Carl Gustav Jung
L’INCOSCIO
I saggi presentati in questo volume, scritti tra il 1914 e il 1917, contengono le principali riflessioni di Jung relative al suo modo di concepire ed entrare in rapporto con l'inconscio. Tali scritti, in seguito rielaborati dal maestro svizzero in un incessante lavoro di ricerca e di approfondimento, vengono qui proprosti nella versione originale e rendono appieno il suo sforzo di puntualizzare e delimitare l'insieme di concetti elaborati dopo il distacco da Freud.
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Introduzione di Paolo Aite Traduzione di Elisa Tetamo Opere di Carl Gustav Jung: consulenza per l'edizione italiana di Romano Màdera e Roberto Bordiga. Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1992. Prima edizione Oscar saggi gennaio 1992.
SOMMARIO
Introduzione di Paolo Aite Nota biografica Nota bibliografica LA PSICOLOGIA DEI SOGNI LA STRUTTURA DELL'INCONSCIO 1. Distinzione fra inconscio personale e inconscio impersonale 2. I fenomeni susseguenti all'assimilazione dell'inconscio 3. La persona considerata come segmento della psiche collettiva 4. Come l'individualità cerca di liberarsi dalla psiche collettiva (4.1. Ricostituzione regressiva della persona; 4.2. Identificazione con la psiche collettiva) 5. Principi fondamentali del trattamento 6. Sintesi LA PSICOLOGIA DEI PROCESSI INCONSCI. Premessa 1. Gli inizi della psicoanalisi 2. La teoria sessuale 3. L'altro punto di vista: la volontà di potenza 4. I due tipi psicologici
5. 6. 7. 8. 9.
L'inconscio personale e l'inconscio sovrapersonale Il metodo sintetico o costruttivo I dominanti dell'inconscio sovrapersonale Lo sviluppo dei tipi nel processo analitico Sulla concezione dell'inconscio
Conclusione Note
INTRODUZIONE
1. IL PERCORSO DI UN PENSIERO. Una rilettura attenta e critica dei testi di C. G. Jung si va imponendo e questo volume ne È un segno chiaro. Vengono qui compresi lavori prodotti tra il 1914 e il 1917, nella stesura della loro prima edizione. Essi contengono le idee di fondo costitutive della originalità del maestro svizzero, e sono i primi che tracciano il disegno del suo modo di concepire ed entrare in rapporto con l'inconscio. Ritornare oggi alla loro prima edizione ha il significato di offrire al lettore attento i presupposti per delimitare il fenomeno di un pensiero nel suo strutturarsi, per poterlo seguire nel suo percorso successivo. I centri dinamici dell'elaborazione di Jung sono già presenti, anche se solo nelle opere degli anni successivi svilupperanno le loro potenzialità. E' evidente in questi saggi lo sforzo dell'autore teso a distinguere, puntualizzare e sistematizzare il suo atteggiamento nei confronti della ricerca che va conducendo. Il suo bisogno di delimitare un proprio disegno, scaturito negli anni difficili trascorsi dalla separazione da Freud. Si può affermare che questi saggi rappresentino una prima risposta ad una sofferenza personale ancora viva, amplificata dagli eventi della prima guerra mondiale allora in corso. La scienza psicologica ufficiale non aiutava a comprendere ciò che stava succedendo nel mondo, e lasciava un baratro aperto tra la sua possibilità di risposta e la patologia psichica che invadeva i singoli come la collettività. A questo si aggiungeva, per Jung, la perdita di una ricerca solidale e condivisa fino a poco tempo
prima con Freud. Dalla solitudine sofferta di quegli anni, nasceva una linea di pensiero originale contenuta in questi testi non sempre facili da seguire. La prosa di Jung infatti oscilla tra proposte illuminanti, di ampio respiro, e insistenze su temi collaterali a volte irritanti perchè non utili alla chiarezza dell'esposizione. Jung ha continuamente rielaborato i suoi testi nelle edizioni successive. Dei lavori qui raccolti "La psicologia dei processi inconsci" sarà riveduta ed ampliata per cinque volte, tra il 1917 e il 1943, fino ad assumere il titolo di "Psicologia dell'inconscio" ed apparire sempre abbinata a "L'io e l'inconscio" nel settimo volume delle "Opere" di Jung. "La struttura dell'inconscio", del 1916, confluirà nella prima parte di "L'io e l'inconscio" (1928) a costituire un quadro più ampio. "La psicologia dei sogni", che appare nella veste di una conferenza tenuta per il Berne Medical Congress nel 1914, dopo lo scoppio della guerra, rappresenta il primo nucleo di un saggio che, ripreso e ampliato nel 1928 e nel 1948, costituirà "Considerazioni generali sulla psicologia del sogno" ("Opere", vol. 8). Sono i segni dell'incessante lavoro di elaborazione compiuto da Jung, che troverà il suo pieno approfondimento, negli anni successivi, nei "Tipi psicologici" del 1920, fino ad aprire, dal 1929 in poi, i lavori della maturità. La revisione critica della lezione junghiana s'impone anche perchè nessun autore ha avuto un destino simile al suo nell'orizzonte culturale del pensiero analitico. Jung È raramente citato nelle ricerche di autori di altre scuole della psicologia del profondo. Questo destino ha fatto delle sue idee una sorta di rimosso, che ha probabilmente radici complesse. Sul suo pensiero È gravato un destino simile a quello riservato a un eretico, che trasgredisce l'impostazione che in quegli anni dominava la ricerca sulla psiche. La critica freudiana, vivace nel periodo immediatamente successivo alla rottura con il maestro di Vienna, si È poi spenta
divenendo sempre più scarsa, ripetitiva e poco informata. Tra gli allievi di Jung, come reazione di segno opposto anche se corrispondente, il suo pensiero È stato inizialmente conservato, celebrato, più che sottoposto a quella revisione critica che da non molto tempo si va imponendo. Il bisogno di riconfermare nel maestro anche se stessi ha fatto segnare il passo alla ricerca, invece di spingere a distinguere e selezionare le parti vitali da quelle oggi meno valide di un modello di pensiero che comunque si È andato sempre più affermando. Oggi che siamo più lontani dal conflitto tra Freud e Jung che ha coinvolto per molto tempo gli allievi dell'uno e dell'altro maestro, È forse possibile cominciare a distinguere quanto di stimolante o di superato È ancora presente nel loro pensiero. Si tratta di rileggere criticamente i testi, spesso esclusi nelle petizioni di principio, e di chiarire, distinguendo.
2. UNA PROPOSTA DI LETTURA: IL RUOLO DELL'IMMAGINE. In questa presentazione mi limiterò a delineare una prospettiva d'insieme del complesso edificio teorico di Jung, indicando, come filo conduttore tra i tanti possibili, il particolare ruolo attribuito all'immagine mentale. L'attitudine spontanea alla configurazione rappresentativa per immagini si manifesta in quel territorio intermedio tra esperienza soggettiva e realtà oggettiva condivisa, nel teatro dell'immaginazione, dove le tendenze strutturanti della coscienza e le spinte inconsce animano il vissuto emotivo sia nella veglia (fantasia) che nel sonno (sogno). Tenere l'attenzione rivolta al modo in cui Jung inquadra e valuta questo evento mentale, significa avvicinare un nucleo centrale del suo modo di concepire e di entrare in rapporto con l'inconscio. E' una trama sottesa anche nei lavori raccolti in questo volume che può dare consistenza e unità ai tanti temi in essi affrontati. Ogni ricerca nel mondo psichico, ogni tentativo di
comprenderlo, ha una porta obbligata: la rappresentazione mentale. Non ci È dato di entrare a contatto con ciò che indichiamo come psichico, se non raffigurandolo col materiale percettivo estratto dalla nostra esperienza. Le nostre teorie sull'inconscio, ci fa notare in primo luogo Jung, sono anch'esse fondamentalmente una rappresentazione soggettiva. Pretendendo di descrivere la vita psichica il ricercatore non fa che esprimere la riflessione della sua stessa psiche, l'immagine che egli ne ha attraverso la sua equazione personale intessuta di potenzialità come di limiti. Nei primi quattro capitoli di "La psicologia dei processi inconsci" Jung, facendo riferimento a Freud e Adler, confronta il punto di vista teorico con la tipologia del ricercatore. E' un atteggiamento che apre la critica sui fondamenti logici ed epistemologici del nostro conoscere, e che oggi, a distanza di anni e con l'esperienza di successive elaborazioni di tanti ricercatori, prova la sua attualità. Alla prima impressione d'impotenza che ci dà la consapevolezza che ogni affermazione sulla psiche È in fondo un'immagine soggettiva, subentra la consapevolezza, magari più umile e meno ingenua, che si esce da un dogmatismo difensivo per riflettere sulla propria riflessione. E' un atteggiamento mentale che permette di aprire lo sguardo anche sulla lente con cui guardiamo al fenomeno, che in sé sfugge nella sua essenza. Ciò consente di attribuire al proprio modo di vedere lo statuto di uno dei modelli conoscitivi possibili, e riconoscerlo nella sua potenzialità e nei suoi limiti. Jung, proseguendo la stessa linea di pensiero negli anni della maturità, affermerà: La consapevolezza del carattere soggettivo di ogni psicologia, che È il prodotto di un singolo individuo, dovrebbe essere la caratteristica che mi distingue più rigorosamente da Freud ("Il contrasto tra Freud e Jung", 1929, vol. 4, p. 360), e ancora: Un modello non dice che le cose stanno così ma illustra un determinato modo di considerare le cose ("Riflessioni teoriche sull'essenza della psiche", 1946-54, vol. 8, p. 203).
Si sa che parlando d'inconscio usiamo un aggettivo che accompagna tutti quei contenuti che sfuggono alla coscienza, ma possiamo, tramite quell'immagine-modello che È la teoria, creare un ordine nei fenomeni psichici che vogliamo conoscere. Per quanto sia evidente il limite costitutivo della soggettività di ogni affermazione sulla psiche, dobbiamo riconoscere il valore della rappresentazione teorica che diventa non solo un modo di dare forma ed esprimere un fenomeno, ma anche di concepirlo: Non siamo più in balia dell'ignoto, perchè non sospettiamo che proprio la comprensione concettuale dell'oggetto offre a questo la miglior occasione per sviluppare tutte quelle proprietà che non sarebbero mai comparse se non lo si fosse circoscritto mediante una definizione concettuale (Ibidem, vol. 8, p. 188). La consapevolezza di questo limite invalicabile È un primo carattere fondante della modernità del pensiero contenuto in questi testi.
3. LA PROSPETTIVA DI JUNG. La fenomenologia della sofferenza psichica, per chi come Jung ha sviluppato la propria esperienza a contatto con le patologie più gravi dei ricoverati dell'ospedale psichiatrico Burgh"lzli, sta ad indicare che la teoria della rimozione dell'eros non basta. Gli esperimenti associativi avevano confermato quanto Freud diceva sulla rimozione, la sostituzione e la simbolizzazione, ma l'inconscio, delineato in questi lavori, È costituito non solo da ciò che È stato rimosso e può tornare, ma anche da ciò che non ha mai raggiunto la soglia della coscienza perchè subliminale, ancora inespresso. Nella prospettiva aperta dalla ricerca di Jung, rimosso e inconscio non sono più coincidenti. Il ridimensionamento della rimozione a meccanismo non più unico e fondante la dimensione inconscia, apre un orizzonte diverso e più ampio con cui inquadrare la
sofferenza psichica. Si parla d'inconscio come struttura esistente, non limitabile, dotato di un'attività inesauribile, ad un tempo distruttiva e creativa, in perenne mitopoiesi, occupato ad associare e dissociare le fantasie inconsce. Dalla dialettica natura-cultura, pulsione-realtà, allora dominante, l'ottica si sposta includendo altre variabili. La vita rappresentativa tramite cui conosciamo la psiche non È determinata unicamente dalle vicende infantili nello scontroincontro con il reale, ma porta l'impronta dell'autonomia mitopoietica dell'inconscio. Dalla visione drammatica della lotta tra Es e Super-io, tra pulsione istintiva e limite, si configura, in questa prospettiva, un modo di concepire la sofferenza psichica intesa fondamentalmente come perdita di senso. La rappresentazione mentale acquista il valore e la pregnanza del senso, quando pone in tensione dinamica coscienza e inconscio, ciò che È razionale e condiviso con ciò È irrazionale e preme per manifestarsi. E' una conquista mai definitiva che si rinnova, attraverso la perdita e la frammentazione dell'unità rappresentativa e operativa precedente, per aprirsi a un nuovo livello, sia rappresentativo che operativo ed energetico. La nascita preziosa della coscienza dalla matrice originaria porta il limite di una scissione costitutiva, ma anche la tensione al suo superamento, per creare una nuova unità tra coscienza e inconscio. Nella visione proposta È dominante la polarità tra la tendenza alla dissociazione e l'inclinazione a costituire quell'unità irripetibile che È l'immagine simbolica, vero organo operatore del cambiamento. E' un fenomeno intrinseco e basale del processo vitale, messo sempre in luce, a vari livelli, nell'atteggiamento di Jung. La psiche in questa prospettiva non appare più in modo unitario, ma assume una natura multipla anche se in continua tensione verso una propria unità. Il concetto di complesso, il modo in cui fin dalle prime ricerche viene concepito il conflitto sotteso alla sofferenza
psichica, È la prima espressione sia di una fragilità costitutiva davanti alla spinta delle emozioni, sia della tendenza all'organizzazione unitaria di rappresentazioni a tonalità affettiva simile. Dissociazione e integrazione, separazione e unità. sono i due momenti dinamici di fondo di questa prospettiva o modello mentale. Jung affermerà a questo proposito: ... fattore essenziale di una nevrosi non È la tensione creata dall'affetto, ma la dissociazione della psiche, e che di conseguenza il problema terapeutico principale non consiste nell'abreazione, ma È quello di eliminare la dissociazione ("Valore terapeutico dell'abreazione", 1921-28, vol. 16, p. 141). Ponendo l'accento sull'altro lato di questa dinamica di fondo, sottolineerà ancora: Al polimorfismo della natura pulsionale primitiva si oppone di regola il principio d'individuazione; alla molteplicità e allo smembramento contraddittorio si oppone un'unità integratrice la cui forza È grande quanto quella delle pulsioni ("Energetica psichica", 1928, vol. 8, p. 60). La problematica della sofferenza psichica, in questa impostazione, È dominata dalla visione del rischio che ogni differenziazione e trasformazione comporta. Sotto la spinta della sofferenza, da una situazione rassicurante perchè condivisa, ci si avventura verso una condizione d'isolamento prima di poter integrare, come valore individuale, ciò che È divenuto o rimasto dissociato dalla coscienza.
4. DIMENSIONE PERSONALE DELL'INCONSCIO. Il giovane Jung che incontriamo nelle pagine di questo volume ha già delimitato il concetto di complesso a tonalità affettiva che rimarrà uno dei fili conduttori di tutta la sua speculazione. Dallo studio dei ricordi di natura complessuale e degli errori di reazione dei suoi pazienti, al tempo dei primi esperimenti associativi condotti nella clinica di Zurigo, È giunto
ormai a concepire il complesso come la modalità profonda di funzionare della psiche, sia nella normalità che nella patologia. Nel coordinare in una esperienza emotiva unitaria un vissuto, si esprime l'attività energetica del complesso. Esso È il modo stesso in cui conosciamo il mondo, organizzando la totalità dell'evento psichico, sia a livello emotivo che razionale. La capacità immaginativa, che traspare dai sogni come dalle fantasie,è la testimonianza di questo mettere insieme coerente che reagisce rendendo assimilabile un vissuto, a volte dissociante. In questi scritti affiora il cambiamento del vertice d'osservazione rispetto alla speculazione freudiana prima condivisa. Da una psicologia motivata dal perchè e tesa a scoprire le cause e i meccanismi di formazione della sofferenza psichica, il centro dell'attenzione si sta spostando sul come questa stessa esperienza si organizza in rappresentazione, dato che proprio in quel mettere insieme si esprime il significato più profondo, ma anche più individuale, di un vissuto sia normale che patologico. La dimensione personale dell'inconscio riporta ancora, in questi testi, l'enfasi sulla rimozione come meccanismo di fondo della patologia psichica. La concezione energetica della psiche però, che traspare evidente, va già al di là introducendo anche la dimensione prospettica del conflitto attuale, la sua potenzialità innovativa sull'equilibrio psichico. Alla domanda sui perchè di un determinato conflitto, si aggiunge quella tesa a comprendere il fine implicito. La sofferenza psichica È inquadrata come mancanza, perdita di una propria unità, che spinge alla ricerca di un nuovo equilibrio tra coscienza e inconscio mai definitivamente raggiunto ed espresso nel concetto-immagine limite, del sé. Jung per primo offre di questa tendenza della psiche a convergere in unità, che definirà sé, il carattere di tendenza originaria, intrinseca e strutturale alla psiche stessa. Questo fare della psiche, che l'idea di complesso ideo-affettivo per la prima
volta delinea, apre la ricerca di Jung alle vicissitudini del gioco tra integrazione e dissociazione, fino a configurare nella concezione del simbolo il passo successivo di questa visione. Il processo simbolico, che si comincia a mettere in evidenza nella formazione della rappresentazione mentale, non È più solo il segno di una realtà che lo precede, ma l'operatore di un cambiamento (vedi "Tipi psicologici", 1920, p. 483).
5. DIMENSIONE IMPERSONALE O COLLETTIVA DELL'INCONSCIO. Lo studio delle fantasie dei pazienti psicotici nella clinica psichiatrica aveva posto Jung davanti ad un materiale d'osservazione particolare. L'anima non È di oggi! Essa conta milioni di anni. Ma la coscienza individuale È solo il fiore e il frutto di una stagione, germogliato dal perenne rizoma sotterraneo e che armonizzerebbe meglio con la verità se tenesse conto del rizoma, giacchè l'intreccio delle radici È la madre di ogni cosa ("La libido, simboli e trasformazioni", 1912, vol. 5, p. 13). Nei testi qui compresi sono sistematizzate le prime intuizioni di quest'altra dimensione del mondo psichico. La guerra, in corso all'epoca di queste pubblicazioni, dimostrava spietatamente, secondo Jung, come in queste situazioni emergesse, a livello sociale, un inconscio profondo, provocante una specie di psicosi delle nazioni, simile a quella dell'individuo. Per la prima volta Jung parla d'inconscio collettivo, di dominanti, che nel 1919 denominerà archetipi ("Istinto e inconscio", 1919-56). E' come se la psicosi individuale, proprio nelle sue rappresentazioni espresse verbalmente ovvero agite, rivelasse l'intreccio di radici di quel rizoma profondo, che sembra andare oltre i confini dell'esperienza individuale. Sono modi di organizzare l'esperienza sensitiva, sensoriale, ma anche emotiva,
ideativa, che ricorrono sia nelle creazioni dell'uomo a livello sociale, nel corso della sua storia, sia nei deliri e nei comportamenti degli ammalati psichici più alieni. La fantasia dell'uomo, proiettando questo vissuto profondo, ha visto nella natura l'azione di dei e demoni, tramandati nei miti, fiabe e religioni della sua storia. Il medesimo tessuto immaginativo riemerge, travolgendo l'individuo negli stati di sofferenza psichica più gravi. Il concetto di inconscio collettivo, appena delineato, rappresenta un punto nodale del pensiero di Jung. La rappresentazione dell'inconscio configurata in questi testi distingue e ordina l'aspetto personaleontogenetico da quello impersonale-filogenetico. Dominante (poi archetipo) appare ad un tempo sia effetto e sedimentazione di esperienze verificatesi nei millenni, sia fattore intrinseco, costitutivo, che causa il tipo di queste esperienze riconoscibile in contesti culturalmente molto lontani tra loro. Jung affermerà in seguito: E' il modo di pensare analogico e primitivo del sogno, che ricostruisce queste antiche immagini. Non si tratta di rappresentazioni ereditarie ma di facilitazioni ereditarie ("Io e l'inconscio", 1928, vol. 7). Il rischio di ogni concezione su ciò che in sé sfugge, come l'inconscio, È che la visione si trasformi in sostanza. In questa prospettiva particolare, l'inconscio sembra scindersi in due entità, una personale e una collettiva, tra loro separate e distinte, mentre dobbiamo ricordare che parliamo di rappresentazioni soggettive. Anche Jung incorre a volte in questa tendenza lasciando spazio a zone oscure, non ben definite e contraddittorie della concezione delineata. A mio parere la dimensione personale e collettiva dell'inconscio non è tanto utile ad indicare contenuti conflittuali riconducibili alla storia individuale o della specie ma a differenziare il carattere e la forza dinamica operante di una rappresentazione mentale in un certo contesto. La domanda che possiamo porci È se grazie alla concezione-modello d'inconscio così distinto, si configuri una
nuova possibilità di percepire e distinguere nella cangiante fenomenologia psichica. La distinzione dell'inconscio personale e impersonale o archetipico, sembra aprire le porte ad una funzione relativa all'operare della rappresentazione mentale, prima che al suo essere.
6. IL MODELLO IN AZIONE: IL CONFRONTO CON L'IMMAGINE. Il modello che Jung propone in queste pagine acquista dinamicità e nuove possibilità di comprensione, se visto nel campo della relazione col paziente. Un sogno, ad esempio, come quello del granchio ne "La psicologia dei processi inconsci" (capitoli 6 e 7), È la porta che apre una diversa prospettiva. L'uso del sogno che fa Jung, rivela il particolare senso attribuito alla rappresentazione mentale, che si configura in questa esperienza, al di là dell'interpretazione contingente del momento. Il lettore attento può cogliere il valore dato alla singola immagine e l'uso che il terapeuta ne fa nella relazione. L'immagine granchio, ad esempio, nella totalità della rappresentazione onirica, non È solo l'espressione migliore dell'evento angoscioso che invade la protagonista, ma la descrizione precisa di ciò che È in atto nella relazione con quella paziente. Il granchio che afferra il tallone della donna, se È la descrizione più adeguata per inquadrare e comprendere un vissuto di sofferenza, È, in primo luogo, l'immagine del modo, proprio di quella persona, di mettersi in relazione con se stessa e con l'altro. Prima di essere un contenuto da sciogliere in un significato, l'immagine È il come soggettivo di una determinata sofferenza attuale, il modo in cui la paziente interpreta nel sogno il suo conflitto, e costantemente lo riproduce nelle sue relazioni, sia con l'amica che con il terapeuta. Jung ci fa intendere come la configurazione del morso che blocca il piede metta insieme ciò che nella relazione È vissuto
dalla coscienza di entrambi come separato. E' la rappresentazione dinamica sia della potenza inconscia proiettata e riconosciuta come appartenente al terapeuta, che dell'impotenza e angoscia della paziente, che si sente identificata con la parte che può venire trascinata nelle profondità. Il granchio nel dramma onirico messo in scena È l'immagine di ciò che ancora non può essere riconosciuto come proprio, e perciò viene scisso e proiettato sul terapeuta. La configurazione nella sua sequenza unisce in un'unica rappresentazione le parti in gioco nella relazione e ancora divise tra identificazione e proiezione. Leggendo tra le righe di questo esempio, si può arguire come la comunicazione verbale tra Jung e la sua paziente non esprimesse ancora ciò che la scena onirica integrava in unità, descrivendo l'evento emozionale in atto nella dinamica transferale. Traspaiono nelle parole di Jung aspetti ancora inediti del fenomeno transferale. Il suo approccio, teso alla percezione dell'immagine così come appare perchè non dequalificata dalla visione del rapporto tra censura e desiderio, gli permette di intuire la presenza di quei fenomeni di identificazione e proiezione che saranno in seguito descritti ed approfonditi nella ricerca analitica (identificazione proiettiva). Secondo il modello di Jung, l'immagine cattura e mette in scena il dinamismo presente nella relazione analitica. In questa prospettiva la rappresentazione È la forma precisa e articolata dell'evento psichico in atto. Siamo molto lontani ormai dal concetto d'immagine come rappresentazione deformata di una dinamica desiderante profonda, fino ad allora dominante la scena delle ricerche sui meccanismi onirici condotte da Freud. Questo particolare esempio, come altri contenuti in questa raccolta, permette di comprendere come inconscio personale ed impersonale non siano entità separate, ma modi di azione sempre compresenti. Se il sogno citato È costruito con gli elementi della storia personale e mette in scena dinamiche conflittuali attuali, di
quella persona e in quel momento, rivela anche la dimensione impersonale. Essa compare tanto nell'organizzazione scenica dei singoli elementi della rappresentazione, intesa come costruzione retorica del racconto onirico, simile a quella delle favole e dei miti, quanto nelle dinamiche psichiche attive nella relazione. L'istinto di rappresentazione e azione mosso dalle dominanti archetipiche non È riconoscibile solo nelle forme scelte, ma proprio nel loro operare sul campo. L'uso dell'espressione somiglianza con Dio, tratta dal "Faust" di Goethe che fa Jung nelle pagine della "Struttura dell'inconscio", mette l'accento sul modo dell'inconscio profondo di farsi presente. Compare un aspetto onnipotente del sentimento che investe l'uno come l'altro componente della coppia analitica. E' un modo d'essere inconscio dotato di grande potere penetrativo, nel gioco alterno di proiezioni e identificazioni che investono i due partecipanti, fino a giungere a stati emotivi perturbanti, potenzialmente distruttivi, che richiedono tutta la capacità umana, etica e analitica del terapeuta. L'immagine granchio che agisce nella profondità dell'acqua, cattura e porta alla visibilità onirica una dinamica di potenza inconscia proiettata su Jung nel momento ritratto dal sogno. Il suo divenire scena onirica, nel campo di quella relazione, testimonia una acquisita capacità di distanza dalle emozioni invadenti, e una possibilità di elaborazione. Lo spazio analitico, infatti, come suo carattere e scopo specifici, attiva la disposizione a rappresentare le emozioni che costituiscono la sofferenza psichica. E' la prima tappa di un percorso trasformativo in costante gioco tra la tendenza alla dissociazione psichica e l'infaticabile opera di strutturazione simbolica dell'unità psichica individuale.
7. INDIVIDUO E SOCIETA'. Il senso attribuito alla rappresentazione mentale, che si È andato delineando fin dai primi scritti della ricerca di Jung, ha aperto una prospettiva sul potere che hanno le rappresentazioni collettive sull'equilibrio del singolo. Le rappresentazioni dominanti le coscienze di un certo momento storico, come le controreazioni inconsce all'unilateralità da esse determinata, hanno una influenza sul singolo, tanto più nefasta quanto più grande È il gruppo in cui si manifestano. Grande È la tendenza a sostituire la funzione collettiva alla differenziazione della personalità individuale, con conseguente danno per l'equilibrio mentale. La vasta scena della società, nei suoi rivolgimenti spesso distruttivi, È espressione macroscopica del substrato inconscio impersonale attivo nella sofferenza individuale, come la patologia psichica del singolo riflette, quasi come uno specchio, quanto È in atto nel sociale. La carica violenta della potenza archetipica che investe a momenti la relazione analitica, sia nell'uno sia nell'altro dei partecipanti, trova analogie evidenti all'interno delle dinamiche sociali. La somiglianza con Dio appare espressione adatta ad indicare non solo le identificazioni del singolo con la potenza inconscia, in un contesto di profonda impotenza nel quotidiano, ma serve a far comprendere come una società possa delegare la soluzione dei suoi problemi e il proprio riscatto dall'avvilimento, a figure di leader carismatici come i dittatori ricorrenti nella nostra storia. Quanto più una società È dominata e livellata da stereotipi collettivi, tanto più possono emergere, come la storia insegna, figure simili a Dio. I quadri psicopatologici variano con i tempi, come se la psiche esprimesse la sua sofferenza corrispondente agli squilibri vitali del momento storico. L'ipotesi dell'inconscio collettivo apre una prospettiva ancora poco percorsa per tentare di inquadrare la psicopatologia secondo questa angolatura.
Oggi sono frequenti i disturbi latenti dell'identità che, coperti da una facciata sociale, vivono una dissociazione profonda dal proprio substrato emotivo personale. L'identificazione col ruolo sociale, con la persona, come la definisce Jung anche in queste pagine, insieme al vissuto angosciato di frammentazione intrapsichica, È caratteristica della struttura borderline. E' un modo di reagire e controllare il terrore del crollo depressivo che può esplodere a volte improvviso. in una società impostata sul mito dell'efficenza sia fisica che economica. Secondo la prospettiva aperta da Jung, la patologia psichica trova il terreno adatto al suo sviluppo quando i modelli dominanti l'atteggiamento psichico in una certa società riescono a farci perdere il contatto con la nostra individuale capacità di rappresentare il rapporto col mondo. Prima dell'esplodere di una patologia psichica conclamata, appaiono spesso comportamenti stereotipi suggeriti da rappresentazioni prefabbricate condivise da molti. La comunicazione di massa, con la sua profonda capacità di persuasione, eccita desideri, suggerisce bisogni e vie già tracciate da percorrere, per attuarli. C'È nella nostra patologia un nucleo d'esperienza che chiede di diventare forma e che non trova sempre nei modelli esistenti e prevalenti, risposte adeguate. Da questo punto di vista, È vitale arrivare a ridestare la nostra capacità di creare rappresentazioni e far emergere quelle risposte che sono in esse condensate. L'atteggiamento mentale derivato da questa impostazione È caratterizzato dalla certezza che la sofferenza psichica abbia, come racchiuso, un nucleo vivo, potenzialmente innovativo, che può essere portato allo sviluppo. Si concepisce l'idea che la sofferenza mentale, nell'ottica di questo modello, può essere considerata un tentativo di autoguarigione e una scintilla di una possibile trasformazione. Queste premesse fanno comprendere quanto sia importante seguire una strada che, anche nella terapia psichica,
cerchi di stimolare la ricerca di risposte individuali. Il singolo, travolto inconsapevolmente dalle immagini dominanti un determinato contesto storico, ha il difficile compito di riconoscere il proprio malessere, confrontarsi con la propria differenza che a volte lo isola e lo rende inaccettabile al collettivo, per immaginare nuove possibili strade alla propria capacità di vivere.
8. TRASFORMAZIONE E METAFORA. Traspare in questi testi di Jung come la guarigione dalla sofferenza psichica non deriva che in piccola parte dal riconoscere i meccanismi di formazione della nostra patologia. Ricercare le cause sottese, riconoscere i meccanismi di formazione e di manifestazione dei nostri sintomi, apre solo la strada al momento centrale in cui ciò che È inconscio, racchiuso nella ripetizione del conflitto, possa prendere forma ed esprimersi. Senza escludere il problema delle origini, si sottolinea come la trasformazione possa avvenire solo quando la rappresentazione mentale organizza in una nuova unità coscienza e inconscio, liberando nuove energie. Sostanziale per la trasformazione È il processo che prima distingue e poi mette insieme, nella tensione di una nuova rappresentazione, gli estremi in conflitto della sofferenza. Alla dissociazione delle parti può subentrare così un processo d'integrazione simbolica, che l'immagine mette in scena, ristabilendo il rapporto tra ignoto dell'uomo e ignoto del mondo. Rendere conscio l'inconscio non È più legato solo ad una visione causale, esplicativa, per meccanismi, quanto al poter rendere esprimibile almeno in parte ciò che in sé rimane indicibile. Compito della terapia analitica, in questa prospettiva, non È tanto quello di spiegare, nel senso di racchiudere in una comprensione il vissuto della sofferenza mentale, quanto nel
senso di stimolare e distendere la possibilità alla configurazione narrativa, propria dell'atto rappresentativo spontaneo. Da questa punto di vista, la malattia sta fondamentalmente nella mancanza di senso che solo la rappresentazione simbolica, estratta dal conflitto, restituisce, portando ad una nuova unità ciò che fino a quel momento era stato vissuto scisso, in continua angosciosa alternanza, tra impotenza e potenza. Jung già in questi testi indica una sua strada per destare la capacità simbolica. In "Struttura dell'inconscio" afferma: L'immaginazione ha un proprio valore irriducibile in quanto funzione psichica le cui radici affondano nel contenuto della coscienza e insieme in quello dell'inconscio, nel collettivo come nell'individuale. Ma da dove proviene allora la cattiva reputazione dell'immaginazione? Le viene soprattutto dalla circostanza che le sue manifestazioni non possono essere prese alla lettera. Se le si considera in modo concreto, non hanno alcun valore: se si attribuisce loro un senso semeiotico, come fa Freud, sono interessanti dal punto di vista scientifico; ma se le si intende secondo la concezione ermeneutica, quali veri simboli, esse ci forniscono il segnale indicatore di cui abbiamo bisogno per continuare la nostra vita in armonia con noi stessi. Si deve a questa instancabile capacità combinatoria, che prende forma visibile nei sogni e nelle fantasie, la potenzialità di creare un ponte tra coscienza e inconscio, tra ciò che definiamo razionale e l'irrazionale che chiede spazio. La rappresentazione mentale porta alla luce, nella veglia e nel sonno, l'azione costante di questo elaboratore che continuamente tende a unire ciò che È scisso dal conflitto e, sciogliendo le ripetizioni dell'atteggiamento cosciente, a proporre nuove possibili combinazioni e tentativi di superamento. L'autorappresentazione immaginativa che appare È espressione figurata sia della condizione della coscienza, sia della dinamica inconscia attivata in quel momento. Nella conferenza sulla "Psicologia dei sogni", si coglie già il metodo conseguente a questo modo d'intendere la
rappresentazione mentale. La scena onirica in particolare non È più vista con sospetto per decantare ciò che È latente, ma come la composizione possibile in quel momento, e perfettamente aderente sia al gioco lacerante dei vissuti interni, sia alle potenzialità di sviluppo. La coscienza abituata ad una modalità unilaterale che la difende, ha bisogno dell'immagine che evocando in modo indiretto, metaforico, spezza le connessioni abituali del comprendere, e aprendo altri punti di vista compensa e stimola l'impostazione di nuovi modi di fare. Il sogno inteso come teatro in cui il sognatore è insieme scena, attore, suggeritore, regista, autore e pubblico e critico, come affermerà in seguito Jung, indica il ruolo complesso attribuito all'esperienza. E' un dire che può trasformare, un racconto per immagini che ha la potenzialità di liberare da uno stallo conflittuale, prima ancora di aprire la capacità di comprensione dell'evento sofferto. Entrambi i momenti, quello espressivo per immagini e quello della conoscenza, fanno parte integrante della trasformazione. L'atto dell'immaginare non È riducibile ad un approccio causale, ma rivela nel suo formarsi, nel come si organizza nello spazio intermedio della scena onirica o fantastica, la struttura metaforica da cui nasce il linguaggio, la possibilità di comunicare che trasforma l'esperienza. L'immagine costruita col vasto patrimonio delle percezioni subliminali, trova aspetti costitutivi del suo apparire nel passato immediato, ma È anche organizzata in rappresentazione in modo prospettico, come un progetto. Jung, anche negli scritti qui raccolti, avverte il rischio dell'unilateralità nell'approccio al mondo psichico. L'enfasi posta sul valore trasformativo e progettuale dell'immagine fantastica, ad esempio, può portare ad una idealizzazione che non permette di distinguere. In "Struttura dell'inconscio" afferma: In psicologia si deve diffidare sia della credenza assoluta nella causalità, sia della credenza assoluta nella teleologia. L'immagine È in primo luogo una forma con cui aprire un confronto. Per essere compresa nel
suo valore trasformativo, deve sempre essere confrontata col campo di tensioni in cui appare. Non ogni immagine rappresenta un'esperienza d'integrazione, ma può esprimere una difesa, una chiusura narcisistica, che blocca l'evoluzione e il cambiamento. Riferire la sua forma ad un criterio causale o finalistico È solo un modo di vederla, mentre essa, nella sua struttura, caratterizza ed esprime una relazione tra parti da conoscere. Nei lavori dopo il 1920, e soprattutto nei testi della maturità dedicati allo studio del processo descritto dalla tradizione alchemica, Jung porrà le distinzioni qui accennate. Il campo dell'incontro tra coscienza e inconscio, l'area intermedia che la relazione analitica attiva, diventa una condizione di fondo per far emergere la metafora trasformativa, intesa come operatore simbolico del cambiamento. Essa È prima solo implicita nelle dinamiche transferali attive nella relazione, ma viene gradualmente portata alla luce e riconosciuta. Si allude a quel momento centrale nell'economia psichica in cui un'emozione, ancora indistinta, acquista il carattere della rappresentazione mentale. Il raggiunto livello della visibilità immaginativa rende concepibile e conoscibile la spinta inconscia sottesa all'emozione. E' tuttora aperta la ricerca sulle condizioni che favoriscono la possibilità di attivare proprio l'immagine che esprime e determina la tensione del simbolo. Quali sono le condizioni di campo e l'atteggiamento mentale che favoriscono la messa in tensione della polarità conflittuale e attivano la disposizione a rappresentarle nell'unità di una configurazione? L'impossibilità della risposta, l'urgenza e la necessità, con il dolore psichico che ne consegue, appaiono condizioni presenti nella relazione che devono essere affrontate per raggiungere questa possibilità. Jung, nel suo approccio alla rappresentazione mentale, ha individuato il ruolo costruttivo e mutativo della narrazione metaforica, di cui il fenomeno sogno È l'aspetto naturale e
spontaneo. E' una narrazione che nasce come immagine prima di poter diventare parola. Nel passaggio dall'emozione indistinta all'immagine e poi alla parola, si libera l'energia bloccata dal conflitto. E' il modo di aprire la strada al cambiamento di un individuo che invece di essere un prodotto culturale, spesso sofferente, tenta di arrivare ad un proprio modo d'essere, in un continuo scambio dialettico con l'ambiente sociale in cui vive e opera. Paolo Aite
NOTA BIOGRAFICA
1875. Carl Gustav Jung nasce il 26 luglio a Kesswil, un paese sulla riva svizzera del lago di Costanza, da Paul Jung, pastore protestante e da Emile Preiswerk. Il nonno paterno, professore di medicina di origine tedesca, fu una grande personalità molto nota a Basilea. Il nonno materno fu insigne teologo e ebraista. 1879. Dopo un periodo di tre anni passato a Laufen, vicino alle cascate di Sciaffusa, la famiglia si trasferisce definitivamente a , un sobborgo di Basilea sulle rive del Reno. 1876-1894. Comincia gli studi secondari al ginnasio di Basilea. Stando alla sua autobiografia, furono anni difficili per quanto riguarda i rapporti con gli altri. Supera, dopo aver avvertito la preoccupazione del padre per lui, un periodo di smarrimento, connesso con una sua capacità, scoperta per caso, di simulare volontariamente la perdita dei sensi. Pensa di avere una doppia personalità, quella che appare agli altri e quella nascosta, un importante personaggio del diciassettesimo secolo. Tra i quindici e i diciotto anni ha una crisi religiosa. Viene particolarmente colpito dalla lettura di Schopenhauer e di Goethe. 1895. Dopo la maturità si iscrive alla Facoltà di medicina dell'Università di Basilea. Suo padre riesce ad ottenere per lui una borsa di studi. 1896.
Muore il padre. Vive con la sorella e la madre nel villaggio di Binningen. 1898. La scoperta dello "Zarathustra" di Nietzsche lo segna profondamente. Inizia ad interessarsi di spiritismo e partecipa ad esprimenti medianici che hanno per protagonista una cugina materna, Helena Preiswerk. 1900. Si laurea in medicina con una tesi, "Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti", che verrà pubblicata nel 1902. Decide di specializzarsi in psichiatria e l'11 dicembre entra all'ospedale psichiatrico Burgh"lzli di Zurigo come assistente. A dirigere l'ospedale c'È Eugen Bleuler, figura di grande impegno scientifico e umano. 1902. Ottiene un permesso di studio per seguire il corso invernale tenuto da Pierre Janet alla Salp~triÈre di Parigi, l'ospedale psichiatrico in cui aveva insegnato Charcot. 1903. Sposa Emma Rauschenberg, figlia di un ricco industriale di Sciaffusa. Dal matrimonio nasceranno cinque bambini: Agathe (1903), Anna (1906), Franz (1908), Marianne (1910) ed Emma (1914). 1903-1905. Inizia su proposta di Bleuler gli esperimenti dell'associazione verbale: scopre il complesso a tonalità emotiva. 1905-1909. Oberarzt al Burgh"lzli, corrispondente a viceprimario. 1905-1913. Libera docenza alla Facoltà di Medicina dell'università di Zurigo. 1906. Prende pubblica posizione a favore della psicoanalisi di Freud. Inizia la loro corrispondenza. 1907.
Febbraio: primo incontro con Freud a Vienna. Pubblica "Psicologia della dementia praecox" (schizofrenia). 1909. Lascia l'ospedale a causa di tensioni personali con Bleuler e a causa del superlavoro. Comincia l'attività psicoterapeutica nella casa di K^ssnacht sul lago di Zurigo, nei pressi della città, casa in cui vivrà per sempre. Nel settembre insieme con Freud e Ferenczi viene invitato a tenere alcune lezioni dalla Clark University di Worcester nel Massachusetts. Diventa redattore della rivista Jahrbuch f^r psychologische und pathologische Forschungen di cui erano direttori Freud e Bleuler. 1910. In marzo al Congresso di Norimberga viene fondata l'Associazione Psicoanalitica Internazionale di cui Jung È presidente fino al 1914. 1912. "Trasformazioni e simboli della libido". Nel settembre inizia le lezioni alla Fordham University di New York nelle quali vengono per la prima volta espressi pubblicamente punti di dissenso dalle teorie di Freud. 1913. In agosto davanti alla Psycho-Medical-Society, a Londra, Jung definisce il suo orientamento di ricerca psicologia analitica. In settembre il Congresso di Monaco dell'Associazione Psicoanalitica Internazionale lo rielegge presidente. In ottobre lascia la sua carica di redattore dello Jahrbuch. 1914. Si dimette dalla carica di presidente dell'Associazione per poi uscirne definitivamente in luglio con il gruppo di Zurigo. 1916. Fa circolare tra gli amici un breve scritto "Septem sermones ad mortuos", in cui si può rintracciare la testimonianza di quel serrato confronto con l'inconscio, di quello stato psicologico al limite della malattia nel quale era entrato già da un paio d'anni e
da cui uscirà solo nel 1919. In "La funzione trascendente" cita per la prima volta il metodo dell'immaginazione attiva. "La struttura dell'inconscio". 1917-1918. Ufficiale medico in un campo di internamento inglese a Chfteau-d'Oex. 1918. Comincia lo studio degli Gnostici. 1920. Viaggio nel nord dell'Africa. 1921. Pubblica i "Tipi psicologici". 1923. Muore la madre. Su un terreno, comprato l'anno prima, a Bollingen dall'altra parte del lago comincia la costruzione di una torre, che si completerà solo nel 1955. 1924-1926. Nel corso di questi due anni passa alcuni mesi presso gli indiani Pueblos in Nord America e poi presso la popolazione del monte Elgon in Africa. 1928. Sono pubblicati "Energetica psichica" e l'"Io e l'inconscio". Comincia gli studi di alchimia. 1929. Commento al "Mistero del ramo d'oro" tradotto dall'amico Richard Wilhelm. 1930. E' nominato vicepresidente della Società tedesca di psicoterapia, di cui poi diverrà presidente nel 1933. 1931. "Il problema fondamentale della psicologia contemporanea". 1932. Premio per la letteratura della città di Zurigo. 1933.
Inizia le lezioni al Politecnico di Zurigo. In agosto viene tenuto il primo degli incontri di Eranos, ad Ascona, Sull'empiria del processo di individuazione. 1934-1939. "Psychological aspects of Nietzsche's Zarathustra", seminari in inglese allo Psychologischer Club di Zurigo. 1935. Viene nominato professore titolare al Politecnico di Zurigo. A Londra tiene le Lezioni di Tavistock sui "Fondamenti della psicologia analitica". Commento in chiave psicologica al "Libro dei morti tibetano". 1936. Lezioni sulle "Determinanti psicologiche del comportamento umano" in occasione del trecentesimo anniversario della fondazione dell'Università di Harvard. 1937. Terry Lectures alla Yale University su Psicologia e religione. Si trova a Berlino durante l'incontro Mussolini-Hitler. 1937-1938. Su invito del governo viaggia in India dove riceve la laurea "honoris causa" dalle Università di Calcutta, Benares e Allahad. 1938. Laurea onoraria dell'Università di Oxford. 1939. E' nominato membro onorario della Royal Society of Medecine di Londra. 1940. "Psicologia e religione". In agosto a Eranos tiene la conferenza Saggio di interpretazione psicologica del dogma della Trinità. 1941. "Introduzione all'essenza del mito" in collaborazione con K. Kereny. In occasione del quarto centenario della morte, tiene dei
discorsi su Paracelso, a Basilea e Einsiedeln. 1942. Si dimette da professore titolare del Politecnico di Zurigo. 1943. Viene nominato professore ordinario di psicologia all'Università di Basilea, insegnamento a cui È costretto a rinunciare l'anno dopo a causa di un infarto. 1944. "Psicologia e alchimia". 1945. Laurea "honoris causa" dell'Università di Ginevra in occasione del suo settantesimo compleanno. 1946. "Psicologia e educazione". "Psicologia della traslazione". 1948. Fondazione dell'Istituto C. Jung di Zurigo. 1951. Pubblica "Aion: ricerche sulla storia del simbolo". In agosto ha luogo l'ultimo dei suoi discorsi di Eranos Sulla sincronicità che verrà poi esteso e pubblicato l'anno dopo con il titolo "Sincronicità come principio di nessi acausali". 1952. "Simboli della trasformazione", nuova edizione completamente rivista del suo "Trasformazioni e simboli della libido". 1953. Cominciano ad uscire a New York i "Collected Works", tutta l'opera di Jung in inglese. 1955. Laurea "honoris causa" del Politecnico di Zurigo. Esce il primo volume del "Mysterium coniunctionis", il secondo uscirà l'anno dopo. Muore la moglie Emma. 1956.
Con Aniela AffÈ comincia a lavorare alla sua biografia, "Ricordi, sogni, riflessioni". 1957. "Presente e futuro". 1960. In occasione del suo ottantacinquesimo compleanno viene nominato cittadino onorario di K^ssnacht. 1961. "Approaching the Unconscious", ultimo scritto di Jung scritto originariamente in inglese, di introduzione alla psicologia analitica, pubblicato in "L'uomo e i suoi simboli" nel 1968. Muore il 6 giugno dopo una breve malattia.
NOTA BIBLIOGRAFICA
a) "La Psicologia dei sogni" ("The Psychology of Dreams") È una conferenza tenuta al Berne Medical Congress nel 1914, dopo lo scoppio della guerra, e viene pubblicata per la prima volta nei "Collected Papers on Analytical Psychology", Constance E. Long, Bailliere Tindall a. Cox, London, 1916. b) "La struttura dell'inconscio" viene pubblicata per la prima volta in versione francese ("La structure de l'inconcient") tradotta da un manoscritto dell'autore negli Archives de Psychologie, nel dicembre 1916, vol. 16, pag. 152. c) "La psicologia dei processi inconsci" ("Die Psychologie der Unbewussten Prozesse") viene pubblicato nel 1917 presso l'editore Rascher di Zurigo.
L'INCONSCIO
LA PSICOLOGIA DEI SOGNI
Un sogno È una struttura psichica che a prima vista sembra in palese contrasto col pensiero cosciente, poiché, a giudicare dalla sua forma e sostanza, in apparenza non rientra nella continuità di sviluppo dei contenuti di coscienza, non si integra con questo sviluppo, ma È un evento puramente esteriore e a quanto pare, accidentale. Il modo in cui nasce un sogno basta di per sé ad isolarlo dagli altri contenuti di coscienza, perchè È un residuo di un'attività psichica specifica, che ha luogo durante il sonno e non ha origine nella chiara e manifesta continuità logica ed emozionale dell'esperienza. Un osservatore attento, però, non avrà difficoltà a scoprire che il sogno non È del tutto avulso dalla continuità della coscienza, poichè quasi in ogni sogno si possono rintracciare certi dettagli provenienti da impressioni, pensieri o stati d'animo di uno dei giorni precedenti. Esiste, dunque, sotto questo aspetto una certa continuità, sia pure "retrospettiva". Ma chiunque abbia attentamente considerato il problema dei sogni avrà necessariamente osservato il fatto che il sogno possiede anche una continuità "progressiva" - se ci si consente quest'espressione - poichè talvolta i sogni esercitano un notevole influsso sulla vita psichica cosciente, anche in persone che non possono essere considerate superstiziose o particolarmente fuori della norma. Questi effetti successivi occasionali si individuano di solito in alterazioni più o meno definite dello stato d'animo del sognatore. E' probabile che il ricordo del sogno sia così labile proprio a causa di questa debole connessione con gli altri contenuti coscienti. Molti sogni si sottraggono a tutti i tentativi
di riprodurli, anche subito dopo il risveglio, altri possono essere ricordati solo con dubbia precisione, e sono solo pochi i sogni che possiamo definire davvero di chiara e sicura ricostruzione. Questa particolare reazione del sogno rispetto ai tentativi di ricordarlo si può comprendere considerando le caratteristiche degli elementi combinati insieme in un sogno. Nei sogni, la combinazione delle idee È essenzialmente di tipo "fantastico"; esse sono legate in una sequenza che È di solito del tutto estranea al nostro comune modo di pensare, e in patente contrasto con quella sequenza logica delle idee che noi consideriamo come una specifica caratteristica dei processi mentali coscienti. E' a questa caratteristica che i sogni devono il comune epiteto di insensati. Ma prima di pronunciare questo verdetto, dobbiamo riflettere sul fatto che i sogni e la loro concatenazione di idee sono qualcosa che siamo noi a non comprendere. Questo verdetto si limiterebbe dunque ad una semplice proiezione sull'oggetto della nostra incapacità di comprensione. Ma ciò non escluderebbe che sia insito nel sogno un suo proprio senso particolare. A dispetto del fatto che per secoli e secoli È stato compiuto lo sforzo di ricavare dai sogni un senso profetico, la scoperta di Freud È praticamente il primo tentativo di trovare il loro reale significato. La sua opera merita di essere definita scientifica, poichè questo ricercatore ha elaborato una tecnica che non solo lui, ma anche molti altri ricercatori, ritengono che raggiunga il suo scopo, cioè la comprensione del significato del sogno. Questo significato non coincide con quello a cui allude frammentariamente il contenuto manifesto del sogno. Non È questa la sede per una discussione critica della psicologia del sogno di Freud. Voglio invece tentare di esporre sommariamente quelli che possono essere considerati come fatti più o meno accertati dell'attuale psicologia del sogno. La prima questione che dobbiamo discutere È che cosa ci autorizzi ad attribuire al sogno un altro significato rispetto a quello insoddisfacente e frammentario rappresentato dal
contenuto onirico manifesto. Su questo punto È di particolare importanza il fatto che Freud abbia scoperto il significato nascosto del sogno seguendo un metodo "empirico" e non "deduttivo". Un altro argomento a favore di un possibile significato nascosto, opposto al significato manifesto del sogno, lo si ricava confrontando in uno stesso individuo le fantasie oniriche e le altre fantasie (sogni ad occhi aperti e simili). Non È difficile riconoscere che queste fantasie della veglia non hanno solo un significato superficiale concretistico, ma anche un significato psicologico più profondo. E' solo per la concisione che qui devo impormi che non fornisco materiali a riprova di quest'affermazione. Desidero però segnalare che ciò che si può dire sul significato delle fantasie viene ben chiarito da un tipo di racconto fantastico antico e largamente diffuso, di cui le favole di Esopo costituiscono un tipico esempio. La storia È una fantasia oggettivamente assurda, sulle imprese di un leone e di un asino. Il significato concreto superficiale del racconto È una fantasia assurda, il significato morale nascosto, riflettendoci, È di palmare chiarezza. E' tipico dei bambini che rimangano appagati e soddisfatti dal senso immediato della favola. Ma il migliore argomento a favore dell'esistenza di un significato nascosto del sogno ce lo offre senz'altro la coscienziosa applicazione del procedimento tecnico volto a spiegare il contenuto manifesto del sogno. Questo ci porta al secondo punto chiave, ossia alla questione del metodo analitico. Anche in questo caso non intendo né difendere, né criticare i punti di vista e le scoperte di Freud, ma limitarmi a quelli che mi sembrano dati accertati. Il fatto che il sogno sia una struttura psichica non ci autorizza minimamente a supporre che obbedisca a leggi e intenzioni diverse da quelle riferibili a qualsiasi altra struttura psichica. Secondo la massima "Principia explicandi praeter necessitatem non sunt multiplicanda", dobbiamo trattare il sogno analiticamente, così come un qualsiasi altro prodotto psichico, finchè l'esperienza non ci insegni una via migliore.
Sappiamo che ogni costruzione psichica, considerata dal punto di vista causale, È la risultante di contenuti psichici precedenti. Inoltre sappiamo anche che ogni struttura psichica, considerata dal punto di vista finalistico, ha un suo proprio senso e scopo nel processo psichico attuale. Questo modello deve essere applicato anche al sogno. Se dunque vogliamo spiegare il sogno psicologicamente, dobbiamo anzitutto sapere quali sono le esperienze precedenti di cui È composto. Dobbiamo, quindi, rintracciare gli antecedenti di ogni elemento dell'immagine onirica. Per esempio: qualcuno sogna che sta camminando per la strada quando davanti a lui sbuca correndo un bambino che improvvisamente viene investito da un'automobile. Rintracceremo gli antecedenti di questa immagine onirica con l'aiuto dei ricordi del sognatore. Egli riconosce nel bambino il figlio di suo fratello. Lo aveva visto la sera prima del sogno in occasione di una visita al fratello. L'incidente automobilistico gli ricorda un incidente che si È effettivamente verificato alcuni giorni prima, di cui però egli ha soltanto letto una cronaca sul giornale. Sappiamo che il giudizio comune si accontenta con una spiegazione come questa. E' così che diciamo: Ah! Ecco perchè ho sognato questa o quest'altra cosa!. Ovviamente, dal punto di vista scientifico, questa spiegazione È del tutto insufficiente. Il sognatore, il giorno prima, ha attraversato tante strade: perchè ha scelto proprio questa? Il sognatore ha letto di molti incidenti: perchè ha scelto proprio questo? La semplice scoperta di un antecedente, dunque, non È affatto sufficiente, poichè solo il concorrere di più cause può produrre una determinazione plausibile della rappresentazione onirica. La raccolta di ulteriore materiale prosegue in base allo stesso principio della reminiscenza, che È stato chiamato "metodo associativo". Il risultato, come si può facilmente capire, consiste nell'acquisizione di una massa di materiale multiforme e assolutamente eterogenea, che sembra non avere nulla in comune, tranne il suo evidente nesso associativo con i contenuti del sogno, altrimenti non sarebbe
stato possibile riprodurlo a partire da tali contenuti. Una questione importante dal punto di vista tecnico È sino a che punto debba spingersi la raccolta di questo materiale. Dato che da un qualunque punto di partenza si può alla fine portare alla luce tutto il contenuto psichico di una vita, teoricamente in ogni sogno si potrebbe trovare l'intera esperienza esistenziale precedente. Noi però abbiamo bisogno solo della quantità di materiale che ci È assolutamente necessaria per comprendere il significato del sogno. La limitazione del materiale È, ovviamente, un procedimento arbitrario, basato su quel principio kantiano che definisce il "comprendere" come un conoscere nella misura necessaria al nostro scopo. Se, ad esempio, intraprendiamo una ricerca sulle cause della Rivoluzione francese, possiamo includere nella raccolta del materiale non solo la storia della Francia medievale, ma anche la storia romana e greca, il che, certo, non È necessario al nostro scopo, poichè possiamo comprendere altrettanto bene la genesi storica della Rivoluzione anche a partire da un materiale assai più limitato. A parte questa limitazione arbitraria, la raccolta del materiale non dipende dalla discrezione del ricercatore. Il materiale raccolto deve poi venir sottoposto ad un processo di selezione per essere analizzato secondo i principi che vengono sempre applicati nell'esaminare un materiale storico o un qualsiasi altro materiale scientifico sperimentale. Si tratta di un metodo sostanzialmente comparativo, che ovviamente non può essere applicato in modo automatico, ma dipende in larga misura dall'abilità e dagli intenti del ricercatore. Quando si vuole spiegare un fatto psicologico, bisogna ricordare che il dato psicologico richiede un duplice punto di vista, ossia il punto di vista della "causalità" e quello della "finalità". Parlo intenzionalmente di finalità, per evitare confusioni con il concetto di teleologia. Uso il termine di finalità per designare la teleologia psicologica immanente. Nella misura in cui adottiamo un approccio causale per il materiale che È stato associato con il sogno, noi riduciamo il contenuto
manifesto del sogno a certe tendenze o idee fondamentali. Queste tendenze o idee, come ci si potrebbe aspettare, sono di natura elementare e universale. Ad esempio, un giovane paziente fa il seguente sogno: Mi trovo in un giardino d'altri e prendo una mela da un albero. Guardo circospetto in giro, per assicurarmi che nessuno mi veda. Il materiale associato al sogno È una reminiscenza di quando una volta, da ragazzo, egli colse di nascosto un paio di pere nel giardino di qualcuno. La sensazione di cattiva coscienza, È che un tratto decisivo nel sogno, gli ricorda una situazione in cui si era trovato il giorno precedente. Aveva incontrato per strada una giovane signora - una conoscenza occasionale - e aveva scambiato con lei alcune parole. In quel momento passava un signore che conosceva e allora il nostro paziente era stato colto improvvisamente da uno strano imbarazzo, come se avesse compiuto qualcosa di male. Alla mela associava la scena del Paradiso terrestre e insieme il fatto che non aveva mai realmente compreso perchè l'aver mangiato il frutto proibito avesse provocato conseguenze tanto crudeli per i nostri progenitori. Era una cosa che gli aveva sempre fatto provare rabbia; gli sembrava un'ingiustizia commessa da Dio, poichè Dio ha pur creato gli uomini così come sono, con tutta la loro curiosità ed avidità. Un'altra associazione fu che suo padre a volte lo aveva punito per certe cose in un modo che gli sembrava incomprensibile. Aveva ricevuto la più dura punizione perchè aveva guardato di nascosto le ragazze mentre facevano il bagno. Questo lo porta a confessare di aver avviato da poco con una cameriera una relazione amorosa, che non era ancora arrivata a una conclusione. La sera prima del sogno aveva avuto un "rendez-vous" con lei. Se riesaminiamo questo materiale, notiamo che il sogno rinvia in modo trasparente all'incidente del giorno prima. Il materiale associativo collegato mostra che l'episodio della mela
È chiaramente inteso come scena erotica. Ma anche per varie altre ragioni si può ritenere altamente probabile che questa esperienza del giorno prima fosse ancora all'opera in questo sogno. Nel sogno il giovane coglie quella mela paradisiaca che, nella realtà, non ha ancora colto. La parte restante del materiale che era stato associato al sogno riguarda un'altra esperienza del giorno prima, ossia la strana sensazione di "cattiva coscienza" che aveva colto il sognatore mentre parlava con la signora conosciuta occasionalmente; questa sensazione, a sua volta, era collegata con il peccato originale nel Paradiso terrestre e, infine, con una trasgressione a sfondo erotico compiuto da bambino, per la quale suo padre lo aveva severamente punito. Tutte queste associazioni sono legate insieme dall'idea di "colpa". Per prima cosa considereremo questo materiale dal punto di vista freudiano della causalità; in altre parole, lo interpreteremo, per usare l'espressione di Freud. Il giorno precedente il sogno, un desiderio È rimasto insoddisfatto. Questo desiderio si realizza nel sogno con la scena "simbolica" della mela. Ma perchè questa realizzazione È mascherata e nascosta in un'immagine simbolica, anzichè esprimersi in un esplicito pensiero sessuale? Freud si richiamerebbe all'inequivocabile senso di colpa che emerge dal materiale, e direbbe che la moralità inculcata nel giovane sin dall'infanzia È tesa a reprimere desideri di questo tipo, e a questo scopo bolla il naturale desiderio come immorale e biasimevole. Perciò il pensiero immorale rimosso può giungere ad esprimersi solo tramite un "simbolo". Visto che questi pensieri sono incompatibili con il contenuto morale dell'Ego cosciente, un fattore psichico introdotto da Freud, chiamato "censura", provvede a non far passare esplicitamente nella coscienza questo desiderio. Riesaminare il sogno dal punto di vista della finalità, punto di vista che io contrappongo a quello freudiano, non implica, come desidero precisare, una negazione delle cause del sogno, ma una differente interpretazione del materiale associativo
raccolto intorno al sogno. I fatti materiali restano gli stessi, ma È mutato il criterio con cui vengono misurati. La questione si può formulare semplicemente così: qual È l'intento di questo sogno? Che effetto vuole ottenere? Porsi queste domande non È arbitrario, in quanto esse si possono applicare ad ogni attività psichica. In ogni circostanza può essere sollevata la domanda del perchè e a che scopo. E' chiaro che il materiale aggiunto dal sogno all'esperienza erotica del giorno prima enfatizza soprattutto il senso di colpa dell'atto erotico. La stessa associazione si era già mostrata all'opera in un'altra esperienza vissuta il giorno prima, nell'incontro con la signora conosciuta occasionalmente, in cui la sensazione di avere la coscienza sporca era emersa automaticamente ed inesplicabilmente, quasi che anche in questo caso il giovane avesse compiuto qualcosa di male. Anche questa esperienza gioca un suo ruolo nel sogno e viene ulteriormente rafforzata con l'associazione di altro materiale; l'esperienza erotica vissuta il giorno prima viene infatti rappresentata dalla storia del peccato originale, che fu seguita da una punizione così severa. Io dico che nel sognatore c'È un'inconscia propensione o "tendenza a concepire le proprie esperienze erotiche come colpa". E' proprio tipico il fatto che si verifichi l'associazione col peccato originale, rispetto al quale il giovane non ha mai realmente afferrato perchè fosse stato punito così drasticamente. Quest'associazione getta luce sui motivi per cui il sognatore non ha semplicemente pensato: Sto facendo qualcosa che non va bene. Ovviamente non sa che potrebbe condannare la propria condotta in quanto moralmente scorretta. E in realtà È proprio così. Coscientemente crede che il suo comportamento non rappresenti nulla sul piano morale, in quanto tutti i suoi amici agirebbero allo stesso modo; per di più, per altri motivi, non riesce nemmeno a capire come mai un fatto come questo possa fare tanto scalpore. Ora, se si debba considerare questo sogno come pieno di
significato o privo di significato, dipende da una questione di notevole importanza, e cioè se il punto di vista della moralità, tramandatoci attraverso i secoli dai nostri antenati, sia da ritenere pieno di significato o privo di significato. Non voglio perdermi in una discussione filosofica su questo tema, ma solo osservare che, evidentemente, l'umanità deve aver avuto motivi assai validi per escogitare una morale di questo tipo, altrimenti non si comprenderebbe davvero perchè dovessero essere imposte simili restrizioni ad una delle più forti brame dell'uomo. Se noi diamo il giusto valore a questo fatto, dobbiamo allora dichiarare che questo sogno È ricco di significato, in quanto pone il giovane di fronte alla necessità di guardare coraggiosamente alla propria condotta erotica dal punto di vista della morale. Perfino popoli assolutamente primitivi hanno una legislazione sulla sessualità, per certi versi estremamente rigida. Questo fatto dimostra che specialmente la morale sessuale È un fattore da non sottovalutare nelle funzioni psichiche superiori, ma merita di essere tenuta in piena considerazione. Si dovrebbe aggiungere, in questo caso, che il giovane - influenzato dall'esempio dei suoi amici - si lascia guidare un po' sconsideratamente solo dai propri desideri erotici, non pensando che l'uomo È un essere moralmente responsabile e che, volente o nolente, deve sottostare necessariamente ad una moralità che egli stesso ha creato. In questo sogno possiamo riconoscere una funzione compensatrice dell'inconscio, consistente nel fatto che "quei pensieri, quelle inclinazioni e tendenze della personalità umana che, nella vita cosciente, vengono riconosciute troppo di rado, entrano in funzione spontaneamente nello stato di sonno, quando il processo cosciente È in larga misura disinnestato". Certo, ci si può porre la questione dell'utilità che può avere tutto ciò per il sognatore, se poi non comprende il sogno. Su questo devo osservare che il comprendere non È un processo esclusivamente intellettuale, poichè, come prova l'esperienza, moltissime sono le cose che possono influire
sull'uomo - anzi, possono addirittura convincerlo realmente senza che egli le comprenda intellettualmente. Voglio solo ricordare ai miei lettori l'efficacia dei simboli religiosi. L'esempio di prima potrebbe indurre a pensare che la funzione dei sogni vada intesa come funzione prettamente morale. Sembra così in questo esempio, ma se richiamiamo alla memoria la formula secondo la quale i sogni contengono i materiali subliminali di un dato momento, allora non possiamo parlare semplicemente di una funzione morale. E' infatti particolarmente degno di nota che i sogni di persone, le cui azioni sono moralmente irreprensibili, portino alla luce materiali definibili come immorali, nell'accezione corrente del termine. Così È significativo che Sant'Agostino si rallegrava che Dio non lo riteneva responsabile dei propri sogni. L'inconscio È ciò che, in un dato momento, non È conosciuto, per cui non bisogna sorprendersi se il sogno integra la situazione psicologica cosciente in un momento dato con tutti quegli aspetti che sarebbero essenziali, se ci si ponesse da un punto di vista totalmente differente. E' evidente che questa funzione dei sogni comporta un bilanciamento psicologico, una compensazione essenziale ai fini di un agire adeguatamente equilibrato. Nel processo cosciente della riflessione È indispensabile chiarire a noi stessi tutti gli aspetti e le conseguenze possibili di un problema, per trovare la giusta soluzione. Questo processo prosegue automaticamente nello stato, più o meno inconscio, del sonno, in cui -come esperienze fatte finora sembrano dimostrare - al sognatore vengono in mente, quanto meno per allusioni, tutti quegli altri punti di vista che, durante il giorno, erano stati sottovalutati o addirittura del tutto ignorati, che erano, in altre parole, relativamente inconsci. Per quanto riguarda il tanto discusso "simbolismo" dei sogni, il valore che gli si attribuisce varia a seconda che venga adottato un punto di vista causale o finalistico. Secondo il punto di vista causale di Freud, esso prende le mosse da una tensione di desiderio, ovvero dal desiderio onirico rimosso. Questo
desiderio È sempre relativamente semplice ed elementare, e può nascondersi sotto svariate forme. Ad esempio, il giovane in questione avrebbe potuto sognare allo stesso modo di dover aprire una porta con una chiave, di viaggiare in aeroplano, di baciare sua madre, eccetera. A partire da questo punto di vista, tutto ciò poteva avere lo stesso significato. Procedendo per questa via i tipici seguaci della scuola freudiana sono giunti al punto, per dare un esempio grossolano, di interpretare come simboli fallici quasi tutti gli oggetti di forma oblunga che compaiono nei sogni. Per il punto di vista della finalità, ognuna delle varie immagini oniriche possiede un valore proprio. Se, ad esempio, il giovane avesse sognato, al posto della scena della mela, di dover aprire una porta con la chiave, la diversa immagine onirica avrebbe fornito un materiale associativo sostanzialmente diverso; questo, a sua volta, sarebbe affiorato alla coscienza assieme ad associazioni di un genere assolutamente diverso rispetto a quelle collegate alla scena della mela. Da questo punto di vista finalistico, È la diversità del modo di espressione del sogno ciò che È pieno di significato e non l'uniformità del suo contenuto. Il punto di vista causale tende per sua propria natura all'uniformità di significato, ad un contenuto fisso dei simboli. Il punto di vista finalistico, al contrario, nel mutare dell'immagine onirica, percepisce l'espressione di una mutata situazione psicologica. Non riconosce nessun significato fisso dei simboli. Da questo punto di vista, tutte le immagini oniriche sono importanti in sé, in quanto ciascuna ha un proprio significato specifico, in virtù del quale poi entra nel sogno (1). Prendendo l'esempio di prima, vediamo che, a partire dal punto di vista finalistico, il simbolo presente in quel sogno equivale approssimativamente ad una parabola: non nasconde, ma insegna. La scena della mela richiama decisamente il senso di colpa e, al tempo stesso, maschera il vero atto dei nostri progenitori. E' ovvio che, a seconda del punto di vista adottato,
giungiamo a interpretazioni assai differenti del significato del sogno. Si pone ora la questione di quale sia la concezione migliore o più vera. Dopo tutto, per noi terapeuti È una necessità pratica e non meramente teoretica, quella che ci porta a ricercare una qualche comprensione del significato dei sogni. Nel curare i nostri pazienti dobbiamo cercare per ragioni pratiche di impadronirci di qualsiasi mezzo che ci renda capaci di farli andare avanti realmente. Dall'esempio di prima, dovrebbe risultare senz'altro chiaro che il materiale associato al sogno ha sollevato una questione capace di aprire gli occhi al giovane su molte cose che prima aveva trascurato con leggerezza. Trascurandole, però, trascurava in realtà una parte di se stesso, poichè egli ha in sé un modello morale e un bisogno morale esattamente come qualsiasi altra persona. Cercando di vivere senza tener conto di questo fatto, la sua vita È unilaterale e incompleta, per così dire scoordinata; cosa che per la vita psicologica ha le stesse conseguenze che una dieta unilaterale e incompleta ha per il corpo. Per sviluppare al massimo l'individualità e l'autonomia della persona, dobbiamo riattivare tutte quelle funzioni che hanno raggiunto solo uno scarso sviluppo cosciente o addirittura nullo. Per raggiungere questa meta, dobbiamo per ragioni terapeutiche avere accesso a tutti quegli aspetti inconsci delle cose che i materiali del sogno ci offrono. Ciò può spiegare perchè proprio il punto di vista finalistico costituisce un aiuto straordinariamente importante per lo sviluppo pratico dell'individuo. Ovviamente, il punto di vista causale trova maggiori rispondenze nello spirito scientifico del nostro tempo, abituato a pensare in termini strettamente causali. Ci sarebbe molto da dire sulla visione freudiana come spiegazione scientifica della psicologia del sogno. Ma io non posso che contestare la sua completezza, poichè la psiche non può essere concepita sotto l'aspetto puramente causale, ma esige anche una considerazione di tipo finalistico. Solo la combinazione di entrambi i punti di
vista potrà darci una più compiuta comprensione dell'essenza del sogno, combinazione che, a causa di enormi difficoltà di natura sia teorica che pratica, non ha ancora raggiunto un livello scientificamente soddisfacente. Vorrei trattare brevemente alcuni altri problemi sulla psicologia del sogno, che lambiscono la discussione generale sui sogni. Anzitutto la questione della "classificazione dei sogni". Non intendo dare un valore eccessivo al significato pratico o teorico di questa questione. Io esamino circa mille e cinquecento, duemila sogni all'anno e quest'esperienza mi consente di constatare che esistono effettivamente sogni tipici. Non sono, però, troppo frequenti e, dal punto di vista della finalità, perdono molta dell'importanza che ad essi viene dal significato fisso dei simboli, sostenuto dal punto di vista causale. I "motivi tipici" dei sogni mi paiono di gran lunga più importanti, poichè consentono un confronto con i motivi mitologici. Molti di questi motivi mitologici, che Frobenius ha raccolto nei suoi studi con grandissimo merito, si trovano anche nei sogni, spesso proprio con lo stesso significato. Il tempo limitato a mia disposizione non mi consente purtroppo di presentarvi materiali più dettagliati. L'ho fatto altrove. Desidero, tuttavia, porre l'accento sul fatto che il confronto dei motivi onirici tipici con i motivi mitologici suggerisce naturalmente l'idea (già avanzata da Nietzsche) che il pensiero onirico vada concepito, dal punto di vista filogenetico, come una forma più antica di pensiero. Anzichè moltiplicare gli esempi per spiegare ciò che intendo dire, richiamerò brevemente il nostro esempio. Come si ricorderà, quel sogno introduceva la scena della mela come un tipico modo di rappresentare la colpa erotica. Il suo significato essenziale È: Agendo così mi comporto male. E' caratteristico del sogno non esprimersi mai in questo modo logicamente astratto, ma sempre nel linguaggio della parabola o per similitudini. Questa proprietà È anche un tratto caratteristico delle lingue primitive, le cui espressioni fiorite ci colpiscono sempre. Se si
pensa alle opere della letteratura antica, per esempio al linguaggio metaforico della Bibbia, si scoprirà che quello che al giorno d'oggi si ottiene usando espressioni astratte, un tempo si raggiungeva solo per via di similitudini. Persino un filosofo come Platone non disdegnava di esprimere determinate idee fondamentali attraverso similitudini. Come il corpo reca su di sé le tracce del proprio sviluppo filogenetico, così È anche per la mente umana. Non c'È nulla di strano, dunque, nella possibilità che le allegorie dei nostri sogni siano un residuo arcaico. Al tempo stesso, nel nostro esempio il furto della mela È un motivo onirico tipico, spesso ricorrente in diverse varianti. E' anche un motivo mitologico ben noto, che incontriamo non solo nel racconto del Paradiso terrestre, ma anche in numerosi miti e favole di tutti i tempi e di tutti i paesi. E' una di quelle similitudini universalmente umane, che possono riemergere in ognuno e in ogni epoca. In questo modo la psicologia del sogno ci apre la strada per una psicologia comparata generale, attraverso la quale speriamo di arrivare ad una comprensione dello sviluppo e della struttura dell'anima umana, pari a quella che ci ha dato l'anatomia comparata riguardo al corpo umano.
LA STRUTTURA DELL'INCONSCIO
1. DISTINZIONE FRA INCONSCIO PERSONALE E INCONSCIO IMPERSONALE
Da quando abbiamo preso le distanze dalla scuola di Vienna sulla questione della natura del principio esplicativo in psicoanalisi e intendiamo con tale principio non tanto la "pulsione sessuale" quanto semplicemente l'energia, il nostro modo di concepire il problema ha subito un'evoluzione essenziale. Una volta messa da parte la controversia sulla causa esplicativa con l'assunzione di una causa astratta, di cui non giudichiamo a priori la natura, il nostro interesse si È spostato sulla concezione dell'inconscio. Com'È noto, il contenuto dell'inconscio si riduce, secondo la teoria di Freud, a tendenze e a desideri infantili repressi a causa del loro carattere incompatibile. La rimozione si determina nella prima infanzia sotto l'influsso morale dell'ambiente; poi, diventata un'abitudine, continua per tutta la vita. Mediante l'analisi, la rimozione viene abolita e i desideri rimossi ridiventano coscienti. L'inconscio si troverebbe dunque, in tal modo, svuotato e, per così dire, abolito. Ma, in realtà, la produzione di desideri immaginari infantili di tipo sessuale continua fino alla vecchiaia. Secondo questa teoria, l'inconscio non conterrebbe che quegli elementi della personalità che potrebbero benissimo essere anche coscienti e che vengono soffocati unicamente a causa del processo educativo. Ne consegue che il contenuto essenziale dell'inconscio sarebbe di natura personale. Benchè, da un certo punto di vista, le tendenze infantili dell'inconscio siano le più manifeste, sarebbe tuttavia erroneo definire o giudicare
l'inconscio in base ad esse. L'inconscio ha ancora un altro aspetto. Esso non comprende soltanto gli elementi rimossi, ma anche tutti gli elementi psichici che non raggiungono affatto la soglia della coscienza. Il principio della rimozione non È sufficiente a spiegare perchè questi elementi restino al di sotto della soglia della coscienza; dato che, se questo principio fosse sufficiente, la soppressione della rimozione dovrebbe conferire all'uomo, che non dimenticherebbe più nulla, una memoria prodigiosa. La rimozione svolge senza dubbio un ruolo, ma non È l'unica all'opera. Se ciò che si definisce una cattiva memoria fosse sempre il risultato della rimozione, gli esseri che godono di un'eccellente memoria non dovrebbero mai soffrire di rimozione né, quindi, di nevrosi, ma, a giudicare dall'esperienza, non È affatto così. Ci sono certamente dei casi di cattiva memoria in cui la parte del leone deve essere attribuita alla rimozione. Ma questi sono casi relativamente rari. Ne deduciamo che, al di fuori degli elementi rimossi, ci sono -nell'inconscio - elementi psichici di ogni sorte e, fra gli altri, le percezioni subliminali dei sensi. D'altronde sappiamo, sia per molteplici esperienze sia per ragioni teoriche, che l'inconscio deve contenere tutti gli elementi che "non hanno ancora" raggiunto la soglia della coscienza e che sono all'origine di elementi che diverranno coscienti in seguito. Abbiamo anche le migliori ragioni per supporre che l'inconscio non resti affatto a riposo, non sia affatto inattivo, ma che sia probabilmente occupato, di continuo, a riunire e raggruppare le creazioni dell'immaginazione cosiddette inconsce. Quest'attività non sarebbe autonoma che nei casi patologici; normalmente sarebbe collegata a quella della coscienza. E' probabile che tutti questi elementi siano di natura personale, in quanto costituiscono delle acquisizioni fatte nel corso dell'esistenza individuale. Dato che quest'esistenza È limitata, anche il numero delle acquisizioni dell'inconscio dovrebbe essere allo stesso modo limitato, l'esaurimento
dell'inconscio da parte dell'analisi dovrebbe essere dunque possibile; ciò vuol dire che l'analisi dovrebbe riuscire a fare l'inventario completo dei contenuti dell'inconscio, poichè esso non produce nient'altro che ciò che È già stato conosciuto e accolto nella coscienza. Occorrerebbe anche ammettere, come abbiamo già fatto notare, che la produzione dell'inconscio sarebbe paralizzata se, abolendo la rimozione, si potesse arrestare la discesa nell'inconscio dei contenuti coscienti. Ora, l'esperienza ci insegna che questo È possibile solo in misura molto limitate. Come si sa, noi spingiamo i nostri malati a trattenere gli elementi rimossi che si sono di nuovo associati alla coscienza e a reintegrarli nel loro piano di vita. Ma, come possiamo convincercene ogni giorno, questo procedimento non sembra avere alcun effetto sull'inconscio, che prosegue lo stesso nella sua azione creatrice e produce, sembra, le stesse fantasie infantili-sessuali che, secondo la teoria originaria, sarebbero l'effetto di rimozioni personali. Quando si continua ad analizzare questi casi seguendo un criterio, si scopre a poco a poco un bagaglio di fantasie di desiderio ("Wunschphantasien") di una complessità sorprendente. Si trovano rappresentati tutti i tipi di perversione sessuale, tutti i crimini insieme a tutti i nobili gesti e a tutte le grandi idee che si possano immaginare e di cui non si sarebbe mai supposta l'esistenza nel soggetto analizzato. Per citare un esempio, io ricorderei il caso di un malato schizofrenico di Maeder, che dichiarava che "il mondo era il suo libro di immagini" (3) Si trattava di un fabbro apprendista che si era ammalato molto giovane e non era mai stato molto dotato sotto il profilo intellettuale. Quanto alla sua concezione del mondo come un libro di immagini, che egli sfogliava nell'osservare ciò che gli accadeva, È esattamente quella del "Mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer, espressa in un linguaggio primitivo e immaginoso. Questa concezione È altrettanto legittima quanto le idee di Schopenhauer. La sola differenza È che l'intuizione del malato È rimasta allo stato embrionale, mentre in Schopenhauer la stessa
idea si È innalzata dal campo dell'intuizione a quello dell'astrazione ed È espressa in un linguaggio universalmente valido. Sarebbe d'altronde assolutamente errato credere che la maniera di vedere del malato abbia un carattere o un valore personale, perchè bisognerebbe allora mettere il malato sullo stesso piano del filosofo. Ma, come ho appena fatto notare, È filosofo solo colui che erige ad idea astratta un'intuizione naturale e la traduce nello stesso tempo in un linguaggio universale. La concezione filosofica di Schopenhauer rappresenta un valore personale, mentre la concezione del malato È un valore impersonale, che È germogliato spontaneamente e sul quale acquisisce un diritto di proprietà solo colui che lo trasformi in un'idea astratta e lo traduca in un linguaggio universalmente intelligibile. Ma non sarebbe giusto attribuire al filosofo, esagerando il valore della sua opera, anche il merito di avere creato o costruito l'intuizione originaria, che invece si È rivelata naturalmente tanto al filosofo quanto al malato e non È nient'altro che un elemento del patrimonio comune dell'umanità del quale, in linea di principio, ciascuno partecipa. Le mele delle Esperidi provengono dallo stesso albero sia che vengano raccolte da un operaio che fa il fabbro ferraio o da Schopenhauer. Queste concezioni primitive, di cui ho dato un gran numero di esempi nel mio lavoro sulla libido, spingono a sostituire alla distinzione abituale fra "subconscio" e "inconscio" - distinzione di cui non discutiamo la legittimità e che certamente merita di essere conservata ed approfondita un'altra classificazione degli elementi inconsci, basata su una distinzione fatta da un punto di vista del tutto diverso. Questa distinzione alla quale l'esperienza mi costringe non ha altro valore che quello di derivare da un punto di vista più avanzato. Da quanto abbiamo detto sinora, risulta che in quello che viene denominato inconscio, dobbiamo distinguere uno strato che si potrebbe chiamare l'"inconscio personale". Gli elementi
contenuti in questo livello sono di natura personale in quanto sono, da una parte, acquisizioni dell'esistenza individuale e, dall'altra, fattori psicologici che potrebbero anche essere coscienti. Alcuni elementi psicologici sono soggetti alla rimozione e divengono, di conseguenza, inconsci (4). Ma, d'altra parte, È possibile che alcuni elementi rimossi siano restituiti alla coscienza e quando vengono riconosciuti ci rimangano. Attribuiamo a questi elementi un carattere personale perchè ritroviamo nel nostro passato i loro effetti, la loro comparsa parziale oppure la loro origine. Essi costituiscono parti integranti della personalità, appartengono alla sua sfera, e la loro scomparsa pone la coscienza che li perde in uno stato di inferiorità. Questa inferiorità non ha affatto il carattere psicologico di una mutilazione organica o di un difetto innato, bensì quello di un vuoto che provoca una specie di "risentimento morale". L'inferiorità, avvertita o provata sul piano morale, indica che l'elemento di cui si È privi È qualcosa che, a giudicare dal sentimento che lo accompagna, non dovrebbe mancare o, in altri termini, che potrebbe essere cosciente se solo si prendesse la briga di renderlo tale. Questo sentimento di inferiorità morale non proviene da un disaccordo con la legge morale comune e in un certo senso arbitraria, ma da un conflitto con l'Io intimo che, per ragioni inerenti all'economia mentale, esige che sia colmata la lacuna che si avverte. Ogni volta che insorge un sentimento di inferiorità, ciò indica non solo il bisogno di assimilare una parte di inconscio, ma anche la possibilità di questa assimilazione. Si tratta, in definitiva, delle qualità morali di un essere umano che sia perchè egli ne riconosce la necessità, sia, indirettamente, attraverso una penosa nevrosi, lo obbligano ad assimilare il suo Io inconscio e a conservarlo allo stato di coscienza. Colui che procede nel cammino della realizzazione dell'Io lascia inevitabilmente passare nella sua coscienza il contenuto del suo inconscio personale, estendendo in tal modo considerevolmente
la sfera della sua personalità.
2. I FENOMENI SUSSEGUENTI ALL'ASSIMILAZIONE DELL'INCONSCIO
I risultati dell'assimilazione dell'inconscio si traducono in fenomeni rilevanti. Essa provoca, in alcuni soggetti, un'"accentuazione manifesta", persino fastidiosa, della "coscienza di sé": sono pieni di sé, sanno tutto, credono di essere perfettamente al corrente di tutto ciò che concerne il loro inconscio e sono persuasi di comprendere tutto ciò che ne proviene. Altri, al contrario, si sentono sempre più "schiacciati dal contenuto del loro inconscio", perdono la coscienza di sé e si lasciano invadere da una cupa rassegnazione di fronte alle manifestazioni straordinarie dell'inconscio. I primi, eccedendo nel sentimento di sé, si identificano esageratamente e senza tener conto della realtà con tutto ciò che procede dal loro inconscio. I secondi, invece, si sottraggono ad ogni responsabilità, schiacciati come sono dal sentimento dell'impotenza dell'Io di fronte alla fatalità che si manifesta attraverso l'inconscio (5). Se analizziamo più minuziosamente questi due tipi, constatiamo che il "sentimento ottimista" dei soggetti del primo tipo, nasconde una profonda "impotenza", rispetto alla quale quel tipo di ottimismo non costituisce che una magra compensazione; mentre la "rassegnazione pessimista" degli altri dissimula una "volontà ostinata", la cui fiducia in sé supera di molto l'ottimismo cosciente del primo tipo. Questo stato della personalità È ben caratterizzato dal termine "somiglianza con la divinità" ("Gottaehnlichkeit") (6), su cui ha attirato l'attenzione soprattutto Adler.
Quando Mefistofele scrisse nell'album dello studente le parole del serpente, "Eritis sicut Deus scientes bonum et malum", aggiunse: "Segui la vecchia sentenza di mia zia la serpe, La tua somiglianza con Dio ti farà paura, un giorno". La somiglianza con Dio non È, evidentemente, un concetto scientifico, per quanto dipinga perfettamente lo stato psicologico in questione. Resta d'altronde sempre da ricercare da dove venga questo atteggiamento e perchè esso meriti il nome di somiglianza con Dio. Come indica l'espressione, lo stato anormale del malato consiste nel fatto che egli si attribuisce delle qualità o un valore che non gli appartengono, poichè somigliare alla divinità significa somigliare ad uno spirito superiore allo spirito umano. Se, per un interesse psicologico, scomponiamo quest'idea di somiglianza con la divinità, ci accorgiamo che questo termine non comprende soltanto il fenomeno dinamico che ho esaminato nel mio lavoro sulle "Trasformazioni e simboli della libido" (7), ma anche una certa funzione psichica, che riveste un carattere "collettivo", sovraordinato rispetto alla mentalità individuale. Come l'individuo non È solamente un essere separato e isolato, ma parte della società, alla stessa maniera anche lo spirito umano non È un fatto isolato e solamente individuale, ma È anche una funzione collettiva. E ancora, come certe funzioni o tendenze sociali contrastano, diciamo, con gli interessi egocentrici della persona, così certe funzioni o tendenze dello spirito umano contrastano, per la loro natura collettiva, con gli elementi personali dello spirito (8). Infatti, ogni uomo nasce con un cervello profondamente differenziato, che lo rende capace di funzioni mentali molto varie, di cui né l'acquisizione, né lo sviluppo sono di origine ontogenetica. Ora, in quanto i cervelli umani sono tutti egualmente differenziati, la funzione mentale resa possibile da questo livello di
differenziazione È collettiva e universale. Questa particolare circostanza spiega, per esempio, la notevole analogia che presenta l'inconscio di razze e di popoli i più lontani tra loro, analogia che si manifesta nel fatto, già spesso rimarcato, della concordanza dei temi e delle forme mitiche autoctone. La somiglianza universale dei cervelli porta dunque ad ammettere l'esistenza di una certa funzione psichica identica a se stessa in tutti gli individui. La chiameremo "psiche collettiva". Questa, a sua volta, può essere suddivisa in due componenti: "lo spirito collettivo e l'anima collettiva" (9). Nella misura in cui esistono delle differenze corrispondenti alla razza, alla tribù ed alla famiglia, esiste anche una psiche collettiva limitata alla razza, alla tribù e alla famiglia, il cui livello È superiore a quello della psiche collettiva universale. Per dirla con P. Janet, la psiche collettiva comprende le parti inferiori delle funzioni dello spirito, cioè quella parte della funzione psichica saldamente stabilizzata, acquisita per eredità, e presente dappertutto, la cui attività È, per così dire, automatica; quella parte, quindi, sovrapersonale o impersonale. La coscienza e l'inconscio personali comprendono le parti superiori delle funzioni psichiche, cioè la parte acquisita e sviluppata ontogeneticamente, frutto di una differenziazione personale. L'individuo che collega alle sue acquisizioni ontogenetiche la psiche collettiva che ha ricevuto a priori e inconsciamente, estende dunque così, illegittimamente la sfera della sua personalità e ne subisce le conseguenze. E sono queste le conseguenze: da una parte la psiche collettiva, in quanto costituisce la parte inferiore delle funzioni mentali ed È subordinata alla personalità, di cui forma la base, ha per effetto di schiacciare e di svalutare la personalità; ed È quello che si constata attraverso il soffocamento dell'Io cosciente e l'esagerazione inconscia dell'importanza di sé, spinta sino ad un morboso desiderio di potenza. D'altra parte, questa psiche collettiva, in quanto È sovraordinata alla personalità e costituisce
per quest'ultima il suolo fecondo che unicamente permette le differenziazioni personali e che È la funzione psichica comune all'insieme degli individui, provocherà, collegandosi alla personalità, un'ipertrofia del sentimento di sé compensato da un esagerato sentimento inconscio di inferiorità. Se, attraverso l'assimilazione dell'inconscio, facciamo passare la psiche collettiva nella sfera delle funzioni psichiche personali, gli elementi opposti che la compongono si separano allora in diversi gruppi binari, di cui ciascuno forma quella che si può chiamare una coppia di opposti ("Gegensatzpaar"). Abbiamo già parlato della coppia di contrari mania di grandezza/sentimento di inferiorità, che si manifesta in modo così evidente nella nevrosi. Sono molte le coppie di questo tipo. Ne citerò una sola, quella del "bene" e del "male" ("scientes bonum et malum"). La formazione di questa coppia va di pari passo con l'accrescimento esagerato del sentimento di sé o con la sua diminuzione. Le virtù e i vizi degli uomini fanno egualmente parte del contenuto della psiche collettiva. Alcuni soggetti si attribuiscono la virtù collettiva come un merito personale, altri fanno lo stesso col vizio collettivo, considerandolo come una colpa personale. Entrambi i fenomeni sono illusori quanto i sentimenti di grandezza e di inferiorità, poichè le virtù e i vizi immaginari non sono che gli elementi morali opposti contenuti nella psiche collettiva, diventati percettibili o resi artificialmente coscienti. Che queste coppie di contrari siano contenute nella psiche collettiva È quanto mostra l'esempio dei popoli primitivi, di cui certi osservatori vantano le virtù, mentre altri riportano, a proposito della stessa tribù, le impressioni più sfavorevoli. Per il primitivo, in cui, come si sa, la differenziazione personale È appena all'inizio, entrambi i giudizi sono veri, poichè la mentalità del primitivo È essenzialmente collettiva. Egli si identifica ancora, in maggiore o minor misura, con la psiche collettiva e, per tale ragione, possiede allo stesso modo i vizi e le virtù collettivi, senza che si possa attribuirli alla sua personalità e senza contraddizione interiore. La contraddizione si fa sentire
solo quando ha inizio lo sviluppo dello spirito e della coscienza personali e la ragione giunge a riconoscere la natura inconciliabile degli opposti. Risultato di tale constatazione È il "conflitto di rimozione" ("Verdraengungskampf"). Si vuole essere buoni e perciò si vuole sopprimere l'elemento malvagio che si ha in sé. A questo punto ha fine il paradiso della psiche collettiva. Quando la psiche collettiva diventa cosciente, È necessaria la sua rimozione perchè la personalità possa svilupparsi. Infatti i processi psicologici collettivi e i processi psicologici personali in certa misura si escludono. La storia ci insegna che quando un atteggiamento psicologico acquista un valore collettivo cominciano a manifestarsi gli scismi. In nessun ambito ciò È più evidente che nella storia delle religioni. Un atteggiamento collettivo È sempre pericoloso per l'individuo, anche quando sia il risultato di una necessità. E' pericoloso perchè molto facilmente invade e soffoca ogni differenziazione personale. D'altra parte, possiede quella proprietà della psiche collettiva che È proprio il prodotto di differenziazione psicologica del potente istinto gregario dell'uomo. Il sentimento, il pensiero e la produzione collettivi sono relativamente comodi in confronto alle funzioni e alla produzione individuale, cosa da cui molto facilmente proviene per lo sviluppo della personalità il grande pericolo che si indebolisca la funzione personale. Il danno che ne deriva per la personalità È, come sempre in psicologia, compensato da un'unione forzata e da una identificazione inconscia con la psiche collettiva. Ora, non si insisterà mai abbastanza su tale punto, la psicoanalisi dell'inconscio ha per effetto la fusione della psicologia collettiva con la psicologia personale, fenomeno che comporta le spiacevoli conseguenze sopra indicate. Queste conseguenze sono negative sia per il sentimento vitale del soggetto, sia per le persone vicine al malato, se questi esercita qualche autorità su quanti lo circondano. Nel suo sentimento di identità con la psiche collettiva egli cercherà sempre, per esempio, di imporre agli altri le pretese del suo inconscio, perchè
l'identificazione con la psiche collettiva comporta un sentimento di valore universale (somiglianza con la divinità) che lo spinge a fare completamente astrazione dai differenti sentimenti psicologici altrui. Si possono evitare gli errori più gravi attraverso una comprensione ed una valutazione giusta e chiara del fatto che esistono tipi personali orientati diversamente, di cui noi non dobbiamo costringere la mentalità a rientrare sul piano del nostro proprio tipo. E' già abbastanza difficile che un tipo ne comprenda completamente un altro, ma la comprensione perfetta di un'altra individualità È del tutto impossibile. Nella psicoanalisi non si deve soltanto consigliare "il rispetto della personalità altrui", ma questo rispetto È assolutamente indispensabile se non si vuole soffocare lo sviluppo della personalità del soggetto. Val la pena di sottolineare che, per un certo tipo di individui, lasciare agli altri la libertà significa accordare loro la libertà "di azione"; mentre, per un altro tipo, significa lasciar loro la libertà "di pensiero". Nell'analisi, tutte e due queste libertà devono essere rispettate, per quanto l'analista lo valuti necessario secondo i principi della sua personale autoconservazione. Un desiderio esagerato di comprendere il soggetto o di consigliarlo sarebbe altrettanto dannoso quanto una mancanza di comprensione. Le tendenze e le forme collettive fondamentali del pensiero e del sentimento umano, di cui l'analisi dell'inconscio rivela l'attività, sono, per la personalità cosciente, un'acquisizione che essa non può far completamente propria senza danno (10). Ed È questo il motivo per cui, nel trattamento pratico, È della più grande importanza tenere costantemente presente la meta dello sviluppo individuale. Quando la psiche collettiva È concepita come un appannaggio personale dell'individuo, ne deriva uno smarrimento della personalità assolutamente impossibile da superare. Ed È per questo che viene espressamente raccomandato di stabilire una distinzione molto
netta fra la psiche personale e la psiche collettiva. Fare questa distinzione non È affatto semplice, poichè la personalità viene dalla psiche collettiva ed È intimamente legata ad essa. E' dunque assai difficile distinguere quali sono gli elementi collettivi e quali sono gli elementi personali. E' fuor di dubbio, per esempio, che le manifestazioni simbolico-arcaiche che si producono di frequente nelle fantasie e nei sogni sono fattori collettivi. Tutte le tendenze e le forme fondamentali del pensiero e dei sentimenti sono collettive. Tutto ciò che gli uomini considerano concordemente come universale È collettivo, così come È collettivo tutto ciò che È compreso, espresso e fatto universalmente. Veniamo sempre più colpiti di constatare attraverso l'osservazione attenta quanto la nostra psicologia cosiddetta individuale sia, in realtà, collettiva. Gli elementi collettivi sono così numerosi che gli elementi propriamente individuali si nascondono, per così dire, dietro di essi. Poichè però l'individuazione È una necessità psicologica assoluta, il potere predominante dell'elemento collettivo ci permette di misurare quale specialissima attenzione occorra dedicare a questa pianta delicata dell'individualità, perchè non ne venga soffocata completamente. L'essere umano ha una facoltà che, utilissima dal punto di vista collettivo, È infinitamente dannosa dal punto di vista dell'individuazione: quella dell'"imitazione". La psicologia collettiva non può fare a meno dell'imitazione, poichè, senza di essa, l'organizzazione delle masse, quella dello stato e della società È semplicemente impossibile: la società, in realtà, non È affatto organizzata dalla legge, bensì dal desiderio di imitazione che implica allo stesso modo l'influenzabilità, la suggestione e il contagio morale. Noi constatiamo tutti i giorni come ci si serva del meccanismo dell'imitazione o piuttosto come se ne abusi, con lo scopo di differenziare la personalità: ci si accontenta di imitare una personalità eminente, una qualità o una modalità di comportamento che faccia impressione e si giunge così a distinguersi in apparenza dal proprio ambiente. Il risultato È,
potremmo dire, una sorta di punizione: malgrado tutto, la rassomiglianza reale della mentalità del soggetto con quella del suo ambiente si accresce per una specie di connessione forzata inconscia con quest'ultima. Di solito questo tentativo di differenziazione individuale, falsificato dall'imitazione, sfocia nell'affettazione, e il soggetto resta allo stesso livello (quello a cui È sempre stato), ma la sua sterilità ne risulta in qualche misura accentuata. Per scoprire ciò che È veramente individuale in noi, È necessaria, innanzitutto, una profonda riflessione. Ci accorgiamo allora di colpo delle enormi difficoltà che presenta la scoperta dell'elemento individuale.
3. LA PERSONA CONSIDERATA COME SEGMENTO DELLA PSICHE COLLETTIVA.
Affrontiamo qui un problema la cui dimenticanza può comportare la più grande confusione. Ho detto prima che con l'analisi dell'inconscio sono riportati alla coscienza dei frammenti personali più ampi e proponevo di chiamare gli elementi rimossi, ma capaci di reintegrarsi nella coscienza, l'"inconscio personale". Ho mostrato poi come il ricongiungimento degli strati più profondi dell'inconscio, che io propongo di chiamare "inconscio impersonale", produca un'estensione della personalità che sfocia nella condizione spirituale detta di somiglianza con Dio. Noi raggiungiamo questa condizione spirituale continuando semplicemente il lavoro psicoanalitico, attraverso il quale abbiamo ricongiunto alla coscienza le parti rimosse della personalità. Proseguendo l'analisi, inoltre, riconduciamo alla coscienza personale certi caratteri fondamentali, generali e impersonali dell'umanità e ciò provoca un'estensione della coscienza di cui abbiamo parlato e che, in un certo senso, si può considerare un risultato spiacevole. Da questo punto di vista, la personalità ci appare come un pezzo della psiche collettiva, ritagliato più o meno arbitrariamente. Essa, in realtà, È fatta soltanto dell'ignoranza a priori di tutti i caratteri umani fondamentali e della successiva rimozione più o meno volontaria di tendenze e di elementi che avrebbero potuto benissimo essere coscienti, rimozione che È messa in atto proprio allo scopo di isolare quella parte della psiche collettiva che si chiama la persona. Questo termine È
perfettamente appropriato, poiché in origine "persona" designava la "maschera" che portavano i commedianti e che indicava il ruolo nel quale l'attore appariva in scena. Se poi tentiamo di delineare una distinzione precisa tra elementi personali e impersonali, ci ritroveremo subito nel più grande imbarazzo, perchè, in definitiva, dovremmo dire del contenuto della personalità ciò che abbiamo detto dell'inconscio personale, e cioè che È "collettivo" e che non si può accordare l'individualità che ai soli "contorni della persona", e anche questo soltanto in misura ridotta. Solo il fatto che la persona È una porzione ritagliata più o meno arbitrariamente nella psiche collettiva spiega perchè rischiamo di prenderla a torto, nella sua interezza, per qualche cosa di individuale. Tuttavia, come indica il suo nome, essa non È che una maschera della psiche collettiva, "maschera che simula l'individualità" e fa credere agli altri e a se stessi che si È individuali, "mentre si assume semplicemente un ruolo attraverso il quale si esprime la psiche collettiva". Quando analizziamo la persona, dissolviamo la maschera e scopriamo che ciò che ci appariva individualità È, in fondo, semplicemente collettivo. Facciamo così risalire il piccolo Dio del mondo alla sua origine, il Dio universale - che personifica proprio la psiche collettiva - e finiamo per constatare con sorpresa che la persona non era che la maschera della psiche collettiva. Sia che riduciamo la forza pulsionale primaria alla pulsione sessuale, con Freud, o, con Adler, al primitivo desiderio di potenza dell'Io, o, ancora, al principio universale della psiche collettiva, che abbraccia insieme il principio di Freud e quello di Adler, perveniamo allo stesso risultato, cioè alla "dissoluzione della personalità nel collettivo". E' per questo che in ogni analisi che si sia spinta abbastanza avanti, arriva il momento in cui il soggetto prova quel sentimento di somiglianza con Dio di cui abbiamo parlato. Questo stato si manifesta spesso con certi sintomi singolari, ad esempio con dei "sogni" in cui sembra di volare attraverso lo spazio come una cometa, con la sensazione di essere la Terra, il Sole o una stella, con la sensazione di essere
di una grandezza o di una piccolezza estrema, quella di esser morti, ecc. Si provano anche certe "sensazioni fisiche", si È troppo grandi o troppo grassi per stare nella propria pelle, o certe "sensazioni ipnagogiche": si affonda o ci si solleva senza fine, il corpo si dilata o si hanno le vertigini. Psicologicamente questo stato si caratterizza per un certo disorientamento della personalità: non si sa più ciò che si È, o si È assolutamente certi di essere ciò che si È appena, in apparenza, diventati. L'intolleranza, il dogmatismo, l'opinione o la svalorizzazione esagerate di sé, il disprezzo o lo scherno per quelli che non si sono analizzati si manifestano frequentemente. Abbastanza spesso ho osservato una più accentuata disposizione a contrarre malattie fisiche durante questa fase, ma solamente quando i soggetti se ne compiacciono o vi si adagiano per troppo tempo. L'abbondanza di possibilità della psiche collettiva produce confusione ed abbagliamento. La dissoluzione della "persona" scatena l'"immaginazione" ("Phantasie") che apparentemente non È altro che l'attività specifica della psiche collettiva. Questa liberazione immette nella coscienza elementi di cui, prima, non si sospettava nemmeno l'esistenza. Si svela tutta la ricchezza del pensiero e del sentimento mitologico. Resistere a questa impressione travolgente non È per niente una cosa facile. Questa fase costituisce, quindi, uno dei veri pericoli della psicoanalisi, pericolo che non deve essere sottaciuto. Questo stato, È facile comprenderlo, È insopportabile e bisogna mettervi fine il più presto possibile, perchè troppo grande È la sua analogia con la follia. La forma più frequente di follia, la "dementia praecox", o "schizofrenia", come si sa, si caratterizza proprio per il fatto che l'inconscio rimuove quasi interamente la funzione della coscienza e la sostituisce. L'inconscio entra al posto della funzione del reale ed attribuisce alle proprie produzioni un valore reale. I pensieri inconsci si fanno sentire come delle voci, diventano visibili sotto forma di apparizioni o percepibili come allucinazioni fisiche, oppure si manifestano in giudizi incrollabili ed insensati che
prendono il sopravvento sulla realtà. In modo analogo, ma non del tutto identico, l'inconscio viene sospinto nella coscienza dalla "dissoluzione della persona" nella psiche collettiva. La sola differenza fra questo stato e l'alienazione mentale È che qui l'inconscio È tornato in superficie grazie all'analisi cosciente. Così, almeno, avviene all'inizio dell'analisi, quando ostacoli consistenti di origine collettiva si oppongono ancora all'inconscio. Più tardi, quando le barriere accumulate da anni sono sparite, l'inconscio si impone irresistibilmente e talvolta addirittura irrompe nella coscienza come un torrente. L'analogia di questa fase con l'alienazione mentale È quasi completa. Ma ci sarebbe vera follia solo se il contenuto dell'inconscio diventasse una realtà che "usurpa il posto della realtà cosciente", in altri termini, se si "credesse senza riserve" al contenuto dell'inconscio.
4. COME L'INDIVIDUALITA' CERCA DI LIBERARSI DALLA PSICHE COLLETTIVA
4.1. Ricostituzione regressiva della persona. Il sentimento intollerabile della sua identità con la psiche collettiva spinge il soggetto, l'abbiamo appena detto, a soluzioni radicali. Ha davanti a sé due vie. La prima soluzione possibile È quella di cercare di ristabilire regressivamente la persona preesistente, tentando di dominare l'inconscio utilizzando una teoria riduttiva, dichiarando per esempio che esso non È altro che la manifestazione di tendenze sessuali infantili rimosse, alle quali converrebbe sostituire un'attività sessuale normale. Questa spiegazione potrebbe basarsi sul simbolismo, innegabilmente sessuale, del linguaggio dell'inconscio e sulla sua interpretazione concreta. Oppure si può invocare la teoria della potenza ("Machttheorie"), e, facendo leva sulla volontà di potenza, altrettanto innegabile, che accompagna gli elementi inconsci, interpretare il sentimento di somiglianza con la divinità come una protesta virile, un desiderio di potenza ed un bisogno di sicurezza infantili. O, ancora, si può considerare l'inconscio come la psicologia collettivo-arcaica del primitivo, cosa che basterebbe a spiegare non soltanto il simbolismo sessuale e il desiderio di potenza che divinizza ma anche gli aspetti e le tendenze religiose, filosofiche e mitologiche inerenti al contenuto dell'inconscio. In tutti i casi, la conclusione resta la stessa e si torna a ripudiare l'inconscio come qualcosa di inutile, infantile, insensato, impossibile e superato. Negargli ogni valore, alzare le
spalle e rassegnarsi: ecco tutto ciò che occorre fare. Se si vuole continuare a vivere ragionevolmente, bisogna ricostituire, per quanto possibile, quel segmento della psiche collettiva che si chiama "persona" e abbandonare tranquillamente l'analisi, dimenticando, se possibile, che si possiede un inconscio. Si seguiranno le parole di Faust: "La conosco abbastanza, questa terra. Sull'al di là ci È impedita la vista. Pazzo chi volge lo sguardo scrutando lassù e sopra le nuvole finge suoi simili! L'uomo si tenga saldo qui e si guardi intorno: non È muto questo mondo a chi sa e opera. Che bisogno di vagare per l'eterno! Quel che egli intende si lascia afferrare. Così cammini l'uomo quanto È lungo il suo giorno. Tiri per la sua strada, se fantasmi spaventano. Andando avanti avrà gioia e tormento, lui che nessun attimo appaga!" (11). Questa soluzione sarebbe perfetta se l'uomo potesse scrollarsi il suo inconscio fino a sottrargli la libido e renderlo, così, inattivo. Ma l'esperienza dimostra che non È possibile privare di energia l'inconscio. Esso continua ad agire, perchè contiene ed anzi costituisce la fonte della libido, da cui derivano per noi gli elementi psichici, i pensieri-sentimento o i sentimenti-pensiero, questi germi ancora indifferenziati del regno del pensiero e di quello del sentimento. Sarebbe dunque un errore credere che con una teoria o un metodo, per così dire, magico, si possa strappare definitivamente la libido all'inconscio e sbarazzarsene in questo modo. Si può accarezzare quest'illusione per un certo tempo, ma viene il giorno in cui si È costretti a dire con Faust: "E' ora così densa di quei fantasmi, l'aria,
che nessuno sa più come evitarli. Se un giorno mai di limpida ragione ci sorride, la notte nella trama dei suoi sogni ci chiude. Si torna allegri dai campi di verde nuovo. Un uccello gracchia. Che gracchia? Sciagura. Presi mattina e sera nelle reti della superstizione: segni, apparizioni, ammonimenti... E, spauriti, si rimane soli. La porta cigola e nessuno viene avanti. C'È qualcuno? La Cura. La domanda vuole un sì. Faust. E tu, chi sei tu allora? La Cura. Ci sono, ecco. Faust. Va via di qui! La Cura. Sono dove ho da essere [...] Se neanche un orecchio mi udisse pure sarebbe nel cuore il mio rombo. Sotto parvenza mutevole la mia potenza È feroce". Non è possibile esaurire l'inconscio analizzandolo, e ridurlo in tal modo all'inattività. Nessuno può strappargli la sua forza per un tempo qualsiasi. Tentare di farlo significa ingannare noi stessi e riproporre, per nostra utilità, il solito procedimento della rimozione.
4.2. Identificazione con la psiche collettiva. La seconda via arriva all'identificazione con la psiche collettiva, che corrisponde al sintomo della deificazione, ma eretto a sistema, si crede cioè di essere il felice possessore della grande verità che andava ancora scoperta, di quella conoscenza definitiva che significherà la salvezza di tutti i popoli. Questo atteggiamento non È necessariamente il "delirio di grandezza" nella sua forma comune, ma il delirio di grandezza in quella
forma mitigata e più familiare che È l'"ispirazione profetica". Per i deboli, che, come spesso accade, posseggono una dose di orgoglio proporzionalmente maggiore, vanità e ingenuità mal riposta, il pericolo di cedere a questa tentazione È grande. L'accesso alla psiche collettiva produce, nell'individuo, un rinnovamento di vita, a prescindere dalla sensazione gradevole o sgradevole che ne deriva. Si vorrebbe fissare questo rinnovamento, in certi casi perchè il sentimento vitale ne È fortificato, in altri perchè promette alla conoscenza una grande abbondanza di nuovi elementi. In entrambi i casi, coloro che non vogliono in alcun modo rinunciare ai tesori sepolti nella psiche collettiva cercheranno di trattenere, non importa come, i nuovi elementi che sono venuti ad aggiungersi alle precedenti ragioni di vita. Il miglior mezzo sembrerebbe l'identificazione con la psiche collettiva, in quanto il dissolversi in essa della persona spinge direttamente l'individuo ad immergersi in questo oceano di divinità e a confondersi con esso perdendo ogni ricordo. Questo fenomeno mistico, ed universalmente umano, È innato in ciascuno di noi, così come la nostalgia della madre, questo sguardo all'indietro verso la fonte da cui si proviene. Come ho mostrato prima, al fondo della nostalgia regressiva, che Freud, si sa, considera come una fissazione infantile o un desiderio di incesto, stanno un valore e una necessità particolari, che emergono con evidenza, ad esempio, nei miti, in colui che, appunto, È il più forte e il migliore fra gli uomini, l'eroe, che si lascia trascinare dalla nostalgia regressiva e si espone intenzionalmente al pericolo di farsi divorare dal mostro della causa prima. Ma egli È un eroe appunto perchè alla fine non si lascia divorare dal mostro, ma lo soggioga, non solamente una, ma molte volte. E' nella vittoria riportata sulla psiche collettiva che consiste il vero valore; È essa che rappresenta la conquista del tesoro, dell'arma invincibile, del talismano magico, insomma, di tutti i beni desiderabili, immaginati dal mito. Colui che si identifica con la psiche collettiva o, in linguaggio simbolico, colui che si lascia divorare dal mostro e ne viene fagocitato,
giunge egualmente, ma suo malgrado e con suo gran danno, al tesoro difeso dal drago. L'identificazione con la psiche collettiva termina dunque con uno scacco che, pur nella sua diversità, È doloroso quanto quello del primo tentativo, lo sforzo di separare la "persona" dalla psiche collettiva.
5. PRINCIPI FONDAMENTALI DEL TRATTAMENTO
Per trovare un trattamento pratico che permetta di "trionfare sull'assimilazione della psiche collettiva", bisogna, prima di tutto, che ci rendiamo conto dell'errore, dei due procedimenti che abbiamo appena descritto. Abbiamo visto che né l'uno, né l'altro conducono ad un buon risultato. Il primo, abbandonando i valori vitali contenuti nella psiche collettiva, riporta semplicemente al punto di partenza. Il secondo ci fa penetrare direttamente nella psiche collettiva, ma a prezzo della rinuncia ad un'esistenza umana autonoma, che sola può rendere la vita sopportabile e soddisfacente. Ora, sia l'una che l'altra psiche contengono beni indubbiamente preziosi di cui l'individuo non deve assolutamente essere privato. Il male non si trova dunque né nella psiche collettiva, né nella psiche individuale, ma nel fatto "che si permette all'una di escludere l'altra". Questa disposizione È incoraggiata dalla "tendenza monista", che sempre e dovunque cerca e vuol trovare un principio "unico". Il monismo, in quanto tendenza psicologica universale, È una particolarità tipica del modo di sentire e di pensare che l'educazione persegue, e proviene dal desiderio di elevare sempre l'una o l'altra funzione a principio psicologico supremo. Il tipo "introverso" non conosce che il principio del "pensiero", il tipo "estroverso" non conosce che quello del "sentimento". Questo monismo o, piuttosto, questo monoteismo psicologico ha il vantaggio della semplicità, ma il difetto di essere un punto di vista esclusivo e incompleto. Da un lato, significa l'esclusione della diversità e della vera ricchezza della vita e, dall'altro, la possibilità di realizzare gli ideali del tempo presente e del passato immediato; ma non contiene
alcuna vera possibilità di sviluppo. La disposizione all'esclusività È ugualmente incoraggiata dal "razionalismo". La sua essenza consiste nel negare senza alcun riguardo tutto ciò che si oppone al suo modo di vedere, sia dal punto di vista della logica intellettuale, sia da quello della logica del sentimento. Il razionalismo È ugualmente monista e tirannico verso la "ratio". Si deve essere particolarmente riconoscenti a Bergson d'aver spezzato una lancia in favore del diritto all'esistenza di ciò che È irrazionale. Benchè questo non sia per nulla gradito allo spirito scientifico, occorrerà comunque che la psicologia arrivi a riconoscere la pluralità dei principi e vi si adatti. E' il solo mezzo per evitare l'insabbiamento della psicologia. Per quanto concerne la psicologia individuale, la scienza deve addirittura ritirarsi. Infatti, parlare di una psicologia individuale scientifica È già di per sé una "contradictio in adiecto". Oggetto di scienza non può che essere sempre e solo l'aspetto collettivo di una psicologia individuale. L'individuo, infatti, per sua stessa definizione, È sempre un fatto unico che non può essere paragonato a nient'altro. Uno psicologo che professi una psicologia individuale scientifica nega semplicemente la psicologia individuale. Egli espone la propria psicologia individuale al legittimo sospetto che non sia altro che la sua personale psicologia. Ogni psicologia individuale dovrebbe avere un proprio manuale, in quanto il manuale generale non contiene che psicologia collettiva. Queste osservazioni hanno lo scopo di preparare ciò che ho da dire su come trattare il problema appena ricordato. L'errore fondamentale dei due procedimenti che abbiamo esaminato consiste nell'identificare l'intero soggetto con l'una o l'altra parte della sua psicologia. La psicologia del soggetto È tanto individuale che collettiva, ma non nel senso che l'individuale debba fondersi nel collettivo o il collettivo nell'individuale. E' necessario separare rigorosamente dal concetto di individuo la "persona" che, essa sì, può annullarsi completamente nel
collettivo. Ma "l'individuale" È precisamente "ciò che non può mai essere assorbito nel collettivo" e che d'altra parte non coincide mai con esso. Ed È per questo che sia l'identificazione con il collettivo, sia il distacco volontario da esso, sono ugualmente sinonimi di malattia. Come ho già sottolineato, l'individuale si manifesta inizialmente nella scelta degli elementi particolari della psiche collettiva che servono e costituire la "persona". Gli elementi che la compongono, l'abbiamo detto, non sono individuali, ma collettivi, tuttavia la loro composizione o la scelta di un certo modello già costituito È individuale. Avremmo così il nucleo individuale dissimulato dalla maschera personale. Nella differenziazione particolare della "persona" si manifesta la resistenza dell'individualità della psiche collettiva. Attraverso l'analisi della "persona" conferiamo all'individualità un maggior valore e in tal modo accentuiamo il suo conflitto con la collettività. Naturalmente tale conflitto consiste in un dissidio psicologico all'interno del soggetto. La fine del compromesso fra le due metà di una coppia di contrari, rende più intensa l'attività di questi elementi contrari. Nella vita naturale, puramente inconscia, questo conflitto non esiste, benchè la vita puramente psicologica debba soddisfare tanto le esigenze individuali, quanto quelle collettive. L'adattamento naturale e inconscio È armonioso. Il corpo, le sue facoltà e i suoi bisogni forniscono naturalmente le regole e i limiti che impediscono ogni eccesso o sproporzione. Una funzione psicologica differenziata ha sempre una tendenza allo squilibrio, a causa del suo carattere esclusivo che viene alimentato dall'intenzione razionale e cosciente. Anche l'individualità mentale È un'espressione dell'individualità fisica, anzi È, per così dire, identica ad essa (questa identità si ha anche rispetto allo spirito, ma questo non modifica affatto il dato psicologico dell'intimo rapporto fra individualità e corpo fisico). Ma il corpo È, nello stesso tempo, ciò che più rende simile il soggetto agli altri individui, anche se ciascun corpo individuale si distingue dagli altri corpi. Allo stesso modo, ogni individualità
mentale o morale È differente da tutte le altre, ma È costituita in modo tale da rendere ogni uomo simile agli altri. L'essere vivente che, libero da ogni costrizione, potrà svilupparsi del tutto individualmente, realizzerà al meglio, grazie alla perfezione della sua stessa individualità, il tipo ideale della sua specie e avrà proprio grazie a questo un valore collettivo. La "persona" si identifica sempre con un atteggiamento "tipico" dove domina una sola funzione psicologica, per esempio il sentimento, il pensiero o l'intuizione. Questo carattere esclusivo provoca sempre una rimozione corrispondente delle altre funzioni. Per questa ragione la "persona" nuoce allo sviluppo individuale. La dissoluzione della "persona" È dunque condizione indispensabile dell'individuazione. Per questa ragione È impossibile condurre a buon fine l'individuazione con un'intenzione cosciente, perchè l'intenzione cosciente porta proprio ad un atteggiamento cosciente che esclude tutto ciò che non quadra. L'assimilazione del contenuto dell'inconscio produce, al contrario, uno stato da cui l'intenzione cosciente È esclusa o È rimpiazzata da un processo di sviluppo che ci sembra irrazionale. Eppure solo questo processo determina l'individuazione, e il suo risultato È l'individualità, così come l'abbiamo definita precedentemente: ossia particolare e universale allo stesso tempo. Finchè la "persona" esiste, l'individualità È rimossa e non trapela che nella scelta degli accessori personali, dei costumi teatrali, si potrebbe dire. E' solo con l'assimilazione dell'inconscio che l'individualità si manifesta più chiaramente e nello stesso tempo insieme ad essa si manifesta quel fenomeno psicologico che collega Io e non-Io e che noi designamo col nome di "atteggiamento" ("Einstellung"). Ma, questa volta, non si tratta più di un atteggiamento tipico, ma individuale. Il paradosso di queste formule ha la stessa origine dell'antica disputa sugli universali. La proposizione "animal nullumque animal genus est" chiarisce e spiega il paradosso fondamentale. I "realia" sono il particolare, il generale ha
un'esistenza psicologica, ma È basato su una rassomiglianza reale con le cose particolari. L'individuo è dunque la cosa particolare che possiede sempre, in minore o maggiore misura, le qualità su cui è basato il concetto generale della collettività. E più È accentuato nell'individuo il carattere dell'individualità, più egli sviluppa quelle qualità che sono la base fondamentale della nozione collettiva di umanità. Mi si perdoni un'immagine divertente che illustra abbastanza bene l'ultima fase della soluzione del nostro problema: È l'immagine dell'asino di Buridano tra i due fasci di fieno. Evidentemente tutto l'errore consiste nel modo in cui l'asino si pone la ben nota questione. Importa poco sapere se il fascio migliore È quello di destra o quello di sinistra e se debba cominciare col mangiare l'uno o l'altro. Ciò che dovrebbe chiedersi È: "cosa desidera nel proprio intimo? verso cosa si sente spinto?" Pensa al fieno e non a se stesso, È per questo che non sa ciò che vuole. Chi o che cosa, in questo momento, rappresenta per quest'individuo la spinta naturale della vita? Questo È il problema. Questa questione non la risolverà né la scienza, né la saggezza, né la religione, né il migliore dei consigli; ci arriverà solo l'osservazione assolutamente imparziale dei germi di vita psicologica che nascono dalla collaborazione naturale tra la coscienza e l'inconscio, da una parte, e tra gli elementi individuali e gli elementi collettivi, dall'altra. Dove troviamo questi germi di vita? Gli uni cercano nella coscienza, gli altri nell'inconscio. Ma la coscienza non rappresenta che un aspetto della psicologia, e l'inconscio non È altro che il suo rovescio. Non bisogna dimenticare che i sogni sono compensatori rispetti alla coscienza. Se così non fosse, essi andrebbero considerati come una fonte di conoscenza superiore alla coscienza. Ricadremmo così in una mentalità divinatoria e saremmo costretti ad accettare l'incoerenza della superstizione, oppure, seguendo
l'opinione comune, a negare ai sogni ogni valore. E' nelle creazioni dell'immaginazione ("Phantasien") che noi troviamo la funzione unificatrice che cercavamo. Nell'immaginazione confluiscono tutti gli elementi presenti nelle scelte attive. Ma l'immaginazione ha una cattiva reputazione presso gli psicologi e, fino ad ora, le teorie psicoanalitiche l'hanno trattata di conseguenza. Per Freud, così come per Adler, l'immaginazione non È che il velo cosiddetto simbolico sotto il quale si dissimulano le tendenze o i desideri primitivi ipotizzati da questi due ricercatori. Ma a questa opinione si può obiettare non in base ad un principio teorico, ma essenzialmente per ragioni pratiche - che, se È possibile spiegare l'immaginazione dal punto di vista della sua causa e così svalutarla, essa È nondimeno la fonte creatrice di tutto ciò che ha sempre significato per l'uomo il progresso della vita. L'immaginazione ha un proprio valore irriducibile in quanto funzione psichica, le cui radici affondano nel contenuto della coscienza e insieme in quello dell'inconscio, nel collettivo come nell'individuale. Ma da dove proviene la cattiva reputazione dell'immaginazione? Le viene soprattutto dalla circostanza che le sue manifestazioni non possono essere prese alla lettera. Se le si considera in modo "concreto", non hanno alcun valore; se si attribuisce loro un senso "semiotico", come fa Freud, sono interessanti dal punto di vista scientifico; ma se le si intende secondo la concezione "ermeneutica", "quali veri simboli", esse ci forniscono il segnale indicatore di cui abbiamo bisogno per continuare la nostra vita in armonia con noi stessi. Il simbolo non È un segno che nasconde qualcosa di universalmente noto (12), non È questo il suo significato, ma rappresenta invece un tentativo di chiarire analogicamente ciò che appartiene ancora per intero al regno dell'ignoto ed È ancora "in fieri" (13). L'immaginazione ci rivela, dunque, in forma di analogia più o meno sorprendente, ciò che sta per avvenire. Riducendola con l'analisi a qualcosa di universalmente noto, ne distruggiamo il vero valore di simbolo; mentre È adeguato al suo
valore e al suo senso attribuire all'immaginazione un significato ermeneutico. Il carattere essenziale dell'ermeneutica, scienza la cui pratica era un tempo molto diffusa, consiste nell'aggiungere successivamente all'analogia data del simbolo, altre analogie. In primo luogo analogie soggettive trovate fortuitamente dal malato, in secondo luogo analogie oggettive trovate dallo psicoanalista nel corso dei suoi studi. Questo procedimento estende ed arricchisce il simbolo iniziale, e ne risulta un quadro infinitamente complesso e variato da cui si diramano linee di sviluppo psicologico contemporaneamente individuali e collettive. Non c'È alcuna scienza al mondo che possa provare che queste linee sono giuste; al contrario, il razionalismo potrebbe assai facilmente provare che esse non sono giuste. La loro validità viene provata dal grande "valore che hanno per la vita". Ed È questo che importa dal punto di vista del trattamento pratico: ciò che occorre È che gli uomini vivano e non che i loro principi di vita siano razionalmente dimostrabili o giusti. Obbedendo allo spirito della superstizione scientifica, si parlerà naturalmente di "suggestione". Tuttavia si dovrebbe sapere da tempo che una suggestione È accettata solo se È piacevole per chi l'accetta. Qualsiasi forma di suggestione È possibile solo in questo caso, altrimenti il trattamento della nevrosi sarebbe estremamente semplice, poichè non si dovrebbe far altro che suggerire la salute. Queste affermazioni pseudoscientifiche sulla suggestione si fondano sulla superstizione inconscia per cui la suggestione sarebbe dotata di una virtù magica autogena. Qualsiasi suggestione È impotente su chi, nel profondo di sé, non sia affatto disposto, già da prima, ad accoglierla. Il trattamento ermeneutico delle idee fantastiche porta alla sintesi fra individuo e psiche collettiva. Questo È vero teoricamente, ma in pratica È necessaria un'altra condizione indispensabile. Fa parte del carattere essenzialmente regressivo del nevrotico (il quale, d'altronde, ha acquisito in parte questa
disposizione nel corso della sua malattia) di non prendere sul serio né se stesso, né il mondo, e di affidarsi sempre, per la propria guarigione, ora ad un medico ora ad un altro, ora a questo metodo ora all'altro, a questa circostanza o all'altra, del tutto indipendentemente da una seria partecipazione da parte sua. Ma non si può lavare un cane senza bagnarlo. Senza la più completa buona volontà, senza un'assoluta serietà da parte del malato, non c'È guarigione possibile. Non esiste una cura magica per la nevrosi. Nel momento in cui cominciamo ad elaborare le vie indicate simbolicamente, occorre che il malato, a sua volta, cominci a seguirle. Se egli resta ipocritamente inerte, si preclude ogni possibilità di guarigione. Egli deve seguire con sincerità la linea di vita individuale che ha scoperto, fino a quando non si produca una decisa reazione del suo inconscio che gli segnali che ha sbagliato strada. Chi non ha questo atteggiamento morale, chi manca di lealtà verso se stesso, non si sbarazzerà mai della sua nevrosi. Viceversa, chi adotta questo atteggiamento morale, troverà certamente il mezzo per guarire. né il medico, né il malato devono abbandonarsi alla convinzione che l'analisi sia sufficiente da sola a superare una nevrosi. Sarebbe un inganno e un'illusione. In ultima istanza È, immancabilmente, il "fattore morale" che decide fra la salute e la malattia. La costruzione di linee di vita rivela alla coscienza l'orientamento attuale delle correnti della libido. Queste linee di vita non sono affatto uguali a quelle linee direttrici fittizie ("fiktive Leitlinien") scoperte da Adler, che altro non sono che tentativi arbitrari di separare la persona dalla psiche collettiva e di concederle un'esistenza indipendente. Si potrebbe dire, piuttosto, che la linea direttrice fittizia non È che un infelice tentativo di costituire una linea direttrice. E ciò che mostra la mancanza di valore di una finzione, È che la linea che essa ha creato persiste anche troppo a lungo, con la tenacia di un crampo. Invece, la linea di vita costruita grazie al metodo
ermeneutico È breve, poichè la vita non segue linee diritte, né linee di cui si possa prevedere il percorso con molto anticipo. Ogni verità È tortuosa, dice Nietzsche. Le linee di vita non sono dunque mai rappresentate dai principi o dagli ideali generalmente riconosciuti, ma da punti di vista e da atteggiamenti di valore effimero. L'affievolirsi dell'intensità vitale, una sensibile perdita della libido o la sensazione d'essere forzati, indicano il momento in cui si È abbandonata una direzione e se ne inaugura una nuova, o, piuttosto, dovrebbe inaugurarsi. A volte È sufficiente lasciare che sia l'inconscio a curarsi di scoprire la nuova linea, ma non consiglierei sempre questo atteggiamento al nevrotico, benchè si diano casi in cui i soggetti devono imparare proprio ad affidarsi ogni tanto al caso. Ma non È bene prendere l'abitudine di lasciarsi andare e si dovrà almeno seguire con attenzione i sogni, queste reazioni dell'inconscio che indicano come un barometro il carattere incompleto del nostro adattamento (14). Contrariamente ad altri psicologi, io credo dunque necessario che il malato, anche dopo l'analisi, mantenga i contatti con il suo inconscio, se vuole evitare una ricaduta. E' per questo che sono persuaso che il vero scopo dell'analisi viene raggiunto quando il malato giunge ad una sufficiente conoscenza dei metodi attraverso i quali può restare in contatto con il proprio inconscio e possiede una scienza psicologica abbastanza ampia per poter comprendere il meglio possibile, o ogni qual volta sia necessario, la direzione della sua linea di vita; altrimenti la sua coscienza non sarà più in grado di seguire la direzione della corrente della libido e di sostenere coscientemente la risultante della sua individualità. E' così che dev'essere moralmente attrezzato un malato colpito da nevrosi grave, se vuol essere certo di proseguire nella propria guarigione. In questo senso l'analisi non È affatto un metodo di cui la medicina debba avere il monopolio, ma un'arte, una tecnica, una scienza della vita psicologica che chi È guarito deve continuare ad esercitare per il proprio bene e per il bene di chi gli È vicino
(15). Se È così che la intende, non si ergerà mai a profeta psicoanalistico o a riformatore del mondo, ma, con autentico senso del bene generale, egli stesso trarrà beneficio dalle conoscenze acquisite durante il trattamento e la sua azione si manifesterà più con l'esempio della sua vita che con grandi discorsi e una propaganda missionaria.
6. SINTESI
A. Dobbiamo suddividere i processi psicologici in "elementi coscienti" e in "elementi inconsci". 1) Gli "elementi coscienti" sono in parte "personali", quando il loro valore universale non È riconosciuto, e in parte "impersonali", ossia "collettivi", quando il loro valore universale È riconosciuto. 2) Gli "elementi inconsci" sono in parte "personali", quando si tratta di elementi di natura personale un tempo relativamente coscienti che sono stati semplicemente rimossi e il cui valore universale non È, di conseguenza, per nulla riconosciuto quando tornano alla coscienza. In parte sono "impersonali", si tratta di elementi riconosciuti come impersonali, di valore puramente generale e di cui È impossibile provare un carattere cosciente precedente, neanche relativo. B. Costituzione della persona. 1) Gli elementi personali coscienti costituiscono la personalità cosciente, l'"Io cosciente" ("das Ich"). 2) Gli elementi personali inconsci costituiscono l'individualità ("das Selbst") o "Io inconscio" o "subconscio". 3) Gli elementi coscienti e inconsci di natura personale costituiscono la "persona". C. Costituzione della psiche collettiva. 1) Gli elementi coscienti e inconsci di natura "impersonale", ossia collettiva, costituiscono il "non-Io" psicologico, l'immagine del mondo oggettivo (l'imago-oggetto). Questi elementi possono apparire nell'analisi come proiezioni di
sentimenti o di giudizi, ma sono a priori collettivi e identici all'imago-oggetto, cioè appaiono come qualità dell'oggetto e sono riconosciuti solamente a posteriori come qualità psicologiche soggettive. 2) La "persona" È quell'associazione di elementi coscienti e inconsci opposti al non-Io, e che costituisce l'Io. Il confronto generale di elementi personali appartenenti ad individui diversi prova la loro grandissima rassomiglianza, che può arrivare sino all'identità, il che elimina in larga misura la natura "individuale" degli elementi personali e, nello stesso tempo, quella della "persona". In questa misura, la "persona" deve essere considerata come un segmento della psiche collettiva e, sempre in questa misura, la "persona" È una componente della psiche collettiva. 3) La psiche collettiva È dunque composta dell'imagooggetto e della "persona". D. L'individuale. 1) L'individuale si manifesta parzialmente come il principio che decide la scelta e designa i limiti degli elementi assunti come personali. 2) L'individuale È il principio che rende possibile una differenziazione progressiva dalla psiche collettiva e addirittura vi costringe, se È necessario. 3) L'individuale si manifesta parzialmente come un ostacolo alla produzione collettiva e come una resistenza al pensiero e ai sentimenti collettivi. 4) L'individuale È ciò che È particolare, inedito ("einzigartig") nelle combinazioni di elementi psicologici generali (collettivi). E. Gli elementi coscienti e inconsci si suddividono in elementi "individuali" ed elementi "collettivi". 1) E' individuale l'elemento la cui tendenza di sviluppo si orienta verso la sua differenziazione dal collettivo. 2) E' collettivo l'elemento la cui tendenza di sviluppo
punta ad un valore generale. 3) Per caratterizzare un elemento dato come puramente individuale o come puramente collettivo, ci mancano criteri sufficienti, perchè il carattere individuale È molto difficile da determinare, benchè si trovi sempre e dovunque. 4) La "linea di vita" dell'individuo È la risultante della tendenza individuale e collettiva del suo sviluppo psicologico.
LA PSICOLOGIA DEI PROCESSI INCONSCI Un panorama della teoria e del metodo moderno della psicologia analitica
PREMESSA
Questo breve lavoro ha avuto la sua origine quando, su richiesta dell'editore, mi accinsi a rivedere, per una seconda edizione, il saggio "Vie nuove della psicologia", apparso nel 1912 negli Annali Rascher. Il presente lavoro corrisponde dunque, in forma riveduta e ampliata, a quel mio precedente saggio. In esso mi limitavo unicamente a presentare una parte essenziale della concezione psicologica inaugurata da Freud. I numerosi e rilevanti mutamenti che si sono prodotti in questi ultimi anni nella psicologia dell'inconscio mi hanno costretto ad ampliare notevolmente i confini del saggio originario. Diversi passi dedicati a Freud sono stati ridotti. In compenso si È tenuto conto della psicologia di Adler e, per quanto era possibile nell'ambito del presente lavoro, si È data anche un'esposizione di orientamento generale dei miei personali punti di vista. Devo avvertire in anticipo il lettore che non si tratta di uno scritto facile, di divulgazione scientifica, come era il mio precedente saggio, ma di un'esposizione che, per l'estrema difficoltà della materia, richiede maggiore pazienza e attenzione. Non presumo in alcun modo che questo lavoro sia, sotto un qualsiasi punto di vista, conclusivo o sufficientemente convincente. Una tale pretesa potrebbe essere soddisfatta solo da ampie trattazioni scientifiche sui singoli problemi toccati in questo scritto. Rinvio dunque chi volesse penetrare più a fondo nelle questioni qui sollevate alla letteratura specialistica. Io intendo esclusivamente fornire qualche orientamento sulle più recenti concezioni attorno all'essenza della psicologia dell'inconscio.
Ritengo appunto il problema dell'inconscio talmente importante e attuale che, a mio parere, sarebbe una grande perdita se tale problema, che tocca ciascuno così da vicino, scomparisse dall'orizzonte del pubblico colto, ma profano, per venire confinato in un'inaccessibile rivista specialistica e condurre un'inconsistente esistenza cartacea su uno scaffale di biblioteca. I processi psicologici che accompagnano l'attuale guerra - soprattutto l'incredibile imbarbarimento del giudizio comune, le reciproche calunnie, l'immaginabile furia distruttiva, la marea di inaudite menzogne e l'incapacità degli uomini di contenere il demone sanguinario - sono adatti più di ogni altra cosa, a mettere prepotentemente davanti agli occhi dell'uomo raziocinante il problema di quell'inconscio caotico che sonnecchia inquieto al di sotto dell'ordinato mondo della coscienza. Questa guerra ha mostrato inesorabilmente all'uomo civilizzato che egli È ancora un barbaro e, insieme, quale ferrea sferza cadrà su di lui per correggerlo qualora dovesse ancora una volta balenargli l'idea di accusare i suoi vicini delle sue proprie cattive qualità. Ma la psicologia del singolo corrisponde alla psicologia delle nazioni. Ciò che compiono le nazioni, lo compie anche ciascuno singolarmente, e, finchè il singolo lo compirà, lo compirà anche la nazione. Solo il mutare dell'atteggiamento del singolo può dare avvio al mutamento della psicologia della nazione. I grandi problemi dell'umanità non hanno mai trovato soluzione grazie a leggi generali, ma sempre e soltanto grazie al rinnovarsi dell'atteggiamento del singolo. Se mai vi fu un'epoca in cui l'introspezione È stata l'unico atteggiamento giusto e assolutamente necessario, questa È la nostra presente, catastrofica epoca. Ma chiunque rifletta su se stesso, giunge ad urtare contro le barriere dell'inconscio, inconscio che contiene appunto ciò che più di ogni altra cosa occorrerebbe conoscere. Kussnacht (Zurigo), dicembre 1916 C. G. Jung
1. GLI INIZI DELLA PSICOANALISI
Come tutte le scienze, anche la psicologia ha attraversato un'epoca scolastico-filosofica, che in parte dura tuttora. A questa specie di psicologia filosofica va rimproverato che essa decide "ex cathedra" come debba essere l'anima e le qualità che le debbano spettare nell'"al di qua" e nell'aldilà. Lo spirito della moderna ricerca sulla natura ha abbondantemente sgombrato il campo da queste fantasie e le ha sostituite con un metodo empirico esatto. Da qui ha avuto origine l'odierna psicologia sperimentale o psicofisiologia, come dicono i francesi. Il padre di questo orientamento È stato quello spirito diviso di Fechner, che, con la sua psicofisica (1860), affrontò l'audace impresa di introdurre aspetti fisici nella concezione dei fenomeni psichici. Quest'idea fu assai feconda. Contemporaneo più giovane di Fechner e, possiamo ben dire, colui che portò a compimento la sua opera, È Wundt, la cui grande erudizione, laboriosità e inventiva nei metodi della ricerca sperimentale, hanno creato l'orientamento oggi dominante della psicologia. La psicologia sperimentale restò, per così dire, fino all'ultimo, fondamentalmente accademica. Il primo tentativo degno di nota di rendere utilizzabile per la psicologia pratica perlomeno uno dei suoi numerosi metodi sperimentali, venne da alcuni psichiatri di quella che un tempo fu la scuola di Heidelberg (Kraepelin, Aschaffenburg, eccetera), poichè, com'È comprensibile, È lo psichiatra il primo a sentire il pressante bisogno di conoscere con esattezza i processi psichici. In un secondo momento fu la pedagogia a porre delle esigenze alla psicologia. Di qui ha di recente tratto origine una pedagogia sperimentale, in cui si sono particolarmente distinti in Germania
soprattutto Neumann e in Francia Binet. Il medico, il cosiddetto medico dei nervi, ha urgente bisogno di nozioni psicologiche se vuole realmente aiutare i suoi malati di nervi, poichè i disturbi nervosi, e comunque tutto ciò che si definisce nervosismo, isteria, eccetera, sono di origine psichica e richiedono logicamente un trattamento psichico. Acqua fredda, luce, aria, elettricità, magnetismo, eccetera hanno un'efficacia passeggera, anzi, nella maggior parte dei casi, non hanno alcun effetto. Spesso si tratta di indegne messinscene, che contano solo sull'effetto di suggestione. Ma ciò per cui il malato soffre È la psiche e, per l'esattezza, le sue più alte e complicate funzioni, che non si osa quasi più far rientrare nel campo della medicina. In questi casi il medico dev'essere anche psicologo, ossia un conoscitore dell'anima umana. Questo bisogno non lascia mai il medico. E' comprensibile che egli si rivolga alla psicologia, visto che il suo manuale di psichiatra non dice nulla in proposito. L'odierna psicologia sperimentale, però, È ben lontana dall'offrirgli una qualsiasi concezione coerente dei processi psichici più importanti sul piano pratico, in quanto il suo scopo È un altro: essa cerca di isolare e di studiare separatamente processi il più possibile semplici ed elementari che stanno ai confini col fisiologico. E' assolutamente avversa all'elemento infinitamente variabile e mobile della vita mentale dell'individuo, per cui le sue conoscenze e i suoi dati di fatto sono, in sostanza, dettagli e mancano di connessioni complessive. Chi voglia dunque imparare a conoscere la psiche umana, dalla psicologia sperimentale non imparerà praticamente nulla. Bisognerebbe consigliargli di spogliarsi piuttosto dell'abito del dotto, di dire addio al suo studiolo e di girare per il mondo con cuore pieno di umanità, di andare negli orrori delle prigioni, dei manicomi e degli ospedali, nelle sordide bettole della periferia, nei bordelli e nelle bische, nei salotti della società elegante, alla Borsa, nelle assemblee socialiste, nelle chiese, fra i revival e le estasi delle sette, di provare sulla propria pelle amore, odio e ogni forma di passione. Allora se ne ritornerà
carico di un sapere più ricco di quello che mai avrebbero potuto dargli libri di testo alti un palmo, e potrà essere un medico per i suoi malati, un vero conoscitore dell'anima umana. Lo si dovrà perdonare se non gli importerà più molto dei cosiddetti capisaldi della psicologia sperimentale. Infatti, tra quello che la scienza chiama psicologia e ciò che la prassi della vita quotidiana si aspetta dalla psicologia È scavato un profondo abisso. Questa carenza diventò origine di una nuova psicologia. Dobbiamo la sua creazione anzitutto a Sigmund Freud, di Vienna, il geniale medico e studioso delle malattie nervose funzionali. La psicologia che egli ha inaugurato potrebbe essere definita psicologia analitica. Bleuler ha proposto il nome di psicologia del profondo, per alludere attraverso il nome al fatto che la psicologia freudiana si occupa delle profondità ovvero dei fondamenti nascosti della psiche, definiti anche come inconscio. Freud da parte sua si limita a dare un nome al "metodo" della sua indagine: lo chiama "psicoanalisi". Prima di intraprendere una descrizione più precisa dell'oggetto in questione, ossia della psicoanalisi, va detto qualcosa sulla sua posizione nei confronti della scienza che l'ha preceduta. Assistiamo qui ad uno strano spettacolo, che ancora una volta conferma la verità dell'osservazione di Anatole France: Les savants ne sont pas curieux. La prima opera importante (16) in questo campo suscitò appena una debole eco, benchè contenesse un modo del tutto nuovo di concepire le nevrosi. Alcuni autori espressero la propria approvazione nei riguardi dell'opera, poi passarono alla pagina dopo e continuarono a spiegare i casi di isteria alla vecchia maniera. Si comportarono dunque pressappoco come uno che riconoscesse, sì, con parole di lode l'idea o il dato di fatto che la terra È sferica, ma continuasse tranquillamente a rappresentarla come un disco. Le successive pubblicazioni di Freud passarono addirittura del tutto inosservate, benchè contenessero osservazioni di incalcolabile importanza, ad esempio, proprio nel campo della psichiatria.
Quando Freud, nel 1900, scrisse la prima vera trattazione della psicologia dei sogni (17) in precedenza in questo campo era notte fonda, come si confà al sogno, ci si mise a ridere, e quando, verso la metà dell'ultimo decennio, iniziò addirittura a far luce sulla psicologia della sessualità (18), si giunse alle ingiurie, a volte anche assai pesanti, cosa che prosegue tuttora. Con quanta serietà poi ci si accosti alle opere, lo rivela l'ingenua dichiarazione di uno dei più eminenti neurologi di Parigi, espressa ad un congresso internazionale nel 1907 e che io ho sentito con le mie stesse orecchie: Non ho letto, È vero, le opere di Freud [infatti non sa il tedesco], ma, per quanto riguarda le sue teorie, non sono altro che "mauvaise plaisanterie". Dobbiamo quindi esaminare un po' più da vicino questa nuova psicologia. Già ai tempi di Charcot si sapeva che il sintomo nevrotico È psicogeno, ossia proviene dalla psiche. Si sapeva anche, soprattutto grazie ai lavori della scuola di Nancy, che ogni sintomo isterico può essere prodotto esattamente allo stesso modo anche per suggestione. Non si sapeva però come un sintomo isterico provenga dalla psiche; i nessi causali psichici erano completamente sconosciuti. All'inizio degli anni Ottanta, il Dottor Breuer, un vecchio medico di Vienna con molta esperienza pratica, fece una scoperta che fu, di fatto, l'inizio della nuova psicologia. Aveva una giovane paziente, molto intelligente, che soffriva di isteria e (19), precisamente, fra l'altro, di questi sintomi: aveva una paralisi spastica (rigida) del braccio destro, saltuarie assenze o stati crepuscolari, aveva anche perso la facoltà di parlare, nel senso che non aveva più conoscenza della propria lingua madre, ma era in grado di esprimersi solo in inglese (cosiddetta afasia sistematica). Un tempo si cercava, e ancora oggi si cerca, di elaborare teorie anatomiche per spiegare questi disturbi, per quanto nelle localizzazioni cerebrali della funzione del braccio non sia presente alcun disturbo, più di quanto non lo sia in un uomo normale nel centro corrispondente. La sintomatologia dell'isteria È piena di "impossibilità anatomiche". Una signora che aveva
perduto del tutto l'udito per un'affezione isterica, era solita cantare spesso. Una volta, proprio mentre la paziente stava cantando una canzone, il suo medico si sedette al pianoforte senza che lei lo notasse e cominciò ad accompagnarla in sordina; nel passaggio da una strofa all'altra, mutò improvvisamente tonalità e la paziente, senza accorgersene, continuò a cantare nella nuova tonalità. Quindi la paziente sente, eppure non sente. Le diverse forme di cecità sistematica presentano fenomeni analoghi. Un uomo soffre di completa cecità isterica. Nel corso del trattamento ritrova la facoltà di vedere, ma all'inizio e per lungo tempo solo parzialmente: infatti vede tutto, ad eccezione della testa delle persone. Vede tutta la gente che lo circonda senza testa. Quindi vede, eppure non vede. In seguito ad un gran numero di esperienze di questo tipo, già da tempo si È arrivati alla conclusione che È solo la coscienza dei malati a non vedere e a non sentire, mentre per il resto la funzione sensoriale È intatta. Questo stato di cose contrasta nettamente con la possibile natura di un disturbo organico, che sempre coinvolge sostanzialmente la funzione stessa. Dopo questa digressione, torniamo al caso di Breuer: non c'erano cause organiche del disturbo, dunque il caso andava inteso come isterico, ossia come psicogeno. Breuer aveva notato che, quando lasciava che la paziente, in uno stato di semincoscienza spontaneo o prodotto ad arte, raccontasse le fantasie e le reminiscenze che si affollavano in lei, ogni volta si sentiva più sollevata per alcune ore. Egli si servì metodicamente di quest'osservazione per proseguire il trattamento. La paziente trovò alla cosa il nome adatto: "talking cure" o anche, scherzosamente, "chimney sweeping" [cioè pulire il camino]. La paziente si era ammalata curando il padre moribondo. E' comprensibile che le sue fantasie riguardassero in primo luogo questo periodo di apprensione. Le reminiscenze di quel tempo riaffioravano negli stati di semincoscienza con fedeltà fotografica, anzi, così nitidamente fin nel più piccolo dettaglio, da far ritenere che la memoria desta non sarebbe mai stata in
grado di riprodurle in modo tanto plastico e preciso (questo intensificarsi della capacità mnemonica, che non di rado emerge in stati di restrizione della coscienza, si chiama "ipermnesia"). Vennero fuori cose singolari. Ecco, all'incirca, uno dei molti racconti: "Una volta si svegliò di notte, molto angosciata perchè il malato aveva la febbre alta, e in tensione perchè da Vienna si attendeva un chirurgo per l'operazione. La madre si era allontanata per qualche tempo, e Anna (la paziente) sedeva al capezzale del malato, il braccio destro appoggiato sullo schienale della seggiola. Cadde in stato di dormiveglia e vide una serpe nera che, dalla parete, si avvicinava al malato per morderlo (È molto probabile che nel prato dietro la casa ci fossero realmente delle serpi e che avessero già in precedenza spaventato la ragazza, fornendo ora il materiale dell'allucinazione). Avrebbe voluto scacciare la bestia, ma era come paralizzata; il braccio destro, che pendeva dallo schienale della sedia, si era addormentato, era come anestetizzato e paralizzato, e, mentre lo guardava, vide le dita tramutarsi in piccole serpi con teste a forma di teschio. Probabilmente fece dei tentativi per scacciare via il serpente con la mano destra paralizzata e, in tal modo, l'anestesia e la paralisi della mano si associarono all'allucinazione dei serpentelli. Quando questa scomparve, avrebbe voluto pregare, nella sua angoscia, ma le veniva a mancare ogni lingua, non poteva parlare in nessuna lingua, finchè non trovò un verso infantile in inglese, e ancora in questa lingua riuscì allora a distogliere il pensiero da quell'immagine e a pregare" (20). Questa era la scena da cui aveva avuto origine la paralisi e il disturbo linguistico. Raccontandola anche il disturbo cessò e così il caso si risolse con una totale guarigione. Mi devo qui accontentare di questo solo esempio. Il libro citato di Breuer e Freud È pieno di esempi analoghi. E' comprensibile che scene di questo tipo abbiano molto effetto e lascino una forte impressione, ed È per questo che si tende ad
attribuire ad esse anche un significato causale nell'insorgere del sintomo. La concezione, a quel tempo imperante negli studi sull'isteria, la teoria di origine inglese del "nervous shock" di cui Charcot era un energico fautore, era in grado di spiegare la scoperta di Breuer. Ne derivò la cosiddetta teoria del trauma, in base alla quale il sintomo isterico e, nella misura in cui i sintomi costituiscono le malattie, l'isteria in generale, provengono da ferite psichiche ("traumata"), le quali lasciano un'impressione che inconsciamente dura attraverso gli anni. Freud, che in principio fu un collaboratore di Breuer, fu in grado di confermare largamente questa scoperta. Emerse che nessuno delle molte centinaia di sintomi isterici si genera casualmente, ma È sempre causato da eventi psichici. Sotto questo aspetto la nuova concezione aprì un vasto campo al lavoro empirico. Ma lo spirito da ricercatore di Freud non poteva accontentarsi a lungo di questo approccio superficiale, in quanto già emergevano problemi più profondi e difficili. Certo, È evidente che momenti di forte angoscia, quali quelli vissuti dalla paziente di Breuer, possano lasciare un'impressione durevole. Ma come può accadere che la paziente viva in generale momenti simili, che contengono già chiaramente un'impronta patologica? Era stata forse la faticosa cura del malato ad avere questo tipo di effetto? In tal caso qualcosa di analogo dovrebbe verificarsi molto più spesso, visto che, purtroppo, molti malati richiedono assistenze faticose e la salute nervosa dell'infermiera non È certo sempre all'altezza. In medicina c'È una risposta eccellente a questo problema. Si dice: l'incognita di cui bisogna tener conto È la predisposizione. Si È appunto predisposti a queste cose. Ma il problema di Freud era: in che cosa consiste la predisposizione? Porsi questa domanda conduceva logicamente ad un'indagine sulla preistoria del trauma psichico. Osserviamo spesso che scene sconvolgenti hanno effetti del tutto differenti sulle diverse persone che vi sono coinvolte o che cose indifferenti o addirittura piacevoli, per una persona, ispirano all'altra persona
il più grande ribrezzo. Si pensi a rane, serpenti, topi, gatti e così via. Vi sono casi di donne che assistono tranquillamente ad operazioni impressionanti, ma che tremano di paura e di disgusto se solo toccano un gatto. Conosco il caso di una giovane donna che soffriva di una grave isteria in seguito ad uno spavento improvviso. Aveva trascorso una serata in compagnia e, verso mezzanotte, si trovava sulla via di casa assieme a numerosi conoscenti, quando improvvisamente sopraggiunse alle sue spalle una carrozza al trotto veloce. Gli altri si scansarono, lei invece rimase in mezzo alla strada, bloccata dallo spavento, e si mise a correre davanti ai cavalli. Il cocchiere faceva schioccare la frusta e gridava, ma non servì a nulla. Lei corse giù per la strada, che portava a un ponte. Qui l'abbandonarono le forze e, per non finire sotto i cavalli, in preda alla disperazione, tentò di gettarsi nel fiume ma dei passanti riuscirono al trattenerla... Questa stessa donna capitò per caso a Pietroburgo nel sanguinoso 22 gennaio [del 1905], proprio in una strada che veniva ripulita dalla milizia con scariche di fucile. A destra e a manca intorno a lei cadevano a terra uomini feriti o morti, ma lei, con grande tranquillità e lucidità, adocchiò un portone che dava su un cortile, attraverso il quale potè raggiungere un'altra strada e salvarsi. Questi attimi terribili non provocarono in lei alcun disturbo successivo. Dopo si sentì in gran forma, persino di umore migliore del consueto. Un comportamento fondamentalmente analogo lo si può osservare spesso. Dobbiamo necessariamente trarne la conclusione che l'intensità di un trauma ha evidentemente uno scarso significato patogeno (cioè produttore di malattie), mentre tutto dipenderà dalle specifiche circostanze. Abbiamo così trovato una chiave per arrivare a comprendere la predisposizione. Dunque dobbiamo porci la domanda: quali sono le circostanze specifiche in cui si svolge la scena della carrozza? La paura ebbe inizio quando la donna sentì venire i cavalli al trotto; per un istante le parve che in quel suono vi fosse una terribile fatalità, come se esso significasse la sua
morte o qualcos'altro di spaventoso. A questo punto aveva già perso del tutto il controllo di sé. Sono i cavalli, a quanto pare, l'elemento decisivo. La predisposizione della paziente a reagire in un modo così incontrollato a questo evento insignificante, dovrebbe dunque derivare dal significato particolare che per lei hanno i cavalli. Si potrebbe supporre, ad esempio, che abbia vissuto qualcosa di pericoloso legato ai cavalli. Questo corrisponde effettivamente al vero. Infatti, verso i sette anni, stava facendo una passeggiata in carrozza col suo cocchiere quando i cavalli si imbizzarrirono e, lanciati in una corsa sfrenata, si avvicinarono alla riva a strapiombo di un fiume profondamente incassato. Il cocchiere saltò giù e le gridò di fare altrettanto, ma lei, nel terrore di morire, non ce la faceva a decidersi. Riuscì però a saltare giusto in tempo, mentre i cavalli si sfracellarono con tutta la carrozza nel baratro. Che un simile episodio lasci una profonda impressione, non c'È neanche bisogno di dimostrarlo. Tuttavia non si spiega perchè un episodio assolutamente innocuo dovesse poi provocare una reazione così spropositata per la sua analogia con un altro. Finora sappiamo solo che il sintomo manifestatosi in seguito ha avuto un prologo nell'infanzia. Ma l'elemento patologico presente in esso rimane oscuro. Per penetrare in questo mistero abbiamo bisogno di sapere dell'altro. Col crescere dell'esperienza era infatti emerso che in tutti i casi analizzati fino ad allora, accanto agli episodi traumatici della vita, esisteva un tipo particolare di disturbo, che non si può definire altrimenti che come un disturbo nella sfera dell'"amore". Notoriamente l'amore È un concetto elastico, che dal cielo arriva all'inferno e riunisce in sé il bene e il male, l'alto e il basso (21). Con questa scoperta la concezione di Freud subì un'importante capovolgimento. Se prima egli aveva cercato la causa della nevrosi in episodi di vita traumatici, mantenendosi più o meno nell'ambito della dottrina del trauma di Charcot, ora il baricentro del problema si spostava su tutt'altro punto.
L'esempio migliore ci È fornito dal nostro caso. Comprendiamo, certo, che i cavalli possono avere un ruolo particolare nella vita della paziente, ma non comprendiamo la reazione successiva, così esagerata e scomposta. L'aspetto morbosamente strano di questa vicenda sta nel fatto che sono i cavalli a spaventarla. Se ricordiamo la scoperta empirica accennata sopra - che, di regola, accanto agli episodi di vita traumatici, È presente un disturbo nella sfera amorosa - in questo caso si dovrebbe indagare se magari, sotto questo aspetto, non ci sia qualcosa che non funziona. La donna conosce un giovane, con cui pensa di fidanzarsi, lo ama e spera di essere felice con lui. In un primo momento non si riesce a scoprire nient'altro. L'indagine, però, non può lasciarsi scoraggiare dal risultato negativo di un'inchiesta superficiale. Laddove la via diretta non conduce allo scopo, ci sono vie indirette. Perciò ritorniamo a quel momento particolare in cui la donna si mise a correre davanti ai cavalli. Ci informiamo sulla compagnia di amici e su quale fosse l'occasione della festa a cui aveva appena preso parte; si era trattato di una cena d'addio in onore della sua migliora amica, che, per disturbi nervosi, si recava in un luogo di cura all'estero per un lungo periodo di tempo. L'amica È sposata e, a quel che ci viene detto, felice; È anche madre di un bambino. Ci È lecito dubitare di questa felicità, poiché, se lo fosse realmente, non dovrebbe avere, presumibilmente, alcun motivo di essere nervosa e bisognosa di cure. Affrontando un altro punto con le mie domande, vengo a sapere che la paziente, dopo l'episodio dei cavalli e dopo essere stata raggiunta dai suoi conoscenti, era stata riportata a casa dell'ospite, poichè era il luogo più vicino dove farla riposare. Qui fu accolta, esausta, in modo gentile e ospitale. A questo punto la paziente interruppe il suo racconto, divenne imbarazzata e confusa, e cercò di cambiare argomento. Evidentemente si trattava di una qualche reminiscenza sgradevole, che era affiorata all'improvviso.
Superate le ostinate resistenze della malata, venne fuori che, quella notte, era successo ancora qualcos'altro di molto strano: il cortese ospite le aveva fatto un'infuocata dichiarazione d'amore, per cui si era creata una situazione che, tenuto conto dell'assenza della padrona di casa, può essere considerata difficile e penosa. A quanto pare questa dichiarazione amorosa fu per lei come un fulmine a ciel sereno. Ma cose di questo tipo di solito hanno sempre dei precedenti. A questo punto, il lavoro delle settimane seguenti fu di disseppellire pezzo per pezzo un'intera, lunga storia d'amore, finchè ne risultò un quadro complessivo, che cercherò di delineare in questo modo: la paziente, da piccola, era stata un tipo molto mascolino, amava solo i rudi giochi da maschiaccio, derideva il proprio sesso e rifuggiva da ogni atteggiamento e attività femminile. Dopo il periodo puberale, in cui il problema erotico avrebbe dovuto interessarla più da vicino, cominciò a evitare ogni tipo di compagnia, odiava e disprezzava tutto ciò che ricordava anche solo lontanamente il destino biologico umano e viveva in un mondo di fantasie che non avevano nulla in comune con la brutale realtà. Così, fino quasi al ventiquattresimo anno di età, rifuggì da tutte quelle piccole avventure, speranze e attese che in genere turbano intimamente una donna in questo periodo della vita (le donne sono spesso al riguardo di una straordinaria insincerità con se stesse e con il medico). Poi, però, conobbe più da vicino due uomini che si sarebbero aperti un varco nella barriera di spine che le era cresciuta intorno. Il signor A. era il marito di quella che, allora, era la migliore amica della paziente, il signor B. era il suo amico scapolo. Le piacevano entrambi. Tuttavia ben presto le sembrò che il signor B. le piacesse molto di più. Perciò si creò un rapporto di confidenza fra lei e il signor B., e già si parlava anche di un possibile fidanzamento. Tramite la sua relazione con il signor B. e tramite la sua amica veniva spesso in contatto anche con il signor A., la cui presenza la rendeva spesso inspiegabilmente nervosa e agitata. A quel tempo la paziente prese parte ad un grande
banchetto. Erano presenti anche i suoi amici. Era immersa nei suoi pensieri e giocherellava fantasticando con l'anello che aveva al dito, quando improvvisamente le sfuggì di mano e rotolò sotto il tavolo. Entrambi gli uomini si misero a cercarlo e fu il signor B. a trovarlo. Le infilò l'anello al dito con un sorriso eloquente, dicendo: Lei sa cosa significa!. A questo punto la paziente fu colta da una sensazione strana e irresistibile, strappò l'anello dal dito e lo gettò fuori dalla finestra aperta. Ovviamente questo gesto provocò un momento di disagio e ben presto lei lasciò la compagnia, profondamente contrariata. Poco dopo quest'episodio, il cosiddetto caso volle che lei trascorresse le ferie estive in un luogo di cura in cui si trovavano anche il signore e la signora A. Fu allora che la signora A. cominciò a divenire visibilmente nervosa, per cui restava spesso a casa indisposta. La paziente aveva dunque modo di andare a passeggio da sola con il signor A. Una volta presero una piccola barca. Lei era di irrefrenabile allegria e cadde improvvisamente in acqua. Non sapeva nuotare, e il signor A. riuscì a fatica a salvarla e a sollevarla, mezza svenuta, sulla barca. Fu in quest'occasione che lui la baciò. Con questo episodio romanzesco il cerchio si era chiuso. Per giustificarsi di fronte a se stessa, la paziente si adoperò con maggiore decisione per fidanzarsi con il signor B. e giorno dopo giorno cercava di convincersi che lo amava. Questo strano gioco non era naturalmente sfuggito allo sguardo acuto della gelosia femminile. La sua amica, la signora A., aveva intuito il segreto, e si tormentava, il suo nervosismo cresceva e si rese necessaria la sua partenza per l'estero a scopo di cura. Durante la festa d'addio, uno spirito maligno fece visita alla nostra malata e le sussurrò: Stanotte È solo, deve capitarti qualcosa, perchè tu possa trovarti a casa sua. E così accadde: col suo strano comportamento riuscì a tornare a casa dell'uomo e ottenere ciò che aveva cercato. Dopo questo chiarimento certo ognuno sarà portato a
credere che solo una raffinatezza diabolica avrebbe potuto escogitare e porre in atto un simile concatenarsi di circostanze. La raffinatezza È indubbia, tuttavia la valutazione morale È incerta. Devo infatti sottolineare con forza che i motivi di questa messinscena drammatica della paziente non erano in alcun modo coscienti. La vicenda le capitò in modo apparentemente automatico, senza che ella avesse minimamente coscienza di qualche motivo. Eppure È evidente, in base a tutte le premesse, che tutto era inconsciamente orientato verso questo fine, mentre la coscienza si sforzava di portare avanti il fidanzamento con il signor B. La costrizione inconscia a scegliere l'altra strada era più forte. A questo punto torniamo di nuovo alla nostra considerazione iniziale, ossia a chiederci da dove derivi l'elemento patologico (o strano, eccessivo) della reazione al trauma. Sulla base di un principio ricavato da altre esperienze, abbiamo avanzato l'ipotesi che anche nel caso in questione sia presente, oltre al trauma, anche un disturbo nella sfera amorosa. Questa ipotesi È stata pienamente confermata e quindi abbiamo compreso che il trauma, che si presume provochi la malattia, non È niente più di un pretesto per manifestare qualcosa di cui prima non si era coscienti, cioè un importante conflitto erotico. Il trauma perde così il suo ruolo patogeno e al suo posto si fa avanti una concezione molto più profonda e vasta, che presenta l'agente patogeno come un conflitto erotico. Si sente spesso la domanda: perchè proprio il conflitto erotico deve essere la causa della nevrosi e non un qualsiasi altro conflitto? A questa domanda bisogna rispondere: nessuno sostiene che "debba essere così", ma risulta per l'appunto che È così. Malgrado tutte le indignate assicurazioni in contrario, le cose stanno invece così: l'amore (22), i suoi problemi e i suoi conflitti, hanno un significato fondamentale per la vita umana, e, come emerge sempre quando si indaga accuratamente, un'importanza di gran lunga maggiore di quanto l'individuo non supponga.
La teoria del trauma È stata perciò abbandonata in quanto superata. Infatti, una volta capito che la radice della nevrosi non È il trauma, ma un conflitto erotico nascosto, il trauma perde il suo significato patogeno.
2. LA TEORIA SESSUALE (23)
Con questa scoperta la questione del trauma È stata risolta e superata. In compenso la ricerca si È trovata di fronte al problema del conflitto erotico, il quale, come mostra il nostro esempio, contiene un gran numero di elementi abnormi e perciò non può essere confrontato a prima vista con un comune conflitto erotico. Più di ogni altra cosa, sorprende e lascia quasi increduli il fatto che solo la posa esteriore debba essere cosciente, mentre la passione reale della paziente rimanga ignorata. Tuttavia in questo caso È incontestabile che la relazione erotica reale restò nell'ombra, mentre nell'orizzonte della coscienza solo l'apparenza regnava incontrastata. Se formuliamo teoricamente questo dato di fatto, ne risulta un principio di queto tipo: "nella nevrosi vi sono due tendenze, che sono in netta contrapposizione reciproca e di cui almeno una È inconscia". Questo principio È formulato "intenzionalmente" in termini molto generali. Infatti, in questo modo, vorrei proprio sottolineare che il conflitto patogeno È senza dubbio un momento personale, ma, al tempo stesso, È anche un conflitto dell'umanità che diventa manifesto nell'individuo. Infatti l'essere in disaccordo con se stessi È in generale un segno distintivo dell'uomo civilizzato. Il nevrotico È solo un caso particolare dell'uomo civilizzato in disaccordo con se stesso. Com'È noto, il processo di civilizzazione consiste in un progressivo dominio dell'elemento animale che È nell'uomo. E' un processo di addomesticamento che non può attuarsi senza provocare la rivolta della natura animale, assetata di libertà. Di tanto in tanto l'umanità, costretta a subire la coercizione della
civiltà, È percorsa come da un'ebbrezza: l'antichità lo visse nell'ondata divampante da Oriente delle orgie dionisiache, che divennero una componente essenziale e caratteristica della cultura antica e il cui spirito contribuì non poco a che l'ideale stoico in numerose sette e scuole filosofiche dell'ultimo secolo avanti Cristo si trasformasse in senso ascetico, ed emergessero, dal caos politeistico di quel tempo, le due religioni ascetiche gemelle di Mitra e di Cristo. Una seconda ventata di libertà dionisiaca attraversò l'umanità occidentale con il Rinascimento. E' difficile giudicare il proprio tempo. Ma se osserviamo come si sviluppano le arti, il senso dello stile e il gusto del pubblico, ciò che gli uomini leggono e scrivono, quali associazioni fondano, quali questioni sono all'ordine del giorno, contro che cosa si difendono i filistei, nel lungo elenco delle questioni sociali del nostro presente non ultima troviamo la cosiddetta questione sessuale, sollevata da uomini che cercano di scuotere la morale sessuale vigente e vorrebbero spazzar via il peso della colpa morale che i secoli passati hanno accumulato sull'eros. Non si può semplicemente negare l'esistenza di queste istanze, o contestarne la legittimità. Esse esistono e dunque hanno certo ragioni sufficienti per esistere. E' più interessante e più utile studiare attentamente le basi di questi movimenti del nostro tempo, anzichè associarsi alle lamentazioni delle prefiche moraliste che profetizzano il declino morale dell'umanità. E' una prerogativa dei moralisti quella di avere così poca fiducia nel buon Dio, e da credere che la bella pianta dell'umanità prosperi solo grazie ai sostegni, ai legacci e alle spalliere, mentre padre Sole e madre Terra l'hanno fatta crescere per la propria gioia, in base a leggi profonde e sensate. Le persone serie sanno che al giorno d'oggi esiste qualcosa come una questione sessuale. Si sa che il rapido sviluppo urbano, accompagnato da una unilateralità della prestazione favorita da una straordinaria divisione del lavoro, la crescente industrializzazione delle campagne e l'accresciuta sicurezza della vita, sottraggono all'umanità molte occasioni di liberare le
proprie energie affettive. Il contadino, con la sua attività sempre varia che, per suo contenuto simbolico, gli procura una soddisfazione inconscia che l'operaio e l'impiegato d'ufficio non conoscono e non potranno mai avere, la vita a contatto della natura, i bei momenti in cui egli, signore e fecondatore della terra, spinge l'aratro nel terreno, in cui, con gesto regale, sparge il seme del futuro raccolto, la sua legittima ansia di fronte alla potenza distruttrice degli elementi, la gioia per la fecondità della sua donna, che gli dà figlie e figli, la cui presenza significa maggiore forza lavorativa e maggior benessere - da tutto questo noi uomini di città, moderne macchine da lavoro, siamo molto lontani. Non ci manca forse già la più bella e naturale di tutte le soddisfazioni, noi che non possiamo più vedere con gioia intatta il frutto della nostra propria semina, la benedizione dei figli? Ne può derivare qualche soddisfazione? Gli uomini si trascinano al lavoro (bisogna guardare i volti la mattina alle sette e mezza sul tram): uno fabbrica la sua rotellina, l'altro scrive cose che non lo interessano. Non c'È da meravigliarsi se ogni uomo che si rispetti fa parte di tante associazioni quanti sono i giorni della settimana e se fioriscono le sette femminili in cui le donne indirizzano a un qualsiasi idolo quei desideri insoddisfatti che il marito per stare allegro sazia al ristorante, bevendo birra e dandosi arie. A queste fonti di insoddisfazione si aggiunge un'altra circostanza molto importante. La natura ha dotato l'uomo, indifeso e inerme, di una grande quantità di energia, che dovrebbe metterlo in grado non solo di sopportare passivamente i gravi pericoli dell'esistenza, ma anche di uscirne vittorioso. Madre natura ha reso capace suo figlio di affrontare uno stato di grande bisogno. L'uomo civilizzato È di norma al sicuro dall'assillo pressante di questo stato di bisogno vitale, per cui dovrebbe essere quotidianamente portato ad eccedere. Infatti l'animale uomo ha sempre traboccato di energia vitale, quando non era oppresso dalla dura necessità. E' per questo che noi siamo realmente sfrenati? Dove sfoghiamo l'eccesso di forza vitale? In feste orgiastiche o in altre trasgressioni? Le nostre
concezioni morali non consentono questa via d'uscita. Ma a che scopo ci sono restrizioni morali? Forse per timori religiosi della collera divina? A prescindere dalla miscredenza sempre più diffusa, anche un uomo credente potrebbe tranquillamente chiedersi se, al posto di Dio, punirebbe un eccesso di semplici amanti qualsiasi con una dannazione praticamente eterna. Idee di questo tipo non si possono più assolutamente conciliare con il nostro gentile concetto di Dio. Il nostro Dio È necessariamente troppo tollerante, per farne una cosa importante. Così, alla morale sessuale del nostro tempo, che sa un po' di ascetismo e, soprattutto, di ipocrisia, viene sottratto il suo sfondo effettivo. O forse ci protegge dalla sfrenatezza una saggezza superiore e la consapevolezza della nullità dell'accadere umano? Purtroppo siamo ben lontani da questo. L'uomo nell'inconscio ha un sottile fiuto per lo spirito del proprio tempo, intuisce le sue possibilità e sente dentro di sé l'insicurezza dei fondamenti della morale contemporanea, cui viene a mancare il sostegno della viva convinzione religiosa. Da ciò deriva la maggior parte dei conflitti etici della nostra epoca. L'impulso, assetato di libertà, urta contro le cedevoli barriere della moralità: gli uomini sono in tentazione, vogliono e non vogliono. E, poiché non vogliono, e non possono, pensare fino in fondo ciò che realmente vogliono, il loro conflitto È in gran parte inconscio, e da questo proviene la nevrosi. Perciò la nevrosi, a nostro modo di vedere, È intimamente connessa con il problema del nostro tempo e rappresenta in realtà un tentativo fallito dell'individuo di risolvere dentro se stesso il problema generale. La nevrosi È l'essere in dissidio con se stessi. La ragione del dissidio È nella maggior parte degli uomini il fatto che la coscienza vorrebbe attenersi al suo ideale morale, mentre l'inconscio tende al proprio ideale immorale (nell'accezione attuale), che la coscienza vorrebbe continuamente negare. Di questo tipo sono quegli uomini che vorrebbero essere persone più per bene di quanto in fondo non siano. Ma il conflitto può anche essere capovolto: ci sono uomini
che all'apparenza sono molto poco per bene e non esercitano la minima violenza su se stessi, ma in fondo anche questa non È che una posa peccaminosa, perchè dentro di loro sullo sfondo c'È l'anima morale, che È caduta nell'inconscio, come nell'uomo morale la natura immorale. (Bisogna dunque evitare il più possibile gli estremi, poichè fanno sempre sorgere il sospetto del contrario.) Era necessaria questa discussione di carattere generale per rendere un po' più comprensibile il concetto di conflitto erotico. E' a partire di qui che possiamo affrontare da un lato la tecnica psicoanalitica e dall'altro la questione della terapia. Evidentemente, per quanto riguarda questa tecnica, È in gioco la questione di quale sia la via più breve, e la migliore, che ci possa portare a conoscere ciò che accade nell'inconscio del paziente. Il metodo originario era l'ipnosi: o il porre domande al paziente in stato di concentrazione ipnotica o la produzione spontanea di fantasie da parte del paziente (appunto in questo stato). Questo metodo viene ancora applicato occasionalmente, ma in confronto alla tecnica attuale È primitivo e spesso inadeguato. Un secondo metodo fu iniziato nella clinica psichiatrica di Zurigo, il cosiddetto metodo associativo (24), la cui validità È, in primo luogo, di tipo teorico-sperimentale. La sua applicazione fornisce un orientamento senza dubbio ampio, ma superficiale, sul conflitto inconscio (complesso) (25). Il metodo che va più a fondo È quello dell'analisi dei sogni, scoperto da Freud. Del sogno si può dire che la pietra scartata dai costruttori È divenuta pietra angolare. A dire il vero il sogno, questo prodotto evanescente e insignificante della nostra psiche, solo nell'epoca moderna ha conosciuto un disprezzo così radicale. Prima veniva valorizzato come voce che annuncia il destino, che ammonisce e consola, come un messaggero degli dèi. Ora lo utilizziamo come un segnale dell'inconscio, deve svelarci i segreti che sono celati alla coscienza, e lo fa con stupefacente completezza. Dall'indagine analitica del sogno È emerso che il sogno, così
come noi lo sogniamo, È solo una facciata, che non consente di indovinare nulla dell'interno della casa. Ma se noi, osservando determinate regole tecniche, lasciamo che il sognatore racconti i particolari del suo sogno, osserveremo ben presto che le sue associazioni si concentrano in una certa direzione e su certi temi che appaiono significativi sul piano personale e presentano un senso che, in un primo momento, non si sarebbe supposto, ma che, come si può mostrare attraverso un accurato confronto, È in un rapporto molto sottile e preciso fin nel più piccolo dettaglio con la facciata del sogno. Questo particolare complesso di pensieri, in cui si riuniscono tutti i fili del sogno, È il conflitto che si cercava, in una sua certa trasformazione causata dalle circostanze. L'elemento penoso e incompatibile del conflitto vi È così nascosto o diluito, che si può parlare di un appagamento del desiderio. Tuttavia bisogna subito aggiungere che i desideri soddisfatti nel sogno non sono, all'apparenza, i nostri, ma spesso proprio quelli in contrasto con essi. Così, ad esempio, una figlia ama teneramente sua madre, ma sogna che, con suo immenso dolore, sua madre sia morta. Ci sono innumerevoli sogni di questo tipo, in cui, apparentemente, non vi È traccia dell'appagamento di un desiderio, e i nostri dotti critici ci cadono continuamente, perchè continuano a non voler fare la semplice distinzione tra contenuto manifesto e contenuto latente del sogno. Non si può cadere in questo errore: il conflitto elaborato nel sogno È un conflitto inconscio, e lo stesso vale per il desiderio di soluzione che ne deriva. La nostra sognatrice desidera effettivamente di allontanare la madre; espresso nella lingua dell'inconscio ciò significa: morire. Ora noi sappiamo che una certa parte dell'inconscio contiene tutte le reminiscenze che la memoria ha perduto, nonchè tutti gli impulsi istintuali infantili che non hanno potuto realizzarsi nella vita adulta, cioè una serie di desideri infantili troppo spregiudicati. Si può dire che la maggior parte di ciò che proviene dall'inconscio reca impresso un carattere infantile. Così anche questo desiderio, che poi È, molto semplicemente: Vero, papà, che quando la mamma
È morta mi sposerai?. Quest'infantile espressione di desiderio sta al posto di un recente desiderio di sposarsi, che però, per la sognatrice, per motivi (in questo caso) ancora da indagare, risulta penoso. Questo pensiero o, piuttosto, la serietà dell'intenzione che gli corrisponde È, come si dice, rimossa nell'inconscio, dove necessariamente deve esprimersi in modo infantile, in quanto i materiali a disposizione dell'inconscio sono in gran parte reminiscenze infantili. Il sogno spesso si occupa, apparentemente, di dettagli del tutto insignificanti, perciò suscita in noi un'impressione ridicola oppure, visto dall'esterno, È a tal punto incomprensibile che al massimo può stupirci, per cui dobbiamo sempre superare una certa resistenza dentro di noi prima di applicarci seriamente a dipanare con un paziente lavoro il confuso intrico. Ma basta, infine, entrare nel vero senso di un sogno, per trovarci nel bel mezzo dei segreti del sognatore e vedere con stupore che anche un sogno apparentemente del tutto insensato È ricchissimo di senso e parla in realtà solo di cose straordinariamente importanti e serie per l'anima. Questa consapevolezza ci induce ad essere un po' più rispettosi nei confronti dell'antica superstizione sul significato dei sogni, nei confronti della quale la tendenza razionalistica propria del nostro tempo non ha avuto finora alcun interesse. Come dice Freud, l'analisi dei sogni È la "via regia" per accedere all'inconscio; l'analisi dei sogni ci introduce nei più profondi segreti personali, per cui essa È, nelle mani del medico e dell'educatore della psiche, uno strumento di valore inestimabile. Appunto per questo gli attacchi dei nostri oppositori si indirizzano contro questo metodo con argomenti che, fondamentalmente (se vogliamo prescindere dalle correnti personali sotterranee), scaturiscono dalla vena ancora fortemente scolastica dell'odierno pensiero erudito. E' proprio l'analisi dei sogni a svelare inesorabilmente la morale menzognera e l'atteggiamento ipocrita dell'uomo e a mostrargli plasticamente l'altro lato del suo carattere; non c'È da
meravigliarsi se molti avvertono dolore sentendosi pestare i calli. Questo mi fa sempre pensare ad una statua nel Duomo di Basilea che ben rappresenta il piacere mondano: davanti, offre allo sguardo il dolce sorriso arcaico, ma, dietro, È ricoperta di rospi e serpenti. L'analisi dei sogni rovescia l'oggetto e, per una volta, mostra l'altro lato. Difficilmente si potrà contestare il valore etico di questa correzione della realtà. E' un'operazione dolorosa, ma di estrema utilità, che richiede molto sia dal medico che dal paziente. La psicoanalisi, nella misura in cui vogliamo considerarla una tecnica terapeutica, È fatta in sostanza di numerose analisi dei sogni, in quanto i sogni, nel corso del trattamento, fanno emergere un po' alla volta i contenuti dell'inconscio per esporli al potere disinfettante della luce del giorno, recuperando anche qualche frammento prezioso che si credeva perso. Stando così le cose, È prevedibile che, per molte persone che hanno assunto una certa posa di fronte a se stessi, la psicoanalisi sia un supplizio, perchè, secondo l'antica massima mistica Abbandona ciò che possiedi e allora riceverai!, devono anzitutto sacrificare quasi tutte le illusioni più intime e care, per lasciare che sorga in loro qualcosa di più profondo, più bello, più ampio; infatti, solo attraverso il "mysterium" del sacrificio di sé È possibile ritrovare se stessi rinnovati. Sono gli elementi di una saggezza davvero antica, che nel trattamento psicoanalitico scorgono di nuovo la luce del giorno, ed È particolarmente curioso che, al culmine della nostra attuale civiltà, affiori la necessità di questo tipo di educazione psichica, un'educazione che, per più di un aspetto, va paragonata alla tecnica di Socrate, per quanto la psicoanalisi si spinga molto più in profondità. Nel malato troviamo sempre un conflitto che, ad un certo punto, È connesso con i grandi problemi della società, cosicchè, quando l'analisi si È inoltrata sino a questo punto, il conflitto apparentemente individuale del malato si rivela come un conflitto generale del suo ambiente e della sua epoca. La nevrosi
non È, quindi, in realtà, nient'altro che un tentativo di soluzione individuale (e, per la verità, fallito) di un problema generale; e anzi non può che essere così, poichè un problema generale, una questione, non È un "ens per se", ma esiste solo nei cuori e nelle teste dei singoli uomini. Ora, la linea di ricerca freudiana ha dimostrato che il momento erotico o sessuale ha un significato di gran lunga preponderante nella formazione del conflitto patogeno. Su queste esperienze si basa la "teoria sessuale della nevrosi" di Freud. Secondo questa teoria, si verifica una collisione tra la tendenza cosciente e il desiderio immorale, incompatibile e inconscio. Il desiderio inconscio È infantile, ossia È un desiderio del tempo passato dell'infanzia, che non vuole più adattarsi al presente, per cui viene rimosso, e proprio a causa della morale corrente. Per Freud si tratta essenzialmente di desideri sessuali rimossi, che si scontrano con la morale sessuale del nostro tempo. Il nevrotico ha in sé l'anima di un bambino, che mal sopporta limitazioni arbitrarie, di cui non comprende il senso; cerca, certo, di far propria la morale, ma questo lo fa cadere in uno stato di profonda dilacerazione e disaccordo con se stesso, da una parte vuole reprimersi, dall'altra liberarsi: questa lotta si chiama nevrosi. Se questo conflitto fosse chiaramente cosciente in ogni sua parte, non ne trarrebbero mai origine sintomi nevrotici; questi sorgono solo quando non si può vedere l'altro lato del proprio essere e l'urgenza dei suoi problemi. Solo a questa condizione si forma il sintomo, che poi aiuterà il lato non riconosciuto della psiche ad esprimersi. Il sintomo È quindi un'espressione indiretta di desideri non riconosciuti che, se fossero coscienti, si troverebbero in aspro conflitto con le nostre concezioni morali. Come si È già detto, questo lato in ombra della psiche si sottrae alla coscienza, perciò il malato non può venire a patti con esso, correggerlo, trovare un accordo o rinunciarvi, poichè, in realtà, le pulsioni inconsce non sono affatto in suo potere. Esse sono state rimosse dalla gerarchia dell'anima cosciente, sono divenute complessi autonomi, che
solo tra grandi resistenze possono essere riportate sotto controllo attraverso l'analisi dell'inconscio. Ci sono molti pazienti che si vantano proprio del fatto che per loro il conflitto erotico non esiste, assicurano che la questione sessuale È una sciocchezza, loro infatti non avrebbero, per così dire, addirittura sessualità. Queste persone non vedono che, in compenso, sono ostacolati da altre cose di origine sconosciuta, come umori isterici, angherie cui sottopongono se stessi e il loro prossimo, catarro nervoso allo stomaco, dolori da varie parti, irritazione immotivata, e tutta un'altra serie di sintomi nervosi. Si è rimproverato alla psicoanalisi di liberare i moti pulsionali animaleschi dell'uomo (fortunatamente) rimossi e di provocare così danni incalcolabili. Da questo timore emerge con evidenza quanto sia scarsa la fiducia che si ha nell'efficacia degli attuali principi morali. Si vorrebbe far credere che "solo" la morale trattiene l'uomo dalla dissolutezza: ma un principio regolatore molto più efficace È la necessità, che pone limiti reali molto più persuasivi di tutti i principi morali. E' vero che l'analisi libera gli istinti animaleschi, ma non, come alcuni interpretano, per fare direttamente esercitare i loro effetti senza freni, ma per metterli al servizio di più alte utilizzazioni, nella misura in cui ciò È possibile al singolo individuo e per quanto si richieda una simile utilizzazione (sublimata). E' infatti un vantaggio, da tutti i punti di vista, essere pienamente in possesso della propria personalità, perchè altrimenti gli aspetti rimossi della personalità non fanno che comparirci altrove come ostacoli lungo la via, e non in punti inessenziali, ma proprio nei più delicati. Ma se gli esseri umani sono educati a vedere la bassezza della loro natura, È da sperare che, per questa via, imparino a comprendere meglio e ad amare anche il loro prossimo. Una diminuzione dell'ipocrisia e un aumento della tolleranza verso se stessi può avere solo conseguenze positive ai fini del rispetto del prossimo, perchè gli uomini tendono fin troppo facilmente a trasferire anche sul prossimo i torti e la violenza che esercitano sulla propria natura.
La dottrina freudiana della rimozione sembra tuttavia voler affermare che sono solo gli uomini troppo morali, diciamo, a reprimere la propria immorale natura pulsionale. Di conseguenza, l'uomo immorale, che vive secondo la propria natura pulsionale senza restrizioni, dovrebbe essere completamente immune da nevrosi. Ovviamente, come l'esperienza quotidiana insegna, non È questo il caso. Egli può essere nevrotico quanto l'altro. Se lo analizziamo, scopriamo semplicemente che in lui È la morale ad aver subito la rimozione. Perciò, se l'uomo immorale È nevrotico, offre l'immagine dello sbiadito delinquente, secondo la felice formula di Nietzsche, che non È all'altezza delle sue azioni. Ora, si può essere dell'idea che, in un caso simile, i residui rimossi di onestà morale siano solo un retaggio infantiletradizionale, che ha inutilmente tenuto a freno la natura istintuale e che perciò andrebbe estirpato. Il principio ècrasez l'inffme culminerebbe in una teoria assoluta del godersi la vita. Ciò sarebbe, naturalmente, del tutto irreale e insensato. Infatti non bisogna mai dimenticare - e questo va rammentato alla scuola freudiana - che la morale non È stata portata giù dal Sinai sotto forma di tavole e imposta al popolo, ma È una funzione dell'anima umana, vecchia quanto È vecchio l'uomo. La morale non viene imposta dall'esterno, la si ha "a priori" in se stessi; non la legge, ma proprio l'essenza morale. Del resto, c'È un punto di vista più morale della teoria del godersi la vita? C'È una visione della morale più eroica di questa? Perciò stava particolarmente a cuore all'eroico Nietzsche. E' vero che, per viltà naturale e innata, si dice: Dio, preservami dal godere la vita e si ritiene, così facendo, di essere particolarmente morali, senza però ammettere che, per noi, godersi la vita sarebbe anzitutto troppo dispendioso, troppo faticoso, troppo pericoloso e, infine, anche un po' troppo sconveniente: concetto che, per molta gente, È più legato al buon gusto che all'imperativo categorico. L'imperdonabile errore della teoria del godersi la vita È questo: È troppo eroica, troppo ideologica.
Perciò attecchisce al meglio nelle menti un po' guaste di Schwabing. Penso non esista alcun altro rimedio, se non che l'uomo immorale accetti la sua correzione morale inconscia, così come l'uomo morale deve cercare di spiegarsi il meglio possibile con i suoi demoni sotterranei. Non si può negare che i freudiani di stretta osservanza siano così persuasi dell'importanza fondamentale, anzi, esclusiva della sessualità nella nevrosi, da averne anche tratto coraggiosamente le conseguenze attaccando eroicamente la nostra morale sessuale corrente. In questo campo regnano molte opinioni diverse. E' però indicativo che il problema della morale sessuale sia, al giorno d'oggi, oggetto di un diffuso dibattito. Ciò È senza dubbio utile e necessario; infatti, finora, noi non abbiamo avuto alcuna morale sessuale, ma solo una concezione barbarica, basata su una differenziazione del tutto insufficiente. Come nel primo Medioevo il traffico di denaro era considerato in generale spregevole, perchè non vi era ancora una casistica morale sul differenziato traffico del denaro, ma solo una morale sommaria, così oggi esiste soltanto una morale sessuale sommaria. Una ragazza che ha un figlio illegittimo È condannata, ma nessuno si chiede se sia una persona per bene o no. Una forma d'amore non autorizzata legalmente È ugualmente immorale, sia che riguardi persone degne o mascalzoni. Si È appunto ancora ipnotizzati come barbari dal fatto in sé e si dimenticano le persone, proprio come per l'uomo medievale il trafficare con il denaro non era altro che l'oro luccicante e avidamente desiderato, e proprio per questo il diavolo. La morale sessuale odierna È ancora altrettanto incolta e barbarica, in quanto volge lo sguardo solo alla sessualità e non alle persone e alla specificità del loro agire. In fondo, l'attacco alla morale sessuale contemporanea ha allora il significato di un'azione etica che costringe all'elaborazione di una concezione differenziata e realmente
etica. Come si è detto, Freud vede il grande conflitto tra l'io e la natura pulsionale principalmente sotto l'aspetto sessuale. Quest'aspetto È effettivamente presente, tuttavia sulla sua realtà effettiva deve essere posto un grande punto di domanda. Infatti, ci si deve chiedere se ciò che appare in forma sessuale, sia sempre necessariamente sessualità anche nella sua essenza. Si può anche pensare che un istinto si travesta in un altro. Lo stesso Freud ha fornito al proposito osservazioni abbastanza pertinenti e chiare, che dimostrano in modo convincente che molte azioni ed aspirazioni degli uomini non sono poi altro, in fondo, che espressioni di imbarazzo un po' insincere che, però, grazie ad un senso di reciproco rispetto, non vengono capite per quello che sono, cose di gran lunga più elementari. Nulla impedisce che anche certe cose, quanto mai elementari, vengano tranquillamente sospinte in primo piano al posto di altre più necessarie, ma più spiacevoli, nell'illusione che si tratti realmente solo della cosa elementare. "La teoria sessuale È, fino a un certo punto, del tutto esatta, ma unilaterale. Sarebbe perciò altrettanto sbagliato respingerla, quanto accettarla come universalmente valida".
3. L'ALTRO PUNTO DI VISTA: LA VOLONTA' DI POTENZA.
Sino ad ora abbiamo considerato il problema della nuova psicologia essenzialmente dal punto di vista di Freud. Abbiamo sicuramente visto, qui, qualcosa, e qualcosa di vero, a cui forse il nostro orgoglio, la nostra consapevolezza di uomini civilizzati dice di no; ma qualcosa in noi dice di sì. Per molti c'È in questo un che di estremamente irritante e che eccita lo spirito di contraddizione, o qualcosa di più, cioè qualcosa che provoca angoscia, e che perciò non si vuole ammettere. C'È qualcosa di realmente terribile nel dir di sì a questo conflitto: infatti, così facendo si dice di sì all'istinto. Ci si è resi conto di cosa significhi dir di sì all'istinto? Nietzsche volle e insegnò proprio questo, e prese la cosa sul serio. Ebbene, egli ha sacrificato con rara passione se stesso e tutta la sua vita all'idea del Superuomo, ossia all'idea dell'uomo che, obbedendo al proprio istinto, va anche oltre se stesso. E come trascorse la sua vita? Come lo stesso Nietzsche aveva profetizzato in "Zarathustra", in quella premonitrice caduta mortale del funambolo, dell'uomo che non voleva essere oltrepassato. Zarathustra dice al morente: La tua anima sarà morta ancor prima del tuo corpo (26). E, più tardi, il nano dice a Zarathustra: O Zarathustra, tu, pietra filosofale, ti sei scagliata in alto. Ma ogni pietra scagliata deve... cadere! Condannato a te stesso e all'autolapidazione. O Zarathustra, hai scagliato lontano, sì, la pietra, ma essa ricadrà su di te (27). Quando esclamò rivolto a se stesso il suo ecce homo, allora come già al tempo in cui queste parole furono dette la prima
volta, era troppo tardi, e cominciò la crocifissione dell'anima, prima ancora che il corpo fosse morto. Di colui che insegnò a dir di sì all'istinto vitale bisogna guardare criticamente la vita, per studiare gli effetti di questa dottrina su colui che la propose. Ma se consideriamo questa vita, dobbiamo dire: Nietzsche visse "al di là dell'istinto", nell'atmosfera rarefatta del sublime eroico, alla cui altezza poteva sopravvivere solo grazie ad una dieta delle più accurate, ad un clima dei più scelti e, soprattutto, grazie ad una grande quantità di sonniferi, fino a che la tensione non mandò in pezzi il cervello. Parlò di dir di sì e visse il no. Il suo disgusto per gli uomini, specialmente per la bestia uomo che vive d'istinto, era troppo grande. Quel rospo che sognava spesso, e che aveva paura di dover inghiottire, non riuscì proprio a mandarlo giù. Il leone di Zarathustra ricacciava ruggendo nella spelonca dell'inconscio tutti gli uomini superiori che reclamavano a gran voce di vivere. Perciò la sua vita non ci convince della sua dottrina. Infatti l'uomo superiore vuole anche poter dormire senza cloralio, e vivere a Naumburg e a Basilea malgrado la nebbia e le ombre, vuole una donna e una discendenza, vuole farsi valere ed essere rispettato nel gregge, vuole innumerevoli cose ordinarie, non ultimo vuole cose da filisteo. Nietzsche non vide quest'istinto, ossia l'istinto di vita animale. Ma di cosa visse, se non visse di quest'istinto? Si può davvero accusare Nietzsche di aver detto, in pratica, no al suo istinto? Sicuramente egli non sarebbe affatto d'accordo. Anzi potrebbe dimostrare - e senza difficoltà - di aver vissuto il proprio istinto nel senso più alto. Ma com'È possibile, ci chiederemo stupiti, che la natura pulsionale dell'uomo possa condurlo proprio lontano dagli uomini, sino all'assoluto isolamento, al di là del gregge, protetto dal disgusto? Eppure si pensava che l'istinto unisse, accoppiasse, generasse, che esso perseguisse il piacere e il benessere, e il soddisfacimento di tutti i desideri dei sensi. Ma abbiamo del tutto dimenticato che questa È solo una delle possibili direzioni che l'istinto può prendere.
Non c'È solo l'istinto di conservazione della specie (istinto sessuale), ma anche l'istinto di autoconservazione (istinto dell'Io). Nietzsche parla evidentemente di quest'ultimo istinto, ossia della "volontà di potenza". Ogni altra forma di istinto È per lui riconducibile alla volontà di potenza: dal punto di vista della psicologia sessuale di Freud, un clamoroso errore, un fraintendimento della biologia, un passo falso della sua natura decadente di nevrotico. Qualunque seguace della psicologia sessuale avrà infatti buon gioco nel dimostrare che tutta la tensione sublime, l'elemento eroico nella concezione del mondo e della vita di Nietzsche, non sarebbero invece altro che una conseguenza della rimozione e del disconoscimento dell'istinto, ossia di quell'istinto che "questa" psicologia riconosce come fondamentale. Con ciò giungiamo alla "questione del vedere" o, per meglio dire, delle diverse lenti attraverso le quali viene visto il mondo. Non possiamo dichiarare, in pratica, inautentica una vita come quella di Nietzsche, che fu vissuta con rara coerenza sino alla fine fatale, secondo la natura dell'istinto di potenza che ne era alla base, o si cadrebbe vittime dello stesso ingiusto pregiudizio che Nietzsche pronunziò nei confronti del suo antipode, Wagner: "In lui tutto È falso". Ciò che È vero viene nascosto o decorato. E' un commediante in ogni senso buono e cattivo del termine. Perchè questo giudizio? Wagner È appunto un rappresentante di quell'altro istinto fondamentale, che Nietzsche trascurò, e su cui È costruita la psicologia freudiana. Se cerchiamo in Freud quell'altro istinto, l'istinto di potenza, scopriamo che Freud l'ha definito come "pulsione dell'Io". Ma queste pulsioni dell'Io hanno, nella sua psicologia, una misera esistenza marginale a fianco dell'ampio, fin troppo ampio, dispiegarsi del momento sessuale. In realtà, però, la natura umana È portatrice di una lotta feroce e interminabile tra il principio dell'Io e il principio dell'istinto informe: l'Io È tutto una barriera, l'istinto È sconfinato, ed
entrambi i principi hanno uguale potenza. In un certo senso, l'uomo può ritenersi fortunato di aver coscienza solo di uno dei due istinti; perciò È cosa saggia guardarsi dal venire a conoscenza dell'altro istinto. Ma se egli viene a conoscenza dell'altro istinto, la sua pace È perduta. Allora cade nel conflitto di Faust. Goethe ci ha mostrato nel "Faust" (prima parte) cosa significhi accettare l'istinto e, nella seconda parte, cosa significhi accettare l'Io e il suo inquietante mondo inconscio. Tutto ciò che È in noi di insignificante, piccino e vile scappa con la coda fra le gambe di fronte a questa scoperta: ma c'È un buon rimedio, e cioè scoprire che l'altra cosa che È in noi È un altro, ossia un uomo reale che pensa, fa, sente, brama tutto ciò che È riprovevole e spregevole. In questo modo si È afferrato lo spauracchio e, con grande piacere, si aprono le ostilità contro di lui. E' da qui che nascono quelle idiosincrasie croniche di cui la storia del costume ci ha serbato alcuni esempi. Un caso particolarmente illuminante È, come già si È detto, "Nietzsche contra Wagner", contro Paolo eccetera. Ma la vita quotidiana degli uomini pullula di esempi analoghi. Con questo mezzo ingegnoso l'uomo si salva dalla catastrofe faustiana, per la quale gli mancano forza e coraggio. Ma un vero uomo sa che anche il suo peggior avversario, anzi un gran numero di avversari, non può minimamente reggere il confronto con quell'unico, terribile antagonista: il proprio altro che gli dimora in petto. Nietzsche aveva Wagner in sé, perciò gli invidiava il "Parsifal". Ma, peggio ancora: lui, Saulo, aveva anche Paolo dentro di sé. Perciò Nietzsche ricevette le stimmate dello Spirito, dovette vivere la "cristificazione" come Saulo, quando l'altro gli suggerì l'ecce homo. Chi cadde in ginocchio di fronte alla croce? Wagner o Nietzsche? Il destino volle che proprio uno dei primi allievi di Freud, Adler (28), elaborasse un modo di concepire la natura della nevrosi basato esclusivamente sul principio di potenza. E' di non poco interesse e addirittura di particolare stimolo osservare come le stesse cose appaiano del tutto diverse in una prospettiva
opposta. Per anticipare il contrasto principale, vorrei precisare subito che in Freud tutto consegue in termini strettamente causali da dati di fatto antecedenti: in Adler, al contrario, tutto È adattamento determinato finalisticamente. Prendiamo un semplice esempio: una giovane donna comincia a soffrire di accessi di angoscia. Di notte si risveglia da un incubo con un grido spaventoso, non riesce poi a tranquillizzarsi, si aggrappa a suo marito, lo scongiura di non lasciarla, vuole sentirgli sempre ripetere che sicuramente la ama, eccetera. A poco a poco si sviluppa un'asma nervosa che compare anche durante il giorno sotto forma di accessi. Il freudiano di stretta osservanza in questo caso si sprofonda subito nella causalità interna del quadro clinico: qual era all'inizio il contenuto dei sogni angosciosi? Tori selvaggi, leoni, tigri, uomini cattivi la aggredivano. Che cosa viene in mente, in proposito, alla paziente? Una vicenda che le capitò una volta, quando era ancora nubile. Si trovava in un luogo di cura, in montagna. Si giocava molto a tennis e si facevano le solite conoscenze. C'era un giovane italiano che giocava particolarmente bene e che, la sera, sapeva anche suonare un po' la chitarra. Tra la giovane e l'italiano nacque un innocente flirt che li portò una sera a fare una passeggiata al chiaro di luna. In quest'occasione inaspettatamente si scatenò il temperamento italiano, con grande spavento dell'ignara fanciulla. Lui la guardò con uno sguardo che lei non potè mai dimenticare. Questo sguardo continua a perseguitarla, anche nei sogni; perfino le bestie feroci che la inseguono, hanno quello sguardo. Davvero questo sguardo viene solo dall'italiano? Troviamo la risposta in un'altra reminiscenza: la paziente aveva perso il padre per un incidente, quando aveva circa quattordici anni. Il padre era un uomo di mondo e viaggiava molto. Una volta, non molto tempo prima della sua morte, l'aveva portata con sé a Parigi, dove avevano visitato, fra l'altro, anche le Folies Bergéres. Lì accadde qualcosa che, in quel momento, suscitò in lei una violenta impressione: mentre lasciavano il teatro, una prostituta
vistosamente truccata si spinse improvvisamente verso suo padre con modi incredibilmente sfacciati. La paziente si volse spaventata al padre per vedere che cosa avrebbe fatto, e vide nei suoi occhi appunto quello sguardo, quella luce selvaggia. Questo qualcosa di inspiegabile cominciò allora a perseguitarla notte e giorno. Da quel momento il rapporto con suo padre mutò. A tratti era irritata e piena di umori velenosi, a tratti lo amava smisuratamente. Poi sopravvennero improvvise ed immotivate crisi di pianto, e per un periodo ebbe a soffrire del fatto che quando il padre era in casa, a tavola il cibo le andava di traverso con apparenti attacchi di soffocamento che di solito la lasciavano senza voce per uno o due giorni. Quando giunse la notizia della morte improvvisa del padre, fu assalita da un dolore incontenibile che sfociò in un isterico riso convulso. Ma poi ben presto si acquietò, il suo stato migliorò rapidamente e i sintomi nevrotici sparirono, si può dire, del tutto. Il velo dell'oblio scese sul passato. Solo l'esperienza vissuta con l'italiano risuscitò in lei qualcosa di fronte a cui provava paura. Si era allora staccata bruscamente dal giovane. Alcuni anni dopo si sposò. Solo dopo il secondo figlio cominciò l'attuale nevrosi, per l'esattezza nel momento in cui scoprì che suo marito provava un certo tenero interesse per un'altra donna. In questa vicenda vi sono molti aspetti problematici: ad esempio, dov'È la madre? Della madre c'È da dire che era molto nervosa e che passava in rassegna tutti i possibili sanatori e sistemi di cura. Anche lei soffriva di asma nervosa e di sintomi d'angoscia. I coniugi erano molto distanti tra loro, per quanto la paziente potesse ricordare. La madre non capiva il marito. La paziente aveva sempre la sensazione di capirlo molto meglio lei. Era anche, dichiaratamente la prediletta del padre e, di conseguenza, nel proprio intimo era abbastanza fredda nei confronti della madre. Questi accenni dovrebbero bastare per avere una visione d'insieme della storia della malattia. Dietro i sintomi attuali, si
celano delle fantasie che si ricollegano in primo luogo all'esperienza vissuta con l'italiano, ma, più ampiamente, rinviano con chiarezza al padre, il cui matrimonio infelice offrì alla bambina un'occasione precoce per conquistarsi un posizione che, in realtà, avrebbe dovuto essere occupata dalla madre. Dietro questa conquista c'È naturalmente la fantasia di essere la donna veramente adatta al padre. Il primo attacco della nevrosi scoppia nel momento in cui questa fantasia riceve un duro colpo, presumibilmente lo stesso che anche la madre aveva subito (cosa che la bambina però non sapeva). I sintomi sono facilmente interpretabili come espressione di un amore deluso e non corrisposto. Il sintomo del cibo che va di traverso si basa su quella sensazione di nodo alla gola che È un noto fenomeno collaterale degli affetti violenti, che non si riesce a mandar giù del tutto (le metafore del linguaggio si riferiscono spesso, com'È noto, a fenomeni fisiologici di questo tipo). Quando il padre morì, accadde, sì, che la sua coscienza ne fosse mortalmente addolorata, ma il suo inconscio rideva, proprio allo stesso modo di Till Eulenspiegel, che si angustiava quando andava in discesa: ma quando doveva salire con fatica era di buon umore, in previsione dell'avvenire. Se il padre era a casa, era angustiata e malata, se era via, ogni volta si sentiva molto meglio, come i tanti mariti e mogli che ancora si nascondono reciprocamente il dolce segreto di non dover sempre e comunque sentire l'assoluto bisogno l'uno dell'altro. Che l'inconscio avesse allora le sue ragioni per ridere, È confermato dal periodo di piena salute che seguì. Le riuscì di far scomparire giù nel fondo tutto ciò che era accaduto prima. Solo l'esperienza vissuta con l'italiano minacciò di far riemergere questo mondo sotterraneo. Ma lei, con rapida mossa, chiuse con forza le porte e rimase sana, fino a che il drago della nevrosi non si insinuò comunque, quando lei si credeva ormai del tutto al sicuro nella condizione, per così dire, perfetta di moglie e di madre. La psicologia sessuale dice: l'origine della nevrosi risiede nel fatto che la malata non si È ancora, in ultima istanza, liberata
dal padre, perciò recupera anche quell'esperienza di quando scoprì nell'italiano quel qualcosa di misterioso che già nel padre l'aveva impressionata così violentemente. Questi ricordi furono naturalmente riportati di nuovo in vita dall'esperienza analoga che la paziente viveva con il marito, che fu la causa scatenante della nevrosi. Si potrebbe perciò dire che il contenuto e la ragione della nevrosi stanno nel conflitto fra la relazione fantastica erotico-infantile col padre e l'amore per il marito. Ma se ora consideriamo lo stesso quadro clinico dal punto di vista dell'altra pulsione, ossia della volontà di potenza, la cosa assume un volto completamente diverso: la precaria unione dei suoi genitori fu un'ottima occasione per l'istinto di potenza infantile. L'istinto di potenza vuole infatti che l'Io, per qualsiasi strada, diritta o traversa, si imponga sempre. L'integrità della personalità deve essere mantenuta in ogni caso. Ogni tentativo, fosse anche solo un tentativo apparente da parte dell'ambiente circostante, di azzardare una sottomissione sia pur minima del soggetto, provoca di rimando una virile protesta, secondo l'espressione di Adler. La delusione della madre e il suo ritrarsi nella nevrosi offrì perciò alla figlia lo spunto tanto desiderato per dispiegare la sua potenza e per imporsi. L'amore e la gentilezza del comportamento, dal punto di vista dell'istinto di potenza, sono notoriamente ottimi mezzi per raggiungere la scopo. La virtù serve non di rado a estorcere il riconoscimento altrui. Fin da bambina, la paziente sapeva assicurarsi una posizione di grande vantaggio agli occhi del padre, attraverso un comportamento particolarmente compiacente e amabile per superare finalmente la madre; non quindi per amore del padre: l'amore era invece un buon mezzo per imporsi. Il riso convulso alla morte del padre ne È una prova eloquente. Si sarebbe portati a valutare una spiegazione di questo genere come una ripugnante svalutazione dell'amore, se non addirittura come un'insinuazione malvagia. Ma si rifletta solo un momento, e si guardi per una volta il mondo così com'È. Forse non si È mai osservato che innumerevoli esseri amano e credono al loro
amore solo fintantochè non sia raggiunto il loro scopo e che dopo si volgono altrove, come se non avessero mai amato? E, infine, la stessa natura non si comporta forse anch'essa proprio così? E' possibile, in generale, un amore privo di scopi? Se sì, allora esso È fra le più alte virtù umane, che, nella forma più perfetta, sono assai rare. Forse si È anche portati, in generale, a riflettere il meno possibile sullo scopo dell'amore, altrimenti si potrebbero fare scoperte tali da far apparire il valore del proprio amore in una luce meno favorevole. Ma togliere un po' di valore alle pulsioni fondamentali costituisce un pericolo quasi mortale, forse soprattutto al giorno d'oggi, in cui sembra che ce ne rimanga così poco. La paziente fu dunque colta da riso convulso alla morte del padre: aveva definitivamente prevalso. Si trattava di un riso convulso di natura isterica, cioè di un sintomo psicogeno, di qualcosa che procedeva da motivi inconsci e non da motivi dell'Io cosciente. Questa È una differenza da non sottovalutare, che ci consente di riconoscere insieme da dove e perchè sorgano le virtù umane. Il loro contrario, infatti, conduce all'inferno, cioè, espresso in termini moderni, nell'inconscio, dove da gran tempo si raccolgono gli opposti corrispondenti alle nostre virtù coscienti. Perciò, per sentirsi virtuosi, non si vuol sapere nulla dell'inconscio, mentre ritenere che non esista affatto un inconscio È addirittura il colmo del senso di virtù. Ma purtroppo capita a noi tutti quello che capitava a frate Medardo negli "Elisir del diavolo" di E. T. A. Hoffmann: esiste da qualche parte un inquietante, terribile fratello, proprio il nostro pendant in carne e ossa, unito a noi da vincoli di sangue, che ha in sé ed accumula malvagiamente tutto ciò che noi preferiremmo di gran lunga far sparire sotto il tavolo. Il primo attacco di nevrosi nella nostra paziente si verificò nel momento in cui si rese conto che in suo padre c'era qualcosa che lei non dominava. E fu a questo punto che le fu improvvisamente chiaro a cosa serviva la nevrosi della madre:
quando si urta contro qualcosa su cui non si riesce a spuntarla con nessun altro mezzo, né con la ragione, né con il fascino, c'È ancora un espediente che le era ignoto fino ad allora e che la madre aveva scoperto prima di lei: la nevrosi. Quindi d'ora in poi la ragazza avrebbe imitato la nevrosi della madre. Eppure, ci si chiederà stupiti: quale può essere lo scopo della nevrosi? Che effetto potrà produrre? Proprio chi nella sua cerchia più ristretta ha una persona con una nevrosi manifesta, sa quanti effetti si possono produrre con una nevrosi. Non esiste in generale mezzo migliore per tiranneggiare un'intera casa, che un'eclatante nevrosi. Specialmente le affezioni cardiache, gli accessi di soffocamento, gli spasmi di ogni tipo hanno un'enorme efficacia, difficilmente superabile. La compassione trabocca a fiumi, angoscia sublime di genitori sinceramente in pena, un correr qua e là di domestici, squilli di telefono, medici che accorrono, diagnosi difficili, esami approfonditi, trattamenti lunghi e complicati, notevoli spese e, nel bel mezzo di tutto questo trambusto, sta lì l'incolpevole sofferente, che viene sommerso addirittura di gratitudine quando ha superato le crisi. La piccola scoprì questo insuperabile "arrangement" (per usare l'espressione di Adler) e lo usava con successo ogni volta che il padre era presente. Divenne superfluo quando il padre morì, poichè a questo punto la vittoria era definitiva. L'italiano fu rapidamente liquidato quando mise troppo in rilievo la femminilità della paziente ricordandole, al momento opportuno, la propria virilità. Ma quando si presentò una buona possibilità di matrimonio, allora amò e si ritrovò, senza più capricci, nel ruolo commiserevole di formica regina. Finchè durò questa superiorità, oggetto di ammirazione, tutto andava splendidamente. Ma non appena il marito dimostrò per una volta un piccolo interesse fuori di casa, dovette nuovamente, come un tempo, ricorrere a quell'"arrangement" tanto efficace, ossia all'esercizio di una violenza indiretta, poichè aveva urtato di nuovo, stavolta in suo marito, contro quel lato che già nel padre si era sottratto al suo dominio.
Dal punto di vista della psicologia della potenza, le cose appaiono così. Temo che il lettore si trovi nella stessa situazione di quel cadì di fronte al quale parlò dapprima l'avvocato di una delle parti. Quando ebbe finito, il cadì disse: Hai parlato bene, vedo che hai ragione. Poi parlò l'avvocato della controparte e, quando ebbe finito, il cadì si grattò la testa e disse: Hai parlato bene. Vedo che anche tu hai ragione. E' indubbio che l'istinto di potenza abbia un ruolo del tutto straordinario. E' vero che i complessi di sintomi nevrotici sono anche raffinati "arrangements", che realizzano inesorabilmente i propri scopi con incredibile accanimento e con una astuzia senza pari. La nevrosi È orientata in senso finalistico. Dimostrandolo, Adler ha avuto un grande merito. Ora, quale dei due punti di vista È quello giusto? Questa È una domanda che potrebbe rivelarsi un rompicapo. Non si possono semplicemente sovrapporre entrambe le spiegazioni, poichè si contraddicono assolutamente. In un caso, il dato supremo e determinante È l'amore e il suo destino, nell'altro È la potenza dell'Io. Nel primo caso, l'Io dipende semplicemente, come una specie di appendice, dalla pulsione erotica, nel secondo l'amore È ogni volta solo un mezzo per imporsi. Chi ha a cuore la potenza dell'Io, si ribella contro la prima delle due concezioni, ma chi ha a cuore l'amore, non potrà mai accettare la seconda.
4. I DUE TIPI PSICOLOGICI.
A questo punto del problema entrano in gioco le nostre ultime ricerche. Infatti, abbiamo scoperto che ci sono, anzitutto, due tipi di psicologia umana (29). La funzione principale dell'uno È il "sentire", quella dell'altro il "pensare". L'uno si immedesima nell'oggetto, l'altro vi pensa sopra. L'uno si adatta all'ambiente secondo l'emozione e solo successivamente riflette, l'altro si adatta tramite una preliminare comprensione secondo il pensiero. Colui che si immedesima, esce in certo qual modo da se stesso verso l'oggetto, l'altro si ritrae in certo qual modo dall'oggetto o si arresta di fronte ad esso e ci pensa su. Il primo si chiama tipo "estroverso", perchè in un certo senso si volge all'esterno verso l'oggetto; il secondo si chiama tipo "introverso", perchè in un certo senso si distoglie dall'oggetto, si ritira in se stesso e riflette sull'oggetto (30). Con queste osservazioni, ovviamente, do soltanto i tratti più grossolani dei due tipi. Ma già da questo abbozzo del tutto superficiale si riconosce l'antitesi tipologica fra le due teorie che abbiamo esposto in precedenza. La teoria sessuale È una teoria che procede dal punto di vista del sentimento, mentre la teoria della potenza procede dal punto di vista del pensiero, poichè l'estroverso pone sempre l'accento sul sentire il più possibile connesso all'oggetto; l'introverso, al contrario, lo pone sempre sull'Io pensante, il più possibile sganciato dall'oggetto. "Con ciò si risolvono le inconciliabili contraddizioni delle due teorie, essendo entrambe prodotti di una psicologia unilaterale". Un'analoga antitesi tipologica la troviamo in Nietzsche e in Wagner. L'incomprensione tra i due sta nell'antitesi tipica delle loro psicologie. Ciò che per l'uno È
valore supremo, per l'altro È solo una commedia falsa fino al midollo. Entrambi si svalutano reciprocamente. Se applichiamo la teoria sessuale ad un estroverso, le cose vanno bene, ma se la applichiamo ad un introverso, bistrattiamo e violentiamo semplicemente la sua psicologia. Lo stesso vale nel caso inverso. Con la relativa correttezza di entrambe le teorie in competizione possiamo spiegarci perchè ognuna di esse riesca a fornire casi che dimostrano la sua esattezza. Per quanto riguarda gli altri casi che non quadrano: ebbene, ogni regola ha pure le sue eccezioni. Con questa consapevolezza, si presentò anche la necessità di superare il contrasto e di creare una teoria che fosse adeguata non solo all'uno o all'altro, ma ad entrambi in egual misura. A questo scopo non si può tralasciare una critica delle due teorie che abbiamo presentato. Certamente il lettore, anche se È un profano in materia, avrà notato che le due teorie, a dispetto della loro correttezza, hanno in realtà un carattere assai sgradevole, che non È detto debba comunque legarsi alla scienza. La teoria sessuale È antiestetica ed intellettualmente poco soddisfacente, la teoria della potenza È decisamente velenosa. Entrambe le teorie riescono a ricondurre, nel modo più doloroso, ad una banale realtà concreta un alto ideale, un atteggiamento eroico, un pathos o una convinzione profonda, se cioè le si applica a cose del genere. Ma a dire il vero non si dovrebbero applicare a questo tipo di cose, poichè queste due teorie sono in realtà strumenti terapeutici e fanno parte dei ferri del mestiere del medico, che con bisturi affilato ed impietoso recide gli elementi morbosi e dannosi, come anche Nietzsche voleva fare con la sua critica distruttiva degli ideali, che egli considerava proliferazioni patologiche nell'anima dell'umanità (e talvolta lo sono anche). Nelle mani di un buon medico, di un vero conoscitore dell'anima umana, il quale, per dirla con Nietzsche, abbia dita per le "nuances", e applicate alla parte realmente malata di una psiche, entrambe le teorie hanno un salutare effetto cauterizzante, che È di giovamento se dosato in rapporto al singolo caso; mentre sono
nocive e pericolose nelle mani di chi non sappia misurare e soppesare. Sono metodi critici che hanno in comune con tutte le forme di critica il fatto che, laddove si possa e si debba distruggere, sciogliere o ridurre qualcosa, realizzano il bene, ma ovunque si debba edificare, fanno solo danno. Perciò si potrebbe anche fare a meno di occuparsi di queste teorie, se esse, come veleni di uso medico, rimanessero affidate alla mano sicura del medico. Ma destino vuole che non restino nelle mani del medico competente. In una prima fase, fu il pubblico dei medici a conoscerle, e poichè ogni medico generico riscontra tra la sua clientela una percentuale più o meno alta di casi di nevrosi ed È quindi più o meno costretto a mettersi alla ricerca di un metodo di cura adeguato, arriva ad usare anche il difficile metodo psicoanalitico, inizialmente senza competenza. Da dove, infatti, avrebbe dovuto apprendere i segreti della psiche umana? Certo non dai suoi studi accademici, perchè quel poco di psichiatria che impara per l'esame basta giusto a fargli riconoscere i sintomi dei più frequenti disturbi psichici, ma non riesce neanche minimamente ad aprirgli una visione della psiche umana. Perciò il medico generico È praticamente del tutto impreparato ad applicare un tale metodo. Occorre infatti una conoscenza non comune della psiche per potersi servire con qualche utilità di questi mezzi cauterizzanti. Bisogna essere in grado di distinguere ciò che È malato e inutile da ciò che ha valore e va conservato. Questa capacità di distinguere È senza dubbio fra le cose più difficili. Chi volesse farsi un'idea esatta di come un medico con velleità di psicologo, sulla base di un meschino pregiudizio pseudoscientifico, possa sbagliarsi irresponsabilmente, prenda in mano lo scritto di Moebius su Nietzsche o meglio, ancora, i diversi scritti psichiatrici sul caso Cristo: non esiterà a compiangere quel paziente disgraziato a cui tocchi una comprensione del genere. Poi la conoscenza della psicoanalisi È passata nelle mani dei pedagoghi, con grande dispiacere dei medici (che però non se ne erano curati). E a ragione: poichè in effetti essa, se utilizzata e intesa
correttamente, È una scienza umana e un metodo educativo. A dire il vero, non mi sognerei mai di consigliare il solo impiego dell'analisi sessuale di Freud, in quanto tale, come metodo educativo. Potrebbe provocare grandi danni, a causa della sua unilateralità. Per rendere adatta a scopi educativi la psicoanalisi originaria, occorrono tutte le trasformazioni prodotte dal lavoro degli ultimi anni, cioè l'allargamento del metodo a concezione psicologica generale. Le due teorie di cui ho parlato in precedenza non sono però teorie generali, ma, per così dire, strumenti cauterizzanti da usarsi localmente, in quanto distruttivi e riduttivi. Di ogni cosa essi dicono: Non sei nient'altro che... . Spiegano al malato che i suoi sintomi hanno questa o quell'altra provenienza e non sarebbero altro che questo o quest'altro. Sarebbe decisamente ingiusto voler affermare che questa riduzione non possa talvolta cogliere nel segno, ma, eretta a concezione generale dell'essenza di una psiche malata, così come di una sana, "una teoria riduttiva da sola È insostenibile". Infatti, la psiche umana, sia essa, nella fattispecie, sana o malata, non può essere spiegata "solo" riduttivamente. Senza dubbio la sessualità È presente sempre e ovunque, senza dubbio l'istinto di potenza penetra in tutto quanto vi È di più alto e profondo nella psiche, ma la psiche non È semplicemente l'una o l'altra cosa, né, a mio parere, entrambe le cose insieme, ma È anche ciò che ha fatto e farà a partire da esse. Un essere umano viene compreso solo a metà, quando si sa da dove ha avuto origine tutto ciò che È in lui. Se il punto fosse quello, sarebbe lo stesso anche se egli fosse già morto da gran tempo. Ma come essere vivente non viene compreso, poichè la vita non ha soltanto lo ieri, e ridurre l'oggi allo ieri non basta a spiegarla. La vita ha anche un domani, e l'oggi si può dire compreso solo quando alla nostra conoscenza di ciò che era ieri possiamo aggiungere anche i primi tratti del domani. Questo vale per tutte le manifestazioni psicologiche della vita, anche per gli stessi sintomi di malattia. I sintomi nevrotici non sono, infatti, solo conseguenze di
cause che furono un tempo - si tratti poi di sessualità infantile o di istinto infantile di potenza - ma sono anche esperimenti di vista di una nuova sintesi della vita. Esperimenti falliti va subito aggiunto, che nondimeno sono appunto esperimenti, con un loro nucleo di valore e di senso. Sono germi che si sono sviluppati male, perchè le circostanze di natura interna ed esterna erano sfavorevoli. II lettore si porrà a questo punto la domanda: quale potrà mai essere il valore e il senso di una nevrosi, di questa croce dell'umanità, priva di qualsiasi utilità ed assolutamente fastidiosa? Essere nervosi: a che mai gioverà? Sicuramente, in qualche modo, per lo stesso motivo per cui il buon Dio ha creato le mosche e altri insetti molesti: perchè l'uomo si eserciti nell'utile virtù della pazienza. Tanto sciocco questo pensiero È dal punto di vista della scienza naturale, tanto saggio può essere dal punto di vista della psicologia, se noi cioè sostituiamo, in questo caso, insetti molesti con sintomi nervosi. Lo stesso Nietzsche, che come nessun altro rifuggiva da pensieri stupidi e banali, più di una volta ha riconosciuto quanto dovesse alla sua malattia. Ho visto già diverse persone che dovevano tutta l'utilità e la giustificazione della propria esistenza ad una nevrosi, che aveva impedito tutte le sciocchezze che altrimenti avrebbero determinato la loro vita e le aveva costrette ad un'esistenza che sviluppava le loro più preziose potenzialità, che sarebbero state tutte soffocate se la nevrosi, con pugno di ferro, non avesse portato la persona al posto che le era proprio. Ci sono appunto degli uomini che hanno il senso della propria vita, il suo autentico significato nell'inconscio e nella coscienza tutto ciò che È traviamento e deviazione. Con altri, invece, accade l'inverso. E anche la nevrosi avrà allora un altro significato. In tali casi È in gioco un'ampia riduzione, mentre negli altri non È affatto così. Il lettore sarà ora disposto ad ammettere, certo, la possibilità che in determinati casi la nevrosi abbia un significato del genere; tuttavia sarà pronto a negare una funzionalità così
ampia e significativa di questa malattia in tutti i banali casi quotidiani. Ad esempio, che valore avrà mai la nevrosi nel caso di asma e di stati ansiosi isterici, di cui si È detto prima? Ammetto che qui il valore non È così facile da cogliere, specie se si considera il caso dal punto di vista di una teoria riduttiva, ossia dal punto di vista della "chronique scandaleuse" di uno sviluppo psicologico individuale. Le due teorie trattate finora hanno in comune, a nostro modo di vedere, il fatto che portano implacabilmente alla luce tutto ciò che nell'uomo È privo di valore. Si tratta di teorie o, per meglio dire, di ipotesi, che ci spiegano in che cosa consista il momento patogeno. Quindi non si occupano dei "valori" di una persona, ma dei suoi nonvalori, che si fanno fastidiosamente notare. Sotto questo angolo visuale ci si può riconciliare con entrambe le posizioni. Un valore È una possibilità attraverso la quale l'energia può arrivare a dispiegarsi. Ma poichè un nonvalore È allo stesso modo una possibilità di dispiegamento per l'energia, cosa che ad esempio possiamo vedere nel modo più chiaro nelle vistose manifestazioni di energia della nevrosi, esso È in realtà anche un valore, tale però da generare manifestazioni di energia inutili e dannose. L'energia in sé, infatti, non È né buona né cattiva, né utile né dannosa, né valida né scadente, ma indifferente; poichè tutto dipende dalla "forma" in cui l'energia si incanala (31). E' la forma che dà all'energia la qualità. Ma, d'altra parte, la semplice forma senza energia È egualmente indifferente. Perchè si crei un vero valore È perciò necessaria, da un lato, l'energia, dall'altro una forma valida. Nella nevrosi, l'energia psichica si trova senza dubbio in una forma scadente e inservibile. Le due teorie in questione servono, dunque, a sciogliere questa forma scadente. Qui funzionano come uno strumento cauterizzante. In questo modo ci procuriamo energia libera, ma indifferente. Fino ad ora l'ipotesi prevalente era che questa energia riconquistata fosse a disposizione della coscienza del paziente, così che egli potesse farne l'uso che preferiva. Nella misura in cui pensava che
l'energia non fosse altro che la potenza della pulsione sessuale, si parlava di un suo uso sublimato, nella convinzione che il paziente potesse comunque trasferire l'energia, pensata come sessuale, in una sublimazione, ossia in un'applicazione di tipo non sessuale, ad esempio praticando un'arte o una qualche attività buona o utile. In base a questa concezione, il paziente aveva la possibilità di decidere arbitrariamente o per inclinazione, in che direzione la sua energia dovesse sublimarsi. Si può considerare legittima questa concezione, per quel tanto che l'uomo È, in generale, in grado di imporre alla propria vita una determinata linea di condotta. Ma sappiamo che non c'È previdenza o saggezza umana che possa metterci in condizione di dare alla nostra vita un indirizzo prescritto, tranne che per brevi tratti. Il destino sta davanti a noi, confuso e traboccante di possibilità, eppure solo una di queste molteplici possibilità È la nostra propria e giusta strada. Chi avrà la presunzione di poter determinare in anticipo quella sola possibilità, sia pur in base alla conoscenza del proprio carattere umanamente possibile? Certo, con la volontà si può ottenere molto. Ma È radicalmente sbagliato, guardando al destino di alcune personalità dalla volontà particolarmente forte, pretendere di sottomettere a tutti i costi anche il proprio destino alla propria volontà. La nostra volontà È una funzione che si regola sulla nostra "riflessione"; dunque dipende dalla qualità della nostra riflessione. La nostra riflessione, se essa È in generale una riflessione, dev'essere "razionale", ossia basata sulla ragione. Ma quando mai È stato provato, o quando mai potrà esserlo, che vita e destino concordino con la nostra umana ragione, ossia che siano a loro volta razionali? Al contrario, abbiamo il fondato sospetto che essi siano irrazionali. In altre parole, abbiamo il sospetto che, in ultima analisi, anch'essi abbiano il loro fondamento al di là della ratio umana. L'irrazionalità del grande processo si mostra nella cosiddetta "casualità", che noi ovviamente dobbiamo negare, perchè già a priori non possiamo assolutamente concepire sviluppo alcuno che non sia determinato casualmente e
necessariamente; di conseguenza non può nemmeno essere casuale. Ma, in pratica, la casualità È presente ovunque, anzi, lo È in modo così invadente che la nostra filosofia causale potremmo anche metterla in un cassetto. La vita nella sua pienezza È conforme e non conforme a leggi, razionale e irrazionale. Perciò la "ratio" e la volontà fondata su di essa valgono solo per un tratto limitato. Quanto più estendiamo questa direzione scelta razionalmente, tanto più possiamo esser sicuri di escludere così la possibilità di vita irrazionale, che, però, ha egualmente ben diritto di esser vissuta. Anzi, riducendo con un orientamento troppo rigido la ricchezza delle possibilità casuali, danneggiamo addirittura noi stessi. Per l'uomo È stato indubbiamente di grande utilità riuscire a indirizzare la propria vita. Che la conquista della razionalità sia la più grande conquista dell'umanità, può essere sostenuto a buon diritto. Ma non È detto che in tutti i casi le cose debbano proseguire, o proseguiranno, così. L'attuale, spaventosa catastrofe della guerra mondiale ha decisamente sconvolto i piani anche del più ottimista fra i razionalisti. Nel 1913, Ostwald scriveva queste parole: "Il mondo intero concorda sul fatto che l'attuale stato di pace armata È una situazione insostenibile e sempre più assurda. Da parte delle singole nazioni esige sacrifici immani, che superano nettamente gli investimenti per scopi di civiltà, senza che ciò serva all'acquisizione di un qualsiasi valore positivo. Se dunque l'umanità trovasse i mezzi e le strade per riuscire ad eliminare questi armamenti per guerre 'che non scoppiano mal', questa destinazione di una componente rilevante della nazione, nell'età di maggiore forza ed efficienza, all'addestramento a scopi militari, e tutti gli altri innumerevoli danni che l'attuale situazione comporta, si otterrebbe un risparmio di energia talmente enorme che, da quel momento in poi, ci si dovrebbe attendere una fioritura della civiltà di proporzioni imprevedibili. La guerra infatti, proprio come la lotta personale, È certo il più
antico di tutti i possibili mezzi per risolvere i conflitti di volontà, ma, appunto per questo, È anche il più inadeguato allo scopo, quello che reca con sé il più grave spreco di energie. La totale eliminazione della guerra, sia essa potenziale o in atto, È perciò assolutamente coerente con l'imperativo energetico ed È uno dei compiti più importanti di civiltà dei nostri giorni" (32). Ma l'irrazionalità del destino non volle ciò che avrebbe voluto la razionalità dei pensatori ben intenzionati. Anzi, non solo volle che si utilizzassero i soldati e le armi che si erano accumulate, no, volle molto di più: volle un'immane, folle devastazione, una carneficina senza confronti, da cui l'umanità potrà forse trarre la conclusione che l'intenzione razionale può in fondo padroneggiare solo una parte del destino. Ciò che va detto dell'umanità in generale, vale anche per ogni singolo, poichè l'intera umanità non È che un insieme di singoli. E quello che È la psicologia dell'umanità, È anche la psicologia del singolo. Nella guerra mondiale stiamo vivendo l'esperienza di una terribile resa dei conti con l'intenzionalità razionale dell'organizzazione civile. Ciò che nel singolo si chiama volontà, nelle nazioni si chiama imperialismo, poichè la volontà È una dimostrazione di potenza sul destino, ossia un'esclusione della casualità. Organizzazione civile significa sublimazione razionale, perseguita volontariamente e intenzionalmente, sublimazione adeguata allo scopo di energie libere e indifferenti. Lo stesso vale per il singolo. E come l'idea di un'organizzazione civile generale e internazionale ha sperimentato una correzione atroce ad opera di questa guerra, così anche il singolo deve spesso sperimentare nel corso della sua vita che le cosiddette energie disponibili non lasciano che si disponga di loro. Una volta, in America mi consultò un uomo d'affari di circa quarantacinque anni, il cui caso illustra bene ciò che si È appena detto. Si trattava di un tipico "selfmade man" americano, che si era affermato a fatica partendo dal nulla. Aveva avuto molto successo ed aveva fondato un'attività commerciale di dimensioni
poderose. Gli era anche riuscito di organizzare progressivamente la propria attività in modo tale da potersi un giorno ritirare dalla sua conduzione. In effetti, due anni prima che lo vedessi, aveva preso congedo dagli affari. Fino ad allora era vissuto unicamente per la propria attività commerciale, concentrando in essa tutte le sue energie, con quella incredibile intensità e unilateralità, che caratterizzano l'uomo d'affari americano di successo. Si era comprato una magnifica residenza di campagna, dove pensava di andare a vivere, e vivere, nella sua immaginazione, significava cavalli, automobili, golf, tennis, feste eccetera. Ma aveva fatto i conti senza l'oste. L'energia che si era resa disponibile non confluì in tutte queste allettanti prospettive, ma si incapricciò di tutt'altro. Infatti, a poche settimane dall'inizio della tanto agognata vita felice, egli incominciò a rimuginare su sensazioni fisiche strane e indefinite, e bastò un altro paio di settimane per precipitarlo in una ipocondria mai vista. Ebbe un crollo nervoso totale. Lui, un uomo sano, di straordinaria forza fisica, estremamente energico, si trasformò in un bambino piagnucoloso. E così, finì tutta la sua sicurezza. Passava da un'angoscia all'altra e si tormentava quasi a morte con affanni ipocondriaci. Allora consultò un famoso specialista, il quale comprese subito esattamente che l'unica cosa che mancava al paziente era il lavoro. La cosa convinse subito anche il paziente, che riprese il suo posto di prima. Ma, con sua immensa delusione, non riusciva più a provare alcun interesse per la sua attività. Non servirono a nulla né la pazienza, né la determinazione. Con nessun mezzo si riuscì a incanalare di nuovo negli affari la sua energia. Allora il suo stato peggiorò ulteriormente. Tutto ciò che in precedenza era stato in lui energia vitalmente produttiva, ora gli si rivolgeva contro, con terribile violenza distruttiva. Il suo genio creativo si ribellava in certa misura contro di lui e così accadde che, come prima aveva creato grandi organizzazioni nel mondo, ora il suo demone creava sistemi altrettanto raffinati di insidie ipocondriache, che lo distruggevano del tutto. Quando lo vidi era già un relitto.
Comunque io cercai di fargli capire che questa gigantesca energia si poteva sì ritirare dagli affari, ma la questione era: verso dove. Persino i più bei cavalli, le automobili più veloci e le feste più divertenti non costituiscono, in certi casi, un allettamento per l'energia, per quanto sarebbe certo molto ragionevole pensare che un uomo che ha dedicato tutta la sua esistenza a lavorare seriamente, abbia quasi un naturale diritto a godersi la vita. Ebbene, se il destino si regolasse secondo una logica umana, le cose dovrebbero senza dubbio andare così: prima il lavoro, poi il meritato riposo. Ma invece regna l'irrazionale e l'energia esige, lo si voglia o no, un adeguato pendio, ossia un alveo in cui incanalarsi, altrimenti semplicemente ristagna e diviene distruttiva. Naturalmente i miei argomenti non trovarono alcun riscontro, come d'altronde c'era da aspettarsi. Un caso così avanzato si può solo seguire fino alla morte, ma non può più guarire. Questo caso indica chiaramente che non È in nostro potere trasferire a piacere un'energia disponibile su un oggetto scelto razionalmente. Esattamente lo stesso vale, in generale, per quelle energie apparentemente disponibili, conquistate grazie alla distruzione delle loro forme inservibili attraverso la cauterizzazione psicoanalitica. Come si È detto, queste energie possono, nel migliore dei casi, essere utilizzate come si vuole solo per breve tempo. Ma per lo più si rifiutano di accogliere a lungo le possibilità offerte dalla ragione. L'energia psichica ha molte pretese e vuole che si realizzino le condizioni che lei stessa impone. Si può avere a disposizione quanta energia si vuole, tuttavia non possiamo utilizzarla in alcun modo finchè non riusciamo a creare un alveo per incanalarla. Tutto il mio lavoro di ricerca degli ultimi anni si È concentrato su tale questione. La "prima tappa" di questo lavoro È stata l'individuazione dell'ambito di validità delle due teorie trattate prima. La "seconda tappa" È consistita nel riconoscere che queste due teorie corrispondono a due tipi psicologici contrapposti, che
io ho designato come tipo introverso e come tipo estroverso. Già a William James (33) È balzata agli occhi la presenza di entrambi questi tipi tra i pensatori. Egli li ha distinti in tender minded e tough minded. Allo stesso modo, Ostwald (34) ha riscontrato nei grandi uomini di cultura un'analoga differenza tra il tipo classico e il tipo romantico. Non sono dunque il solo a sostenere quest'idea dei tipi, tanto per citare solo questi due nomi noti. Ricerche storiche mi hanno mostrato che non poche delle grandi controversie della storia delle idee si basano sulla contrapposizione dei due tipi. Il caso più significativo È il contrasto tra nominalismo e realismo, che prese il via dal dissenso fra la scuola platonica e quella megarica e venne poi ereditata dalla filosofia scolastica nella quale Abelardo ebbe il grande merito di osare almeno il tentativo di conciliare, con il concettualismo, due posizioni contraddittorie. Questa disputa È proseguita sino ai nostri giorni, in cui si manifesta nel contrasto fra spiritualismo e materialismo. Così come continuamente succede per la storia universale delle idee anche ogni singolo partecipa a questo contrasto fra tipi. Da un'indagine più particolareggiata È risultato infatti che i due tipi hanno la tendenza a sposarsi con l'altro tipo e proprio, inconsciamente, per completarsi a vicenda. Ciascuno dei due tipi ha infatti "una" funzione particolarmente ben sviluppata. Il tipo introverso usa il pensiero come funzione di adattamento e pensa già in anticipo a come agirà; il tipo estroverso al contrario si immedesima, agendo, nell'oggetto. Agisce, per così dire, in anticipo. Quindi proprio attraverso l'applicazione quotidiana l'uno ha sviluppato il proprio pensiero, l'altro invece il proprio sentire. In casi estremi, l'uno si limita a pensare ed osservare, l'altro invece a sentire ed agire. Sente anche l'introverso, ed anzi molto profondamente, quasi troppo profondamente, per cui un ricercatore inglese (35) l'ha addirittura descritto come l'emotional type; qui però tutto È rivolto all'interiorità e più appassionatamente e profondamente sente, più diviene
silenzioso all'esterno. Come dice il proverbio: le acque calme tengono in profondo. Allo stesso modo, anche l'estroverso "pensa", tuttavia, anche in questo caso, in forma più interiorizzata, mentre i suoi sentimenti si riversano visibilmente all'esterno, per cui passa per sentimentale; invece, l'introverso viene considerato freddo e arido. Poichè la sensibilità del tipo pensante si riversa nell'interiorità, essa non viene sviluppata come una funzione di adattamento all'esterno, ma rimane in uno stato relativamente poco sviluppato. Allo stesso modo, anche il pensiero del tipo emotivo rimane in uno stato relativamente poco sviluppato. Ma quando si tratta di individui relativamente adattati, nell'introverso troviamo, di solito, un sentire rivolto all'esterno che può essere straordinariamente ingannevole. Egli mostra sentimenti, È amabile, partecipe, manifesta anche emozioni. Ma ad un esame critico del modo in cui manifesta i suoi sentimenti, essi risultano notevolmente convenzionali. Non sono individualizzati. L'introverso mostra nei confronti di ognuno, senza sostanziali differenze, ad esempio, la stessa cordialità, la stessa partecipazione eccetera; mentre l'estroverso esprime i propri sentimenti in forma estremamente individualizzata e finemente sfumata. Nell'introverso si tratta in realtà di gesti convenzionali, assunti artificialmente, benchè i sentimenti in sé siano reali. Allo stesso modo, l'estroverso può, in apparenza, pensare spesso anche in modo molto chiaro e scientifico. Ma se lo si osserva più da vicino, si scopre che i suoi pensieri non sono in realtà farina del suo sacco, ma, anche in questo caso, forme convenzionali, apprese artificialmente. A questi pensieri manca l'individualità e l'originalità e sono deboli e incolori quanto i sentimenti convenzionali dell'introverso. Ma sotto questa coltre convenzionale, in entrambi sonnecchiano cose tutte diverse, che occasionalmente, di tanto in tanto, magari sotto la spinta di una passione travolgente, prorompono del tutto inaspettatamente provocando stupore e spavento in chi È vicino. La maggior parte degli uomini civili sta un po' più da una
parte o dall'altra. Presi insieme, si completerebbero perfettamente. E' per questo che si sposano così volentieri l'uno con l'altro e, finchè sono del tutto occupati ad adattarsi alle necessità della vita, vanno magnificamente d'accordo. Ma se il marito ha guadagnato abbastanza denaro, oppure quando gli piove dal cielo una grossa eredità, venendo così a mancare l'assillo delle necessità esterne, si ritrovano ad aver tempo per occuparsi l'uno dell'altro. Prima stavano schiena a schiena e lottavano contro le necessità. Ma ora si dedicano l'uno all'altro e vogliono intendersi, scoprendo di non essersi mai capiti. Ciascuno parla un'altra lingua. Così comincia il confronto dei due tipi. E' un contrasto velenoso, violento e pieno di svalutazione reciproca, anche quando si svolge a bassa voce nell'intimità più profonda. Infatti, "il valore dell'uno È il nonvalore dell'altro". L'uno prende le mosse dal proprio pensiero pieno di valore e presume che i sentimenti dell'altro corrispondano ai propri sentimenti, inferiori, poichè non può che ignorare del tutto l'esistenza di altri sentimenti. L'altro invece prende le mosse dal proprio sentire pieno di valore e presume che il suo partner possegga lo stesso pensiero, inferiore, che lui stesso possiede. Qui c'È certo molto lavoro per l'"homunculus" del Wagner faustiano, che doveva appunto indagare sul perchè uomo e donna vanno così poco d'accordo. Ora, poichè la stragrande maggioranza delle nevrosi È connessa a differenze di questo tipo, mi vidi costretto, in quanto medico di questo tipo di malattia, ad assumermi parte dell'ingrato lavoro dell'"homunculus". Sono lieto di poter affermare che i miei chiarimenti sono stati già d'aiuto a più di una persona che si trovava in serie difficoltà. La "terza tappa" su questa strada di progressiva conoscenza È consistita nell'utilizzare ai fini dell'ulteriore sviluppo della persona il dato di fatto della psicologia dei tipi. Da questo punto di vista di recente acquisizione, È nata anzitutto una "teoria dei disturbi psicogeni completamente nuova". Il dato di fatto fondamentale resta lo stesso: primo
presupposto di ogni nevrosi È l'esistenza di un conflitto inconscio. Secondo la teoria freudiana, si tratta di un conflitto erotico, più precisamente, di una lotta della coscienza morale contro il mondo inconscio delle fantasie sessuali infantili e la sua trasposizione sugli oggetti esterni. Secondo la teoria di Adler, si tratta della lotta per la supremazia dell'Io contro tutte le influenze oppressive, interne o esterne. Al contrario, la nuova concezione afferma che "il conflitto nevrotico si verifica sempre fra la funzione adattata e la funzione secondaria non differenziata che si trova in gran parte nell'inconscio"; dunque, nell'introverso, tra pensiero e sentire inconscio, nell'estroverso, invece, tra sentire e pensiero inconscio (36). Veniva fuori, così, anche un'altra teoria etiologica. Infatti, quando la persona pensante deve far fronte ad un'esigenza che non si può più soddisfare con il solo pensiero, ma solo con un sentire differenziato, allora esplode il conflitto traumatico o patogeno; viceversa, quando colui che sente si trova di fronte ad un problema che richiede un pensiero differenziato, ecco che subentra il momento critico. Il caso precedente dell'uomo d'affari, ne È un chiaro esempio: si trattava di un introverso che per tutta la vita aveva relegato sullo sfondo, ossia nell'inconscio tutte le considerazioni di ordine sentimentale. Quando poi, per la prima volta in vita sua, si trovò in quella situazione in cui avrebbe potuto combinare qualcosa solo attraverso un sentire differenziato fallì completamente. Si verificò nello stesso tempo un fenomeno molto istruttivo: infatti, i suoi sentimenti inconsci si manifestarono sotto forma di "sensazioni fisiche" di natura vaga. Questo si accorda con un'esperienza generalmente confermata nella nostra psicologia, e cioè che sentimenti poco sviluppati hanno il carattere di vaghe sensazioni fisiche: ciò dipende dal fatto che i sentimenti indifferenziati coincidono ancora con sensazioni fisiche soggettive. I sentimenti differenziati hanno una natura più astratta ed obiettiva. Questo fenomeno potrebbe essere il fondamento inconscio della più antica classificazione di tipi a
me nota, ossia dei tre tipi della scuola valentiniana. In tale classificazione, il tipo indifferenziato equivaleva al cosiddetto uomo ilico (materiale). In una posizione superiore venivano posti i tipi differenziati, ossia l'uomo "psychikos" (psichico, che corrisponde al tipo estroverso) e l'uomo pneumatico (spirituale, che corrisponde al tipo introverso). Naturalmente per questi gnostici lo pneumatico era il tipo più elevato. Il cristianesimo, invece, col suo carattere psichico (principio dell'amore) ha contestato questa priorità accordata dalla gnosi. Eppure anche questo può ancora mutare nel corso della storia. Non siamo forse, se non ci ingannano tutti gli indizi, nel bel mezzo della grande resa dei conti finale dell'epoca cristiana? E sappiamo anche che lo sviluppo non È continuo, ma che, se una creazione ha fatto il suo tempo, esso recupera i frammenti di altre creazioni iniziate un tempo e poi lasciate incompiute. Ma, dopo questa breve digressione di carattere generale, torniamo al nostro caso. Se un analogo disturbo colpisse un estroverso, egli presenterebbe sintomi cosiddetti isterici, quindi, di nuovo, sintomi di natura apparentemente fisica che stavolta, secondo la nostra teoria, dovrebbero rappresentare il pensiero inconscio, indifferenziato del paziente. In effetti, alla base dei sintomi isterici, troviamo anche formazioni fantastiche molto ramificate, su cui c'È molta e accurata letteratura. Si tratta di fantasie che hanno una coloritura sessuale, ossia appunto fisica. Ma in realtà sono pensieri indifferenziati che, come i sentimenti indifferenziati, sono in un certo senso fisici ed È per questo che si presentano come sintomi, per così dire, fisici. Riprendendo a questo punto il filo del discorso, che prima avevamo lasciato cadere, possiamo dire che si È ormai chiarito perchè proprio nella nevrosi si trovino quei valori di cui l'individuo manca. Ora possiamo anche ritornare al caso di quella giovane donna ed applicare ad esso questa nuova consapevolezza: È un'estroversa con una nevrosi isterica. Cerchiamo ora di immaginarci che questa malata sia stata analizzata, ossia che, attraverso il trattamento, le siano apparsi
chiari i pensieri inconsci che si celavano dietro i suoi sintomi e che, in questo modo, sia anche tornata in possesso di quell'energia psichica, divenuta inconscia, che aveva rappresentato la forza dei sintomi. A questo punto sorge la domanda di carattere pratico: che ne sarà della cosiddetta energia disponibile? In base al tipo psicologico della malata, la soluzione razionale sarebbe di riversare di nuovo all'esterno quest'energia, trasferirla insomma su un oggetto, ad esempio un'attività filantropica o qualcos'altro di utile. Eccezionalmente nel caso di nature particolarmente energiche, che non hanno timore, all'occasione, di sottoporsi alle pene peggiori, o nel caso di persone disposte ad affrontare tutte le conseguenze di queste attività questa via È percorribile, ma di solito così non È. Infatti, non va dimenticato che la libido (ossia l'energia psichica definita in termini tecnici) ha già inconsciamente il suo oggetto, si tratti del giovane italiano o di un sostituto in carne ed ossa che gli corrisponda. Stando così le cose, una sublimazione così bella È, naturalmente, tanto auspicabile quanto impossibile. Infatti, nella maggior parte dei casi, l'oggetto reale offre all'energia un pendio migliore di una sia pur tanto nobile attività etica. Purtroppo ci sono già tantissime persone che parlano sempre solo dell'uomo così come sarebbe auspicabile che fosse, ma mai dell'uomo com'È realmente. Ma il medico ha sempre a che fare con l'uomo reale, che rimane ostinatamente così finchè la sua realtà non viene riconosciuta da tutti. Un processo educativo può procedere solo dalla nuda realtà, non da un'ingannevole immagine ideale dell'uomo quale lo si desidererebbe. Purtroppo si dà il caso che alla cosiddetta energia disponibile non si possa indicare arbitrariamente una direzione. Essa segue il suo pendio. Sì, l'ha già trovato, ancor prima che noi l'abbiamo definitivamente sciolta dal suo legame con la forma inadatta. Scopriamo ad esempio che le fantasie della paziente, che prima riguardavano il giovane italiano, si sono già trasferite sullo stesso medico. Perciò l'oggetto della libido inconscia È divenuto
il medico. Se questo non si verifica, o se la malata non vuole a nessun costo riconoscere il dato di fatto del transfert, o il medico non comprende il fenomeno o lo comprende in modo sbagliato, insorgono forti resistenze, tese a troncare sotto ogni aspetto la relazione col medico. Allora i malati se ne vanno e cercano un altro medico o un'altra persona che li comprenda o, se rinunziano anche a questa ricerca, degenerano. Ma se subentra il transfert sul medico, e viene accettato, si È anche trovata una forma naturale, che sostituisce la forma precedente e consente insieme un deflusso relativamente privo di conflitti del processo energetico. Se dunque si lascia che la libido segua il suo corso naturale, essa trova da sé la strada del transfert. Se ciò non accade, allora si tratta sempre di arbitrarie ribellioni contro le leggi della natura o di una prestazione scadente del medico. Nel transfert si proiettano, anzitutto, tutte le possibili fantasie infantili, che devono essere cauterizzate, ossia sciolte in maniera riduttiva. Questo processo lo si È già chiamato "risoluzione del transfert". L'energia viene così liberata anche da questa forma inadatta, e ci troviamo di nuovo di fronte al problema dell'energia disponibile. Anche questa volta confideremo nella natura perchè sia scelto, ancor prima che noi lo si cerchi, un oggetto che offra il pendio più favorevole.
5. L'INCONSCIO PERSONALE E L'INCONSCIO SOVRAPERSONALE.
A questo punto inizio la "quarta tappa" del nostro processo conoscitivo. Abbiamo proseguito la risoluzione analitica delle fantasie di transfert infantili, fino a quando non diviene abbastanza chiaro anche al paziente che egli aveva trasformato il suo medico in padre e madre, zio, tutore e maestro, o comunque si chiamino le autorità con funzione parentale. Ma, come dimostra sempre l'esperienza, emergono nuove fantasie che rappresentano il medico persino come il salvatore o come un essere simile alla divinità. Naturalmente in piena contraddizione con la sana ragione cosciente. Inoltre si verifica che questi attributi divini travalichino sensibilmente l'ambito della concezione cristiana in cui noi tutti siamo cresciuti ed assumano caratteri pagani come, ad esempio, molto spesso forme animali. In sé il transfert non È nient'altro che una proiezione di contenuti inconsci. Dapprima vengono proiettati i cosiddetti contenuti superficiali dell'inconscio. In questa situazione, il medico guadagna di interesse quale possibile amante (qualcosa di simile al giovane italiano del nostro caso). Dopo, egli appare piuttosto come un papà, come il papà bonario o come quello infuriato, a seconda degli atteggiamenti che il vero padre del paziente aveva nei suoi confronti. Talvolta il medico appare al paziente anche come una figura materna, il che indica già qualcosa di strano, ma rientra tuttavia, pur sempre, nell'ambito del possibile. Tutte queste proiezioni della fantasia sono intessute di reminiscenze personali.
Poi, però, compaiono forme di fantasie che hanno un carattere esaltato e inverosimile. Allora il medico appare, improvvisamente, come dotato di qualità inquietanti, qualcosa di simile ad un mago o ad un delinquente demoniaco o, viceversa, come il bene, come un salvatore. Successivamente egli appare come un incomprensibile miscuglio di tutti e due gli aspetti. Sia ben chiaro che il medico non appare così alla coscienza del paziente, ma vengono alla superficie delle fantasie che lo presentano così. Se, come avviene non di rado, il paziente non riesce agevolmente a rendersi conto che la forma in cui gli appare il medico È una proiezione del proprio inconscio, allora assume atteggiamenti un po' insensati. In questo stadio si presentano spesso difficoltà notevoli, che richiedono molta buona volontà e una grande pazienza da tutte e due le parti. Anzi, ci sono addirittura casi eccezionali di pazienti che non possono frenarsi e cominciano a diffondere le più sciocche favole sul conto del proprio medico. A questi pazienti non vuole entrare in testa che, in realtà, queste fantasie hanno origine in loro stessi ed "effettivamente" esse non hanno nulla, o molto poco, a che vedere con il carattere del medico. Questo ostinato errore si basa sul fatto che, per quest'altro genere di proiezioni, non sono presenti elementi di reminiscenza personali. In qualche occasione si può dimostrare che simili fantasie si esercitavano già sul padre o sulla madre in una certa fase dell'infanzia, benchè né il padre, né la madre fornissero un pretesto reale. In un breve scritto (37), Freud ha mostrato che in tarda età Leonardo da Vinci fu influenzato dalla circostanza di avere avuto due madri. L'esistenza delle due madri o della doppia discendenza, nel caso di Leonardo, era reale, ma svolge un ruolo anche in altri artisti. Così anche Benvenuto Cellini aveva la fantasia della doppia origine. In generale, si tratta di un motivo mitologico. Molti eroi, nelle leggende, hanno due madri. La fantasia non proviene cioè dal fatto reale che gli eroi abbiano due madri, ma È un'immagine originaria, diffusa ovunque, che
appartiene ai misteri della storia universale dello spirito umano e non al campo della reminiscenza personale. Oltre alle reminiscenze personali, in ogni individuo ci sono le grandi immagini originarie - come una volta le definì, appropriatamente, Jacob Burckhardt - ossia le possibilità dell'immaginazione umana, quali esse da tempo immemorabile sono state ereditariamente trasmesse, allo stato potenziale, nella struttura cerebrale. L'esistenza di tale eredità spiega anche il fenomeno davvero incredibile, per cui certi materiali e motivi leggendari si presentano nella stessa forma su tutta la terra. Questo spiega, inoltre, come i nostri malati di mente, per esempio, possano riprodurre esattamente le stesse immagini e le stesse connessioni, così come noi le conosciamo dai testi antichi. Ho riportato alcuni esempi di questo tipo nel mio libro "Trasformazioni e simboli della libido" (38). Con questo non affermo in alcun modo l'"ereditarietà delle rappresentazioni", ma soltanto l'ereditarietà della "possibilità di rappresentazione", cosa notevolmente diversa. In questo ulteriore stadio del transfert, dunque, in cui vengono riprodotte queste fantasie che non si fondano più su reminiscenze personali, si tratta della manifestazione degli strati più profondi dell'inconscio, dove sonnecchiano le immagini originarie comuni a tutti gli uomini. Questa scoperta conduce alla quarta tappa della nuova concezione, che consiste nel riconoscere una "distinzione nell'inconscio". Dobbiamo cioè distinguere fra un inconscio personale e un inconscio impersonale o sovrapersonale (39). Definiamo quest'ultimo anche come l'inconscio "assoluto" o "collettivo", appunto perchè esso È separato da quello personale ed È assolutamente generale, in quanto i suoi contenuti si possono ritrovare in ciascuno di noi, il che non avviene, naturalmente, nel caso dei contenuti personali. Le immagini originarie sono i pensieri più antichi, universali e profondi dell'umanità in generale. Essi sono sia sentimento che pensiero e, pertanto, li si potrebbe chiamare
anche "pensiero sentimentale originario". Così, adesso abbiamo trovato anche l'oggetto che la libido ha scelto dopo essersi liberata dalla forma personale-infantile di transfert. Essa affonda infatti nelle profondità dell'inconscio, dove risveglia ciò che sonnecchiava da tempi remotissimi. Essa ha scoperto il tesoro sepolto dal quale l'umanità ha da sempre attinto le sue creazioni, da cui ha tratto le proprie divinità e i propri demoni e tutti quei più forti e più potenti pensieri, senza i quali l'uomo cessa di essere uomo. Prendiamo, ad esempio, una delle idee più grandi concepite nel diciannovesimo secolo, l'idea della "conservazione dell'energia". Robert Mayer È il vero creatore di quest'idea. Egli era un medico, non un fisico o un filosofo della natura, figure alle quali sarebbe stato più congeniale creare una concezione del genere. Ma È, comunque, di grande importanza sapere che l'idea di Robert Mayer non È stata creata, nel vero senso della parola. né si È arrivati ad essa attraverso il confluire di rappresentazioni o ipotesi scientifiche allora esistenti, ma È nata nel creatore e lo ha condizionato. Robert Mayer scrisse in proposito a Griesinger (1944): La teoria non l'ho affatto covata a tavolino (40). Successivamente, egli riferisce di certe osservazioni fisiologiche, raccolte nel 184041 quale medico di bordo: Ora, se si vuole far chiarezza così prosegue nella sua lettera sugli aspetti fisiologici, È indispensabile la conoscenza dei processi fisici, a meno che non si preferisca affrontare la questione sul piano metafisico, cosa che mi ripugna infinitamente. Mi sono, pertanto, attenuto alla fisica, e tanta era la passione con la quale mi dedicai all'oggetto della mia ricerca che, si rida pure di me, mi interessai poco della parte lontana del mondo in cui mi trovavo e ho, invece, scelto di trattenermi a bordo, dove potevo lavorare ininterrottamente e dove talora mi sentivo, per così dire, "ispirato", come non ricordo di esserlo mai stato, né prima, né dopo. Alcuni lampi di pensiero che mi attraversavano la mente - eravamo nella rada di Surabaja - li ho subito seguiti con costanza e mi hanno portato a
sempre nuove riflessioni. Quei tempi sono ormai passati, ma il pacato esame di "ciò che allora mi affiorava alla mente", mi ha insegnato che È vero ciò "che non È solo sentito soggettivamente", ma può essere anche dimostrato oggettivamente. Ma che questo possa accadere ad un "uomo così poco competente in fisica", È questione che devo, naturalmente, accantonare. Helm, nella sua "Energetica" (1898), esprime l'opinione che la nuova idea di Robert Mayer non È scaturita gradualmente dai tradizionali concetti sull'energia, attraverso una più approfondita riflessione su di essi, "ma rientra in quelle idee colte intuitivamente che, provenendo da altri campi dello spirito, colgono, per così dire, di sorpresa il pensiero e lo costringono a trasformare i concetti tradizionali adeguandoli a sé". La domanda, a questo punto, È: da dove proveniva la nuova idea, impostasi alla coscienza con tanta elementare potenza? E da dove traeva la forza che le consentì di catturare la coscienza in misura tale da riuscire a sottrarla interamente a tutte le svariate impressioni di un primo viaggio ai Tropici? Sono domande alle quali non È molto facile trovare risposta. Ma se applichiamo la nostra teoria a questo caso, la spiegazione dovrà essere la seguente: "l'idea dell'energia e della sua conservazione deve essere un'immagine originaria, che sonnecchiava nell'inconscio assoluto". Questa conclusione ci obbliga, naturalmente, a provare che un'immagine originaria di questo tipo esisteva anche, realmente, nella storia dello spirito e continuava ad agire attraverso i secoli. Questa prova si può effettivamente produrre senza particolari difficoltà: "le religioni più primitive nelle terre più diverse sono basate su questa immagine". Si tratta delle cosiddette "religioni dinamistiche", la cui idea unica e determinante È l'esistenza di una forza magica diffusa ovunque, attorno alla quale ruoterebbe tutto. Tylor, il noto ricercatore inglese, come pure Frazer, hanno frainteso questa idea caratterizzandola come animismo. In realtà
con il loro concetto di energia i primitivi non pensano affatto ad anime o spiriti, ma effettivamente a qualcosa che il ricercatore americano Lovejoy (41) definisce in modo appropriato come primitive energetics. Io, in una ricerca sull'argomento, ho mostrato che in questo concetto È racchiuso l'idea di anima, spirito, Dio, salute, forza fisica, fertilità, potere magico, influsso, potenza, rispetto, farmaco, così come determinati stati d'animo, caratterizzati dallo scatenamento degli affetti. Presso certe popolazioni della Polinesia, il mulungu (appunto questo concetto primitivo di energia) È spirito, anima, demonicità, potere magico, rispetto e, se capita qualcosa di prodigioso, la gente esclama mulungu. Questo concetto di energia È anche la prima concezione dell'idea di Dio presso i primitivi. Quest'immagine si È sviluppata, nel corso della storia, in forme sempre nuove. Nell'Antico Testamento, la forza magica riluce nel roveto ardente e nel volto di MosÈ, nei Vangeli si manifesta nella discesa dello Spirito Santo sotto forma di lingue di fuoco dal cielo. In Eraclito appare come energia cosmica, come fuoco eternamente vivo. Nel mondo persiano È lo splendore ligneo dell'"ha"ma", la "grazia divina". Presso gli stoici È l'"heimarmene", la forza del destino. Nelle leggende medievali appare come l'aura, l'aureola dei santi, e divampa come alta fiamma dal tetto della capanna in cui il santo giace in estasi. Nelle loro visioni, i santi vedono il sole di questa forza, la pienezza della luce. Secondo un'antica concezione, l'anima stessa È questa forza. Nell'idea della sua immortalità È contenuta quella della sua "conservazione" e, nella concezione buddista e primitiva della metempsicosi (trasmigrazione delle anime), È racchiusa la sua "illimitata capacità di trasformazione pur rimanendo costante". Questa idea È quindi impressa nel cervello umano da tempi immemorabili. Perciò È già presente nell'inconscio di ciascuno. Occorre solo che si verifichino determinate condizioni, perchè essa si ripresenti nuovamente. Queste condizioni si erano evidentemente realizzate nel caso di Robert Mayer.
I pensieri più grandi e migliori dell'umanità si formano sulla base di queste immagini originarie, che sono antico patrimonio comune. Dopo quest'esempio della nascita di nuove idee dal tesoro delle immagini originarie, riprendiamo l'ulteriore esposizione del processo di transfert. Abbiamo visto come la libido si sia procurata un nuovo oggetto proprio in quelle fantasie apparentemente assurde e bizzarre, ossia nei contenuti dell'inconscio assoluto. Come ho già detto, la proiezione non consapevole delle immagini originarie sul medico comporta un pericolo da non sottovalutare per la prosecuzione del trattamento. Le immagini non contengono, infatti, solo tutto quanto di più bello e di più grande abbia mai pensato e sentito l'umanità, ma anche le peggiori infamie e le azioni più diaboliche di cui gli uomini siano stati capaci. Se, dunque, il paziente non È in grado di distinguere la personalità del medico da queste proiezioni, si perde ogni possibilità di comprensione e il rapporto umano diviene impossibile. Ma se il paziente evita questa Cariddi, egli cade nella Scilla della "introiezione" di queste immagini, cioè attribuisce le loro qualità non al medico, ma a se stesso. Questo pericolo È ugualmente grave. Nel caso della proiezione, il paziente oscilla fra un'esaltazione eccessiva e morbosa del proprio medico e un disprezzo pieno di odio (42). Nel caso della introiezione, diventa vittima di una ridicola autodeificazione o di un'autodistruzione morale. L'errore che egli commette consiste, in ambedue i casi, nell'attribuire a sé i contenuti dell'inconscio assoluto. Così fa di sé un Dio o un diavolo. Qui sta la ragione psicologica del fatto che gli uomini hanno sempre avuto bisogno di demoni e non hanno mai potuto vivere senza divinità, eccezion fatta per alcuni esemplari particolarmente intelligenti dell'"homo occidentalis" di ieri e di avantieri, superuomini il cui Dio È morto, per cui loro stessi diventano dÈi e, più precisamente, dÈi razionalistici in miniatura, con crani spessi e cuori freddi. Infatti, il concetto di Dio È semplicemente una funzione psicologica necessaria, di
natura irrazionale, che non ha assolutamente nulla a che fare con la questione dell'esistenza di Dio. Infatti, questa È una delle questioni più sciocche che ci si possa porre. Si dovrebbe già sapere a sufficienza che un Dio non È neppure possibile pensarlo, figuriamoci poi immaginare che esista realmente, così come non si può pensare ad un evento che non sia determinato da una causalità necessaria. Teoricamente non esiste alcun caso, questo È chiaro una volta per tutte. Invece nella vita pratica ci si imbatte di continuo in eventi casuali. Lo stesso vale per l'esistenza di Dio: si tratta definitivamente di un problema assurdo. Ma il "consensus gentium" parla di dÈi da tempi immemorabili ed ancora ne parlerà, per tempi immemorabili. Per quanto l'uomo possa trovare la propria ragione bella e perfetta, È comunque certo che essa È pur sempre solo una delle possibili funzioni spirituali e coincide soltanto con una parte dei fenomeni del mondo ad essa corrispondenti. Ma da ogni parte la circonda l'irrazionale, ciò che non collima con la ragione. E questo irrazionale È in ugual modo una funzione psicologica, e precisamente l'inconscio assoluto; mentre la funzione della coscienza È essenzialmente razionale. La coscienza deve, appunto, avere "ratio", anzitutto per scoprire un ordine nel caos dei casi individuali del mondo intero, che ne sono privi, e poi anche per produrlo, almeno nell'ambito umano. La nostra lodevole ed utile aspirazione È quella di estirpare in noi e fuori di noi, per quanto possibile, il caos dell'irrazionale. In questo processo siamo andati, apparentemente, abbastanza avanti. Un malato di mente mi ha detto una volta: Dottore, stanotte ho disinfettato tutto il cielo con il sublimato e, nel farlo, non ho scoperto alcun Dio. Qualcosa di simile È capitato anche a noi. Il vecchio Eraclito, che era davvero un grande saggio, ha scoperto la più meravigliosa di tutte le leggi psicologiche, cioè la "funzione regolatrice dei contrari". Egli la chiamò "enantiodromia", l'andare in senso opposto: con ciò egli intendeva che tutto finiva con il cadere nel proprio contrario (ricordo qui il caso dell'uomo d'affari americano, che
splendidamente dimostra cosa sia l'"enantiodromia"). Così, l'atteggiamento razionale della civiltà cade necessariamente nel proprio opposto, ossia nella devastazione irrazionale della civiltà. Non ci si può, in effetti, identificare con la ragione stessa, poichè l'uomo non È semplicemente razionale, non può esserlo, né lo sarà mai. Questo devono metterselo bene in testa tutti quei maestri di scuola della civiltà. L'irrazionale non deve e non può essere estirpato. Gli dÈi non possono e non devono morire. Guai agli uomini che hanno disinfettato razionalmente il cielo: lo stesso Dio, infatti, È entrato in loro, perchè non hanno riconosciuto l'esistenza della sua funzione. Essi si sono identificati con il proprio inconscio e sono perciò i giullari del proprio inconscio (poichè dove Dio È più vicino, il pericolo È maggiore). Questa guerra (43) sarebbe solo una guerra di interessi economici? Questo È un modo di vedere neutraleamericano, "businesslike", che non considera il sangue, le lacrime, le infamie inaudite, le torture, e ignora del tutto che questa guerra È, in effetti, una "follia epidemica". Le parti in conflitto proiettano il proprio inconscio l'una sull'altra; da ciò deriva una pazzesca confusione di idee in tutte le teste. Questa È l'"enantiodromia", che compare nella vita dei singoli individui, così come in quella dei popoli. La leggenda sulla costruzione della torre di Babele si dimostra una verità valida. Alla crudele legge dell'"enantiodromia" sfugge soltanto colui che si sa astrarre dall'inconscio, non rimuovendolo, perchè, altrimenti, l'inconscio lo aggredirebbe semplicemente alle spalle, ma "ponendoselo visibilmente innanzi come qualcosa di diverso da sé". Così si risolve il problema di Scilla e Cariddi, che ho descritto sopra. Il paziente deve imparare a distinguere che cosa nei suoi pensieri È Io e cosa non-Io, cioè psiche collettiva o inconscio assoluto. Egli acquisisce così la materia prima con cui, da quel momento, dovrà entrare in conflitto per lungo tempo. In questo modo, la sua energia, che prima si estrinsecava in forme inadatte e patologiche, ha trovato il suo vero sbocco. Per arrivare
alla distinzione fra Io psicologico e non-Io psicologico, È necessario che l'uomo, nella sua funzione di Io, poggi "su solide fondamenta", e cioè "che egli assolva pienamente il suo dovere nei confronti della vita, così da essere sotto ogni punto di vista un membro vitale del consorzio umano". Tutto ciò che egli ha trascurato in tal senso, ricade nell'inconscio e lo rafforza; tanto che corre il pericolo di esserne fagocitato, se la funzione del suo Io non viene rafforzata. Per questo si deve pagare una grave pena. Come accenna il vecchio Sinesio (44), proprio l'anima spiritualizzata ("pneumatikè psychè") diviene Dio e demone e, in questo stato, subisce il castigo divino, cioè il dilaniamento di Zagreo, che anche Nietzsche sperimentò all'inizio della sua malattia mentale, quando con l'"ecce homo" fu aggredito alle spalle da quel Dio contro il quale si difendeva frontalmente in modo disperato. L'"enantiodromia" È l'essere dilaniato nelle coppie dei contrari, che appartengono solo a Dio e quindi anche all'uomo divinizzato, che deve la somiglianza a Dio al superamento dei propri dèi.
6. IL METODO SINTETICO O COSTRUTTIVO
A questo punto ha inizio la "quinta tappa" del nostra progresso conoscitivo. Il confronto con l'inconscio È un processo, una vera e propria tecnica e un lavoro, che ha ricevuto il nome di "funzione trascendente (45) poichè rappresenta una funzione che si basa su dati reali ed immaginari, razionali o irrazionali e con ciò getta un ponte sul solco che separa le funzioni razionali e irrazionali della psiche. La funzione trascendente ha la sua base metodologica in una nuova modalità di trattamento dei materiali psicologici" (dei sogni e delle fantasie). Le teorie discusse all'inizio si fondano su un procedimento esclusivamente causale riduttivo che risolve il sogno (o la fantasia) nelle reminiscenze che lo compongono e nei processi istintuali che ne sono alla base. Sopra ho chiaramente indicato la giustificazione e insieme il limite di questo procedimento. Questo procedimento termina nel momento in cui i simboli del sogno non si lasciano più ridurre a reminiscenze o ad aspirazioni personali, e cioè nel momento in cui cominciano ad essere riprodotte le immagini dell'inconscio assoluto. Sarebbe del tutto insensato voler ridurre queste idee collettive a dati di natura personale, e non solo insensato, ma decisamente dannoso, come ho imparato, a mie spese, dall'esperienza. Le immagini o simboli dell'inconscio assoluto rivelano il proprio valore se sono sottoposti ad un trattamento sintetico (non analitico). Come l'analisi (il procedimento causale-riduttivo) scompone il simbolo negli elementi che lo compongono, così il procedimento sintetico integra il simbolo in un'espressione generale e comprensibile. Il procedimento sintetico non È affatto semplice, quindi voglio servirmi di un
esempio per poter illustrare l'intero processo. Una paziente che si trovava proprio nel momento critico del passaggio dall'analisi dell'inconscio personale all'inizio della riproduzione dell'inconscio assoluto, fece il seguente sogno: "È in procinto di attraversare un ruscello largo e impetuoso. Non c'È alcun ponte. Trova però un punto dove poterlo attraversare. Quando È proprio in procinto di farlo, un grosso granchio, che era nascosto nell'acqua, l'afferra ad un piede e non la lascia più andare. Si sveglia in preda all'angoscia".
-
Associazioni.
1) "Ruscello": costituisce una barriera difficilmente superabile - io devo andare al di là di un ostacolo -; si riferisce di certo al fatto che vado avanti solo lentamente, eppure dovrei passare dall'altra parte. 2) "Guado": una possibilità per giungere sicuramente dall'altra parte - una via possibile -, altrimenti il ruscello sarebbe troppo largo. Nel trattamento analitico È presente la possibilità di superare l'ostacolo. 3) "Granchio": il granchio era completamente nascosto nell'acqua, prima non l'avevo visto - il cancro (46) È proprio una terribile malattia - inguaribile (ricordo della signora X, che era morta per un carcinoma) -; ho paura di questa malattia - il granchio È un animale che cammina all'indietro - e che evidentemente vuole tirarmi giù nel ruscello - mi attanagliava in una maniera inquietante e ho provato una terribile paura - ma cos'È che non mi lascia passare al di là? Ah! sì - ho avuto di nuovo una grossa scenata con la mia amica. Con quest'amica esiste effettivamente una relazione particolare. Si tratta di una appassionata e lunga amicizia ai limiti dell'omosessualità. L'amica È, per molti aspetti, simile alla paziente e soffre anche lei di nervi. Hanno in comune spiccati
interessi artistici. Ma, delle due, la paziente È quella che possiede la personalità più forte. Dato che il loro rapporto È troppo intimo e le porta così ad escludere le altre possibilità della vita sono entrambe nervose e, malgrado la loro amicizia ideale, si verificano fra di loro scenate clamorose provocate dalla reciproca irritabilità. L'inconscio, in tal modo, vuole frapporre una distanza fra di loro, ma esse non se ne vogliono accorgere. La scenata comincia di solito così: una ritiene che non ci si comprenda ancora abbastanza, che ci si dovrebbe parlare di più. A questo punto tutt'e due cercano con entusiasmo di scambiarsi le proprie idee. Ovviamente, alla prima occasione, nasce un malinteso che provoca una nuova scenata più grave di tutte le precedenti. "Faute-de-mieux" (47), la lite È stata a lungo per ambedue un surrogato di piacere del quale non volevano fare a meno. In particolare, la mia paziente non poteva rinunciare a lungo al dolce dolore di non essere compresa dalla sua migliore amica, benchè ogni scenata la sfinisse mortalmente e si fosse resa conto da molto tempo che quest'amicizia era ormai finita e solo per falso orgoglio credeva ancora di poterla considerare un ideale. Ma la paziente aveva già nei confronti di sua madre un rapporto eccessivo, basato su fantasie e, dopo la morte della madre, aveva trasferito i propri sentimenti sull'amica. L'esistenza di fantasie omosessuali È sufficientemente provata.
- Interpretazione analitica (causale-riduttiva) (48). Quest'interpretazione si può riassumere in una frase: riconosco che dovrei passare dall'altra parte del ruscello (cioè troncare il rapporto con l'amica) ma preferirei di gran lunga che la mia amica non mi lasciasse sfuggire alle sue tenaglie (abbraccio) e cioè - sotto forma di desiderio infantile - preferirei che mia madre mi attirasse ancora a sé nel solito modo, con un abbraccio entusiasta. L'elemento incompatibile di questo desiderio consiste nella forte vena sotterranea di omosessualità,
sufficientemente provata da evidenti dati di fatto. Il granchio l'afferra al piede perchè la paziente ha grossi piedi da uomo; È lei che svolge nei confronti dell'amica il ruolo maschile ed ha anche delle fantasie sessuali che corrispondono a tale ruolo. Il piede ha notoriamente un significato fallico (ne abbiamo un'estesa documentazione in Aigremont). L'interpretazione complessiva È la seguente: il motivo per cui non vuole separarsi dall'amica È semplicemente che la paziente ha dei desideri omosessuali inconsci nei suoi confronti. Poichè tali desideri, dal punto di vista sia morale sia estetico, sono incompatibili con la tendenza della personalità cosciente, essi sono rimossi e, quindi, inconsci L'angoscia non È altro che questo desiderio rimosso. Questa interpretazione È naturalmente la peggiore svalorizzazione possibile dell'altissima concezione ideale dell'amicizia che la paziente ha a livello cosciente. A dire il vero, a questo punto dell'analisi la paziente non se la sarebbe più presa a male con me per quest'interpretazione Alcuni fatti l'avevano persuasa a sufficienza, già molto tempo prima, che c'era in lei una tendenza omosessuale, tanto che riuscì ad ammettere spontaneamente quest'inclinazione, benchè per lei non fosse naturalmente piacevole. Dunque se a questo stadio del trattamento io le avessi comunicato quest'interpretazione, non avrei più trovato in lei alcuna resistenza. Aveva già superato il disagio per questa tendenza indesiderata nel momento in cui ne aveva riconosciuto l'esistenza Però mi avrebbe detto: ma perchè mai continuiamo ancora ad analizzare questo sogno, che continua a ripetere la stessa cosa che io so già da molto tempo?. Tutta questa interpretazione non dice assolutamente nulla di nuovo alla paziente ed È pertanto del tutto priva di interesse e di efficacia. Nel caso in esame, un'interpretazione di questo tipo, all'inizio del trattamento, sarebbe stata impossibile, e ciò semplicemente perchè la paziente, a causa della sua non comune "pruderie", non avrebbe in alcun modo ammesso una cosa di questo genere. Fu necessario somministrare il veleno della consapevolezza con estrema cautela e a piccole dosi, finchè
l'ammalata non divenne gradualmente più ragionevole. Se adesso l'interpretazione analitica o causale-riduttiva non apporta più nulla di nuovo, ma sempre e soltanto la stessa cosa in diverse varianti, allora È giunto il momento in cui viene indicato un altro metodo interpretativo. Il metodo causale-riduttivo ha infatti certi svantaggi: 1) innanzitutto non tiene in debito conto le associazioni del paziente. Ad esempio, nel presente caso, l'associazione della malattia cancro con il granchio; 2) il dato di fatto della scelta personale dei simboli resta nell'ombra. Ad esempio, perchè l'amica-madre deve apparire proprio come granchio? Eppure potrebbe, poniamo il caso, essere raffigurata in modo molto più piacevole e plastico come un'ondina (Un po' era lei ad attirarlo, un po' era lui a sprofondare eccetera). Un polipo o un drago, un serpente o un pesce avrebbero potuto svolgere lo stesso ruolo; 3) il metodo causaleriduttivo dimentica che il sogno È un fenomeno completamente soggettivo; perciò un'interpretazione esauriente non potrà mai collegare il granchio all'amica o alla madre, ma solo al soggetto, all'autrice stessa del sogno. La sognatrice È l'intero sogno, È lei il ruscello, il guado e il granchio, il che sta a significare che questi particolari esprimono le condizioni e le tendenze psicologiche presenti nell'inconscio del soggetto. Ho voluto quindi introdurre la terminologia seguente: chiamo ogni interpretazione in cui le espressioni oniriche vengono considerate identiche ad oggetti reali "interpretazione a livello dell'oggetto". Quest'interpretazione si contrappone a quella secondo cui ogni frammento del sogno, ad esempio tutte le persone che agiscono nel sogno, va riferito al sognatore stesso. Questo procedimento si chiama "interpretazione a livello del soggetto". L'interpretazione a livello dell'oggetto È "analitica", in quanto "scompone" il contenuto del sogno in complessi di reminiscenze, riferiti a condizioni reali. L'interpretazione a livello del soggetto, al contrario, È sintetica, in quanto separa i complessi di reminiscenze che sono alla base del sogno dalle occasioni reali e li presenta come tendenze o parti del soggetto,
reintegrandoli al soggetto (nelle esperienze che vivo non sperimento soltanto l'oggetto, ma anche, in primo luogo, me stesso, a patto però che io mi renda conto dell'esperienza che sto vivendo). "Il metodo interpretativo sintetico o costruttivo" (49) si basa dunque sull'interpretazione a livello del soggetto.
- Interpretazione sintetica (costruttiva). La paziente non È cosciente che l'ostacolo da superare, una barriera che È difficilmente oltrepassabile e si oppone al procedere ulteriore, È in lei stessa. Superare questa barriera È però possibile. Tuttavia, proprio in quest'attimo, si presenta la minaccia di un pericolo particolare e inatteso, cioè qualcosa di animalesco (inumano o sovrumano) che procede a ritroso e verso il profondo e che vorrebbe trascinare giù, con tutta la sua personalità, anche la sognatrice. Questo pericolo È anche come una malattia che uccide, che sorge segretamente da qualche parte ed È inguaribile (superiore ad ogni forza). La paziente si immagina che l'amica la ostacoli e la trascini giù. Fin quando lo crederà, dovrà naturalmente agire sull'amica, dovrà tirarla su, istruirla, migliorarla, educarla, deve compiere inutili e insensati sforzi idealistici per impedire che essa la trascini giù. Gli stessi sforzi li compie, naturalmente, anche l'amica, che infatti È nella stessa situazione della paziente. Così si scagliano l'una contro l'altra come galli da combattimento e ciascuna cerca di saltare sulla cresta dell'altra. Più l'una salta in alto, più l'altra si tortura per eguagliarla. Perchè? Perchè entrambe credono che tutto dipenda dall'altro, dall'oggetto. L'interpretazione a livello del soggetto porta alla soluzione di questa situazione assurda. Il sogno mostra infatti alla paziente che È lei stessa ad avere in sé qualcosa che le impedisce di superare la barriera, ossia che le impedisce di passare da una situazione o da un atteggiamento all'altro. L'interpretazione che vede nel cambiamento di luogo
un mutamento di atteggiamento È comprovata dal modo di esprimersi di alcune lingue primitive, nelle quali, ad esempio, la frase: mi dispongo ad andare suona sono sul luogo di andare (50). Per comprendere la lingua dei sogni ci occorrono, naturalmente, numerosi paralleli tratti dalla psicologia dei primitivi e dalla simbologia storica, poichè i sogni provengono, in sostanza, dall'inconscio, il quale racchiude le possibilità funzionali residuali di tutte le epoche precedenti della storia evolutiva. Naturalmente tutto dipende adesso dalla comprensione di che cosa significhi il granchio. In primo luogo sappiamo che È qualcosa che compare in rapporto all'amica (dato che la paziente lo collega all'amica) e, poi, qualcosa che È comparso anche in rapporto alla madre. Se poi la madre e l'amica abbiano realmente in sé questa qualità È, per quanto riguarda la paziente, irrilevante. La situazione può cambiare solo se la paziente cambia se stessa. Per quanto riguarda la madre, non c'È più nulla da cambiare, visto che È morta. E l'amica non può essere spinta a cambiare. Se vuole cambiare se stessa, questo È allora un problema solo suo. Il fatto che quella determinata caratteristica comparisse già in rapporto alla madre, È un indizio che rinvia all'infanzia. Che cosa hanno dunque in comune il rapporto che la paziente ha con la madre e con l'amica? L'elemento che li accomuna È un forte, eccessivo bisogno d'amore, dalla cui veemenza la paziente si sente sopraffatta. Questo bisogno ha quindi i segni caratteristici di un desiderio infantile, travolgente, che come si sa È cieco. Si tratta dunque, nel caso in esame, di una parte di libido non educata, non differenziata, non umanizzata, che possiede ancora un carattere pulsionale coattivo, insomma una parte non È stata domata con l'addomesticamento. L'"animale" È il simbolo assolutamente appropriato per questa parte di libido. Ma perchè l'animale È proprio un granchio? La paziente vi associa il cancro, malattia di cui È morta la signora X, per di più circa alla stessa età della paziente. Dovrebbe quindi trattarsi di un'identificazione allusiva
con la signora X. Dobbiamo quindi indagare su chi sia questa signora X. La paziente di lei racconta questo: la signora X diventò presto vedova; era molto allegra e amava la vita. Ebbe una serie di avventure con uomini e, in particolare, con un uomo originale, un artista molto dotato, conosciuto personalmente dalla paziente che era stata sempre straordinariamente colpita dal suo fascino e ne aveva subito un'impressione inquietante. Un'identificazione può verificarsi sempre e solamente sulla base di una rassomiglianza inconscia, non realizzata. Che cosa hanno allora di simile la nostra paziente e la signora X? Io potrei a questo punto ricordare alla paziente una serie di fantasie e di sogni precedenti che avevano chiaramente indicato che anche lei possedeva una vena di frivolezza, che sempre ansiosamente reprimeva, perchè temeva, a causa di questa tendenza che sentiva oscuramente in sé, di poter essere sviata verso un cambiamento immorale della propria vita. Abbiamo così ottenuto un ulteriore, essenziale contributo alla conoscenza dell'elemento animale. Si tratta infatti di nuovo di quella stessa smania non domata, di tipo pulsionale, solo che in questo caso si era indirizzata verso gli uomini. Comprendiamo ora, nel contempo, un'altra ragione per cui la paziente non può lasciare la sua amica. Infatti deve aggrapparsi a lei per non cadere vittima di quest'altra tendenza, che le appare ancor più pericolosa. In questo modo si ferma al livello infantile, omosessuale, che svolge tuttavia per lei un ruolo di "protezione". (Come ci insegna l'esperienza, questo È uno dei motivi che contribuiscono maggiormente a mantenere salde relazioni ormai inadeguate, infantili.) In questo elemento, però, È posta anche la sua salute, il germe della futura personalità sana che non arretra spaventata dinnanzi al rischio della vita umana. Ma la paziente aveva tratto anche un'altra conclusione dal destino toccato alla signora X. Aveva infatti interpretato la sua improvvisa, grave malattia e la sua morte prematura come un castigo del destino per la vita leggera che questa donna aveva condotto, vita leggera che la paziente le aveva sempre invidiato
(nei limiti di una invidia non confessata). Quando la signora X morì, la paziente aveva assunto un atteggiamento rigidamente moralistico, il quale nascondeva una gioia maligna umana, troppo umana. Da allora la paziente, per punizione, si ritirò per molto tempo dalla vita chiudendosi ad ogni nuova possibilità, poichè aveva sempre presente l'esempio della signora X, e prese su di sé la croce di questa tormentosa, insoddisfacente amicizia. Naturalmente lei non aveva avuto, finora, una chiara consapevolezza di tutte queste connessioni, altrimenti non si sarebbe mai comportata così. Ma fu facile dimostrare l'esattezza di questa conclusione in base al materiale disponibile. Ma la storia di questa identificazione non finiva qui. Infatti la paziente fece notare ancora che la signora X possedeva un talento artistico non trascurabile, che si era sviluppato in lei solo dopo la morte del marito e che poi l'aveva anche portata all'amicizia con l'artista. Questo aspetto sembra uno dei motivi essenziali dell'identificazione, se ci ricordiamo che la paziente ci aveva detto dello straordinario fascino e della grande impressione che l'artista aveva suscitato in lei. Un fascino di questo tipo non va "mai" esclusivamente da una persona ad un'altra, ma È un fenomeno di "relazione" che coinvolge due persone, in quanto la persona affascinata deve a sua volta avere una disposizione analoga. Ma questa disposizione deve essere inconscia, altrimenti non ci può essere nessun effetto di fascino. Il fascino È infatti un fenomeno coattivo in cui manca una motivazione cosciente. Non si verifica cioè secondo un meccanismo volontario, ma È un fenomeno che emerge dall'inconscio e si impone in maniera forzata alla coscienza. Tutte le costrizioni derivano da motivazioni inconsce. Si può allora presumere che la paziente possedesse una disposizione (inconscia) simile a quella dell'artista. Ed È per questa ragione che si È identificata con lui. Questo vuol dire anche che la paziente si È identificata con un uomo. A questo punto ci torna subito alla memoria l'analisi del sogno, in cui avevamo trovato un indizio dell'elemento maschile (il piede). La
paziente svolge, in effetti, nei confronti dell'amica un ruolo decisamente maschile: È lei la persona attiva, che dà continuamente il tono, che comanda la propria amica e talvolta la costringe, anche con un po' di prepotenza, a fare qualcosa che solo la paziente desidera. La sua amica È molto femminile, anche nell'aspetto esteriore, mentre la paziente È, anche esteriormente, un tipo piuttosto mascolino. Anche la sua voce È più forte e più profonda di quella dell'amica. La signora X viene descritta come una donna molto femminile, paragonabile secondo la paziente all'amica, quanto a tenerezza ed amabilità. Questo ci porta su una nuova traccia: la paziente, a quanto pare, svolge il ruolo che l'artista svolgeva nei confronti della signora X, ma trasferito sull'amica. Così completa inconsciamente la sua identificazione con la signora X e il suo amante. In questo modo riesce "comunque" a vivere la vena di frivolezza che tanto ansiosamente aveva represso, non la vive però coscientemente, ma viene ingannata da questa tendenza inconscia. A questo punto sappiamo già molto sul granchio: nel granchio c'È l'intima psicologia di questa parte di libido non domata. Le identificazioni inconsce continuano a rimetterla in gioco ogni volta. Hanno questa capacità perchè sono inconsce e dunque non possono essere oggetto di esame o correzione. Il granchio simboleggia, perciò, i contenuti inconsci. Questi contenuti tendono naturalmente a ricondurre continuamente la paziente alla relazione con l'amica (il granchio procede a ritroso). Ma il rapporto con l'amica equivale ad una malattia, visto che per causa sua È diventata nervosa (e da ciò deriva l'associazione con la malattia). Questo elemento che È emerso rientrava ancora, in senso stretto, nell'analisi a "livello dell'oggetto". Ma non possiamo dimenticare che, se raggiungiamo questi risultati, È solo perchè applichiamo l'interpretazione a livello del soggetto, che si rivela quindi un importante principio euristico. In pratica ci si potrebbe dichiarare già completamente soddisfatti dei risultati sin qui raggiunti. Ma in questa sede
dobbiamo rispondere alle esigenze della teoria, poichè non sono state ancora valorizzate tutte le associazioni e il significato della scelta del simbolo non È stato ancora saldamente afferrato. Consideriamo ora l'osservazione della paziente che il granchio era nascosto nel ruscello, sott'acqua, e che lei, in un primo momento, non lo aveva visto. Lei, in un primo momento, non ha visto le relazioni inconsce che abbiamo appena spiegato: erano nascoste nell'acqua. Ma il ruscello È l'ostacolo che le impedisce di passare dall'altra parte. Proprio queste relazioni inconsce che la tenevano legata all'amica sono state d'ostacolo per la paziente. L'ostacolo era l'inconscio. Quindi, in questo caso, l'acqua significa l'inconscio o, meglio, l'"incoscienza", l'essere nascosti. In effetti il granchio È anche l'inconscio, rappresenta però la somma di libido imprigionata nell'inconscio.
7. I DOMINANTI DELL'INCONSCIO SOVRAPERSONALE
Adesso ci attende ancora il compito di elevare anche "a livello del soggetto" le relazioni inconsce comprese solo a livello dell'oggetto. A questo scopo dobbiamo liberarle di nuovo dall'oggetto e concepirle come relazioni con immagini di natura soggettiva, con complessi di funzione presenti nell'inconscio della paziente stessa. Se portiamo la signora X a livello del soggetto, allora È colei che ha dato alla paziente l'esempio di ciò che la stessa paziente temeva perchè, inconsciamente, lo desiderava. La signora X È dunque l'immagine di qualcosa che la paziente vorrebbe, eppure non vuole, diventare. La signora X costituisce perciò, in un certo senso, un'immagine del futuro carattere della paziente. La figura inquietante dell'artista non si lascia elevare al livello del soggetto, in quanto il momento delle capacità artistiche inconsce, presenti in forma latente nella paziente, È già personificato dalla signora X. Si potrebbe dire con diritto che l'artista È un'immagine dell'elemento mascolino della paziente, elemento di cui lei non È consapevole e che perciò, per lei, sta nell'inconscio. In un certo senso, questo È vero, dato che la paziente, a questo proposito, effettivamente si inganna sul proprio conto. Lei, infatti, si crede particolarmente tenera, sensibile e femminile, niente affatto maschile. Per questo motivo rimase stupita e contrariata quando le feci notare i suoi tratti maschili. Ma non È nei suoi tratti maschili che possiamo cercare l'elemento dell'inquietante e del fascinoso. Apparentemente, È del tutto assente in lei. Eppure dovrà pur nascondersi da qualche
parte, poichè l'origine di questo sentimento È in lei stessa. L'esperienza ci dice che, se non si riesce a trovare un elemento simile, significa sempre che esso È "proiettato". Ma su chi? Ancora sull'artista? Questi È scomparso da gran tempo dalla cerchia delle persone che la paziente frequenta e non può certo aver portato via con sé la proiezione, visto che questa protezione È ancorata all'inconscio della paziente. No, una simile proiezione È sempre attuale, ossia ci deve essere da qualche parte qualcuno su cui quest'elemento viene proiettato in questo momento, altrimenti lo ritroverebbe in se stessa. Torniamo così ancora una volta al livello dell'oggetto. Infatti non c'È altro modo per rintracciare questa proiezione. La paziente non conosce alcun uomo che abbia per lei un qualche significato particolare, tranne me, che, in quanto suo medico, significo molto per lei. Dunque lei ha certamente proiettato quest'elemento su di me. Io, a dire il vero, non avevo mai notato nulla di simile. Ma gli elementi più delicati non si presentano mai in superficie, ma vengono alla luce sempre al di fuori dell'ora del trattamento. Perciò chiedo cautamente: Mi dica, come le appaio quando non si trova con me? Sono lo stesso anche dopo?. E lei: Quando sono con lei, È molto bonario, ma quando resto sola, o quando non la vedo più per qualche tempo, allora la sua immagine cambia spesso in modo sorprendente. A volte mi appare completamente idealizzato, poi di nuovo diverso. A questo punto si blocca. Io la incoraggio: E come le appaio?. E lei: A volte molto pericoloso, inquietante come un mago malvagio o come un essere demoniaco. Non so come mi capiti di pensare queste cose. Lei però non È così. Dunque quell'elemento era in me per effetto del transfert, perciò mancava nel suo inventario. In questo modo veniamo a conoscere un nuovo elemento essenziale. Io ero stato contaminato (identificato) con l'artista; quindi lei, nella fantasia inconscia, verso di me assume, naturalmente, il ruolo della signora X. Mi fu facile dimostrarle questo fatto, basandomi sui materiali venuti prima alla luce (fantasie sessuali). Ma allora
anche l'ostacolo, il granchio che le impedisce di raggiungere l'altra riva, sono io stesso. Se, in questo caso specifico, ci limitassimo al livello dell'oggetto, senza dubbio la faccenda si complicherebbe. A che gioverebbe che io le spiegassi: Ma io non sono affatto quell'artista, non sono affatto inquietante, non sono un mago malvagio, eccetera? Questo non avrebbe il minimo effetto sulla paziente, perchè sono cose che lei sa quanto me; la proiezione continua a esserci come prima e sono davvero io l'ostacolo che le impedisce di andare oltre. A questo punto si sono già arenati parecchi trattamenti. Infatti qui non c'È altra via di scampo alla morsa dell'inconscio, se non che il medico stesso si porti al livello del soggetto, ossia dichiari di rappresentare una certa immagine. Un'immagine di che cosa? Questa È la maggiore difficoltà. Ma certo dirà il medico l'immagine di qualcosa che È nell'inconscio della paziente. Al che lei risponderà: Cosa? Io sarei un uomo, anzi un uomo inquietante, ammaliatore, un incantatore e un malvagio demone? Mai e poi mai. E' inammissibile, È un'assurdità. Io credo invece che lo sia lei. Ed ha proprio ragione a parlare così. E' assolutamente assurdo voler trasferire sulla sua persona qualcosa di simile. La paziente non può lasciarsi trasformare in un essere demoniaco, così come non È possibile per il medico. I suoi occhi mandano lampi, sul suo volto si dipinge un'espressione cattiva, un lampo di un odio sconosciuto, mai visto, e sembra che in lei comincino a venir fuori delle vipere. D'un tratto mi accorgo che forse sono in presenza di un terribile malinteso. Di che si tratta? Di amore deluso? Di un'offesa? Di una svalutazione? Nel suo sguardo È in agguato una specie di belva feroce, qualcosa di veramente demoniaco. Allora È davvero un essere demoniaco? O sono io stesso la belva, il demone, e di fronte a me siede una vittima terrorizzata che cerca di difendersi dal mio maleficio con la forza della disperazione propria di un animale? Tutto ciò non può che essere un'assurdità, un abbaglio immaginario. Che cosa ho toccato? Quale nuova corda ho fatto vibrare? Ma È stato solo un
momento passeggero. L'espressione sul volto della paziente torna ad essere tranquilla e, come sollevata, essa dice: E' strano. Ora ho avuto la sensazione che lei toccasse il punto che non sono mai riuscita a superare nel rapporto con la mia amica. E' un sentimento orribile, come qualcosa di inumano, malvagio e crudele. Non sono neanche capace di descrivere come sia inquietante questo sentimento. Questo sentimento, in certi momenti, mi fa odiare e disprezzare la mia amica, benchè io mi opponga con tutte le mie forze. Queste parole gettano una luce chiarificatrice sull'accaduto: io ho preso il posto dell'amica. L'amica È superata. Il ghiaccio della rimozione si È rotto. La paziente, senza saperlo, È entrata in una nuova fase della sua esistenza. Ora io so che su di me si riverserà anche tutto quello che c'era di doloroso e cattivo nel rapporto con l'amica. Certo, su di me si riverserà anche quello che c'era di buono, ma in fortissimo conflitto con quella misteriosa X da cui la paziente non È mai riuscita a liberarsi. Insomma, una nuova fase del transfert, che tuttavia non consente ancora di intravedere chiaramente in che cosa consista la X che viene proiettata su di me. Una cosa È certa: se la paziente resta prigioniera di questa forma del transfert, incombe la minaccia di gravissimi equivoci. Infatti dovrà trattarmi come trattava l'amica, ciò vuol dire che quella X sarà costantemente sospesa nell'aria e provocherà continui malintesi. La paziente finirà proprio col vedere in me quel malvagio essere demoniaco che non potrebbe mai ammettere di essere lei stessa. In questo modo si producono tutti i conflitti senza soluzione. E un conflitto insolubile significa il blocco della vita. Oppure c'È un'altra possibilità: la paziente, di fronte a questa nuova difficoltà, usa il suo antico meccanismo di difesa e non tiene conto di questo punto oscuro. Si rifugia cioè, ancora una volta, nella rimozione, anzichè restare a livello conscio, il che sarebbe poi proprio l'esigenza ovvia e necessaria dell'intero metodo. In questo modo non abbiamo ottenuto nulla, anzi, ora
la X minaccia a partire dall'inconscio, cosa che È decisamente più spiacevole. Ogni volta che affiora un elemento inaccettabile, come questo, bisogna sempre rendersi esattamente conto se si tratta di un elemento destinato a diventare una qualità umana o se, alla fine, non lo diventerà. Stregone e demone potrebbero rappresentare delle qualità, che però, in realtà, sono caratterizzate in modo tale che si può subito capire che "non sono qualità personali umane, ma qualità mitologiche". Stregone e demone sono figure mitologiche che esprimono quel sentimento sconosciuto, inumano, che aveva colto la paziente. Quindi questi attributi non possono essere affatto riferiti ad una personalità umana, benchè, di norma, vengano proiettati proprio sul nostro prossimo sotto forma di giudizi "intuitivi", che non vengono verificati criticamente più da vicino e che danneggiano sempre il rapporto umano. "Questi attributi indicano sempre che vengono proiettati contenuti dell'inconscio sovrapersonale o assoluto". Infatti i demoni non sono reminiscenze personali, così come non lo sono gli stregoni malvagi, anche se, naturalmente, ad ognuno può essere accaduto di sentire o di leggere qualcosa in proposito. Anche se si È sentito parlare del serpente a sonagli non si parlerà di una lucertola o di un qualsiasi innocuo serpentello come se fosse un serpente a sonagli - e con la stessa intensità emotiva semplicemente perchè ci ha spaventato il fruscio di una lucertola. Allo stesso modo non si definirà nemmeno un nostro simile come demone, anche se gli fosse realmente collegato una specie di potere demoniaco. Ma se il potere demoniaco fosse davvero un aspetto del suo carattere personale, dovrebbe mostrarsi in ogni circostanza, allora quest'uomo sarebbe appunto un demone, una specie di lupo mannaro. Ma questa È mitologia, ossia psiche collettiva e non psiche individuale. Nella misura in cui noi partecipiamo, grazie al nostro inconscio, alla psiche collettiva storica, noi viviamo, naturalmente a livello inconscio, in un mondo di lupi mannari, demoni, stregoni,
eccetera, poichè si tratta di cose che in tutte le epoche, che ci hanno preceduto, erano accompagnate da violente reazioni affettive. E d'altra parte anche noi abbiamo qualcosa degli dÈi e dei diavoli, dei salvatori e dei criminali. Ma sarebbe assurdo volersi attribuire personalmente queste possibilità presenti in potenza nell'inconscio. Perciò bisogna assolutamente tracciare una linea divisoria il più possibile chiara tra ciò che rientra nella dimensione personale e l'elemento impersonale. Con questo naturalmente, non si deve negare la presenza dei contenuti dell'inconscio assoluto, a volte estremamente efficace. Ma essi, in quanto contenuti della psiche collettiva, sono posti a fronte della psiche individuale e sono distinti da essa. Naturalmente, presso l'uomo primitivo questi contenuti non erano mai separati dalla coscienza individuale, in quanto la proiezione stessa di dÈi, demoni, eccetera, non era intesa come una funzione psicologica, ma si trattava semplicemente di realtà concrete. La loro natura di proiezioni non veniva mai riconosciuta. Solo nel periodo illuministico si scoprì che gli dÈi non esistevano realmente, ma erano solo proiezioni. In questo modo vennero anche liquidati. Ma non fu affatto liquidata la funzione psicologica corrispondente. Essa ricadde invece nell'inconscio, provocando un avvelenamento dell'uomo stesso per eccesso di libido, che prima era investita nel culto dell'immagine divina. La svalutazione e la rimozione di una funzione così forte come È quella religiosa ha naturalmente conseguenze rilevanti per la psicologia del singolo. L'inconscio È infatti straordinariamente rafforzato dal rifluire di questa libido, tanto che, con i suoi contenuti collettivi arcaici, comincia ad esercitare sulla coscienza un'influenza potente e coattiva. Il periodo dell'illuminismo si concluse, com'È noto, con gli orrori della Rivoluzione francese. Anche oggi sperimentiamo nuovamente questa sollevazione delle forze distruttive inconsce della psiche collettiva. Il suo effetto È una carneficina che non ha eguali. Era proprio questo che l'inconscio cercava. Prima la sua posizione si era smisuratamente rafforzata grazie al razionalismo della vita
moderna, che toglieva valore a tutto quanto È irrazionale, facendo così sprofondare nell'inconscio la funzione dell'irrazionale. Ma una volta che la funzione venga a trovarsi nell'inconscio, da lì produce effetti disastrosi e inarrestabili, come una malattia incurabile il cui focolaio non può essere estirpato, perchè invisibile. Infatti dopo l'individuo, come la collettività, deve vivere l'irrazionale in modo coatto e deve solo usare i suoi ideali più elevati e il suo umorismo migliore per dare alla follia dell'irrazionale la forma più perfetta possibile. Possiamo osservare in piccolo questo fenomeno nel caso della nostra paziente, la quale È rifuggita dalla possibilità di vita che le appariva irrazionale (la signora X), per vivere la stessa possibilità, in forma patologica con grandissimo sacrificio, su un oggetto inadatto. Non c'È in generale alcun'altra possibilità, se non di riconoscere l'irrazionale come una funzione psicologica necessaria, in quanto sempre presente, e di intendere i suoi contenuti non come realtà concrete (questo sarebbe un passo indietro!), ma come "realtà psicologiche". Realtà, perchè si tratta di cose "efficaci" e quindi "effettivamente esistenti" (51). L'inconscio collettivo È il precipitato di ogni esperienza del mondo fatta in tutti i tempi, perciò È un'immagine del mondo che si È formata in epoche. In questa immagine, nel corso del tempo, si sono delineati determinati tratti, le cosiddette "dominanti!. Queste dominanti (52) rappresentano i dominatori, gli dÈi, sono cioè immagini di leggi e principi dominanti, di regolarità che si presentano nello scorrere delle immagini che il cervello ha ricevuto nel corso di processi secolari (53). Nella misura in cui le immagini depositatesi nel cervello sono copie relativamente fedeli degli eventi psichici, le loro dominanti, ossia i loro tratti fondamentali e generali, individuabili per la frequenza con cui si ripresentano esperienze analoghe, corrispondono così anche a certi tratti fondamentali generali di natura fisica. Perciò È possibile trasferire direttamente immagini inconsce sugli eventi fisici, sotto forma di concetti di natura
generale. Ad esempio, l'"etere", l'antichissima materia del respiro o dell'anima che trova per così dire rappresentanza nelle concezioni di tutta la terra; o l'"energia", la forza magica, che È anch'essa diffusa universalmente. A causa del loro legame con le realtà fisiche, le dominanti compaiono per lo più sotto forma di proiezioni e, quando le proiezioni sono inconsce, compaiono in riferimento a persone di volta in volta vicine, di solito sotto forma di sottovalutazioni o sopravvalutazioni esagerate o come pretesto di malintesi, di lite, di infatuazioni e di ogni tipo di sciocchezze. Perciò si dice si fa un dio della tal persona (54); oppure Tizio o Caio È la "bestia nera" di X. Da ciò hanno anche origine le costruzioni moderne mitiche, ossia dicerie, sospetti e pregiudizi immaginari. Le dominanti dell'inconscio collettivo sono quindi cose estremamente importanti, che hanno effetti importanti a cui bisogna prestare la maggiore attenzione. Le dominanti non vanno semplicemente represse, ma devono essere sottoposte ad un esame accurato. Poichè compaiono per lo più sotto forma di proiezioni e poichè le proiezioni (per l'affinità delle immagini inconsce con l'oggetto) si fissano solo dove sia presente un'occasione esterna, valutarle È particolarmente difficile. Se dunque capita che qualcuno proietti la dominante diavolo su una persona vicina, ciò accade perchè questa persona ha in sé qualcosa che consente alla dominante diavolo di fissarsi. Ma con ciò non si vuole assolutamente dire che questa persona, per questo motivo, sia anche, per così dire, un diavolo. Al contrario, può essere una persona particolarmente buona, la cui natura È però incompatibile con quella di colui che proietta, per cui tra i due ha luogo un effetto diabolico. Anche colui che proietta non È necessariamente un diavolo, per quanto debba riconoscere di avere in sé, lui pure, l'elemento diabolico e di esserci caduto per primo se lo proietta. Ma non per questo È diabolico, anzi, può essere una persona per bene quanto l'altra. La comparsa della dominante diavolo significa, in un caso simile, che le due persone sono incompatibili (per ora e per il prossimo futuro);
per questa ragione l'inconscio li divide violentemente e li tiene reciprocamente a distanza. Una delle dominanti in cui ci si imbatte quasi regolarmente analizzando le proiezioni di contenuti inconsci collettivi È il demone incantatore, che ha un effetto prevalentemente inquietante. Ne È un buon esempio il "Golem" di Meyrink (55), come anche lo stregone tibetano nei "Pipistrelli" di Meyrink, il quale scatena magicamente la guerra mondiale. Naturalmente Meyrink non ha appreso da me questa figura, ma l'ha formata dal suo inconscio indipendentemente, prestando una voce ed un volto ad un sentimento analogo a quello che la paziente aveva proiettato su di me. La dominante del mago compare anche nello "Zarathustra", mentre nel "Faust" È, per così dire, lo stesso eroe protagonista. L'immagine di questo demone È uno dei livelli più bassi ed antichi del concetto di Dio. E' la dominante dello stregone primitivo tribale, una personalità dalle doti particolari che È ricca di potere magico (56). Questa figura appare molto spesso, nell'inconscio della mia paziente, come "scuro di pelle" e di "razza mongola" (faccio notare che queste cose mi erano note molto tempo prima che Meyrink scrivesse). Con la scoperta delle dominanti dell'inconscio assoluto, abbiamo fatto un notevole passo avanti. L'influsso magico o demoniaco del prossimo scompare, in quanto il sentimento inquietante viene ricondotto ad una grandezza definita dell'inconscio assoluto. In compenso ci attende ora un compito del tutto nuovo e inaspettato: la questione di come l'Io si debba misurare con questo non-Io psicologico. Possiamo forse accontentarci di constatare che le dominanti inconsce esistono ed hanno una loro influenza ed abbandonare la cosa a se stessa? In questo modo si creerebbe una condizione di costante dissociazione, una scissione tra la psiche individuale e la psiche collettiva nel soggetto. Da una parte avremmo allora l'Io moderno e differenziato, dall'altra, invece, una specie di cultura
tribale, una condizione del tutto primitiva. In questo modo avremmo portato sotto i nostri occhi, in chiara contrapposizione, la nostra effettiva condizione attuale, cioè una crosta di civilizzazione su una bestia dalla pelle scura. Ma questa dissociazione esige immediatamente la sintesi e lo sviluppo di ciò che non È sviluppato. Deve essere possibile una riunificazione di questi due elementi. Prima di affrontare questa nuova questione, torniamo al sogno da cui eravamo partiti. Grazie a tutta questa discussione siamo pervenuti ad una più ampia comprensione del sogno e, in particolar modo, di un suo elemento essenziale: l'"angoscia". E' angoscia che si prova di fronte ai demoni, alle dominanti dell'inconscio collettivo. Osserviamo infatti che la paziente si identifica con la signora X, venendo a dire così che lei stessa ha un rapporto con l'inquietante artista. E' emerso che il medico (io) era stato identificato con l'artista e, inoltre, abbiamo visto che, a livello del soggetto, io ero un'immagine della dominante mago che appartiene all'inconscio collettivo. Nel sogno tutto ciò È coperto dal simbolo del granchio, l'essere che cammina all'indietro. Il granchio È il contenuto vitale dell'inconscio, che non può assolutamente venire esaurito o privato della sua efficacia attraverso un'analisi a livello dell'oggetto. Quello che siamo riusciti ad ottenere, invece, È stato: "il distacco dei contenuti mitologici della psiche collettiva dagli oggetti della coscienza e il loro consolidarsi come realtà psicologiche al di fuori della psiche individuale". Finchè l'inconscio assoluto sarà accoppiato senza distinzione alla psiche individuale, non potrà esservi alcun progresso. Per usare l'immagine del sogno, la barriera non potrà essere oltrepassata. Ma se la sognatrice si dispone ad attraversare ugualmente la linea di confine, l'inconscio, prima inosservato, prende vita, la afferra e la trascina giù. Il sogno e il suo materiale caratterizzano l'inconscio assoluto, per un verso, come un animale inferiore che vive nascosto nelle profondità dell'acqua; per un altro, come una malattia pericolosa, che solo se operata
(asportata, amputata) per tempo può essere guarita. Abbiamo già visto quanto sia appropriata questa caratterizzazione. Il simbolo dell'animale, come si È già detto, rinvia in modo particolare alla dimensione dell'extraumano, ossia del sovrapersonale, in quanto i contenuti dell'inconscio assoluto non sono solo i residui di modi funzionali arcaici e propriamente umani, ma sono anche i residui delle funzioni della serie degli antenati animali dell'uomo, che ebbero una vita infinitamente più lunga dell'epoca relativamente breve in cui si È sviluppata l'esistenza specificamente umana. Tali residui, quando sono attivi, hanno un'insuperabile capacità non solo di frenare il progresso dell'evoluzione, ma anche di tramutarlo in un regresso, sino a quando non È consumata la massa di energia che ha attivato l'inconscio assoluto. Ma l'energia diventa nuovamente utilizzabile se, grazie al confronto consapevole con l'inconscio assoluto, viene anch'essa presa in considerazione. Le religioni hanno instaurato questo ciclo energetico in termini concreti, attraverso lo scambio culturale con gli dÈi (le dominanti dell'inconscio assoluto). Ma per noi questa via È troppo in contraddizione con l'intelletto e la sua morale della conoscenza, perchè possiamo giudicare questa soluzione del problema ancora vincolante o anche solo possibile. Se, al contrario, concepiamo le figure dell'inconscio come dominanti collettivi e inconsci e, dunque, come fenomeni o funzioni psicologico-collettivi, questa ipotesi non contrasta in alcun modo con la nostra coscienza morale intellettuale. Questa soluzione È accettabile anche sul piano razionale. In questo modo abbiamo la possibilità di confrontarci con i residui attivati della nostra storia originaria. Questo confronto consente di superare quella che fino ad ora era stata la linea di confine; perciò viene giustamente chiamato "funzione trascendente", equivalente ad evoluzione progressiva verso un nuovo atteggiamento, che nel sogno viene indicato come di altra sponda del ruscello. Il parallelo con il mito dell'eroe salta decisamente agli
occhi: assai spesso il tipico duello dell'eroe con il mostro (il contenuto inconscio) si svolge presso la riva di un fiume, o anche presso un guado, specialmente nei miti indiani, a noi noti grazie all'"Hiawatha" di Longfelloz. L'eroe (ad esempio Giona) nel duello decisivo viene di solito inghiottito dal mostro, come Frobenius (57) ha documentato ampiamente. Ma all'interno del mostro l'eroe comincia a confrontarsi a suo modo con la bestia, mentre questa lo conduce nuotando verso il luogo dove sorge il sole, ad oriente: egli infatti recide una parte vitale dei suoi organi interni, ad esempio il cuore della creatura mostruosa, grazie a cui essa viveva (appunto quella preziosa energia grazie alla quale era stato attivato l'inconscio). Così egli uccide il mostro, il quale poi, andando alla deriva, approda su una terra dove l'eroe, rinato grazie alla funzione trascendente (la cosiddetta traversata notturna, secondo la formula di Frobenius) esce fuori, spesso in compagnia di tutti coloro che il mostro aveva inghiottito già prima. In questo modo viene ristabilito il normale stato precedente, in quanto l'inconscio, defraudato della sua energia, non occupa più una posizione privilegiata. Così il mito, che È un sogno dei popoli, raffigura in maniera molto chiara e trasparente il problema che assilla anche la nostra paziente (ho trattato diffusamente il parallelo del mito dell'eroe nel mio libro "Trasformazioni e simboli della libido") (58). Il problema del confronto con l'inconscio assoluto È una questione a sé. Perciò in questa sede devo accontentarmi di fornire uno sguardo panoramico di carattere generale sugli sviluppi della nuova teoria dell'inconscio sino alla funzione trascendente e riservare ad un successivo lavoro il compito di esporre la funzione trascendente stessa (59).
8. LO SVILUPPO DEI TIPI NEL PROCESSO ANALITICO.
L'esposizione dell'analisi dell'inconscio sarebbe incompleta se non si spendesse anche una parola sulla questione di stabilire se questo sviluppo È identico in entrambi i tipi. In effetti sia lo sviluppo, sia la concezione dell'inconscio si presenta nei due casi diversi. Anche se dobbiamo sforzarci di trovare una formulazione che, per quanto possibile, sia valida universalmente, d'altra parte dobbiamo anche convincerci con altrettanta determinazione che le concezioni dei tipi sono "a priori" diverse e una formulazione universale corretta È possibile solo quando si tenga conto allo stesso modo di entrambi i punti di vista. Non mi nascondo naturalmente che questa discussione ha minore interesse per il profano che per lo specialista. Tuttavia, alcuni punti di vista sono di carattere più generale, così che anche il profano potrebbe imparare qualcosa dalla lettura di quest'ultimo capitolo. Consideriamo anzitutto la concezione dell'inconscio. In questo libro ho introdotto l'inconscio sotto il concetto di funzione psicologica, ossia come la somma di tutti quei contenuti psichici che non raggiungono il valore limite della coscienza. Ho poi suddiviso i materiali inconsci in contenuti "personali", cioè reminiscenze, combinazioni e tendenze che si possono attribuire al singolo, e in contenuti "impersonali, collettivi", che non si possono attribuire al singolo. I contenuti della psiche sono, in ultima analisi, immagini che in generale rappresentano da un lato la funzione, dall'altro gli oggetti e il mondo. La coscienza contiene le immagini di oggetti recenti; l'inconscio personale immagini di oggetti che appartengono al passato individuale, in quanto sono dimenticati
o rimossi, l'inconscio assoluto o collettivo contiene immagini storiche del mondo in generale sotto forma di immagini originarie o di motivi mitologici. Tutte le immagini psichiche hanno due lati: un lato È rivolto all'oggetto, ne È una riproduzione il più possibile fedele né vuole e deve essere qualcosa di diverso. L'altro lato invece È rivolto alla psiche, ossia alla funzione psichica ed alle leggi che le sono proprie. Faccio un esempio di immagine originaria del mito dell'eroe: ad occidente c'È una demoniaca progenitrice con una grande bocca. L'eroe vi striscia dentro. In quel momento un uccellino si mette a cantare, la vecchia chiude la bocca e l'eroe scompare. II lato dell'immagine rivolto all'oggetto fisico È il seguente: la sera il sole scende nella bocca del mare. A quell'ora un uccellino canta (questo È un dato di fatto oggettivo) e il sole scompare all'interno del mare. Il lato dell'immagine rivolto all'aspetto psichico, all'"idea", È il seguente: l'energia contenuta nella coscienza scompare (come il sole la sera) nel mostro dell'inconscio. Se consideriamo l'inconscio collettivo dal lato psichico o ideale, esso È qualcosa di assolutamente diverso dall'oggetto; anzi, se i suoi contenuti devono poter completare l'idea, deve essere separato, "astratto" dall'oggetto. Se invece consideriamo l'inconscio collettivo dal lato dell'oggetto fisico, come un'immagine dell'oggetto, esso È più fiacco ed oscuro dell'oggetto stesso, per cui può essere portata a compimento solo dopo esser stato oggettivato nell'oggetto stesso, ossia proiettato. Come spiegavo prima, ci sono due tipi psicologici umani chiaramente distinguibili, che io ho definito tipo introverso e tipo estroverso. L'introverso È caratterizzato dal punto di vista del pensiero, l'estroverso da quello del sentimento. Come ho mostrato, hanno un rapporto completamente diverso con l'oggetto. L'introverso astrae dall'oggetto e ci pensa sopra; l'estroverso, invece, va verso l'oggetto e vi si immedesima. L'introverso pone l'accento sul valore dell'Io, l'estroverso sul
valore dell'oggetto. Per il primo, ciò che importa È la conservazione dell'Io; per il secondo, È la conservazione dell'oggetto. I due tipi assumeranno un atteggiamento del tutto diverso nei confronti dell'inconscio. L'introverso si impossesserà, e non può non farlo, del lato ideale dell'immagine inconscia; l'estroverso, al contrario, del lato della riproduzione fisica. L'introverso purificherà il più possibile il lato ideale dalle scorie delle aggiunte concretistiche di cui viene caricata la riproduzione fisica, per giungere all'idea astratta. L'estroverso, al contrario, purificherà il più possibile la riproduzione fisica dalle aggiunte fantastiche introdotte dal lato ideale. Il primo si innalzerà verso un mondo ideale e cercherà di superare così l'influsso perturbante dell'inconscio; al contrario il secondo avvicinerà il più possibile all'oggetto l'immagine inconscia, proiettandola sull'oggetto fisico e, così, si libererà dalla morsa dell'inconscio. Ciò che per l'estroverso È un'intrusione fantastica e perturbante nell'immagine inconscia, per l'introverso È proprio ciò che ha più valore, in quanto germe dell'idea pura; viceversa, ciò che per l'introverso È solo imperfezione concretistica, un'appendice della provenienza fisica, per l'estroverso È la traccia più preziosa, il ponte che consente di congiungere l'inconscio all'oggetto. Da questa descrizione si può facilmente capire che i due tipi, nello stadio di sviluppo del loro inconscio, percorrono la via opposta e giungono perciò agli estremi opposti: l'uno all'idea, l'altro all'oggetto del sentire, alla persona amata. In questo modo vengono portate al loro punto più alto le caratteristiche psicologiche dei due tipi, ma, in base alla legge dell'"enantiodromia", È anche giunto il momento in cui l'altra funzione, nell'introverso il sentimento e nell'estroverso il pensiero, entra nel suo diritto pienamente riconosciuto. L'introverso, dunque, grazie alla differenziazione e all'innalzamento del suo pensiero raggiunge la funzione sentimentale autonoma a lui mancante. L'estroverso, al
contrario, raggiunge un proprio pensiero per la stessa via di un amore progressivamente differenziantesi. Queste funzioni finora secondarie si trovano dapprima nell'inconscio e raggiungono gradualmente la coscienza nel corso del trattamento. Si tratta dunque, inizialmente, di funzioni inconsce in uno stato di maggiore o minore incompatibilità con la coscienza, caratterizzate cioè dalle qualità tipiche dei contenuti inconsci. Queste qualità sono tali da non poter essere tollerate dalla coscienza. Il malato di mente Schreber (60) dice una volta in modo molto pertinente che la lingua del buon Dio (= l'inconscio) È un tedesco un po' antiquato, ma vigoroso, e ce ne dà esempi eloquenti. Poichè la controfunzione che affiora alla coscienza provenendo dall'inconscio È così diversa da ciò che sembra ammissibile per la coscienza, emerge la necessità di una tecnica di confronto con la controfunzione. E' impossibile accettare la controfunzione così com'È, dato che si porta sempre dietro anche proprietà e relativi fenomeni che appartengono all'inconscio assoluto. Se quindi in virtù dell'evoluzione descritta sopra, l'estroverso ha acquistato un atteggiamento nei confronti dell'oggetto assolutamente reale e libero da tutti i fantasmi, potrà rivolgere la sua attenzione anche a quelle scorie (che per l'introverso erano preziosi germi di idee) e ne svilupperà idee analoghe a quelle già sviluppate dall'introverso. A sua volta l'introverso potrà rivolgere ora la sua attenzione a quei materiali che prima aveva dovuto respingere come deviazioni che conducevano alla realtà fisica, effettuerà quel chiarimento e quella disamina nell'ambito dei suoi rapporti sentimentali, che l'estroverso ha già portato a termine. Lo sviluppo della controfunzione, fino a quel momento inconscia, porta oltre il tipo verso l'individuazione e così ad un nuovo rapporto con il mondo e lo spirito. Il processo, che ha inizio con la comparsa degli aspetti complementari del tipo, È appunto la funzione trascendente, che conduce al nuovo atteggiamento attraverso la disamina e il chiarimento dei sentimenti e dei pensieri inconsci, atteggiamento che fa
emergere la controfunzione sino ad allora trascurata. Secondo l'antica massima naturam si sequemur ducem, nunquam aberrabimus, abbiamo dunque seguito il naturale impulso del pensatore a portare il principio del pensiero sino al suo più pieno compimento, e l'impulso del sentimentale ad attuare sino in fondo il principio del sentire. Così si produce un eccesso salutare, cioè la fame, l'esigenza della funzione compensatrice. Infatti l'uno, pensando, finisce in un mondo di idee cristalline gelido e privo di vita; l'altro invece, sentendo, finisce in un infinito mare di onde di sentimenti che mai hanno fine. Perciò il primo aspirerà al vivo calore del sentimento, il secondo, invece, aspirerà alla circoscritta precisione e stabilità del pensiero. Grazie a questo processo compensatorio, viene ottenuto un arricchimento dell'individuo che gli consente di essere più determinato e di vivere un'armonia conclusa in se stessa. Con l'assimilazione della controfunzione si schiudono nuove sorgenti interiori, che assicurano all'individuo un'indipendenza di gran lunga maggiore dai condizionamenti esterni. Questa conquista È un vantaggio incontestabile, al quale non si vuole rinunciare neanche di fronte al dato di fatto, ad esso inevitabilmente congiunto, che un orientamento tanto nuovo del proprio atteggiamento pone l'individuo in un certo contrasto con la massa di coloro che hanno ancora il vecchio atteggiamento. Questo contrasto non È uno svantaggio. Al contrario, È uno stimolo efficace e positivo a vivere e a lavorare, poichè in questo modo si È prodotto quel pendio di cui la nostra energia psichica aveva bisogno per dispiegarsi.
9. SULLA CONCEZIONE DELL'INCONSCIO. CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE SULLA TERAPIA
Devo ancora richiamare l'attenzione su una circostanza di natura generale. Nel corso di tutta la trattazione, ho infatti dato l'impressione di associare alla nozione di inconscio sempre l'idea di un "disturbo" o addirittura di un "pericolo". Sarebbe sbagliato se noi mettessimo in risalto solo il lato nefasto dell'inconscio. E' il "disaccordo con l'inconscio la fonte della sua pericolosità". Se riusciamo a produrre quella funzione (o atteggiamento) che io chiamo trascendente, il disaccordo È superato e possiamo sfruttare il lato favorevole dell'inconscio. Infatti, l'inconscio ci procura allora tutto quell'incoraggiamento e quell'aiuto che una natura benigna può offrire con traboccante pienezza all'uomo. L'inconscio ha delle possibilità che alla coscienza sono del tutto precluse, poichè dispone di tutti i contenuti psichici che si trovano al di sotto della soglia della coscienza (subliminali), di tutto ciò che È stato dimenticato o trascurato, nonchè della saggezza accumulata con l'esperienza di un numero incalcolabile di secoli, che È depositata nei percorsi, già esistenti o possibili, del cervello umano. L'inconscio È costantemente attivo e crea con i suoi materiali delle combinazioni, che servono a determinare il futuro. L'inconscio crea combinazioni subliminali, prospettiche, tanto quanto la nostra coscienza, solo che esse sono notevolmente superiori a quelle della coscienza per raffinatezza e ampiezza (61). L'inconscio, quindi, può anche essere una straordinaria guida per gli uomini. Il lettore non deve ora assolutamente credere che questi
complicati mutamenti psicologici si svolgano tutti in ogni singolo caso pratico. Il "trattamento pratico" ha l'obiettivo di raggiungere un risultato terapeutico. Il risultato può presentarsi, per così dire, ad ogni livello del trattamento, del tutto indipendentemente dalla pesantezza o dalla durata degli sforzi sofferti per raggiungerlo. E, viceversa, il trattamento di un caso difficile può durare molto a lungo, senza che vengano raggiunti o debbano essere raggiunti più alti stadi di trasformazione. Sono relativamente pochi coloro che, una volta raggiunto il risultato terapeutico, affrontano ulteriori livelli di cambiamento in vista del proprio sviluppo personale. Perciò non È detto che occorra essere un caso grave per dover percorrere tutto lo sviluppo completo. Un grado più alto di differenziazione lo raggiungono comunque solo quegli uomini che per loro natura hanno una determinazione ed una vocazione per questo, che hanno cioè una capacità ed una pulsione ad elevarsi maggiormente: ma quanto a ciò, gli uomini sono, com'È noto, estremamente diversi, così come le specie animali, alcune conservatrici e altre evoluzioniste. La natura È aristocratica, non nel senso però che essa avrebbe riservato la possibilità di differenziazione solo alle specie superiori. Lo stesso vale per la possibilità di sviluppo psicologico dell'uomo: essa non È riservata ad individui particolarmente "dotati". In altre parole, ai fini di uno sviluppo psicologico di vasta portata, non occorre né una particolare intelligenza, né alcun altro talento, poichè in questo sviluppo possono subentrare qualità morali, laddove l'intelligenza non basta. Ma non si deve assolutamente credere che il trattamento consista nell'instillare nella gente formule generali o dogmi complicati. Non È questo il punto. Ciascuno può conquistarsi ciò di cui ha bisogno a suo modo e nel suo linguaggio. Ciò che ho esposto in questa sede È una formulazione intellettuale, fondata su lavori scientifici preliminari, di natura sia empirica sia teorica, ma non È ciò di cui si parla di solito nel lavoro pratico. Le piccole parti dedicate alla casistica, che ho inserito nel presente
scritto, danno già un'idea, sia pure approssimativa, di quello che avviene nella prassi. Il lettore deve abituarsi all'idea che il nostro nuovo tipo di psicologia ha un aspetto del tutto pratico ed un aspetto del tutto teorico. Non È solo un metodo pratico di trattamento o un metodo educativo, ma È anche una scienza teorica, in attivo rapporto con le altre scienze collegate.
CONCLUSIONE
Per concludere, devo chiedere scusa al lettore per aver osato esporre in queste poche pagine tante novità così difficili da capire. Mi espongo al suo giudizio critico perchè ritengo che chiunque, isolandosi, percorra vie proprie, abbia il dovere di comunicare alla società ciò che ha trovato nel suo viaggio di esplorazione: forse un'acqua fresca per gli assetati o il deserto sabbioso di uno sterile errore. L'una cosa aiuta, l'altra mette in guardia. Ma non sarà la critica di un singolo contemporaneo, quanto i tempi e i destini futuri a decidere della verità o dell'errore delle nuove scoperte. Ci sono cose che oggi non sono ancora vere, o che forse ancora non possono essere vere, ma forse domani sì. Così, chiunque abbia questo destino deve andare per la sua strada, con la semplice speranza e con gli occhi aperti di chi È consapevole della propria solitudine e dei pericoli degli abissi nebbiosi della solitudine. Il nostro tempo cerca una nuova sorgente. Io ne ho trovata una, ci ho bevuto e il sapore della sua acqua mi È piaciuto. Questo È tutto ciò che posso e voglio dire. Avrò realizzato la mia intenzione e il mio dovere verso la società se, nei limiti delle mie capacità, avrò descritto la via che mi ha condotto alla sorgente. Il vociare di coloro che non percorrono questa via non mi ha mai turbato, né mai mi turberà. Il nuovo urta sempre contro la resistenza del vecchio. E' stato sempre così e sarà sempre così: fa parte dell'autoregolazione dell'accadere psichico.