GOLGOTA 4.4 “Ho sete” e morte di Gesù – 4.5 Trafittura pleura, di Gesù
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Bibliografia di riferimento. R.A. CULPEPPER, “Designs for the Church in the Gospel Accounts of Jesus’s Death” in New Testament Studies 51 (2005) 376-392. I. SIMOENS, “La mort de Jésus selon Jn 19,28-30” NRTh 119 (1997) 3-19. A.M. LUPO, La sete, l’acqua, lo Spirito. Studio esegetico e teologico sulla connessione dei termini negli scritti giovannei, Roma 2003.
4.4 GOLGOTA - QUARTO QUADRO “HO SETE” LA MORTE CONSAPEVOLE DI GESÙ: COMPIMENTO DI TUTTO Gv 19,28-30 19,28 Dopo questo, Gesù, sapendo eivdw.j o` VIhsou/j che già tutte-(le)-cose sono state adempiute tete,lestai, (tele,w) dice le,gei affinché si compisse la Scrittura: i[na teleiwqh/| h` grafh,( “Ho sete”. Diyw/Å 29
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Un vaso era-deposto (là) d’aceto pieno; una spugna dunque piena dell’aceto avendo posto intorno a un (ramo di) issopo l’hanno portata-presso la sua bocca. Quando dunque prese e;laben Gesù disse:
E, kai.
l’aceto “ è stato adempiuto!”
avendo chinato il capo, kli,naj th.n kefalh.n
Tete,lestai(
consegnò lo Spirito. pare,dwken to. pneu/maÅ
La morte segna la pienezza dell’ora, prima tanto attesa, e poi vissuta fino in fondo. Nell’Ora della morte, Gesù porta a compimento il suo programma messianico, prima misteriosamente realizzato dai segni durante la sua vita pubblica, guardiamo ad esempio la risurrezione di Lazzaro, con lo scopo di comunicare la vita eterna a quanti avrebbero creduto in Lui (vedi 20,30-31). Il carattere paradossale della morte di Gesù è maggiormente evidenziato nel momento stesso in cui Gesù esprime la sua sete; “…Diyw/Å Ho sete” indica la sua sete fisica dopo le sofferenze, il digiuno, il dissanguamento e diviene il simbolo della sua sete spirituale”1. Certo si tratta della terribile sete fisica che un crocifisso provava, ma anche congiunta con la citazione scritturistica del Ps 69,22 può essere accostata alla domanda di Gesù alla samaritana: “dammi da bere” che indicava più che la sete fisica il desiderio che quella donna e il suo popolo accogliessero l’acqua viva che avrebbe dato loro: la sua Parola e dopo la sua glorificazione, lo Spirito2. Adesso sul punto di essere glorificato, Gesù ha sete che lo Spirito sia sparso sui credenti. Dopo la sua morte l’acqua sgorgherà dal suo fianco trafitto. L’aceto, (o;xoj) 3, soltanto poteva aumentare tale sete. “Con l’espressione “Diyw/, ho sete” infatti, non solo Gesù indica che l’opera di salvezza del Padre è ormai completata, ma esprime il desiderio che l’opera sia continuata da un altro. La sete allora, è il sigillo del compimento dell’opera ma anche il preludio del dono dell’acqua viva che appagherà definitivamente la sete di ogni 1
G. FERRARO, L’Ora di Cristo nel IV Vangelo, Roma 1974, 63. Cf. LÉON-DUFOUR IV, 198. 3 Non è aceto vero è proprio, ma una bevanda di vino inacidito misto ad acqua, bevanda popolare che veniva data ai lavoratori (Rut 2,14) e ai soldati (Vedi LÉON-DUFOUR IV, 197 nota 69). Il termine ricorre nei tre sinottici; soltanto in Gv, però, 3 volte. 2
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uomo”4. Così esprime lo stesso pensiero S.A. Panimolle: « il ‘sitio’ (Diyw/) di Gesù morente ha un significato cristologico molto profondo, in quanto indica il desiderio ardente del Cristo di dare inizio all’era dello Spirito con la consegna di questa persona divina alla sua Chiesa (Gv 19,30), aprendo in tal modo la via al Paraclito »5. L’uso di paradi,dwmi6 mette di rilievo il fatto che Gesù ha un controllo pieno della situazione e porta a termine volontariamente l’azione di elargire lo Spirito. L’evangelista vuole esprimere la morte fisica di Gesù ma pure che Gesù ha dato in dono il suo Spirito alla Chiesa rappresentata dai pochi fedeli sotto la croce. Se osserviamo con attenzione qui c’è un procedimento tipico di Giovanni, che è il capovolgimento totale della situazione, quando si passa del piano materiale a quello della fede. Quelli che non passano da un piano all’altro rimangono disorientati. I commenti fanno un parallelo con la scena della samaritana in cui Gesù parla ugualmente di sete e in cui si apre la prospettiva dell’acqua viva, che egli darà (vedi schema aggiunto). Possiamo notare, infatti, in entrambi i casi un capovolgimento della situazione. All’inizio è Gesù che ha sete e chiede da bere. Lo chiede, ma non è detto che abbia bevuto; anzi il dialogo cambia rapidamente direzione e colui che chiedeva da bere diviene colui che darà da bere. Agostino ha formulato molto bene questo paradosso (vedi schema aggiunto). C’è dunque un totale capovolgimento dei rapporti. Colui che chiede diventa colui che dà; lo stesso avviene sulla croce,come appare se si ha cura di esaminare la struttura del passo. Gesù esprime un desiderio: “Ho sete”, ma il testo passa al piano superiore della fede: “egli consegnò lo Spirito”. Colui che chiede è colui che dà!7. La trafittura del costato dal quale scaturisce sangue e acqua prefigura il dono dello Spirito, avvenuto dopo la Risurrezione. Ma è più importante per il lettore di Gv la connessione metaforica e figurativa, con anteriori riferimenti alla sete dentro il quarto vangelo. La bevanda, così come il cibo, simboleggiamo in Giovani un’altra realtà8. Gesù aveva detto al momento dell’arresto: “non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (18,11). Adesso Gesù ha compiuto tutto quanto, ed ha sete. Lui è pronto a bere fino in fondo la coppa a lui data. Soltanto in Giovanni Gesù beve il vino amaro che viene offerto a Lui, e facendo questo lui beve simbolicamente la coppa di sofferenza al momento della sua morte. Ives Simoens9 argomenta che nel bere il vino amaro, un’azione che evoca il campo semantico del culto, la morte profana di Gesù completa una specie di liturgia. Quando Gesù afferma “ho sete” non indica soltanto al compimento delle Scritture e il ricordo della offerta dell’acqua viva fatta a coloro che venissero da Lui; Egli annuncia prefiguratamene la sua propria morte. Il riferimento all’issopo punta sull’adempimento del motivo dell’Esodo nel Quarto vangelo. Il commento del narratore che Gesù inclina la sua testa e consegna lo Spirito risuona nel anteriore commento suo in Gv 7,39 (vedi lo schema annesso). Il lettore era dunque preparato per capire che alla morte di Gesù lo Spirito sarebbe in grado di guidare la comunità di discepoli. L’evangelista ricorda al modo suo, sottilmente, la promessa in merito al modo 4
A.M. LUPO, La sete, l’acqua, lo Spirito. Studio esegetico e teologico sulla connessione dei termini negli scritti giovannei, Roma 2003, 224. 5 A.M. LUPO, La sete, l’acqua, lo Spirito, 224 6 Questo verbo compare 15 volte ed è tipico del racconto della Passione. Nel libro dell’Ora si utilizza soprattutto in riferimento a Giuda (6,64.71; 12,4; 13,2.11.21; 21,20) e ai sommi sacerdoti (18,30,35.36), ai Giudei (18,36) e a Pilato (19,16). Si tratta di un contesto eminentemente negativo e di opposizione a Gesù. La frase pare,dwken to. pneu/ma significa invece “diede, emise lo Spirito”. Troviamo nei sinottici espressioni simili: evxe,pneusen (Mc 15,37 e Lc 24,36) e avfh/eken to. pne/uma (Mt 27,50), cioè un soffio, un ultimo respiro. Nemmeno nel mondo greco si trova questa frase. È un hapax legomenon in tutta la Scrittura. Al secondo livello di lettura in cui Giovani riporta l’avvenuto, c’è il culmine cui Gesù arriva sorpassando il limite meramente umano. 7 I. DE LA POTTERIE, La passione, 141. 8 R.A. CULPEPPER, “Designs for the Church in the Gospel Accounts of Jesus’s Death” in New Testament Studies 51 (2005), 390. 9 I. SIMOENS, “La mort de Jésus selon Jn 19,28-30” NRTh 119 (1997) 3-19, qui 16.
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come narra la morte di Gesù. Il dono dello Spirito costituisce la comunità in un nuovo tempio. L’evangelista inizia con un tono solenne la narrazione della morte di Gesù ponendo in posizione enfatica la coscienza che Gesù aveva del suo stato nel punto supremo della sua missione10. All’inizio proprio del libro dell’ora, l’evangelista aveva scritto: Gv 13,1 Prima della festa di Pasqua, sapendo Gesù eivdw.j o` VIhsou/j che venne la sua ora affinché passi da questo mondo al Padre, pro.j to.n pate,ra avendo amato i suoi quelli che sono nel mondo, fino all’estremo li amò. eivj te,loj hvga,phsen auvtou,jÅ Sorge la domanda: che tipo di consapevolezza aveva Gesù al termine della sua missione terrena, mentre si trovava sospeso sulla croce? Commenta molto bene il Ferraro, “La coscienza di Gesù riguarda il totale compimento della sua missione e dell’opera del Padre fino ad avere bevuto tutto il calice che il Padre gli ha dato (18,11), fino ad aver donato lo Spirito”11. La composizione della pericope presenta un aspetto particolare. Appare come racchiusa fra i due tete,lestai, cioè il verbo telei/n (portare a termine, ad adempimento) in perfetto, cioè eseguita, portata a termine, dei vv. 28 e 30, rimanendo come compiuta. È un alto dettaglio che ci indica come nella meditazione dell’evangelista, guidata dallo Spirito, la morte di Gesù è rivista in un contesto di compimento pieno e duraturo raggiunto. Il tempo in perfetto, infatti, ci indica che l’opera di Cristo non si può relegare in un passato inaccessibile: c’è un compimento, che si realizza sul Calvario ma che non si ferma lì perché gli effetti di esso permangono anche nel futuro12. … i[na teleiwqh/| h` grafh,. Qui ci sono delle sfumature alle quali dobbiamo essere attenti per non sfuggire a tutta la ricchezza dell’interpretazione. C’è una differenza di senso col verbo utilizzato prima nel secondo quadro del Golgota in riferimento alle vesti di Gesù: “così si adempiva (plerwqh/) la Scrittura” (19,24). In questa citazione di prima si trattava ancora di una pienezza parziale riguardante quel fatto che i soldati fecero proprio come indicava la Scrittura. Qui invece l’autore utilizza il verbo teleiou/n (teleio,w). Qual è il senso dell’adempimento della Scrittura segnalato nel nostro versetto 28? Il contesto ci indica che nella scena della morte l’evangelista non vuole descrivere l’adempimento di qualche Scrittura particolare, ma vuol indicare che la morte è per Gesù il compimento della sua missione, il coronamento della sua opera, che è portare a compimento l’opera del Padre che consiste nel comunicare a tutti la salvezza, che tutti diventino te,kna qeou/ (1,12-13), partecipante della divinità del Figlio di Dio ma anche figli (ui`o,j della madre del Messia e pertanto fratelli di Gesù Messia). Questa è la chiave d’interpretazione dell’Antico Testamento nel suo insieme: portare a compimento totale tutta la realtà annunciata nei profeti. Possiamo domandarci perché soltanto Gv. ha questo passaggio. In realtà va d’accordo con quello che ha detto prima sullo Spirito: “non c’era ancora lo Spirito perché Gesù non era stato ancora glorificato (7,39). Nella prospettiva giovannea, la glorificazione di Gesù è appunto il suo ‘innalzamento’ sulla croce. Ci troviamo qui al punto di congiunzione fra i due grandi periodi del tempo messianico. Gesù ha predetto la venuta dello Spirito e ne ha sottolineato la necessità: “lo Spirito vi insegnerà tutto e vi farà ricordare tutto ciò che vi ho detto io (14,26; vedi anche 14,16-17). Gesù stesso manderà il Paraclito (vedi anche 16,7.13 e 15,26). Lo Spirito deve venire per far capire dall’interno le parole di Cristo e affinché il suo messaggio sia interiorizzato. Nell’opera lucana Pentecoste accade dopo l’Ascensione, dopo il 10
A.M. LUPO, La sete, l’acqua, lo Spirito. Studio esegetico e teologico sulla connessione dei termini negli scritti giovannei, Roma 2003, 209. 11 G. FERRARO, L’Ora di Cristo, 65. 12 A.M. LUPO, La sete, l’acqua, lo Spirito, 211-212.
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ritorno di Gesù al Padre. Nel IV Vangelo è il Gesù terreno chi dona lo Spirito: sulla croce e dopo la Risurrezione, due aspetti di uno stesso momento.13
4.5 GOLGOTA - QUINTO QUADRO TRAFITTURA DELLA pleura, DI GESÙ
GV 19,31-37 Questa scena sottolinea di nuovo la forma caratteristica e la procedura del IV evangelista nella composizione della sua opera. Gv. interpreta l’evento storico della trafittura del fianco di Gesù in croce come simbolo con un contenuto teologico che ha l’intenzione di suscitare nel lettore il credere. La narrazione, che non compare nei sinottici, è ricca di elementi visivi. Il lettore è dunque invitato indirettamente a “vedere” più profondamente tramite la narrazione che a modo di testimonianza l’evangelista ci offre dell’evento. vv. 31-33 L’intera cornice narrativa degli eventi dopo la morte di Gesù viene presentata con l’abituale preoccupazione giovannea di tempo e di luogo: “era il giorno della paraskeuh, (della preparazione della Pasqua). La spiegazione “affinché non rimanessero sulla croce i corpi durante il sabato” cioè il giorno della festa e soprattutto il chiarimento molto enfatico “era, infatti, grande il giorno di quel sabato” denota il pensiero costante ai lettori non Giudei della sua comunità. L’evangelista narra poi lo spezzare delle gambe (in latino “crurifragium”) praticato a persone crocifisse col fine di provocare, in modo quasi istantaneo, la morte. Il versetto seguente (33) semplicemente costata che Gesù è chiaramente già morto e non è dunque necessario spezzargli le gambe. v. 34 L’azione di un soldato, non sappiamo se di sua iniziativa o sotto comando, oltre a convalidare la realtà della morte ed attestare la verità dell’incarnazione di Cristo in un corpo veramente umano14, ha una notevole importanza teologica, giacché garantisce la realizzazione delle parole pronunciate da Gesù nell’ultimo grande giorno della festa dei Tabernacoli: “Chi ha sete, venga a me…” (Gv 7,37ss.). Il verbo e;rcomai è collocato da Gv. in posizione enfatica. Lo stesso verbo usato in Nm 20,11 (Es 17 in un altra tradizione) per designare la fuoriuscita dell’acqua dalla roccia. La profezia di Ezechiele in cui l’acqua esce dal tempio e diventa un torrente, impiega pure lo stesso verbo (Ez 47,1ss). Richiama l’attenzione il fatto che nel testo giovanneo tale verbo si trova alla terza persona singolare evxh/lqen15 e regge due soggetti ai-ma kai. u[dwr come se essi fossero un unico elemento16. Si può vedere come un invito a leggere insieme la simbologia del sangue e dell’acqua attraverso il dono della vita di Cristo (sangue = vita nell’AT). La vita dello Spirito (l’acqua cf. Gv. 4,10.14; 7,37) si comunica all’uomo perché questi possa estinguere la sua sete17. Nel 13
I. DE LA POTTERIE, La passione, 142-145. Di fondo ci può essere la controversia antignostica. Secondo questi il Messia, - altri dicono lo Spirito di Dio disceso dall’alto sull’uomo Gesù al momento del Battessimo nel Giordano, se ne era poi allontanato, anzi lo avrebbe abbandonato, al momento della passione. Questa intenzione antignostica sembra anche essere quella di 1 Gv 5,6. Cf. R.E. BROWN, Le Lettere di Giovanni, Assisi 20002, 110-112. 15 Attivo indicativo aoristo2, 3sing evx-evrcomai. 16 NESTLE-ALAND27 ad loc nota che il fenomeno può spiegarsi di un modo naturale (senza intervento miracoloso): immediatamente dopo la morte il sangue può ancora scorrere, e l’acqua sarebbe dovuta a un versamento pleurico. Il fatto come tale ha dato origini a diverse spiegazioni mediche16 ed è attestato nella letteratura giudaica non testamentaria. Cf.SCHNACKENBURG, III, 471 e LÉON-DUFOUR IV, 211. 17 A.M. LUPO, La sete, l’acqua, lo Spirito, 147.148. 14
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quadro della festa dei Tabernacoli Gesù si rivela come la Roccia dell’Esodo di cui parla la Scrittura. Si tratta della Roccia di salvezza alla quale devono recarsi tutti per bere l’acqua della nuova rivelazione. La trafittura del fianco18 di Gesù conferma questa realtà anticipata in 7,37. v. 35 Il versetto kai. o` e`wrakw.j memartu,rhken è grammaticalmente in terza persona. Nonostante indica Giovanni come soggetto della frase pure se si trova in stilo indiretto, senza essere nominato, secondo il suo solito. Egli ha visto con i suoi occhi (cf. 1 Gv 1-4) e ha reso la sua testimonianza nell’ambito della comunità ecclesiale (memartu,rhken): “ha reso testimonianza”. Come bene nota il Vanni: “La sua testimonianza è veritiera perché egli ha acquistato una coscienza chiara e profonda: “sa che dice il vero” e lo fa (cf. 1 Gv 1,6: fare la verità) perché anche voi continuate a credere (crediate) i[na kai. u`mei/j pisteu,ÎsÐhteÅ Anche voi: l’espressione suppone che Gv. stesso, prima di invitare gli altri alla fede, creda e che lo abbia fatto comprendendo a fondo (oi=den: “sa, conosce) le cose che narra sotto l’angolo visuale della verità rivelata. I fatti della passione, analogamente a quanto accadrà per la costatazione del sepolcro vuoto (20,8-9), vista alla luce di tutta la Scrittura, costituiscono per Gv uno stimolo ad approfondire, a rendersi conto del loro significato e a credere”19. vv. 36-37 Ritorna con piena forza l’immagine dell’Agnello Pasquale, che toglie il peccato del mondo, al quale non viene spezzato alcun osso (v.36). 20Alcuni critici moderni vedono nella citazione del v. 37 una profezia escatologica del giudizio: il soggetto del verbo “vedranno” sarebbero i soldati, i sicari, cioè i peccatori e gli empi che troppo tardi riconosceranno la gloria di Colui che essi hanno rigettato. L’evangelista, la cui opera è centrata sull’escatologia presente, non pensa alla parusia: il futuro “vedranno” si riferisce alla durata della storia. Il testo originale (è difficile e discusso) del Deutero-Zaccaria (12,10) è una profezia di salvezza. Lo sguardo rivolto a YHWH esprime la speranza e la conversione. Questa citazione rende esplicita la testimonianza solenne (19,35) che riguardava la pienezza della fede. Il vedere (o`ra,w) rivolto al Trafitto riconosce in lui una perenne fonte di vita per i credenti. 21 C’è la transizione al tempo della Chiesa proprio ancora sulla croce. Questa lettura teologica suggerisce le diverse interpretazioni fatte in favore dei sacramenti in generale (ad esempio S. Agostino); altri del battesimo e dell’Eucaristia (Cirillo di Alessandria S. Tommaso); altri ancora della Chiesa come tale, formata dal fianco di Cristo come una novella Eva... Pertanto il senso simbolico fondamentale dell’acqua che era stato indicato in Gv 7,38, cioè i fiumi di acqua viva, annunciati da Cristo come scaturenti evk th/j koili,aj autou/ sono una stessa realtà: si tratta del dono escatologico dello Spirito. Dallo Spirito Santo dato alla Chiesa e scaturente da Cristo derivano poi tutti gli altri mezzi salvifici che arricchiscono la Chiesa, in primo luogo i sacramenti. Il dono dello Spirito proviene dalla passione di Gesù. Questa interpretazione viene confermata da 1 Gv 5,6-8.
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Meglio di “costato” bisognerebbe tradurre più esattamente th.n pleura,n (nome sostantivo acc. sing. f.)con “il fianco” (Vanni); così anche per esempio Panimolle ad hoc. Non è esatto tradurre “cuore”. 19 U. VANNI, Vangelo secondo Giovanni, 201. 20 Per questo paragrafo cf. LÉON-DUFOUR IV, 226-228. 21 Vedi U. VANNI, Vangelo secondo Giovanni, 200-201.
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La triplice conferma divina della VENUTA DI GESÙ nel qual è fondata la nostra fede22: Lo Spirito, l’acqua e il sangue (1Gv 5,6-9) 5
“Chi è dunque che vince il mondo, se non colui CHE CREDE CHE GESÙ È IL FIGLIO DI DIO?
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Questi è Colui che è venuto con acqua e sangue, cioè Gesù Cristo; non con acqua soltanto, ma con l’ acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che ne rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità.
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Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza: lo Spirito, l’ acqua e il sangue, e i tre sono concordi.
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Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore; e la testimonianza di Dio è quella che egli ha reso al Figlio suo”.
Una prima interpretazione equivale ad una notazione antidoceta, antignostica. Gesù era un vero uomo, è veramente morto e si è visto il suo sangue. È, infatti, la prima menzione del sangue di Gesù nella passione, a prescindere di quella di Luca nell’agonia dell’orto del Getsémani. I commentatori mettono in risalto che quando le divinità prendevano un corpo umano - nelle diverse mitologie - non avevano sangue, e se in Gesù c’era sangue, vuol dire che il suo corpo era umano23. Questo è vero, ma c’è di più. 1 Gv 5,6 Secondo lo Schnackenburg, alla luce dell’importanza che il quarto Vangelo pone sul battesimo e la morte di Cristo, non c’è dubbio che questo passo della lettera si concentri sui medesimi eventi specialmente sulla morte di Gesù come evento soteriologico da dimensioni cosmiche24. È nella sua morte che si compie pienamente la redenzione. In Lui, in Gesù Cristo, è compiuto e completato quello che implica l’incarnazione (1 Gv 1,2). Partendo nel suo commentario dai passi del Quarto Vangelo dove Cristo viene presentato come Agnello (Gv 1,29), come colui che si offre «per la vita del mondo» (Gv 6,51) e «per le pecore» (Gv 10,15), come colui che è venuto perché «abbiano la vita» (Gv 10,10) aggiunge lo Schnackenburg il nostro versetto del fianco trafitto di Gesù sulla croce, dal quale scaturisce « sangue e acqua » (Gv 19,34), sorgente che diventa per gli altri risorsa della vita. L’acqua è lo Spirito, quell’acqua che prorompe, che salta verso la vita eterna (dialogo con la samaritana); il sangue è la venuta nell’ambito del mistero pasquale. 22
La fede vede oltre il fatto esteriore, coglie qualcosa di più profondo della realtà fisica di Gesù. Cf. R. SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Gv, III, 474. 23 Cf. C.M. MARTINI, Il coraggio della speranza, 245. 24 Cf. R. SCHNACKENBURG, The Johannine Epistles, 232.
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L’evangelista ci ricorda che il dono dello Spirito è dipendente dalla realizzazione, anche storica, del mistero pasquale. Facciamo una importante distinzione fra il versetto 1Gv 5,6 e i seguenti due (1Gv 5,7-8). Tutto il v. 1Gv 5,6 si riferisce a Lui, il quale «è venuto» nella storia umana, e non in primo luogo alla vita sacramentale della Chiesa. Invece i vv. 7-8 si riferiscono soprattutto alla venuta di Gesù nella vita sacramentale della Chiesa, una vita nella quale l’atto salvifico di Gesù continua attraverso la mediazione dello Spirito e lo rende efficace, come vedremo a continuazione. 5,7-8 L’acqua e il sangue come testimoni sacramentali nella vita ecclesiale. La fede giovannea non è riflessione cerebrale interiore o comprensione totale, neanche fiducia cieca che comporta un sacrificio dell’intelletto, ma fede basata sempre sulla testimonianza o sui testimoni25. É chiara l’intenzione dell’autore, di mandare avanti il suo pensiero. Acqua e sangue avevano un ruolo importante come fattori storici nella venuta di Cristo, ma adesso sono aggiunti allo Spirito come testimoni, in un contesto di giudizio tanto caro al pensiero giovanneo. Adesso non sono considerati come eventi, ma come elementi che rendono testimonianza. Guardando Gv 19,34, Schnackenburg intuisce che l’autore della lettera, nel filone dell’acqua e sangue uscito dal fianco di Gesù (cf. Gv 19,36-37), vede l’accenno a qualcosa di più profondo, perché il sacrificio della morte di Gesù è la sorgente della forza salvifica della vita divina, alla quale attingono i fedeli. Questi due elementi, acqua e sangue, evocano particolarmente i due sacramenti, Battesimo ed Eucaristia, ai quali per ognuno è dedicata una sezione del vangelo (cap. 3 e 6). Lo Spirito è principio fondamentale, dal quale deriva la forza soprannaturale per ambedue i sacramenti (cf. Gv 3,6; 6,63). Da adesso, queste tre entità maggiori possono essere considerate come tre testimoni in accordo. Loro operano insieme dal tempo della venuta storica di Gesù e continuano per la generazione che viene. Allo stesso tempo il collegamento con l’evento maggiore della salvezza (la venuta di Cristo con sangue e acqua), non è andato perduto. Sembra che questo sia indicato con il doppio significato e doppio riferimento che l’autore pone ai termini acqua e sangue. Da una parte rievocano il contesto storico di 1 Gv 5,6 e dall’altra parte i sacramenti salvifici, Battesimo ed Eucaristia, prolungano il loro effetto oltre quel tempo. Così questi due elementi, acqua e sangue, hanno una storica funzione di testimonianza26, la qual è raggiungibile anche per la generazione futura. Questa stretta affinità tra Gv e 1 Gv e l’enfasi su «acqua e sangue» in Gv 19,34 e 1Gv 5,6 non è una mera coincidenza. Schnackenburg spiega che il cambiamento dell’ordine (“sangue e acqua” in Gv 19,34; “acqua e sangue” in 1Gv 5,6) è dovuto al fatto che nel v. 6 vi è un’eco della sequenza del Battesimo e dell’Eucaristia nella vita cristiana nella mente dell’autore, differente dalla scena storica in Gv 19,34. C’è dunque una profonda riflessione teologica dell’evangelista: l’atto salvifico di Dio continua presente nella vita della Chiesa. Mediante la parola ed il sacramento, la Chiesa estende la vita divina ai credenti per le generazioni future. L’azione dello Spirito nella Chiesa diventa una testimonianza forte, mettendo la venuta di Gesù, cioè il significato salvifico di Gesù e specialmente la sua morte redentrice nella sua vera prospettiva27. C’è una continuità pure fra la testimonianza del discepolo al 25
R. SCHNACKENBURG, The Johannine Epistles, 235. P. GRECH, “Fede e sacramenti in Giov 19,34 e 1 Giov 5,6-12”, in P.-R. Tragan, Fede e sacramenti negli scritti giovannei, Roma 1985, 160. Per il Comma Giovanneo vedi la parte introduttiva del commentario dello SCHNACKENBURG I, 42-46. Il comma legge così: « quondam tres sunt, qui testimonium dant [in caelo: Pater, Verbum et Spiritus Sanctus, et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimonium dant in terra] : Spiritus et aqua, et sanguis, et hi tres unum sunt ». Comincia nei manoscritti della Vulgata a partire del IX secolo. Prima nessun attestazione né nella 26
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piede della croce, e la testimonianza di chi scrive la lettera, il quale partecipa della vita sacramentale della Chiesa ed è tipo di ogni discepolo. Più avanti, al v. 5,9, l’autore della lettera assicura la sua comunità che la testimonianza di Dio ha lo stesso contenuto della sua, cioè “suo Figlio”, anche se quella di Dio è ovviamente “maggiore”.
Epilogo. Seppellimento in un orto
Gv 19,38-42
Osservazioni letterarie e teologia emergente: L’orto: inclusione con l’inizio. Funge di transizione al racconto della risurrezione. Ai vv. 41-42, troviamo di nuovo menzione di tempo e luogo (la Parasceve dei Giudei) [cf. il v. 37 dove comincia il racconto dell’accaduto dopo la morte di Gesù]. Tre volte compare to. sw/ma tou/ VIhsou/ e una volta to. sw/ma avutou/ riferito a Gesù. L’autore vuole in questa forma insistere sulla corporeità, cioè sulla vera umanità di Gesù, conseguenza dell’incarnazione del Figlio di Dio, che sperimenta la morte. D’altra parte la descrizione del seppellimento denota un uso regale come lo dimostrano la quantità e qualità del materiale utilizzato (“una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre”) e la notificazione al lettore sulla caratteristica dell’orto (“un sepolcro nuovo, in cui non era ancora stato posto nessuno”). L’evangelista ribadisce così la sua veritiera testimonianza: Gesù è Re.
Vulgata, né naturalmente nei manoscritti greci. È una relativamente recente interpolazione nella Bibbia Latina. 27 Cf. C.M. MARTINI, Il coraggio della speranza, 249
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APPENDICE
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SETE-ACQUA-SPIRITO RISONANZE28
Incontro di Gesù con la Samaritana Gv 4,7
Arriva intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le dice Gesù: “Dammi da bere”. [I suoi discepoli erano andati in città per comprare cibi.]
4,9
Gesù rispose: “Se tu conoscessi IL DONO DI DIO e chi è COLUI CHE TI DICE: ‘Dammi da bere!’, tu stessa gli avresti chiesto ed egli ti avrebbe DATO ACQUA VIVA”
Agostino ha formulato bene questo paradosso: “Colui che, prima, chiedeva da bere, aveva sete della fede di quella donna. Chiede da bere e promette di dare da bere. È bisognoso come uno che aspetta da ricevere, ma è nella abbondanza, come uno che è in grado di saziare.”29
Durante la Festa delle Tende (Capanne, delle Luci) 7,37
Nell’ultimo giorno, quello grande, della festa, Gesù stava in piedi (là) e gridò dicendo: «Se qualcuno ha sete, venga a me e beva, colui che-crede in me, come disse la Scrittura: o` pisteu,wn eivj evme,( kaqw.j ei=pen h` grafh,(
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Dal suo ventre scorreranno fiumi di acqua viva». Es 17,6; Zac 14,8; Ez 47,1ss
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A.M. LUPO, La sete, l’acqua, lo Spirito. Studio esegetico e teologico sulla connessione dei termini negli scritti giovannei, Roma 2003. 29 S. AGOSTINO, “Omelia 15,11-12” in Commento al Vangelo di san Giovanni, Roma 1968, 355-356; PL 35, 1514.
GOLGOTA 4.4 “Ho sete” e morte di Gesù – 4.5 Trafittura pleura, di Gesù
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Commento post-pasquale dell’evangelista: 7,39 Disse questo a proposito dello Spirito peri. tou/ pneu,matoj che stavano per ricevere lamba,nein coloro che-credettero in lui. oi` pisteu,santej eivj auvto,n\ Non c’era infatti ancora (lo) Spirito pneu/ma, perché Gesù non fu ancora glorificato.
Nel discorso della Cena, Gesù aveva promesso ai discepoli: “è-conveniente per voi che io mi allontani , perché se infatti non mi allontano, il Paraclito non verrà a voi” sumfe,rei
u`mi/n
i[na evgw. avpe,lqw30Å eva.n ga.r mh. avpe,lqw32( o` para,klhtoj ouvk evleu,setai pro.j u`ma/j\ 31
ma se-eventualmente vado lo manderò a voi.
Gv 16,7
Gesù aveva detto al momento dell’arresto: “il calice che mi ha dato il Padre forse non lo berrò?” “e per bevanda mi hanno dato aceto (o;xoj) da bere”.
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Gv 18,11 Sal 69(68),21
Attivo congiuntivo aoristo2 1 sing avp-e,cromai Congiunzione subordinata ipotetica. Non indica un dubbio ma l’attesa di qualcosa futura. Condizione probabile che riguarda il futuro come adempimento di un evento atteso e desiderato. Nella protasi evan. e il congiuntivo (avpe,lqw), nella apodosi il verbo al futuro (evleu,setai medio indicativo ft 3sing e;rcomai) 32 Att cong aor2 1 sing avp-e,cromai 31