraternità umana fondato sulla nozione di uguaglianza. Questo ritorno in forza del conservatorismo - fenomeno recente, percettibile, soprattutto da venticinque anni a questa parte - si accompagna con un retrocedere generale della Sinistra e delle forze dette “progressiste”. Dopo la lunga dominazione delle «ideologie progressiste e liberali» che si sono sforzate di promuovere una società più giusta, più equilibrata e più fraterna, le idee della “Nuova Destra”, sia essa francese o americana, hanno in effetti l’attrattiva della freschezza e della novità. Vista la situazione critica nella quale si trova il mondo oggi, l’Occidente in particolare non ha nulla di stupefacente. In effetti, man mano che la crisi economica e sociale si aggrava, i gruppi sociali - in un riflusso naturale di difesa, 1250
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d’autoconservazione - tendono a chiudersi. Ora di questo chiudersi approfitta soprattutto la Destra conservatrice. Siccome le prospettive dell’avvenire sono buie, si ritorna con nostalgia verso il passato nella speranza di trovarvi gli elementi suscettibili di portare rimedi a una società in via di decomposizione. Incontestabilmente, l’aumento delle incertezze favorisce la corrente conservatrice, l’emergenza di una società più preoccupata dell’ordine e della stabilità che della libertà, come testimonia il successo della “Nuova Destra” americana alle elezioni del novembre 1980 e ancor più nel 1985, forte nel ‘90 e nel ‘95. Ora, come regola generale, si constata che l’America precede sempre l’Europa di una lunghezza, la vittoria dei Conservatori americani indica dunque, verosimilmente, la tendenza politica maggioritaria dei prossimi anni in Occidente. Questa evoluzione non può che essere favorevole al papato, questa istituzione quasi bimillenaria che incarna il conservatorismo più intransigente. Se la destra guarda al passato e ha nel Vaticano un riferimento preciso, sicuro, le forze progressiste di sinistra che governano l’Occidente sono consapevoli che il cavallo della politica lo si può guidare se non solo non si oppone alla religione ma se essa esprime direttamente o indirettamente il proprio consenso.
Necessità di una autorità ascoltata da tutti I fattori che abbiamo considerato, benché da non negligere, non sono sufficienti a giustificare da soli l’ascesa vertiginosa del papato; bisogna così prendere in considerazione un processo che si potrebbe qualificare di mondializzazione degli interessi e dei problemi; la tecnica ha ridotto il mondo alle dimensioni di un semplice villaggio. È ciò che già risentiva P. Valéry, negli anni Trenta, quando scriveva: «Il sistema delle cause che presiede la sorte di ognuno di noi si estende ormai alla totalità del globo, lo fa risuonare interamente a ogni scuotimento; non ci sono più questioni locali, non ci sono più questioni finite ed esseri finiti su un punto» (Paul VALERY, Regards sur le monde actuel, Stock, Paris 1931). In un mondo costituito da parti ogni giorno più interdipendenti e intercomunicanti, l’umanità è portata, ancor più rispetto il passato, a prendere coscienza della solidarietà di fatti esistenti tra gli uomini e le nazioni. In un tale contesto, l’umanità si sente imperiosamente spinta a ricercare una istanza suprema capace di farsi ascoltare da tutti e che possa farsi l’avvocato di tutta la famiglia umana. Ora, per realizzare un simile ruolo, il papato non è oggi posto nella migliore posizione? Una tale istanza deve prima di tutto disporre di un credito morale sufficiente. Da questo punto di vista, il capo religioso più eminente del Cristianesimo non ha nulla da invidiare a chicchessia, poiché egli può presentare un capitale morale che nessun capo spirituale nel mondo può uguagliare. Si attende che un simile potere prenda posizione sui grandi principi di giustizia e di uguaglianza, che indichi la via da seguire, continuando ad essere capace di farsi ascoltare universalmente. Paolo VI all’ONU. ricordava che la Chiesa era portatrice di un messaggio che aveva attraversato i secoli. Là ancora, le prese di posizione del papato vanno nel senso desiderato. Dalla tribuna dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a New York, il 2 ottobre 1979, Giovanni Paolo II aveva lanciato un appello all’abolizione di tutti i campi di concentramento, di tortura e di Quando la profezia diventa storia
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oppressione. Esaltando la dignità dell’uomo, prendendo risolutamente le difese dei suoi diritti, il papa difendeva così la causa dell’Umanità. Facendo l’elogio funebre a Paolo VI, il giornalista Claude MONNIER dichiarava ch’egli «si voleva proclamare il più fragile, il più impotente dei capi di Stato. E che questa impotenza estrema, pateticamente paradossale, dava ai suoi appelli, ai suoi rimproveri, una verità, un peso, una credibilità, che forzava l’attenzione di tutte le coscienze... Il papa era l’ultimo uomo forse che poteva giocare questo ruolo di coscienza diritta... e non apparire derisa, ma al contrario toccare qualche volta le sensibilità più chiuse» (Le mystère de Paul VI, in Journal de Genève 9/8/1978). Considerando il viaggio di Giovanni Paolo II negli Stati Uniti, Jean Neuvecelle, specialista delle questioni vaticane, si poneva la seguente domanda: «Perché questo ascolto delle masse che ha oltrepassato le folle propriamente cattoliche? Senza dubbio a causa della volontà, poco protocollare, di dire tutt’altro di ciò che è detto abitudinariamente... Perché su questa terra il Papa è oggi il solo a poterlo dire davanti ad una folla così vasta» (Jean LUCQUPIS, pseudonimo di Jean NEUVECELLE, Jean Paul est de retour au Vatican, in Journal de Genève 9/10/1989). Così in un mondo moralmente disorientato, la parola della Santa Sede serve di riferimento. Facendosi ascoltare a dispetto del tumulto, appare per molti come la voce della coscienza morale dell’umanità.
Necessità di un “ministro della conciliazione” Contrastato, tiranneggiato da forze antagoniste, sulla sponda dell’abisso, il mondo ha inoltre un urgente bisogno di un “ministro della conciliazione” che sia in relazione con tutte le parti, pur restando al riparo dai rimproveri della parzialità. C’è un urgente bisogno di una istanza che sposi non la causa degli interessi particolari, generalmente divergenti, ma la causa dell’interesse generale. Tentando di scoprire un denominatore comune, proponendo un linguaggio universale, il papato non risponde forse a questo bisogno? La Santa Sede si presenta come esercitando un “ministero universale”. La rivista Realités si domanda quale può ben essere «la ragione dell’importanza collegata alla diplomazia di uno Stato senza potenza temporale» (il Vaticano), risponde: «Giovanni XXIII e Paolo VI sono riusciti ad apparire come dei porta-parola dell’aspirazione universale alla pace» (Les objectifs de la nouvelle diplomatie vaticane, janvier 1967). Sforzandosi di mettere in chiaro gli “interessi comuni dell’umanità”, appellandosi alla solidarietà di tutti gli uomini, mettendo l’accento sui valori spirituali, il papa si sforza di apparire non come il porta-parola della Cristianità, ma bensì come il porta-parola dell’Umanità. In occasione dell’omelia che ha pronunciato durante la messa celebrata all’inizio del suo pontificato nell’ottobre 1978, Giovanni Paolo II ha affermato di voler operare per tutta l’umanità. In un messaggio rivolto agli uomini di Stato in occasione della “dodicesima giornata della pace”, il 21 dicembre 1978, Giovanni Paolo II ha precisato che intendeva «riprendere il bastone del pellegrino di pace» dalle mani di Paolo VI. In questo messaggio invitava «le opposizioni ideologiche a confrontarsi in un clima di dialogo e di libera discussione». Indirizzandosi più direttamente ai responsabili politici, dichiarava: «Abbiate il coraggio di riesaminare in profondità la preoccupante questione del commercio delle armi... date dei quadri istituzionali appropriati alle solidarietà regionali e mondiali», stimando che bisogna trovare un nuovo «linguaggio di pace» per «educare alla pace». Aggiunse: «Continuando ad 1252
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esprimersi in termini di forza, di lotte di gruppi di classe... si crea il terreno favorevole alle barriere sociali, al dispetto, all’odio, al terrorismo e alla loro apologia sorniona o aperta». Il papa alla fine fece appello ai poteri pubblici perché essi «riconoscano... la libertà religiosa, favoriscano così lo sviluppo di uno spirito di pace». Concluse affermando che «la pace sarà l’ultima parola della storia» (cit.: estratta dal Journal de Genève del 22/12/1978). Giovanni Paolo II ha posto la dignità umana al centro della sua prima enciclica Redemptor hominis (1979). Il terzo capitolo, in particolare, invita a considerare l’enciclica non solamente come un fatto religioso, ma anche come un fatto politico. In effetti, l’ampiezza dello spirito di conciliazione che testimonia ne fa «una specie di documento diplomatico di essenza superiore, che avrebbe il compito di mettere in luce gli interessi comuni dell’umanità» (cit. estratta dall’articolo de Antoine MAURICE, Les hauteurs radieuses, in Journal de Genève, 23/3/1979. È una delle ragioni per le quali il papa saluta in questo testo l’Organizzazione delle Nazioni Unite e lo sforzo di definizione dei diritti dell’uomo forniti da questa organizzazione. Alla Sede dell’UNESCO a Parigi il 2 giugno 1980, Giovanni Paolo II fece una lezione sulla cultura che dovrebbe essere accettata dall’umanità intera, sottolineando prima di tutto «la priorità dell’etica sulla tecnica, il primato della persona sulle cose, la superiorità dello spirito sulla materia». Commentando l’attentato perpetrato contro Giovanni Paolo II il 13 maggio 1981, l’Osservatore Romano scriveva: «L’attentato affligge profondamente il papa, perché egli si rende conto che più ancora che lui stesso, si è cercato di distruggere ciò che rappresenta: l’appello all’amore, alla concordia, alla pace. L’attentato è stato un attentato non contro un tale uomo, ma contro l’Uomo» (cit. estratta dall’articolo di Jean NEUVECELLE, L’agresseur du Pape a-t-il vraiment agi seul?, in Journal de Genève, 28/7/1981).
Il papa: personaggio mondiale che meglio può assolvere alle aspettative di pace In un mondo sempre più in cristi, anche se sembra che l’ombra della spada di Damocle, di un nuovo genocidio, si stia allontanando, il persistere di una situazione di instabilità e di insicurezza sociale, economica e anche politica, il ministero del papa in favore della pace e del bene dei popoli prende un valore considerevole. Le considerazioni fatte ci portano a concludere che la congiuntura non è estranea all’ascesa vertiginosa del papato sulla scena mondiale. Al contrario! In un mondo alla deriva, che cerca disperatamente un punto di ancoraggio e un quadro di riferimento, in un mondo che - per istinto vitale di conservazione - si rivolge verso il passato e ai suoi valori, in un mondo assetato d’irrazionale e di spirituale, in cui le ideologie non riescono più a mobilitare le masse popolari, in un mondo alla ricerca di una istanza morale di ascolto universale che possa farsi l’avvocato dell’Umanità e l’interprete degli interessi superiori, in un mondo lacerato, al bordo dell’abisso, che ha tanto bisogno di una parola conciliatrice e pacificatrice, la Santa Sede appare obiettivamente più indicato per soddisfare questi bisogni presenti. Con un prestigio simile a nessun altro, che affonda le sue radici in quasi duemila anni di storia, che dispone di un credito morale e di una autorità spirituale incomparabile, il papato esercita oggi una influenza che, lontano da essere racchiusa nel quadro cristiano, si estende universalmente. Si eleva mediante l’altezza dei suoi propositi ben al di sopra dei dibattiti confessionali, politici e ideologici, sforzandosi di cogliere l’interesse generale e di definire il bene comune. Il Papa appare a molti come il porta-parola più autorevole dell’umanità contemporanea. Chi potrebbe dubitare che l’avvenire gli sia favorevole? Quando la profezia diventa storia
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È un bisogno dell’uomo avere al di sopra di sé Dio o un idolo In tutti i secoli l’uomo ha applaudito colui che lo affamava; servire i potenti era un vanto. Pochi uomini, ma molti padroni e ancor più servi e cortigiani. Se l’uomo non conosce Dio, si costruisce l’idolo. Il XX secolo non è più evoluto, sotto questo aspetto, di quelli passati. Anzi ci sono motivi per credere ad una sua involuzione. Il papa è il nuovo idolo e come tutti gli dèi è un business. Per convincersene, è sufficiente leggere i titoli della stampa: «Il papa “Terzo Grande”, Giovanni Paolo II superstar», «Atteso come un Messia», ecc.... o osservare l’atteggiamento delle masse popolari nei confronti della persona del Sommo Pontefice. In occasione del suo viaggio in Brasile, nel luglio 1980, Giovanni Paolo II poté ascoltare, da milioni di voci in delirio, queste parole: «Re, re, il Papa è nostro re!» Alcuni diranno che faceva parte dell’esuberanza brasiliana, è vero, ma questo esempio non è isolato. In occasione del suo viaggio nelle Filippine nel febbraio 1981, Giovanni Paolo II passò a Legaspi sotto un arco di trionfo dove si potevano leggere queste parole di benvenuto: «Papa Giovanni Paolo II: il dolce Cristo in terra» (Le Pape Jean-Paul II: le doux Christ descendu sur terre!, quotidiano, Berner Oberländer, del 23/2/1981). Wojtyla è uno showman senza: a Caracas, dopo un suo intervento, un giovane gli prende la mano e lo proclama «campeone del mundo»; a Parigi, al Parco dei Principi, è proclamato «atleta di Dio», allo stadio Bernabeu di Madrid uno speaker grida al papa seduto sul suo trono, dopo le ovazioni della folla in delirio: «Inneggiamo alla colossale figura di Giovanni Paolo II». Scrive D. del Rio: «Nell’epoca delle grandi fiere dei mass media, Wojtyla è il papa spettacolo, che fa l’esibizione di sé sulla platea del mondo. Il mondo nord-americano, hollywoodiano, vede un “Wojtyla superstar”, un “Wojtyla superman”. Il mondo sud-americano, esaltato dalla passione calcistica, lo proclama “Goleador de la Iglesia”, “Maradona de la fè”, “Trotamundo de la paz”» (o.c., p. 37). I termini utilizzati per designare il capo della Chiesa cattolica ci devono portare a riflettere, rivelatori di uno stato mentale inquietante. Questo fenomeno di devozione alla persona del Papa prende in ogni caso delle ampiezze e dimensioni allarmanti, facendo di lui un vero idolo delle masse. Per conquistare le folle, sul piano socio-politico-religioso il papato non rifiuta il sostegno di mammona e della politica machiavellica: «Il fine giustifica i mezzi». «L’organizzazione del trionfo papale è fatto dalle grandi società industriali, dalle multinazionali, dalle banche, perfino dalla forze armate. Il mezzo di pressione è la pubblicità. Il papa viene assunto ad altissimo pretesto di pubblicità, cioè di vendita o di propaganda, in un miscuglio di consumismo (da lui stesso condannato in diverse occasioni. n.d.r.) e di esibizione di fede (vedere il suo essere raccolto in atteggiamento di estasi davanti ai cameramen, per essere ripreso alla luce dei riflettori ed avvolto dallo scompiglio di tutti coloro che si muovono e lavorano. n.d.r.). Le fonti del consumo, del profitto, del potere, utilizzano la figura del pontefice a proprio vantaggio. Pagine e pagine intere di pubblicità sui giornali, spot alla televisione vengono pagati da multinazionali, associazioni industriali, ditte di prodotti alimentari, società di assicurazioni... per dare il benvenuto al “Pellegrino della pace e della speranza”, per inneggiare a “Colui che incarna l’amore di Dio”, “Che fa stare più vicino a Cristo”, per incitare tutti ad “Ascoltare e mettere in pratica la Parola di Dio”. È la predica al popolo fatta dalle industrie e dalle banche in nome del papa. “Tu sei Pietro”, dice la PepsiCola a Caracas, mostrando sui giornali e alla televisione una roccia che sorge dal mare. I pennoni ed i camion della Pepsi stanno tutt’intorno. La Pepsi-Cola ha l’esclusiva per dissetare i fedeli. La Coca-Cola, invece, appare sugli schermi televisivi in Bolivia, nel Paese in cui, sui grandi altipiani e nelle foreste, la coltivazione della coca è un rito sacro antico e ora è la 1254
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fortuna dei narcotrafficanti. “Tu sei la luce” propaganda la Compagnia di Elettricità in Venezuela. In Australia si mette sul mercato una nuova birra in occasione della visita papale ad Adelaide. Sulla lattina si riproduce una mitria stilizzata e la scritta “Papal visit 1986”. Il colossale picnic offerto dall’Australian Lager Beer era per centomila persone a base di salsiccia e Pop’s beer. Queste concessioni di pubblicità, birra, Pepsi, Coca e tutto quanto può essere business è utilizzato dalla Chiesa per le spese del viaggio papale. Wojtyla dice: «Penso che non si debba badare a spese quando siamo stati riscattati a così caro prezzo». «La concezione di Wojtyla, infatti, è che tutto debba essere messo a disposizione dei suoi viaggi apostolici» (D. del Rio, o.c., pp. 39-41).
Mai il papato ha goduto del prestigio che ha ora L’ex francescano Domenico del RIO, corrispondente del Vaticano del quotidiano La Repubblica, così scrive nel suo articolo Fedeli spagnoli in trance per un Wojtyla superstar, in occasione della sua visita in Spagna: «Non era in programma che fosse un viaggio umile. E, infatti non lo è stato. Wojtyla ha avuto gli ossequi delle caste del potere: ecclesiastico, politico, militare. Non era mai arrivato in una città senza essere immediatamente circondato da vicino dai rappresentanti ossequiosi delle tre caste. Il trionfo popolare veniva dopo, ma tenuto lontano, separato dai vetri blindati e dai corpi della polizia. Il Vicario di Cristo, in Spagna, è entrato nella casa del re, ha fatto una foto ricordo, felice, con la famiglia reale. Non è entrato in una casa di un povero. I poveri, quando sono alluvionati, si visitano dall’alto di un elicottero, dalla cima di una montagna, come ha fatto ad Alcira. I poveri, quando sono disoccupati, si visitano dall’alto di un palco, come ha fatto in un barrio popolare di Madrid. I poveri non hanno saloni dorati, e forse sparano. A Madrid, allo stadio Bernabeu, gremito di giovani impazziti di entusiasmo per Wojtyla, mai spettacolo è stato così sconsolante. Anche i giovani, oggi, sanno essere desolatamente cortigiani. Dopo le ovazioni, dopo i canti, dopo le danze, che sembravano segni di freschezza giovanile, c’è stato l’omaggio dei doni. A due a due, un ragazzo e una ragazza, salivano le scale del palco, portando fiori, frutti, stoffe, tappeti, una cappa da torero. Lo stadio era piombato in un grande silenzio. Uno speaker inneggiava in un microfono alla “colossale figura di Sua Santità Giovanni Paolo II”. I ragazzi e le ragazze salivano in una lunga fila e si inginocchiavano davanti al pontefice presentando i doni. Come i vinti al vincitore. Wojtyla era lassù, serio, infossato in un trono basso, con le mani che gli penzolavano sui braccioli. Non era un papa, era un satrapo orientale» (Fedeli spagnoli in trance per un Wojtyla superstar, in La Repubblica, cit. da WILLEY David, Il Politico di Dio, Longanesi & C., Milano 1992, pp. 238,239). Scrive Gianni BAGET BOZZO su Repubblica del 27 dicembre 1989, p. 12: «Nessuna figura della storia di tutto il cristianesimo ha assunto la grandezza politica come misura della presenza spirituale quanto il papa di Roma.- Il papato ha in questi ultimi anni espresso una grandezza politica che non era la sua da molti secoli: mai il ruolo politico della Santa Sede è stato così alto in tutto il mondo. Come negare il ruolo della diplomazia vaticana nella conferenza di Helsinki, che ora la nuova leadership sovietica mette al centro del suo programma verso l’Europa e verso gli Stati Uniti? Come non prendere atto che la visita di Gorbaciov a Roma nella ricerca di una legislazione morale verso il mondo occidentale sia un momento unico nella storia del papato, specie nei suoi rapporti con la Russia?... La Chiesa cattolica si trova a suo agio in questa congiuntura perché essa viene così ricondotta al suo antico: alla Chiesa come soggetto politico primario nel mondo mediante il pontificato romano. Quando la profezia diventa storia
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Dall’ultimo secolo del secondo millennio cristiano, Giovanni Paolo II si allaccia al papa che, all’inizio del millennio, diede la forma della Chiesa romana in tutto questo tempo: Gregorio VII. Mai una restaurazione apparve tanto “moderna”, mai una innovazione risultò un tanto grandioso ripristino. - La realtà è sempre ambigua e specie la realtà di un grande soggetto politico e religioso. È certamente un fatto inatteso che la secolarizzazione abbia condotto alla fine della maggiore delle ideologie, il marxismo-leninismo e che parole come “spirito”, in contrapposizione a “materia”, e “non violenza” siano il lessico di riferimento del nuovo corso sovietico. Assumere la Chiesa come il principale soggetto politico nella storia è possibile solo concentrandola nella figura del papa: solo in questa concentrazione di potere sta la possibilità reale di egemonia storica di un corpo sociale che non possiede la forza materiale. Fu questa la grande intuizione di Gregorio VII...».
L’ultimo ricorso Mentre la maggior parte delle sfide che affronta la generazione attuale si colloca su scala planetaria, il bisogno di una autorità soprannaturale si fa sempre più sentire. In effetti, che si tratti di un problema economico e monetario, della corsa agli armamenti, delle questioni del diritto internazionale, come il diritto della madre, del problema ecologico, ecc...., è senza ombra di dubbio che i litigi devono essere regolati in forma amichevole. «Si ha bisogno di una autorità mondiale che possa agire efficacemente sul piano giuridico e politico», ha dichiarato papa Paolo VI e si rende necessaria una autorità capace di dire l’ultima parola, mettendo così a tacere i partiti avversi. Ma, si dirà, non è questa la missione delle organizzazioni internazionali, della Corte Internazionale di giustizia dell’Aia in particolare? Bisogna far notare che se le organizzazioni internazionali hanno giocato un ruolo utile e hanno contribuito a regolare numerose difficoltà internazionali, esse sono purtroppo state incapaci di agire efficacemente quando era più necessario, cioè ogni volta che le grandi potenze erano direttamente implicate in un conflitto. In effetti la pratica del diritto di veto accordato alle grandi potenze paralizza l’ONU. nelle crisi più gravi. In tali casi, quando le sorti di tutta l’umanità sono in gioco, la sopravvivenza di essa sembra dipendere dalla buona volontà dei dirigenti delle forze antagoniste. In queste condizioni sarebbe veramente straordinario che in caso di pericolo grave - il confronto tra grandi potenze per esempio, allorquando tutti i mezzi classici di mediazione e di arbitraggio si siano esauriti - il mondo, sull’orlo dell’abisso, colto da vertigini, si rivolgesse verso il papa, pressandolo di intervenire come mediatore, come arbitro? Disponendo di un capitale di fiducia immensa, non apparirebbe agli occhi degli abitanti della terra come il meglio abilitato nell’adempiere questo compito dell’ultima possibilità? Il papa non apparirebbe in quell’ora cruciale come l’ultima possibilità dell’umanità prima di un suicidio collettivo? Le osservazioni di Michel PONIATOWSKI, uomo politico francese, già ministro degli Interni, vanno in questa direzione: «Il papa è diventato uno degli ultimi punti di incontro di una umanità disorientata» (cit. estratta dalla lettera settimanale dell’Institut de prospective politique di lunedì 12 maggio 1980, Le Monde, 14/5/1980). Affinché un mediatore ed un arbitraggio sia possibile ed efficace, bisogna evidentemente che le parti in conflitto riconoscano tutte e due la stessa autorità, e che esse siano disposte a inchinarsi davanti al verdetto emesso. È per conseguenza indispensabile che il mediatore o l’arbitro disponga di un credito sufficiente presso gli avversari. Da questo punto di vista il papato, abbiamo detto, possiede delle carte non indifferenti; inoltre è pronto a servirsene. 1256
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Per convincercene non è inutile ricordare che, nel 1978, il Cile e l’Argentina erano sul piede di guerra, pronte a gettarsi l’uno contro l’altra armata. Giovanni Paolo II offerse la sua mediazione per evitare il conflitto per delle isole nel canale di Beagle. L’offerta venne accettata e fu firmata l’8 gennaio 1979 a Montevideo. Il 14 dicembre 1980, Giovanni Paolo II espresse le sue proposte per il superamento del conflitto territoriale permettendo di raggiungere una soluzione rapida e duratura. Aggiunse che pregava perché «mediante il loro gesto di pace, i due paesi fornissero un esempio di comprensione e di concordia di cui altri popoli si felicitassero». Se la mediazione del papa sfociò in un regolamento pacifico durevole ed evitò il conflitto, ci si può domandare se questo non potrebbe servire in avvenire del modello di regolamento, aprendo così la via ad altre mediazioni della Santa Sede. Alla luce della dichiarazione del 14 dicembre 1980, non è proibito pensarlo... In ogni caso il papa ha mostrato che era pronto a pagare di persona, impegnandosi per la causa della pace come mai un papa l’aveva fatto nell’epoca contemporanea. Ciò fa pensare al tempo in cui il papato divideva i litiganti con autorità. Così il papa Alessandro VI che, sollecitato ad arbitrare la divisione delle terre scoperte al di là dell’oceano tra il Portogallo e la Spagna, promulgò il 4 maggio 1493 la sua famosa “bolla di demarcazione” che divideva le terre in litigio, nel mondo intero, tra le due nazioni iberiche. All’esempio di Cile-Argentina si può aggiungere il ruolo della Chiesa cattolica nelle Filippine, dopo Marcos, per dare al paese un governo democratico; l’opera della Chiesa nei paesi in guerra dell’America centrale; la sua azione in Palestina e la volontà del papa di operare nel tormentato Libano. La forza della Chiesa si è dimostrata in Polonia ed in altri paesi dell’Est. «Portato in alto da una formidabile ondata di angoscia, il papa è come issato e spinto davanti alla scena internazionale. Di volta in volta affettuoso o severo, prodigo in incoraggiamenti, suscitando la speranza, occupa il posto di «padre per i tempi di incertezza» (Antoine MAURICE, Des lieux communs pour la planète, in Journal de Genève del 3/6/1980). In occasione della visita di Giovanni Paolo II negli Stati Uniti nell’ ottobre 1979, il noto editorialista americano James RESTON scriveva: «Non abbiamo avuto un altro visitatore come lui dalla fondazione della Repubblica. Ci ha fatto riflette ed anche sperare» (cit. Louis WIZNITZER, Jean-Paul II a été reçu par le président Carter, in Journal de Genève dell’8/10/1979). Gli sguardi per l’avvenire che incute paura si volgeranno con maggiore intensità verso la più venerabile delle istituzioni; essa, che ha già attraversato tante vicissitudini, non aiuterà l’umanità ad attraversare ciò che appare a molti come un pericoloso scoglio? Come lo sforzo comune intrapreso dagli uomini dell’antica Babele, che volevano evitare la dispersione e assicurare il loro avvenire, l’ascesa del papato all’orizzonte di questo mondo è un sintomo dell’angoscia, un segno di profonda disperazione dell’umanità contemporanea. Promosso “padre per i tempi di incertezza”, il papa suscita delle speranze immense. Mentre il cargo “Umanità” imbarca acqua, sempre più numerosi sono coloro che fissano i loro sguardi su questo uomo-potere straordinario, la cui parola ridà speranza e coraggio; sempre più numerosi sono coloro che concentrano le loro speranze su colui che, mediante il suo carisma, sembra essere capace di riunire attorno alla sua persona gli uomini e i popoli di qualunque religione, ideologia o sistema sociale appartengano. Ma queste attese sono ragionevoli? In altri termini, il papato può realizzare le aspettative di tutti coloro che contano su di lui? Si può legittimamente dubitare. Nei Paesi che visita, Wojtyla «diventa maestro universale: disserta di economia, di politica, di buon governo, di rapporti internazionali. Fa rimproveri, denuncia ingiustizie, Quando la profezia diventa storia
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chiede libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani. I capi di Stato, i capi di governo, i dittatori sono ossequiosi, fanno finta di niente, circondano il papa di premurose misure di sicurezza. Ma, intanto, questi governanti, questi dittatori, si trovano in casa un personaggio, Giovanni Paolo II, pontefice di Roma, venuto lì a giudicarli. Il papa che rivendica i diritti dei poveri, degli oppressi, che presta la sua voce potente, il suo grido, a chi voce non può avere; il papa che alimenta coscienza di democrazia e aneliti di libertà. Quale uomo, quale leader oggi, o mai nella storia, può andare in un Paese ad elencare e a denunciare ingiustizie perpetrate in una nazione di cui è ospite invitato, acclamato, riverito? Questo accade per una potenza personale del personaggio, ma anche per il fatto che egli, dovunque vada, trova un popolo di cattolici che è suo, organizzato dalla chiesa del luogo, di cui egli è il capo, cui può parlare con autorità, accolto con entusiasmo e commozione» (D. del Rio, o.c., pp. 45,46). «Lo acclamano i polacchi di Solidarnosc e i loro sostenitori democratici di tutto il mondo, ma lo vedono come un interlocutore possibile le gerarchie del socialismo realizzato, individuando nel cristianesimo uno strumento di unificazione delle nazionalità orientali che scappano da tutte le parti. Lo rimpiangono gli ebrei memori della visita dell’aprile 1986 alla Sinagoga di Roma, che lo hanno considerato come il primo papa che abbia fatto concrete mosse per superare l’antisemitismo millenario della Chiesa, ma nello stesso tempo lo applaudono gli antisemiti cattolici della Polonia, lieti che il cardinale Glemp si sia posto a baluardo del convento delle carmelitane ad Auschwitz» (F. Nirenstein, o.c., p. 32). Ora queste suore non ci sono più. Applaudito all’Est come all’Ovest, al Sud come al Nord, il papa può veramente accontentare tutto il mondo? Il successo del papa è ambiguo: le sue dichiarazioni sono interpretate in modi diverso, ogni gruppo si sforza di trarne il meglio possibile nel suo confronto con gli altri. A leggere i commentatori della stampa che prendono in considerazione i discorsi del Sommo Pontefice, è chiaro che, a parte le differenti posizioni personali o ideologiche, quasi tutti si sentono confrontati con le sue dichiarazioni, nella misura in cui evita di prendere posizione su dei problemi concreti, precisi, accontentandosi di ricordare dei principi. Evitando di prendere partito, il papa agisce certamente con saggezza. Ma lo potrà sempre fare? D’altra parte, se si impegna di più, riferendosi a dei problemi concreti, come sembra voler fare Giovanni Paolo II, questa posizione non diventerebbe sempre meno comoda? Non sarebbe più al riparo di critiche, ma vi si esporrebbe. In queste condizioni, il papato rischia una caduta brutale e molto più rapida di quanto sia stata l’ascesa. Se l’ascesa del papato non è senza pericolo per lui, essa non è senza pericolo per il mondo, sia sul piano politico sia sul piano spirituale. Supponiamo, ad esempio, che la comunità internazionale gli accordi, in caso di estrema urgenza, i poteri straordinari che sarebbe in diritto di esigere per esercitare efficacemente un arbitraggio. In questo caso che garanzia il mondo avrebbe che il suo potere sarebbe giudiziosamente utilizzato e che le libertà fondamentali saranno rispettate? Se nessun organo di controllo esiste, come potrà essere assicurato che il papato non ne tirerà vantaggi, come avvenne nel Medio Evo? Ad ogni modo, che sia complice o meno, attirando su di sé gli sguardi dell’umanità alla ricerca di un punto di ancoraggio, di un punto d’appoggio sicuro e solido, il papato li allontana dall’Eterno che il Cristo è venuto a rivelare e da Colui che solo può soccorrerla, facendo dimenticare il ritorno di Cristo Gesù e la realizzazione del Regno di Dio. Possiamo chiederci se i tentativi del papato di riunire attorno a sé gli individui e le nazioni della terra, non sarebbero una parodia della realizzazione del Regno dei cieli, promesso dal Cristo ai suoi discepoli, del quale, lui, il suo Vicario possa dire: «Io seggo regina e non sono vedova, e non vedrò mai dolore» (Apocalisse 18:7). 1258
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Supponendo che il papato riesca a imporre una tregua universale, potrebbe questa essere per molto tempo prolungata, in un mondo dilaniato dagli antagonismi e dalle rivalità? Non sarebbe altro che un breve rinvio accordato all’umanità fuori strada, in preda alla confusione. Allora questa tregua potrebbe ben essere la calma che precede la tempesta, ultimo episodio della storia dell’umanità, ultima peripezia di una lunga tragedia di cui l’avvenimento glorioso del Cristo sarà, secondo la Rivelazione, il punto finale. Così si compirebbe la profezia dell’apostolo Paolo concernente il “tempo della fine”: «Il giorno del Signore verrà come un ladro nella notte. Quando gli uomini diranno: Pace e sicurezza! allora una rovina improvvisa li sorprenderà, come i dolori delle doglie sorprendono la donna incinta, e non sfuggiranno affatto» (1 Tessalonicesi 5:2,3). Questo orientamento della storia è stato previsto dall’Eterno e annunciato nella sua Parola. Prima di concludere vogliamo riportare alcuni passaggi dell’intervista che Alceste SANTINI ha fatto a Joaquìm Navarro VALLS, portavoce della Santa Sede e riportata ne l’Unità, di lunedì 23 dicembre 1996. «Non c’è dubbio che ogni messaggio, ogni gesto, ogni atto del papa, come quello di chiedere, per esempio, la grazia per Joseph O’Dell, è stato portato ai più lontani confini della Terra dai mass media influenzando l’opinione pubblica fino al punto di condizionare anche i Governi». Parlando della funzione della televisione ricorda: «Eravamo giunti all’aeroporto di Bogotà, in Columbia, quando un bambino di circa dieci anni, dopo la cerimonia ufficiale dell’arrivo, si avvicinò al Papa per salutarlo e gli chiese: “Ma tu sei proprio quella della TV?”». Ciò vuol dire «che il Papa reale deve confermare il Papa virtuale della tv e non il contrario. È lo stesso fenomeno che si verifica quando il Papa incontra per il mondo grandi masse umane che lo hanno già visto attraverso i mass media. In sostanza, il Papa è arrivato fuori della geografia cattolica non dal pulpito o dall’altare delle chiese ma attraverso i mass media. È un fatto che una rivista come Time, che ha le sue diverse edizioni fra cui quella europea ed asiatica, abbia dichiarato due anni fa il Papa “uomo dell’anno” e che quest’anno un’altra autorevole rivista, Neeswek, lo abbia definito “figura indiscutibile”. Le encicliche, e i suoi interventi, anche recentissimi, a favore della nuova politica di solidarietà sociale, rispetto a chi vorrebbe risolvere tutto con il solo profitto ed il solo mercato, hanno lasciato un segno e riempito anche un vuoto, dopo la caduta dei muri e delle ideologie nel 1989. Ciò che più ha colpito intervenendo in questi temi, è che il papa ha parlato secondo una visione antropologica e filosofica da essere accettata anche da noi cattolici. Così, negli ultimi cinque anni, hanno suscitato vasta risonanza i suoi interventi sui problemi nuovi e delicati della bioetica. Questo fenomeno si spiega anche con il fatto che le legislazioni sono carenti in questo campo e molti Stati, per regolarsi, tengono conto di quanto affermato dalla S. Sede». La riprova di questa influenza è riportata su La Repubblica del 21 gennaio 1997: «In Corea il cardinale Stephen Kim sta mediando tra il governo di Seul e i leader sindacali in rivolta... Dall’America latina alla Polonia, alle Filippine la gerarchia ecclesiastica cattolica ha esercitato spesso negli ultimi decenni il ruolo di prudente avvocato della protesta sociale. Per evitare violenze e favorire riforme sociali e qualche volta anche politiche. L’aspetto singolare è che nella Corea del Sud il cattolicesimo non è la religione della maggioranza e nemmeno di una forte minoranza della popolazione. I fedeli sudcoreani si attestano sul 7 per cento... È decisivo il corso che Giovanni Paolo II ha impresso alle comunità cattoliche a livello internazionale. ... Papa Wojtyla è riuscito durante il suo pontificato a legare in modo forte il tema della fede cristiana alla questione della dignità umana e della giustizia sociale. Anno dopo anno, decennio dopo decennio, Giovanni Paolo II ha battuto su questo tasto. Si trattasse di appoggiare i metalmeccanici di San Paolo in Brasile, ... o Solidarnosc in Polonia o la causa dei diseredati nelle terre dell’ex Unione Sovietica. Alla globalizzazione dell’economia il pontefice romano risponde con una globalizzazione di un messaggio di dignità, di libertà e di Quando la profezia diventa storia
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riconoscimento del ruolo del lavoratore. Un messaggio che è laico e religioso al tempo stesso. Religioso, perché nel pensiero di Karol Wojtyla trae origine dall’annuncio di salvezza del Cristo. Laico, perché non impone nessuna etichetta confessionale a valori di solidarietà e di giustizia, che sono universalmente condivisibili e rintracciabili in molte fedi e in molte espressioni del pensiero umanitaristico. Nel proclamare questi valori come leader internazionale Giovanni Paolo II è pressoché solo sulla scena.... L’eco del suo pensiero e della sua azione arriva fino alle sponde asiatiche del Pacifico. E allora si può cominciare a capire meglio come la ripetitività di tanti suoi discorsi nei suoi innumerevoli viaggi intorno al mondo non risulti sprecata. In tempi brevi appare come il replay di una canzone già sentita, in tempi lunghi è la ripetitività del contadino che va su e giù per il campo, arandolo... Nella storia niente avviene per caso. Negli Stati Uniti e nel mondo è da diciotto anni che papa Wojtyla ribadisce questi concetti ... (il) valore base della società deve essere la solidarietà e non l’“ideologia capitalistica radicale”. Wojtyla profeta nel deserto? Il deserto è quello che rischia di crearsi ovunque, se unica stella polare resta nel mondo la tabella dei costi e delle spese». POLITI Marco, La giustizia sociale secondo Woityla, in La Repubblica, 21.1.97, p. 11. Si è tentato di applaudire e ringraziare per i risultati conseguiti e che conseguirà, ma è la conoscenza della profezia biblica che ci permette di esprimere una valutazione sulla natura di questo potere.
La storia non insegna nulla, non è maestra di vita Gli uomini dalla storia, contrariamente a quanto si dice e si afferma: “la storia è maestra di vita”, hanno tratto poche lezioni, a causa della loro memoria corta e per un rifiuto della visione profetica della storia stessa che il messaggio biblico propone. Le guide che facevano visitare il Palazzo dei Dogi di Venezia all’imperatore Giuseppe (1765-1790), nel tentativo di non fargli vedere il quadro che raffigurava il Barbarossa inginocchiato davanti ad Alessandro III, per non provocare la sua suscettibilità, cercarono di distrarlo. L’imperatore se ne accorse e chiese la spiegazione del quadro che gli fu data con molta circospezione. Rispondendo, con un sorriso disse: «Tempi passati». Il presidente laico Sandro PERTINI si compiaceva nel poter dire: «Il mio amico il papa». L’ex cancelliere protestante H. SCHMIDT sarebbe stato pronto a confessarsi presso Giovanni Paolo II. Naturalmente la lista potrebbe essere allungata con nomi più recenti. In tutti i secoli, insegnava e scriveva Louis GAUSSEN nella metà del secolo scorso, i re delle terra hanno giocato a farsi prendere in giro dal papato. Come i bambini si divertono ad andare dai vecchi e farsi da loro aggirare, così i principi, di secolo in secolo, sono andati verso Roma per lasciarsi da lei giocare.
Conclusione Vogliamo terminare questa appendice con le parole emblematiche con le quali David Villey conclude il suo libro, che dovrebbero essere per noi motivo di riflessione: «Il lascito più positivo e duraturo di Giovanni Paolo II sarà il nuovo ruolo politico internazionale del Vaticano e la sua rivendicazione della leadership etica in una società mondiale sempre più secolarizzata. Via via che i cattolici si presentano sempre meno come un gregge obbediente, 1260
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anche il ruolo di guida infallibile del Vaticano, e interprete della dottrina religiosa cattolica, è destinato a essere preso meno sul serio. Ciononostante i Ministeri degli Esteri del Nuovo e del Vecchio Mondo attribuirono la massima importanza alle parole del papa quando, parlando a Fatima nel maggio 1991 nel decimo anniversario dell’attentato di piazza San Pietro, definì precaria e instabile la situazione politica nell’Est europeo. Tra i vip che ascoltavano il messaggio del pontefice c’era un ospite insolito: Gennady Gerasimov, ex portavoce del Cremlino e oggi ambasciatore sovietico in Portogallo. Era la prima volta che Mosca si faceva rappresentare ufficialmente a una cerimonia religiosa della Chiesa cattolica romana. Alla richiesta di commentare la sua presenza in un santuario dedicato alla riconversione cristiana dell’Unione Sovietica, Gerasimov semplicemente rispose: “L’Unione Sovietica è tornata nel mondo”. Alla fine dell’anno l’Unione Sovietica non esisteva più» (D. Willey, o.c., p. 286).
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FONTI
E
BIBLIOGRAFIA
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1
Il numero delle pagine si riferiscono allo scritto di Daniele
FONTI E BIBLIOGRAFIA Teodozione
BERNINI Giuseppe - cattol. - Daniele, ed. Paoline, Roma 1976, pp. 66-67; BLUDAU August (1862-1930) - teol.catt.ted. - Die Apokalypse und Theodotion Daniel-übersetzung, in Tübingue Theologisque Quarterly, n. 79, 1897, pp. 1-26; KOCH Klaus (1926) - Die Herkunft der Proto-Theodotion-Uebersetzung der Danielbuch, in Vetus Testament, 23, 3, 1973, pp. 352-365; SCHMITT Armin, Stammt den sogennante 66, Text bis Daniel wirklicht von Theodotion, Göttingen 1966; STEINER Benjamin Ernest (1936) - past.avv.amer. - A linguistic analysis of Daniel 2 and 7 in the Septuagint and Theodotionis Versiones, Berren Spring 1962; WIEGREN Allen Paul (1906) - A Comparative Study of the Theodotionis and Septuagint translation of Daniel, tesi Università di Chicago 1932, 26 pp; Iemenita MORAG S., The Book of Daniel: A Babylonian-Yemenite Manuscript, Jerusalem 1973; Latina HETZENAUER Michael (1860-1928) - ministro.ted. - Biblia Sacra Vulgatam editions, Ratisbona 1906; 2a ed., 1914; 3a ed., 1929, su Daniele pp. 835-853; MUENTER Friedrich Christian Karl Heinrich (1761-11850) - vesc.luter.di Zeeland - Fragmenta versions antiques latinae antehieronymianae prophetarum Jeremia, Ezechiel, Daniel et Hoseae e cod. reser., Marceburg, Hafn. 1819, 44 pp.; Pescitta KALLARAKAL Abraham George (1934and Theodotion, Hamburg 1973;
) - The Peshitto Version of Daniel. A comparison with the Masoretic text, the Septuaginta
Saidica e Boarica GEHMAN Henry Snyder (1888) - The Sahidic and the Bohairic Versions of the Book of Daniel. A Dissertation, in Journal of the Bible Literature, vol. XLVI, parte III-IV, Leipzig 1927, pp. 279-342; Siriaca KALLARAKAL Abraham George, The Peshitto version of Daniel, Hamburg 1973, pp. 5-273; WYNGAARTEN Martin Jacob, The Syriac Version of the Book of Daniel, Leipzig 1923, 40 pp.;
Versioni in lingue moderne italiana La Sacra Bibbia - Diodati, varie edizioni della Società Biblica Britannica & Forestiera; La Sacra Bibbia - nuova Diodati, Brindisi 1991; La Sacra Bibbia - Luzzi, varie edizioni della Società Biblica Britannica & Forestiera; La Sacra Bibbia - nuova Luzzi, Società Biblica Britannica & Forestiera, Roma 1994: La Sacra Bibbia - nuova ed., Martini A. - arciv. di Milano - Milano 1877, La Sacra Bibbia - Monsignor Ferraria, Firenze 1929; La Sacra Bibbia - ed. Salani, Firenze 1958; La Sacra Bibbia - edizione Paoline, Roma, 1964; diverse ediazioni; La Bibbia - ed. Marietti, Torino 1964; La Sacra Bibbia di Gerusalemme - ed. Dehoniane, Bologna 1990, testo del 1971; La Sacra Bibbia - ed. nuovissima edizione Paoline, Roma 1986; La Sacra Bibbia - ed. C.E.I. con note della TOB, ed. integrale, EllediCi, Leuman (TO) 1992; La Sacra Bibbia - Monsignor Garofalo La Sacra Bibbia - Tintori; La Sacra Bibbia ebraica - Gli Agiografi, ed. 1967; La Sacra Bibbia - Concordata, ed. A. Mondadori 1968; La Bibbia - La Parola del Signore - interconfesionale TILC - ed. LDC-ABU, diverse edizioni; La Buona Notizia - Il Nuovo Testamento, ed. Lanterna, Genova 1972; francese SEGOND Jacques Jean Louis (1810-1885) - past.evang.ginevr. - trad. La Sainte Bible, ed. rivista, Paris, Bruxelles, diverse edizioni; La Bible de Jerusalem, ed. fascicoli; La Bible du Peuple de Dieu, ed. Episcopal française, vol. III, Paris 1972; La Sainte Bible - TOB; La Bible, Ecrits intertestamentaires, Biblioteque de la Pléiade, A. Dupont-Sommer et M. Philonenko, Paris 1987; Vedere AA.VV. inglese The Holy Bible, in the King James Version, diverse edizioni; The Bible; The Berkeley versioni in lingua inglese moderno, Grand Rapids, 1959; New Scofield Reference Bible, Oxford - New York 1967 New English Bible, Oxford 1970 Good News Bible, Today’s English Version, The Bible Societies, Collins, 1976;
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Quando la profezia diventa storia
FONTI E BIBLIOGRAFIA Vedere AA.VV.
Opere dell’antichità: ebraica, caldeo-egiziana, greca-latina, Padri della Chiesa: Ebraica Adamo e Eva Abravanel, Rosch amamah cap. I, fol. 5,2 Apocalisse di Abrahamo Apocalisse di Elia Apocalisse siriaca di Baruch, 7:7 Ascensione di Isaia - I sec. Assunzione di Mosè - I sec. Baba batra, 75b Baruch, pseudoepigrafe (verso 50-70) secondo CHARLES, 2o libro, XXXVI-XL Berechit Rabbati de Moche Hadarshan, Genesi 24: 67 Bereshit Rabbati, Genesi 14:18 Bereshit Rabbati, Genesi 24:67 Bereshit Rabbati, Genesi 37:22 Efraim, Ir Gibborin, fol 3, cap. I n. 54 Eikah Rab., Pisqa 1 Enoc (libro) Esdra, 4e Livre, v.90, X-60-XII-35 Giubilei (libro dei) o Apocalisse di Mosè - II sec. A.C. Kidd, 72a Ir Gibborin, fol 3, cap. I n. 54; Nizzachon, n. 334; Hal. Melach. ch. XII, 5 Lamentazioni 1:16 Leviti (libro dei) Midrasch Mishkei Pq 19 Rabbah, traduzione inglese di H. FREEDMAN, vol. I, London 1939; Rabbah, Paar 2, Genesi 1:2; IV,10; Rabbah Eikah, 34 Miqraoth, Gdoloth, Genesi 3:15 Mishnah (II-III secolo) Yoma, 6, 5 Yoma 8, 8 Yoma, 39b Yoma, 54a Yoma, 77a. Pesiqta de rab Kahana, Pisqa 28 Pesiqta Rabbati, Pisqa 37 Pentateuco Samaritano, Apocalisse Siriaca di Baruch Provvidenza 19-21 Salmi di Salomone - I sec. a.C. Soukhat, 52a T.T. Ber, 5a Taan 5a, Tanh. Peq 1; Talmud di Babilonia, Gemare, Tr. Sanhédr. fol. 97a, 97b, 98b Talmud de Jérusalem (traité Rosch-Ha-Schana), trad. M. Schwab, Vl Tanhuma Midrash 140b Targum, Cantico 4:5, e 3 Genesi 23:5,6 Isaia 9:5 Geremia 23:5,6 Tehillim Rabbati (rabbi Mosheh Hadarshan), Salmo 85:12 Testamento (il) dei 12 Patriarchi II-I sec. a.C. Testamento di Abrahamo Thora commentée, BREUER Marc Demetrio di Falero (II sec. A.C.) - Storia dei re di Giuda, circa 170 a.C. Giuseppe Flavio (Giuseppe ben Matatyahu) (37-100) - storico giudeo - Guerre Giudaiche, (tra 75-79); - Antichità Giudaiche, (tra 93-94), 1,6,I, X,XI; - Contro Appione, (dopo 95) I,19,20, II, XVI; - Œuvres Completes, II, 1926, pp. 352,353; Jochanan ben Zacchai (I secolo) - mist.palest. - citato da BARTOLUCCI, 1683; Jonathan ben Uzziel (I secolo a.C.) - eseg.isr.palest. - Targum sui profeti - parafrasi di Daniele, cit. da J. FABRE d’ENVIEU; Quando la profezia diventa storia
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FONTI E BIBLIOGRAFIA Yose Ben Hanafe (Halafta) ( -v.160) - israel.palest. - Seder Olam, Mantova 1514; JASTROW M., Dictionary of the Targumin, the Talmud Babli and Yerushalmi, and the Midrashic Literature, New York 1950;
Caldeo-Egiziana Beroso (IIIo secolo a.C.) - sacerdote caldeo - Storia della Caldea, cit. da Giuseppe Flavio Tolomeo (IIo secolo) - astron.egiz. - Hemathematike Syntaxis; - L’almageste;
Greca-Latina Ammiano Marcellino (330-400) - storico latino nato in Siria - Storia degli imperatori romani, in 31 libri di cui solamente 18 ci sono pervenuti. Libro XVI, 10; cit. L. GAUSSEN, t. III, p. 253; Aristotele (384-322 a.C.) - filosofo greco - Politica, libro Vll,16; Cicerone Marco Tullio (106-43a.C) - De Natura Deorum, libro III, cap. 16, vol. II, Diodoro Siculo (verso 90-20 a.C.) - Biblioteca storica, I, XI, cap. 69. Dione Cassio Cocceiano (155-235) - storico greco - Storia romana LXIX, 13,14. Dionigi d’Alicarnasso (60 a.C.-7 d.C.) - rettore e storico greco - Antichità Romane 4, 6 Erodoto (v. 484-425 a.C.) - stor.greco - Storia, I, 152,154; III, 89-95; testo greco tradotto in franc. P.E. LEGENDRE; tradotto in inglese Alfred Denis GODLEY, London 1960; - The History, tradotta da George RAWLINSON, New York 1928; trad. da Henry CARY, New York 1901; Eschio (405-487) - filis.grec.e vescovo di Salone Dalmazia - cit. da J. FABRE d’ENVIEU e da GEHMAN; Esiodo (VII secolo a.C.) - poeta greco - Le Opere e i Giorni, verso 109-201; Lucrezio Caro Tito (v.98-v.54 a.C.) - poeta latino - Dalla Natura, vol. V, 1287-1293, traduzione di E. CETRANGOLO, Milano 1978; Omero (VIII-VII sec.a.C.) - poeta epico greco - Iliade XVI,123; confr. I,599; XII, 69; Orazio Flacco Quinto (65-8 a.C.) - poeta latino - Carmi, ovvero Odi, IV, strofe 14a e 15a, traduzione di CETRANGOLO Enzio in Tutte le Opere, ed. Sansoni, Firenze 1968; Ovidio Nasone Publio (43 a.C.-v.18 d.C.) - poeta latino - Metafore; trad. franc. GROS, Les Métamorphoses, I, II, Paris 1923; Platone (429-34 a.C.) - filos.greco - Convito, 203; - Repubblica, 7,514a-517a; 10; 596; - Timeo, 46c., 71; Plutarco (45-v.125) - scritt.greco - Vita Pompei, cap. 24; - Discours contre les Chrétiens, Fragments, Agathangelo GEORGIADES, Leipzig 1891; Polybe (Polybius) (v.200-118 a.C.) - stor.greco - The History of the chronographer Polybius, London 1568; Porfirio (Porphyre) (223,233/234-304/305) - filos.neopl.greco - Daniel, MIGNE, P.L., XXV, 1865, col. 530,531,536,537. Ha scritto 12 libro dei suoi Discorsi contro i Cristiani che è andato interamente perduto; - BIDEZ Joseph (1867-1945) - Vie de Porphyre, Gand 1913; Senofonte (426-355) - scritt.greco - Memorabili, I; - Ciropedie, libro VIII, cap. 6; - Anabasis, I,3,2,5,8; II,4,6; Strabone (v.63 a.C.-25 d.C.) - geogr.greco - sulla città di Babilonia; Svetonio Gaio Tranquillo (v. 69-122) - stor.romano - Vita dei dodici Cesari - Vespasiano, cap. IV. - Tiberio cap. XII; Tacito Cornelio (v.56-v.120) - funzion.romano - Annali, I:3; Opere: Storie, libro V, 13, vol. IV; Valerio Flacco Gaio ( -90 d.C.) - poeta latino - libro 11,121; Varrone Aulo Gellio, Noct. Atticoe, III,10.
Padri della Chiesa Africanus Giulio, vedere Giulio Africano Agostino Aurelio (354-430) - vesc.di Ippona dal 395 - De Civitate Dei - Città di Dio, VIII, 8; IX; XX; XIX; XVIII,34; - Œuvre completée, ed. Raulz, vol. VIII; MIGNE, P.L., vol. 32-47; - MIGNE, P.L., t. XXXII, 2, col. 402; MIGNE, P.L., t. XXXV, col. 1465; MIGNE, P.L., XXXVI, col. 74, vedere XXXIII, 2, col. 402; Albertus Magnus, In Apocalypsim B. Joannis Apostoli, in Opera Omnia, ed. August Borgnet, vol. XXXVIII, pp. 465-826 Ambroise vedere Ambrogio, Ambrogio (v.340-397) - Opera Omnia, MIGNE, P.L., vol. 14-17; - Some of the Principal Works of St. Ambrose, tradotto da H. de Romestin, in NPNF, 2ª serie, vol. 10; Biblioteca Maxima Veterum Patrum, vol. XIII, Paris 1677, p. 526; Ambrosiaste, Commentario alla 2 Tessalonicesi, MIGNE, P.L., 17, col. 567; Andrea di Cappadocia (IV secolo) - L’Apocalisse; Andrea (Andreas) di Cesarea (VI secolo) - In… Apocalypsin Commantarius, MIGNE, P.L., vol. CLXXXVIII; P.G., vol. CVI; Anonimi: - L’Apocalisse di Pietro - L’Apocalisse di Paolo - L’Apocalisse di Tommaso
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Quando la profezia diventa storia
FONTI E BIBLIOGRAFIA Apollinare il giovane (v.310-390) - vesc.di Laodicea dal 362 - in Angelo MAI, Scriptores veterum nova collection, I,2, Roma 1825, pp. 161-221; Comm. variorum, G.C.A. HARLESS, in Biblith. Graeca (FABRICIUS), vol. VIII, Hamburg, pp. 581-594; in J. DRAESEKE, Apollinairios von Laodicea, sein Leben, und seine Schriften, Leipzig 1892; Aponius de Siria - In Canticum Canticorum explanatio (v. 405-415) - MIGNE, P.L., Supplement, vol. I, Paris 1958 col. 799-1031; - Comm. in Cant. Cantic. Salom, VII, Freiburg 1538, f.23b,31b46b,49,83; Areta di Caesarea (850-v.932) - teol.erud. bizant. - In… Apocalypsin, MIGNE, P.G., vol. 106, col. 499 e seg.; Atanasio (Athanasius) il Grande (verso 298-333) - patriarca di Alessandria - Storia degli Ariani dedicata ai monaci, scritta nel 358, cap. 67,74-76,79, 80, MIGNE, P.G., XXV, 1857, col. 773,774,781-786, 789-792; - Traité de l’Incarnation du Verbe, cap. 8, trad. 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Cyrill, tradotto da Edwin Hamilton Gifford, in NPNF, 2ª serie, vol. 7; - Adversus Nestorium, I, 9-10, MIGNE, P.G., col. 56-57 - Giovanni 3:5, MIGNE, P.G., 73, 1864, libro II, col. 245,246; - MIGNE, P.G., LXXlV, col. 980 - Stromates 7,12, - Staehlin 3,52,26 Clemente di Alessandria (150-215) - sacerdote egiz. - Opere, tradotta in inglese da William WILSON, in ANF, vol. 2, pp. 163-605; - Omelia, 2,35,3; Works, tradotta da William Wilson, in ANF, vol. 2, pp. 163-605; - Pread., B. II. - Stromates, 7,12; - Stachlin, 3,52,26; Crisostomo Giovanni (347-407) - Padre e dott.Chiesa Orientale, patriarca di Costantinopoli dal 398 - MIGNE P.G., LVI, col. 191246; Œeuvres complètes, trad. da BAREILLE Jean François (1813-1895) - sacer.franc. - Paris 1867; trad. JOLY Charles Eugène - sacer.franc. - Arras 1867; Ed. Montfaucon, VI, 1724; - Interpretatio in Danielem Prophetam, t. VI, MIGNE, P.G., vol. 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FERRAR, Society for Promoting Christian Knowledge, London 1920; ha refutato Porfirio, Fragmenta in Danielem, MIGNE, P.G., XXIV, 1857, col. 525-528; Filastrius, Haereses, 36; Filippo il Solitario - Philippe le Solitaire, Dioptra III,10,11; MIGNE, P.G., 127, col. 815-820; Firmicus Maternus Julius (IV secolo) - scritt.crist.rom. - De errore profanorum religionum XXIV, 6, trad. GILBERT HEUTEN, Bruxelles 1936, pp. 104,105; Gaudenzio di Brescia, Sermone 1 sull’Esodo, MIGNE, P.L.; Gensorius, De die natali, cap. XVI Gerolamo (340-420) - padre della chiesa latina origine dalmata - Daniele, I, 3; IX; MIGNE, P.L., XXV, col. 530,531,1101; - Adversus Iovin, III; - Dialogo contro i Luciferiani, 8; MIGNE, P.L., 23, col. 172; - Opera Omnia, Cologne 1616; MIGNE, P.L., 22-30; Œuvres, V, 1516, ed. 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Jean, Lyon 1867; - Works, tradotta da William Fletcher, in ANF, vol. VII, pp. 1-322; Leone I (fine IV secolo-461) - papa da 440, santo - Sermoni, LXXXII, 2; Marcione (85-160) - eretico; Martin de Tours ( † 397) - in Sulpice Severe, Dialogo, II, 14; MIGNE, P.L., 20, col. 211,212; Melitone - vescovo di Sardi - Sul Diavolo e sull’Apocalisse di Giovanni, verso il 180; cit. da Eusebio, Storia Ecclesiastica, IV,26; Metodio d’Olimpia ( -v.311) - ha scritto nel 270 e ha refutato Porfirio; Methodius, Works, tradotto da William R. CLARK in, ANF, vol. 6; Œcumenius, MIGNE, P.G., 119, col. 119,120; - Comment in Apocal., in Appendice alla Catena græca in Epistoles Catholiques, ed. Cramer, Oxford 1840; Origene Adamantios (v.185-251/3) - sacerd.e teol.egiziano - Exaplorum quae supersunt, MIGNE, P.G., XVI, 3, col. 2813,2814; - Contro Celso, I,57, VI 43; - Le principiss, 4,3,2; - Opera Omnia, MIGNE, P.G., vol. 11-17; - VII Omelia su Levitico; - LXI Omelie sul Pentateuco, MIGNE, P.L., LVII, 1847, col. 371; - Les principiis, 4,3,2; FAYE Eugène de, Origène, sa vie, son œuvre, sa doctrine, vol. III, Paris 1928; Papia (65-130) - vescovo di Gerapoli - Patrologia Orientalis, 26 volumi, edito da B. Graffin, F. Nau e altri, Firmin-Didot et Cie, Paris 1903-48; Padri (I) Apostolici - Les Péres Apostoliques, I, La dottrina degli Apostoli, ed. Hippolyte Hemmer, G. Ogier et A. Laurent, Paris 1907; Policarpo (Polycarpe), Epistle to Victor and the Roman Church Concerning the Day of Keeping the Passover, in ANF, vol. 8, p. 773; Polychronius (370-434) - vesc.d’Apame in Siria tra il 408-431 - Ex Polychronii… in Danielem Commentariis, in Angelo MAI, Scriptorum Veterum Nova Collectio, vol. 1, In Collegio Urbano apud Burliaeum, Romae 1825; Primasio ( VI secolo) - Biblioteca Maxima Veterum Patrum, XIII, Paris 1677, p. 526; - (Apocalisse) Commentariorum libri quinque, MIGNE, P.L., vol. 68, col. 793 e seg.;; Prospero di Aquitania (prima metà del V secolo) - De Promissionibus et praedictionibus Dei, 4a parte, capitolo 16, MIGNE, P.L., LI, col. 849, opera di autenticità dubbia secondo Pietro de LABRIOLLE, Histoire de la Littérature latine chrétienne, Paris 1920, p. 577, nota 3; Socrate lo Scolastico (v.380-v.440) - scritt.greco - Storia ecclesiastica (dal 305 al 439) - V, 22, MIGNE P.G., LXVII, 1864, col. 635 (trad.in Latina), col. 636 (testo greco);
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Quando la profezia diventa storia
FONTI E BIBLIOGRAFIA Sulpicio Severo (Sulpicius Severus) (v.360-v.420) - scritt.crist.sacerd.aquetano - Cronaca Universale (Storia Sacra), I, III, 11, in MIGNE, P.L., XV, c. 130; Teodoreto vescovo di Cirene (v.393-460) - Commentario delle visioni di Daniele, in MIGNE, P.G., LXXXI col. 1255-1546, 13011310, 1415-1416, 1425,1426, 1477,1478, 1501,1502, 1515,1516; LXXXII, 1864, col. 663; - Opera, traduzione latina di GABIUS, vol. II, 2, 1768, col. 1219,1220 Tertulliano Quinto Settimo Floro (v.160-v.245) - avvoc.sacerd.padre latino cartag. - Ad uxorem (I,2 e 5); - Ad Naziones 12; - Adversus Praxeas, cap. 26, MIGNE, P.L., 11, col. 190. - Apologetica, 16; cap. 31, 32 e 39; - Contro Marcione, III, 7. - Culto femminile (II:9) - De Idolatria, 14, 5 CCL, 2, 1114, - Il Battesimo, MIGNE, P.L., cap. 4, I col., 1203,1204, 1205, cap. 18 I, 1844, col. 1221. - Resurrezione della carne, scritta verso il 210, cap. 24:18,19; MIGNE, P.L., 6, 1844, col. 812-813; 15, col. 784-790; ed. UTET, Opere Scelte; - Contre les Juifs, in Oeuvres, trad. di GENOUDE, vol. III, 2a ed., 1852; - Opera, parte 2a, Tournai 1954; - Corpus christianorum, series latina, Tournai 1954; Ticonio (IV secolo) - scrittore donatista - Omelie III, MIGNE, P.L., XXXV, col. 2433; Teodoreto († 420) - vescovo di Cirene - MIGNE, P.G., LXXXI, col. 1303-1310, 1301-1303; Vittorino (Victorinus) vescovo di Pattau (†303) - Siro, martire - De fabrica mundi, 5, CSEL, 49, - Scholia in Apoc.,in MIGNE, P.G., t. V, col. 317 e seg.; - Works, tradotto da Robert Ernest Wallis, in ANF, vol. 7. Zenone (III secolo) - vescovo di Verona - MIGNE, P.L., XI, col. 522-528;
Opere, articoli e commentari, anche parziali, dei libri di: Daniele, Apocalisse e 2a Tessalonicesi Autori ebraici Abraham Aben Ezra (1092-1167) - eseg.isr.spag. - Commentario su Daniele (1144), Mss. e Bibbie ebraiche rabbiniche, Venezia 1526,1549,1568,1617; Bologna 1619; Amsterdam 1726; cit. da GALLÉ; - Mikraoth Gedolioth, Costantinopoli 1522; Berlin 1705; Varsaw, vol. 6, 1874,1902; cit. da GALLÉ; Abraham ben Chija (1065-1136) - spagn. - autore di un’opera su Daniele conservata in manoscritto alla Biblioteca di Monaco e pubblicato a Belino nel 1924; Abraham ben Eliezer ha-Levi (v.1460-1530) - cabalista spagnolo - ha pubblicato a Costantinopoli, nel 1510, un’opera nella quale spiega le 70 settimane di Daniele; Abraham Bar Hiyya Hanasi (v.1065-1136) - eseg.isr.spagn. - Megilloth Ha Megalleh (Rouleau du Révélateur), ed. Arthur Poznanski, Berlin 1924;1967; tradutt. catalana, MILLÁS Y VALLICROSA José Maria (1897) su una ed. rivista da Julius GUTTMANN, Libre revelador, Barcellona 1929; Abraham Calov, De LXX septimanis mysterium, Wittemberg 1663; Abraham Halevy ben Eliezer (v. 1460-1537) - eseg.israel.spagn. - cit. da FROOM, vol. II, p. 218; ACOSTA Uriel (v.1585-v.1640) - scrit.isr.port. - Sobre a mortalidade de alma; Akiba ben Joseph (v.40-135) - rabb.palest. - in VOLZ, 1903, 1934; ALSCHEICH Moses ben Chajim ( †dopo 1593) - rabbino - Commentaire hébraique dans Bible rabbinique, Venezia 1591; Amsterdam 1726; ARNAUD R.K. - eseg.anglo-isr.ingl. - The new Prophecy. An Exposition of the Books of Daniel and the Revelation, London 1917, pp. 45-125,149-190; 2a ed., 1918, pp. 45-69,85-123,182-190,224-227 - The Near Future. An Exposition of Daniel XI: 4-45, London 1922; ASHE Isaac, The Book of Revelation with Compendious Notes, William Curry Jun. And Company, Dublin 1835; BACKUS Isaac, The Testimony of the Two Witnesse, Explained and Improved, printed by Bennett Wheeler and sold by James Arnold, Esq. Amd the Printer, Providence 1786; BAECK Leo (1873-1956) - rabb.ted. - Der Menschensohn. Aus drei Jahrtausenden, Tübinghen 1958, pp. 187-198; BAER Seckel (Seligman-Isaac) (1825-1897) - eseg.isr.ted. - Libri Danielis, Ezrae et Nehemiae, Leipzig 1882, pp. 1-24;1884; Bahia ben Asher (v.1260-1340) menzionato da SILVER Abba Hillel, pp. 95-97; BARYLKO Jaime - scrit.giudeo argent. - El libro de Daniel, Buenos Aires 1975; BAYLEE Joseph, The Kingdoms of Europe Viewed in the Light of Scripture, in The Signs of the Times: Six lectures, Part. I, Wertheim and Macintosh, London 1854; Benjamin ben Moshe Nahavendi (VIII-IX secolo) - Commentario su Daniele in Arabo (in carattere persiano); BERNFELD Simon (1860-1940) - pubblic.isr.ted. - Encyclopedia Judaica, t. V, Berlin 1939, col. 763-771; BICKERMAN Elias Joseph (1897) - eseg.isr.amer. - Four Strange Books of the Bible (Jonah, Daniel, Koheleth, Esther), New York 1967, pp. 51-138; - Der Gott der Makkabaer, Berlin 1937; BUBER Martin (1878-1965) - filos.isr.ted.di orig.austriaca - Daniel, 1913; 2ª ed., Leipzig 1919; - Der Glaube der Propheten, Manasse Verlag, Zurich 1950; - Daniel Dialogues or Realisation, tradotta da Maurice S. FRIEDMAN, New York 1964; Quando la profezia diventa storia
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Quando la profezia diventa storia
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Il numero delle pagine seguite dalla lettera p (pagina) corrisponde al numero delle pagine dell’opera. Tranne qualche eccezione abbiamo riservato questa precisazione alle opere di autori avventisti.
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Quando la profezia diventa storia
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Apocalisse AHLE Joham Rudolf (1625-1673), 1 mottet; BACH J.S. (1685-1750), 4 cantate; BADINGS Henk (1907) - Apocalypsis, oratio, 1948; BARRAUD M., due affreschi nella cappella dell’Università di Fribourg, 1946. BATTISTI E., Cimabue, Istituto editoriale italiana, Milano 1963; BERQUE Jean, Paris - Lausanne 1938; BLUM Robert, oratio, Erzengel Michale, Zurich; BRAHMS Johannes (1833-1897) - Ein deutsches Requiem; BRÉHIER Louis, L’art chrétien, Paris 1918; BRÜTSCH Charles, La Clarté de l’Apocalypse, sia nella 4a e Va edizione, Genève 1966, pp. 442-449, presenta una lunga lista, che definisce «molto approssimativa», delle chiese che presentano tali raffigurazioni in Germania, Spagna, Francia, Italia, Svizzera, Andorre, Inghilterra, Bulgaria, Danimarca, Svezia, Cecoslovacchia, Russia e fuori dall’Europa, Egitto, Baouit, Saqqara, U.S.A.; CLAPERS J. Franch, collaboratore di LINDEGARD Henri; CHIRICO Giorgio de, Apocalisse, 1852; COCAGNAC A.M., (OP) - Le jugement dernier dans l’art, ed. Cerf, Paris 1955; CROZALS Vincent de, 1950; DEISS P. Lucien, oratorio, Je sis la nuovelle Jérusalem, Paris; DIDRON Adolphe Napoléon, Iconographie chrétienne, Histoire de Dieu, Paris 1843; DÜRER Albert (1471-1526), DUVEUT Jehan, L’Apocalypse figurée, Eugrammia, London 1962 FAUSER A. - SCHNEIDER Reinhold, Die Bamberger Apokalypse, Insel, Frankfurt 1962; FORET Joseph, La Bible, 210 chili con commenti di Jean Cocteau, Jean Rostand, Daniel Rops, Jean Guitton, E.M. Cioran, Jean Giono e Ernest Jünger, e illustrata da Bernard Buffet, Salvatore Dalì, Leonor Fini, Foujita, Mathieu, Tremois e Zadkine. Questa Bibbia è stata esposta in numerose città e ha fatto parte dell’esposizione tenuta nel New Museum of Contemporary Art dal titolo La fine del mondo, visioni contemporanee dell’Apocalisse (1983-1984). - L’Apocalypse, exemplaire unique, Paris 1958-1961; FRANÇAIS Jean, oratorio, L’Apocalypse de saint Jean, Paris; FREIMAN T.K., Postscripts, “Fine”, catalogo, Representations in Contemporary Israeli Art, The Genia Schreiber University Art Gallery, Tel Aviv University, 1992; GOERG Edouard, Apocalypse, 1943; Quando la profezia diventa storia
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