Maria Silva
IL VEGAN CRUDISMO E L’ALIMENTAZIONE SPORTIVA Strategie alimentari alimentari per il benessere e la performance performance sportiva
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A mio padre padre
1 Cosa è il crudismo? “Vivo non è esser vivo, ma star bene.” (Marziale)
Se un detto saggio diceva che “la verità è cruda”, in qualcosa aveva pur ragione, almeno per ciò che concerne l’alimentazione elettiva della specie umana. Ed infatti sarò qui piacevolmente a chiacchierare con voi a proposito di questo. Il crudismo è uno stile di vita che promuove un’alimentazione il più possibile sana e naturale, consona alle condizioni naturali dell’uomo affinché possa mantenersi in salute o riacquistarla quando la perde. La vita nasce cruda, tutti i processi biologici si svolgono entro i limiti di temperatura (max 45/50 gradi) nella quale cellule e tessuti svolgono le loro attività vitali. Ecco appunto il motivo per cui l’alimentazione crudista ha un percorso storico quasi inquantificabile, che risale alle origini dell’uomo sulla Terra, il quale, fino alla scoperta del fuoco, in armonia con la natura, ha sviluppato e compiuto la sua evoluzione. Questo perché, citando brevemente Kouchakoff a conclusione di migliaia di esperimenti condotti su molti soggetti e su lui stesso, un alimento cotto provoca la moltiplicazione quasi immediata (sin dai primi atti masticatori, giacché la reazione fagocitaria è innescata addirittura nella cavità orale) dei globuli bianchi, che, come è noto, servono a difenderci da corpi estranei a noi dannosi, soprattutto di natura microbica, mentre l’alimento crudo non la provoca mai. Il fuoco, con le sue seduzioni, ha portato una frattura, una separazione tra la natura, con tutti i suoi processi biochimici e vitali, e noi stessi. Il fuoco, cuocendo, in realtà, uccide la vita dell’alimento: un chicco di grano crudo germoglia, cotto marcisce. Esiste, insomma, nel nostro organismo una sorta di automatismo fisiologico in forza del quale l’alimento cotto è trattato come un aggressore, contro il quale il corpo mobilita il suo più potente mezzo di difesa, cosa che non fa con l’alimento crudo, che evidentemente il corpo accetta come un “amico”. Queste scoperte sono di basilare importanza perché da esse scaturisce una verità fondamentale, a proposito della quale preferisco riferire il pensiero di un autorevole studioso, il prof. A. Delaval, che così si esprime: “L’uomo fa cuocere i suoi cibi ormai da parecchie centinaia di generazioni; ebbene, dopo tanto tempo, non si è verificato alcun adattamento anatomo-fisiologico all’alimento cotto, che continua ad essere rifiutato dall’organismo mediante l’azione di rigetto evidenziata sperimentalmente da Kouchakoff. Insomma l’uomo continua a reagire oggi all’alimento cotto come ha fatto la prima volta migliaia di anni fa. Dopo tanto tempo il corpo continua a rifiutarsi di adattarsi a tale
nostra incosciente perseveranza. Pertanto la scoperta di Kouchakoff ci ha reso edotti di una esperienza gigantesca sull’uomo, cominciata nella preistoria, e deve costituire per noi un serio ammonimento. Le nostre difese, sollecitate diverse volte al giorno, devono inevitabilmente indebolirsi e forse in questo risiede la nostra grande vulnerabilità alle infezioni. Inoltre, ogni individuo possiede un certo capitale energetico al quale attingono tutti i mezzi di difesa dell’organismo. L’effetto Kouchakoff dovuto alla alimentazione cotta diminuisce dunque la resistenza dell’organismo a tutte le aggressioni”.
2 Cenni storici del crudismo “Dio fece il cibo, ma certo il diavolo fece i cuochi!” (James Joice)
Precursori del crudismo furono gli Esseni, setta ebraica che viveva in prossimità del Mar Morto. Le indicazioni del loro “Vangelo Esseno della Pace’’, scoperto negli archivi vaticani nel 1947 (forse), dal filosofo, psicologo e archeologo Edmond Bordeaux-Szekely, sono indirizzate oltre che allo spirito, anche al corpo: “… non uccidete né uomini, né animali, né il cibo che va nella vostra bocca… Se vi nutrite di cibi vivi, questi vi vivificheranno, se uccidete il vostro cibo, il cibo morto vi ucciderà… La vita viene dalla vita, dalla morte viene sempre la morte… ciò che uccide il vostro cibo uccide anche le vostre anime... I vostri corpi diventano ciò che mangiate, come le vostre anime diventano ciò che voi pensate. Perciò, non mangiate ciò che il gelo e il fuoco hanno distrutto, perché i cibi bruciati, gelati e decomposti, bruceranno, geleranno e decomporranno il vostro corpo… Mangiate frutti e erbe… alimentati e maturati dal fuoco della vita…”. Il Vangelo Esseno della Pace rientra nella tipologia di scritti riferiti a Gesù il Cristo e che la Chiesa Letteralista ha bollato come apocrifi. Nell’accezione comune il termine apocrifo viene usato nel senso di “falso”. In realtà, alcune traduzioni tendono a spiegarlo nel senso di “scritto prima”, ma la traduzione più corretta, tratta dal greco antico, è quella di celato, nascosto, occulto”. Per comprendere la situazione del Cristianesimo delle origini dobbiamo presumere che, probabilmente, questo fosse privo di testi scritti e che la diffusione avvenisse per via orale. Altresì, dobbiamo presumere che i discepoli di Gesù, con l’eccezione di Matteo Levi e Giuda Iscariota, fossero analfabeti o parzialmente alfabetizzati. Il Cristianesimo delle origini, privo quindi di un canone scritto preciso, si ramificò in molteplici correnti, correlate alle popolazioni e alle tradizioni già esistenti nei luoghi in cui si stava diffondendo. Ognuna di queste correnti di pensiero cercò di affermarsi promuovendo dei testi propri, che venivano attribuiti in particolar modo ai discepoli di Gesù, oppure a personaggi riconducibili alla figura di Gesù, come per esempio Maria Maddalena, Nicodemo, Gamaliele ed altri. La corrente principale di questo periodo era quella gnostica, in cui Gnosis, dal greco, sta per “conoscenza”. Lo Gnosticismo mirava alla percezione del Divino
in noi attraverso l’autoconoscenza; il Vangelo di riferimento di questa corrente spirituale era quello secondo Tommaso, detto Didimo. Con il Consiglio di Nicea del 325 d.C., indetto da Costantino, il Cristianesimo diventa la religione di riferimento dell’Impero Romano, ma attraverso questa operazione politica, realizzata al solo fine di rinsaldare il proprio potere secolare, la situazione cambia drasticamente. Entrando nel merito, Costantino si rende subito conto delle grandi differenze presenti all’interno del mondo cristiano. Quindi, con un atto di forza, impone la predominanza della Chiesa Cattolica Cristiana, che nel tempo era stata canonizzata, basandosi sui Vangeli Sinottici, i quali in realtà sono successivi alla vita di Gesù, in particolar modo quello di Giovanni, che è poi stato quello più di riferimento nei culti della Chiesa. Una volta che questa corrente cristiana ebbe riconoscimento politico iniziò ad emarginare le altre correnti bollandole come eretiche e passando dalla dialettica alle vie di fatto. Chi promuoveva idee contrarie a quelle oramai predominanti veniva attaccato, anche ucciso, e tutti i testi venivano distrutti. La diffusione della Chiesa Cattolica Cristiana, le sue scissioni, con i suoi atti anche brutali, a cui facevano però da contraltare i grandi uomini di fede, che con la loro aspirazione e determinazione hanno raggiunto lo stato di santità, è storia. Quindi, tutti questi testi definiti apocrifi scompaiono, a mano a mano, nei secoli, così come i loro promulgatori, ad esempio i catari, che vengono perseguitati ed uccisi. A irrompere in questa situazione oramai cristallizzata sono state due scoperte archeologiche fondamentali avvenute nel XX secolo, le quali, proprio perché avvenute in un periodo in cui la diffusione delle informazioni era più difficile da mettere a tacere, sono arrivate all’attenzione dei molti. Nel 1945, a Nag Hammadi, dal luogo della scoperta, due contadini trovano una giara con all’interno tredici codici, tra cui il Vangelo di Tommaso, forse il più importante testo apocrifo. Nel 1927, Edmon Bordeaux Szekely, nei pressi del Mar Morto, trova il Vangelo Esseno della Pace. Questo testo fa probabilmente parte di una raccolta più ampia chiamata, anche qui dal luogo del ritrovamento (avvenuto nel 1947 in una grotta del Qumran), “Rotoli del Mar Morto”. Edmond Bordeaux Szekely, laureato in filosofia a Cluj, dove è nato, parlava dieci lingue moderne oltre ad essere un famoso filologo di sanscrito, aramaico, greco e latino. A Parigi nel 1928 fondò, insieme al premio Nobel per la letteratura Romain Rolland, la Società Biogenica Internazionale. E.B.Szekely è stato autore di più di ottanta libri riguardo la filosofia e le culture dell’antichità. Questi manoscritti originali sono stati scoperti e tradotti da Edmond Bordeaux Szekely. Gli esseni erano un tribù israelita, che praticava la ricerca interiore attraverso un contatto diretto con la natura e con ogni sua manifestazione. In alcune tradizioni, la conoscenza spirituale raggiunta da Gesù viene fatta risalire proprio al contatto diretto con gli esseni nel periodo della sua vita che va dall’adolescenza all’inizio della predicazione. Questa conoscenza, pur essendo inquadrabile in una prospettiva religiosa, non ha niente a che vedere con la religione intesa come sistema di potere, ma con una conoscenza arcaica, basata su metodi naturali, usati al fine di ottenere un’elevazione dello stato di coscienza. La Grande Legge degli esseni parla di armonia biochimica del corpo e di equilibrio
termico della materia. Nella saggezza primordiale contenuta in questo testo si evidenziano le correlazioni con il Taoismo, lo Yoga, lo Sciamanesimo, e con alcuni culti cristiani, come quello del Battesimo, della Comunione, degli Angeli, ecc… La saggezza essena può aiutarci ad uscire da una degenerazione psicofisica e sociale, causata dal passaggio da un mondo basato sull’amore ad un mondo basato sul potere, in qualsiasi forma venga manifestato. Ci conduce ad una rivalutazione effettiva di nostra Madre Terra, mettendo termine allo sfruttamento selvaggio delle risorse vitali del pianeta che sta portando al collasso sistemico globale. Questa traduzione di Edmond Bordeaux Szekely inizia con una frase tratta dal Maggio Francese: “Dimenticate tutto quello che avete imparato, e cominciate a sognare”. In questo testo gli uomini chiedono consiglio a Gesù su come superare problemi sia di salute che interiori e spirituali. Le risposte vertono su una purificazione profonda dell’essere realizzata attraverso metodi naturali. Una parte di questa purificazione passa attraverso pratiche quali: 1. Enteroclismi, realizzati attraverso l’Angelo dell’Acqua, e ripetuti fino a che l’acqua possa fuoriuscire dall’organismo tanto pura, così come quando è stata immessa. 2. Bagni di luce, realizzati attraverso l’esposizione del corpo nudo all’Angelo del Sole. 3. Purificazioni attraverso fanghi curativi, simboleggiati dall’Angelo della Terra. 4. Abluzioni costanti del corpo, sempre attraverso l’Angelo dell’Acqua, intermediate da purificazioni, realizzate attraverso l’esposizione del corpo all’Angelo della Terra, del Sole e dell’Aria. 5. Purificazioni attraverso l’inspirazione profonda dell’Angelo dell’Aria. 6. Controllo del potenziale sessuale attraverso l’astinenza. 7. Digiuni costanti e realizzati per periodi prolungati. In questo senso, il digiuno può essere assimilato ad una forma di alimentazione realizzata attraverso l’assimilazione dell’energia sottile dei predetti Angeli. Il digiuno viene consigliato per almeno un giorno della settimana e ripetuto in quello stesso giorno nel tempo. Noi non approfondiremo tali argomenti, ma entreremo nello specifico dell’alimentazione essena vera e propria, ed evidenzieremo dei consigli utili relativi al consumo effettivo dei pasti. Il Vangelo Esseno della Pace consiglia di nutrirsi di frutta, cereali e ortaggi crudi. L’opposizione principale che veniva fatta a Gesù è che nel patto stipulato da Dio con il popolo eletto veniva concessa l’uccisione di animali a fini alimentari. Leggendo attentamente la Bibbia, notiamo però che il primo patto stabilito tra Dio e Adamo impediva l’uccisione di animali (Genesi, Capitolo 1, Versetto 29. E Dio disse: Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la Terra, ed ogni albero fruttifero che produce seme; questo vi servirà da nutrimento”). Solo successivamente, con Noè, viene stabilito un secondo patto che ne consentiva l’uso, ma solo perché gli uomini di quel tempo non erano pronti a tali privazioni (Genesi, Capitolo 9, Versetto 3. “Tutto ciò che si muove ed ha vita vi servirà di cibo; io vi do tutto questo come erba verde”). La seconda opposizione che veniva fatta a Gesù era sul come cuocere il pane, alimento principale dell’epoca. Gesù consigliava di mettere in ammollo per un giorno, dalla mattina
alla sera, il grano, in modo che entrasse in contatto con gli Angeli dell’Acqua, del Sole e dell’Aria, e germogliasse. La sera sarebbe stato macinato, steso sottilmente su una superficie, e il giorno dopo cotto dall’Angelo del Sole. Nel Vangelo Esseno, come citato inizialmente, Gesù dice: “Non uccidete né uomini, né animali e neanche il cibo che entra nella vostra bocca. Perché se mangiate cibo vivente, quello stesso cibo vivificherà anche voi, ma se uccidete il vostro cibo, quello stesso cibo vi ucciderà. Quindi non mangiate nulla che sia stato distrutto dal fuoco, dal gelo o dall’acqua, ma mangiate solo alla mensa di Dio, che è la frutta degli alberi, il grano e le erbe dei campi, il latte degli animali e il miele delle api. Dunque mangiate per tutta la vita alla tavola di nostra Madre Terra e non vi mancherà nulla. E non siate come l’operaio ingordo che, quando era a tavola, divorava anche le porzioni degli altri e ingurgitava tutto avidamente. Alla mensa di Madre Terra troverete sempre due o tre tipi di cibo, accontentatevi di quelli e non siate golosi. E quando vi nutrite non mangiate mai fino a sazietà, fate attenzione a quanto sarete sazi e mangiate sempre un terzo in meno. Preferite sempre i frutti prodotti dai vostri alberi e non quelli giunti da terre lontane. E non disturbate il lavoro che gli Angeli compiono sul vostro corpo, mangiando più di due volte al giorno. Mangiate solo quando il sole è alto nel cielo, e mangiate di nuovo quando sarà tramontato. Masticate bene il vostro cibo e mangiate sempre lentamente. Non nutritevi quando il vostro spirito è irritato, o triste, o in assenza di appetito, perché sennò quel cibo diverrà veleno. Mangiate sempre quando la mensa di Dio è apparecchiata dinanzi a voi e mangiate sempre il cibo che vi trovate. Perché in verità, vi dico, che Dio sa bene di cosa ha bisogno il nostro corpo e quando ne ha bisogno. Sedetevi alla mensa del Padre con gioia, cosicché sia proprio l’Angelo della gioia stesso a servirvi. Mangiate come se fosse una preghiera rivolta al Vostro Signore, perché in verità vi dico, che se voi mangerete in questo modo alla Sua mensa, il potere di Dio entrerà in voi”. Questi consigli che Gesù fornisce, sia sul modo di nutrirsi, sia sull’utilizzo di un’alimentazione vegetariana cruda, hanno trovato nei secoli anche una validazione scientifica. La riscoperta del crudismo nell’ultimo secolo si deve principalmente a naturisti o medici indipendenti’’, tra i quali ricordiamo: – H.M. Scelton, saggista, attivista e pacifista statunitense, educatore alla salute, vegetariano e fautore del crudismo e del digiuno terapeutico. Egli afferma che la cottura altera il valore nutritivo dei cibi e che un corpo sano ha la capacità di ristabilirsi dalla malattia senza ausilio dell’intervento medico. Secondo l’autore, il cibo crudo deve essere riconosciuto come fondamentale e radicale ed é il più remoto perché impiegato sul piano dell’istinto e usato sin da quando la vita apparve sulla terra. Esso è il veicolo, successivo al digiuno, attraverso il quale la natura si libera dei “tessuti malati” e delle tossine. I cibi crudi permettono il processo di rinnovamento ed allontanano i processi degenerativi dando come risultato uno standard di salute veramente elevato. Qualsiasi condizione reversibile, e anche molte altre ritenute irreversibili, in presenza di alimentazione crudista e digiuno, può essere vinta. – Max Bircher Benner, medico svizzero dei primi del ‘900, è stato un pioniere della
ricerca nutrizionale. Nel 1895, all’inizio della sua carriera, notò che i pazienti affetti da disturbi cronici allo stomaco ravvisavano dei miglioramenti se alimentati con cibi crudi. Cominciò quindi ad interessarsi alle terapie di cura naturale e di cura a base di acqua, e nel 1897 fondò una clinica privata sullo Zürichberg. Bircher-Benner non riuscì a provare scientificamente che gli alimenti crudi abbiano degli effetti benefici. Sviluppò invece una teoria secondo la quale la luce del sole è la forma di energia più preziosa, e poiché le piante sono esposte alla luce solare esse contengono energia più preziosa che non la carne degli animali o i prodotti processati. Max Bircher-Benner diffuse alimenti quali frutta, insalate, noci, verdure. In questo modo rivoluzionò la dottrina nutrizionale esistente all’epoca. Egli dichiarò alimenti fondamentali quelli che nelle cucine fino ad allora venivano considerati scarti, e viceversa, orientandosi così verso la cosiddetta alimentazione femminile”. Le donne all’epoca mangiavano meno carne e più frutta e verdura. La rivalutazione dell’alimentazione femminile coincise, agli albori del ventesimo secolo, con la crescente emancipazione delle donne. Ma non è tutto. Le idee di BircherBenner si inserirono anche nel filone naturalista di inizio Novecento. Molti riformatori a quel tempo propagandavano il ritorno ad una vita a contatto con la natura come risposta all’industrializzazione e alle sue conseguenze. Al suo sanatorio di Zurigo curava i suoi pazienti con un’equilibrata dieta di materie prime vegetali e frutta, contrariamente alle credenze comuni dell’epoca. – Gandhi, noto uomo politico indiano, nonostante la sua alimentazione sia stata semplicemente vegetariana, nel suo libro “Regime e riforma alimentare” nel 1949 afferma: “Per liberarsi da una malattia occorre sopprimere l’uso del fuoco nella preparazione del pasto”.
3 Anatomia comparata dell’essere umano “Lascia che il cibo sia la tua medicina, e la medicina sia il tuo cibo.” (Ippocrate)
Per una corretta comprensione dell’argomento occorre fare uno sforzo su se stessi: si devono, cioè, lasciare da parte tutte le teorie e le ipotesi sull’alimentazione dell’uomo preistorico che grosse forze economiche ed una scienza asservita al potere e al profitto hanno cercato di farci accettare a tutela di determinati interessi. Si deve invece cercare di dare risposte soddisfacentemente accettabili agli interrogativi suscitati da tale tema, utilizzando il buon senso, la logica elementare e i nostri orientamenti istintivi: sono, questi, tre semplici ma potenti strumenti di indagine di cui tutti disponiamo e che dobbiamo rivalutare ed usare con determinazione. Occorre partire da un dato di fatto incontestabile: i nostri antichi progenitori non erano carnivori, non erano erbivori, non erano onnivori, erano semplicemente dei fruttariani e lo furono per moltissimi anni, i primi della loro esistenza. Essi, non ancora bipedi, vivevano sugli alberi della foresta, che dava loro l’unico cibo al quale la specie umana è biologicamente adatta, cioè la frutta succosa e dolce, che ancora oggi istintivamente appetiamo e cerchiamo da piccoli finché conserviamo i nostri sani istinti alimentari. Quindi noi tutt’ora nasciamo fruttariani, non ci sono dubbi, non ce ne possono essere, da bambini desideriamo e rubiamo la frutta, non la carne, non la verdura, essendo attirati unicamente dal cibo più confacente alla nostra struttura psicofisica e quindi nutrizionalmente ottimale, come l’anatomia comparata, la fisiologia comparata ed altre discipline scientifiche comprovano. Focalizzarsi sull’anatomia e sulla fisiologia umana rappresenta infatti il modo migliore per affrontare la questione. La “classe dei carnivori” si distingue dalla struttura fisica predatoria (artigli, canini sviluppati), mascelle con movimento solo verticale per ghermire e bloccare la preda, intestino breve (solo 3 volte la lunghezza del proprio tronco) per evitare una sosta prolungata della carne ingerita facilmente putriscibile, secrezione gastrica fortemente acida (10 volte più abbondante rispetto ad un animale erbivoro) per digerire le abbondanti proteine, presenza dell’uricasi (enzima che neutralizza l’eccesso di acido urico), mancanza di pori sulla pelle (per evitare fenomeni di cristallizzazione dei sali dell’acido urico e conseguenti artriti), mancanza della ptialina nella saliva (inutile se non si devono digerire amidi), liquidi organici a pH acido, attitudine allo scatto e alla potenza
ma scarsa resistenza. La “classe degli erbivori” è caratterizzata da struttura fisica forte ma non aggressiva, dentatura priva di veri incisivi superiori per addentare frutti e di canini per dilaniare, molari adatti a triturare l’erba, mascella provvista anche di movimento laterale, saliva ricca di ptialina, intestino lungo sino a 20 volte il tronco, 4 stomaci comprensivi di camera di fermentazione (nella quale possono svilupparsi i batteri che trasformano la cellulosa e le fibre indigeribili dei foraggi in preziose proteine). La “classe degli onnivori” è infine composta da parenti stretti dei carnivori, in grado di adattarsi ad una dieta più varia ma paludati di molte caratteristiche fisiche dei carnivori stessi e di una certa aggressività, come ad esempio il cane o l’orso. Adesso osserviamo l’uomo: struttura fisica non offensiva (priva di naturali strumenti per conquistare le prede), tubo digerente lungo dodici volte la lunghezza del tronco, mandibole deboli e non pronunciate capaci di movimenti verticali e orizzontali, secrezione salivare provvista di ptialina, dentatura sviluppata soprattutto negli incisivi per mordere e addentare frutti e nei molari piatti e robusti per macinare semi, stomaco debole e poco acido, mancanza dell’uricasi, campo visivo ampio, stereoscopico e visione dei colori per individuare meglio i frutti colorati, ghiandole sudorifere diffuse in tutto il corpo; inoltre il suo intestino ha bisogno di stimoli che favoriscano il movimento peristaltico come frutti, cereali ed ortaggi, che a differenza della carne hanno questa attitudine. La grande capacità dell’intestino crasso e del colon dimostra la loro conformazione adeguata per la sosta ed il transito di scorie di cellulosa e lignina (fibre), eventi che non si verificano nel caso dell’alimento carneo privo di scorie indigeribili. Il crasso inoltre per ottimizzare la sua funzione deve avere un contenuto acido: i semi, le radici e i frutti lasciano in esso residui acidi, mentre le carni lasciano residui alcalini (ammoniaca e altre basi). Da tutto questo l’uomo non sembra rientrare né nella classe dei carnivori, né in quella degli erbivori e tanto meno in quella degli onnivori, mentre invece presenta tutte le caratteristiche della “classe dei frugivori” (le scimmie ad esempio) ed in modo minore quelle della “classe dei granivori” (tipo scoiattolo o topo). L’uomo ha una mano pensile come le scimmie e i roditori, adatta per afferrare e cogliere frutti ed oggetti tondeggianti; inoltre se consideriamo la placenta, che il biologo inglese T. H. Huxley riteneva la miglior base per la classificazione della specie, l’uomo è sicuramente da ritenere appartenente alla categoria dei frugivori dato che la placenta umana è discoidale come quella delle scimmie antropoidi. Anche la posizione della mandibola e della dentatura inferiore, rientrante rispetto alla dentatura superiore, è tipica non solo dell’uomo ma anche delle scimmie e degli animali vegetariani in genere. Pare proprio che l’uomo abbia come cibo elettivo semi, frutta, verdure e ortaggi. Del resto è provato che allo stato naturale si può vivere in perfetta salute nutrendosi soltanto di frutti e radici: ne danno un valido esempio gli indigeni delle isole Marianne che, pur essendo vegetariani, nutrendosi solo di frutti e radici crude e non cuocendo nessun alimento, sono forti ed in grado di trasportare sulle spalle fino a 250 kg, esenti da malattie e con durata della vita media nettamente superiore a quella europea. Quindi per ogni specie animale esiste un cibo adatto, più di qualsiasi altro, a quella
specie, e la frutta succosa e dolce è, appunto, il cibo più adatto naturalmente alla specie umana. Scientificamente questo è spiegabile facilmente dato che esiste una stretta relazione, profonda ed atavica, tra un certo tipo di alimento e la struttura anatomofunzionale dell’animale che di esso si nutre; tale relazione costituisce garanzia di conservazione e di salute per quell’organismo, il quale, pertanto, è, ovviamente, attratto istintivamente” da quello specifico alimento. Quell’organismo è, in conclusione, predisposto, per legge naturale, in modo ottimale, alla ingestione e alla digestione di quell’alimento soprattutto e più di ogni altro alimento. Una simile tesi è scientificamente sostenibile per molti motivi e soprattutto per i seguenti, da tenere sempre presenti: – I cereali danno dei frutti secchi (cariossidi) che, se interi, sono inadatti ad alimentare l’uomo, mentre sono adatti, per esempio, a nutrire uccelli granivori, che sono fomiti di un apparato digerente appositamente strutturato per la digestione di questi frutti/semi delle graminacee (famiglia alla quale appartengono i cereali) e ben diverso da quello umano. L’uomo soltanto ricorrendo ad artifici riesce ad utilizzare i cereali: con la molitura e poi con la cottura, ricavando alla fine dei prodotti morti, privati, fra l’altro, del corredo vitaminico. – All’uomo si addicono solo i frutti crudi (cioè “vivi”), carnosi e dolci, che costituirono – si ripete – la sua unica fonte di alimentazione nella preistoria e che contengono più o meno la stessa percentuale media di acqua presente nel corpo umano (65%). – La digestione degli amidi dei cereali è particolarmente onerosa in quanto a dispendio energetico e alla fine approderà alla formazione terminale di monosaccaridi (cioè zuccheri semplici, come, per esempio, il glucosio) che troviamo già presenti, pronti ad essere assorbiti senza fatica, nella frutta carnosa e dolce. Se, invece, si fa riferimento non all’uomo come fruitore di cereali, ma ad altri animali, l’affermazione secondo la quale è corretto l’utilizzo alimentare dei cereali è scientificamente valida. Del resto si è già visto che per gli uccelli granivori le cariossidi (integre) dei cereali costituiscono cibo adeguato. – Ma la questione fondamentale è qui inoltre focalizzata sulle proteine nell’alimentazione umana, e uno dei punti qualificanti è senza dubbio quello che riguarda le proteine della frutta, che costituirono per millenni l’unico cibo dell’uomo preistorico. L’uomo, però, ad un certo momento del suo passato preistorico divenne carnivoro e la carne, si sa, è un alimento eminentemente proteico, che continua ad essere presente nella comune dieta di gran parte dell’umanità.
4 Quali furono i motivi dell’avvento del carnivorismo nella vita dell’uomo? “Non c’è uomo che non possa bere o mangiare, ma sono in pochi in grado di capire che cosa abbia sapore.” (Confucio)
Durante la preistoria dell’uomo si verificarono eventi meteorologici e geologici che alterarono profondamente l’ambiente. In particolare vennero alterati i biomi vegetali dai quali l’uomo traeva il proprio nutrimento. Avvennero: glaciazioni (espansioni dei ghiacciai), interglaciazioni (ritiri dei ghiacciai e avvento di climi più caldi), periodi di forte inaridimento climatico (siccità), periodi di aumenti eccezionali di piovosità (pluviali). Per l’uomo fu particolarmente importante l’ultima glaciazione, denominata WURM, per la precisione WURM III, dell’era quaternaria (pleistocene). Tale immane glaciazione comportò l’avanzata dei ghiacciai su gran parte delle regioni euroasiatiche, con conseguente distruzione delle foreste e con effetti che si protrassero sino a 10.000 anni fa circa. Ma coeve di tale glaciazione furono le intensissime precipitazioni (pluviali) che si verificarono in Africa; ed anche questi eventi climatici furono gravidi di conseguenze per l’uomo. A tali precipitazioni pluviali fecero seguito delle fasi di calo drastico delle piogge e di conseguente inaridimento del clima. A tutto questo bisogna aggiungere gli effetti della formazione della Great Rift Valley, lungo la quale l’Africa si è come spaccata a causa di un grandioso effetto tettonico, ancora oggi in corso. L’insieme di tali eventi provocò notevolissime riduzioni delle foreste che si trasformarono prevalentemente in savane. L’uomo fu così costretto ad assumere le caratteristiche di un animale da savana, per sopravvivere, fu costretto a cibarsi di quello che in tale ambiente trovava. Vi trovò le graminacee, piante che richiedono spazi aperti, luce solare diretta, condizioni offerte dalla savana e non dall’ombrosa foresta donde l’uomo proveniva. Ora, le graminacee, come abbiamo già detto prima, producono frutti secchi, inodori e insapori: sono, insomma, cibo per uccelli. Con artifizi l’uomo riuscì, con l’aiuto del fuoco, ad utilizzare queste cariossidi. Ma l’evento più rivoluzionario che occorse all’uomo che si comportava come un animale da savana fu il ricorso, a scopo alimentare, alla carne degli erbivori abitatori della savana, divenendo così, per necessità, un mangiatore di carne, sempre però con l’aiuto del fuoco, non potendo mangiare crudi né le cariossidi dei cereali, né le carni. Senza l’artifizio della cottura dei cereali, l’uomo non avrebbe potuto diventare
l’“onnivoro” odierno, giacché le sue caratteristiche anatomiche naturali, da sole, non glielo avrebbero consentito. L’impatto con le innaturali deviazioni alimentari (cereali e proteine di cadaveri di animali, peraltro cotti cioè morti), ebbe, per l’uomo, conseguenze catastrofiche in termini di salute e di durata della vita. Reay Tannahill nella sua “Storia del cibo” ci dice che addirittura “durante il periodo dei neanderthaliani meno della metà della popolazione sopravviveva oltre i 20 anni e 9 su 10 degli adulti restanti morivano prima dei 40 anni”. In conseguenza dei disastrosi effetti di tali eventi sconvolgenti sul clima e sulla vegetazione, l’uomo non potette più affidarsi ai vegetali per nutrirsi e dovette ricorrere alla carne. Ma l’uomo è inerme, quindi non è per natura carnivoro, essendo sfornito anatomicamente dei dispositivi atti ad inseguire, uccidere e masticare, crude, le carni degli erbivori. Si pensa pertanto che l’uomo primitivo non sia stato, all’inizio, tanto un cacciatore quanto uno spazzino, che si nutriva delle prede fatte da altri animali veramente carnivori, mancandogli anche la insensibilità necessaria per aggredire ed uccidere con le proprie mani degli animali pacifici e innocenti, oltre che inermi. Forse, adoperando sassi e bastoni, l’uomo riusciva ad allontanare il leopardo dall’antilope uccisa, se ne impossessava e la trascinava al sicuro nel suo rifugio, sfociando nel comportamento che è stato chiamato “sciacallaggio”. Inoltre l’uomo non si limitò a sottrarre agli animali carnivori parte delle loro prede, ma fu costretto anche, quando non trovava da esercitare tale funzione di sciacallaggio, a cacciare direttamente, forzando la sua naturale nonaggressività, spintovi sempre dalla necessità di trovare i mezzi per sopravvivere. Per fortuna oggi non esistono più le ragioni di forza maggiore che obbligarono i nostri antenati ad alimentarsi con cadaveri di animali per assicurarsi il fabbisogno proteico; pertanto da molto tempo l’uomo ha inserito in misura crescente frutta, verdura e ortaggi crudi nella propria dieta.
5 Le proteine vegetali “Gli animali si nutrono, l’uomo mangia e solo l’uomo intelligente sa mangiare.” (Jean Anthelme Brillat-Savarin)
Quando si parla di proteine, qualificandole come uno dei cosiddetti principi alimentari, occorre sempre tener presente che tutti codesti principi partecipano assieme, alla sintesi della materia cellulare: deve prevalere, cioè una visione olistica, globale, “sinfonica”, in quanto tutti i nutrienti sono interdipendenti e tutti sono egualmente indispensabili. Si può essere certi che, viceversa, una visione settoriale dà luogo a valutazioni errate. Del resto, tale interdipendenza è comprovata dal fatto che le proteine sono mal digerite in assenza di vitamine e che il loro metabolismo dipende da quello dei glucidi e dei lipidi, almeno in parte. Questo ci fa pensare subito al nostro cibo naturale, la frutta, dove, appunto, la coesistenza ed interdipendenza dei diversi principi alimentari dà luogo ad un complesso (fitocomplesso) armonioso che rappresenta, nel contempo, l’optimum anche dal punto di vista nutrizionale. Abbiamo prima affermato che l’uomo della foresta, dove aveva vissuto per milioni di anni, dovette passare nella savana. Ora, nella foresta era fruttariano, mentre nella savana, difettando la frutta, dovette divenire carnivoro; forse l’organismo umano, adattandosi alla alimentazione carnea, assunse le caratteristiche anatomiche e fisiologiche tipiche dei carnivori? No. Conservò le caratteristiche del fruttariano. Oggi, infatti, dopo milioni di anni di innaturale alimentazione carnea, le nostre unghie non si sono trasformate in artigli, il nostro intestino non si è accorciato, i nostri canini non si sono allungati trasformandosi in zanne, il nostro succo gastrico non ha aumentato la sua originale e debole acidità tipica dei primati, il fegato non ha esaltato la sua capacità antitossica, né è scomparsa l’istintiva attrazione esercitata sull’uomo in età infantile dalla frutta così come l’istintiva repulsione esercitata dalla carne sul bambino appena svezzato. utti questi segni spiegano come le proteine eccessive presenti nella carne, oltre a provocare danni enormi, non sono riuscite a modificare la struttura anatomica dell’uomo: ciò dimostra che l’alimentazione carnea è così estranea agli interessi nutrizionali e biologici dell’uomo ma anzi ha subito le pesanti conseguenze di un innaturale carnivorismo per lunghissimo tempo. Le proteine sono mattoni di componenti più piccoli definiti “aminoacidi”. I 22 aminoacidi (21 secondo alcuni, 23 secondo altri) esistenti negli alimenti si dividono, secondo la nutrizionistica ufficiale, in due categorie: quella dei 14 aminoacidi che possono essere prodotti (sintetizzati) dall’organismo umano e quella degli
aminoacidi chiamati “essenziali” (8 o 10) che invece si ritiene non possano essere sintetizzati dall’organismo umano e pertanto dovrebbero essere assunti con gli alimenti. La sottoscritta si è più volte dichiarata contraria a tale teoria, dimostrando che gli aminoacidi essenziali” sono un autentico “mito”. Tuttavia, ammettendone pure la reale esistenza come la medicina ufficiale pretende, è legittimo formulare questa domanda di fondamentale importanza: da dove trassero, i nostri progenitori arboricoli, gli aminoacidi oggi chiamati essenziali, ritenuti indispensabili alla vita, durante i milioni di anni in cui furono abitatori della foresta e sicuramente solo mangiatori di frutta? La risposta ad una simile domanda non può essere che una sola, dettata dalla logica elementare e dal buon senso: evidentemente solo dalla frutta, anche se, secondo il parere di alcuni paleoantropologi, venivano probabilmente aggiunte alla frutta altre parti succulente di vegetali. E poiché noi oggi continuiamo a possedere quelle stesse caratteristiche anatomiche, fisiologiche ed istintuali di quei nostri progenitori, dobbiamo dedurre che le proteine della frutta sono qualitativamente e quantitativamente sufficienti a garantire in modo ottimale la vita dell’uomo anche oggi. Partendo da queste e da altre considerazioni il prof. Alan Walker, antropologo della John Hopkins University, è giunto alla conclusione che “la frutta non è soltanto il nostro cibo più importante, ma è l’unico al quale la specie umana è biologicamente adatta”. Per comprovare tale affermazione, Walker ha studiato lungamente le stilature ed i segni lasciati, nei reperti fossili, sui denti, dato che ogni tipo di cibo lascia sui denti segni particolari; scoprì, così, che “ogni dente esaminato, appartenente agli ominidi che vissero nell’arco di tempo che va da 12 milioni di anni fa sino alla comparsa dell’Homo erectus, presenta le striature tipiche dei mangiatori di frutta, senza eccezione alcuna”. Istintivamente, quindi, i nostri progenitori mangiavano quello che la natura offriva loro, cioè la frutta matura, colorita, profumata, carnosa, dolce. Ed è facile immaginare che i nostri progenitori mangiassero la frutta spensieratamente, nulla sapendo sulla quantità e sulla qualità di proteine contenute nella frutta, guidati unicamente dall’istinto. E se la passavano bene. Esiste, quindi, iscritta biologicamente nell’atto di nascita della nostra struttura anatomica e della nostra fisiologia, una continuità nutrizionale tra il latte materno e la frutta”, per cui possiamo a giusto titolo considerare questi due alimenti i prototipi alimentari ancestrali dell’uomo. Partiamo dall’argomento “latte materno”, che funzionerà da battistrada nella dimostrazione della sua continuità nutrizionale con la frutta. É noto che entro il sesto mese di vita extrauterina l’uomo giunge a raddoppiare il proprio peso e a triplicarlo entro il dodicesimo, alimentandosi unicamente con il latte materno. Tutti i testi di chimica bromatologia e di fisiologia umana ci informano che il latte materno contiene 1-1,2% di proteine. Ebbene, non è proprio così, in quanto, sino a 5 giorni dopo la nascita del figlio, il latte umano contiene il 2% di proteine, e questa percentuale, a partire dal sesto giorno, comincia a calare progressivamente e lentamente sino a raggiungere, dopo 3-4 settimane, 1-1,3% e, dopo 7-8 settimane, 1-1,2%, percentuale che verrà poi mantenuta più o meno costante sino alla fine dell’allattamento. Si constata, in sostanza, un evidente e regolare decremento del contenuto proteico del nostro unico “primo alimento” a misura che il neonato si avvia, con la comparsa progressiva dei denti, ad acquisire capacità masticatorie. Raggiunta tale capacità ha termine quel periodo, dalla nascita allo
svezzamento, che costituisce indubbiamente la fase anabolica più impegnativa, più intensa e più difficile dell’intera vita umana e che superiamo, come si è visto, con un cibo (il latte materno) contenente le modeste percentuali di proteine prima indicate. Se sussiste una continuità nutrizionale tra il latte materno e la frutta bisogna tenere presente quello che ripetutamente abbiamo già affermato e cioè: 1. All’uomo non si addicono cibi ad alto contenuto proteico, che risulterebbero dannosi alla sua salute. 2. L’uomo ha un fabbisogno singolarmente modesto di proteine, come è facilmente dimostrabile esaminando il latte materno. Poiché la velocità di accrescimento è massima nei primissimi giorni di vita e poi via via decresce, è logico anche che la percentuale delle proteine contenute nel latte, e che costituiscono il necessario materiale di costruzione, debba seguire lo stesso andamento. L’accrescimento ponderale dell’individuo continua, come si sa, anche dopo la comparsa dei denti, per terminare tra i 21 e 24 anni, ma con una velocità estremamente ridotta rispetto a quella del lattante. È pertanto del tutto ovvio che l’alimento che subentrerà al latte materno dovrà avere una percentuale di proteine corrispondente ai reali bisogni di proteine dell’individuo non più lattante, in linea con la decrescenza, prima comprovata, di tali fabbisogni. Il corpo umano, quindi, osserva proprio questa regola, cioè la cosiddetta “legge del minimo”, che a nostro parere potrebbe anche (e forse “meglio”) chiamarsi “legge dell’optimum”, in quanto, se l’individuo ingerisce cibi contenenti dei nutrienti in quantità eccedenti il proprio fabbisogno, tale eccesso diviene per l’organismo una vera e propria scoria tossica ed il corpo cerca in tutte le maniere di sbarazzarsene, cosa che avviene in speciale modo per le proteine. Poiché la velocità di accrescimento dell’individuo non più lattante è decisamente inferiore a quella che aveva durante l’allattamento, è naturale ed ovvio che il contenuto proteico del primo cibo solido che l’uomo assume dopo lo svezzamento debba essere inferiore a quello del latte materno, in armonia con il reale diminuito bisogno di proteine. Ebbene, tale cibo non può essere che la frutta, che ha, appunto, in media, un contenuto proteico adeguato ai bisogni nutrizionali normali della fase successiva allo svezzamento: cioè, mediamente inferiore a quella riscontrata nel latte materno che nel periodo terminale dell’allattamento si aggira attorno all’1,2%, come si disse. Tutti i vegetali, anche i più negletti e poco noti, contengono proteine, nessuno escluso. Questo è un punto fermo, che occorre tenere sempre presente. Ecco un elenco dei frutti carnosi con i relativi contenuti proteici, in percentuale: 0,8 albicocca 0,9 anguria 0,9-1,3 arancia 2,6 avocado 1,4 banana 0,9 cetriolo 1,2 ciliegia 2,2 dattero 1,5 fico 0,8 fico d’india
0,95 fragola 1 kaki 1,4 lampone 0,9 limone 1 mandarino 0,35 mela 1,3 melone 1 mora 0,45 nespola 1,2 peperone 0,6 pera 7 pesca 1 pomodoro 0,8 prugna 1-1,4 uva 1,5 zucchina media: 28,75/26 =1,1% Ed ecco le percentuali di proteine presenti negli ortaggi più comuni, limitatamente a quelli che si possono utilizzare crudi: 1,8 asparago 1,2 barbabietola 1,6 barbabietola rossa 2,4 carciofo 2,6 cavolfiore 1,2 carota 1,6 cicoria 1,4 cipolla 1,3 cavolo verza 1,9 cavolo rosso 1,9 finocchio 1,3 lattuga e simili 1,7 pastinaca 2 porro 1 ravanello 1,3 sedano (foglie/gambi) 1,5 sedano-rapa 2 spinacio
Ripetiamo, e ne parleremo ancora in seguito in ambito prettamente sportivo, all’uomo non si addicono cibi ad alto contenuto proteico, come, per esempio, derivati del latte, semi, uova, legumi, ecc., per non parlare della carne. Peraltro, molte di queste proteine andrebbero sprecate in quanto l’organismo espelle con le feci, indigerite, una buona parte di queste (quelle che non riesce ad espellere in questa maniera, se sono ancora eccessive, cercherà di deaminarle trasformandole in composti ternari, cioè in zuccheri e grassi e poi ancora, se neanche ciò basta, se ne sbarazzerà mediante un lavoro straordinario del fegato e dei reni). Questo perché “il grado di utilizzazione delle proteine di un determinato alimento è tanto più grande quanto più modesta è la percentuale di proteine che quell’alimento contiene”. La marcia di ritorno dell’uomo al suo originario crudismo non è un disegno utopico, non è un sogno, è una realtà, avendo dimostrato che la carica proteica della frutta rappresenta l’optimum per l’approvvigionamento azotato dell’uomo. Sul piano pratico, fisico e sportivo saremo incoraggiati a farlo dalla constatazione che la nostra salute fisica, la nostra efficienza intellettuale e la nostra performance nelle attività sportive migliorano in maniera evidente a misura che si avanza verso il crudismo.
6 Il mito dell’integrazione proteica “Quanto più velocemente metti in discussione la vecchia percezione, tanto prima trovi nuovi significati.” (Sri AmmaBhagava)
Il dramma sul fabbisogno proteico ottimale
Cominciamo con l’evidenziare che ci sono muscoli e muscoli. Muscoli costruiti in modo ottimale e muscoli messi su biochimicamente. E ci sono anche sostanze che, al di là delle apparenze, distruggono i muscoli anziché edificarli. Queste sostanze si chiamano proteine nobili di provenienza animale. Mito della questione: abbuffarsi di proteine animali non serve a gonfiare i muscoli. Alti consumi di proteine non influiscono sulla sintesi delle proteine corporee. Continuano a circolare troppi pregiudizi sulla faccenda proteine. Tutto parte dal dogma sbagliato, per cui proteina uguale forza fisica e rendimento atletico, quando in realtà è stato dimostrato, sia dalla ricerca scientifica che dalle statistiche, che le cose non stanno affatto in quei termini. La proteina animale non è un cibo idoneo per l’uomo: su questa asserzione non ci sono ormai più dubbi, una copiosa letteratura l’attesta e lo documenta. In subordine è quantomeno ampiamente provato che non è indispensabile per la salute dell’uomo. Il completo controllo dei poteri industriali sui mezzi d’informazione impedisce che queste importanti conoscenze siano di dominio pubblico, ma, nonostante tutto, il processo di diffusione su mezzi alternativi è incominciato e si ritiene che sia ormai inarrestabile. La dannosità della proteina animale non dipende soltanto dalla somma di sostanze chimiche, spesso di sintesi, aggiunte ai mangimi nella moderna pratica d’allevamento industriale: antibiotici, tireostatici, betabloccanti, estrogeni, sali di zinco, vaccini, anemizzanti, che sono somministrati agli animali stabulati anche per preservarli dalle malattie che li colpirebbero a causa delle innaturali condizioni in cui sono tenuti. Questo fatto con certezza contribuisce ad aumentarne la dannosità, ma anche la proteina derivante da animali allevati nelle migliori condizioni possibili è nociva. Il secondo dogma nasce sempre dal primo, per cui si va a pensare che l’ipertrofia muscolare è una forzatura innaturale e richiede assolutamente un’alimentazione innaturale, alto-proteica e stimolante, per cui la massa degli atleti non si pone nemmeno
il dubbio se sperimentare la via naturale per ottenere i muscoli, e mancano dunque del tutto delle statistiche al riguardo. Il muscolo si sviluppa con l’esercizio, non con la proteina e l’integratore. Credo che l’equivalenza muscolo sviluppato uguale proteina animale più integratore sia un mito, un pregiudizio e un dogma sbagliato su tutti i fronti. Lo dico anche in termini di logica. Nessun cibo naturale o innaturale al mondo è dotato di per sé di intelligenza creativa o distruttiva, di poteri magici salutari o patologici, ma soltanto di caratteristiche eduli o velenose. Accelerare il metabolismo non significa nutrire il muscolo. È sempre il corpo col suo sistema immunitario ad agire e reagire alle sostanze molecolarmente inerti che gli propiniamo. Il purgante, ad esempio, non ha potere purgativo, ma soltanto irrita l’intestino, il quale (obbedendo al sistema immunitario) reagisce ed espelle la massa fecale. La proteina e l’integratore non hanno di certo potere nutriente filo-muscolare, ma soltanto irritano e stimolano il sistema immunitario col noto schema dopante leucocitositachicardia che può al massimo favorire, al pari di un comune sostegno caffeinico o nicotinico, un’accelerazione nel metabolismo e negli effetti nutritivi di breve periodo. Quando una dieta avvelena il sangue, causandogli viscosità e lipotossicità, va poi a causare tutti i danni possibili ed immaginabili a fegato, pancreas, ghiandole e soprattutto al sistema renale e sessuale, compromettendo nel contempo le funzioni digestive, assimilative ed espulsive, causando stitichezza, rettocoliti, ileiti, diverticoliti e tutto il resto. Risultato, nulla di maggiormente catastrofico per la salute atletica. Un motore che funziona al massimo rendimento è sempre e solo un motore pulito, privo di fumi, di perdite e di sprechi, e non certo un motore spinto ad additivi e ottani aggiunti. Anche gli esperimenti che sono stati fatti indicano che un animale di laboratorio vive gioiosamente con una dose molto limitata di proteine garantendo un consumo di grassi e carboidrati adeguato. Semplicemente, il corpo inizia a ridurre l’ossidazione degli aminoacidi in modo da risparmiare i composti contenenti azoto, cioè le nostre proteine muscolari. La dieta vegana è talmente efficiente da permettere persino il riciclaggio di detriti cellulari e scorie. Nel lungo periodo e in prospettiva di risultati stabili, ottimali e vincenti, quello che conta, per la gente normale come per tutti gli atleti delle varie specialità, rimane: 1) Un sangue fluido capace di mantenere il metabolismo (nutrizione-pulizia cellulare) efficiente. 2) Una respirazione profonda e ritmata, in grado di sfruttare al massimo la nostra capacità polmonare. 3) Una carica elettromagnetica solare che si trasformi in alto livello di vitalità (e che deriva da esposizione all’aria e al sole a pelle nuda, oltre che dall’energia solare e dall’alto grado di vibrazione dei cibi che assumiamo).
4) Una molla motivazionale superiore. 5) Una alimentazione bilanciata e priva di carenze (il più possibile priva di acidificazioni, putrefazioni, fermentazioni, leucocitosi digestive, letargie assimilative, costipazioni e stitichezze), e quindi vivificante, tendenzialmente crudista, ricca di acqua biologica zuccherina e di clorofilla, accompagnata dal mix naturale minerale-vitamina-enzimaormone tipico della frutta matura e della verdura cruda (il che implica l’esclusione di cibi concentrati-cotti-salati-zuccherati-devitalizzati, oltre che delle proteine animali dopanti-putrefattive-acidificanti-leucocizzanti e liberoradicanti). 6) Una spiccata capacità di stretching e di relax, con adeguato sonno e riposo, come ricarica-batterie. 7) Un allenamento muscolare intensivo, adeguato alla specialità e al fabbisogno di ognuno, perché è la funzione che fa l’organo, niente altro che la funzione (corroborata dalle altre 5 condizioni). Ricordare che le proteine vegetali, inoltre, quelle dei germogli, dei vari semini pestellati e della frutta oleosa, coprono abbondantemente ogni falla ed anche ogni vecchia abitudine esagerata alla sostanza grasso-proteica, anche se prese in quantità minime ma sistematiche. Siamo disegnati per un apporto proteico minimo e anche quelle poche proteine richieste, non devono arrivare per forza da altre proteine. Esistono le carenze mineralvitaminiche, ormonali, idriche, e caloriche, ma non quelle proteiche. Riscontri a tutto campo Il riscontro arriva non solo dal fatto che ci manca nello stomaco l’acido cloridrico concentrato per disgregare il guscio proteico e trasformare le proteine in assimilabili aminoacidi. Gli animali onnivori hanno 10 volte più acido cloridrico di noi e un intestino molto breve, circa 3-4 volte la lunghezza del tronco. Il riscontro arriva non solo dal fatto che abbiamo quindi un lungo, spugnoso e complesso intestino, inadatto alle proteine e ideale per i carboidrati vivi, per i fitonutrienti e per le cellulosa delle verdure. Le proteine della carne, nelle condizioni di temperatura del tratto digestivo, sono soggette a processi putrefattivi con sviluppo di sostanze tossiche che è bene che non siano assorbite, ed è per questo motivo che i carnivori hanno un intestino breve, che permette di ridurre il tempo di permanenza all’interno del corpo ed il conseguente rischio d’assorbimento delle tossine della putrefazione. Il chimismo delle nucleoproteine è una delle tante prove che l’uomo non è un animale adatto per natura a nutrirsi di proteine animali; le nucleoproteine sono le proteine che costituiscono il nucleo d’ogni cellula, tra loro si annoverano gli acidi nucleici e le proteine basiche; gli acidi nucleici sono formati dall’unione di 4 (o 5) “nucleotidi”. Ogni nucleotide è costituito da una base azotata unita ad uno zucchero esterificato con acido fosforico. Le nucleoproteine vegetali contengono basi azotate prevalentemente del gruppo pirimidinico (timina, citosina, metilcitosina, uracile); il loro metabolismo, basato su processi ossidativi, dà, come prodotto finale urea, eliminata normalmente dall’uomo con
l’urina. Le nucleoproteine animali contengono invece prevalentemente basi azotate del gruppo purinico (“purine”: adenina, ipoxantina, xantina, guanina); queste basi danno come prodotto finale, acido urico. Nei carnivori tale acido è trasformato, mediante un particolare enzima, di cui sono provvisti provvisti (detto “uricasi”), dapprima in allantoina alla ntoina e poi per idrolisi in urea e quindi, quindi, come tale, eliminato. eli minato. Nell’uomo e nelle scimmie antropomorfe (che non possiedono il suddetto enzima) l’acido urico proveniente dall’uso alimentare della carne si combina con il sodio e si deposita soprattutto nelle articolazioni, sotto forma di urato di sodio, provocando dolori, tumefazioni, e deformazioni (gotta). Sintomi tipici della sindrome uricemica, che invece è del tutto assente nei carnivori. carnivori. Nell’uomo evidentemente la capacità uropoietica del fegato, in altre parole la capacità di quest’organo di fabbricare urea, è insufficiente a smaltire il carico derivante da consistenti quantità di proteine animali ed il processo uropoietico si ferma a metà, cioè all’acido urico. Tutte le proteine animali animal i non sono sono adatte all’alime al l’alimentazione ntazione umana, perché: perché: 1. Sono alimenti iperpr ipe rproteici oteici ed e d a causa dell’eccesso del l’eccesso di azoto, che l’organismo umano non non può utilizzare, causano nefropatie nefropatie di varia natura, iperuricemia, iperuricemia, gotta, gotta , ecc. Le proteine animali, contenute nel pesce, nei volatili, nelle carni rosse, oltre che nelle uova e nei latticini, latti cini, tendono ad impoverire l’osso di calcio ed a favorirne favorirne la perdita con le urine. Le proteine vegetali, contenute nei legumi, nei cereali, nelle verdure, non sembrano avere questo effetto. Sulla base di numerosi studi di popolazione, disponibili nella letteratura scientifica, l’American Dietetic Association (la principale associazione di Nutrizionisti Americani), afferma che le diete vegetariane e vegane, correttamente bilanciate, sono in grado di fornire all’organismo un perfetto apporto proteico. Anche gli studi epidemiologici, condotti su popolazioni rurali cinesi hanno evidenziato come un apporto proteico, in larghissima parte di fonte vegetale, soddisfi in pieno le esigenze nutrizionali di chi svolge abitualmente lavori pesanti. 2. Sono alimenti acidificanti, che impoveriscono tutti gli umori cellulari di riserve alcaline, nel tentativo di neutralizzarne gli effetti, bloccando i prodotti terminali del catabolismo, causando così: fatica cronica, maggiore sensibilità alle infezioni per l’abbassamento delle difese immunitarie dell’organismo e, sottraendo calcio e magnesio alle all e ossa, con conseguenti conseguenti osteoporosi e artriti. 3. Non contengono fibre indigeribili, presenti, invece, nella frutta e nella verdura, necessarie a stimolare la motilità intestinale. Un’alimentazione prevalentemente carnea causa: stitichezza, tossiemia, obesità, vene varicose, emorroidi, diverticoliti, appendiciti, cancro intestinale (statisticamente al secondo posto come frequenza) e malattie cardiovascolari. 4. Anche se contengono piccole quantità di vitamine idrosolubili (gruppo B) e liposolubili (A, D, E), queste vitamine, di fatto, con la cottura vengono tutte inattivate, a causa della loro termolabilità. 5. Contengono grassi saturi e colesterolo (anche quelle carni cosiddette “magre”), responsabili di molteplici effetti dannosi all’interno dell’organismo umano. I grassi
animali sono risultati strettamente associati a: cancro al colon, mammella, prostata, ovaie, endometrio e pancr pa ncreas eas ed e d al rischio di arteriosclerosi. È inoltre, scientificamente provato che un’alimentazione troppo ricca di grassi saturi provoca steatorrea ed a lungo andare perdite di vitamina B12 e di calcio. Studi su flussi migratori, su popolazioni umane e altri a ltri dati supportano supportano un effetto effetto carcinogeno dei grassi nella dieta, anche se problematiche metodologiche impediscono di evidenziarne la correlazione in maniera chiara. 6. Sono alimenti cancerogeni, comprovati da numerosi studi sul cancro, condotti su popolazioni di vegetariani, vegeta riani, in cui si evidenzia un ridotto rischio globale di incidenza i ncidenza e di mortalità per cancro, rispetto ai non-vegetariani. In particolare, le carni bovine stimolano la produzione di acidi biliari, su cui agiscono alcuni microrganismi (ad es. alcuni ceppi di clostridi) capaci, sottraendo idrogeno, di trasformarli in potenti cancerogeni cancerogeni come l’acido desossicolico e il litocolico. l itocolico. 7. Sono alimenti tossici: per il loro contenuto di tossine cadaveriche, che si sviluppano alla morte degli animali, che passano nel sangue umano (putrescina, cadaverina, ptomaine, scatolo, metil-etil-mercaptano, ecc.) e che l’organismo cerca di eliminare attraverso il fegato ed i reni, intaccandone l’efficienza; per le sostanze prodotte dalla paura degli animali al momento del macellazione (adrenalina, acido lattico, ecc.), in quanto gli animali avvertono che stanno per essere assassinati e sentono l’odore del sangue di chi li ha preceduti; per l’accumulo di pesticidi e di metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo, ecc.) prodotti dalle attività industriali o agricole, che gli animali terricoli o acquatici incorporano nel proprio organismo, essendo gli ultimi anelli delle catene alimentari nell’ecosistema Terra e che, infine, con gli alimenti, arrivano all’uomo (ad es. sono state trovate grandi quantità di pesticidi nel fegato dei tonni del Mediterraneo e, in minor misura, nei pesci dell’Atlantico); per i farmaci, che vengono somministrati agli animali, costretti a vivere in condizioni non naturali (antibiotici vari, antinfiammatori, ormoni soprattutto estrogeni, antitiroidei, sedativi, beta-bloccanti, sali di zinco, ecc.). ecc.). 8. Sono pericolose, perché vengono macellati e immessi nella rete di distribuzione, animali infetti da malattie, quali TBC, afta epizoica, mastite, cancro, BSE, ecc., che sfuggono al controllo dei NAS. 9. Generano aggressività, perché fanno aumentare i livelli, nel cervello, di dopamina e di adrenalina, mentre fanno diminuire la serotonina, sintetizzata a partire dal triptofano, che giunge al cervello in dosi basse, a causa dell’impegno dei meccanismi di trasporto degli aminoacidi per le dosi elevate di tiroxina e leucina, contenute nelle carni in misura maggiore del triptofano. Una ridotta quantità di serotonina aumenta l’aggressività, diminuisce il sonno e predispone alla depressione. Il riscontro, come detto precedentemente, arriva dallo stesso latte di donna, trasparente e leggero, basso-lipidico e basso-proteico, avente formula quasi identica al succo succo d’uva e al succo succo di frutta frutta in genere. Perdita proteica giornaliera non superiore ai 25 grammi
Prima cosa. Un atleta che si alimenta correttamente possiede un attivo riciclaggio in zona colon dove, nel suo caso, le operazioni di ricambio e di riciclaggio si sveltiscono grazie ai tanti batteri aerobici e ai pochi batteri anaerobici (colibatteri), per cui, nei materiali fecali in uscita, si perdono in media 25 grammi di proteine al giorno. Nonostante il movimento ampiamente inteso. Oltre i 30-35 grammi si va in zona rossa. La proteinomania conduce dritto-dritto all’acidificazione (il peggiore insulto che l’uomo possa fare contro se stesso, al pari della leucocitosi), alla toxemia, cioè all’intossicazione del sangue. Acidificazione significa, esteticamente parlando, distruzione muscolare e aspetto “pappa molle” perché il nostro sangue ha la necessità di mantenere il ph ad un valore di 7,45, per cui se si abbassa a causa di scorte di putrefazioni acide esso soccorre con i tamponi renali che demineralizzano ossa, muscoli e capelli. Meglio questo che morire, pensa il nostro organismo. Molti sportivi non risplendono non solo nelle loro prestazioni fisiche, ma, per così dire, anche nelle loro fronti stempiate. Inoltre a causa dell’intensa attività fisica si ha un’iperprodu un’iperproduzione zione di acido lattico, la ttico, il quale, per essere neutralizzato, neutrali zzato, necessita di sostanze sosta nze minerali e se queste non vengono assunte dall’alimentazione o integrazione il corpo si rivolge in primis alle riserve situate nei muscoli scheletrici e cuoio capelluto. Risultato, cachettici e denudati denudati al vertice. Possiamo dunque affermare, senza ombra di dubbio e di smentita, che la patologia più grave dell’essere umano, in termini sintomatologici e consequenziali, è l’acidificazione, ovvero il sovvertimento del pH sanguigno. L’acidificazione si contrasta con la dieta e solo con quella. Non certo col sistema delle acque alcaline (nota bene alcaline e non alcalinizzanti, che è cosa diversa), o rese tali dai dispositivi vari in commercio. Non è questione soltanto di spreco economico, ma anche di immaginabili effetti collaterali, oltre che di inconvenienti inconvenienti di altro tipo. Non si va mai contro natura senza conseguenze negative, soprattutto nel lungo periodo. Nella pubblicità relativa a questi aggeggi o correttivi si parla di cose giustissime, quali la normalizzazione della glicemia e della pressione, lo scioglimento dei calcoli renali, la normalizzazione del colesterolo, il ritrovamento della forma fisica, la perdita del grasso superfluo, la diminuzione della ritenzione idrica, la scomparsa della sindrome premestruale, la sconfitta dei fastidiosi sintomi della menopausa nelle donne. Ci mancava solo di aggiungere il diabete, la dialisi dial isi renale, la cardiopatia e il cancro. Insomma, Insomma, basta l’alcalinizzat l ’alcalinizzatore ore applicato sul rubinetto è ili l mondo torna a correre correre felice e contento. Magari fosse così semplice. Alimentarsi con acqua alcalina significa produrre le stesse sottili alterazioni provocate dagli integratori minerali e dalle vitamine sintetiche. Trattasi di soluzioni anti-acide e chimico-farmaceutiche di sintesi che pretendono di intervenire dall’esterno nei complessi giochi bio-chimici del corpo, simulando il meccanismo ammoniaca-tampone in zona renale. Uno dei meccanismi più efficaci è il sistematampone. Il maggior sistema-tampone del corpo umano si chiama ammoniaca-tampone o tampone ammoniacale. I reni producono ammoniaca, sostanza alcalina, e l’urina diventa odorosa, e dolorosa alle minzioni, perché il pH alcalino ha effetti caustici. Ecco che tali
integratori, caustici come l’ammoniaca, creano calcificazioni, calcoli, speroni e microstalattiti nell’organismo. Come conseguenza, una irreversibile e cronica insufficienza renale, comprovata da presenza proteica-ammoniacale e dalla misurazione di creatininemia nelle urine. I farmaci non possono sostituirsi agli alcalinizzanti naturali. Essi possono solo apportare sensazioni benefiche limitate e di breve periodo, che lasciano inalterati al loro posto i meccanismi produttori del fenomeno acidosi. La biochimica ha dimostrato da tempo che il corpo è un trasformatore di sostanze e non un rimpiazzatore. La proteina non proteinizza affatto il corpo umano, il prodotto alcalino morto e inorganico non alcalinizza affatto il sangue o il corpo, il latte non apporta affatto maggiore capacità caseo-emuntoria, la vitamina sintetica non vitaminizza affatto il corpo ma lo stimola, lo dopa e lo schiavizza soltanto, al pari di una tazza di caffè. Integratori e vitamine sintetiche sono accettabili esclusivamente in sede di pronto soccorso e mai come cura. Non esistono in natura, inteso nei prodotti vegetali vivi, delle sostanze fortemente acidificanti. Il limone è soltanto acidognolo in partenza, similmente all’arancia. Acidognolo significa disposto a reagire facilmente coi vari minerali presenti nell’intestino tenue e nella stessa frutta disgregata in zona duodenale. Quando si parla di ceneri alcaline si intende sali minerali alcalinizzanti che vengono prontamente assorbiti dal sangue tramite la vena porta nel giro di mezz’ora dal momento dell’assunzione in bocca. Gli acidi tipici della frutta sono in realtà acidi deboli (malico, citrico, tartarico, borico, ecc), dispostissimi a formare sali alcalini come i citrati di sodio, di potassio, di boro, di magnesio, ecc., tutti preziosi alcalinizzanti ed alleati della salute. Vi sono alcuni soggetti che hanno difficoltà a metabolizzare tali acidi. Trattasi di quelle persone che soffrono di diverticoliti, di rettocoliti, di stitichezza e di disbiosi intestinale. Serve pulire l’intestino e ridiventare degni del nostro cibo elettivo. I danni fermentativi in quel caso non sono imputabili alla frutta, ma alle condizioni patologiche del soggetto in questione, superabili con breve digiuno purificante e con progressiva reintroduzione del cibo elettivo dell’uomo, che è la frutta, tutta. Non sono estranei a queste difficoltà gli apparati renale, cutaneo e polmonare, i quali, quando sono in forma ed in salute, danno luogo a sistemi tampone e a meccanismi compensativi basati cui carbonati. I polmoni, grazie alla respirazione, e la pelle, con la traspirazione, eliminano i cosiddetti acidi volatili, i quali danno origine all’anidride carbonica che è eliminata dall’uomo ad ogni respiro. Il pH è un concetto complesso, trattandosi della misura concentrativa degli idrogenioni, per cui si deve sempre parlare di rapporto quantità/volume, di caratteristiche qualitative e non di sola quantità. Gli idrogenioni, o idrossoni o protoni, hanno come formula bruta H3O e si trovano in tutte le sostanze anfotere (acide e basiche nel contempo), in tutti gli acidi organici ed inorganici, forti e deboli, responsabili di effetto acidificante o alcalinizzante a seconda delle soluzioni in cui operano.
Hanno comportamento anfotero anche l’acqua, gli aminoacidi e gli ossidi, in quanto possono sia cedere lo ione H+, che acquisirlo. Molti metalli come zinco, stagno, alluminio, berillio, possiedono ossidi anfoteri. L’ossido di zinco ZnO reagisce in modo diverso a seconda delle soluzioni in cui si trova. Con pH acido dà luogo a 2 ioni positivi di zinco più 3 molecole d’acqua, ma con pH basico sviluppa idrato di zinco bivalente negativo. Gli agrumi sono alcalinizzanti per antonomasia. Perché trattasi di alimento vivo, che il corpo umano sa metabolizzare al meglio. Servirebbero almeno 30 limoni per eguagliare il livello di acidità dello stomaco. Seconda cosa: una qualsiasi dieta vegana, anche casuale e disordinata, o volutamente precaria, ma saziante, soddisfa in pieno il fabbisogno proteico tra gli 11 e i 25 grammi al giorno (11 per l’infante in crescita, 25 per l’adulto in mantenimento). Fabbisogno che comunque, atleta incluso, non supera i 30 grammi, indipendentemente dai chili di peso corporeo che si hanno addosso. È questione calorica, glucidica, lipidica, vitaminica, ma non proteica. La carenza proteica è praticamente impossibile da raggiungere in qualsiasi dieta saziante vegana, vegetariana, onnivora o carnivora. Hanno provato a crearla con più combinazioni minime diverse, senza mai riuscirci. Basta soddisfare i morsi della fame e, con qualsiasi tipo di dieta, la carenza proteica non subentra. La carenza proteica si può verificare solo in concomitanza con una grave carenza calorica. Ecco perché le diete iperproteiche, guru del mondo sportivo, danno dimagrimento: causa insufficienza calorica si innesca il meccanismo di sostituzione della fonte energetica glucidica con quella azotata fino alla produzione di corpi chetonici. Stessa musica. Acidosi e perdita di massa muscolare magra. È davvero questo l’obiettivo di uno che suda e si sacrifica per diventare un campione??? Terza ed ultima cosa: le tabelle e le piramidi alimentari demenziali della FDA, adottate con allegra e irresponsabile disinvoltura dal mondo colonizzato, dagli ospedali colonizzati, dalle Usl colonizzate, dalle scuole colonizzate e dai ministeri colonizzati, sono prova storica e concreta dell’ignoranza e dell’incompetenza della nutrizione mondiale. Negli anni 70, la FDA predicava 300 grammi al giorno di proteine nobili (bistecche a colazione, pranzo, merenda e cena), scandalizzando persino i medici più retrogradi e corrotti. Negli anni ‘80, la FDA fu spinta a più miti consigli e predicò 250 grammi al giorno. Negli anni 90, sempre sotto pressione, calò a 200. Nel 2000, spaventata dall’esperimento di Cambridge, ritoccò a 150. Nel 2005, fu sollecitata al livello100. Oggi, tra improperi, moccoli, minacce e recriminazioni, mastica amaro sul livello 75, che è ancora decisamente troppo alto, visto che l’acidificazione del sangue umano scatta come detto già al livello 30-35. E il sangue di un atleta è identico a quello di un sedentario. Si tratta di essere “vivente”, se vogliamo continuare a farlo vivere. A queste follie si somma, negli anni ‘70, lo stravolto range della B12, alterato in 1571059 pg/ml, picogrammi per millilitro di sangue, preso da campioni di persone americane ultracarnivore, e gonfiato a piacere rispetto alle quote WHO. Qualcuno si chiederà se la FDA sia un ente serio o giocondo, oppure una filiale del potente sindacato statunitense. Gente senza scrupoli. Gente che ha creato due ideologie morbose, patologiche e errate, strettamente intrecciate e di carattere planetario, quali la Proteinomania e il Bidodicismo. Gente che pensa esclusivamente alla loro utopica carenza
e mai alla loro reale tossica esasperazione. Il mondo ruota al contrario. Nessuno sembra aver fatto la conta di quanta gente sia finita in largo anticipo sotto un loculo, uccisa da eccesso proteico e da cancro allo stomaco, al fegato e al colon, negli ultimi 30 anni. Centinaia di milioni di persone, altro che la Prima e la Seconda guerra mondiale messe assieme. Ma alla FDA non si scompongono nemmeno. Gli ordini partono da Atlanta, e la Casa Bianca obbedisce. Le diete low-carb e l’alimentazione vegan crudista
Alle quote proteiche della FDA si sono collegate poi, per citarne alcune, le diete low-carb dei vari Atkins, Sears (Zona), Agatson (SouthBeach), D’Adamo (Gruppi Sanguigni), Di Pasquale (Metabolica) e persino la cara dieta Mediterranea, trasformata nel tempo in dieta Carneo-Mediterranea. Diete acidissime (tanto c’è l’integratore alcalino a salvarci…), basate su una consumazione notevolissima, se non in alcuni casi esclusiva, di proteine e grassi. Ancora una volta ci troviamo di fronte a regimi che portano all’estremo alcuni concetti. Se non bastasse l’esperienza diretta, è sufficiente esaminare la storia per scoprire che l’estremismo, oltre ad essere improduttivo, è da sempre uno dei peggiori mali che affligge l’umanità. Irrazionale escludere gli zuccheri, principalmente lo zucchero naturale e biologico della nostra madre frutta. Forse questi scienziati dimenticano che l’organismo umano necessita di glucosio per sopravvivere. L’essenzialità del glucosio è legata al fatto che sistema nervoso centrale ed eritrociti utilizzano esclusivamente glucosio per il loro metabolismo energetico. Si calcola che il minimo apporto giornaliero di glucosio per permettere il normale funzionamento di questi sistemi sia di circa 180 grammi, ben al di sopra delle quantità imposte da questi tipi di dieta. Ecco quindi la prima grossa pecca della dieta iperproteica: stressare fegato e reni per ottenere glucosio. Ovviamente caliamo inizialmente di peso: la gluconeogesi ha provocato termogenesi, cioè il lavoro del nostro corpo ha bruciato calorie, stimolando la secrezione ormonale a liberarsi dei grassi. In altre parole, trattasi di dieta altamente avvelenante e dopante, e quindi cardio-accelerante. Tuttavia, in condizioni particolari di estrema carenza di glucosio, il corpo ricorre ai corpi chetonici (acetone, acetoacetato e 3-idrossibutirrato) per sopravvivere. Questo è un meccanismo disperato, efficace nel sostenimento delle funzioni vitali, ma non certo privo di effetti collaterali (stanchezza cronica, nausea, vomito, cefalee, coma). Poi, a parità di ossigeno consumato i carboidrati hanno un rendimento energetico superiore ai grassi. Ne consegue che con un simile approccio dietetico la prestazione sportiva nelle discipline di endurance verrebbe seriamente compromessa. Se non ci credete provate a chiederlo ad un maratoneta che, in procinto di superare il “muro” dei 32 km, incorre nella famosa “crisi”. Ancora, troppo libero spazio al consumo di schifezze ad alto contenuto proteico e lipidico. Non potrebbe essere altrimenti visto che evitandone il consumo non si raggiungerebbero le quote di grassi imposte. E fu così che, mentre tutti consigliavano di limitare grassi saturi e grassi trans per ridurre i rischi di aterosclerosi e di alcune forme tumorali, a questi “illuminati” venne la “brillante” idea di
concepire una dieta dove l’apporto di queste sostanze fosse elevato… Continuando, risulta evidente la scarsità di fibre imposte da questi calvari alimentari. Frutta e verdura, infatti, contengono un certo quantitativo di carboidrati e viene pertanto consigliato di non eccedere con il loro consumo. Un vero peccato visto che la fibra potrebbe ridurre i danni provocati dall’eccesso di grassi e colesterolo! Infine ricordiamo che ognuno di noi può immagazzinare un quantitativo limitato di glicogeno e che una volta saturate tali riserve il glicogeno in eccesso sarà inevitabilmente trasformato in grasso. Nessun “effetto dieta” in senso strettamente inteso, anzi sbalzi insulinici ed ormonali a volontà. L’organismo rimane intrappolato dalle ultracorrosive tossine che in precedenza erano circondate e disattivate dalla ritenzione idrica e dall’adipe; il corpo disequilibrato attende ansiosamente il riapparire delle bevande per riassorbirle e ripristinare i vecchi equilibri, riportando il peso e la flaccidità nei medesimi punti ed aggravando ancora di più la situazione. Per sviluppare la massa muscolare bisogna mangiare frutta e verdura. Cruda. La verità è cruda, semplice. Se volete mantenervi in ottima salute e potenziare al massimo lo sviluppo muscolare dovete consumare almeno l’80% di frutta e verdura al giorno; in questo modo riuscirete a rafforzare il sistema immunitario, ad aumentare l’assorbimento delle sostanze nutritive e a stabilizzare i livelli energetici (tutti fattori che svolgono un ruolo fondamentale nel recupero e nella crescita muscolare). Essi sono ricchi di fibre, una delle sostanze nutritive più sottovalutate dallo sportivo. Le fibre sono costituite da carboidrati non digeribili che non forniscono calorie ma rallentano la digestione, apportando benefici: primo, i carboidrati vengono assorbiti dall’organismo più lentamente senza provocare sbalzi glicemici che a volte fanno crollare i livelli di energia. Si verifica un impennata di cortisolo, l’ormone catabolico che disgrega le cellule muscolari rallentando il recupero; secondo, le fibre stimolano l’assorbimento degli aminoacidi, ripulendo le pareti intestinali rendendo l’intestino più efficiente. In questo modo si ottengono migliori risultati consumando la stessa quantità di proteine; terzo, chi si allena intensamente necessita di una grande quantità di vitamine e sali minerali. L’integratore multivitaminico/multiminerale, sappiamo già, non riesce di certo a soddisfare il fabbisogno di vitamine e di minerali come gli alimenti solidi. La frutta e la verdura sono fondamentali perché contengono dei composti che incrementano l’assorbimento non solo delle vitamine e dei sali minerali presenti nelle verdure stesse ma anche di quelli contenuti in altri alimenti come i cereali; quarto: le più recenti ricerche scientifiche confermano che le verdure contengono licopene, sostanze fitochimiche, antiossidanti, carotenoidi e composti solforati, tutte sostanze coinvolte in numerosi processi metabolici, compreso il rafforzamento del sistema immunitario. Bisogna capire che l’alimentazione per il body building, la maratona, il pugno chiuso saputo generosamente donare, non è fatta solo di numeri, perché c’è qualcosa di più oltre all’apporto totale di calorie, proteine, carboidrati e grassi. Per creare l’ambiente perfetto per una maggiore forza e crescita muscolare, per riuscire a recuperare in modo efficace dall’allenamento bisogna avere un sistema immunitario in ottimo stato; l’indebolimento del sistema immunitario pregiudica la rimonta e impedisce ai muscoli di crescere.
Le bufale e le mistificazioni delle palestre e dei centri fitness
Vengo al dunque per assicurare che non esiste al mondo un settore più inflazionato da bufale e da mistificazioni quanto quello delle palestre, del body building e del fitness, oggetto del desiderio e mercato preferenziale di vitamine, ormoni e integratori. Sempre facendo le dovute eccezioni. Mi prefiggo di sfatare alcune false credenze ancora oggi ben radicate nei frequentatori e nelle frequentatrici delle palestre: – Per buttare giù la pancia devo fare 3 ore di addominali al giorno e mangiare proteine. ipico errore, direi unisex (anche se solitamente siamo noi donne a sostenere a spada tratta questa tesi). Fare serie infinite di addominali non aiuta a far sparire il grasso sottocutaneo! Anzi! Rinforzando la parete addominale (e quindi regalando volume ai muscoli) si contribuisce ad ingrossare l’addome… e quindi nella migliore delle ipotesi ci si vedrà un pelo più sodi e compatti, ma il grasso non se ne andrà. Mai. Due sono le cose fondamentali per la riduzione dell’adipe addominale: lavoro aerobico e alimentazione sana, tanto per cambiare. Le bombe proteiche cariche di estrogeni e immondizie di cui le povere bestie sono imbottite contribuiscono alla lievitazione della vostra amatissima tartaruga. – Perché il mio allenamento aerobico serva a qualcosa deve durare almeno un’ora. Altra bufala: meglio andare a correre 3-4 volte a settimana facendo 25-30 minuti, piuttosto che fare un’ora e mezza una volta a settimana. Soprattutto se siete poco allenati, un allenamento intenso di un’ora potrebbe essere controproducente. Più allenamento estensivo, più cortisolo. Più cortisolo, più catabolismo muscolare. Più catabolismo muscolare, più effetti estetici collaterali. – Sudare significa dimagrire. Sembra blasfemia, lo so, e molti saranno delusi dal sapere che la pozzanghera di sudore sulla quale sono miseramente scivolati scendendo dalla cyclette non è sinonimo di miglioramento della propria linea. Sudando non si dimagrisce, semplicemente si perdono liquidi e sali minerali che verranno reintegrati al primo sorso d’acqua. Quindi evitare assolutamente quelle ridicole pancere sintetiche o simili che servono a farvi sudare di più, o meglio, ad imprigionare il sudore, ed evitate pure di vestirvi pesanti per sudare più del dovuto, non solo è inutile, ma diventa addirittura dannoso se lo sforzo è prolungato, poiché sudare serve a regolamentare la temperatura corporea. Se noi imprigioniamo il sudore inibendo l’evaporazione del corpo che madre natura ci ha permesso di espellere potremmo andare incontro a guai fisici, quali crampi, problemi cardiaci, eccetera. Lasciamo andare ciò che l’organismo decide di gettare, né più né meno. – Per diventare grosso devo allenarmi tutti i giorni, almeno 2 ore. Passiamo all’universo maschile: ragazzi, allenarsi per più di un’ora a sessione (riscaldamento compreso) è spesso controproducente. Ovviamente partiamo dal presupposto che sia un’ora intensa. Se si chiacchiera per il 50% dell’ora è chiaro che non avete lavorato intensamente. Brevemente: dopo un’ora di allenamento intenso i livelli di testosterone si riducono drasticamente mentre si innalzano quelli di cortisolo. Il cortisolo, come detto prima, è
l’“ormone dello stress” ed inibisce tutti i processi che portano all’ipertrofia (crescita) muscolare. Inoltre ricordate che allenamenti brevi permettono un recupero più rapido. Da qui comincio ad accennare una parola magica. L’allenamento deve essere breve ed intenso. – Gli esercizi e gli integratori “miracolosi” non esistono. L’efficacia di un esercizio dipende dal tipo di allenamento, ma soprattutto dalla salute psicofisica della persona. A seconda di ciò che butta dentro, della composizione di fibre muscolari, della postura, insomma delle caratteristiche di ognuno di noi, ci saranno esercizi più o meno adatti. Quello che può risultare miracoloso per una persona può dimostrarsi totalmente inadatto per un’altra. Il consiglio è quindi di diffidare di quegli articoli che ritengono uno o più esercizi necessari per una repentina crescita muscolare, uno o più cibi alto-proteici miracolosi per l’ipertrofia, uno o più integratori esoterici per la costruzione dei bicipiti. Solo esperienza e costanza dimostrano che il corpo necessita di tanto tempo per migliorarlo quanto quello volutoci per massacrarlo. – Mi sono disintegrato di lavoro in palestra, ergo, ho messo su muscoli. La sessione d’allenamento è solo la prima parte del processo di ipertrofizzazione dei muscoli. Anzi, arrivo a dire che la suddetta contribuisce solo al 50% alla crescita muscolare. Il resto dell’opera lo conclude un’alimentazione corretta, la respirazione, il riposo (è di notte che il muscolo cresce, non nelle due ore che seguono la fine di un allenamento). È inutile quindi allenarsi duramente se poi la sera non si dà al corpo la quantità necessaria di sostanze alimentari per il reclutamento di fibre muscolari; lo stesso dicasi se si dorme 3 ore, magari dopo aver sbevacchiato litri di alcol. – Per dimagrire bisogna eliminare tutti i grassi dalla dieta. Nella maniera più assoluta evitate di eliminare completamente i grassi dalla vostra dieta. Si tratta di macronutrienti fondamentali per le loro proprietà antiossidanti ed energetiche. Soprattutto da quest’ultimo punto di vista costituiscono un’importante riserva energetica alla quale il nostro corpo attinge dopo aver “bruciato” i carboidrati. In concreto, bisogna consumare molte più mandorle, pinoli, noccioline, noci, arachidi, semi di zucca, girasole, lino, sesamo, papavero, tutto da prendersi al naturale e non salato. Quanto agli Omega-3 da pesce (derivate da prostaglandine II-negative), oggetto di intense e, come al solito devianti, campagne pubblicitarie, fanno male all’uomo da crude, e ancor più male da cotte. – Non voglio alzare pesi perché non vorrei diventare troppo grossa. A noi! Ho sentito spesso ragazze affermare che preferivano evitare esercizi di sollevamento pesi perché temevano di perdere femminilità acquisendo troppo volume nei muscoli. Per esperienza personale, il body building è il risultato più artistico ed estetico che esista sul corpo femminile. È una paura totalmente infondata. La donna non avrà mai la massa muscolare di un uomo, che è cosa generata da ben altro che semplice allenamento di forza. La produzione di testosterone è minima nel gentil sesso, è questo è il precursore più importante del bicipite alla Popeye! Qualche esercizio di sollevamento pesi (soprattutto squat, stacchi, panca e lento avanti) può al massimo donare a noi ragazze un corpo più compatto e definito. – Il mito dell’integrazione alimentare. Integrare non vuol dire sostituire. Se non vuol
dire sostituire, integrare non serve. Anche perché l’integratore è pur sempre sostanza artificiosa che sovverte gli equilibri organici. Come ci suggerisce la parola stessa, l’integrazione serve a sopperire a qualche deficit alimentare o ad andare incontro a determinate esigenze durante brevi periodi di allenamento particolarmente intenso che richiedono un maggior apporto di sostanze nutritive. Ma sempre di “alimenti” deve trattarsi. Fatevi tre cucchiai di olio di lino in più o un centrifugato di frutta concentrato: vedrete come “integrerete” bene. Non prendete mai per buono quello che sentite dire, sono tutte bufale. Questo è un mondo in cui tutti vogliono dire la loro; viviamo in un mondo programmato per farci ammalare. Provate su voi stessi, sperimentate, assaporate la verità. Mi darete ragione. C’è una sola cosa fondamentale ed importantissima per il corpo umano, che non è fatto di soli muscoli, ma di sangue, di ossa, di idee, di aspirazioni, di spiritualità, di aria, di acqua, di organi, di ghiandole, di sistema nervoso e di sistema immunitario, prima ancora che di muscoli. E quella cosa fondamentale, carissimi atleti, non è la proteina ma il carboidrato della frutta e dei vegetali al naturale. Lo zucchero buono e la fatica fabbricano e plasmano il muscolo, non certo le proteine. I muscoli sono normale tessuto destinato alla tensione e al movimento. Crescono e si sviluppano, o decrescono e si sfilacciano, in rapporto all’uso più o meno intenso e concentrato che uno ne fa, ai tempi di riposo e recupero dovuti, e richiedono ovviamente una normalissima presenza di glucidi nel sangue e di glicogeno nel fegato (oltre che nei muscoli stessi). La proteina non fa proteina, il latte non fa latte, il fegato non fa fegato, i muscoli non fanno muscoli, il sangue non fa sangue, e non esito a dire che vitamina non fa vitamina. Non mi stancherò mai di ripeterlo. L’orango, in campo animale, a parità di peso con l’uomo, sviluppa una forza muscolare ed una agilità tre volte superiori, e i suoi enzimi non sono affatto diversi dai nostri, visto che l’esempio dei cavalli, dei rinoceronti e degli elefanti non viene preso nella dovuta considerazione. E basta guardare dove la mucca cerca il latte, e dove il possente toro cerca lo sperma (nel verde ciuffo d’erba). Il muscolo viene costruito dal glicogeno e dal carico muscolare. Il concetto meccanicistico e sostitutivo della nutrizione è una delle tante perle negative della medicina. Il corpo umano non è una costruzione segmentata e plastificata dove si tolgono e si inseriscono dei pezzi, ma un’entità viva e complessa che opera per trasformazione elettrobiochimica. Tutto il resto sono solo leggende metropolitane sportive. Come fanno le proteine animali a distruggere i muscoli? Con l’avvelenamento sistemico. Se sotto i muscoli circola sangue denso e viscoso, la situazione è sempre patologica, poco importa se arrivi primo o ultimo al traguardo, poco importa se la metti nel sacco, se cogli i pali o la tiri in tribuna. Questo tipo di muscoli crescono e si mantengono in regime altamente vizioso. Trattasi di muscoli acidificati quanto l’intero sistema, e richiamano cibi acidificanti e pasticcati. Un po’ come i body builders professionali, col Deca Durabolin nella tasca
sinistra e il clembuterolo in quella destra. Non può durare.
7 Fitness e alimentazione performante: i più forti sono veg “Più il corpo è debole più comanda, più forte è meglio obbedisce.” (Rousseau)
Per renderlo forte, l’importante è muoversi. Ecco una sommaria descrizione delle tre fondamentali attività fisiche per il miglioramento sistemico della salute psico-fisica. L’attività aerobica
La ginnastica aerobica per definizione è detta di resistenza (o endurance): capacità da parte dell’organismo di svolgere un esercizio muscolare generalizzato, in condizioni aerobiche, il più a lungo possibile. Il carburante energetico impiegato per compiere un efficace allenamento è l’ ossigeno. La parola “aerobica” comparve nel 1968 grazie al titolo del libro del dottor Kenneth Cooper; esso fu il risultato di studi approfonditi sul rapporto tra l’ipocinesi (attività fisica totalmente assente) e le malattie cardiovascolari in seguito ad un suo improvviso aumento di peso durante il dottorato in medicina all’interno dell’ambiente militare. Gli esercizi che pianificò per perdere peso si basavano su un coinvolgimento del sistema di consumo energetico aerobico, applicati ai vari sport che necessitano molto utilizzo di ossigeno: il nuoto, la corsa ( jogging) e il ciclismo. Ognuno di questi esercizi, che doveva essere eseguito con un’intensità media per un periodo di tempo prolungato, provocava all’organismo una spontanea tonificazione del sistema cardiovascolare, con un conseguente miglioramento del fisico (aumento massa muscolare, diminuzione massa grassa). Cooper inventò un sistema di valutazione dell’allenamento, che venne diviso per punteggi e distribuito su una griglia settimanale. La somma dei punteggi ottenuti giorno per giorno determinava il livello di allenamento raggiunto sfruttando la capacità aerobica. Partì inizialmente solo dalla corsa (jogging), che dai suoi allievi venne a lungo andare ritenuta noiosa. Jackie Sorensen, insegnante di ginnastica, colse così la palla al balzo; studiò i movimenti del jogging, li tramutò in passi e salti e li fece eseguire a tempo di musica: siamo negli anni settanta e nasce la ginnastica aerobica, che dalla massa venne subito recepita come eccellente e divertente
allenamento di tonificazione corporea e valido aiuto contro gli inestetismi tipici della figura femminile. Alla fine degli anni ottanta, dopo numerosi successi dovuti a personaggi dello spettacolo, la ginnastica aerobica venne diffusa sotto il profilo scientifico da organismi internazionali quali ACSM ( American College of Sport Medicine) , AFAA e associazioni professionali quali l’ IDEA. I principali fattori che intervengono nel miglioramento dell’allenamento aerobico sono i seguenti: Adattamento dell’apparato cardiocircolatorio e respiratorio Adattamento del sistema di trasporto di O2 (ossigeno) Aumento della capillarizzazione muscolare (irrorazione sanguigna) Adattamento enzimatico e mitocondriale dei muscoli scheletrici Aumento e rendimento meccanico (capacità di coordinare con più naturalezza e meno fatica i movimenti) Gli obiettivi su cui basare un sistema di allenamento aerobico sicuro ed efficace si basano sui seguenti principi fondamentali, che sono anche le basi per ottenere un generale stato di benessere fisico: Frequenza: quante volte viene eseguito l’allenamento; Durata: tempo dedicato all’allenamento; Intensità: con quale grado di forza, energia, difficoltà. Il corpo risponde aumentando la sua capacità di resistere allo sforzo, adattandosi all’aumento della domanda fisiologica (resistenza alla sete, alla fatica, allo stress dello sforzo, ecc). Ciò crea un effetto allenante (che non deve mai manifestare sensazioni di bruciore; si entra altrimenti nella soglia di produzione eccessiva di acido lattico, che determina la stimolazione di una continua contrazione muscolare, con il conseguente ritardo dell’effetto allenante. Si rischia di rovinare tutto il lavoro raggiunto, poiché a questo punto si possono certamente creare dei microtraumi alle fibre muscolari, causando, all’estremo, degli strappi). Vi sono altri fattori che intervengono nel corso di questo tipo di allenamento: ad esempio l’età, il sesso, l’alimentazione, il fumo, il caldo, il freddo. Per un soggetto che fuma il parametro della carbossiemoglobina varia mediamente da 0,3% a 5,6% (sul consumo di un pacchetto al giorno); questo fattore a lungo andare influenza radicalmente le capacità aerobiche. Sono importanti anche la respirazione (come si respira e dove si respira), la temperatura e la posizione del corpo (spazi aperti, chiusi), l’alimentazione, il metabolismo muscolare (quanta energia consumano i muscoli in media per la sopravvivenza) ed i fattori ereditari. Non vi è un’età limite per l’allenamento aerobico poiché esso riduce il degradamento naturale della funzionalità dei vari apparati, che invece la sedentarietà favorisce. La scelta della ginnastica aerobica da parte del praticante, come lavoro di tipo cardiovascolare, dipende da due motivi principali: non richiede di raggiungere impianti specifici all’aria aperta (es. stadi di atletica leggera, piste di sci, piscine, percorsi ciclabili, ecc.); l’esecuzione del gesto motorio non deve necessariamente essere ciclico e ripetitivo (es. il passo nella corsa, la pedalata nel ciclismo, ecc.), spingendo di meno il praticante ad annoiarsi, distrarsi e rinunciare così ad allenarsi. La lezione di aerobica, a seconda della
tecnica impiegata, si può classificare in Low impact, High impact, una combinazione delle due (Hi-Low impact) o nella sua evoluzione: l’Interval circuit training. La lezione a basso impatto è definita così perché prevede che un piede sia costantemente in appoggio sul pavimento durante l’esecuzione dei passi base. In questo modo vi è un approccio antinfortunistico all’allenamento; infatti si riduce l’impatto al suolo tipico della corsa, del jogging e si evitano completamente eventuali possibili traumi cartilaginei (dischi intervertebrali, menischi, ecc) se non si è in grado di eseguire gli esercizi nel modo corretto (ciò dipende anche dalla capacità di coordinamento del proprio corpo e dal livello di sviluppo dei muscoli, che sostengono l’individuo). Il soggetto non salta mai e quindi riduce lo stress muscolo-tendineo. La lezione a basso impatto è adatta ai principianti, ai soggetti della terza età, ai soggetti obesi, in stato di gravidanza, e a coloro che hanno subito gravi infortuni. L’alto impatto è considerato l’allenamento più rappresentativo nella storia dell’aerobica, vale a dire saltare per un tempo minimo di 20 minuti fino alla soglia massima di consumo d’ossigeno (VO2 max). Si compone di passi d’aerobica con una fase aerea (saltelli eseguiti in diverse modalità). Oggi l’aerobica High impact è stata sostituita con la lezione Combi (o aerobica combinata), ovvero mix tra basso ed alto impatto. Gran parte dei soggetti oltrepassavano, in pochi minuti, la zona allenante andando subito in acidosi lattacida (accumulo di acido lattico nei muscoli con conseguente sensazione di fatica muscolare e diminuzione ed arresto della contrazione muscolare stessa) e non riuscivano a completare il lavoro in aerobiosi per un minimo di 20 minuti. La lezione ad alto impatto si realizza solo se si è allenati e in grado di distribuire il carico dell’allenamento su tutti i gruppi muscolari, senza entrare immediatamente in acidosi. La lezione Combi unisce in modo fluido e dinamico i passi dell’alto e del basso impatto e dà modo di mantenersi sempre all’interno della zona allenante (altrimenti si entra in fase anaerobica). Alternare movimenti di diverso impatto riduce gli stress a carico delle articolazioni del piede e permette di coordinare meglio l’uso degli arti superiori ed i movimenti del corpo nello spazio per una corretta risposta neuro-muscolare degli allievi, che apprendono con più rapidità la sequenza dei passi indicata dall’insegnante. L’Interval circuit training è l’ultima evoluzione della Combi, ed è una lezione a circuito divisa in moduli di lavoro della durata di tre minuti più un minuto di recupero attivo (es. marcia sul posto) tra l’uno e l’altro, secondo i canoni dell’Interval training tipico dell’ atletica leggera; ad esempio è presente la corsa, mischiata ad esercizi di potenziamento muscolare per l’addome, per i glutei o per le spalle. Il recupero attivo varia fino a 3 minuti. L’obiettivo di questo tipo di allenamento (alternare l’alto impatto con recupero in basso impatto) è quello di sollecitare la soglia anaerobica ad una sopportazione più alta di lattato, mentre utilizzando il condizionamento muscolare come recupero attivo si dà modo alle cellule muscolari di assicurarsi sempre una buona quota di ossigeno per il metabolismo cellulare. Si hanno effetti positivi quali il miglioramento di forza e resistenza muscolare, l’aumento dell’elasticità muscolare ed osteo-legamentosa, lo sviluppo di zone neuro-muscolari, l’equilibrio del peso corporeo. Bisogna soprattutto divertirsi. Divertirsi abbassa la soglia del dolore e permette di prolungare l’allenamento
senza pensare troppo alla fatica. Il bodybuilding
Il bodybuilding è lo sport che tramite l’uso di pesi e un’alimentazione specifica si pone come fine ultimo il cambiamento della composizione corporea, con l’aumento della massa muscolare, dove le finalità sono estetiche prima che competitive. In questo sport, se inteso ad alti livelli, non si tratta semplicemente di “andare in palestra” per coltivare benessere e salute fisici, e nemmeno di competere per sollevare il peso maggiore come nelle discipline del sollevamento pesi e powerlifting: il gusto estetico dei culturisti e degli amanti della disciplina li spinge ad allenarsi per aumentare il più possibile la massa e la definizione muscolare (mantenendo armonia e proporzioni, intese secondo i canoni del bodybuilding). Questo non toglie però che gli esercizi e i benefici dell’allenamento con i pesi, anche molto intenso, non possano essere di beneficio anche per il benessere e per la preparazione ad altri sport. I l bodybuilding ha cominciato ad assumere le connotazioni attuali (non solo dimostrazioni circensi di forza bruta, ma anche estetica del corpo e dei muscoli) a partire dalla fine del XIX secolo in Europa. Uno dei pionieri fu l’atleta di origine prussiana Eugen Sandow (nato nel 1867) che si rese celebre per delle dimostrazioni itineranti in Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Altri pionieri del culturismo furono il francese Georges Hébert, George Hackenschmidt, Edmond Desbonnet e Earle Liederman (autore dei primi trattati sull’argomento negli anni venti). Questi atleti sperimentarono su se stessi nuove tecniche di allenamento, quando la conoscenza medica e sportiva sull’argomento non era patrimonio di molti. L’evoluzione dello sport richiese sperimentazioni e osservazioni continue. Fra questi sperimentatori troviamo Joe Weider, ideatore di uno dei primi evoluti sistemi di allenamento e mentore di Arnold Schwarzenegger. A partire dagli anni quaranta nacquero le prime associazioni come la International Federation of BodyBuilding & Fitness (IFBB), fondata nel 1946 Ben e Joe Weider, e la National Amateur Bodybuilders Association (NABBA, fondata nel 1956 in Gran Bretagna, ora diffusa a livello internazionale). Negli anni settanta Schwarzenegger, insieme ad altri atleti come Larry Scott, Sergio Oliva e Franco Columbu (i primi vincitori di Mister Olympia) marcarono il passaggio del culturismo da subcultura a sport riconosciuto a livello internazionale e apprezzato e praticato dal pubblico. Un film-documentario che contribuì a questo processo fu Pumping Iron del 1977. In quel periodo vi fu un largo abuso di steroidi anabolizzanti e altre sostanze dopanti (così come anche in altri sport). Dopo le prime leggi restrittive il doping fu combattuto con grosse difficoltà. Nel 1990 fu istituita la World Bodybuilding Federation, che effettuava stretti controlli antidoping. La IFBB non tollerava (e non tollera ancora oggi) l’utilizzo di sostanze dopanti ed infatti testa i propri atleti nelle competizioni internazionali con procedure dei controlli antidoping della IFBB coordinate dal Wada.Vi furono alcune polemiche, anche di natura economica, tra la IFBB e la WBF, ma quest’ultima fu costretta a sciogliersi solo dopo 2 anni.
Recentemente si sta sviluppando un movimento di atleti che praticano il cosiddetto natural bodybuilding, in cui non si assumono sostanze dopanti e vengono effettuati rigorosi e regolari controlli antidoping, con relative associazioni e federazioni. Fisiologia e metabolismo: I muscoli striati sono formati da due tipi di fibre: le fibre bianche o rapide (dette di tipo IIB, a contrazione rapida, potenti ma poco resistenti, che intervengono maggiormente negli sforzi di tipo anaerobico) e le fibre rosse o lente (dette di tipo I, a contrazione lenta, poco potenti ma resistenti, sfruttate soprattutto negli sforzi aerobici). A queste fibre si aggiunge l’esistenza delle fibre intermedie (dette di tipo IIA), che hanno appunto caratteristiche intermedie tra i due tipi di fibre riportati. In breve sintesi entrambi i tipi di fibra possono accrescersi di dimensioni, ma con meccanismi differenti. Le fibre bianche possono accrescersi mediante ipertrofia (aumento delle dimensioni con accumulo di glicogeno). Le fibre rosse (che sono le più piccole) si possono accrescere solo mediante ipertrofia. Uno degli scopi del culturismo è quello di ottenere nel tempo la maggiore massa muscolare possibile. È stato visto che gli esercizi con sovraccarichi di questo sport determinano effetti soprattutto sulle fibre intermedie (di tipo IIA). Sappiamo che i tipi di fibre che sono maggiormente ipertrofizzabili sono le fibre di tipo IIA e IIB. Sembra comunque che, in base al tipo di allenamento effettuato, possano esserci effetti diversi nell’ambito dell’ipertrofia. Infatti un numero di ripetizioni alte con carichi bassi e brevi recuperi (allenamento detto anche di “pompaggio”) determinerebbe prevalentemente un aumento dei substrati energetici all’interno delle fibrocellule (aumento della concentrazione di granuli di glicogeno e di lipidi, si parla di ipertrofia del sarcoplasma), mentre un allenamento con carichi elevati (più vicino all’allenamento specifico per la forza) determinerebbe soprattutto un incremento della quantità di proteine contrattili (si parla di ipertrofia miofibrillare). Ancora non è certo se l’allenamento con sovraccarichi possa determinare un incremento del numero di fibrocellule (iperplasia muscolare). Gli individui più dotati per il bodybuilding (e per altri sport di carattere anaerobico e sforzi esplosivi) sono probabilmente coloro che geneticamente hanno una prevalenza di tipo II rispetto a quelle di tipo I. Lo stimolo a cui vengono sottoposti i muscoli quando sollevano carichi causa una risposta dell’organismo, che mediante un adattamento anabolico rigenera i tessuti ed i depositi di glicogeno (ipertrofia), compensando (ovvero recuperando) o supercompensando (ovvero recuperando e aggiungendo qualche cosa) a quanto speso durante l’allenamento. La forza è proporzionale alle dimensioni del muscolo (in particolare alla sua sezione trasversale), tuttavia altri fattori incidono sul peso che un muscolo riesce a sollevare, ad esempio il numero di fibre che si riesce a contrarre in maniera coordinata (che dipende dal sistema nervoso), fattori morfologici (forma e lunghezza di ossa e tendini). Dunque si possono avere anche masse muscolari notevoli senza una forza particolarmente elevata: in ogni caso senza aumentare la forza (e quindi il peso dei carichi sollevati) il culturista non è in grado di progredire stimolando la supercompensazione, ed anche questi fattori secondari vanno coltivati per ottenere buoni risultati. Il recupero ed il riposo dopo l’allenamento sono la vera fase in cui i muscoli (ma anche il tessuto connettivo ed i tendini) si accrescono, ed avviene nelle ore e nei giorni
successivi all’allenamento. In questo stadio è necessario che l’organismo possa riposare ed abbia a disposizione tutti i nutrienti necessari a questa operazione: se nel frattempo vi sono nuovi stimoli (un altro allenamento troppo ravvicinato, o insufficiente riposo e sonno) o mancano le sostanze necessarie (alimentazione iperproteica scorretta), si rischia di stressare l’organismo. La gamma delle risposte organiche d’adattamento innescate dallo stimolo allenante è vasta, spaziando da un effetto nullo o minimo (uno sforzo molto blando) fino al catabolismo muscolare (se lo sforzo è troppo intenso, per esempio durante una maratona). In questo ultimo caso l’organismo è costretto a utilizzare le proprie risorse, inclusi i muscoli, come fonte di sostentamento, con risultati negativi per l’accrescimento muscolare e a lungo andare anche per la salute fisica. Metodi di allenamento: Nel tempo sono state sviluppate e sperimentate numerose metodologie di allenamento, ma in ogni caso motivazione, disciplina e perseveranza sono necessarie per applicarsi sufficientemente a lungo nell’allenamento programmato, in una sana dieta, e nel soddisfacimento delle esigenze di recupero e sonno. Oltre agli incrementi di forza e massa muscolare, è necessaria anche una riduzione della percentuale di grasso corporeo in modo da rendere il corpo “definito” e ben visibili i fasci muscolari. Per ottenere questi risultati è indispensabile l’allenamento con sovraccarichi. Tale allenamento viene effettuato oggi, prevalentemente, come accadeva in passato, con manubri e bilanciere, con esercizi di vario tipo da effettuare su panche o in piedi, in grado di stimolare la “crescita” dei vari gruppi muscolari. In particolare gli esercizi con bilanciere erano svolti, e lo sono tutt’ora, dentro i power rack per aumentare la sicurezza o eseguire ripetizioni parziali. Da alcune decine di anni a questa parte vi è stata la diffusione delle macchine” da palestra. Queste si sono rapidamente diffuse nelle palestre, in alcuni casi rappresentando un vantaggio nella possibilità di affaticare i muscoli in tutto l’arco di movimento, senza “punti morti” (come la prima serie di macchine Nautilus), negli altri costituendo un mezzo più semplice e richiedendo meno apprendimento della tecnica corretta per effettuare gli esercizi rispetto ai manubri ed al bilanciere. Questi ultimi rimangono fondamentali e più efficaci per il fine di building muscolare in quanto consentono di coinvolgere un numero più ampio di muscoli e stimolarli maggiormente, richiedendo per l’esecuzione degli esercizi corrispondenti a quelli delle macchine un maggior impiego dei muscoli “stabilizzatori”. Per quanto riguarda i cambiamenti dei metodi di allenamento, nella prima metà del XX secolo molti culturisti erano soliti allenarsi “full body”, ovvero allenamenti in cui nella stessa seduta si utilizzano esercizi volti a coinvolgere tutti i gruppi muscolari principali del corpo, che erano svolti una media di 3 volte a settimana con formati di intensità variabile (ad esempio leggero/medio/pesante). Alla fine degli anni settanta e durante i primi anni ottanta, in seguito alle vittorie al Mr. Olympia di Arnold Schwarzenegger, “sponsorizzato” dai fratelli Weider, il bodybuilding divenne uno sport molto diffuso, con un vero e proprio boom delle palestre e dell’allenamento con i pesi nei paesi occidentali. In quel periodo vi fu una diffusione dei “sistemi Weider” di allenamento, che consistono nel frazionamento dell’allenamento chiamato “split routine”(allenare in ogni seduta solo alcuni gruppi muscolari), utilizzo di volumi allenanti elevati e di più esercizi (sia multiarticolari che di
isolamento) per ciascun gruppo muscolare. In seguito vi è stata una diffusione, durante gli anni ottanta e novanta, dei sistemi “heavy duty”, sviluppati e messi in pratica prima dal campione Mike Mentzer e poi dal 6 volte Mr Olympia Dorian Yates. L’“heavy duty” in generale consiste in allenamenti di tipo “split routine” caratterizzati da intensità molto elevata (cedimento concentrico) con volume di allenamento ridotto. In pratica si porta il muscolo a completo esaurimento tramite 1-2 serie al massimo per ogni gruppo muscolare, facendo in modo che l’ultima ripetizione sia veramente quella che il muscolo è in grado di effettuare: così si costringono le fibre muscolari a lavorare al loro massimo. Oggi l’allenamento tipico del body builder è in genere a cedimento e di inspirazione weideriana, anche se alcuni atleti utilizzano anche schemi di allenamento di altro tipo, derivati dagli schemi adottati da preparatori contemporanei statunitensi o ancora altre tipologie di allenamento. Si consideri che l’allenamento a cedimento concentrico è solo uno dei mezzi a disposizione per l’allenamento del culturista, comporta un alto stress del sistema nervoso, e vi sono altri metodi per ottenere risultati paragonabili o migliori. Le tecniche di allenamento che hanno lo scopo di stimolare un dato gruppo muscolare in maniera molto alta (dette anche tecniche di intensità) sono varie. Le più conosciute e di rilievo sono: la tecnica delle ripetizioni forzate, ripetizioni negative, rest pause, superserie (sullo stesso gruppo muscolare o sul muscolo antagonista), il sistema piramidale e piramidale inverso (con cui si aumenta il peso progressivamente diminuendo le ripetizioni e viceversa), e lo “stripping” (partendo da una serie prestabilita di ripetizioni, si eseguono senza riposo altre serie riducendo via via il peso fino ad arrivare sempre “all’esaurimento” o “cedimento” muscolare), l’allenamento breve ed intenso, come ad esempio il BIIO (letteralmente allenamento Breve, Intenso, Infrequente, Organizzato) introdotto da Claudio Tozzi. Quest’ultimo è un metodo che, personalmente sperimentato, è in grado di dare ad aspiranti atleti di sesso maschile e femminile risultati eccezionali in breve tempo. Solo natural. Perché qui non si può parlare d’altro. Il Functional Training
La forma segue la funzione” diceva Louis Henry Sullivan nel 1896. “Ciò che simula un evento sportivo è un sistema di leve. Non si può alterare ciò che fanno le ossa. La maggior parte dei trattamenti per la riabilitazione dal dolore muscoloscheletrico si basa sul trattamento dei sintomi. Adottare un approccio sintomatico, anziché affrontare la fonte del dolore, determina recidive comuni. I metodi di gestione del dolore si concentrano su un sollievo mediante farmaci, iniezioni, chirurgia, modalità di terapia fisica come ultrasuoni, stimolazione elettrica, laser, massaggi, agopuntura, ecc. Le terapie di riabilitazione si concentrano sull’isolamento di aree deboli, di esercizi sul pavimento o con le macchine. Per affrontare la fonte del dolore è necessario capire: 1. Le attività quotidiane. Quali attività sono state compromesse da dolore o debolezza, cioè le attività domestiche, il lavoro, lo sport. 2 . Esame funzionale. Quali deficit funzionali possono essere correlati al primo punto
(inclusi mobilità, stabilità, resistenza, coordinazione, equilibrio, forza, velocità, potenza). Il functional training è differente in quanto si concentra sui movimenti fondamentali della vita quotidiana come squat, affondi, spinte e tirate non sull’isolamento dei singoli muscoli come nei curl per i bicipiti o il sollevamento gambe. Essa è spesso eseguita con il solo peso corporeo, ma possono essere aggiunti anche attrezzi. A differenza degli esercizi per gruppo muscolare o con le macchine, gli esercizi funzionali sono solitamente svolti in posizione eretta per creare simultaneamente movimenti su piani multipli, proprio come nello sport (ad esempio golf, tennis, ecc.). Alcuni esempi
Inclinazione in avanti in asse verticale est di stabilità trasversale Squat (overhead, con salto, Sumo) Affondi Stacchi Farmer’s Walk, a pochi passi laterali Star Lunge push/Star Lunge pull Jumps verticali e orizzontali Pliometria La valutazione dell’anca è una delle componenti più importanti per il functional training. Il test dell’anca è una delle prove più utili in quanto fornisce un’indicazione in merito allo squilibrio muscolare intorno alla regione del bacino che coinvolge il gluteo medio (che tende ad inibirsi), il piriforme, gli adduttori, lo psoas, e il quadrato dei lombi (i quali tendono ad accorciarsi o sostituirsi). La verifica della funzionalità tramite lo squat può indicare scarsa stabilità della colonna lombare (cifosi eccessivo) o del ginocchio (collasso mediale).
La forza esplosiva
Preferisco il termine sviluppo atletico piuttosto che forza e condizionamento. Tutti i componenti della fisica, quali forza, potenza, velocità, agilità, resistenza e flessibilità devono essere, per migliorare la prestazione atletica, sviluppati in maniera sistematica, sequenziale e progressiva. Gli atleti saranno così pronti a gestire esigenze psicologiche e fisiche, nonché tecniche e tattiche, necessarie per competere. In altre parole, parliamo del concetto di esplosività. Si può essere forti senza essere potenti o esplosivi (perché si può non avere una forza rapida), ma non si può essere potenti senza avere quella forza alla base dei nostri muscoli e gruppi muscolari. Non è il carico del peso che è importante, è lo sforzo e l’intensità che produrrà i vostri risultati. Ed è in questo picco adrenalinico che possiamo aumentare la performance atletica. Il miglioramento dell’attivazione del sistema nervoso (nella fase di allenamento della forza massima) sarà il miglior alleato nell’esprimere la forza dinamica massima, consistente in un rapido ed efficiente reclutamento, del maggior numero di fibre muscolari, nel minor tempo possibile. Le metodiche più accreditate per lo sviluppo della forza esplosiva sono le seguenti: impiego di carichi sub massimali (20-30% del massimale) con ripetizioni ad esaurimento eseguite alla massima velocità; esecuzione di un numero medio basso di ripetizioni (circa 10) con carichi prossimi al 50% del massimale lavoro esplosivo a carico naturale (balzi, salti ecc.). La componente nervosa è altresì importante affinché il gesto sia adeguatamente coordinato e pertanto energeticamente meno dispendioso possibile. Esercizi per aumentare l’esplosività
Push Up laterale con Plyometric Medicine Ball (esplosività in torace e braccia) Crossover Drill (potenza e portata nel tronco) Medicine Ball Overhead Pass – Ginocchio (per la stabilità e la potenza totale del corpo) Squat Jump – Non contromovimento (fianchi) Salti di Rotazione – 90 gradi (per la potenza di rotazione verticale) Esegue Stair – 2 punti (per velocità e potenza) Box Hop – Linear (per migliorare il potere in fase di decollo e di controllo al momento dello sbarco) Lunge – Avanti con manubri (per la forza delle gambe) Mini Band Linear Bound (per la potenza esplosiva negli arti inferiori) Braccio d’azione – a Lungo Termine per Brevi (per aumentare la potenza e la velocità delle braccia durante l’esecuzione) Lo Stretching
Stretching è un termine inglese che significa allungamento, stiramento, usato nella pratica sportiva per indicare un insieme di esercizi finalizzati al miglioramento muscolare. È una metodica che consiste nell’allungamento muscolare e nella mobilizzazione delle articolazioni attraverso l’esecuzione di esercizi di stiramento, semplici o complessi, allo scopo di mantenere il corpo in un buono stato di forma. Tutti noi, alzandoci al mattino, sentiamo il bisogno di stirarci e allungarci. Lo stesso fanno numerosi animali. Si tratta quindi, almeno in alcune sue forme, di un atteggiamento istintivo e naturale. Questo ha portato ad uno sviluppo degli studi e delle applicazioni dello stretching, oltre che ad una sua diffusione nel campo dell’educazione fisica, sia come complemento ad altri sport che come attività fisica autonoma. Lo stretching è arrivato in Europa e in Italia, sulla scia della ginnastica aerobica e della cultura del tempo libero e della cura del corpo, giunte come sempre da oltre oceano. Le origini dello stretching sono varie; quello più conosciuto è quello codificato da Bob Anderson. Gli esercizi di stretching sollecitano, oltre alle fibre muscolari, il tessuto connettivo (tendini, fasce ecc.) presente nella struttura contrattile. Il tessuto connettivo è estensibile (può essere allungato), ma, se non viene regolarmente sollecitato con l’esercizio fisico, in breve tempo perde questa caratteristica essenziale. Parlando di stretching è anche d’obbligo parlare della mobilità articolare (conosciuta anche come: articolarità, flessibilità, estensibilità, ecc.): è la capacità di compiere movimenti ampi ed al massimo della estensione fisiologica consentita dalle articolazioni. Questa capacità è condizionata: – dalla struttura ossea dell’articolazione; – dalle sue componenti anatomiche e funzionali (grado di estensibilità dei legamenti, tendini e muscoli); – dalla temperatura dell’ambiente; – dal livello di riscaldamento del corpo. Le fibre muscolari si adattano rapidamente a qualsiasi situazione. Si possono definire diverse tipologie di stretching. In generale lo stretching riduce la tensione muscolare, migliora la coordinazione e la propriocezione (cioè la presa di coscienza del proprio corpo), previene traumi muscolari e tendinei e migliora l’escursione articolare. Per poter allenare correttamente la flessibilità è necessario sviluppare parallelamente forza e flessibilità. L’allenamento alla forza finalizzato allo sviluppo di una buona flessibilità è realizzato mediante gli esercizi “dinamici di forza”, che consistono in alte ripetizioni e bassi carichi di movimenti effettuati dal distretto muscolare che si vuole allenare con lo stretching e vanno sempre eseguiti al massimo grado di apertura concesso da ogni singola articolazione e in modo lento. Questo tipo di preparazione è necessaria per aumentare la resistenza muscolare e la forza del tessuto connettivo associato al muscolo diminuendo i rischi di sovrallenamento ed eventuali microlesioni che potrebbero derivare da un avventato utilizzo di esercizi di allungamento. Fate stretching prima e dopo il vostro allenamento con i pesi, oppure dedicate ad esso una seduta separata nei giorni alterni.
È importante ricordare che qualsiasi sistema di stretching si stia attuando, la respirazione deve essere normale e tranquilla. Non bisogna mai trattenere il respiro durante un esercizio di allungamento. Lo scopo di una corretta respirazione è importante perché una buona ossigenazione attenua lo stato di tensione dell’atleta fino a portarlo ad uno stato di equilibrio delle sue funzioni fisiologiche e quindi anche del tono muscolare. La posizione deve permettere una corretta respirazione. Se la posizione mantiene il muscolo in un’eccessiva tensione è probabile che la respirazione diventi affannosa o difficoltosa, in questo caso è importante diminuire la tensione finché la respirazione non diventerà naturale. La concentrazione deve essere sia sulla respirazione, sia sull’esercizio che si sta attuando. Inoltre è importante, se non fondamentale, tener presente che per ottenere i migliori risultati da un allenamento di stretching è indispensabile rispettare una corretta sequenza negli esercizi, iniziando dallo stretching dinamico e terminando con lo stretching rilassato. Possiamo ancora elencare alcune “leggi” dello stretching: riscaldamento generale prima dello stretching, abbigliamento comodo, ambiente non rumoroso, suolo non freddo, concentrazione, non confrontarsi con altri, controllo del respiro, alternare l’estensione dei muscoli agonisti con quelli antagonisti, rilassarsi, programma sviluppato da personale qualificato. Ed infine, come qualsiasi cosa sia giusto apporti anche piacere, è utile soffermarci sui benefici che lo stretching genera sia sul livello di prestazione sportiva, che sull’efficienza fisica. Benefici sul sistema muscolare e tendineo: Aumenta la flessibilità e l’elasticità dei muscoli e dei tendini. Migliora la capacità di movimento. È un’ottima forma di preparazione alla contrazione muscolare. In alcuni casi diminuisce la sensazione di fatica. Può prevenire traumi muscolari ed articolari. Benefici sulle articolazioni: Attenua le malattie degenerative. Stimola la “lubrificazione” articolare. Mantiene “giovani” le articolazioni, rallentando la calcificazione del tessuto connettivo. Benefici sul sistema cardiocircolatorio e respiratorio: Diminuisce la pressione arteriosa. Favorisce la circolazione. Migliora la respirazione. Aumenta la capacità polmonare. Benefici sul sistema nervoso: Sviluppa la consapevolezza di sé. Riduce lo stress fisico. Favorisce la coordinazione dei movimenti.
È rilassante e calmante. I più forti sono veg
Il veganismo esiste dai tempi di Sparta e Atene, ed anche della Roma Imperiale. Esistono incredibili pregiudizi e clamorosi errori di valutazione sul discorso del rapporto tra alimentazione vegana e resa atletica. A beneficio di chi ama le statistiche, ricordo che i maratoneti e i lottatori di Olympia erano rigorosamente vegani, e che il loro doping si chiamava fichi secchi e uva sultanina. roppi sportivi si drogano, o comunque hanno alimentazioni droganti, basate cioè su carne e pesce, su carboidrati morti, su cole e alcolici, su dolcetti e bevandine, su caffè e digestivi. È idea diffusa che un atleta abbia bisogno di chissà quali apporti proteici, di bistecche al sangue e di 20 uova al giorno, come i goffi lottatori giapponesi di sumo. La gente stenta a capire un fatto fondamentale che si chiama efficienza organica e massimo rendimento. Trattasi di concetti noti anche in campo motoristico. Se un motore è a posto e viene alimentato con un carburante pulito, offre alto rendimento. Se invece lo stesso motore viene intasato, ha i filtri sporchi e gli dai un carburante difettoso, tossisce, scoppietta, produce fumo e non va avanti. Le diete dei calciatori sono esempi classici di queste sistematiche incoerenze. Ed è per questo che durano poco e tramontano nell’arco di 10 anni al massimo. Vivere nutriti e vivere drogati sono cose estremamente diverse. Nel caso mio personale, l’alimentazione crudista vegana mi sta regalando forza e definizione insieme alla partecipazione alle prossime gare di fitness femminile. Veg e natural, forse l’unica che ha osato sfidare che “si può”. D’altra parte i soldati spartani, come i legionari romani, avevano notoriamente ranci di tipo vegano. Quelli erano altri tempi? Anche tra gli atleti di oggi ci sono molti più vegani di quanto la gente pensi, per qualsiasi sport si tratti, di qualsiasi movimento fisico si parli. Anzi, soprattutto nelle specialità più impegnative. Allora rinfreschiamoci pure la memoria, e andiamo a scoprire che l’unica persona al mondo ad aver vinto per 6 volte consecutive una delle più massacranti specialità atletiche, l’Ironman Triathlon, è stato Dave Scott, vegano. Egli sostiene che “è un errore ridicolo” pensare che gli atleti abbiano bisogno di proteine animali. Le sue vittorie nell’Ironman delle Hawai, la più massacrante delle competizioni di resistenza, lo qualificano come leggenda sportiva e ne fanno tuttora una figura carismatica in quelle discipline. L’unico tennista a vincere il titolo mondiale 10 volte è stato Miles, è vegano. L’unico atleta a vincere il mondiale dei 400 ostacoli per 10 volte di seguito, mantenendo pure il record di specialità, è stato Edwin Moses, vegano. Correva i 400 ostacoli, specialità durissima e tecnicissima; da quando iniziò a correre a quando smise non perse mai una gara, fu sempre il primo: il primo a scendere sotto i 48 secondi, il primo a tenere il ritmo dei 13 passi tra un ostacolo e l’altro… gli altri ne facevano 14, lui 13!
Il recordman di tiro alla fune è, Emil Deriaz, vegano. Carl Lewis, campione di salto in lungo e di velocità, è vegano. Ha eguagliato un primato che si pensava ineguagliabile e che apparteneva al mitico Jesse Owens: vincere quattro titoli olimpici nella stessa edizione dei Giochi. L’“era Lewis” è durata 17 anni, dal 1981 al 1997. Nel 1990 l’atleta decise di diventare vegano, con la consulenza del dottor John McDougall: i risultati parlano da soli! Il suo successo più straordinario è stato l’essere riuscito a rimanere ai vertici dello sprint e del salto in lungo per 15 anni, passando attraverso infortuni e sconfitte, con le sue sole forze, senza prendere nessun tipo di sostanze proibite. Primo senza l’aiuto della chimica... e vegan! Walter “Killer” Kowalski, campione di wrestling, morto nel 2008, era vegano. Agli inizi degli anni ‘50 la lotta libera in USA aveva già iniziato ad assumere le caratteristiche di spettacolarità che tuttora la contraddistinguono, con lottatori noti soprattutto per le capacità istrioniche e gli stravaganti costumi. In questo variopinto mondo Kowalski, che era comunque un individuo fisicamente imponente e un lottatore dotato, assunse il ruolo di “cattivo” (il soprannome “Killer” gli fu imposto dal pubblico nel corso di un incontro in cui il suo avversario perse un orecchio). Nonostante la sua fama (e la sua serie di vittorie che continuarono fino al suo ritiro dal ring, avvenuto nel 1978) Kowalski aveva abitudini e comportamenti del tutto sorprendenti per chi lo conosceva solo come personaggio sportivo. Fin dall’adolescenza aveva nutrito un grande interesse per lo spiritismo e le discipline teosofiche, e, essendo rimasto molto colpito dalle critiche alla dieta carnivora contenute nei testi dei teosofisti, risolse all’età di 21 anni di rinunciare definitivamente a nutrirsi di qualsiasi tipo di carne. Nonostante l’opposizione di manager, medici e amici, che gli pronosticavano un brusco calo delle capacità fisiche, Kowalski non accusò alcun problema, e nella scuola per lottatori professionisti che ha fondato a Salem consigliava ai suoi allievi di diventare vegetariani. Martina Navratilova, “la leggenda”, vegana, a 47 anni ha vinto il suo 167° titolo in Australia. È considerata una dei maggiori atleti del ventesimo secolo. Continua a giocare a livello agonistico internazionale. Il 26 gennaio 2003 a Melbourne, Martina Navratilova, vegetariana dal 1993, si è aggiudicata nel doppio misto, il 57° titolo di un torneo del Grande Slam. Con questa vittoria la tennista stabilisce due record: a 46 anni e tre mesi, Martina è il più anziano giocatore a portare a casa una prova del Grande Slam (supera di un mese l’australiano Norman Brookes che vinse il doppio, sempre a Melbourne, nel 1924), ed è l’unico atleta che ha vinto in tutte le possibili specialità (singolare, doppio e doppio misto) a Wimbledon, Roland Garros, Flushing Meadows e Melbourne. Enzo Maiorca, campione mondiale di immersione, è vegano. Maurizio Zanella, celebre scalatore di vette senza attrezzi, chiodi e piccozze, è vegano. Scott Jurek, ultrarunner di maratone, è vegano dal 1999, non solo per ragioni salutistiche, ma in primo luogo per la difesa degli animali e per ridurre il suo impatto sull’ambiente. Tutte le 6 maratone vinte di seguito, le ha vinte da vegan. Elias Broms e i “VeganRunner”, tutti maratoneti in squadra, nata in Svezia nel Maggio
del 2002, quando ad Elias Broms, un veg con la passione per la corsa, è venuta l’idea di creare un gruppo di corridori vegan. La motivazione, oltre quella del divertimento, è quella di sfatare il mito secondo il quale per ottenere una buona prestazione sportiva sia necessario nutrirsi di carne e altri derivati animali. Nel giro dei poco tempo molti vegancorridori si sono iscritti, e anche molti vegan hanno cominciato ad avvicinarsi al podismo con un nuovo obiettivo, partecipando a gare anche con ottimi risultati. Le gare a cui partecipano i corridori vegan sono le classiche Svedesi di media e lunga distanza, (dagli 8 ai 30 km) le mezze maratone e le maratone. Billie Jean King, vegana. È stata la prima donna ad eguagliare il record stabilito nel 1939 da Alice Marble: la vittoria del titolo di singolo, doppio e misto al torneo di Wimbledon e agli US Open nella stessa stagione. Nel 1967 è stata scelta come migliore atleta donna del mondo. Nel 1972 la rivista “Sports Illustrated” l’ha nominata Personaggio sportivo dell’anno” (la prima donna a ricevere questo riconoscimento). Nel 1973 è stata eletta migliore atleta donna del mondo. Con il totale di venti titoli conquistati a Wimbledon ha stabilito un record. È stata la prima atleta donna a vincere oltre 100.000$ in premi sportivi in un’unica stagione agonistica. Debbi Lawrence, maratoneta, è vegana. Desmond Howard, vegano, è stato uno dei migliori giocatori di football americano di college di tutti i tempi. Ancora, Paavo Nurmi, vegano. È il detentore del maggior numero di medaglie olimpiche tra gli atleti di atletica leggera (12 medaglie, 9 delle quali d’oro) e di record mondiali (31). Il 10 luglio del 1924, alle Olimpiadi di Parigi, in meno di un’ora vinse la gara dei 1500 metri in 3:53.6 e la gara dei 5000 metri in 14:31.2. Pierre Vérot, sciatore vegan, è stato istruttore di sci alla scuola Jean Vuarnet in Francia; nel 1975 ha fondato la prima scuola di sci acrobatico in Canada. Pratica numerosi altri sport: corsa, nuoto, paracadutismo, equitazione, alpinismo, pentathlon, judo, karate, rugby, tennis, calcio, ciclismo e pallavolo. Ridgely Abele, maestro vegano di Karate e Jujitsu, ha vinto numerosi tornei regionali, nazionali ed internazionali tra cui il campionato nazionale dell’Associazione di Karate degli Stati Uniti e il primo campionato professionistico della Florida. Nel 1983 e nel 1985 ha vinto il campionato del mondo USKA. Robert Sweetgal, marciatore, vegano. Nel 1984-85 ha attraversato marciando tutti i 50 stati degli USA in un anno: oltre 18.000 km (11.208 miglia), quasi 50 km (31 miglia) al giorno. Ha attraversato a piedi 7 volte gli Stati Uniti. Nel 1983 ha stabilito il record mondiale di marcia con 17.071 km percorsi in 279 giorni (9 mesi e 6 giorni). Al Oerter, lanciatore del disco, ha vinto 4 titoli consecutivi. Da vegan. Anthony Peeler eccelle nel basket da vegan. Murray Rose, una leggenda del nuoto, a 17 anni conquistò i titoli olimpici a Melbourne, diventando il più giovane vincitore di tre medaglie d’oro contemporanee: è vegetariano della nascita. Ruth Heidrich è diventata vegana e triatleta dopo la diagnosi di tumore della mammella, nel 1982. È presidente della “Vegetarian Society of Hawaii”. E dobbiamo citare anche culturisti e atleti di forza, visto che la regola è universale?
Andreas Cahling, body builder, è vegano. Mr Venice Beach, primo classificato nel 1976; Mr. Gold’s Classic AAU, primo classificato nel 1976; Mr. International, primo classificato e vincitore assoluto nel 1980 tra i professionisti. Dal 1980 al 1990 ha sempre raggiunto le finali nei concorsi di Mr. Universo e nel campionato mondiale per professionisti IFBB, conquistando piazzamenti molto importanti. Bill Pearl, veganbodybuilder, vanta 16 vittorie da 1953 al 1996. Ha vinto il titolo agonistico di Mr. Universe nel 1971, a 41 anni, senza assumere steroidi e da vegetariano. È considerato uno dei più grandi body builder di tutti i tempi. Pier Venturato, è stato due volte campione mondiale in tutte le categorie di culturismo. E la compagna Mara Besacchi incarna la stessa perfezione. Entrambi adottano una dieta verde. Robert Cheeke, giovane body builder fondatore del Vegan Bodybuilding and Fitness americano, è vegano. Michelle Battermann, atleta di fitness, è vegana. Joanne Gero, pure lei, è vegana crudista. E tanti altri. Infine io, Maria Silva, vegana, non ancora Mrs. Olympia ma nemmeno mezza schiappa. Tutti i vegani campioni e perfetti? Assolutamente no. Vogliamo dire però che essere vegani ed essere in particolare crudisti, non impedisce affatto di raggiungere il top, e soprattutto non impedisce di mantenersi a lungo in forma ottimale, e di stare per decenni sulla cresta dell’onda, a differenza dei campioni onnivori che toccano i vertici ma poi declinano e naufragano molto velocemente. Vale anche la mia testimonianza. In assenza dell’intossicazione animale ho guadagnato in massa magra, volume e forza nonché salute, benessere e ripristino delle funzioni fisiologiche del mio organismo. Perché personalmente, purtroppo, e per fortuna se vogliamo, ho avuto modo di sperimentare tutto sul mio corpo, distruggendolo e recuperandolo. E non scendo nel merito delle singole situazioni. Certo. Ci sono pure i vegetariani mingherlini e sottotono. Ci sono anche tanti vegetariani male impostati, troppo magri o comunque non all’altezza dei migliori atleti, ma questo dipende da diversi altri fattori e vale anche per gli onnivori, come un numero notevole di errori nutrizionali e comportamentali non imputabili di certo al veganismo e al crudismo, ma ai soggetti stessi. E, per essere equi nei giudizi, esistono pure molti atleti e molti campioni che consumano carni, latticini, e le varie porcherie di contorno, e che magari pure fumano e bevono caffè. Anche gli atleti onnivori possono vantare i loro campioni. Ma è gente che non resiste a lungo e che tende inevitabilmente a tramontare prima del tempo, perché ha raggiunto le sue performance non genuinamente ma in stato di drogatura leucocitosica, in regime di innaturale accelerazione cardiaca, in condizioni di artificioso simpaticotonismo e di indotto ipertiroidismo, di ipertensione, ipercolesterolemia ed iperglicemia. Si può sicuramente vivere e vincere in tanti modi, spesso anche sbagliati. C’è gente che lo fa mangiando di tutto e anche fumando di tutto. Ma con i cibi droganti (carne e pesce lo sono) non si va lontano. Cercare vitalità ed efficienza in un cibo cadaverale non ha
senso logico, oltre che spirituale. I cibi di per sé non aiutano a vincere o a perdere, ma creano sole le premesse per vincere o perdere. È sempre il motore a fare la performance, sorretto dalle ruote o dai muscoli. Un motore che funziona al massimo rendimento è sempre e solo un motore pulito, privo di fumi, di perdite e di sprechi, e non certo un motore spinto ad additivi e ottani aggiunti. Il carburante deve soltanto permettere un funzionamento regolare, privo di sbalzi, e soprattutto privo di effetti collaterali, tipo intasamento, grippaggi e rotture clamorose. È sempre il corpo col suo sistema immunitario ad agire e reagire alle sostanze molecolarmente inerti che gli propiniamo. Il purgante, ad esempio, non ha potere purgativo, ma soltanto irrita l’intestino, il quale (obbedendo al sistema immunitario) reagisce ed espelle la massa fecale. La proteina e l’integratore non hanno di certo potere nutriente filo-muscolare, ma soltanto irritano e stimolano il sistema immunitario col noto schema dopante leucocitosi-tachicardia che può al massimo favorire, al pari di un comune sostegno caffeinico o nicotinico, un’accelerazione nel metabolismo e negli effetti nutritivi di breve periodo. Credo che l’equivalenza muscolo sviluppato uguale proteina animale più integratore sia un mito, un pregiudizio e un dogma sbagliato su tutti i fronti. Lo dico anche in termini di logica. Nessun cibo naturale o innaturale al mondo è dotato di per sé di intelligenza creativa o distruttiva, di poteri magici salutari o patologici, ma soltanto di caratteristiche eduli o velenose. La forza del cibo per gli atleti
Se fattori genetici, fisici e psicologici giocano tutti un ruolo importante nel determinare le capacità atletiche, abitudini alimentari scorrette e carenze nutrizionali possono invece comprometterle. Una dieta appropriata per chi pratichi sport costituirà un importante ausilio per sostenere l’attività fisica sia nel corso dell’allenamento che durante la gara. A causa delle pesanti richieste energetiche secondarie alla pratica di esercizio ed attività fisica e per il supporto dell’attività fisica di allenamento e per l’agonismo è fondamentale la scelta di una dieta appropriata, che soddisfi l’elevato fabbisogno energetico e calorico e risponda alle esigenze necessarie per le funzioni vitali, per i processi di termoregolazione, la compensazione delle perdite (sudore, urina, ecc.) e il turnover dei tessuti. Gli atleti che praticano attività sportiva, sia per scopi agonistici che ricreativi, sono spesso alla ricerca di un programma dietetico che garantisca quella “mossa vincente”. Molti si sottopongono ad esperimenti con vitamine ed altri integratori, polveri proteiche e pillole, tutto ciò a scapito di un fattore semplice ma non meno importante per la performance fisica, cioè la nutrizione. Certa gente, soprattutto quella delle palestre, non ha ancora capito che nutrizione e salute nulla hanno a che fare con le integrazioni proteiche, tauriniche, glutammiche, carnitiniche, ornitiniche, melatoniniche, vitaminiche, ormonali e minerali. Nutrizione e salute vertono essenzialmente sulla semplicità e sulla naturalità, essendo basate su alcuni principi chiari, eterni e inalterabili. I fabbisogni nutrizionali di un atleta
sono superiori a quelli medi. Tre sono i “carburanti” di base che l’organismo utilizza durante l’attività fisica, carboidrati, grassi e proteine, e le calorie in più ottenute da questi substrati sono necessarie per soddisfare le richieste energetiche e per conservare la massa magra dell’organismo. In particolare, una dieta bilanciata che sia ricca in carboidrati vivi, a moderato contenuto di grassi “buoni” e che garantisca un adeguato apporto proteico, è la dieta più appropriata per gli atleti. Infatti una dieta vegana si configura come una dieta ottimale per chi pratichi sport. Si tratta inoltre di una dieta ricca in vitamine, minerali e sostanze antiossidanti, tutti importanti nutrienti che aiutano l’organismo ad utilizzare al meglio l’energia e lo proteggono dallo stress secondario all’esercizio fisico. I carboidrati
L’organismo “brucia” continuamente una mistura di carboidrati, grassi e proteine. La durata dell’esercizio, la sua intensità, le condizioni fisiche ed il livello iniziale di carboidrati immagazzinati nel muscolo sotto forma di glicogeno, determineranno quale sarà il nutriente che l’organismo utilizzerà per primo come substrato energetico. Generalmente i carboidrati costituiscono la fonte energetica che viene primariamente utilizzata durante l’esercizio fisico intenso. Infatti, circa il 55-75% delle calorie della dieta dovrebbero provenire dai carboidrati, ed anche di più negli individui che si dedichino ad attività fisiche di resistenza, soprattutto se massimale. I carboidrati si dividono in due gruppi: i carboidrati semplici e carboidrati complessi. I carboidrati semplici, anche chiamati zuccheri semplici, includono fruttosio (zucchero della frutta), saccarosio (zucchero da tavola), lattosio (zucchero del latte), così come molti altri zuccheri. I frutti sono una delle più ricche fonti naturali di carboidrati semplici. Tuttavia l’atleta, per i suoi sforzi prolungati, necessita anche di carboidrati complessi, quindi a più lento rilascio”. I carboidrati semplici si riducono facilmente in glucosio e vengono rilasciati rapidamente nella circolazione sanguigna dando energia di rapido utilizzo. I carboidrati complessi sono fatti anche di zuccheri, ma le molecole di zucchero sono legate insieme per formare le catene più complesse. I carboidrati complessi includono fibre e amidi. Ricchi di carboidrati complessi alimenti sono ortaggi, cereali integrali, piselli, fave e legumi. Con l’esercizio fisico prolungato, condotto a bassa intensità, i grassi (sotto forma di acidi grassi) divengono la fonte energetica primaria. Lo spostamento verso l’utilizzo degli acidi grassi durante l’esercizio fisico aiuta a preservare le scorte di carboidrati (glicogeno) dell’organismo e permettere l’esecuzione di attività fisica prolungata. Comunque, mentre un elevato introito di carboidrati viene raccomandato per migliorare le prestazioni atletiche, non è necessario un aumento dei grassi oltre quanto solitamente raccomandato, cioè 10-30% delle calorie totali, dal momento che quando servono vengono ricavati dai depositi presenti all’interno del muscolo. Aumentare l’introito di grassi non è raccomandato per il miglioramento delle performances atletiche. In confronto ai carboidrati ed ai grassi, le proteine sono usate come substrato energetico
solo in proporzioni minime, in quanto la loro funzione primaria è quella di costituire e mantenere integri i tessuti dell’organismo. Soprattutto, una dieta ad elevato contenuto di carboidrati è molto importante per assicurare il deposito di quantità ottimali di carboidrati nell’organismo, rifornendolo di energia necessaria per lo svolgimento di attività fisica e sostenendo le prestazioni atletiche sia di resistenza che di forza. Una dieta vegana è in grado di fornire quella elevata quantità di carboidrati di cui l’organismo necessita per l’allenamento e la competizione sportiva. Le proteine
Gli atleti, sia che pratichino attività sportive di forza che di resistenza, hanno un aumentato fabbisogno calorico. Le proteine, composte da catene di molecole denominate aminoacidi, giocano un ruolo importante nella costituzione, e nel mantenimento dell’integrità e riparazione di tutti i tessuti dell’organismo, muscolo incluso. Nel cibo che assumiamo sono contenuti venti differenti aminoacidi, in più il nostro organismo è in grado di sintetizzare tramite trasformazioni interne. Non esiste rimpiazzamento proteico ma solo trasformazione di calorie e micronutrienti. Una dieta basata su una varietà di cereali, legumi e verdure è facilmente in grado di fornire tutti gli aminoacidi essenziali richiesti dal nostro organismo. Si reputava, un tempo, che i vari cibi vegetali dovessero venire assunti simultaneamente per sfruttare appieno il loro valore nutrizionale proteico, un metodo denominato “combinazione” o “complementazione proteica”. Ora sappiamo che una combinazione pianificata non è in verità necessaria per ottenere tutti gli aminoacidi essenziali. Le più note fonti proteiche comunemente “migliori” per la maggior parte della gente sono le proteine animali come carne, pesce, pollo, uova e latticini. Possono contenere fino al 40% di calorie da proteine, ma sono anche ricchi di grassi saturi, acido puro catabolico e cadaverina difficile da digerire (l’atleta ha bisogno di pronto consumo”). Carne digeribilissima? Non diciamo fesserie. La digestione non consiste semplicemente nel passare dalla bocca allo stomaco e dallo stomaco al duodeno. La digestione consiste nel passare dalla bocca all’ano, e nel farlo in modo rapido e privo di effetti avversi. La carne è un veleno che rimane all’interno del corpo umano per una cinquantina di ore prima che il sistema si riprenda e si ripulisca totalmente dal trauma biochimico da essa rappresentato. La carne, e le proteine animali in genere, nel fare questo percorso accidentato in un sistema complesso, extralungo, ruvido, spugnoso, disegnato per la frutta e non certo per salme e marciume organico, vanno a causare una serie di gravissimi danni al sangue, agli organi, alle ossa, agli equilibri neurovegetativi ed ormonali, agli equilibri batterici. La carne devitalizza l’uomo, lo satura di colesterolo, gli intasa le arterie, gli intossica il sangue, gli appesantisce il fegato, gli ostruisce la cistifellea, gli irrita il colon, gli disattiva i reni, gli stressa il cuore, lo rende maleodorante, lo fa diventare un cimitero ambulante carico di anime massacrate in modo vile e raccapricciante.
Noci, semi e più verdura (a foglia verde scuro in particolare), super alimenti come spirulina, clorella, alghe, canapa e soprattutto anche frutta rappresentano la migliore fonte di proteine. La quinoa (un cereale ricco di proteine, dal Sud America) ha la più alta qualità di proteine (quantità di aminoacidi essenziali) ed è meglio di qualsiasi prodotto animale o di prodotti lattiero-caseari. Le proteine dei germogli, dei vari semini pestellati e della frutta oleosa, coprono abbondantemente ogni vecchia abitudine esagerata alla sostanza grasso-proteica, anche se prese in quantità minime ma sistematiche. La dieta vegana è talmente efficiente da permettere persino il riciclaggio di detriti cellulari e scorie. Altre fonti concentrate di proteine, per un utilizzo più blando, sono costituite da tofu, latte di soia, tempeh, seitan. Pensare che proteine animali e proteine vegetali siano uguali, che vitamine sintetiche e naturali sia la stessa cosa, che minerali inorganici e minerali organicati siano equivalenti, è tipico di un modo di pensare meccanicistico, materialistico e semplificativo, tipico della chimica moderna basata interamente su bilance, reazioni, formule chimiche, dimenticando che esistono fattori extra-ponderali come la vitalità, le onde vibrazionali, gli enzimi, i catalizzatori, la compatibilità e l’incompatibilità biologica. Le proteine vegetali hanno tutte le qualità per essere gradite dal corpo umano, nella misura in cui sono accompagnate dalla loro acqua biologica, dai loro micronutrienti, dalla loro vitalità enzimatica. Le proteine animali invece devono essere disgregate con fatica dal loro guscio per poter liberare gli aminoacidi. Siamo esseri fruttariani per cento e più motivi precisi ed inequivocabili. E quindi siamo disegnati per un apporto proteico minimo, che corrisponde poi a quello che sta contenuto nella frutta e nelle verdure crude, che oscilla sempre sul 4-5%. E anche quelle poche proteine richieste non devono arrivare per forza dalle proteine. Come già detto, dai 30-35 grammi di proteine in avanti si entra nel territorio insidioso e proibito dell’acidificazione del sangue. Una dieta vegana saziante soddisfa in pieno il fabbisogno proteico. Basta soddisfare i morsi della fame e, con qualsiasi tipo di dieta, la carenza proteica non subentra, mentre il rischio esiste sempre per le carenze vitaminiche, minerali, enzimatiche ed ormonali. La carenza proteica si può verificare solo in concomitanza con una grave carenza calorica. Va enfatizzata l’importanza di una dieta ad alto contenuto di carboidrati per preservare le proteine per le funzioni per le quali sono state deputate: costituzione e riparazione dei tessuti dell’organismo, muscolo incluso. I grassi
I grassi sono la fonte più concentrata di energia nella dieta. Essi danno sapore e consistenza al cibo. Sono costituiti da catene di acidi grassi. In genere per sapere quale è il grasso migliore per il vostro corpo, ricordo che un grasso solido sarà un mattone nel vostro corpo e un olio liquido sarà invece un fluido lubrificante. I grassi insaturi sono usati
per la fabbricazione degli ormoni e costituiscono le membrane cellulari. Essi sono generalmente conosciuti come i grassi polinsaturi e sono presenti nelle noci e nei semi vegetali. Essi sono comunemente noti come omega 6 e omega 3. L’olio di oliva è un olio monoinsaturo. Porta diversi vantaggi: riduce i grassi cattivi e aumenta i grassi “buoni” nelle arterie, è lipolitico (attiva il meablismo endogeno delle “maniglie” addominali) e aiuta la disintossicazione epatica. I grassi insaturi possono essere trasformati in “trans” e si comportano internamente più come un grasso solido, saturo. Pertanto, come i grassi animali saturi, questi dovrebbero essere limitati nella dieta dello sportivo a causa del loro effetto sul corpo. I grassi saturi sono i grassi animali e vengono utilizzati per immagazzinare grasso per l’isolamento (e tossine). A livello arterioso contribuiscono alla patologia cardiovascolare. Che cosa è la fibra?
La fibra è una sostanza praticamente indigeribile che si trova principalmente negli strati esterni delle piante. La fibra è uno speciale di carboidrato che passa attraverso il sistema digestivo umano praticamente inalterato, senza essere suddivisa in sostanze nutritive. Quasi tutti sentono parlare della necessità di una quantità sufficiente di fibre nella dieta. Ma poche persone capiscono l’importanza delle fibre alimentari, o dove trovarlo. La fibra è importante perché influisce sul processo di digestione dall’inizio alla fine: perché richiede che il cibo sia più accuratamente masticato, essa aiuta a contribuire ad una sensazione di sazietà, che a sua volta può aiutare a prevenire l’obesità da eccesso di cibo; perché rende il cibo più soddisfacente, probabilmente in quanto il contenuto dello stomaco ingombrante sosta più a lungo. La fibra rallenta la digestione e l’assorbimento in modo che il glucosio (zucchero) nel cibo entri nel flusso sanguigno più lentamente, che mantiene lo zucchero nel sangue a un livello più uniforme; perché aiuta il processo di fermentazione intestinale dei nostri batteri contribuendo a nutrire il rivestimento del colon; perché fornisce anche il combustibile per il resto del corpo, soprattutto epatico, ed ha un ruolo importante nel metabolismo. Un consistente quantitativo di fibra può essere trovato in alimenti quali: frutta (buccia e semi inclusi), ortaggi (verde scuro come il cavolo, bietole, spinaci, broccoli), semi (girasole, canapa, lino, zucca, sesamo), alghe e germogli. Ci sono due tipi principali di fibre, e hanno effetti diversi sul corpo: la fibra insolubile, costituita principalmente dalle pareti delle cellule delle piante, non può essere dissolta in acqua, ha una buona azione lassativa; la fibra solubile, costituita da polisaccaridi (zuccheri che contengono tre o più molecole di carboidrati semplici), quindi solubile in acqua, ha un effetto benefico sulle reazioni biochimiche del corpo, come ad esempio l’abbassamento del colesterolo e livelli di zucchero nel sangue. Solo frutta e piante producono fibre. Non importa quanto gommosi o “duri” i prodotti di origine animale siano, essi non contengono fibre. Nemmeno le ossa o i gusci d’uovo. Cosa sono gli antiossidanti?
Gli antiossidanti sono sostanze o elementi nutritivi nei nostri alimenti che possono prevenire o rallentare il danno ossidativo corporeo. Quando cellule del nostro corpo utilizzano ossigeno, essi producono naturalmente i radicali liberi che possono causare danni. In presenza di attività fisica costante, quale lo sportivo effettua, questi vengono maggiormente prodotti. Gli antiossidanti agiscono come “radicali liberi” quindi prevengono e riparano i danni fatti da questi. I problemi di salute come le malattie cardiache, la degenerazione muscolare, il diabete, il cancro, l’invecchiamento precoce sono tutti contributi di danno ossidativo. Questi sono sicuramente alcuni dei migliori alimenti per la vostra salute e performance… pieni di antiossidanti, pieni di vitamine, minerali e grassi buoni, aiutano a riparare il danno che facciamo ogni giorno con diete, stress ambientali, additivi chimici e soprattutto stress fisico. Beta-carotene e altri carotenoidi: asparagi, barbabietole, broccoli, melone, carote, mais, verde, peperoni, cavoli, manghi, rape, albicocche, pesche, arance, pompelmo rosa, zucca, zucchine, spinaci, patate dolci, mandarini, pomodori e anguria. Vitamina C: bacche, broccoli, cavolini di Bruxelles, melone, cavolfiore, pompelmo, cavoli, kiwi, mango, pesche noci, arance, papaia, peperoni rossi, gialli o verdi, piselli, patate dolci, fragole e pomodori. Vitamina E: broccoli, avocado, carote, senape, cime di rapa, bietole, mango, noci, papaia, zucca, peperoni, spinaci e semi di girasole. L’elenco comprende alcuni super alimenti recentemente scoperti quali: Goji Berry, Acai Berry, Berry Camu, Mulberry, Sambuco, Yumberry, Noni Germogli (fagioli verdi, semi di girasole, broccoli, piselli, lenticchie) Cibi fermentati (crauti) Alghe (dulse, kelp, arame, wakame) Raw cacao (cioccolato grezzo) Tutte le bacche (fragole, mirtilli, lamponi, more). Gli enzimi
Gli enzimi creano energia all’interno del corpo, sono la “scintilla della vita”. Senza enzimi, i nostri corpi non abbattono gli alimenti; quindi non assorbono vitamine, minerali e aminoacidi che sono alla base della nostra salute. Il nostro sistema immunitario, sangue, fegato, reni, milza e pancreas dipendono da una corretta funzione digestiva e enzimatica. Gli enzimi aiutano a controllare la glicemia, impediscono la coagulazione del sangue, aiutano a combattere le malattie, riparano le nostre cellule, digeriscono i cibi e i liquidi che mangiamo tramite acido cloridrico gastrico e bile epatica. Senza enzimi i nostri globuli bianchi tentano di eseguire la loro funzione, di solito lasciando una sensazione di stanchezza dopo aver mangiato, e compromettendo il sistema immunitario. Gli enzimi sono responsabili di ogni reazione biochimica che avviene nella materia vivente. Tutta la vita dipende dagli enzimi…
Una volta che l’ambiente interno del corpo è acidificato da cibi cotti e elaborati, i nostri organi, tessuti e la salute in generale ne pagano il prezzo. Ci sono 3 tipi di enzimi: enzimi metabolici, emessi dai nostri tessuti e organi; enzimi digestivi, con il compito di abbattere carboidrati, proteine e grassi; enzimi alimentari, provenienti da cibi crudi vivi che iniziano il processo digestivo. Questi enzimi prendono e uniscono carboidrati, proteine e grassi per mantenere sano il nostro corpo. La cottura uccide tutti gli enzimi alimentari, quindi la mancanza di questi importanti enzimi riduce la produzione di enzimi metabolici. Il risultato finale di tutto questo è un corpo debole, malato, e degradato dall’invecchiamento. Il segreto è consumare cibi crudi quotidianamente per fornire ai nostri corpi gli enzimi che permettono al nostro corpo di mantenere le nostre riserve abbondanti. Più enzimi il nostro corpo ha, più sani siamo, più energia abbiamo, più la resa atletica impenna e più a lungo si vive. L’acqua
L’acqua potabile è assolutamente fondamentale per raggiungere e mantenere una buona salute. L’acqua è l’elisir di lunga vita. Nel complesso, l’acqua rappresenta circa il 70% del nostro peso corporeo. Più specificamente, il nostro sangue è per circa l’85% d’acqua, i nostri muscoli per il 75%, il nostro cervello per il 74%, e le nostre ossa per circa il 22%. Ogni processo si verifica nei nostri corpi in una soluzione acquosa. L’acqua è una parte fondamentale della nostra vita. Siamo in grado di sopravvivere solo pochi giorni senza di essa! Mantenere uno stato di idratazione ottimale è una misura importante per promuovere il massimo delle prestazioni atletiche e prevenire danni. Benefici per la salute: L’acqua agisce come agente nutriente. L’acqua circola attraverso il sangue e favorisce il trasporto di sostanze nutritive e di ossigeno verso organi e cellule. Essa è come un solvente per molte sostanze nutrienti e sali essenziali e li rende disponibile per l’assorbimento da parte dell’organismo. L’acqua trasporta vitamine, minerali, proteine e zuccheri in tutto il corpo per nutrire le cellule, tessuti e organi. L’acqua è un agente di pulizia. Essa serve anche come mezzo per trasportare i rifiuti metabolici dal corpo, in forma di urina e sudore. Un potente agente disintossicante. Questa è una delle funzioni più importanti dell’acqua nel nostro corpo, anche se non molto apprezzata spesso nella vita quotidiana, l’eliminazione le tossine, che, se lasciate accumulare, possono causare svariati sintomi negativi. L’acqua aiuta a ridurre il rischio di colpo di sole. L’acqua è il più importante fattore nella funzione regolamentare della temperatura corporea. Nei giorni di sole si suda (in altre parole si espelle acqua) e più è l’evaporazione del sudore minore è l’effetto di raffreddamento sul corpo. Lo sportivo che effettua sedute e training all’aperto è particolarmente a rischio. In assenza di acqua in quantità sufficiente (quando si verifica disidratazione) nel vostro corpo, questa regolazione della temperatura crolla e aumenta
la temperatura corporea, uguale colpo di sole. Un grave colpo di sole ha il potenziale di danneggiare i vostri organi vitali. L’acqua mantiene la pelle in buone condizioni. Nel processo di sudorazione, elimina anche le impurità della pelle e la purifica, lasciando la pelle più giovane e sana. Le cellule della pelle disidratata determinano rughe o cedimenti. L’acqua lubrifica le articolazioni, eliminando i dolori articolari e riducendo il rischio di sviluppare artriti. L’acqua aiuta la circolazione e può ridurre efficacemente la pressione arteriosa alta. L’acqua è necessaria per una corretta digestione e per affrontare efficacemente stitichezza, colon irritabile e altri disturbi digestivi. L’acqua aiuta a gestire lo stress in modo più efficace. E soprattutto, l’acqua aumenta il rendimento fisico e mentale perché aiuta a “nutrire” muscoli e cervello. Più magro è un individuo, in termini di massa muscolare magra, più acqua necessita per rimanere adeguatamente idratato. Il muscolo contiene più acqua rispetto ai grassi, per cui l’acqua diventa sempre più importante per permettere ai muscoli di funzionare correttamente. Senza questa i muscoli si seccano e il movimento muscolare ne risulterà compromesso. Di conseguenza, l’allenamento non sarà più produttivo come si vorrebbe. I segnali di pericolo di disidratazione: Si perde acqua attraverso la minzione, la respirazione e la sudorazione. Un soggetto attivo perde più acqua di un sedentario. La disidratazione, definita come perdita di peso corporeo uguale o superiore all’1%, secondaria a perdita di liquidi dell’organismo, provoca una serie di sintomi quali cefalea, mal di schiena, affaticabilità, intolleranza al caldo, costipazione, urine concentrate e maleodoranti. Effetti secondari più gravi comprendono crampi, esauribilità e colpi di calore. Da notare che la riboflavina, la vitamina B, renderà la vostra urina giallo brillante. La sete è un segno evidente di disidratazione e di fatto si ha bisogno di acqua molto prima di avere sete. Mantenendo un regolare apporto di liquidi di almeno otto bicchieri di acqua al dì (ovvero otto bicchieri da 240 cc), questi sintomi sono facilmente prevenibili. L’acqua è l’elemento reidratante ideale, particolarmente in quelle attività sportive che durano meno di 1 ora. Per quei tipi di attività sportiva che durino più di 60-90 minuti, è indicata l’assunzione di quelle bevande per sportivi contenenti carboidrati o sali minerali, sia durante che al termine dell’attività. I sali minerali ed i carboidrati possono facilmente venire assunti attraverso il cibo, in aggiunta all’acqua, al termine di una sessione di allenamento o di un evento sportivo. Nutrizione prima, durante e dopo l’esercizio fisico
Il pasto precedente: L’apporto nutrizionale nel pasto precedente una gara o un allenamento dovrebbe incrementare le riserve energetiche, fornire una idratazione adeguata e prevenire problemi gastrointestinali e di fame. Gli studi hanno dimostrato che un consumo di
carboidrati da 1 a 5 gr/kg di peso corporeo, da una a quattro ore prima dell’esercizio di resistenza, ha l’effetto di migliorare la performance di resistenza fino a circa il 14%, ed è probabile che possa migliorare anche la performance di forza. Gli atleti vegani dovrebbero venire incoraggiati a consumare pasti ricchi di carboidrati, ben conosciuti e tollerati, che sono poveri in sodio, zuccheri semplici e fibre. Alcuni studi che si sono focalizzati sul consumo di carboidrati durante i 30-60 minuti precedenti l’esercizio, comunque indicano che il consumo di carboidrati dovrebbe essere evitato in questo intervallo di tempo. Questo per non incorrere in una possibile ipoglicemia, con conseguente calo della performance, osservata in molti atleti. Studi recenti hanno suggerito che un consumo di carboidrati (nella misura di 1gr/kg di peso corporeo) con un basso indice glicemico un’ora prima dell’attività possa prolungare la resistenza durante un’attività intensa, mantenendo le concentrazioni ematiche di glucosio più elevate fino alla fine dell’esercizio fisico, e possa anche dare dei vantaggi fornendo una fonte di glucosio a lento rilascio che non provoca aumento dell’insulina. D’altra parte, l’ingestione di un pasto liquido a base di carboidrati subito prima dell’esercizio (5 min), come una spremuta di agrumi o un centrifugato di frutta, migliorerebbe la performance durante l’attività sia di resistenza che di forza. Per l’assunzione di liquidi includere almeno due tazze di liquidi circa due ore prima dell’attività, seguite da due tazze circa 15-20 minuti prima dell’inizio dell’attività di resistenza. Integrazione durante l’attività: È stato dimostrato che l’ingestione di carboidrati a livelli tra 45 e 74 gr/h è utile per attività prolungate e di moderata intensità (>2h) e per attività di intensità variabile e breve durata presumibilmente perché sostiene i livelli glicemici mentre vengono esaurite le riserve endogene di glicogeno. L’ingestione di bevande di frutta fornisce con facilità un apporto adeguato di carboidrati oltre ad una simultanea reintegrazione idrica. Ad esempio, il consumo di 4-8 once di bibita al 7% di contenuto di carboidrati (livello delle bevande più diffuse) ogni 15 minuti, può fornire 34-50 gr/h di carboidrati. Se la bevanda viene assunta in conformità alle raccomandazioni ACSM, è possibile introdurre anche una quantità maggiore di carboidrati. Gli atleti vegani dovrebbero preferire succhi di frutta diluiti (4 once di succo in 4 once d’acqua = soluzione al 6% di carboidrati) o succhi di verdura a basso tenore di sodio come il succo di carote (soluzione al 7%). Cibi facilmente assimilabili sono banane, uva, datteri, fichi, fette di arancia, patate al forno, panini salati. Nutrizione post-attività: È di primaria importanza reintegrare l’organismo di glicogeno e fluidi subito dopo un esercizio intenso o prolungato. Questa misura è particolarmente importante dopo un allenamento pesante. I ricercatori hanno dimostrato che per facilitare la sintesi rapida di glicogeno a livello muscolare, gli atleti dovrebbero consumare carboidrati subito dopo l’esercizio, ad intervalli frequenti. Secondo Sherman, il ritmo di assunzione di carboidrati dovrebbe essere circa 1.5 gr/kg di peso corporeo ad intervalli di due ore, fino a quattro ore. Quindi, un corridore del peso di 80 kg dovrebbe assumere circa 120 gr di carboidrati a 0,2 e 4 ore dopo l’esercizio. Altri regimi di reintegrazione del glicogeno sono stati
suggeriti. Due studi recenti hanno suggerito che l’ingestione di cibi ad elevato indice glicemico possa aumentare il ritmo di deposito di glicogeno muscolare dopo l’esercizio, stimolando una maggior secrezione di insulina. Comunque risulta difficile dimostrare se tale aumento di insulina risulti da un maggior apporto proteico o da un maggior apporto energetico. Il consumo d’acqua al pasto successivo dovrebbe essere sufficiente, posto che il pasto contenga quantità adeguate di sodio e potassio. Comunque, qualora non si potesse o volesse mangiare, i fluidi ingeriti dovrebbero contenere cloruro di sodio ed altri elettroliti. Quando venga assunto sodio con bevande o cibi solidi, lo scambio osmotico è mantenuto e si riduce la produzione di urina.
La formula vincente e non dopante per ogni sport
È arrivato il momento di concretizzare. Scegliendo porzioni abbondanti di questi cibi, con una particolare attenzione alla varietà e completezza, il vostro organismo otterrà notevoli benefici. Frutta: Scegliere vari tipi di frutta, centrifugati e succhi di frutta in modo da ottenere altre vitamine, specialmente vitamina C. Verdure: Scegliere una varietà di verdure di colore intenso rosso, arancio o giallo in aggiunta alle verdure a foglia verde, per ottenere vitamina C, beta-carotene, ed altri antiossidanti che saranno in grado di proteggere l’organismo dallo stress ossidativo secondario all’esercizio fisico. Questo genere di alimenti fornisce inoltre ferro, calcio, fibre e la modesta quantità di 2 grammi di proteine per porzione. Cereali integrali: Scegliere pane di grano integrale o pane, cereali, riso, miglio, avena, orzo, quinoa amarato, grano saraceno, pasta arricchiti. Questi cibi sono ricchi in carboidrati complessi, fibre, zinco, e vitamine del gruppo B. Una singola porzione fornisce inoltre ottime proteine. Legumi: Scegliere una varietà di legumi (pisellini, fagioli neri, fagioli, fagioli grandi del nord) come pure latte di soia, tofu, tempeh e proteine vegetali ristrutturate. Questi cibi non solo sono ricchi in proteine (circa 7-10 grammi per porzione), ma sono pure ricchi di carboidrati complessi, fibre, ferro, calcio e vitamine del gruppo B. Grassi: Alternare olio di oliva, lino, zucca, girasole, mais, noci, canola, colza, arricchire i piatti con frutta secca (noci, mandorle, nocciole, pistacchi, pinoli), semi (sesamo, zucca, lino, girasole) e avocado.
Esempio di alimentazione sportiva vegana
Il menu si compone di colazione, spuntino mattutino, pranzo, spuntini pomeridiani, cena. Prima colazione, ore 7: Succo fresco di agrumi a scelta, oppure abbondante piatto fragole e pesche; Pop-corn e fichi, oppure pop-corn e banane, oppure corn-flakes e albicocche; Latte di soia o miglio, mandorle, riso, nocciole, avena. Spuntino, ore 10: Datteri o fichi secchi o uvetta; Mandorle o pinoli o noci. Pranzo, ore 12: 1) Verdure crude più olive (es. lattuga, radicchio, rucola, ravanelli, oppure cavolo cappuccio verde e viola più cipolla, oppure carciofi crudi e finocchi crudi, con l’aggiunta di un avocado); 2) Cereali tipo riso nero o riso integrale, oppure miglio e grano saraceno; 3) Patate, patate dolci, zucche, topinambur, oppure peperoni, zucchini e melanzane, oppure verdure cotte al vapore, oppure asparagi; 4) Olio evo o di lino. Prima merenda, ore 16: Succo fresco di carote e sedano o carote ed ananas o carote e mele. Seconda merenda, ore 18: Mandorle, oppure noci, oppure pistacchi oppure altra frutta secca. Cena, ore 20: 1) Verdure crude più olive; 2)Tofu o tempeh o soia o canapa; 3) Olio evo o di lino. Note dietetiche generali
La frutta può essere scelta a piacere. La verdura può essere scambiata a piacere; consumare tutti i giorni verdura verde a foglia, preferibilmente cruda. È importante condire la verdura con il succo di limone per migliorare l’assorbimento del ferro. Il sale aggiunto (sodio) non è stato conteggiato, in quanto il suo utilizzo è facoltativo e va comunque limitato. I cereali secchi in chicco possono essere scelti a piacere tra i vari tipi di cereale senza
glutine: calcolare in tutti i casi 80 grammi per porzione. La frutta secca può essere scelta a piacere fra i vari tipi: calcolare 2/3 porzioni da 30 grammi tutti i giorni. I corn-flakes possono essere sostituiti con altri fiocchi di cereali soffiati senza glutine. Il menu contempla anche il consumo di almeno 2000 ml di acqua (almeno 1000 di rubinetto, 1000 di acqua minerale calcica). Buona regola è addizionarla con succo di limone per elevare il pH. Verifica la quantità di calorie discrezionali a tua disposizione, da consumare in aggiunta a quanto indicato nel menu per soddisfare il fabbisogno indicato di calorie totali. Cerca di limitare o evitare i “cibi spazzatura” e ricorda che tra questi cibi si trovano dei “ladri di calcio”. Esponiti regolarmente all’aria aperta e alla luce solare per circa 20-30 minti al giorno in media, con almeno avambracci e viso scoperti, al fine di permettere al tuo organismo di sintetizzare sufficienti quantità di vitamina D.
“L’uomo sanguinario e assassino? Assurdo. Ma, anche se così fosse, non ci sarebbero motivi per continuare ad esserlo.”
Indice Il Vegan crudismo e l’alimentazione sportiva Strategie alimentari per il benessere e la performance sportiva
Cosa è il crudismo? 7 Cenni storici del crudismo 10 Anatomia comparata dell’essere umano 19 Quali furono i motivi dell’avvento del carnivorismo nella vita dell’uomo? 25 Le proteine vegetali 28 Il mito dell’integrazione proteica 36 Fitness e alimentazione performante: i più forti sono veg 62
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