D ANIELE BERSANO
Le Elegie duinesi tra esistenza e dolore * Le Elegie duinesi , il ciclo poetico forse più importante di Rainer Maria Rilke (Praga, 1875- Val-Mont presso Montreux, 1926), mostrano una coerenza interna in grado di celare la loro tormentata, più che decennale elaborazione. Come il poeta stes stesso so rico ricord rdaa in una una lett letter eraa del 1925 1925 al suo suo trad tradut utto tore re pola polacc ccoo, Wito Witold ld von von Hulewicz, le Elegie «furono iniziate nel 1912 (a Duino), e continuate (in maniera frammentaria) fino al 1914 in Spagna e a Parigi» 1; fu la prima guerra mondiale mondiale a far interrompere la stesura dell’opera, che venne ripresa e portata a termine solo nel 1922, nella quiete del vallesano castello di Muzot. Presupposto fondamentale delle Elegie duinesi è il rinoscimento dell’impossibilità del sentire umano di fronte ai massimi motivi conduttori di ogni singola esperienza: l’amore, la morte, la felicità, il dolore, gli elementi naturali. Questo si compie però senza sconfessare in toto la poetica del Dinggedicht fondante i Neue Gedichte (1a ediz. 1907-1908), 1907-1908), ma con una celebrazion celebrazionee dell’esist dell’esistente ente che si esprime esprime nella nella volontà volontà da parte del poeta di renderlo conoscibile agli altri esseri umani 2. Esplicativa in tal senso è una lettera del 17 febbraio 1914 a Magda von Hattingberg, contenente la descrizione descrizione del modo di operare poeticamente poeticamente di Rilke: Rilke: «Io amo il guardare guardare dentro das Einsehen Einsehen [ das ]. Riesci a pensare insieme a me quanto sia magnifico, magnifico, passando,
guardare dentro a un cane. Non intendo comprendere [...], intendo calarsi nel cane, nel suo centro esatto, calarsi nel punto partendo dal quale egli è un cane, in quel luogo in lui in cui Dio si sedette un momento, quando ebbe finito il cane, per guardarlo nei suoi primi impacci e nelle sue prime trovate, per fargli cenni di assenso perché era cosa buona, perché non mancava nulla e non lo si sarebbe potuto fare * Le Elegie duinesi si citano da R AINER M ARIA R ILKE ILKE , Poesie , a cura di Giuliano Baioni, commento di Andreina Lavagetto, Lavagetto, Torino, Einaudi, 1994-1995, 2 voll., II, pp. 53-107 (traduz. di Anna Lucia Giavotto Künkler). Per le lettere e i documenti citati si rimanda alla medesima edizione, indicando il numero del volume e delle pagine. 1 R ILKE ILKE, Poesie , II, p. 508. 2 Il motivo motivo non è troppo troppo dissimile dissimile da quello quello che spinse spinse Dante Dante a scrivere scrivere la la Commedia : anche quello di Rilke dopotutto è un viaggio in limine mundi , mondo osservato da un più totalizzante punto di vista. La figura del poeta-guida non è comunque così precipua come ha voluto certa ormai datata critica, anche leggendo l’opera in chiave cristianizzante: cfr. ad esempio la traduz. di Elio Gianturco dell’incipit della Prima elegia citat citatoo in HELMUT W OCKE OCKE, Rilke und Italien. Mit Benutzung ungedruckter Münchow, 1940, p. 125, che introduce arbitrariamente termini ter mini quali sorte e Quellen dargestellt , Gießen, Münchow, anima .
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meglio»3. Come è già stato osservato 4, Rilke, pur non conoscendole, non si discosta troppo dalle teorie fenomenologiche che in quegli stessi anni Edmund Husserl anda andava va teor teoriz izza zand ndo: o: «Io «Io sono sono cons consap apev evol olee di un mond mondoo, che che si este estend ndee infinitamente nello spazio e che è ed è stato soggetto ad un infinito divenire nel temp tempoo. Esse Essern rnee cons consap apev evol olee sign signif ifiica anzi anzittutto tto che io trov rovo il mond mondoo immediatamente e visivamente dinanzi a me, che lo esperisco. [...] Ma il mondo che in ogni momento di veglia mi è consapevolmente «alla mano» non si esaurisce in questa conpresenza [...] che costituisce l’alone costante del mio attuale campo percettivo. percettivo. Nella sua solida organizzazione, esso non ha limiti. Ciò che è attualmente percepito, ciò che è più o meno chiaramente conpresente e determinato, per quanto sempre in modo soltanto imperfetto, è in parte attraversato da un orizzonte di realtà indeterminata oscuramente consaputo» 5. La soggettività umana mostra così tutti i suoi limiti nella percezione del mondo sensibile, oscurata dal suo infinito «alone di indeterminatezza»6. Fin dall’apertura della Prima elegia è messo in risalto il fattore che determina la distinzione tra l’uomo e gli altri elementi naturali: l’essere conscio della propria mortalità. mortalità. L’angelo L’angelo,, invece, invece, «opera prima felice» felice» (II, v. v. 10), è sottratto sottratto del tutto al perire a causa della sua essenza puramente energetica e dinamica, slegata dalla materia. Figura che «non ha nulla a che vedere con l’angelo del cielo cristiano, [...] è quella creatura in cui la metamorfosi del visibile in invisibile, che noi operiamo, compare già compiuta»7. Il sublime di queste entità, dettato dalla superiorità della loro condizione condizione rispetto rispetto a quella quella umana, non può che disvelare disvelare un ben accentuato accentuato aspetto di terribilità: se anche il poeta riuscisse ad entrare in contatto con un angelo, infatti, perirebbe a causa della sua più «forte «for te esistenza». Proprio per questo «ein jeder Engel ist schrecklich» (v. 7) 8. 3 R ILKE ILKE, Poesie , II, p. 500. Si veda l’applicazione del metodo nella precedente poesia Der Hund (1907): ivi, I, p. 694. 4 Cfr. Cfr. il saggio saggio di Käte Hambur Hamburger ger citato citato in in ivi, II, p. p. 490. 5 EDMUND HUSSERL , Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica , a cura di Enrico Filippini, Torino, Torino, Einaudi, 1981, pp. 57-58. 6 Ibid. 7 R ILKE ILKE, Poesie , II, p. 510: entità dunque più simile alle suggestioni di Paul Klee e Osvaldo Licini che alle stereotipate figure dei Preraffaelliti inglesi. 8 Sul le legam game tr tra bello e terribile cfr. la lettera a Margot Sizzo del 12 aprile 1923: ivi, II, p. 520.
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Come Come cons consol olaz azio ione ne da cui cui cogl coglie iere re la pres presen enza za dell dell’’altro rimango rimangono no di conseguenza all’uomo un albero, la strada e la vecchia abitudine dei vv. 13-17, semplici elementi legati al quotidiano che Rilke enumera in maniera ricorrente nella sua tarda poesia9. Di questi oggetti non è comunque sufficiente il ricordo, ma si impone la necessità di una loro presenza (l’albero è «da rivedere ogni giorno», la vecchia abitudine è rimasta in noi): «Un ricordo, poniamo di un paesaggio, non è originariamente offerente, il paesaggio non è percepito come se lo vedessimo realmente. Il ricordo [...] non è veggente »10. Auftrag del poeta: percepire le presenze Alla strofa successiva si svela dunque l’ Auftrag
reali – per pe r nuova accumulatio qualche stella, un’onda, un’onda, il suono di un violino – per pe r dirle e in questo modo renderle esperibili. Ma l’incarico è stato disatteso dai confusi moti interiori, a causa del desiderio di una donna amata e dal successivo rendersi conto che la sua presenza significherà prigionia. Si impone perciò la volontà di cantare le amanti insoddisfatte, metaforiche frecce in massima tensione potenziale il cui nome forse più indicativo è quello di Gaspara Stampa 11. Dalla figura in potenza delle amanti si passa poi a quella dei morti giovani (vv. 54-68), in grado di comunicare tramite le lapidi e gli epitaffi 12. Lontano da qualsiasi oriz orizzo zont ntee meta metafi fisi sico co,, Rilk Rilkee pone pone così così in rappo rapporto rto dial dialet etti tico co i vivi vivi e i morti morti dall’inedita prospettiva di questi ultimi. Viene di conseguenza alla luce l’ Unrecht che i vivi compiono nei loro confronti: il considerare la morte un male, torto definito metaforicamente come un ostacolo frapposto al movimento puro degli spiriti13. La strofa successiva (vv. 69-85) è composta in modo da rispondere alle possibili 9 Oltre Oltre al «luogo «luogo,, sede, giacigl giaciglio io,, suolo suolo,, dim dimor ora» a» di X, v. 15, cfr. cfr. i passi passi citati citati in R ILKE ILKE , Poesie , II, pp. 521-522. 10 HUSSERL, op. cit., p. 304. 11 «Gaspara «Gaspara Stampa [...] amava il conte Collalto Collalto,, che per qualche tempo deve deve averla averla riamata, riamata, rapido, rapido, trascurato e distratto. Quando lui smise lei ne morì, intorno al 1554, a trent’anni.»: lettera a Sidie Nadhern Nad hernyy del 7 ottobr ottobree 1908, 1908, in R ILKE ILKE, Poesie , II, p. 529. L’immagine della freccia d’amore che scoccata colpisce il cuore dell’amata, celeberrimo topos di chiara ascendenza petrarchesca (cfr. ecc.) ben presente presente nel canzoniere canzoniere di Gaspara Gaspara – si vedano almeno i componimenti componimenti Canzoniere 2, 3 ecc.) XIV, XIV, XXII, CCX dell’ediz. a cura di Rodolfo Ceriello (Milano, Rizzoli, 1994) – che Rilke aveva già letto letto nel 1908, 1908, viene viene qui moderna modernamen mente te blocca bloccata ta nel momen momento to appena appena precen precenden dente te,, senza senza permettere il suo rapido dileguarsi «come da corda cocca» ( Inferno XVII, v. 136). 12 Il riferime riferimento nto a luoghi luoghi quali quali le chiese chiese di Roma Roma e Napoli Napoli e la lapide lapide di Santa Maria Maria Formos Formosaa è determinato dai ricordi biografici dei numerosi viaggi in Italia: cfr. R ILKE ILKE , Poesie , II, pp. 531-532. 13 I vv. vv. 66-68 66-68 portan portanoo probab probabilm ilment entee in contro controluc lucee un riferi riferimen mento to al mito mito di Orfeo Orfeo ed Euridi Euridice ce (O VIDIO, Metam. X, vv. 50-59): anche il figlio di Calliope, nell’ansia di rivedere l’amata ninfa, blocca per sempre il suo movimento verso la vita («revolutaque rursus eodem est», est », v. v. 63).
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obiezioni dei viventi, secondo una modalità molto simile a quella dell’epistola consolatoria medievale. Laddove Laddove il parente del defunto potrebbe opporre al trapasso ragioni anagrafiche14, Rilke pone in primo piano la peculiarità dell’assenza dal mondo, con la perdita dei consueti valori da attribuire alle cose ad esso appartenenti: «Certo è strano non abitar più la terra, / non usar più di costumi appena imparati, / a rose e a cose diverse che sono chiara promessa / non dare più il senso di umano futuro futuro»» (vv. (vv. 69-72) 69-72).. L’errore ’errore fondame fondament ntale ale dei vive viventi nti è il dis distin tingue guere re troppo troppo marcatamente tra vita e morte, a causa della paura verso quest’ultima; d’altra parte le entità superiori come gli angeli spesso non intendono se vanno tra gli abitanti di questo mondo o i defunti, col loro sovrastare entrambe le categorie 15. L’ultima L’ultima strofa (vv. (vv. 86-95) si occupa così co sì di porre por re nuovamente nuovamente il problema da un nuovo punto di vista: forse sono proprio i vivi ad aver bisogno dei defunti, il dolore per i quali «riconduce alla vita, come tutto ciò che raggiunge un certo grado di forza estrema»16. E la leggenda relativa alla nascita della musica, secondo cui essa si sarebbe per la prima volta propagata proprio come canto luttuoso in onore del mitico Lino, è lì a testimoniarlo 17. La Quinta elegia , l’ultima in ordine di composizione 18, introduce in posizione centra centrale le all’in all’intern ternoo del comple complessi ssivo vo macrot macrotest estoo la figura figura dell’a dell’artis rtista ta di strada strada girovago. Questi, ancora più effimero dell’uomo, dal momento che le figure che costruisce nello spazio si dissolvono quasi all’istante, offre il modello della pura insostanzialità senza inganni, opponendosi così alla Maske dell’elegia precedente (IV, vv. vv. 26-27). I Saltimbanques – così così era inizia inizialme lmente nte sottot sottotito itolat lataa l’eleg l’elegia, ia, in riferi riferimen mento to 14 Cfr Cfr. ad esemp esempio io la Familiare II 1 di Petrarca a Philippe de Cabassoles per la morte del fratello, studiata studiata da GIUSEPPE CHIECCHI, La parola del dolore. Primi studi sulla letteratura consolatoria tra Medioevo e Umanesimo, Roma-Padova, Antenore, 2005, pp. 176-206. 15 «L’angelo sta a un’altezza irraggiungibile al di sopra dell’uomo. dell’uomo. Non esiste, come l’uomo, l’uomo, nella sfera terrestre dell’al di qua, ma neppure, come i morti, in quella dell’al di là, bensì egli sta in rapporto con il Tutto che s’innalza composto dell’aldiqua e dell’aldilà»: R OMANO OMANO GUARDINI, Rainer Maria Rilke. Le Elegie duinesi come interpretaz ione dell’esistenza , Brescia, Morcelliana, 1974, p. 32. 16 Lettera Lettera a Sidie Nadherny Nadherny del del 1 agosto 1913, in R ILKE ILKE, Poesie , II, p. 532. 17 «È la leggenda invano che che una volta nel lamento lamento per Lino / la prima prima musica, osando osando,, penetrò nei sensi impietriti, / che solo nello spazio atterrito, atter rito, privo privo d’un tratto e per sempre s empre / d’un giovane quasi divino, il vuoto trapassò / in vibrazione che ora rapisce e aiuta e consola», vv. 91-95. 18 Reali Realizza zzata ta a Muzot Muzot il 14 febbra febbraio io 1922, sostit sostituì uì le preced precedent entii Gegen-Strophen , che che a Rilke Rilke «non «non parevano, per la diversa natura della composizione, giustificat e in quel luogo»: R ILKE ILKE, Poesie , II, p. 818.
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all’omonima tela di Picasso che Rilke vide a Monaco nel 1915 e consigliò di acqu acquis ista tare re alla alla scri scritt ttri rice ce e coll collez ezio ioni nist staa Hert Hertha ha Koeni oenig, g, dedi dedica cata tari riaa del del componimento19 – sono mossi da un Wille mai pago, al tempo stesso volontà interiore e istanza esterna in grado di farli sollevare dallo squallido suolo di una periferia degradata, assimilabile alla Parigi dei Fleurs du mal . L’iteratività dei gesti atletici è accentuata dal continuo fiorire e sfiorire della «rosa degli spettatori», una sorta di caduco antiempireo dantesco fruttificante nello sterile pseudocarpo del tedio (vv. 18-25). Nelle strofe successive vengono poi descritte le personalità del vecchio e del giovane acrobata, con le loro rispettive differenze. Il vecchio, regredito a suonatore di tamburo, è ormai altro da ciò che è stato in giovinezza, «residuo vedovo di sé sordo e confuso»20. Il giovane, caratterizzato metaforicamente da vigore fisico e mitezza d’animo – «quasi d’una nuca / e d’una suora il figlio» (vv. 33-34) – si rivela invece come frutto immaturo da sacrificare a ripetizione all’anonima folla. Il dolore provato nel toccare terra, con il ritorno alla banale mediocritas del mondo urbano, lascia comunque spazio ad un sorriso spontaneo, vera e propria erba curativa ancora sconosciuta agli uomini. Sta all’angelo raccogliere questa Heilkraut , eternizzando così il sorriso fuggevole21. Dopo la descrizione della ragazza dei vv. 62-72, anch’ella frutto posto sulla bilancia del perfetto equilibrio, seguono due strofe contenenti uno dei messaggi principali dell’intero ciclo. Ai vv. 73-80 è infatti esplicitata tutta la nostalgia verso un passato in cui l’ errore era ancora diffuso e accettato, e l’esercizio rendeva palese la fatica, manifestando appieno il carattere umano dell’esistenza. L’«affannoso nonluogo» della possibilità assoluta non viene oggi più percepito, sostituito dal vuoto virtuosismo esteriore. La morte mor te stessa giunge a mimetizzarsi sotto le spoglie umane di Modistin , al fine di confezionare un distacco dal mondo per gli uomini più attrae attraente nte:: «Piazz «Piazzee di Parigi, arigi, scena scena intermi interminab nabile ile / dove dove Madame Lamort fa la 19 Cfr. Cfr. il docume documento nto citato citato in R ILKE ILKE , Poesie , II, p. 623. 20 ANNA LUCIA GIAVOTTO K ÜNKLER ÜNKLER , «Non essere sonno di nessuno sotto tante palpebre». Rilke o la responsabilità del compito conoscitivo, Genova, Il melangolo, 1979, p. 139. La descrizione del vecchio artista è riferibile per molti aspetti a quella di Père Rollin, étoile decadente del Jardin du Luxembourg descritta da Rilke R ilke nella prosa poetica Saltimbanques (1907): cfr. il passo in R ILKE ILKE, Poesie , II, pp. 625-626. 21 «Angelo! O raccogli il minuto fiore, l’erba salutare. salutare. / Procura un vaso, vaso, serbala! Ponila tra le gioie che che a noi / non sono aperte ancora ; esaltala in un’urna delicata / con lo slancio di una scritta snella, di fiori adorna: Subrisio saltat », », vv. 58-61.
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modista / e i cammini inquieti della terra, nastri senza fine, / intreccia e avvolge, e nuovi / fiocchi inventa [...] per gli scadenti / cappellini invernali del destino» (vv. (vv. 8792)22. L’apostrofe finale, mediante il lungo periodo ipotetico dei vv. 94-105, non può che essere rivolta all’angelo: se ci fosse un luogo nel quale gli amanti-acrobati potessero trovare l’abilità , il Können , che non è troppa né troppo poca, allora riceverebbero in premio dai morti-spettatori le monete del vivere felice, finalmente appagato. L’ipotesi, in sé irreale, lascia pensare che solo la massima poesia, con le sue opere d’arte, possa arrivare a tale risultato. L’elegia conclusiva, la cui elaborazione fu particolarmente tormentata – dei versi composti a Duino tra il gennaio e il febbraio del 1912 Rilke conservò solo l’esordio (vv. 1-12), ideando il seguito ben dieci anni dopo, l’11 febbraio 1922 23 – si occupa di rica ricapi pito tola lare re alcu alcuni ni temi temi trat tratta tati ti prec preced eden ente teme ment ntee e di prop proporr orree una una via via di accettazione del dolore umano in ultima analisi liberatoria. Fin dall’apertura (vv. (vv. 1-15) l’io lirico esplicita, con una quadruplice invocazione a se stesso ben definita dal ricorrere del daß seguito dal congiuntivo presente, la difficoltà umana nell’accettare la non finitezza del dolore 24. Esso infatti non è solo tempo, ma nella notte, momento adatto alla perfetta identificazione con lo spazio 25, è in grado di farsi oggetto: og getto: «luogo, sede, giaciglio, suolo suolo dimora» (v. (v. 15). La città moderna, luogo deputato alla fuga dal dolore la cui principale attrazione è la riproduzione del denaro 26, offre in realtà solo temporanee soluzioni ingannevoli 22 La stessa stessa tematic tematicaa nella nella Danse macabre dei Fleurs du mal di Baudelaire: «En tout climat, sous tout soleil, la Mort t’admire / en tes contorsions, risible Humanité, / et souvent, comme toi, se parfumant de myrrhe, / mêle son ironie à ton insanité!» (XCVII, vv. vv. 57-60). 23 Delle difficoltà difficoltà di composizione composizione possono dare prova prova le lettere lettere enfatiche enfatiche con le quali Rilke diede notizia a Marie Taxis e Lou Salomé del completamento dell’elegia: cfr. R ILKE ILKE, Poesie , II, pp. 666-667. 24 «Che io un giorno, sortendo sortendo dall’atroce dall’atroce conoscenz conoscenza, a, / un canto di giubilo e lode levi al consenso degli angeli. / Che dei martelli, chiaramente battuti, del cuore / nessuno fallisca su corde molli, dubbiose o / pronte a spezzarsi. Che effuso in pianto il mio viso / mi dia più rilucenza; che il pianto invisibile / fiorisca», f iorisca», vv. vv. 1-7. 25 Sulla notte, che appartiene ad un «ordine di ‘realtà’ del del tutto disinteressate ma cariche cariche di suggestione e di misteriose misteriose tensioni tensioni spirituali» (ALBERTO DESTRO, Le “Duineser “Duineser Elegien” Elegien” e la poesia poesia di Rainer Rainer Maria vv. 18-19: «O « O e la notte, la notte, quando il vento colmo di Rilke , Roma, Bulzoni, 1970, p. 125) cfr. I, vv. spazi / il volto ci rode». 26 L’eve ’event ntoo è desc descri ritt ttoo ai vv. vv. 29-3 29-333 come come un nume numero ro da spet spetta taco colo lo della ella «fie «fiera ra ann annuale uale», », rappresentazione «della vita che si afferma nella misura in cui esclude direttamente fuori sé la morte»: ANNA LUCIA GIAVOTTO K ÜNKLER ÜNKLER , Una città del cielo e della terra. Le Elegie duinesi di R.M. Rilke , Genova, Marietti, 1990, p. 300.
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dettate da ragioni di mercato: la birra Todlos , «che «che dolce dolce appar apparee a chi chi beve beve,, / se insieme sempre vi mastica divagazioni nuove» (vv. 35-37), ne è l’esempio estremo. Solo oltre la palizzata coperta di manifesti pubblicitari si apre la regione della morte consapevole – abitata da amanti, bambini e cani – dove tutto «è vero». Un giovane procede nell’esplorazione di questa Leidland seguendo una giovane Lament Lamentazi azione one,, figura figura apprez apprezzat zataa solo solo dai «giovan «giovanii morti»27. Col trasfe trasferim riment entoo spaziale nella valle del v. v. 54 la guida è sostituita da una figura più anziana, in grado g rado di conservare nella memoria quel tempo in cui il rapporto con il dolore non si era ancora raffreddato e l’umano desiderato nella Quinta elegia (vv. (vv. 73-80) 73-80) esisteva esisteva ancora28. Segue la descrizione della mitica, decadente terra del dolore e del suo cielo stellato, direttamente legati dall’enigmatica figura della Sfinge 29. Essa, monumento funebre delle ormai decadute Lamentazioni, è figura cosale che conferisce un volto ben riconoscibile riconoscibile alla morte, e al tempo stesso essere trascendental trascendentalee che illumina illumina e sovrasta la notte: grazie allo Staunen che è in grado di trasmettere permette l’accesso al mondo del possibile 30. Il giovane defunto, accostata in fondo alla valle la «fonte della gioia» (v. 99), prosegue poi la propria ascesa verso i «monti dell’originario dolore» in solitudine, senza meta: si fa infinitamente morto. La chiusura, con la celebre metafora dei fiori penduli del nocciolo, è così dedicat dedicataa ad una una consid considera erazio zione ne di caratt carattere ere propede propedeuti utico co,, valid validaa per l’int l’intera era categoria umana: la felicità va forse cercata nella caduta verso la terra, piuttosto che nell’ascesa31. O, come nei Sonetti a Orfeo , «qui tra effimeri sii, nel regno del declino, / un calice squillante che squillando già s’infranse» 32.
27 «Solo i giovani morti, nel primo stato / impassibile e senza tempo, tempo, nel divezzamento, divezzamento, / la seguono amandola», vv. 47-50. 28 Gli antenati minatori minatori del v. 56 rappresentano rappresentano «la capacità della lamentazion lamentazionee di portare portare alla luce l’essere sotterrato», mentre la mestizia in fiore del v. 65 «rende percepibile che la lamentazione è un canto nel quale la perdita irrevocabile si trasforma nuovamente in vita, [...] nel sorriso di una gioia diversa e più durevole»: G IAVOTTO, Una città , cit., p. 304. 29 Sulla Sulla Sfinge, Sfinge, «del «del segreto segreto ipogeo ipogeo / il volto volto»» (vv. (vv. 75-76), 75-76), ammirat ammirataa da Rilke Rilke durante durante il viaggio in Egitto del 1911, cfr. la lettera a Magda von Hattingberg del 1 febbraio 1914 in R ILKE, Poesie , II, pp. 674-676. 30 «Ed «Ed essi essi [ scil. il giovane e la Lamentazione] stupiscono del capo regale, silente, / che ha posto per sempre il viso dell’uomo / sulla s ulla libra che è delle stelle», vv. vv. 77-79. 31 «Ma se risvegliassero, i morti senza fine, una metafora in noi, noi, / vedi, indicherebbero indicherebbero gli amenti delle spoglie / avellane, penduli, oppure / la pioggia, piog gia, che sulla scura terra t erra cade a primavera», vv. vv. 106-108. 32 Sonetti a Orfeo II, XIII, vv. 7-8: R ILKE ILKE , Poesie , II, p. 153.
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Bibliografia ALBERTO DESTRO, Le “Duineser Elegien” e la poesia di Rainer Maria Rilke , Roma, Bulzoni, 1970. ID., Invito alla lettura di Rilke , Milano, Mursia, 1979. ANNA LUCIA GIAVOTTO K ÜNKLER ÜNKLER , «Non essere sonno di nessuno sotto tante palpebre». Rilke o la responsabilità del compito conoscitivo , Genova, Il melangolo, 1979. E AD., Una città del cielo e della terra. Le Elegie duinesi di R.M. Rilke , Genova, Marietti, 1990. R OMANO OMANO GUARDINI, Rainer Maria Rilke. Le Elegie duinesi come interpretazione dell’esistenza , Brescia, Morcelliana, 1974. EDMUND HUSSERL, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica , a cura di Enrico Filippini, Torino, Einaudi, 1981. R AINER M ARIA R ILKE ILKE, Poesie , a cura di Giuliano Baioni, commento di Andreina Lavagetto, Torino, Einaudi, 1994-1995, 2 voll. HELMUT W OCKE OCKE, Rilke und Italien. Mit Benutzung ungedruckter Quellen dargestellt , Gießen, Münchow, Münchow, 1940. 1 940.
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