Riassunto di “Psicologia Generale” di L.Anolli e P. Legrenzi.
Capitolo 1 – Origini e sviluppi della psicologia scientifica. In questo capitolo si cerca di distinguere la differenza tra psicologia ingenua e psicologia scientifica. La psicologia ingenua è quella forma di psicologia che utilizziamo tutti i giorni per risolvere in maniera più o meno veloce ed efficace i problemi e le situazioni che ci troviamo dinanzi. Da essa si fonda di conseguenza una psicologia scientifica, basata su di una ricerca approfondita e sulla sperimentazione. Si ha quindi che entrambe le psicologie affrontano le opportunità e i vincoli della vita cui andiamo incontro, ma le trattano in maniera differente a seconda specialmente della nostra esperienza, sia filogenetica sia ontogenetica. Paragrafo 1 – PSICOLOGIA PSICOLOGIA INGENUA E PSICOLOGIA SCIENTIFICA
1.1: Presupposti evolutivi della psicologia: In questo paragrafo si cerca di comprendere la nascita della psicologia nei nostri antenati. Si parte da una differenziazione rispetto alle scimmie inizialmente solo di carattere fisiologico (cambiamento della struttura genitale maschile con una derivata capacità di prolungare il rapporto sessuale, caratteristica essenziale per la costruzione di una coppia). In seguito anche il gene inibitore del tumore celebrale scompare , di conseguenza siamo soggetti a tale tumore ma il nostro cervello si è evoluto, ingrossato, quadruplicato. Si inizia ad usare il simbolo, inteso come un’entità che ne rappresenta altre a livello mentale. Questa capacità simbolica e l’inizio della linguistica (che si innestano su capacità non verbali) consentono all’uomo di divenire una specie psicologica , in grado di riflettere in termini mentali. Con l’avvento dell’agricoltura l’uomo si stanzia nei luoghi, smette di essere nomade. Si creano di conseguenza le prime forme ci civiltà. Si è creata dunque una sorta di cassetta degli attrezzi mentali (pensiero, coscienza, comunicazione, elevata socialità, valori ecc..) tuttora validi ed in uso. È la configurazione base della psicologia e rappresenta la nascita della cultura. 1.2: Esperienza, psicologia del senso comune e scienze psicologiche: Secondo gli empiristi inglesi la base della conoscenza è dunque l’esperienza e in questa sede parleremo solo dell’esperienza intesa come la totalità delle singole esperienze, cioè quel raggruppamento di conoscenze esplicite ed implicite, accumulate nel corso del tempo tramite il coinvolgimento personale nelle azioni o l’imitazione dei comportamenti altrui. L’esperienza è essenziale, utile per prendere decisioni o agire in maniera efficace in una data situazione. Dall’esperienza nasce di conseguenza la psicologia del del senso comune o psicologia psicologia ingenua , che ci permette di utilizzare l’esperienza stessa per cercare di comprendere e interpretare i comportamenti nostri e altrui in base al ragionamento pratico. Si evince però che la psicologia ingenua è inattendibile dal punto di vista scientifico, poiché priva di metodo sperimentale e/o spiegazioni plausibili e dimostrate. Dunque è la mancanza di controllo che dimostra la differenza tra psicologia ingenua e scientifica. Sta di fatto comunque che la psicologia scientifica, come ogni altra scienza, presenta un carattere di contingenza , cioè un proseguo delle conoscenze della psicologia ingenua. Inoltre da considerare anche il carattere di necessità della psicologia scientifica; i criteri scientifici da essa ammessi valgono per tutti gli studiosi di tale materia: è necessario dare la possibilità a qualunque scienziato di verificare i dati raccolti da altri scienziati, in modo che le teorie precedenti possano essere confutate o meno. Questa divulgazione divulgazione scientifica è il vero distacco tra i due tipi di psicologie qui affrontati. 1.3: Presupposti moderni per la comparsa della psicologia scientifica: In questo breve paragrafo si descrive il percorso della psicologia, a partire dai primi contributi filosofici, con Aristotele che descrisse alcuni processi cognitivi (percezione, memoria), con Ippocrate e le sue definizioni di personalità, infine Erasistrato che per primo comprese la differenza tra nervi sensoriali e nervi motori. Ma non si può parlare di psicologia intesa come al giorno d’oggi sino al 1700 quando, per la prima volta, Christian Wolff distinse la psicologia razionale da quella empirica. La prima di natura filosofica, basata su riflessioni teoriche, la seconda naturalistica, fondata sul metodo dell’osservazione, la base per l’attuale psicologia scientifica. Si passa poi dal razionalismo, inteso come quel primato della ragione sul corpo, all’empirismo, che consente di studiare la mente come un insieme di facoltà. Col tempo e con l’inizio dello studio diretto sull’apparato celebrale, iniziarono ad essere stilate le prime teorie sul funzionamento della mente direttamente connesso con l’organo preposto; si arrivò alla teoria dell’arco riflesso (connessione fra sensazioni e movimenti) e in seguito alla frenologia, secondo cui le varie funzioni mentali dipendono da aree ben definite del cervello. Ma taluni, come Kant, mossero critiche su questi metodi di ricerca, poiché la mente rimaneva qualcosa non misurabile con la matematica, quindi non poteva rientrare nella categoria di “studi scientifici”. Si iniziarono dunque a fare misurazioni temporali di tempi di reazione del cervello sotto vari stimoli; nasce la cronometria mentale , che portò alla psicofisica odierna, grazie al quale si studiano le corrispondenze tra stimoli fisici e risposte psichiche.
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Paragrafo 2 – NASCITA NASCITA DELLA PSICOLOGIA PSICOLOGIA SCIENTIFICA SCIENTIFICA
Si fa coincidere la data di esordio della psicologia scientifica con la fondazione del laboratorio sperimentale a Lipsia da parte di Wilhelm Wundt nel 1879. 2.1: Wilhelm Wundt e lo strutturalismo. Per Wundt oggetto della psicologia è l’esperienza immediata che differisce dall’esperienza mediata dalle altre scienze naturali, che ricorrono a strumenti di mediazione per lo studio della stessa. Per contro la psicologia non ha necessità di ricorrere a questi strumenti, poiché lo studio può essere effettuato direttamente dal soggetto tramite l’introspezione, cioè quella capacità di accertare l’avvenimento di una data esperienza, sia essa interna che esterna. Questo metodo non è esente da difficoltà: a causa dello spostamento di attenzione dall’avvenimento accaduto all’introspezione stessa è possibile che alcuni dati vengano distorti o persi. Wundt dunque comprende che la chiave è la variazione tra un atto di introspezione e un altro comparabile e non il contenuto stesso dell’introspezione. Grazie a questo elaborò una teoria complessa in cui distinse: -la percezione: percezione: sensazioni immediate così come si presentano in coscienza; - la appercezione : organizzazione delle sensazioni così come si presentano in coscienza; - la volontà di reazione: intervento della volontà per produrre azioni congrue con gli stimoli. La scuola di Lipsia fallì miserabilmente; negli annali si verrà chiamata Strutturalismo questo metodo di ricerca di Wundt, atto a rilevare le strutture della mente umana. 2.2: Evoluzionismo e Funzionalismo. Secondo il Funzionalismo, che è un punto di vista, la psicologia è uno studio dell’attività mentale tutta (percezione, memoria, apprendimento, emozioni, ecc…) come via per adattarsi all’ambiente in modo adattivo. Quindi il funzionalismo si occupa di verificare come opera un processo mentale e non che struttura presenta. Con esso si comprese che non è possibile comprendere la struttura della coscienza con il solo atto dell’introspezione. Con Evoluzionismo intendiamo il proseguo del lavoro di Darwin e il suo darwinismo. Secondo la sua teoria dell’evoluzione vi è una discendenza comune di tutti gli organismi e una selezione naturale naturale secondo cui solo gli individui capaci a evolversi in determinati ambienti sopravvivono. Con la Sintesi moderna o Neodarwinismo si arriva ad una concezione di sopravvivenza sopravvivenza (fitness) (fitness) più elaborata. A parità di condizioni si riproduce di più ( fitness fitness assoluta) assoluta) e sopravvive più a lungo ( fitness fitness relativa) relativa) una popolazione con un grado di fitness superiore alle altre (ma và!?). Con la sintesi moderna si arrivò in seguito a comprendere anche il modello degli equilibri punteggiati, confutando la precedente teoria che l’evoluzione avvenisse tramite lenti e graduali cambiamenti; per la nuova teoria invece l’evoluzione avviene in balzi improvvisi derivanti da cambiamenti bruschi di condizioni esterne varie. Questi salti evolutivi implicano l’exaptation: una struttura biologica destinata ad una certa funzione inizia a svolgerne un’altra mantenendo la principale. Ad esempio le pieghe laringee umane, che originariamente avevano la sola funzione di impedire al cibo rigurgitato di entrare nei polmoni, si modificarono in corde vocali in grado di emettere suoni, mantenendo la funzione originaria. Nei primi anni del Duemila venne proposta la Sintesi estesa ; questa introduce tra i vari concetti, tre idee madri. Il modello evo-devo (evolutionary developmental biology) studia la relazione tra lo sviluppo embrionale e fetale di un organismo (ontogenesi) e l’evoluzione della sua popolazione di appartenenza (filogenesi). Con la costruzione di una nicchia si vuole dimostrare quanto la selezione naturale venga influenzata a seconda dei cambiamenti del proprio habitat che un organismo compie consciamente per aumentare le probabilità di sopravvivenz a. Infine con l’evolvibilità si vuole dimostrare non solo che siamo il frutto delle specie più adatte alla sopravvivenza, ma anche quelle specie che si sono dimostrate più disponibili ad evolvere. Paragrafo3 Paragrafo3 – REAZIONI ALLO STRUTTURALISMO IN EUROPA E NEGLI USA
Brentano costituisce in antitesi allo strutturalismo la psicologia dell’atto, constatando che la mente è costituita da atti dotati di intenzionalità. Dicendo ad esempio “vedo un cerchio rosso” non è importante il contenuto (cerchio) bensì l’atto di vedere. Da qui si arriva alla in-esistenza intenzionale , cioè il fatto che il contenuto sia necessariamente posto in funzione dell’atto.
L’intenzionalità della mente è l’architrave della causalità degli atti mentali, paragonabile alla forza per gli atti fisici. Le idee di Brentano trovano evoluzione nella scuola di Graz dalla quale deriverà la scuola della Gestalt. La scuola della Gestalt si occupa principalmente ai processi cognitivi, specialmente alla percezione e al pensiero. Uno dei principi è “il tutto è più della somma delle singole parti”, poiché percepiamo molto di più di quanto gli stimoli ci presentano. Da qui infatti gli studi psicologici sulla percezione delle figure geometriche; prendendo ad esempio un quadrato, esso non è costituito dalla somma dei singoli elementi che lo compongono, bensì dall’insieme dei rapporti fra loro esistenti. Esso è percepito quadrato sia coi lati interi, sia anche solo con gli angoli, sia in condizioni estremamente minimali: quattro puntini disposti in modo regolare. In fondo, essi non sono un quadrato, ma noi lo percepiamo come tale. Ciò che contraddistinse la Gestalt fu l’utilizzo del metodo fenomenologico, che consiste nel definire il campo percettivo in cui il soggetto si trova e nel rilevare ciò che in esso gli appare ( fenomeno) fenomeno). Per “campo percettivo” si intende l’insieme dei suoi percetti, ciò che vede, non ciò che sa o pensa di sapere. Quindi è necessario evitare l’errore dello stimolo: descrivere ciò che vediamo (percetto) e non ciò che sappiamo (concetto). Köhler intuì la tendenza alla conferma riguardo alla formazione del pensiero pensiero creativo creativo: si arriva a forme di fissità funzionale funzionale del pensiero pensiero, secondo cui si è più abituati a prospettare le cose secondo i modi di conoscere rispetto alla ricerca di soluzioni originali.
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Paragrafo 2 – NASCITA NASCITA DELLA PSICOLOGIA PSICOLOGIA SCIENTIFICA SCIENTIFICA
Si fa coincidere la data di esordio della psicologia scientifica con la fondazione del laboratorio sperimentale a Lipsia da parte di Wilhelm Wundt nel 1879. 2.1: Wilhelm Wundt e lo strutturalismo. Per Wundt oggetto della psicologia è l’esperienza immediata che differisce dall’esperienza mediata dalle altre scienze naturali, che ricorrono a strumenti di mediazione per lo studio della stessa. Per contro la psicologia non ha necessità di ricorrere a questi strumenti, poiché lo studio può essere effettuato direttamente dal soggetto tramite l’introspezione, cioè quella capacità di accertare l’avvenimento di una data esperienza, sia essa interna che esterna. Questo metodo non è esente da difficoltà: a causa dello spostamento di attenzione dall’avvenimento accaduto all’introspezione stessa è possibile che alcuni dati vengano distorti o persi. Wundt dunque comprende che la chiave è la variazione tra un atto di introspezione e un altro comparabile e non il contenuto stesso dell’introspezione. Grazie a questo elaborò una teoria complessa in cui distinse: -la percezione: percezione: sensazioni immediate così come si presentano in coscienza; - la appercezione : organizzazione delle sensazioni così come si presentano in coscienza; - la volontà di reazione: intervento della volontà per produrre azioni congrue con gli stimoli. La scuola di Lipsia fallì miserabilmente; negli annali si verrà chiamata Strutturalismo questo metodo di ricerca di Wundt, atto a rilevare le strutture della mente umana. 2.2: Evoluzionismo e Funzionalismo. Secondo il Funzionalismo, che è un punto di vista, la psicologia è uno studio dell’attività mentale tutta (percezione, memoria, apprendimento, emozioni, ecc…) come via per adattarsi all’ambiente in modo adattivo. Quindi il funzionalismo si occupa di verificare come opera un processo mentale e non che struttura presenta. Con esso si comprese che non è possibile comprendere la struttura della coscienza con il solo atto dell’introspezione. Con Evoluzionismo intendiamo il proseguo del lavoro di Darwin e il suo darwinismo. Secondo la sua teoria dell’evoluzione vi è una discendenza comune di tutti gli organismi e una selezione naturale naturale secondo cui solo gli individui capaci a evolversi in determinati ambienti sopravvivono. Con la Sintesi moderna o Neodarwinismo si arriva ad una concezione di sopravvivenza sopravvivenza (fitness) (fitness) più elaborata. A parità di condizioni si riproduce di più ( fitness fitness assoluta) assoluta) e sopravvive più a lungo ( fitness fitness relativa) relativa) una popolazione con un grado di fitness superiore alle altre (ma và!?). Con la sintesi moderna si arrivò in seguito a comprendere anche il modello degli equilibri punteggiati, confutando la precedente teoria che l’evoluzione avvenisse tramite lenti e graduali cambiamenti; per la nuova teoria invece l’evoluzione avviene in balzi improvvisi derivanti da cambiamenti bruschi di condizioni esterne varie. Questi salti evolutivi implicano l’exaptation: una struttura biologica destinata ad una certa funzione inizia a svolgerne un’altra mantenendo la principale. Ad esempio le pieghe laringee umane, che originariamente avevano la sola funzione di impedire al cibo rigurgitato di entrare nei polmoni, si modificarono in corde vocali in grado di emettere suoni, mantenendo la funzione originaria. Nei primi anni del Duemila venne proposta la Sintesi estesa ; questa introduce tra i vari concetti, tre idee madri. Il modello evo-devo (evolutionary developmental biology) studia la relazione tra lo sviluppo embrionale e fetale di un organismo (ontogenesi) e l’evoluzione della sua popolazione di appartenenza (filogenesi). Con la costruzione di una nicchia si vuole dimostrare quanto la selezione naturale venga influenzata a seconda dei cambiamenti del proprio habitat che un organismo compie consciamente per aumentare le probabilità di sopravvivenz a. Infine con l’evolvibilità si vuole dimostrare non solo che siamo il frutto delle specie più adatte alla sopravvivenza, ma anche quelle specie che si sono dimostrate più disponibili ad evolvere. Paragrafo3 Paragrafo3 – REAZIONI ALLO STRUTTURALISMO IN EUROPA E NEGLI USA
Brentano costituisce in antitesi allo strutturalismo la psicologia dell’atto, constatando che la mente è costituita da atti dotati di intenzionalità. Dicendo ad esempio “vedo un cerchio rosso” non è importante il contenuto (cerchio) bensì l’atto di vedere. Da qui si arriva alla in-esistenza intenzionale , cioè il fatto che il contenuto sia necessariamente posto in funzione dell’atto.
L’intenzionalità della mente è l’architrave della causalità degli atti mentali, paragonabile alla forza per gli atti fisici. Le idee di Brentano trovano evoluzione nella scuola di Graz dalla quale deriverà la scuola della Gestalt. La scuola della Gestalt si occupa principalmente ai processi cognitivi, specialmente alla percezione e al pensiero. Uno dei principi è “il tutto è più della somma delle singole parti”, poiché percepiamo molto di più di quanto gli stimoli ci presentano. Da qui infatti gli studi psicologici sulla percezione delle figure geometriche; prendendo ad esempio un quadrato, esso non è costituito dalla somma dei singoli elementi che lo compongono, bensì dall’insieme dei rapporti fra loro esistenti. Esso è percepito quadrato sia coi lati interi, sia anche solo con gli angoli, sia in condizioni estremamente minimali: quattro puntini disposti in modo regolare. In fondo, essi non sono un quadrato, ma noi lo percepiamo come tale. Ciò che contraddistinse la Gestalt fu l’utilizzo del metodo fenomenologico, che consiste nel definire il campo percettivo in cui il soggetto si trova e nel rilevare ciò che in esso gli appare ( fenomeno) fenomeno). Per “campo percettivo” si intende l’insieme dei suoi percetti, ciò che vede, non ciò che sa o pensa di sapere. Quindi è necessario evitare l’errore dello stimolo: descrivere ciò che vediamo (percetto) e non ciò che sappiamo (concetto). Köhler intuì la tendenza alla conferma riguardo alla formazione del pensiero pensiero creativo creativo: si arriva a forme di fissità funzionale funzionale del pensiero pensiero, secondo cui si è più abituati a prospettare le cose secondo i modi di conoscere rispetto alla ricerca di soluzioni originali.
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Il Comportamentismo è inteso come l’insieme delle risposte muscolari o ghiandolari dell’organismo in risposta ad un dato stimolo. Lo stimolo è un dato fisico mentre la risposta è un dato fisiologico. Lo psicologo comportamentista dunque studia le associazioni stimolo-risposta (S-R), non entrambi gli elementi in maniera separata e si concentra in particolare le variazioni di stimoli tra variabile indipendente e la variabile dipendente. Da ciò Watson attribuì importanza all’apprendimento, atto a istituire nuove associazioni S-R in funzione dell’adattamento all’ambiente. Il Neocomportamentismo si distinse dal comportamentismo poiché prese in considerazione anche le variabili intermedie, cioè le pulsioni, le intenzioni e/o le motivazioni che un dato individuo ha me ntre compie una data azione. Si evince che questo tipo di variabile è incalcolabile. La mappa cognitiva, rappresentazione mentale schematica di un luogo, una situazione, un movimento, un percorso, ecc. (utilizzata anche dai ratti per apprendere la strada in un labirinto), è pe r Tolman Tolman una variabile interveniente. Paragrafo 4 – COGNITIVISMO E INTELLIGENZA ARTIFICIALE.
Verso gli anni settanta sono sorte le scienze cognitive, cui scopo è quello di studiare il funzionamento di un sistema (sia esso naturale che artificiale) di conoscenza della mene in grado di riprodurre una serie di operazioni che indichiamo come percepire, percepire, ragionare, ragionare, calcolare, memorizzare, immaginare o progettare. Sono operazioni che consentono all’individuo di conoscere il mondo in cui vive e di farne una “mappa” cognitiva (diversa dal significato inteso da Tolman). Oggetto di studio del cognitivismo sono i processi di conoscenza: come gli individui elaborano le informazioni e costruiscono rappresentazioni mentali utili per interagire con l’ambiente. Con l’intelligenza artificiale si cerca di ricreare i processi mentali seguendo determinate coordinate: i calcoli, i confronti, le graduatorie, le combinazioni logiche, le manipolazione dei simboli, le operazioni di misura, l’adeguamento a regole prefissate ecc… L’elaborazione digitale delle informazioni è il processo necessario per digitalizzare questi dati elementi, ma ciò avviene in maniera esclusivamente binaria: il processo ha esclusivamente valore di 0 (inesistente) o di 1 (esistente). Grazie al codice binario si arriva alla teoria della computabilità , cioè un insieme finito di elementi semplici può essere impiegato per costruire una varietà illimitata di processi complessi livello mentale o digitale. Con essi si poté simulare l’intelligenza umana con macchinari elaboratissimi, tanto che riguardo a determinati comportamenti e risoluzioni di compiti le macchine e le persone possono essere indistinguibili da un esterno (test di Turing). Per contro l’IA non è assoluta, poiché si basa esclusivamente sulla logica binaria (valida per la sintassi formale), ma è priva della logica sfocata, esclusiva della mente umana, e riguarda tutti quei processi sfumati e imprecisi, continuamente variabili della stessa. Questo accade perché non solo la mente umana manipola sintatticamente i simboli, ma li interpreta e vi attribuisce un significato che la sintassi, da sola, non è in grado di spiegare. Paragrafo 5 – MODULARISMO, PSICOLOGIA EVOLUZIONISTICA E CONNESSIONISMO
Jerry Fodor propose una concezione forte della mente computazionale, governata dal linguaggio della mente (mentalese). Per egli, è la combinazione di concetti semplici ed innati, intesi come entità univoche e chiuse, discrete e fisse, in grado di esprimere verità necessarie, elaborate secondo regole logiche, attente solo alla forma (sintassi) e non ai contenuti (semantica). Secondo il modularismo la mente è organizzata in modulo o “cassetti”, ciascuno dei quali con una struttura specializzata che lo rende un sistema esperto in ambito scientifico nell’interazione con l’ambiente. Secondo la psicologia evoluzionistica questi moduli sarebbero il risultato delle selezioni naturali avvenute per la razza umana in decine e decine di migliaia di anni. Si confà che questi moduli sarebbero universali e costruiti in base ai cosiddetti “algoritmi darwiniani”. La prospettiva modulare però, non avendo prove empiriche certe né tanto meno verificata sul piano neuropsicologico, è in sostanza infondato. Verso la metà degli anni ann i ottanta nasce una nuova nu ova corrente, il connessionismo, che pone in relazione strettissima la struttura biologica del cervello con la struttura della mente cognitiva. Paragrafo 6 – MENTE SITUATA E RADICATA NEL CORPO L’errore L’errore dell’essenzialismo dell’essenzialismo:: la mente non può essere un’entità separata dai vincoli biologici ed ecologici. L’errore sta nel considerare
gli stati mentali come entità fisse, regolari, corrispondenti a fenomeni circoscritti e isolati. È una sorta di “cecità platonica”, un’incapacità di vedere l’importanza decisiva del contesto. Mente situata e radicata nel corpo: ad oggi nella psicologia si da molta importanza alla situazionalità situazionalità della mente, costantemente immersa in un contesto immediato, inteso come l’insieme delle informazioni disponibili nella situazione contingente, compresi i particolari secondari. In quanto tale, è fondata sull’esperienza, intesa come motore di ogni attività mentale. La mente è inoltre radicata nel corpo, fondata sull’elaborazione dei dati da parte delle singole modalità sensoriali e di controllo motorio. In particolare sono oggetto di studio i neuroni specchio , che ci pongono in condizione di capire e imitare gli altri. Nel futuro la psicologia è diretta, in ambito a mbito sperimentale, v erso frontiere che legano sempre più assiduamente la mente con il corpo, c orpo, poiché ogni teoria psicologica priva di evidenze cerebrali in supporto appa re debole e inconsistente.
Capitolo 2 – Metodi della ricerca in psicologia.
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Paragrafo 1 – OGGETTO E METODO DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA
Come detto nel capitolo 1, esistono differenze tra psicologia ingenua e scientifica; di conseguenze esistono anche nella teoria ingenua e teoria scientifica . La differenza fondamentale risiede nei metodi di controllo delle spiegazioni nella capacità di impiegare criteri espliciti per acquisire conoscenze e fare previsioni. Viene adottato il metodo sperimentale, che è considerato l’unione delle sensate esperienze con le necessarie dimostrazioni supportate dal contributo della matematica. Si ottiene dunque con questo metodo un oggetto (ciò che osservo) e metodo (punto di vista con cui osservo); questi due fattori sorgono congiuntamente , poiché per natura inseparabili. Il ricercatore deve predisporre un disegno di ricerca: è la mappa delle sue attività, ne orienta le scelte e le decisioni e consente di apportare eventuali modifiche e correzioni. Prima però è necessario trovare la meraviglia, quel qualcosa che desta in noi attenzione, stupore e curiosità, da cui derivano anche le volontà di trovare nuove soluzioni a teorie già avanzate e proposte. È necessario dunque porsi la domanda di ricerca: cosa voglio studiare? Perché? Queste domande servono per creare un percorso di senso della ricerca e delineare i confini del campo di ricerca. Questi confini non devono essere troppo estesi (dispersione), troppo limitati (ripetizione) né troppo complessi (fallimento calcolo variabili). Ovvio che la domanda deve avere carattere di originalità; per evitare questo è necessario che il ricercatore sia perfettamente a conoscenza della letteratura di riferimento e i risultati dei precedenti scienziati, poiché è da essi e dal loro lavoro che si può partire con nuove teorie (contingenza della ricerca) . Da definire inoltre è lo scopo della ricerca, ciò che si vuole ottenere e dimostrare con essa. In un momento successivo la domanda di ricerca diviene l’ipotesi di ricerca , cioè enunciati provvisori che, sia pure in forma probabilistica, stabiliscono una relazione esplicita e accurata fra più fatti osservati. L’ipotesi è costruibile con il metodo “ se…allora”; è essenziale stabilire la natura del legame fra antecedente e conseguente. Tale legame può essere in relazione al causa-effetto (causalità) oppure in associazione tra due o più eventi (correlazione). Le operazioni per verificare le ipotesi devono essere rispettose dei criteri di protocollarità ammessi dalla data scienza (es: per valutare la temperatura di una stanza, per il fisico sarà un criterio corretto dire “ci sono 37°”, per uno psicologo invece dire “fa molto caldo”). Infine per verificare la validità delle ipotesi si procede con la verifica sperimentale , metodo non sempre totalmente attendibile in senso positivo e diretto, questo perché ci sono da considerare ed ammettere eventuali errori umani sia a livello di ipotesi sia a livello di verifica. Non essendo al 100% attendibile, si ricorre per verificare una data ipotesi al metodo dell’ipotesi nulla: se l’ipotesi diametralmente opposta a quella effettuata dallo scienziato è dimostrabilmente falsa, allora si può avere ragione di credere che l’ipotesi originale sia attendibile. La totalità dei risultati atti alla dimostrazione dell’inattendibilità dell’ipotesi nulla viene chiamata regione critica. Precisate le ipotesi si passa al metodo scientifico vero e proprio. È necessario assicurarsi la partecipazione dei soggetti che corrispondano alle variabili decise dallo scienziato (età, sesso, ecc..). L’insieme di questi soggetti costituisce il gruppo target. I gruppi sono portati a compiere i propri compiti sperimentali nell’ambiente preposto, che può essere in condizioni artificiali (laboratorio) o in condizioni naturali . Ne consegue che in laboratorio abbiamo esperimenti guidati mentre nell’ambiente esperimenti naturali. I partecipanti verranno sottoposti, attraverso strumenti atti ad una precisa misurazione, agli stimoli sperimentali loro presentati e gli sperimentatori ne constateranno l’accuratezza attraverso l’osservazione . La combinazione di alternanza di stimoli, interferenze, condizioni di facilitazione o inibizione, compiti di distrazione ecc… compongono la situazione sperimentale. Infine il ricercatore si serve del controllo di manipolazione, che consiste nel verificare la coerenza e la congruenza fra gli obbiettivi dell’esperimento, le istruzioni fornite e il comportamento dei soggetti sperimentati. I dati raccolti vengono poi elaborati da statistica descrittiva e/o inferenziale e preferibilmente pubblicati per meglio procedere con confronti insieme ad altri esperti. Paragrafo 2 – RICERCA PSICOLOGICA IN PRATICA
Il motivo per cui spesso ci poniamo la fatidica domanda “perché?”, riguardo agli avvenimenti che ci accadono, risiede nel principio di causalità. Causalità fisica; causalità psicologica. Se per la prima il fondamento è la forza, per la seconda è l’intenzione. Se la contiguità temporale è necessaria per entrambe, non lo è la contiguità spaziale, che per l’intenzione essa può essere espressa a distanza. In disposizione di ciò, l’essere umano diviene naturalmente un sistema teleonomico, atto alla ricerca e a mettere in funzione azioni indispensabili per raggiungere lo scopo (l’atteggiamento teleologico è più presente nei bambini, secondo cui tutto esiste per raggiungere uno scopo). Per far si che un esperimento sia definito tale, il metodo sperimentale deve necessariamente avere due aspetti: 1-essere basato sull’assegnazione casuale alla condizione; 2-manipolazione e controllo delle variabili. Il compito dello scienziato è quello di determinare il rapporto tra tutte le variabili. Le variabili possono essere di diverso genere. Variabili indipendenti: variabili determinate e controllate dallo scienziato; Variabili dipendenti: variabili che variano in funzione e a seconda di quelle indipendenti. Variabili estranee: si distinguono in sistematiche o confondenti e asistematiche. Le prime influiscono costantemente sulle dipendenti (come ad esempio il tempo, da cui derivano naturalmente maturazione e apprendimento) . Quelle asistematiche invece sono pressoché infinite e variano da situazione a situazione: dalle condizioni mentali dei soggetti e dei ricercatori (stanchezza, distrazione, ansia ecc..) alle condizioni atmosferiche. Per rendere univoche tutte queste variabili è necessario fornire una definizione operativa (esempio: in riferimento all’età, non dirò bambino o anziano, bensì bambini dai 36 ai 48 mesi o soggetti tra i 35 e i 44 anni). Le variabili, in quanto tali, presentano valori in termini qualitativi e quantitativi, quindi è necessario procedere con le misurazioni, che ve ne sono di quattro tipi differenti:
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- Livello nominale: in questo caso i numeri hanno valore di semplici etichette, e fungono a dimostrare semplicemente una differenza; es: femmina = 1 come maschio = 2. - Livello ordinale: la misurazione si concentra sulla relazione asimmetrica di ordine crescente o decrescente dei numeri reali. Si misurano quindi in questo caso i differenti gradi di intensità dei fenomeni; es: attenzione massima = 10 come attenzione minima = 1. - Livello di intervallo: si basa sulla grandezza di un dato intervallo. Prendendo ad esempio il numero 4, esso è medesimo tra 11 e 15 e tra 20 a 24; ciò nonostante avendo uno zero arbitrario, non si possono fare rapporti. - Livello di rapporto: in questo caso invece ritenendo lo zero non arbitrario ma reale, possiamo eseguire rapporti: sappiamo che 10 è la metà di 20 e 20 è la metà di 40 ecc… Una volta comprese e calcolate le variabili e i rapporti fra esse, il ricercatore è in grado di compiere il disegno di ricerca , mediante il quale è in grado di raggiungere un’interpretazione di ciò che ha osservato e porre inoltre opportune previsioni. Normalmente in ogni esperimento i gruppi sono posti a determinate situazioni o trattamenti. In un esperimento tra i soggetti ogni trattamento corrisponde ad un gruppo; in un esperimento entro i soggetti lo stesso soggetto è sottoposto alle diverse condizioni. Nel disegno entro i soggetti , si ha il pericolo che, essendo tutti i soggetti sottoposti a tutte le condizioni, che essi vengano influenzati dall’ordine delle condizioni. Per esempio, solitamente, i soggetti hanno prestazioni migliori all’inizio dell’esperimento che non alla fine, quindi a seconda dell’ordine delle condizioni il risultato riguardo le stesse cambierà. Inoltre vi sono anche gli effetti della sequenza (effetto àncora o contrasto), che dipendono dalle interazioni tra le condizioni. Prendiamo una pallina da 100 g: il soggetto la sentirebbe più pesante se prima avesse impugnato una pallina da 30g e più leggera se prima avesse impugnato una pallina da 200g. Nel disegno tra i soggetti , per assicurarsi solidità, è necessario operare l’assegnazione casuale alla condizione, in modo che i gruppi
siano equivalenti e più o meno equilibrati. Nel disegno semplice abbiamo due gruppi: quello sperimentale e quello di controllo. Il primo gruppo è quello che viene sottoposto realmente al trattamento mentre il secondo viene sottoposto ad un trattamento fasullo. Se affiorano differenze significative tra i due risultati, si potrà affermare che il trattamento sperimentale può funzionare. In questo caso però si può incappare nell’effetto placebo, che si verifica quando i partecipanti modificano le loro risposte in assenza di manipolazione sperimentale, indotti a credere che siano comunque influenzati da una determinata condizione. Per evitare questo effetto, si usa la tecnica del doppio cieco: né i soggetti né chi somministra la condizione è a conoscenza del vero scopo delle stesse e quali delle due è la condizione sperimentale e quella di controllo. Solo lo sperimentatore ne è a conoscenza. Nei disegni tra i soggetti rientrano anche i disegni fattoriali, nei quali il ricercatore intende valutare nello stesso esperimento l’effetto di due o più variabili . Durante gli esperimenti molti sono i fattori, più o meno calcolabili, che possono portare ad una distorsione, come le variabili, l’effetto placebo ecc… tra questi un fattore importante è l’aspettativa, sia dello sperimentatore che dei soggetti, a influire molto sull’esito dell’esperimento. L’aspettativa provata da parte del ricercatore verso i soggetti può divenire l’effetto Rosenthal ( profezia che si auto-avvera), specialmente se i soggetti sono animali. Di seguito alcune delle tecniche utilizzate per la sperimentazione in ambito delle scienze e tecniche psicologiche: Tecnica self-report: utile in fase esplorativa, consiste nell’allargare un determinato campo di indagine mediante questionari, interviste o colloqui clinici.
Il questionario è standardizzato, indicato per un ampio spettro di soggetti. Può essere di tre tipi: Chiuso: quando si deve scegliere una risposta, tra quelle indicate, che più si avvicina al proprio punto di vista; Aperto: domande totalmente aperte; Scalato: la risposta è su una scala graduatoria; es: 1= totalmente in disaccordo e 5=totalmente d’accordo. L’intervista avviene tra soggetto e sperimentatore; quest’ultimo pone le domande scelte come meglio crede. Il colloquio clinico è simile all’intervista, ma lo sperimentatore inoltre chiede al soggetto di compiere un determinato compito e, durante lo svolgimento, chiede di descrivere i processi mentali che il soggetto ritiene di avere in quel momento. Come detto il metodo self-report è utile in fase esplorativa ma presenta diversi limiti: i soggetti possono fraintendere le domande, essere influenzati dalla desiderabilità e aspettativa della società, rispondere a caso o in maniera incoerente, ingannevole ecc… Procedure di osservazione: consiste nel metodo dell’osservazione del comportamento. È necessario stabilire l’importanza dei parametri della griglia di osservazione (tempo, movimenti, azioni ecc…) e, essendo questo un metodo a “zoom”, stabilire se
l’osservazione tende al microscopico o al macroscopico. L’osservazione in laboratorio ha luogo in un ambiente protetto e controllato sia nei parametri fisici (luce, suoni e rumori ecc…)sia nei comportamenti che lo sperimentatore intende osservare. Ha il vantaggio dell’attendibilità e lo svantaggio della poca validità ecologica. Da esso però derivano, grazie a sofisticate tecniche di videoregistrazione digitale, preziose osservazioni microanalitiche, grazie al quale è possibile constatare l’esistenza di microindizi altrimenti invisibili all’occhio umano, come le microespressioni. L’osservazione naturalistica si svolge in ambienti naturali (casa, piazza, negozio, foresta ecc…) e segue un piano a grana grossa, in diversi casi è episodica e ha specifiche tipologie di soggetti (bambini, disturbati, animali ecc…). Questo tipo di osservazione è specifica per lo studio del comportamento dei gruppi. Il Tempo è un fattore importante per le rilevazioni di modelli di comportamento. Grazie ad esso non solo si costituisce una dimensione lineare per esaminare la successione degli eventi, ma anche di rilevare la loro durata , la loro ripetizione nel flusso dell’interazione, così come il ritmo con cui essi si svolgono e si organizzano. Mediante il ricorso dello studio approfondito delle influenze temporali e l’utilizzo di sofisticati algoritmi, si sono scoperti i modelli nascosti di comportamento, invisibili ad occhio nudo, grazie i quali è possibile constatare che ogni individuo ripete determinate azioni regolarmente. Queste possono essere azioni constatabili facilmente (come il muoversi degli zingari) oppure con strumenti appositi (il comportamento del DNA o dei collegamenti delle reti nervose).
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Esistono poi tecniche neuropsicologiche grazie le quali si possono studiare i flussi ematici cerebrali regionali e l’attività a zona del cervello. Una volta completato l’esperimento, è necessario constatare l’attendibilità delle misure. In primo luogo, è necessario usare la tecnica test-retest: si ripete la rilevazione sugli stessi soggetti in diversi archi temporali. In seguito è necessario constatare la validità delle misure, esaminando i contenuti impiegati e il grado di connessione con altre prove che misurano contenuti simili. Le misure ottenute necessitano poi di una elaborazione finale, che può avvenire tramite statistica descrittiva o statistica inferenziale. La statistica descrittiva fornisce un quadro sintetico dell’insieme dei dati grezzi ottenuti con le misure sia della tendenza centrale sia della variabilità. Le prime sono il centro principale dei dati mentre le seconde sintetizzano la dispersione degli stessi. Con questo tipo di statistica è utile constatare la correlazione tra due variabili, che può essere positiva (più si è in grado di risolvere problemi più è alto il QI) e negativa (più l’offesa di un amico è grave più scende il livello di autostima). Il coefficiente di correlazione misura questa correlazione e va da un massimo di +1 (max positivo) a -1 (max negativo). Il valore 0 indica che le due variabili non sono connesse fra loro. La statistica inferenziale permette di fare ipotesi utilizzando i dati ottenuti. Ad esempio, con le variabili ottenute e il calcolo delle probabilità, si può inferire se un tipo di comportamento di discosta più o meno a quello standard. Poiché non siamo però in grado al 100% di dimostrare l’ipotesi di ricerca, siamo autorizzati ad accettarla solo se dimostriamo che l’ipotesi nulla (cioè quella contraria) è falsa. L’insieme dei risultati che ci consente di rigettare l’ipotesi nulla è detta regione critica, che però è soggetta anch’essa dalle leggi di probabilità. Se siamo troppo prudenti nell’accettare un’ipotesi potremmo incorrere nell’errore beta o falso negativo, cioè di non accettare ciò che in realtà esiste; per contro, se siamo propensi all’azzardo potremmo incorrere nell’errore alfa o falso positivo, quindi accettare qualcosa che non esiste. In ricerca psicologica si ritiene accettabile una differenza quando la probabilità che essa sia dovuta al caso sia al di sotto del 5% o al 1%. Questa differenza viene detta differenza significativa.
Capitolo 3 – Sensazione e percezione. Paragrafo 1 – SENSAZIONE
La sensazione può essere definita come l’impressione soggettiva, immediata e semplice che corrisponde a una data intensità dello relazioni psicofisiche, per cui a date configura
stimolo fisico. Sono le
1. 2.
Cogliamo solo una parte degli stimoli fisici presenti in natura; Cogliamo gli stimoli solo quando essi hanno una certa intensità.
Gli stimoli per suscitare una sensazione devono raggiungere un certo livello minimo di intensità, detta soglia assoluta. Gli stimoli presenti che percepiamo vengono detti sovraliminari mentre quelli presenti ma non percepiti vengono detti infraliminari. La soglia assoluta è iniziale (limite inferiore; stimolo non percepito perché poco intenso) e terminale (limite superiore; stimolo non percepito perché troppo intenso e alle volte doloroso). Anche la differenza tra due stimoli entrambi percepiti, per essere colta, deve essere di una certa intensità; parliamo dunque del superamento della soglia differenziale, che deve essere rilevata da almeno il 50% dei casi. Vi sono tre differenti metodi psicofisici per la misurazione della soglia assoluta. 1.
2. 3.
Metodo dei limiti: si parte da uno stimolo infraliminare e lo si produce via via in maniera ascendente finché non viene
percepito; viceversa si può partire da uno stimolo sovraliminare e produrlo in maniera discendente. Uno degli errori più comuni del metodo dei limiti è l’errore della direzione di serie : i valori di soglia differiscono a seconda che sia usato un metodo ascendente o discendente per il fenomeno di inerzia e abitudine psicologica. Metodo dell’aggiustamento: il soggetto “aggiusta” manualmente gli stimoli finché non li percepisce. Metodo degli stimoli costanti: il soggetto è esposto continuamente a diversi stimoli, sia infra che sovraliminari, e viene invitato a dire ogni volta che riceve uno stimolo.
Per la misurazoine della soglia differenziale i metodi sono analoghi, solo di solito si usano uno stimolo standard, che viene tenuto costante, e uno stimolo di confronto, che appunto è utilizzato come confronto e viene cambiato di volta in volta. Colla misurazione della soglia differenziale si possono incorrere in due errori: l’errore del campione (lo stimolo standard viene sovrastimato a quello di confronto) e l’errore di posizione (se gli stimoli sono posti in una data posizione nello spazio, si può verificare una sovrastima dello stimolo posto in data posizione rispetto all’altro). La psicofisica ci mostra non solo il funzionamento di determinate caratteristiche sensoriali dell’uomo, ma anche alcune caratteristiche delle stesse. Ad esempio con la legge di Weber si è scoperto che in ambito tattile, percepiamo la differenza di peso in maniera proporzionale: se ad esempio poggiamo una biglia da 50g, riusciamo a discriminare (quindi renderci conto della differenza di peso) quando poggiamo una biglia di 49 o 51 g; proporzionalmente se poggiamo una da 100g discriminiamo quella che pesa 102 o 98g, con una da 200g discriminiamo una da 204 o 96g e via dicendo. Stanley Stevens poi fondò la psicofisica soggettiva, grazie la quale poté definire il grado di giudizio personale dell’individuo, cosa che la psicofisica originaria non si prefissò di fare. L’essere umano però non solo si limita a percepire determinati stimoli, ma anche decidere se tale stimolo è realmente esistito o meno.
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Secondo la teoria della decisione statistica abbiamo quattro possibilità di scelta: 1. Vero positivo: affermare la presenza di uno stimolo effettivamente esistito; 2. Falso positivo: affermare la presenza di uno stimolo non esistito; 3. Falso negativo: affermare la non presenza di uno effettivamente esistito; 4. Vero Negativo: affermare la non presenza di uno stimolo non esistito. Con la teoria della detenzione del segnale si sono posti in evidenza due fattori utili allo studio di queste quattro matrici: A. La sensibilità dell’organismo nella finezza discriminativa, che è soggettiva; B. Il criterio soggettivo di decisione, legato ai fattori mentali del soggetto. Paragrafo 2 – PERCEZIONE.
Attraverso quello che definiamo realismo ingenuo, si crede che ciò che noi percepiamo sia esattamente ciò che esiste nella realtà che ci circonda; è vero invece il contrario, cioè che noi conosciamo la realtà fenomenica , quella che appare a noi. Per chiarire il concetto esemplificherò di seguito alcuni fenomeni: 1. 2. 3. 4. 5.
Assenza dell’oggetto fenomenico: in alcune situazione non vediamo ciò che esiste nella realtà (fig. 3.3 pag 68). Assenza dell’oggetto fisico: in alcune situazioni vediamo ciò che non esiste nella realtà (effetto Kanizsa, fig. 3.4 pag 68). Presenza di stimoli ambigui o reversibili: vediamo in un unico oggetto più figure (fig. 3.6 pag 69 e fig 3.11 pag 77). Presenza di figure paradossali : vediamo ciò che non può esistere nella realtà (fig. 3.7 pag 70) Illusioni ottico- geometriche: vediamo cose differenti da quelle che esistono (fig 3.8 pag 71).
Il passaggio dunque dalle sensazioni ai percetti è il risultato di una sequenza di mediazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche, nota come catena psicofisica. Questa catena è dunque costituita dalle stimolazioni distali (le radiazioni che vengono percepite dagli organi di senso) che scatenano reazioni negli apparati percettivi, causando stimolazioni prossimali. L’elaborazione di questi dati, per via appunto psico-fisico-fisiologica costituisce una serie di mappe topografiche , cioè quella disposizione neuronale nel cervello. In sostanza dunque, essendo la percezione intesa come attività fenomenica, può essere intesa come l’organizzazione immediata, dinamica e significativa delle informazioni sensoriali.
I flussi di processi che portano alla percezione sono due e vengono detti dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. I processi dal basso verso l’alto sono niente meno che le informazioni sensoriali che recepiamo, necessarie per lo sviluppo di una percezione ma non esaustive , poiché per loro natura sono disperse e caotiche. I processi dall’alto verso il basso sviluppano le informazioni sensoriali tramite le conoscenze della memoria, le credenze, le aspettative e gli scopi della nostra condotta. Si evince che la conoscenza influenzi i processi di percezione. Una prova empirica di questi processi è l’attività di riconoscimento degli oggetti, poiché grazie alla memoria possiamo: a. Confrontare le singole parti di un oggetto con quello standard (prototipo immagazzinato a memoria), considerando l’oggetto nella sua totalità; b. Individuare esclusivamente le caratteristiche salienti e discriminanti di un oggetto, assegnando una funzione selettiva in base alla nostra conoscenza (se ad esempio percepisco un oggetto provvisto di lama, a prescindere dalla forma, saprò che la sua funzione è quella di tagliare). Molte furono le teorie riguardo alla percezione; elencherò quelle più significative. Teoria empiristica: secondo Helmholtz (1876) i dati sensoriali costituiscono un mosaico di sensazioni elementari che vengono
integrate e sintetizzate grazie ai processi di associazione e dell’esperienza. Nell’adulto il procedimento è pressoché automatico, poiché agisce sotto forma di inferenza inconscia. Scuola della Gestalt: si oppose al principio empiristico constatando che l’esperienza ha un valore secondario. Secondo i gestaltisti la percezione non è preceduta da sensazioni, ma è un processo primario e immediato . Il campo percettivo di organizza attraverso la distribuzione dinamica delle forze generate dai vari aspetti dell’oggetto. Di seguito, queste forze vengono unificate tramite i principi di unificazione, costituendo una totalità coerente e strutturata. Movimento del New Look: è una prospettiva funzionalista, poiché pone in evidenza le funzioni della percezione. Secondo questo
movimento la percezione dipende anche da fattori mentali come bisogni, aspettative, emozioni ecc…quando il soggetto percepisce uno stimolo dunque compie un’operazione di categorizzazione: a partire da certi indizi provvede all’identificazione dello stimolo stesso. Secondo la teoria ecologica di Gisbon invece la percezione non è una rielaborazione di informazioni percettive attraverso processi cognitivi né un’integrazione con l’apporto di altre fonti, bensì un semplice insieme di informazioni ecologiche collocato in determinati spazi-temporali che deve essere colto dall’individuo. Paragrafo 3 – PRINCIPALI FENOMENI PERCETTIVI DELLA VISIONE
La percezione visiva è possibile grazie alla presenza di radiazioni luminose sia dell’informazione ottica proveniente dall’ambiente (insieme delle disomogeneità e dislivelli presenti nell’ambiente della distribuzione della luce). Con l’articolazione figura-sfondo Edgar Rubin (1915) ha posto in evidenza che non esiste figura se non c’è sfondo, poiché il rapporto figura-sfondo implica un’interdipendenza intrinseca fra stimolo e contesto. Percepiamo dunque gli oggetti non in assoluto, ma sempre in quanto immersi in un contesto immediato. Diversi sono i fattori che contribuiscono all’articolazione percezione figura-sfondo:
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1. 2. 3. 4.
Inclusione: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione inclusa nel contesto; Convessità: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione convessa rispetto a quella concava; Area relativa: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione di area minore; Orientamento: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione i cui assi sono orientati secondo le direzioni
principali dello spazio percettivo.
Quando questi fattori non intervengono, si creano le condizioni per ottenere le cosiddette figure reversibili , figure in cui si ha un’inversione tra sfondo e figura. Un altro esempio di articolazione figura-sfondo è il già citato effetto Kanizsa; le figure da lui ideate hanno contorni anomali, “quasi percettivi” e si basano sulla composizione dello sfondo. Se tale composizione viene ca mbiata e distorta otterremo un esito diverso. Tendiamo inoltre, secondo la segmentazione del campo visivo, a organizzare gli elementi singoli e/o discreti in un’unica unità. A tal proposito Wertheimer pose in evidenza alcuni principi fondamentali: 1. Vicinanza: a parità delle altre condizioni, si unificano gli elementi vicini; 2. Somiglianza: a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi simili; 3. Destino comune: a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi che condividono lo stesso tipo e la stessa direzione di movimento; 4. Buona direzione: a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi che presentano continuità di direzione; 5. Chiusura: a parità delle altre condizioni vengono percepiti come unità gli elementi che tendono a chiudersi fra loro; 6. Pregnanza: sono preferite le configurazioni più semplici, regolari, simmetriche. Si evince che l’articolazione degli elementi in unità percettive non dipende dalla qualità possedute dai singoli elementi, bensì dall’organizzazione totale della configurazione degli elementi (seguendo la proprietà del tutto, secondo cui il tutto è maggiore della somma dei singoli elementi). Per quanto riguarda la percezione della profondità i procedimenti sono molteplici e ne facciamo uso in maniera più o meno istintiva. Uno di questi è la disparazione binoculare, mediante la quale, secondo meccanismi puramente fisiologici (come la funzione degli emicampi o l’accomodamento del cristallino) la profondità viene percepita in maniera coerente. Anche importanti indizi monoculari possono farci comprendere come avvenga la percezione delle profondità, come il gradiente di densità delle microstrutture sulla retina, che varia in funzione del tipo di superficie che osserviamo. Inoltre vi sono anche indizi pittorici di profondità, utilizzati dagli artisti per incrementare il senso di profondità in un’opera essenzialmente 2d, come il chiaroscuro o la sovrapposizione di un oggetto rispetto ad un altro. Infine anche la parallasse del movimento ci fa comprendere la distanza e profondità: quando muoviamo la testa in una direzione gli oggetti percepiti si muovono in direzione opposta sulla retina e ci accorgiamo della profondità perché più l’oggetto è vicino più si muove velocemente. Le costanze percettive sono processi in base ai quali gli individui percepiscono gli oggetti nel mondo circostante come dotati di invarianza e stabilità pur al continuo variare delle stimolazioni prossimali. Secondo la legge di Euclide, la grandezza dell’immagine retinica è inversamente proporzionale alla distanza dell’oggetto dall’occhio; seppur vera questa legge, continuiamo a percepire gli oggetti lontani come dotati di una grandezza relativamente simile a quella con cui li percepiamo quando sono vicini. È il fenomeno della costanza di grandezza e avviene perché gli oggetti sono posti in un contesto che genera schemi di riferimento e in una scala costante della distanza. Brevemente, la costanza di grandezza è una proprietà del campo percettivo ed è generata dalla relazione fra l’oggetto e il contesto immediato. Come la costanza di grandezza, anche la costanza di forma è una proprietà di campo più che una proprietà degli stimoli in sé. La costanza di forma è la tendenza ad attribuire agli oggetti la medesima forma, nonostante la varietà di forme che essi proiettano nel tempo sulla retina. Grazie alla prospettiva lineare e al gradiente di densità microstrutturale è possibile spiegare questa costanza: pur con inclinazioni diverse, l’oggetto contiene il medesimo numero di elementi nelle diverse posizioni. Infine v’è da considerare anche la costanza cromatica, secondo cui gli oggetti dell’ambiente hanno un colore stabile, per quanto grandi possano essere le variazioni dell’illuminazione.
Percezione di movimento: la percezione del movimento reale consiste nella capacità di cogliere nel tempo gli spostamenti reali di un oggetti lungo una specifica traiettoria rispetto ad altri oggetti che restano immobili nello spazio percepito. Il movimento indotto confuta la teoria del movimento reale perché se prendiamo un rettangolo, all’interno del quale si trova un punto luminoso, e lo stesso è spostato in una determinata traiettoria, sarà invece il puntino ad essere percepito in movimento nella direzione opposta. Il movimento apparente consiste nella percezione di oggetti in movimento a partire da stimoli statici presenti a intervalli regolari nel tempo. Questa percezione di movimento è data dall’organizzazione temporale nella successione di stimoli statici; se questo ritmo è abbastanza rapido, emerge il fenomeno del movimento apparente (se ad esempio proietto una serie di punti vicini l’uno all’altro in una determinata direzione, a seconda della velocità percepirò o diversi punti in movimento o una linea retta in movimento). Col movimento autocinetico sappiamo invece che, privi di ogni sistema di riferimento, siamo incapaci di mantenere a lungo la traccia dell’esatta direzione verso cui si guarda. Se osserviamo ad esempio un punto luminoso in una stanza totalmente buia, il movimento oculare e quindi lo spostamento della percezione del punto luminoso sulla retina ci ingannerà, facendoci credere che sia il punto luminoso stesso a muoversi. Per neutralizzare questo effetto è sufficiente introdurre un altro punto luminoso o alternare la sua comparsa/scomparsa (come nei fari marittimi).
Capitolo 4 – ATTENZIONE, COSCIENZA, AZIONE. .
Paragrafo 1 – Attenzione
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L’attenzione è l’insieme dei dispositivi che consentono di: a. Orientare le risorse mentali disponibili verso gli oggetti e gli eventi; b. Ricercare e individuare in modo selettivo le informazioni per focalizzare e dirigere la no stra condotta; c. Mantenere in modo vigile una condizione di controllo su ciò che stiamo facendo.
Attenzione endogena: è avviata dalle nostre esigenze personali, governata dai processi mentali dall’alto verso il basso; implica un orientamento volontario. Attenzione esogena: attivata da uno stimolo esterno e regolata da processi mentali dal basso verso l’alto; implica un orientamento automatico dell’attenzione caratterizzato dal fatto che: a. Non può essere interrotto; b. Distrae l’attenzione dal compito in corso; c. Non è soggetto a interferenze da parte di un compito accessorio (secondario). Attenzione spaziale: implica l’esplorazione e volontà di conoscere l’ambiente; di solito vi è coincidenza con la direzione dello sguardo, ma non sempre, come nel caso del fenomeno della vista periferica oppure l’attenzione riposta esclusivamente in altri organi di senso. Attenzione basata sugli oggetti: essa si può concentrare solo su di un oggetto ignorando parzialmente l’ambiente. Ciò che mettiamo dunque a fuoco è il bersaglio della nostra attenzione. Il fuoco dell’attenzione consente dunque di concentrare le risorse attentive su uno specifico stimolo ambientale. Esso ha dimensioni variabili, presenta una relazione inversa con l’efficienza di rilevazione degli stimoli; si muove nello spazio a velocità costante lungo la traiettoria prescelta per raggiungere il bersaglio. La velocità e l’accuratezza della rilevazione di un bersaglio sono indici di efficacia mentale. In questa attività assume importanza la validità o meno degli stimoli ricercati, ove per validità intendiamo l’effettiva individuazione del bersaglio ricercato. Siamo dunque più precisi e veloci a individuare lo stimolo che ci interessa rispetto ad un altro. Questo avviene perché entrano in gioco fattori individuali come conoscenza, esperienza, memoria, volontà ecc.. in particolare sono gli stimoli dotati di rilevanza emotiva ad essere catturati più velocemente dalla nostra attenzione e impiegano nel tempo maggiori risorse attentive (es: rileveremo più velocemente e ci ricorderemo più a lungo di una frase negativa nei nostri confronti rispetto ad una frase neutra). La velocità di rilevazione ha una notevole importanza, ad esempio, durante gli avvenimenti di emergenza (es: incidente stradale).
Cecità al cambiamento: la forza degli stimoli salienti conduce a trascurare e/o ignorare stimoli ambientali ben visibili, in alcuni casi macroscopici. Questo procedimento si basa sull’economia delle risorse, secondo cui ci interessa individuare bersagli salienti e trascurare ciò che è superfluo. (es: esperimento del colloquio con un passante ! passaggio porta che oscuri completamente l’intervistatore ! spostamento dell’intervistatore ! 50% dei casi non si accorge dello spostamento). Effetto Simon: siamo più rapidi e i tempi di reazione sono inferiori quando la posizione dello stimolo coincide con la risposta che dobbiamo dare (es: se devo indicare una forchetta a tavola con la mano destra, i tempi di reazione saranno inferiori se la forchetta stessa è alla mia destra rispetto a se fosse a sinistra). Nella rilevazione degli stimoli entrano in funzione due processi di elaborazione: Elaborazione controllata: è lenta e consapevole, richiede un notevole impegno e una rilevante partecipazione delle 1. risorse attentive, è accompagnata da errori, non consente di svolgere altri compiti nello stesso tempo, implica un controllo diretto e costante; 2. Elaborazione automatica: rapida, non coinvolge la memoria a breve termine, non richiede risorse attentive, è sostanzialmente inconsapevole, difficile da modificare, permette di svolgere più compiti nello stesso tempo. Qualsiasi elaborazione automatica può tornare ad essere controllata secondo la propria volontà; qualsiasi elaborazione controllata può divenire automatica con il tempo e l’esperienza. In una condizione di vigilanza siamo in grado, tramite il fenomeno della selezione, di discriminare e scegliere ciò che è rilevante da ciò che non lo è. Uno dei primi a ipotizzare il funzionamento della selezione fu Donald Broadbent (1958), secondo cui l’attenzione è un filtro per selezionare le informazioni rilevanti per l’organismo. È questa l’ipotesi della selezione precoce : gli stimoli irrilevanti sono filtrati e scartati mentre solo i segnali pertinenti sono ammessi all’elaborazione successiva in base alle loro caratteristiche fisiche. Occorre però modificare questa ipotesi, essendo non esaustiva, con la teoria della selezione tardiva (Treisman, 1969): nella nostra enciclopedia delle conoscenze (specialmente i ricordi lessicali) alcuni elementi hanno una soglia di attivazione più bassa di altri, sono quindi più facilmente e rapidamente rilevati e richiedono meno analisi e, quindi, più agevolmente passano attraverso il filtro attentivo per giungere alla coscienza. A questo punto però dobbiamo affrontare la ricerca disgiuntiva e la ricerca congiuntiva degli stimoli. Nel primo caso il bersaglio differisce dagli altri stimoli distrattori per una sola caratteristica, mentre nel secondo il bersaglio è definito dalla congiunzione di più caratteristiche. (prendere ad es la fig 3.10 pag 74). La differenza tra queste due ricerche viene enfatizzata con la teoria dell’integrazione delle caratteristiche: se ricerchiamo un bersaglio in base ad una sola caratteristica basta fare riferimento solo ad essa per trovare il bersaglio; se invece lo ricerchiamo in base alla relazione di due o più caratteristiche è necessario fare controlli incrociati, spendendo maggior tempo.
Attenzione focalizzata: la concentrazione è diretta nei confronti di una sola fonte informativa. Attenzione divisa: la concentrazione è diretta nei confronti di due o più fonti informative, portando ad una accuratezza di elaborazione dati inferiore. Il fenomeno dell’attenzione divisa è l’interferenza da doppio compito. Può essere:
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a. b. c.
Interferenza strutturale: le fonti informative condividono lo steso canale di assimilazione, quindi l’attenzione non può
rivolgersi verso entrambe (es: guidare e guardare un film non possono essere azioni simultanee poiché entrambe hanno lo stesso canale di assimilazione, cioè l’apparato visivo). Interferenza da risorse: quando uno dei due compiti da eseguire richiede un estremo prezzo di risorse, esso (primario) viene eseguito in maniera molto migliore rispetto al secondario, cui vengono dedicate ben poche risorse. Interferenza da incongruenza: nell’eseguire un compito abbiamo tempi di reazioni più brevi se entrambi gli stimoli sono congruenti che non fossero incongruenti. Chiari esempi sono: l’effetto Stroop, se abbiamo cartelli di determinati colori con scritte sopra delle lettere dello stesso colore i tempi di riconoscimento del colore dello sfondo saranno minori se il colore dei due elementi fosse diverso. Effetto Navon: stessa cosa dell’effetto stroop, solo qui vengono utilizzate lettere globali composte strutturalmente da lettere locali (più piccole). Se le lettere locali sono medesime alla lettera globale il tempo di reazione sarà differente rispetto a lettere incongruenti (fig. 4.3 pag 99).
Quando gli stimoli sono in competizione fra loro si possono creare due condizioni: Competizione semplice: lo stimolo che riceve maggior quantità di risorse per la sua salienza è analizzato con maggior a. accuratezza e conduce all’attenzione focalizzata; Competizione polarizzata: gli stimoli sono presentati simultaneamente portando all’effetto dell’attenzione divisa. b. Paragrafo 2 – COSCIENZA
La coscienza può essere definita come no stato particolare della mente in cui si ha conoscenza dell’esistenza di sé e dell’ambiente. La coscienza rappresenta la mente nella sua soggettività e in modo inevitabile rinvia al concetto di sé nelle sue diverse forme. Ma non un sé statico come fosse un’entità, bensì un sé dinamico, in continuo cambiamento in funzione della situazione contingente e immediata. Il sé come processo, no come cosa. Arriviamo dunque alla differenza tra coscienza e vigilanza, poiché essere vigili è un prerequisito della coscienza, ma non è ancora coscienza. La vigilanza consente la rappresentazione mentale degli oggetti, la pianificazione di ciò che intendiamo fare, come pure di monitorare e controllare in continuazione lo svolgimento delle nostre azioni. Tuttavia non è un processo on-off , cioè valore 0 per sonno e valore 1 per veglia, bensì è un processo che mostra ampie gradualità. La coscienza consiste innanzitutto nella capacità di rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente “qui e ora” (consapevolezza funzione di comparatore, poiché consente di confrontare lo stato attuale del mondo con quello previsto in base alla propria esperienza e alle proprie conoscenze ed aspettative (consapevolezza cognitiva) . Inoltre la coscienza esercita un controllo sui processi cognitivi e, in quanto tale, svolge la funzione di sistema di rilevazione degli errori : se qualcosa non va bene nell’esecuzione di un compito attuato o previsto essa è in grado di scoprire l’errore e nel caso riprogrammare l’azione. A differenza di altre dimensioni psichiche la coscienza può essere consapevole di se stessa , in un processo teoricamente infinito (consapevolezza metacognitiva) . Questa capacità di autoriflessione è alla base dell’evoluzione ontogenetica e filogenetica umana. percettiva). Essa svolge anche una
Occorre distinguere ora i diversi livelli della coscienza: 1.
Sé originario: questi sono i processi che riguardano l’organismo e sono composti dai segnali somatoviscerali. Questi segnali, che insieme formano la cenestesi (che indica il funzionamento dell’organismo), sono di due tipi:
a. b.
Interocettivi: suscitati dai visceri; Propriocettivi: generati dalla condizione fisiologica del corpo nell’ambiente.
Grazie a questi segnali somatoviscerali possiamo sentire il morso della fame, ad esempio, e cercare di soddisfarlo. Tutte queste operazioni insieme garantiscono l’omeostasi , cioè appunto l’insieme di parametri biochimici dell’organismo mantenuti entro una gamma compatibile con la vita. Sono connessi dunque ai sentimenti primordiali, associati a sensazioni di benessere o pena. In breve, forniscono un’esperienza diretta ed immediata dell’esistenza del proprio corpo. È dunque una coscienza radicata nel corpo. 2.
Sé Nucleare: con essa vengono generate immagini mentali, che costituiscono la enciclopedia delle conoscenze e generano
3.
Sé Autobiografico: grazie ad essa siamo consapevoli di ciò che è accaduto in passato e fare previsioni in base ad esso sul futuro. È una coscienza estesa, in grado di elaborare contenuti immaginativi e mondi possibili, essenziale per la creatività umana. Questa coscienza non è elaborata da zone celebrali precise, è come se fosse presente ovunque . Il senso avanzato di questa coscienza da il senso di identità e continuità della propria vita. Consente di riflettere su se stessi, dandoci la possibilità di generare processi mentali infiniti e di giungere a forme di
quindi il “sentimento” di conoscere. In tal modo diventiamo protagonisti delle vicende, influenziamo con il nostro volere l’ambiente circostante. La coscienza si allarga con la consapevolezza dell’ambiente, non rimane più tra le mura del corpo umano. È la coscienza del qui ed ora, una coscienza frammentata, legata essenzialmente al presente e allo scorrimento continuo delle situazioni.
consapevolezza sempre più profonde tramite la meditazione. Ci consente specialmente di affrontare la “tragedia della conoscenza”: la consapevolezza della morte. Il sé autobiografico si presenta sia come sé spirituale sia come sé culturale. La progressione della coscienza è associata all’evoluzione della specie umana. Quando la coscienza assume forme diverse da quelle sopracitate si parla di stati alterati di coscienza . Qui esamineremo i tre più conosciuti e principali: il sonno, l’ipnosi e la meditazione.
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Il sonno è uno stato dell’organismo caratterizzato da una ridotta capacità agli stimoli ambientali e da una sospensione parziale della coscienza. Sorge spontaneamente e periodicamente, si autolimita nel tempo ed è reversibile. Si crea così un’alternanza sonno-veglia . Il sonno ha diverse fasi che sono due riguardanti la veglia e quattro concernenti il sonno vero e proprio; queste ultime costituiscono un ciclo di sonno e durante il riposo notturno vi sono circa 4-6 cicli completi, ciascuno di circa 90 minuti. 1. 2. 3. 4. 5.
La veglia attiva: presenta onde beta rapide e irregolari (elevata frequenza e bassa ampiezza); La veglia rilassata: con gli occhi chiusi, presenta onde più lente e regolari (alfa occipitale 8-12Hz); Stadio 1: prima stadio del sonno vero e proprio; caratterizzata da onde Theta con ampiezza ridotta; Stadio 2; contraddistinto dai <> (variazioni rapide e irregolari delle onde celebrali), si attiva dopo 10-20
minuti rispetto allo stadio 1; Stadio 3 e 4 : caratterizzati da onde delta lente e ampie, fra l’1 e i 2 Hz. Lo stadio 4 è noto come sonno profondo e svolge la funzione principale per il recupero delle forze; questo è il momento in cui un soggetto è più difficile da svegliare.
Sonno REM: il rapid eye movement, è il passaggio dallo stadio 4 allo stadio 1. Esso è detto anche sonno paradosso, poiché in questo momento le onde celebrali sono simili a quelle della veglia attiva. In questo stadio abbiamo dunque un cervello attivo in un corpo pressoché paralizzato; abbiamo inoltre un aumento dell’attività del sistema nervoso autonomo (aumento della pressione arteriosa, polso e respirazione) e un decremento del tono muscolare. Solitamente è accompagnato da un’erezione del pene e dal turgore clitorideo. Le persone che vengono svegliate in questo lasso di tempo (circa l’80% dei casi) ricorderanno più nitidamente ciò che stavano sognando. È maggior mente presente nelle fasi terminali del sonno. Sonno NREM: il sonno non-REM o sonno ortodosso (onde celebrali sincronizzate e regolari) è caratterizzato invece da un notevole rilassamento muscolare e un metabolismo celebrale al di sotto di quello dello stato di veglia di circa 30%; non è caratterizzato da movimenti oculari. Le persone che vengono svegliate in questo lasso di tempo ricorderanno meno facilmente il sogno (circa il 30%). È maggior mente presente nelle fasi iniziali del sonno. Il sonno notturno in media dura 7,5 ore, ma non è uguale per durata e qualità per tutte le persone. Vi sono infatti i brevi dormitori che dormono circa 6,5 ore a notte e i lunghi dormitori che ne dormono in media 8,5. Abbiamo poi le “allodole”, individui mattutini caratterizzati da un precoce addormentamento serale e un miglior e repentino risveglio mattutino e i “gufi” che invece si comportano in maniera opposta. Il ritmo sonno-veglia per i neonati e i bambini è polifasico (nell’arco della giornata intercambiano più volte questo ritmo) mentre negli adulti è monofasico , anche se ci sono individui che compiono un riposo pomeridiano e in qual caso abbiamo un ritmo bifasico. Vi sono due teorie che spiegano il perché della nostra necessità del sonno: a. Teoria ristorativa: secondo cui il corpo dorme per necessità di recuperare le forze sia somaticamente che cerebralmente parlando. Teoria circadiana: secondo cui il sonno è comparso durante l’evoluzione per mantenere gli animali inattivi nei momenti b. in cui non era necessario mantenere una soglia di sopravvivenza elevata. Privazione del sonno: nonostante le credenze comuni, non dormire (privazione totale del sonno) per svariati lassi di tempo (entro le
200 ore) non comporta danni o malfunzionamenti sui processi fisiologici e sulle prestazioni psicologiche, né comporta un declino delle funzioni cognitive, specialmente di quelle complesse; tuttavia l’attuazione di compiti semplici, ripetitivi e noiosi viene velocemente compromessa. Dopo alcuni giorni di privazione compaiono i microsonni, cali improvvisi di vigilanza della durata di pochi secondi in cui i soggetti non rispondono agli stimoli ambientali. Nella privazione parziale (in cui il sonno è ridotto quotidianamente rispetto al normale) osserviamo un incremento nell’efficienza del sonno: una diminuzione nella latenza di addormentamento, un decremento di risvegli notturni e una riduzione degli stadi 1 e 2 del sonno NREM, nonché una riduzione del REM. Rimane medesima la quantità di sonno dello stadio 4. L’ipnosi è un procedimento in cui un esperto ipnotizzatore induce il paziente (ipnotizzato) a sperimentare cambiamenti significativi nei propri comportamenti, in connessione con una sospensione temporanea della coscienza. Nell’induzione ipnotica , quando il paziente è consenziente e quindi esercita meno controllo della propria mente, esso accetta le indicazioni (suggestioni) dettate dall’ipnotizzatore, che possono condurre ad uno stato alterato di coscienza. In passato venivano utilizzate strategie imperative, come comandi autoritari, pendoli, occhi puntati magneticamente ecc…oggi invece la tecnica è molto meno “invasiva”: l’induzione ipnotica consiste nel raccontare una “storia” in cui si inseriscono frasi ricorrenti che conducono ad un profondo rilassamento e portano l’attenzione su un determinato pensiero. I fenomeni più ricorrenti nell’ipnosi sono: 1. Allucinazioni positive e negative: percepire qualcosa che non c’è o non percepire qualcosa che esiste; 2. Reazioni ideomotorie: rispondere con comportamenti automatici alle idee proposte dall’ipnotizzatore; 3. Regressione d’età; 4. Inibizione al dolore; 5. Incremento del recupero dei ricordi. Nella fase terminale si prepara suggestivamente il paziente al ritorno repentino alla realtà e all’ambiente, cercando di creare una amnesia postipnotica . Secondo Stanford e la sua scala di suscettibilità ipnotica il 15% della popolazione è altamente ipnotizzabile; per contro un 5/10% non può essere ipnotizzata. Secondo la psicologia ingenua sarebbero più facilmente suscettibili gli individui più suggestionabili e più accondiscendenti. È invece vero che essi sono caratterizzati da qualità distintive: a. Dissociazione: sono capaci più di altri di fare ricorso a meccanismi dissociativi (vivere una situazione non in prima persona ecc…)
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b.
Immaginazione: hanno un’immaginazione ricca, sono portati a fare sogni ad occhi aperti e riescono a concentrarsi così
c.
Disposizione al contesto ipnotico: riescono a rispondere all’ipnosi in maniera favorevole.
tanto sulle proprie fantasie da sentirsi totalmente coinvolti in esse come fossero reali;
L’analgesia ipnotica è quel fenomeno che può avverarsi durante l’ipnosi, grazie al quale l’ipnotizzato percepisce in maniera molto minore il dolore. Questo fenomeno si fonda sulla modificazione dell’attività nervosa della corteccia celebrale. Correlata all’analgesia ipnotica è il fenomeno dell’autoipnosi, attraverso cui ci convinciamo che la parte dolorante non fa parte del corpo e quindi è impossibile percepire dolore da essa. La meditazione costituisce uno stato modificato di coscienza attraverso l’esecuzione ripetitiva e sequenziale di alcuni esercizi mentali, di solito realizzati in un ambiente tranquillo. Essa crea una piacevole sensazione di benessere psico-fisico e di armonia tra sé e l’ambiente. Genera un’espansione di coscienza, simile a quella che si ottiene con l’autoipnosi. Alcuni soggetti dopo una lunga pratica di meditazione possono avere esperienze mistiche, nelle quali perdono la consapevolezza di sé e assumono forme di conoscenza più ampie. V’è lo yoga, pratica induista, lo zen, pratica buddhista cinese e giapponese. Tra queste forme tradizionali troviamo: a. La meditazione di apertura: il soggetto si concentra e non pensa a niente, facendo si che la mente sia aperta a nuove idee e sentimenti; b. Meditazione di concentrazione: il soggetto si concentra totalmente su un unico oggetto, idea o parola, escludendo ogni altra cosa. c. Meditazione trascendentale: consiste nella ripetizione mentale di suoni speciali (mantra ), che porta all’attenzione estrema su un singolo stimolo interno. Da qui il principio zen: essere totalmente presente per essere totalmente assente. A livello psicologico la meditazione trascendentale risulta opportuna per combattere lo stress negativo e gli stati di ansia cronica. Inoltre è efficace per aumentare l’efficienza mentale e la memoria, nonché per migliorare l’autostima. Anche nelle attività sportive è utile, perché favorisce il raggiungimento del massimo delle proprie potenzialità fisiche attraverso un grado ottimale di concentrazione. Non solo è utile, ma non è per niente dannosa. Paragrafo 3 – AZIONE
L’azione è una sequenza consapevole e deliberata di movimenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo, svolta in base ad un
piano e controllata dall’attenzione esecutiva , idonea a generare specifici effetti sull’ambiente.
L’insieme di azioni diverse ma coordinate tra loro per raggiungere un solo scopo è dettaattività. Come individui siamo in grado di far accadere delle cose nel corso degli avvenimenti; è il concetto di agentività, cioè quella capacità di esercitare un potere causale sugli accadimenti e di influenzare il loro andamento. Un piano è la simulazione mentale che, in base a un modello, riproduce e prefigura in modo dinamico quanto avverrà nel corso dell’azione. Ogni nostra azione è contingente, poiché è l’insieme di tutti gli esiti delle nostre attività personali congiunte agli aspetti casuali. L’attenzione esecutiva dirige e governa le operazioni implicate nello svolgimento dell’azione; funge da regia nel governo della complessa rete delle connessioni interdipendenti fra l’individuo e l’ambiente. L’alternanza del fuoco di attenzione ci permette di essere tempestivi, efficaci e dinamici nell’affrontare, svolgere e monitorare la realizzazione di attività diverse entro la stessa situazione (multitasking ). Questa alternanza ha dei costi energetici e attentivi da pagare, per passare da un’azione all’altra. L’accuratezza, la velocità e l’agilità nell’esecuzione di un’azione sono strettamente associate all’esercizio ; da ciò si evince inoltre che l’azione è una fonte intrinseca di apprendimento e che per lo svolgimento della stessa può e deve in alcuni casi intervenire la memoria lavoro, quel tipo di memoria che ci consente di produrre ciò che intendiamo fare. Dall’azione deriva infine il sentimento dell’autoefficacia, quella credenza e verifica di riuscire a controllare un’attività e di svolgerla con una buona riuscita.
Capitolo 5 – RAPPRESENTAZIONE, CONOSCENZA, SIMULAZIONE MENTALE Paragrafo 1 – RAPPRESENTAZIONE MENTALE
In generale la rappresentazione di un oggetto o evento è un’entità che sta per quell’oggetto e trasmette informazioni a esso congruenti. Per rappresentazione mentale invece intendiamo un’immagine, simbolo o modello presente nella mente, basato su una mappa cerebrale e l’esperienza, in corrispondenza a un certo oggetto o evento.
La differenza tra le cose consente alla mente di elaborare le informazioni, questo perché la differenza è alla base della conoscenza e i significati si fondano sul contrasto e sull’opposizione. La mente computazionale è la mente in grado di fare calcoli, confronti, combinazioni logiche, manipolare simboli, operazioni di misura e di classificazione, equivalenze e graduatorie, capace di scelta tra alternative, di adeguamento a regole prefissate. Secondo Fodor e la sua ipotesi esiste una sorta di universalità umana, intesa come impostazione mentale uguale per tutti. Da qui nasce la convinzione dell’esistenza di una lingua della mente (mentalese), analoga ad una lingua naturale. Seguendo l’idea si giunge alla consapevolezza che le rappresentazioni mentali sarebbero combinazioni di concetti semplici innati, e sarebbero elaborate secondo logiche regole, attente solo alla forma (sintassi) che non al contenuto (semantica). Nonostante questa cecità semantica, la mente computaziona le diviene in grado di tradurre le rappresentazioni mentali in proposizioni, divenire mente proposizionale , atta alla computazione di simboli modali (non provenienti dalle diverse modalità sensoriali o propriocettive, ma già presenti in modo innato). Si parla qui ancora del modularismo (vedere capitoli precedenti). In contrapposizione al modularismo v’è l’idea di una mente fondata momento per momento sull’interazione senso-motoria con l’ambiente. Una mente del qui ed ora. È la mente situata e radicata nel corpo.
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Grazie alla scoperta italiana dei neuroni specchio è stato possibile comprendere al meglio l’atteggiamento dell’imitazione. Essa non è mera emulazione , cioè copiare meccanicamente delle azioni senza un fine preciso, bensì un atteggiamento atto non solo alla vera e propria emulazione fisica ma anche una comprensione di intenzioni, scopi, a nticipando e facendo previsioni sugli esiti finali. Una delle fondamenta dell’imitazione è l’empatia, la dote di dirsi “gli altri hanno le stesse emozioni che io proverei al loro posto”. Il cervello è destinato a creare mappe dell’interazione costante dell’ambiente. Queste sono le mappe celebrali, grazie le quali il cervello informa se stesso, modelli nervosi in continuo cambiamento, poiché si modificano ogni istante in corrispondenza ai cambiamenti che hanno luogo nei neuroni implicati. A livello fenomenologico le loro rappresentazioni costituiscono le immagini mentali generate dalle corrispondenti mappe cerebrali momentanee di una data situazione. Come si è dimostrato con gli esperimenti di deprivazione totale dei sensi, l’interazione con l’ambiente è essenziale al cervello poiché senza non è autosufficiente. Diviene ovvio dunque il collegamento tra cervello e mente. Quando qualcosa non funziona nel nostro corpo, il segnale cerebrale corrispondente va a condizionare in modo rilevante la mente a livello cognitivo (trovare una spiegazione plausibile), emotivo (ansia, preoccupazione), comportamentale (prendere un farmaco) ecc…viceversa se qualcosa non va in modo regolare nella nostra mente (idee fisse, stress, paure immotivate ecc…) si riverbera profondamente sul piano biologico nel nostro organismo (disturbi psicosomatici ecc…). Paragrafo 2 – CONOSCENZA
La conoscenza è un’attività fondamentale della nostra mente che ci consente di capire e spiegare le cose. Alla base delle conoscenza v’è la comprensione, quella capacità di intendere ed interpretare in modo appropriato una data situazione, stabilendo le dovute connessioni e relazioni fra le sue varie componenti. Comprendere vuol dire inoltre cogliere il significato. Il significato, inteso sia come riferimento alla realtà, sia come valore linguistico, sia come percorso interpretativo dell’esperienza è una realtà non monolitica, bensì complessa e analizzabile. Comprendere vuol dire infine trovare una spiegazione plausibile e sufficientemente attendibile del fenomeni e degli eventi dell’esperienza. La conoscenza porta alla categorizzazione. Essa è un’attività mentale universale, basilare per gli esseri umani. Va intesa come la capacità di rendere equivalenti entità differenti fra loro discriminabili, di raggruppare oggetti, eventi e persone in classi, nonché di rispondere ad essi in quanto componenti di una classe piuttosto che per la loro unicità. In quanto risultato di convenzioni, le categorizzazioni dipendono dalla cultura di riferimento. Si creano dunque naturalmente delle categorie. In quanto tali, le categorie costituiscono, nel loro insieme, un sistema di differenze. Siamo in grado di categorizzare le cose perché il nostro cervello e la nostra mente lavorano sulla base delle differenze. È la differenza il motore che genera la conoscenza, la comprensione e l’intelligibilità delle cose, il pensiero e il mondo dei significati. Le categorie possono essere impiegate per fare delle inferenze sulla base di loro proprietà implicite. Il processo dell’induzione basata sulle categorie rende possibile la conoscenza al di là dell’esperienza immediata ma, a mio modesto parere, se utilizzata con eccesso può portare alla creazione di stereotipi. Secondo Rosch le categorie presentano due dimensioni: una verticale e una orizzontale. La dimensione verticale consente di collegare fra loro diverse categorie attraverso il processo di inclusione. In questo caso le categorie di base sono le più importanti poiché hanno maggiore validità di indizio (es: se non conoscessi l’utilizzo di un badile potrei facilmente categorizzarlo tra gli oggetti di lavoro agricolo manuale, avendo esso un’impugnatura di legno tipica e una testa di metallo). La dimensione orizzontale di una categoria concerne il modo in cui ogni categoria è organizzata al proprio interno e quali relazioni sono istituite fra i suoi diversi membri in termini di appartenenza e rappresentatività. I vari membri della categoria non sono tutti uguali, ma alcuni di essi si presentano come prototipo, poiché sono i migliori esemplari della categoria, quelli che rappresentano meglio e che sono dotati di maggiore salienza. Le categorie per somiglianza di famiglia sono quei tipi di categorie in cui possono essere riunite in un gruppo e sono determinate dalla polisemia semantica della una parola (differisce da sinonimia e omonimia). In sostanza ad esempio la parola FRESCO può avere un significato molteplice: nuovo o recente, in condizioni ottimali o incontaminato, infine non caldo. Le categorie radiali invece sono quelle categorie intese come ramificazioni che partono da una categoria centrale e procedono in modo associativo. Le categorie funzionali sono basate su uno scopo e ciascuna di esse è formata in modo coerente dai componenti indispensabili per raggiungerlo. La categorie ad hoc non emerge finché non sono attivate le nostre conoscenze enciclopediche e comprendono le proprietà degli oggetti e come esse sono fra loro collegate. Ad esempio un sasso, una sedia, un dizionario sono prese in un contesto nella norma come oggetti non raggruppabili nella stessa categoria; ma se ad esempio una porta sbatte per il vento, possono rientrare nella categoria ad hoc, poiché tutte, grazie ad una qualità (in questo caso peso sufficiente per lo scopo) possono bloccare la porta. È dunque una categoria momentanea e contingente, utilissima per il risparmio di energie cognitive e la facilitazione del problem solving. Alla domanda “esistono categorie universali?” non si può che rispondere: no, non possono esistere perché ogni cultura ha una propria concezione sia dell’ambiente in cui vive sia di categorizzarlo ergo, com’è ovvio nella loro relatività, le categorie mentali più che nella natura risiedono nella cultura, che è diversa in tutto il mondo. La conoscenza, sia come comprensione sia come categorizzazione, consente dunque di acquisire informazioni sia sulla nostra esperienza diretta sia su quella altrui. Vanno a formarsi naturalmente diversi tipi di conoscenza e di reazione delle stesse. Le conoscenze dichiarative sono in breve le conoscenze esplicite, che promuovono l’acquisizione di nuove teorie, modelli o concetti. Sono conoscenze consapevoli; sono il “che cosa” sappiamo e riguardano i fatti.
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Le conoscenze procedurali sono invece acquisite tramite le procedure e le azioni; sono in sostanza il “come” sappiamo fare le cose e riguardano le competenze operative. In molti casi queste conoscenze portano alla formazione di conoscenze tacite, implicite, in contrapposizione con quelle esplicite. Queste si configurano, solitamente in modo progressivo, dalle pratiche quotidiane e dai procedimenti seguiti per raggiungere un certo risultato. Spesso queste conoscenze sono impiegate in modo meccanico per accorciare i tempi e per ridurre l’impegno nella pianificazione ed esecuzione delle attività. Infine la conoscenza riflessiva è la conoscenza derivata dalla rivisitazione della nostra esperienza, per creare una conoscenza più critica e consapevole. Paragrafo 3 – SIMULAZIONE MENTALE
Parliamo in questo paragrafo della mente simulativa. La simulazione in generale è la riproduzione di oggetti o eventi attraverso l’elaborazione di appositi modelli. È la rappresentazione proporzionale di un aspetto dell’ambiente. Fra modello e fenomeno esiste una struttura equivalente e dinamica di rapporti. Costruendo ipotesi, si crea dunque con la simulazione il mondo del possibile, ciò che ora non esiste ma che potrà esistere in futuro. Ovviamente, in quanto riproduzione , la simulazione non è realtà. La simulazione ha enormi vantaggi per la conoscenza e la comprensione dell’esperienza, poiché consente di esplorare un numero elevato di funzioni e processi mentali: dalla ricostruzione del passato all’anticipazione del futuro, alla presa di decisione e alla creatività ecc… Può accadere (in realtà molto spesso, anche agli scienziati) che nello stabilire connessioni fra teoria e fatti compaiano distorsioni mentali. Nel formulare giudizi e prendere decisioni siamo soggetti a distorsioni ricorrenti, come quella della conoscenza retrospettiva o hindsight bias: è l’errore del senno di poi, cioè credere di aver previsto correttamente l’esito di un evento quando l’evento è ormai noto. Inoltre v’è anche la fallacia della pianificazione: le persone spesso si mostrano ottimiste quando prevedono i tempi di completamento di un compito crederlo di terminarlo in anticipo. Spesso questa previsione fallisce poiché non si tiene conto degli innumerevoli imprevisti che possono accadere. Per evitare di incorrere in questi errori è necessario usare le debiasing stragies , strategie mentali simulative nelle quali si considera l’opposto: non solo l’attenzione va riposta nella veridicità delle nostre supposizioni, ma va inoltre riposta nei perché il tale ragionamento è in potenza sbagliato. La simulazione è uno strumento formidabile, unico dell’essere umano, poiché non solo permette di ri-creare una condizione, ma anche di crearla da zero, come nei casi dei libri, videogiochi, realtà virtuali ecc… Come detto la simulazione è uno strumento molto potente sia per ricostruire il passato (pensiero controfattuale) sia per anticipare il futuro (pensiero prefattuale ). Nel primo caso ci riferiamo ovviamente ad avvenimenti già accaduti e ipotizz iamo cosa sarebbe potuto accadere se ci fossimo comportati in maniera differente da ciò che realmente è avvenuto. È una forma di pensiero condizionale, in cui siamo di fronte al modo congiuntivo delle possibilitò: rispetto ad una situazione ipotetica, in cui solitamente le persone si concentrano solo ad un’unica possibilità (solitamente connessa con le proprie aspettative), nel modo congiuntivo si presta attenzione sia a ciò che realmente accaduto sia alla possibilità che sarebbe potuta accadere. Le simulazioni prefattuali, cioè le anticipazioni mentali di come attuali condizioni reali possano essere in potenza nel futuro, hanno utilità ben chiare sia in ambito individuale sia in ambito scientifico. A livello individuale queste simulazioni concernenti il proprio futuro sono assai più frequenti di quanto crediamo e servono a disegnare il futuro del proprio sé possibile. La pianificazione del proprio futuro consolida il senso della nostra identità, precisa la traiettoria della nostra vita e quindi implica una miglioria a livello del presente sotto diversi versanti. Soddisfa in modo efficace il bisogno di sentirsi preparati , capaci di governare l’incertezza del futuro in caso sia di opportunità (autorealizzazione) che di minacce (autoprotezione). Le simulazioni concernenti il nostro futuro oscillano fra la desiderabilità e la fattibilità. È in gioco in contrasto mentale fra il conseguimento di un futuro desiderato e la valutazione delle condizioni attuali disponibili per raggiungere tale stato. Infine la simulazione è il motore di base di ogni forma di creatività umana. Paragrafo 4 – LIMITI DELLA SIMULAZIONE
I motivi dei limiti della simulazione si basano su due caratteristiche delle stesse: l’architettura e l’utilizzo. L’architettura è il livello di costruzione della simulazione da parte degli esperti e se è distorta, o quanto meno, lontana dai fenomeni che intende rappresentare è indubbiamente destinata al fallimento, poiché presenta una bassa validità di costrutto. A livello dell’impiego della simulazione da parte dei destinatari possiamo avere un impiego “cieco”, automatico delle simulazioni. In altri casi i fruitori possono avere un alto livello di aspettativa e fiducia nei confronti della simulazione, col rischio di confondere la realtà con la finzione. È necessario ricorrere per non incappare in tali errori nel principio del rispetto-sospetto: trattare i fenomeni col rispetto dovuto e con il necessario sospetto. Si riducono così le possibilità dell’errore dello stimolo (descrivere non ciò che si osserva ma ciò che già si sa) e l’errore dell’esperienza (attribuire alla propria realtà proprietà che invece appartengono in modo esclusivo al soggetto). La simulazione può anche portare a conseguenze patologiche o lesive nei confronti di sé e degli altri. Vi sono dunque i reati di simulazione: un comportamento diretto a far sorgere in altri un falso giudizio sia per mezzo di dichiarazioni concordate fra le parti ma non corrispondenti all’effettiva volontà delle stesse (simulazione di contratto = truffa), sia con la denuncia di fatti inesistenti o diversi da quelli realmente accaduti (simulazione di reato), sia con la fabbricazione di documenti fasulli o con la contraffazione di prodotti. Sul piano relazionale vi sono persone con una personalità machiavellica, solite a servirsi della simulazione machiavellica. Essa consiste in una ricostruzione appositamente manipolatoria della realtà, con la trasformazione sistematica dei dati di realtà a proprio esclusivo vantaggio.
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Infine vi sono simulazioni deliranti, con elevati gradi di deformazione della realtà; di solito in queste simulazioni vi sono sempre indizi di realtà, trovabili solo grazie ad un’investigazione attenta e acuta.
Capitolo 6 – APPRENDIMENTO ED ESPERIENZA Paragrafo 1 – Esperienza come fonte di apprendimento
L’apprendimento è inteso come una modificazione relativamente duratura e stabile del comportamento a seguito di un’esperienza di solito ripetuta nel tempo. La radice di qualsiasi tipo di apprendimento è l’esperienza, ergo, ogni apprendimento è esperienziale, ci mette nella condizione di imparare sempre. L’apprendimento quindi è un vincolo , non possiamo non imparare, poiché l’alternativa sarebbe, vista la mancanza di stimoli per il cervello, il coma vegetativo. In quanto connesso con l’esperienza l’apprendimento è situato, legato al contesto immediato e radicato nell’organismo. In taluni casi procediamo con un apprendimento intenzionale, orientato a raggiungere uno scopo, in altri casi abbiamo un apprendimento accidentale, dovuto a fattori imprevedibili; la maggior parte delle volte però abbiamo un apprendimento contingente, che implica la combinazione tra elementi incidentali che provengono dall’ambiente e opzioni operate dagli individui in base ai loro interessi ed esigenze. L’apprendimento latente invece è una forma di apprendimento implicito: impariamo senza accorgercene. Questo apprendimento può avere luogo grazie alla semplice esposizione all’ambiente e introduce la distinzione tra competenza e prestazione. Secondo Tolman, nello svolgimento delle varie attività abbiamo modo di scoprire le connessioni che esistono nell’ambiente in base a indizi o segnali. Tale rilevazione conduce alla costruzione di mappe cognitive, facilitando l’animale a trovare la soluzione più breve ed efficace ( principio del minimo sforzo). Chiari esempi sugli esperimenti sui ratti a pag.155. L’apprendimento latente dunque ha un’importanza fondamentale non solo per ragioni di economia di risorse mentali e cognitive, ma anche per le grandi opportunità che ci offre. Come accennato nel cap. 5 grazie alla riflessione sull’esperienza per tornare all’esperienza giungiamo ad un apprendimento riflessivo. Infine siamo disposti anche di un apprendimento fisiologico che, essendo un vincolo per la nostra sopravvivenza e per il mantenimento della salute fisica e del benessere mentale, ci permette di conseguire con efficacia un governo del nostro corpo. Paragrafo 2 - APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO.
Grazie allo sviluppo celebrale gli individui sono in grado di compiere previsioni riguardo a: 1. Quali eventi seguono ad altri eventi nell’ambiente; 2. Quali eventi sono controllabili e quindi modificabili. Per raggiungere questo traguardo è necessario essere in grado di associare due o più eventi fra loro . È l’apprendimento associativo. Connessi a questo tipo di apprendimento vi sono i riflessi, cioè quelle azioni di risposta condizionate/incondizionate che abbiamo rispetto ad un dato stimolo. Il condizionamento pavloviano (da Pavlov) comporta l’associazione tra gli stimoli incondizionati (SI), le risposte incondizionate (RI), gli stimoli condizionati (SC) e le risposte condizionate (RC).
Quando ad una SC viene associata una RC tutti gli stimoli simili ad SC daranno una RC. È il fenomeno della generalizzazione dello stimolo: quanto più lo stimolo è simile a quello originario, tanto più forte è la risposta.
Apprendimento per prove ed errori : il fenomeno grazie il quale si dimostrò, con l’esperimento del gatto nella problem-box, che le risposte corrette tendono ad essere ripetute mentre quelle erronee ad essere abbandonate. Legge dell’effetto: la connessione dei legami associativi tra stimolo e risposta dimostra che essi non dipendono solo dalla loro contiguità temporale (come con Pavlov), ma anche degli effetti che seguono la risposta. Legge dell’esercizio: la ripetizione di una risposta diventa tanto più probabile quanto più spesso è ripetuta. Skinner introdusse la distinzione tra: a. Comportamenti rispondenti: derivano da riflessi innati o appresi tramite il condizionamento pavloviano e la risposta non è controllata; b. Comportamenti operanti: non derivanti da riflessi innati ma emessi spontaneamente dall’animale. Egli dimostrò inoltre che una ricompensa costituisce un rinforzo al condizionamento e alla risposta emessa in seguito. Le ricompense possono essere positive (gratificazione) o negative (eliminazione di situazione negativa). Per converso anche le punizioni hanno effetti simili e possono anche loro essere positive (stimolo doloroso) o negative (diminuzione gratificazione). I rinforzi possono essere continui o parziali; Skinner constatò che quelli parziali sono quelli più efficaci, poiché conducono al fenomeno dell’assuefazione. Giunse alla definizione dei piani di rinforzo per favorire l’incremento di un certo comportamento:
Piano di rinforzi a intervallo fisso: il rinforzo è fornito a scadenze regolari (come gli stipendi); Piano di rinforzi a intervallo variabile: il rinforzo è fornito in lassi temporali variabili, ottenendo una linea crescente continua; Piano di rinforzi a rapporto fisso: il rinforzo è fornito dopo un numero sempre uguale e prefissato di risposte (lavoro a 3. cottimo); 4. Piano di rinforzi a rapporto variabile: il rinforzo è fornito dopo un numero di risposte che varia in modo casuale (lotteria). Tra questi è l’ultimo rinforzo ad essere più efficace. 1. 2.
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Da considerare anche l’apprendimento che avviene tramite la selettività dell’associazione; gli uomini, così come gli animali, sono capaci di scartare correlazioni casuali e di selezionare solo le relazioni causa-effetto interessanti. Questo condizionamento associativo selettivo non è riducibile solo ad un accoppiamento tra due eventi temporalmente contigui. Anche l’apprendimento tramite intuizione o insight è da tenere conto; esso si fonda sull’attivazione di processi cognitivi che conducono alla soluzione di difficoltà e d’imprevisti che incontriamo nel corso della vita quotidiana, quindi allo svolgimento del problem-solving. Paragrafo 3 – APPRENDIMENTO DA MODELLI
L’apprendimento può essere individuale o sociale. L’apprendimento individuale è la competenza nell’acquisire nuove informazioni a seguito di un’esperienza personale nell’interazione diretta con l’ambiente. È un apprendimento costoso (dal punto di vista di risorse cognitive), è lungo, è soggetto ad errori, tuttavia è efficace in situazioni di cambiamento ambientale repentino. L’apprendimento sociale è la capacità di acquisire nuove conoscenze e pratiche tramite e con i propri consimili. È un apprendimento da modelli, poiché implica l’interazione con l’ambiente e fondata sull’esperienza di altri. È un apprendimento economico, veloce, stabile, con un alto livello di attendibilità, esteso e condiviso; tuttavia nei periodi di cambiamento e di turbolenza viene meno, poiché tende a riproporre forme già consolidate e quindi obsolete. Uno degli apprendimenti per così dire innati è il fenomeno dell’imprinting, sia dal punto di vista faunistico che umano. Esso è un apprendimento qualitativamente differente da quello associativo, si basa sul legame neonato-modello, avviene in un lasso di tempo breve ed è pressoché irreversibile. Questo lasso di tempo viene chiamato periodo sensibile, cioè quel periodo nel quale le influenze ambientali sono più efficaci per l’apprendimento di conoscenze e abilità. Nell’uomo questo lasso di tempo varia circa tra i 2 e i 6 anni d’età, periodo fertile per l’apprendimento delle lingue. L’apprendimento osservativo comprende l’interazione dei neuroni specchio, l’interdipendenza tra percezione e azione e il ricorso a processi cognitivi. Implica un’interazione modulare tra individui e non la successione tra stimoli. Dall’apprendimento osservativo scaturisce l’apprendimento imitativo, cioè quando un individuo riproduce in modo consapevole l’azione di un altro per ottenere il medesimo scopo/risultato di quest’ultimo. Si evince l’importanza dell’interazione sociale che avviene tra gli individui, sia tra adulto/adulto che tra adulto/bambino. Grazie all’interazione sociale, tra gli altri, avviene anche l’apprendimento culturale: attraverso conversazioni, riunioni, pasti, tradizioni ecc…gli uomini possono acquisire nuove informazioni in modo indipendente dalla dotazione genetica; questo comporta ad un accumulo perpetuo degli apprendimenti che non può avvenire tra gli animali. Paragrafo 4 – ORGANIZZAZIONE GERARCHICA DELL’APPRENDIMENTO.
L’apprendimento non è un processo lineare per semplice accrescimento, bensì ricorsivo e circolare, cioè ciò che abbiamo appreso fino ad ora è la premessa per ulteriori e diversi apprendimenti . Nascono in questo modo diversi livelli di apprendimento, conseguenti l’uno all’altro.
1. 2. 3. 4.
L’apprendimento zero: avviene quando siamo giunti al massimo dell’apprendimento di una certa competenza; L’apprendimento uno: consiste nella modificazione della condotta dell’individuo e implica un miglioramento delle prestazioni in oggetto. Le prestazioni iniziali sono lente, ma mano a mano che si avanza esse diventano più repentine e meno soggette ad errori. L’apprendimento due: è la naturale conseguenza dell’apprendimento uno; consiste nell’imparare ad imparare. Per raggiungere questo livello occorre che le situazioni di un certo apprendimento uno siano simili e comparabili tra loro. L’apprendimento tre: è un cambiamento nel processo di apprendimento due e consiste nella modificazione dei contesti di apprendimento dell’individuo. Esempi sono la conversione o gli effetti della psicoterapia, in cui quando ha successo v’è una modificazione delle premesse cognitive, affettive e sociali. Paragrafo 5 – APPRENDIMENTO DA MONDI VIRTUALI.
Grazie allo sviluppo dei media esiste l’apprendimento a distanza, come l’e-learning. Si basa sulla formazione a distanza e non è più il discendente della sapienza a doversi adattare ai processi di apprendimento, bensì è l’insegnamento ad adeguarsi alle esigenze del discendente; inoltre vi è un’elevata indipendenza nel processi di apprendimento, visto che si è svincolati sia dalla presenza fisica che di orari precisi. Occorre però un monitoraggio costante dell’apprendimento, sia via valutazione esterna che autovalutazione. Vi sono poi i serious game, quelle attività digitali interattive che attraverso la simulazione virtuale consentono ai partecipanti di fare esperienze precise ed accurate (anche complesse), in grado di promuovere attraverso la forma del gioco percorsi attivi, partecipanti e coinvolgenti di apprendimento nei vari domini dell’esistenza umana. Ovviamente in Italia non si sono mai visti. L’apprendimento derivante dai serious game è di tipo esperienziale, in cui il virtuale è una riproduzione attendibile e fedele dei processi di realtà. È un imparare facendo . Infine i serious game comportano una valutazione dinamica , repentina e in tempo reale, nello stesso momento in cui un’azione viene svolta. Paragrafo 6 – FONDAMENTI BIOLOGICI DELL’APPRENDIMENTO.
Mi basti sapere che è l’epigenetica che esplora le possibilità e modalità illimitate dell’interdipendenza fra gene e ambiente. L’ambiente è (quindi indirettamente anche l’esperienza) la “terza elica” del DNA, poiché i geni da soli, non sono in grado di agire e produrre alcun comportamento.
Capitolo 7 – MEMORIA E OBLIO
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Paragrafo 1 – NATURA DELLA MEMORIA
La memoria è la capacità di conservare nel tempo informazioni apprese e di recuperarle quando servono in modo pertinente. Ogni nuova esperienza comporta dei cambiamenti nei circuiti nervosi, quindi la memoria è un sistema in continuo divenire¸ nella sua natura dinamico. Per certi aspetti noi siamo la nostra memoria. È la nostra storia come individui (memoria personale) e come comunità cui apparteniamo (memoria collettiva). La memoria però essendo un’elaborazione individuale di dati soggettivi, rielaborati poi secondo criteri esclusivamente personali, è soggetta a distorsioni. Solitamente, inoltre, tendiamo a rielaborare nel tempo un miglioramento dei ricordi (ottimismo mnestico). La memoria è strettamente correlata all’oblio, che vedremo in seguito. La memoria è di due grandi insiemi: la memoria a lungo termine e la memoria di lavoro (chiamata una volta a breve termine). La memoria a lungo termine ha una natura multisistemica, formata da processi e insiemi anche diversi fra loro. (fig. 7.1 pag 179). Episodica
M. dichiarativa
Semantica
M. lungo termine Memoria -
-
M. non dichiarativa
Procedurale Apprendimento associativo Apprendimento non associativo
M. lavoro, sensoriale La memoria procedurale riguarda la conservazione delle competenze e procedure con cui fare le cose; tale memoria è valutabile solo attraverso l’esecuzione delle attività in oggetto. La memoria dichiarativa concerne la conservazione delle conoscenze sui fatti che possono essere acquisite in una volta sola e che sono direttamente accessibili alla coscienza. La memoria episodica si riferisce alla capacità di memorizzare e recuperare eventi specifici e contiene informazioni spaziali e temporali che definiscono il dove e il quando l’evento ha avuto luogo. In media le donne presentano risultati migliori con questo tipo di memoria. Questa memoria è talvolta caratterizzata dai flash di memoria, ricordi particolarmente vivi di eventi sorprendenti che ci hanno colpito in modo p rofondo a livello emotivo e cognitivo. La memoria semantica va considerata come un lessico mentale che organizza le conoscenze che una persona possiede circa le parole e i simboli e le relazioni fra essi esistenti. La memoria esplicita è la conservazione di informazioni che riguardano specifici eventi o conoscenze generali. La memoria implicita riguarda la capacità di ricordare senza averne consapevolezza, poiché è una conoscenza che si manifesta in prestazioni senza che il soggetto ne abbia coscienza. (es: abilità motorie). La memoria autobiografica indica la capacità di conservare le informazioni e le conoscenze legate al sé a partire, in media, dal 3° anno d’età. Essendo la memoria in genere una componente essenziale dell’identità umana, chi soffre di amnesia compromette la propria identità. La memoria retrospettiva concerne la conservazione e il recupero di ricordi riguardanti fatti, episodi e conoscenze del passato. È la nostra storia. La memoria prospettica è la memoria per gli eventi futuri, il ricordarsi che si dovrà fare qualcosa . Paragrafo 2 – MEMORIA COME PROCESSO
Per poter depositare la memoria, prima è necessario codificarla. La codifica consiste nel trasformare un’informazione in una rappresentazione mentale collocata in un deposito di memoria. Ad esempio, pensando all’attenzione , è chiaro che se non prestiamo attenzione ad un determinato evento lo ricorderemo meno facilmente. L’attenzione, insieme ad altri fattori emotivi e motivazionali, determinano la forza della codifica. Abbiamo, con la teoria dei livelli di elaborazione, stimato tre livelli: 1. 2. 3.
Livello superficiale: ci fermiamo ad aspetti strutturali e fisici di uno stimolo; Livello intermedio: consideriamo anche gli aspetti fonologici di uno stimolo (come suoni, rime, assonanze); Livello profondo: consideriamo le componenti semantiche.
Vi sono però degli effetti che contribuiscono a dare forza alla memoria: 1. 2.
Effetto produzione: quando siamo attivi nella produzione delle informazioni, le ricordiamo molto di più; Effetto distanziamento temporale: a parità del numero di ripetizioni, la codifica è assai più potente se è distribuita nel tempo in differenti periodi, anziché in un periodo unico.
Allan Paivio ha sottolineato l’importanza del sistema a doppia elica della codifica: essa è sia verbale che immaginativa . Le componenti immaginative sono più semplici da ricordare, primo dal punto di vista filogenetico (sono proporzionalmente più anni in cui l’uomo pensava per immagini che non per parole), secondo dal punto di vista immediato le immagini sono più velocemente codificabili e da esse può derivare la componente verbale. Quindi le parole ad alto valore di immagine sono più facilmente ricordabili che non quelle a basso valore di immagine . È grazie alla ritenzione che conserviamo nei magazzini di memoria le informazioni acquisite. Per favorire questo processo si utilizza la reiterazione (quando ad esempio per fissare meglio nella mente qualche informazione continuiamo a ripeterla).
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Le informazioni immagazzinate sono disponibili ad essere recuperate nel momento opportuno in base alle nostre esigenze, ma può avvenire anche per caso, quando siamo esposti ad indizi che ci rievocano nella mente qualcosa già avvenuto. Il recupero delle informazioni è sotteso a diverse operazioni mentali: Rievocazione: capacità di ricordare in modo spontaneo la quantità massima possibile del materiale prima esposto; 1. 2. Riconoscimento: capacità di identificare correttamente le informazioni presentate in precedenza distinguendole da altre informazioni non pertinenti, note come distrattori; Riapprendimento: capacità di apprendere nuovamente nozioni già conosciute. Questo metodo si rivelerà essere più 3. veloce e semplice del primo apprendimento. La memoria come citato prima può essere distorta.
Falsa attribuzione: fenomeno comune, accade quando uno stimolo è simile ma non uguale ad uno precedentemente avuto. Domanda fuorviante: metodo per comprendere quanto la memoria possa essere influenzata da altri stimoli. L’esperimento che fecero ad una classe di bambini fu il seguente: fu chiesto loro di che colore fosse la barba dell’insegnante dell’anno precedente, se nera o castana. Una buona percentuale rispose in un modo e la restante nell’altro. La verità è che l’insegnante non aveva la barba. Come già detto, la ricostruzione dei ricordi è un affare puramente soggettivo, poiché basato sull’esperienza.
Daniel Schacter elencò quelli che egli ritenne essere i “sette peccati” della memoria: Labilità - carenza da omissione: debolezza della memoria a ricordare ciò che abbiamo fatto a distanza temporale, 1. specialmente se abitudinaria; Distrazione – carenza da omissione : mancanza di attenzione 2. Blocco – carenza da omissione: incapacità di ricordare un’informazione che, in realtà non abbiamo dimenticato e che ci 3. verrà in mente quando sarà inutile; Errata attribuzione – carenza da commissione : riferire un’informazione di un ricordo a una fonte o a un contesto 4. sbagliato; Suggestionabilità – carenza da commissione : induce e crea ricordi falsi; 5. Distorsione – carenza da commissione : indica il processo secondo cui i ricordi del passato vengono modificati in base alle 6. convinzioni attuali; Persistenza: è l’incapacità di dimenticare, porta alla ruminazione mentale , secondo cui si torna spesso sugli stessi ricordi, 7. specialmente se son negativi. Gli studi di tutti questi fattori legati alla memoria sino ad ora citati hanno portato alla creazione della psicologia della testimonianza, branca della psicologia che si occupa della validità, attendibilità e accuratezza dei ricordi di un testimone.
Ipermnesia: capacità lucida di ricordare scene complesse in tutti i particolari, anche se lontane dal tempo; avviene in caso di eccitazione o esaltazione della memoria/coscienza. Amnesia: perdita totale o parziale della memoria a seguito di un trauma fisico o psichico o di una malattia cerebrale. Può essere retrograda quando la perdita di memoria riguarda le informazioni prima del trauma e anterograda se invece si ricordano gli eventi passati ma non si avesse più possibilità di ricordare nulla di nuovo (come nell’Alzheimer). Paragrafo 3 – OBLIO E DIMENTICANZA
L’oblio è l’eliminazione volontaria o involontaria di informazioni già memorizzate . Costituisce una componente adattiva della memoria e va distinto dall’amnesia, poiché quest’ultima è patologica mentre l’oblio è inevitabile. L’oblio svolge un lavoro di selezione, poiché pur essendo molto potente non è infinita, ergo se vogliamo ricordare alcuni processi e funzioni indispensabili, talune informazioni vanno dimenticate. Ci sono svariate ipotesi su come l’oblio operi, come quella del disuso . La più attendibile comunque è la teoria dell’interferenza , che è di natura duplice: a. Interferenza proattiva: i ricordi remoti interferiscono e/o inibiscono l’assimilazione di nuovi; b. Interferenza retroattiva: i ricordi recenti limitano o danneggiano quelli passati. Questa spiega come mai è più facile ricordare la sera che non il mattino. Ai i processi dell’interferenza sono correlati gli effetti primacy e recency, già affrontati in Psicologia Sociale. Infine l’oblio può essere provocato anche dal blocco di un’informazione già depositata in memoria. Si verifica quando vi sono diverse associazioni riferite ad un indizio e una di essere è più forte delle altre, ostacolando il recupero totale delle informazioni del target. Paragrafo 4 – MEMORIA DI LAVORO
La memoria lavoro (ML) può essere paragonata alla RAM dei pc, dove la memoria a lungo termine è l’hard disk. Come la RAM, la ML è completamente flessibile rispetto ai contenuti e quanto più è estesa tanti più “programmi” può far “girare” insieme. La capacità della ML è direttamente proporzionale alle nostre competenze mentali (intelletto, ragionamento, linguaggio). Come detto il termine ML viene sostituito a quello precedente, cioè memoria a breve termine . La MBT è una memoria assai precaria e volatile, di duratura relativamente breve. In presenza di compiti distrattori la volatilità della MBT può diventare molto elevata, con una durata di appena due secondi.
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Se desideriamo non perdere le informazioni, occorre ripeterle con frequenza per mantenerle in quel dato spazio chiamato tampone di reiterazione. La memoria sensoriale è la capacità di mantenere in modo sostanzialmente fedele le informazioni ambientali. È una memoria modale , poiché corrisponde alle varie modalità sensoriali. Le informazioni sensoriali vengono tenute nel registro sensoriale. La ML è suddivisa, secondo il modello Baddeley e Hitch, in quattro sistemi. 1. 2. 3. 4.
Esecutivo centrale: è il sistema flessibile per il controllo e la regolazione dei processi cognitivi richiesti dalla situazione. Governa gli altri tre sistemi, è in grado di cambiare i piani di reiterazione e attivare momentaneamente la MLT. Circuito fonologico: concerne il parlato e conserva l’ordine in cui le parole sono presentate. Taccuino visivo-spaziale: riguarda l’immagazzinamento e il trattamento delle informazioni visive e spaziali, nonché delle immagini mentali. Tampone episodico: sottosistema schiavo, è dedicato a collegare le informazioni provenienti da diversi ambiti per formare unità integrate e coerenti.
Paragrafo 5 – COME PREPARARE GLI ESAMI
Uno dei metodi più efficaci è quello ideato da Legrenzi, ed è chiamato PQ4R. 1. 2. 3. 4. 5. 6.
Preview: scorrere in modo preliminare i vari capitoli, di modo da arsi un’idea generale. Questions: porsi delle domande relative al contenuto dei capitoli. Read: leggere attentamente sezione dopo sezione, cercando di rispondere alle domande. Reflect: riflettere su quanto si sta leggendo, capirne il significato. Recite: alla fine di una sezione cercare di ricordare le informazioni in essa contenute e rispondere alle domande, senza guardare il testo. Review: rassegna finale, alla fine del capitolo ripensarlo nel suo insieme e verificarne la corretta semantica.
Capitolo 8 – DECISIONE, RAGIONAMENTO E CREATIVITÀ Paragrafo 1 – ESPERIENZA DIRETTA E PENSIERO
Solitamente quando abbiamo una sensazione ambigua riguardo a ciò che abbiamo sentito (es: della figura del bosco al buio), è la nostra prima impressione fare da matrice per le impressioni seguenti. Questo avviene tramite il sistema di riconoscimento, che ci fa assumere una certa probabilità a priori sulle impressioni. Quando poi otteniamo nuove informazioni, siamo disposti a cambiare l’impressione iniziale, ma sempre da essa partono poi i lavori di elaborazione. Questa procedura è rapidissima e inconscia. Paragrafo 2 – LA DECISIONE
Quando dobbiamo prendere una decisione, qualsiasi essa sia, si va a creare una sorta di albero decisionale nella nostra mente. Esso parte dal punto di decisione (il momento in cui siamo posti dinanzi alla scelta) e si dirama nella possibilità dello status quo (mantenere la situazione com’è) oppure si dirama verso un’altra scelta. Ovviamente prendere una scelta diversa comporta dei rischi (ad esempio finire in una situazione peggiore di quella precedente), senza contare ovviamente la possibilità del lato positivo; d’altro canto anche il rimanere sullo status quo può comportare dei rischi (perdere una buona occasione). Quando siamo posti dinanzi a delle scelte che in possibilità possono o farci vincere o farci perdere, subentra la tendenza dell’avversione alle perdite, grazie la quale si rischia pure di evitarle (finendo in possibilità in una situazione di maggiore perdita), questo perché è chiaro il fatto che le perdite fanno più male rispetto al guadagno. Inoltre quando si vive in questa avversione, subentra anche l’effetto dotazione, ovvero la preferenza per ciò che si ha per il fatto stesso che è in nostro possesso. Ovviamente prendere una scelta non è semplice, poiché subentrano diverse e infinte variabili come il rapporto tra le possibili decisioni, il passare del tempo e l’utilità soggettiva. Capita alcune volte però che abbiamo cadute dell’autocontrollo, scegliendo le azioni di gratificazioni immediate. Queste, per quanto piacevoli sul momento, possono avere pessimi risultati nel futuro (come l’abuso di alcool o l’utilizzo di sostanze stupefacenti). Siamo indotti a comportarci così da una tendenza ad apprezzare il presente e a “svalutare” il futuro lontano (tendenza chiamata sconto temporale). Paragrafo 3 – INDUZIONI, ABDUZIONI, ANALOGIE E CREATIVITÀ
Induzione: ragionamenti che producono generalizzazioni a partire da esperienze, ma che non conducono a conclusioni necessarie. L’induzione, basandosi esclusivamente sulla propria esperienza, è in possibilità falsa. (es di Johnson Laird nel bar italiano, pag 210). Abduzione: è lo strumento che utilizziamo per dare un senso all’induzione; non abbiamo quindi solo fatto una generalizzazione, ma la abbiamo anche spiegata.
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Analogia: metodo ulteriore per produrre conoscenze di fronte a nuove situazioni; procedendo col cosiddetto ragionamento analogico (es: ho una vite da svitare, non ho un cacciavite piatto ! uso uno strumento simile per compiere l’azione per cui il cacciavite era destinato), deduciamo una conoscenza. Essa, come le abduzioni, ovviamente, non garantiscono conclusioni certe. Sono cinque i processi che caratterizzano il ragionamento analogico: 1. 2. 3. 4. 5.
Recupero: va tenuto nella ML un bersaglio, mentre si accede a un caso più familiare che troviamo nella MLT. Corrispondenze: tenendo nella ML sia la sorgente sia il bersaglio, bisogna allinearli. La mente costruisce un ponte che poggia sulle proprietà che sorgente e bersaglio hanno in comune. Valutazione: decidere se l’analogia è utilizzabile ed efficace. Astrazione: isolare le invarianti tra sorgente e bersaglio. Spiegazione e Predizione: sviluppare ipotesi sul comportamento o sulle caratteristiche del bersaglio basandosi su quello che si sa della sorgente.
Paragrafo 4 – DEDUZIONI
La deduzione è quella capacità di ricavare conoscenze “vere” a partire da altre conoscenze “vere”, semplicemente pensandoci su; è stata definita la quintessenza dell’umanità. La logica invece consiste nel precisare le regole che permettono di ricavare conclusioni da premesse, indipendentemente dal fatto che esse siano vere o false. Dai primi studi filosofici a.C., dove si insegnava a convincere gli altri con la retorica e a pensare bene con la propria testa e a smascherare gli altri con la logica. Da questi primi studi siamo arrivati, solo da una cinquantina d’anni, alla psicologia sperimentale del ragionamento. Per molto tempo si è pensato che l’uomo avesse una sorta di logica naturale, un insieme di regole che producevano le prestazioni corrette. Con gli studi di suddetta psicologia, è stato scoperto invece che la variabile cruciale non è la logica in sé, bensì il contenuto del ragionamento . (a pag 216 in poi vi sono esempi pratici sulla logica). Paragrafo 5 – L’INCOERENZA E LA FOCALIZZAZIONE
L’incoerenza , legata per natura all’irrazionalità (per meglio definire, incongruenza) è un aspetto abbastanza evidente nella sua natura, ergo non mi cimenterò nella spiegazione di esempi inutili e prolissi. Per quanto riguarda la focalizzazione è quella sorta di restringimento della visione su poche opzioni. Tale focalizzazione conduce spesso a ritenersi soddisfatti di una ricerca delle alternative possibili anche quando la ricerca è incompleta, questo perché ci fidiamo specialmente nelle nostre medesime impressioni e/o idee. L’errore poi, se prendiamo ad esempio un caso in cui è necessario scegliere tra l’azione e la non azione, è che ci si focalizza maggiormente sulla ricerca delle informazioni sull’azione e non sulla non azione. Tralasceremo dunque la ricerca di informazioni su azioni alternative, ed è sbagliato, poiché per una migliore soluzione è necessario considerare la maggior parte di variabili. Paragrafo 6 – SOLUZIONE DI PROBLEMI E CREATIVITÀ
Nella vita incappiamo spesso in problemi di svariata natura; vi sono quelli di semplice e veloce risoluzione e quelli inv ece complessi. Per quelli complessi possiamo ricorrere a due strategie: a. Suddividere il problema in sottoproblemi e risolverli uno ad uno; b. Non usare algoritmi di soluzioni, ma euristiche. Gli algoritmi sono una serie di regole che, se adottate esplicitamente, permettono di risolvere il problema; sono regole utilizzabili quando non vi sono eccessive possibilità. Le euristiche sono strategie e scorciatoie mentali, regole che non riescono a dare una descrizione esaustiva delle strategie per giungere alla soluzione. Le euristiche non portano alla soluzione ottimale, ma possono portare comunque a risultati soddisfacenti. Seguendo la tendenza a focalizzarsi che abbiamo visto, una delle euristiche più potenti è quella dell’analisi mezzi-fini. A tale scopo è utile affrontare un problema distinguendo: 1. 2. 3. 4.
Stato iniziale: il modo in cui vengono descritte le condizioni di partenza; Stato-obbiettivo: il modo in cui viene illustrato l’obbiettivo; Operatori: operazioni per passare da uno stato all’altro; Stati intermedi del problema: stati che si ottengono applicando un operatore a uno stato in vista del raggiungimento dell’obbiettivo.
Queste quattro componenti definiscono lo spazio del problema. Simon (1982) mostrò che la risoluzione dei problemi (problem solving) è comparabile alla progettazione. Inoltre la risoluzione da parte di agenti a razionalità limitata (cioè coloro che sono costretti ad usare esclusivamente euristiche, dato il loro limite cognitivo) procede tramite la decomposizione del problema stesso. Si ottengono così sottoproblemi che si possono risolvere uno ad uno.
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In determinati casi possiamo parlare anche di soluzioni creative dei problemi, cioè soluzioni pressoché inventate da zero e a cui nessuno ha pensato prima. In qualsiasi caso avvenga la risoluzione di un problema, per velocizzare il processo è necessario adottare la strategia basata sulla falsificazione delle ipotesi . Come già noto, tendiamo a focalizzarci su data idea o ipotesi (meccanismo di fissazione) e questo può portarci a non vedere soluzioni creative oppure ad una risoluzione veloce e coerente. Quindi, quando creiamo una prima ipotesi dobbiamo subito pensare a confutare l’ipotesi opposta, in modo da verificare la prima. Siamo talmente abituati alle funzioni per cui uno oggetto è stato inventato che non riusciamo a vedere e concepire funzioni alternative. Infine la creatività alla base di scoperte scientifiche importanti non utilizza processi cognitivi diversi da quelli che utilizziamo tutti i giorni per risolvere i nostri problemi. È l’importanza sociale, artistica o scientifica del prodotto che ne determina fama e celebrità.
Capitolo 9 – COMUNIAZIONE E LINGUAGGIO Paragrafo 1 – COMUNICAZIONE, COMPORTAMENTO, INTERAZIONE
Noi siamo esseri comunicanti. La comunicazione non è un mezzo per mettersi in contatto con qualcuno, bensì un vincolo costitutivo con noi stessi.; costituisce una piattaforma mentale in cui convergono le funzioni cognitive, relazionali ed espressive. Come detto nel cap 1 è tramite il simbolo che l’essere umano ha potuto iniziare a comunicare come al giorno d’oggi. È necessario precisare che la comunicazione non conincide con il comportamento, inteso come una qualsiasi azione motoria di un individuo osservabile in una qualche maniera da un altro. V’è però tra essi un rapporto di inclusione: ogni comunicazione è un comportamento ma non ogni comportamento è una comunicazione, poiché nella comunicazione deve esserci necessariamente un certo gradi di intenzionalità. Similmente, è necessario distinguere fra comunicazione e interazione , intesa come qualsiasi contatto (sia volontario che involontario) fra due o più individui. Come nel primo caso anche qui abbiamo un rapporto di inclusione: ogni comunicazione è un’iterazione ma non ogni interazione è una comunicazione. Tutto ciò che non è comunicazione rimane a livello di notizia, cioè dei semplici dati. Dunque la comunicazione è uno scambio interattivo osservabile fra due o più individui, dotato di un certo grado di consapevolezza e di intenzionalità reciproca, capace di partecipare e di far condividere un certo percorso di significati sulla base di sistemi convenzionali secondo la cultura di riferimento Paragrafo 2 – PRINCIPALI PUNTI DI VISTA SULLA COMUNICAZIONE
Vi sono diversi punti di vista riguardo alla comunicazio ne; ne sono citati alcuni: 1. 2. 3.
Modello matematico: la comunicazione va intesa come una trasmissione
di informazioni, dove l’informazione è intesa come una dimensione della realtà indipendente rispetto a quella di massa e di energia, poiché essa è espansiva, comprimibile e facilmente trasmissibile. Modello Semiotico: la semiotica è la scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale; secondo la semiotica la comunicazione deve specialmente valutare come avviene il processo di significazione. Modello Pragmatico: che differisce dalla semantica (significato dei segni) e dalla sintassi (relazione formale tra i segni), poiché la pragmatica (che esplora la relazione dei segni coi parlanti) si occupa dell’uso dei significati. I modi con cui i significati sono impiegati nelle diverse circostanze.
Grice distinse fra la logica del linguaggio e la logica della conversazione . La prima si occupa a livello superficiale dei significati; la seconda considera i processi che gli individui usano per inferire ciò che il parlante intende comunicare. La logica della comunicazione implica la differenza fondamentale tra il dire e il significare. Fra questi due livelli esiste uno scarto, poiché ciò che è significato è più esteso di ciò che è detto. Per superare lo scarto è necessario fare ricorso ad un lavoro mentale chiamato dallo stesso Grice implicatura conversazionale. Costituisce un impegno comunicativo aggiunto per andare oltre le parole dette, in modo da individuare l’intenzione comunicativa del parlante. La comunicazione si articola su più piani: quello della comunicazione intesa come i contenuti che si scambiano e la metacomunicazione, cioè la comunicazione sulla comunicazione, la cornice con cui intrepretare i messaggi. La comunicazione diventa lo spazio che crea, mantiene, modifica e rinnova i legami fra i soggetti. La comunicazione diventa la base costitutiva dell’identità personale e della rete di relazioni cui ciascuno è inserito. Paragrafo 3 – NATURA DEL SIGNIFICATO
Secondo la semantica logico-filosofica il significato di una parola o di una frase è dato dal rapporto che esiste tra linguaggio e realtà. In quanto insieme di condizioni di verità il significato non è un monolite, ma una realtà articolata, scomponibile in unità specifiche.
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Per la semantica vero-condizionale il significato sarebbe composto da un insieme limitato di tratti semantici, intesi come condizioni necessarie e sufficienti ; ad esempio, per descrivere l’uomo, potremmo usare questi tratti semantici: animato, umano, maschio e adulto. La semantica strutturale si prefigge di giungere a una definizione esclusivamente linguistica del significato. Essa concepisce il significato come valore, ossia la possibilità per ogni parola di essere confrontata e opposta a qualsiasi altra parola della medesima lingua. Facendo un esempio la parola PERA non è da considerare in senso positivo dell’identità della pera e ciò che essa è, ma è da considerare riguardo al confronto con tutti gli altri termini opponibili della lingua. PERA è quello che è poiché nessun altro termine occupa quella posizione in quella lingua . È una semantica differenziale in negativo: il significato di un termine non è definito per quello che è ma per quello che non è. La semantica cognitiva ha interpretato il significato come il modo con cui comprendiamo le espressioni linguistiche e con cui rappresentiamo mentalmente la conoscenza della realtà. È di facile comprensione quindi che il significato, nella sua natura convenzionale, è anche il prodotto della partecipazione di più persone, è uno scambio interpersonale. Paragrafo 4 – INTENZIONE COMUNICATIVA
Grice ha distinto tra intenzione informativa (ciò che viene detto) e intenzione comunicativa (ciò che intendiamo dire). È necessario parlare della forza dell’intenzione, direttamente proporzionale sia all’importanza dei contenuti trasmessi sia alla rilevanza dell’interlocutore. Essa genera il fuoco comunicativo, quel processo attivo di concentrazione dell’attenzione e dell’interesse del parlante su certi aspetti della realtà da condividere con il destinatario. Esiste dunque una gerarchia delle intenzioni. Lo stesso Grice sostenne che per avere successo è necessaria una reciprocità intenzionale: uno scambio comunicativo deve essere caratterizzato non solo dalla manifestazione di un’intenzione comunicativa da parte del parlante, ma anche del suo riconoscimento da parte del destinatario. In modo più articolato, il destinatario procede con una reale attribuzione di intenzione al messaggio del soggetto, percependolo attraverso le proprie idee e intenzioni. Paragrafo 5 – LINGUAGGIO
Ogni lingua è un sistema simbolico che consiste nella corrispondenza regolare fra un sistema di differenze di suoni e un sistema di differenze di significati. Ogni linguaggio è ovviamente composto da simboli arbitrari e convenzionali , e risulta idoneo a generare un numero illimitato di enunciati e discorsi partire da un numero limitato di elementi (generatività). La composizionalità della lingua comporta: a. La sistematicità: gli enunciati possono essere composti solo seguendo le regole sintattiche previste dalla lingua; b. La produttività: la lingua permette di generare e comprendere un numero infinito di significati che possono costituire un numero illimitato di enunciati; c. La possibilità di dislocazione: la referenza spaziale e temporale diversa da quella dell’enunciato non fanno perdere significato allo stesso (es: se al bar dirò ai miei amici “domani ci vediamo in Uni” [dislocazione differente] la semantica non cambia). La fonetica è lo studio fisico della produzione e percezione dei suoni linguistici. La fonologia è lo studio dei suoni di una lingua in rapporto alla loro funzione distintiva e discreta nella comunicazione linguistica. La morfologia è lo studio delle strutture interne delle parole e descrive le varie forme che esse assumono a seconda delle categorie di numero, genere, modo, tempo e persona. Il lessico è l’insieme delle parole di una data lingua. La sintassi è l’insieme organico delle regole che governano la formulazione degli enunciati e dei discorsi. Chomsky sostenne con la teoria della grammatica universale, e unendo la fonologia e la morfologia alla sintassi, che la derivazione grammaticale delle lingue è il prodotto di un insieme limitato di regole naturali e universali. Per converso, Sapir e Whorf con la concezione della relatività linguistica, sostennero che il linguaggio sia un prodotto storico, culturalmente definiti e in grado di influenzare il modo in cui le persone pensano e agiscono. Paragrafo 6 – COMUNICAZIONE NON VERBALE
Vi sono diversi sistemi di cnv (vedere schema pag 259). Abbiamo anzitutto il sistema vocale, composto da caratteristiche: a. Paralinguistiche: variazioni tono, intensità e velocità del parlato, pause comprese; b. Extralinguistiche: proprietà foniche della voce dell’individuo che dipendono dall’appa rato fonico. La mimica facciale, in quanto esito dei movimenti volontari e involontari del volto, costituisce un sistema semiotico privilegiato, poiché è una regione focale del corpo per attirare l’attenzione e l’interesse degli altri. Le configurazioni universali delle mimiche facciali furono studiate da Paul Ekman e Wallace Friesen. Anche lo sguardo è un potente segnale comunicativo, così come i gesti, anche se questi ultimi costituiscono un sistema nv distinto, articolato in diverse categorie: 1. Gesti iconici: accompagnano il parlato; 2. Pantomima: rappresentare situazioni o azioni; 3. Emblemi: gesti simbolici o stereotipati, come quello dell’autostop;
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4. 5.
Gesti motori: adattamento in situazioni di stress e di tensioni. Linguaggio dei segni: quello usato dai sordo-muti.
I sistemi di contatto: la prossemica concerne la percezione, l’organizzazione e l’uso dello spazio, la distanza e del territorio nei confronti di altri. L’aptica fa riferimento all’insieme di azioni di contatto corporeo con un altro individuo.
Capitolo 10 – VALORI, DESIDERI E MOTIVAZIONI Paragrafo 1 – VALORI E DESIDERI
Come esseri umani tendiamo a dare alle cose un valore; per la sicurezza, per l’immagine e prestigio, per l’economia, per la fede o per avidità ecc…il valore tuttavia non è cosa assoluta, ma relativa nella sua natura, poiché nient’altro è che una convenzione. I valori sono costrutti motivazionali che definiscono ciò che consideriamo importante e che indicano quali scopi siano da raggiungere. Possiamo dunque dire che ha valore ciò che per noi è desiderabile e positivo. Ognuno ha e si crea la propria gerarchia dei valori. La psicologia del desiderio ha ricevuto ottimi apporti dalla più recente psicologia positiva; questa ha focalizzato la sua attenzione sul benessere soggettivo e sulle qualità della vita, seguendo una prospettiva sia edonica (dimensione del piacere come benessere personale) sia eudaimonica (realizzazione del piacere come benessere personale). Il desiderio è il tendere a qualcosa il cui raggiungimento riteniamo ci consentirà di trovarci in uno stato delle cose migliori rispetto a quello passato e attuale. Per definizione il desiderio è unicamente connesso con la realizzazione futura ed è strettamente connesso anche con il costrutto della speranza. Nell’appagamento del desiderio gioca un ruolo fondamentale la ricompensa, che causa effetti positivi sia a livello neurobiologo sia a livello mentale. Come detto, essendo il valore una convenzione, è impossibile ritenere corretta l’ipotesi di valori assoluti, anzi, questa contingenza tipica del valore ha consentito e consente la formazione di prospettive ispirate al relativismo. D’altro canto però, pur ammettendo questa natura contingente, dal valore deriva la necessità sia individuale che sociale di creare gerarchie più o meno ritenute valide per un gruppo consolidato. Facendo un esempio il valore che diamo all’oro, seppur in maniera convenzionale, è necessariamente diffuso su gran parte del globo tra molte delle civiltà esistenti. Questi valori comuni fanno si che si crei la possibilità ad un pluralismo, una via intermedia tra assolutismo e relativismo. Legato al pluralismo v’è il principio della tolleranza: è la disponibilità degli individui ad accettare la diversità come risorsa quale condizione per raggiungere forme soddisfacenti di convivenza tra i gruppi. È la comprensione e il governo delle diversità all’interno del parametro delle pari dignità. Di conseguenza nasce il principio dell’intolleranza dell’intolleranza , secondo cui per dare forza al principio della tolleranza, è necessario non tollerare la non tolleranza. Paragrafo 2 – MOTIVAZIONE
La motivazione è una spinta a svolgere una certa attività e si può definire come un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali. Esistono diversi livelli della motivazione: Riflessi: è il sistema più semplice di risposta dell’organismo come reazione a stimoli esterni o interni. a. b. Istinti: sequenze congenite, fisse e stereotipate di comportamenti specie-specifici su base genetica in relazione a date sollecitazioni ambientali. Bisogni: condizione fisiologica di carenza e necessità (fame, sete, sesso ecc…) c. Pulsioni: esprimono uno stato di disagio e di tensione interna che l’individuo tende a eliminare o, quanto meno, ridurre d. qualora i bisogno non siano soddisfatti. e. Incentivi: da distinguere dalle pulsioni, essi rappresentano gli oggetti e/o eventi in grado di venire incontro ai bisogni dell’individuo. Quindi ad esempio, un panino può essere l’incentivo per soddisfare un bisogno (fame) che a sua volta creò pulsioni interne proprio a causa del mancato soddisfacimento. Le motivazioni possono essere in genere di due tipi: 1. Motivazioni primarie: bisogni fisiologici; 2. Motivazioni secondarie: processi di apprendimento sociale. Esiste dunque una gerarchia dei bisogni, illustrata da Abraham Maslow (pag 275), secondo cui se i bisogni più gerarchicamente elevati non vengono soddisfatti, quelli di livello inferiore vengono presi poco o niente in considerazione. Il paragrafo 3 è relativo alle motivazioni della fame come esempio.
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Paragrafo 4 – PUNTI DI VISTA SULLA MOTIVAZIONE
Vi sono diverse teorie e ipotesi per spiegare la natura della motivazione. A. Teoria biologica: alcuni centri nervosi sono sottesi alle motivazioni, quindi si ritenne che tali centri fossero in grado di spiegare in modo esauriente la loro genesi e il loro svolgimento e che fossero al servizio dell’omeostasi, concepita come l’esigenza di conservare in modo stabile nel tempo i livelli di equilibrio adatti per il funzionamento dell’organismo. B. Concezione comportamentista: il comportamentismo propose un modello esplicativo dei bisogni degli individui fondato sull’interazione fra pulsioni e abitudini. È la sensazione di mancato soddisfacimento che porta alla spinta propulsiva. C. Prospettiva cognitivista: ribalta il punto di vista del comportamentismo, sostenendo che le motivazioni e bisogni cambiano in rapporto alla qualità delle informazioni provenienti dall’ambiente che siamo in grado di elaborare. Secondo il cognitivismo tendiamo a raggiungere il successo cercando di evitare l’insuccesso; inoltre fornisce elementi utili per spiegare l’induzione di bisogni nuovi negli individui. D. Interazionismo: secondo il punto di vista interazionista le motivazioni sono suscitate, alimentate e regolate dalle interazione con gli altri. Paragrafo 5 – MOTIVAZIONI SECONDARIE
David McClelland individuò tre grandi costellazioni di motivazioni secondarie: 1.
Bisogno di affiliazione: ricercare la presenza degli altri per la gratificazione intrinseca che deriva dalla loro compagnia e dalla sensazione di appartenenza ad un gruppo; uno dei bisogni di affiliazione più noti e importanti è la relazione di attaccamento che il bambino ha con la genitrice o con la figura di accudimento principale. Dal bisogno di affiliazione derivano comportamenti prosociali, che sono alla base dell’aiuto, cooperazione e condivisione. Il caso estremo ed emblematico è quello dell’altruismo che genera azioni vantaggiose per terzi, anche a discapito di un costo personale.
2.
Bisogno di successo: consiste nella motivazione a fare sempre meglio per un intrinseco bisogno di affermazione sociale e di eccellenza. Chi ha tale bisogno tende a prefiggersi obbiettivi impegnativi ma realistici. Una delle radici di questo bisogno sta nelle aspettative genitoriali ricevute durante la crescita. Quando tali aspettative sono elevate e realistiche vi è una buona probabilità che il figlio generi un elevato bisogno di successo. Quando invece le aspettative sono troppo alte (irraggiungibili) o troppo basse (demotivazionali) è possibile che il bisogno di successo abbia una natura modesta e contenuta.
3.
Bisogno di potere: consiste nell’esercitare in qualsiasi ambito la propria influenza e il proprio controllo sulla condotta di altre persone. Chi ha questo bisogno tende ad occupare cariche socialmente elevate ed influenti, e non teme il confronto né la competizione. Vi sono diversi livelli di leade rship: autoritario, democratico e permissivo.
Al di là di questi bisogni, esiste una necessità motivazionale di funzionare per la soddisfazione derivante dal funzionamento stesso. L’esercitare un’attività è gratificante di per sé, poiché in tal modo si possono dimostrare competenza e fiducia nelle proprie risorse. Entra in gioco la competenza di base, intesa come capacità di realizzare con successo i propri obbiettivi. Su questa piattaforma motivazionale si distunguono: a. La motivazione intrinseca: svolgere un’attività perché gratificante in sé; b. La motivazione estrinseca: svolgere la medesima attività per raggiungere un altro scopo. In linea generale, concludendo, il livello motivazionale del soggetto è dato dalla quantità e qualità dei suoi interessi, intesi come la tendenza a preferire determinati stati di sé e del mondo. Gli interessi sono strettamente correlati con il piano emozionale, delineando il sistema credenze-interessi-emozioni che costituisce il cuore dell’esperienza umana ed è alla base della definizione della propria identità.
Capitolo 11 – EMOZIONI E AFFETTI Paragrafo 1 – CHE COS’È UN’EMOZIONE
Le emozioni sono processi emergenti in funzione dell’organismo e degli accadimenti all’interno di un dato contesto (situazionalità). Sono dispositivi mentali di adattamento attivo all’ambiente, in grado di consentire all’individuo di rispondere in modo flessibile, efficace e dinamico agli accadimenti contingenti. L’interesse è il cuore delle emozioni, poiché è ciò che attribuisce significato affettivo agli eventi. È ovvio che le emozioni siano strettamente collegate con le relazioni interpersonali; sono indispensabili per avviare, mantenere, modificare, rafforzare o rompere la relazione con un’altra persona.
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Teoria periferica: secondo James, l’emozione è il sentire i cambiamenti a livello neurovegetativo che hanno luogo a livello viscerale, nel sistema nervoso enterico. È la situazione rilevante che scatena una data risposta in questo sistema simpatico (come dilatazione della pupilla, accelerazione del battito ecc…) e noi, percependo il cambiamento, sentiamo l’emozione. Si evince che il corpo e la mente sono in continua connessione e influenza reciproca. Si da inoltre molto peso al sentimento che non coincide con l’emozione, ma si aggiunge a essa e consente di “sentirla” in modo consapevole. Teoria centrale : in contrapposizione alla teoria periferica, essa espone la teoria che il principale centro emotivo sia situato nella zona talamica del cervello. Entrambe le teorie si sono dimostrate, pur essendo contrapposte, entrambe vere, poiché entrambe hanno colto (seppur parzialmente) aspetti importanti della vita emotiva. Teoria dei programmi affettivi : intorno agli anni sessanta, l’emozione ha iniziato ad essere studiata anche sotto il punto di vista psicologico e non solo neurobiologo. Rifacendosi alle teorie evoluzionistiche, molti studiosi asserirono che ogni emozione è regolata da uno specifico programma affettivo nervoso, evolutosi nel tempo per consentire alla nostra specie un adattamento efficace al proprio habitat. All’interno di questa prospettiva, oltre alle analisi dell’evoluzione riguardanti le espressioni emotive motorie così come comportamenti ed esperienze, sono state individuate sei emozioni di base (primarie): collera, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa. Esse vanno considerate come blocchi emotivi evolutivi universali, cui ogni individuo è dotato. È quindi una concezione categoriale delle emozioni, poiché sono considerate come generi naturali immodificabili. Le emozioni di altra natura sono miste, dette secondare, e sono delle miscele delle emozioni primarie. Accenniamo qui che Paul Ekman individuò nelle espressioni facciali l’universalità delle sei emozioni primarie, in quanto configurazioni distinte del sistema nervoso autonomo. Teoria dell’apprasail: sostiene che le emozioni siano suscitate da un’attività di conoscenza e di valutazione della situazione in riferimento ai propri significati, interessi e scopi. Il manifestarsi delle emozioni avrebbe dunque una natura esclusivamente situazionale e contingente e hanno una configurazione componenziale, poiché le emozioni sono intese come mediatori fra il mondo interno e quello esterno, variando secondo alcune componenti continue. Da qui nasce la definizione di emozione modale, cioè quell’emozione che è più compatibile con una data situazione. Es: se veniamo colti di sorpresa da un uomo che ci vuole derubare, le emozioni modali saranno sorpresa e paura. La prospettiva dell’apprasail consente inoltre di capire meglio le vicissitudini delle emozioni nel loro decorso, poiché le stesse non sono solo suscitate dall’avverarsi di tali eventi, ma possono essere suscitate anche da altre emozioni. Si ha dunque ad esempio, che nel caso del ladro poc’anzi menzionato, l’emozione modale della sorpresa dopo tempo variabile scompaia, facendo posto alla collera e/o al disgusto. Teoria costruttivistica: le emozioni si configurano non come fenomeni biologici bensì come prodotti sociale e culturali; esse vanno intese come uno standard di condotta sociale, acquisito verso educazione familiare e scolastica, che indica e prescrive come comportarsi in date situazioni. Si evince quanto, secondo la teoria, l’emozione sia puramente situazionale, contingente e nella sua natura relativa. La teoria da inoltre, ovviamente, estrema importanza alla relazione emozione-memoria. Paragrafo 2 – PRINCIPALI COMPONENTI DELLE EMOZIONI
Le componenti puramente neuro-fisiologiche cui riferirsi riguardo all’emozione sono l’ipotalamo e l’amigdala. Il primo svolge la funzione di governo del sistema autonomo ed è la sede della regolazione centrale dell’ambiente interno dell’organismo (omeostasi : temperatura, fame, sazietà, sete, sessualità ecc…). Esso produce reazioni emotive complete, riscontrabili negli atteggiamenti predatori, difensivi, competizioni intrasessuali ecc…presenti in tutte le forme animali. La seconda invece è un sistema di connessione e di raccordo fra tutte le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente e i vari sistemi di risposta emotiva. Dal punto di vista mentale le emozioni sorgono come risposta alle informazioni che definiscono il significato delle situazioni (come visto nell’apprasail). Le emozioni positive sono contingenti, rispecchiano i cambiamenti e diminuiscono con il ripetersi degli stimoli piacevoli, mentre quelle negative persistono nel tempo. Questo avviene a causa della nostra inclinazione a prestare maggiore attenzione e a imparare di più dalle informazioni negative che da quelle positive. È la distorsione della negatività, intesa come disposizione generale ad essere influenzati molto più dalle info negative che da quelle positive. Come detto, le emozioni sono connesse con la memoria. Ma possono essere influire positivamente o negativamente con la memoria stessa? In generale, rispetto agli stimoli neutri, quelli emotivi suscitano un potenziamento della memoria, specialmente nella donna che rafforza i processi di memoria con gli eventi emotivi. L’attivazione emotiva condurrebbe a mettere a fuoco le parti centrali e salienti dell’episodio emotivo (restringimento dell’attenzione ) a svantaggio delle informazioni periferiche. Questa memoria tunnel sarebbe l’esito combinato di una forte attivazione dell’organismo e di una valenza negativa degli stimoli. Parliamo anche di memorie flash, ricordi connessi con eventi pubblici fortemente emotivi (come l’assassinio di Kennedy o il crollo delle Twin Towers). Nei disturbi da stress post-traumatico le persone manifestano rilevanti disturbi della memoria, in cui si alternano intrusioni involontarie dei ricordi del trauma (flashback o incubi notturni) e assenza di ricordi (amnesia traumatica, deterioramento mnemonico e frammentazione di ricordi).
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La produzione di ormone cortisolo, specialmente sull’ippocampo, potrebbe portare a disturbi e deterioramenti della memoria persino irreversibili. La produzione di tale ormone è strettamente collegata con gli eventi traumatici. Effetti simili son stati rilevati anche in soggetti costretti ad un prolungato ed eccessivo utilizzo di cortisone.
Paragrafo 3 – SVOLGIMENTO DELLE EMOZIONI
L’emozione procede secondo questa sequenza di fasi: insorgenza, sviluppo, apice, decremento, estinzione. Per quanto intuitivo il processo, è necessario definire che, riguardo all’insorgenza, le emozioni sono generate da molteplici cause: presentano aspetti universali (funzionamento neuro-fisiologico), focalità culturale (attivazione relativa e contingente a seconda della società e cultura) e processi individuali. Come si evince, ogni emozione è collegata a una circostanza attivante. Possiamo distinguere fra:
a. b.
Valutazione primaria: esplora e definisce il grado di pertinenza e importanza che dato evento ha per l’individuo che lo vive; Valutazione secondaria: esamina le diverse modalità e possibilità per affrontare la situazione emotiva e come può governarla.
Klaus Scherer ha proposto una sequenza lineare di controlli di valutazione dello stimolo organizzata in ordine progressivo: -
Novità: evento inaspettato che avviene e che suscita emozione. Piacevolezza/spiacevolezza intrinseca: reazione all’evento avvenuto. Pertinenza dello stimolo per i bisogni e scopi dell’organismo: valutazione dell’utilità dello stimolo. Capacità di far fronte allo stimolo: valutazione della capacità di controllo di dato stimolo. Compatibilità con le norme sociali e con l’immagine di sé: valutazione dell’accettazione sociale delle conseguenze di dato
stimolo.
Il cercare di dare un significato alle emozioni implica anche una etichettatura di tale emozione a livello linguistico. Il costrutto semantico che ne deriva porta alla creazione di ciò che viene definito lessico emotivo, l’insieme delle entrate lessicali che in una lingua riguardano il mondo delle emozioni, dei sentimenti e degli affetti. Seppur sotto certi punti di vista esiste una certa somiglianza nei concetti emotivi fra le varie culture, esiste una marcata diversità dei lessici emotivi, poiché ogni cultura è influenzata dal proprio passato sia dal punto prettamente lessicale (ad esempio, ogni cultura ha un numero definito di parole inerenti all’emozione, come ad esempio a più di 2000 per l’inglese, 1500 per l’olandese fino ai Chewong che ne hanno poche decine) sia dal punto di vista di come vivere determinate emozioni. Sembra una sciocchezza, ma avere un lessico più esteso fornisce la possibilità di avere anche uno spettro di emozioni (seppur minimamente diverse le une dalle altre) più ampio, più facilmente descrivibile e quindi più consapevole. Paragrafo 4 – MANIFESTAZIONE DELLE EMOZIONI
Le emozioni ovviamente non sono solo sentite ma si manifestano all’esterno dell’intero organismo. Un esempio chiaro riguarda lo studio delle espressioni universali compiuto da Ekman e Friesen, che grazie attraverso meticolose misurazioni elettromiografiche dei muscoli facciali, individuarono 44 unità di azione (cioè movimenti elementari volontari), in grado di dare origine a oltre 7000 configurazioni espressive facciali. Elaborarono poi programmi computerizzati come il FACS (facial action coding system ) in grado di analizzare questi dati e le microespressioni con precisione. È stato grazie a questi studi che si è potuto constatare l’universalità delle emozioni di base, poiché ognuna delle sei (collera, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa [pag. 315]) ha un’espressione unica, presente in tutte le culture. Grazie ad alcuni studi sui non vedenti dalla nascita è stato possibile confermare tale ipotesi, constatando inoltre che in questi individui la mimica facciale risulta assai più ridotta e limitata, compensata da una maggior frequenza di movimenti tipici (innalzamento sopracciglia, bocca aperta, sollevamento testa). Ekman dunque sostenne l’ipotesi delle espressioni panculturali, biologicamente e universalmente programmate in ogni individuo. È però la loro esibizione che varia a seconda di cultura e cultura. Seguendo le regole di esibizione sappiamo che ogni individuo impara a esprimere determinate espressioni seguendo codici comportamentali ben definiti. Vi sono determinati tipi di espressione dell’emotività facciale: -
Genuinità: esprimere ciò che davvero proviamo; Accentuazione: aumentare le espressioni più di quanto sentiamo; Attenuazione: diminuire le espressioni; Soppressione: nascondere del tutto l’emozione; Camuffamento: esibire un’espressione incongruente all’emozione provata; Simulazione: recitare un’emozione che non si prova.
Ekman propose a tal proposito la teoria neuro-culturale delle emozioni : vivendo in un certo contesto culturale, apprendiamo quali eventi sono da considerare emotivamente marcati e a quali standard espressivi conformarsi. Si può distinguere tra le espressioni genuine da quelle false, poiché nel primo caso esse sono involontarie e non intenzionali mentre nel secondo caso sono volontarie e intenzionali. Non è comunque impresa facile distinguere questa differenza, specialmente ad occhio nudo. È per questo che Ekman scoprì e si specializzò nelle microespressioni , indizi minimi utili per individuare la differenza tra realtà e menzogna. Le micro espressioni sono espressioni brevi, quasi impercettibili ad occhio nudo e sempre involontarie. Capita infatti che
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seppur cercando di mascherare una menzogna, una micro espressione (essendo inconscia e involontaria) appaia sul volto dell’individuo, smascherandolo.
Concezione contestualista : atta a confutare la teoria di Ekman, questa concezione pone un’esplicita attenzione alla connessione fra le espressioni facciali delle emozioni e il contesto immediato. E il contesto è essenziale, infatti le espressioni facciali hanno un alto valore di indessicabilità: fanno riferimento a una certa realtà mediante l’impiego sistematico di indizi contestuali. Senza il contesto il loro significato diventa indecifrabile o altamente fraintendibile; questo è l’effetto Kulesov. Le espressioni facciali inoltre subiscono una grandissima influenza dal contesto sociale, quindi da chi, dove e come le persone vedono e sentono colui o colei che si esprime. Anche la voce ha un’importanza fondamentale: essa appare in grado di comunicare le emozioni non solo con ciò che viene detto , ma specialmente come viene detto. È attraverso la modulazione del ritmo, dell’intonazione e dell’intensità dell’eloquio. Dobbiamo badare dunque al tono (frequenza fondamentale), alla durata : velocità dell’eloquio, il ritmo e le pause e infine all’intensità. Come per le espressioni facciali, anche per la voce esistono specifiche configurazioni di profili espressivi per ogni emozione, in grado di consentire una discriminazione; ad esempio, per quanto riguarda la collera, essa è caratterizzata da un rilevante incremento della media e della variabilità della frequenza, un aumento dell’intensità e dalla presenza di pause molto brevi e anche dalla loro assenza (come si volesse buttare fuori tutto d’un fiato). Come contributi enorme, le espressioni facciali vengono accompagnate dai gesti, dai movimenti corporei, che sono una componente fondamentale per la percezione delle manifestazioni emotive. I gesti espressivi sono importanti per l’espressione dell’emozione; possiamo definire la qualità dei movimenti in funzione di: a. b. c. d.
Attività motoria: quantità globale di movimenti; Espansione spaziale dei movimenti; Loro intensità e forza: dinamica; Accelerazione e velocità di esecuzione dei gesti: cinematica.
I gesti non trasmettono le emozioni mediante configurazioni specifiche e distintive, come per la voce, bensì tramite la loro intensità. Inoltre lo stesso gesto può assumere valenze emotive differenti a seconda della velocità e modalità con cui è eseguito (ad esempio, tendere la mano lentamente può essere interpretato come voler fare una carezza mentre muoverla velocemente alla stessa maniera potrebbe essere interpretato come voler schiaffeggiare). Vi sono casi in cui tra gestualità e mimica facciale v’è un’incongruenza (es: faccia = paura e gesti = collera). Le situazioni di congruenza vs incongruenza fra le manifestazioni emotive della faccia e quelle dei gesti consentono di verificare come elaboriamo informazioni emotive complesse. Quando mimica e gesto sono congruenti, abbiamo un forte incremento dell’accuratezza dell’espressione, mentre quando abbiamo l’incongruenza sono i gesti ad essere ritenuti più importanti, più attendibili. Paragrafo 5 – REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI
Come esseri umani, non solo proviamo emozioni, ma siamo anche in grado di procedere nella loro regolazione. La regolazione delle emozioni va considerata come loro parte integrante, e opera fin dal momento in cui esse insorgono. È un processo fondamentale per il benessere dell’individuo, poiché esprime la sua capacità di sapersi adattare in modo attivo alle situazioni. Sono quattro i principali interventi che gli individui possono compiere sugli antecedenti emotivi (le operazioni che avvengono appunto prima dell’espressione emotiva). Questi sono: 1.
Selezione della situazione : scegliere se accettare o evitare certe persone e/o situazioni in grado di suscitare particolari
2. 3. 4.
Modificazione della situazione: introdurre un elemento di cambiamento nel contesto fisico o sociale di riferimento; Dislocazione dell’attenzione: concentrare le risorse attentive su alcune info della situazione anziché su altre; Rivalutazione della situazione: attribuire un significato diverso alla situazione rispetto a quello abituale.
emozioni.
Siamo in grado dunque di regolare le risposte emotive e modularle a seconda del contesto. È possibile farlo sia a livello individuale che attraverso la condivisione sociale delle emozioni: Rimé ha constatato che circa il 90% delle persone tende a condividere con altri le proprie emozioni il giorno stesso che le ha provate, anche se questo procedimento riattiva le sensazioni provate riguardanti tale evento. In sintesi, la regolazione delle emozioni è un indicatore valido e attendibile dell’intelligenza emotiva, intesa come abilità di percepire ed esprimere le emozioni stesse, nonché regolandole in se stessi e in altri. Paragrafo 6 – EMOZIONI E CULTURA
Abbiamo già intravisto che la cultura è un fattore determinante sulle espressioni emotive. L’esperienza emotiva è focalizzata sul gruppo nelle culture interdipendenti (solitamente culture orientali, come Giappone e Cina) mentre è centrata sull’individuo nelle culture dipendenti (Europa, USA). Queste ultime sono da considerarsi come culture della promozione delle emozioni positive, che enfatizzano l’autoaffermazione e il senso di eccellenza rispetto agli altri (quindi tendono a mostrare solo gli aspetti positivi e fuggono da quelli negativi); quelle invece interdipendenti sono culture della prevenzione e inibizione delle emozioni negative (c’è la saggezza e la consapevolezza che non esiste bene senza male; questo procedimento porta all’inibizione del negativo).
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Non solo il manifestarsi delle emozioni varia da cultura a cultura, ma anche la regolazione (paragrafo precedente) è cangiante. Infatti ad esempio per quanto riguarda la memoria, gli occidentali tendono all’ottimismo della memoria (enfatizzare le esperienze positive) mentre le culture orientali, specialmente quella giapponese, tendono al pessimismo della memoria. Questo accade perché le emozioni focali (cioè quelle specifiche di una data cultura) fanno riferimento a eventi culturalmente rilevanti per il soggetto nella vita quotidiana. La focalità emotiva è connessa con le categorie emotive dominanti in una cultura come, per esempio, la categoria del successo nella cultura americana.
Capitolo 12 – CULTURA E CIVILTÀ Paragrafo 1 – CHE COSA È LA CULTURA
La cultura anzitutto è esperienza, totale e avviluppante. È un’esperienza invisibile, poiché sfugge alla nostra consapevolezza. Ha una condizione di contingenza e il suo (quindi nostro) futuro è un’incognita. La contingenza non è puro caso né vincolo, bensì è la confluenza fra le cose che capitano e il modo in cui noi le facciamo capitare. Come ci proponiamo come individui nei confronti della cultura, sia essa nostra che altrui? Ogni individuo gode di tre posizioni differenti: Destinatario: riceviamo l’influenza dalla cultura, sin dalla nascita; a. b. Protagonista: viviamo e facciamo parte della cultura, influenzandola a nostra volta; Osservatore: osserviamo e impariamo dalla nostra e altrui cultura. c. Insieme ai ratti, siamo l’unica specie endemica , cioè che è capace di adattarsi a qualsivoglia clima e condizione ambientale; questo non avviene per una predisposizione biologica bensì tramite la nostra capacità mentale di inventare strumenti, procedimenti e dispositivi in grado di “governare” l’ambiente. Questi aspetti sono stati sottolineati dall’approccio ecoculturale, secondo cui la varietà delle culture è associata all’adattamento attivo a uno specifico habitat in termini di varietà, vincoli e richieste. La condivisione oltre a creare un senso di appartenenza, consente di identificare una data cultura rispetto alle altre, di porre dei confini e di cogliere le sue caratteristiche principali; una cultura è quindi diversa da un’altra perché ha qualcosa che l’altra non possiede. Da considerare anche la dimensione temporale in cui una cultura è posta e quanto da essa venga influenzata. La trasmissione culturale, anzitutto, è l’interesse degli individui esperti di tramandare alle future generazioni il loro sapere, come forma di stabilità e continuità. La trasmissione va intesa dunque come evoluzione incessante, perché il novizio che apprende non solo modifica sé con le nuove conoscenze, ma modifica le stesse tramite ciò che egli è. Abbiamo quindi una costante evoluzione del sapere. Il novizio fa proprie le conoscenze tramite l’appropriazione, quindi non solo acquisisce gli artefatti lasciati in “eredità”, ma anche processi di adattamento attivo agli ambienti. Questa è l’evoluzione culturale, intesa come l’insieme dei cambiamenti riguardanti le sindromi culturali, la rete delle conoscenze e delle credenze, i modelli di condotta e gli stili di vita da una generazione all’altra. In sintesi, la cultura è l’appropriazione di una rete globale e dinamica, più o meno coerente, di conoscenze e credenze, significati, valori ed emozioni, e di pratiche attraverso l’apprendimento sociale all’interno di un gruppo socialmente organizzato, in modo da adattarsi attivamente al proprio ambiente e dare senso all’esperienza propria ed altrui. Paragrafo 2 – ORIGINI DELLA CULTURA
Brevemente, di seguito verranno elencati i principali meccanismi evolutivi della cultura. Essa anzitutto modifica sensibilmente l’assetto funzionale del cervello e questo fatto è dimostrato empiricamente dalle neuroscienze culturali . Partendo da un punto di vista filogenetico, l’uomo ha iniziato a creare culture quando ha assunto la stazione eretta, aumentando il quoziente di encefalizzazione, iniziando a sviluppare l’apparato vocale (quindi creare poi suoni rappresentanti simboli conosciuti da molti), divenire infine un essere cooperativo con altri individui, per formare coalizioni e alleanze contro avversari comuni. Dalla caccia e dal nomadismo passò all’agricoltura e all’essere statico nei luoghi sino a raggiungere, dopo migliaia di generazioni, allo stato attuale di cultura. Paragrafo 3 – CULTURA COME MEDIAZIONE E PARTECIPAZIONE
Pur presentando uno specifico profilo, ogni cultura si configura come uno spazio di mediazione tra individuo e ambiente. Il rapporto fra soggetto (S) e oggetto (O) può essere in certe occasioni immediato (avere i piedi per terra = S-O), ma in generale tale rapporto è mediato (M) da uno o più artefatti (piedi a terra indossando scarpe = S-M-O). Gli artefatti sono elementi del mondo materiale assunti nell’azione umana come mezzi e modi per coordinarsi con l’ambiente fisico e sociale. Essi possono essere: Artefatti primari: strumenti e dispositivi che usiamo abitualmente per interagire fra di noi e con l’ambiente; a. costituiscono la cultura materiale; Artefatti secondari: rappresentazioni mentali di quelli primari e i modi di agire ad essi associati; sono modelli e simboli b. presenti nell’interazione sociale e costituiscono la cultura ideale; c. Artefatti terziari: costruiscono il mondo dell’immaginazione e della fantasia; rientrano qui le attività creative-artistiche. Questa è la cultura espressiva . La cultura quindi è un’attività collettiva, è partecipazione interdipendente tra individui e ambiente. Paragrafo 4 – DIVERSITÀ E IDENTITÀ CULTURALI
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Com’è chiaro le culture, seppur simili, sono tutte diverse le une dalle altre. L’evoluzione della nostra specie ha costituito una via di mezzo: non totalmente uguali, non totalmente diversi. Questa condizione porta al paradosso della cultura: da un lato essa è un dispositivo molto potente per regolare le differenze interculturali, dall’altro essa stessa genera e moltiplica le differenze. Il punto debole di questa “via di mezzo” concerne la definizione degli universali umani in quanto base della rassomiglianza fra le diverse culture. È difficile, se non impossibile, precisare e circoscrivere tali universali, poiché abbiamo in continuazione un miscuglio interdipendente e simultaneo di fattori e ogni operazione di discernimento appare arbitraria. In fondo, non si è intrinsecamente diversi, ma si è diversi agli occhi di qualcun altro e rispetto a un altro punto di vista. La diversità non è un’entità, ma una relazione. In ogni popolazione le differenze sono la norma piuttosto che l’eccezione e la cultura va intesa come organizzazione delle diversità. Data la loro natura relazionale, le differenze culturali non costituiscono un patrimonio, né un territorio circondato da confini. Sono esse stesse dei confini, anzi un insieme di confini poiché “il regno della cultura è interamente distribuito lungo i confini” e “i confini sono dappertutto, attraversano ogni suo aspetto”. La diversità presente tra le culture testimoniano la grande creatività degli individui, intesa come capacità di trovare soluzioni innovative per la propria esistenza in funzione delle possibilità offerte dal proprio habitat. Le differenze inoltre implicano e fondano l’identità di ogni cultura. Siamo ciò che siamo in divenire incessante. L’identità culturale è lo spazio fra il progetto autonomo e la proposta di ognuno di noi di essere in un certo modo e il riconoscimento di tale progetto da parte di altri. Non vi p un’identità culturale intrinseca, ma solo attraverso gli occhi di qualcun altro e rispetto ad un preciso punto di vista. Non è un’entità ma una relazione grazie al confronto culturale. Paragrafo 5 – DALLA MENTE MONOCULTURALE ALLA MENTE MULTICULTURALE
Nati e cresciuti in una data cultura, ci siamo appropriati dei modi di pensare, di sentire e di comunicare di quella cultura. L’esito di questa condizione è l’acquisizione di una mente monoculturale. Legate al fenomeno della mente monoculturale, v’è il confine già menzionato. Essi svolgono la duplice funzione di racchiudere una certa cultura e di distinguerla dalle altre; distinguersi dunque dal diverso. È infatti lo straniero che è al di là delle differenze consentite all’interno di una certa cultura. Si evince che tutte le culture sono straniere . Essendo al di là del confine, lo straniero può divenire oggetto di attrazione (xenofilia) o di rifiuto (xenofobia). Il confine culturale rimanda all’atteggiamento psicologico dell’indifferenza. È l’apartheid, inteso come attenzione difensiva a non mescolarsi con l’altro, come fosse impuro. Tuttavia l’indifferenza può anche generare il pensiero di “essere lasciati in pace” più che di mantenere la pace. La mente monoculturale è una mente al singolare, una mente “provinciale” che assume il periodo storico e l’area geografica in cui si trova come la totalità del tempo e dello spazio della specie umana. È una mente che rimarca una evidente limitatezza sociale e culturale; è una mente divisa, separata dagli altri. Quando due o più gruppi umani si incontrano insorgono forme di attrito culturale. Per governare tale condizione si sono seguite diverse strategie di acculturazione (insieme di cambiamenti che derivano da contatti interculturali). Per i soggetti in minoranza sono: 1. 2. 3. 4.
Assimilazione: i soggetti in minoranza fanno proprio il sapere culturale dei soggetti in maggioranza, a scapito della propria identità. Separazione: impegno a conservare e difendere la propria identità pur vivendo nella cultura della maggioranza. Integrazione: pur cercando di conservare la propria identità, i soggetti in minoranza accettano e condividono una serie di forme culturali dei soggetti in maggioranza. Marginalizzazione: difficoltà a mantenere la propria identità; i soggetti in minoranza tendono a rifiutare la cultura ospite, dando origine a possibili casi di esclusione o discriminazione.
Per i soggetti in maggioranza sono: 1. 2. 3. 4.
Esclusione: posizione di forza dei soggetti in maggioranza che ritengono che i soggetti in minoranza debbano tornare al proprio paese d’origine. Multiculturalismo: salvaguardia dei soggetti in minoranza da parte di quelli in maggioranza; concerne sia la vita privata che pubblica. Omologazione: rifiuto di specificità della minoranza e favoritismo riguardo un’assimilazione degli stessi nel gruppo di maggioranza. Segregazione: accettazione della specificità della minoranza, ma tendenza all’isolamento della stessa (apartheid e ghettizzazione).
La mente monoculturale presenta dunque dei limiti inevitabili e insormontabili. Questa prospettiva esclusiva, anche se è alla base dell’identità, racchiude in sé il rischio dell’etnocentrismo, come radicalizzazione del proprio modo di vedere e capire le cose. È una sorta di provincialismo spaziale e temporale. È il sentimento di possedere la “verità” mentre gli altri si trovano nell’ignoranza. In queste condizioni l’etnocentrismo può divenire fondamentalismo culturale: è l’esigenza di stabilire confini netti tra le culture, nonché di giungere a una loro discriminazione. La mente monoculturale può divenire ad essere multiculturale, grazie ai potenti flussi migratori cui siamo sottoposto oggi giorno, la globalizzazione dei mercati o addirittura grazie agli sviluppi del mondo virtuale; grazie ad essi siamo sempre più in contatto con culture differenti dalle nostre, avendo così modo di interagire e imparare al meglio. Oggi a fronte di quello appena detto, vi sono persone (specialmente giovani) che elaborano o stanno elaborando la mente biculturale o multiculturale; questo avviene appunto grazie al situazionismo dinamico, che porta all’interazione e apprendimento dei diversi modelli culturali. Questo procedimento non solo evolve l’individuo sotto il piano puramente qualitativo e di apprendimento, ma
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