Frenatura dei convogli ferroviari
Rev. 2013
Una delle componenti progettuali più importanti, tra tutti quelli il cui sviluppo è richiesto al fine di consentire l'aumento delle velocità raggiungibili nell'esercizio ferroviario, è quella della frenatura dei rotabili. Si possono individuare numerose problematiche che connettono l'elemento frenatura con l'elemento velocità; eccone alcune: - l'aumento, quadratico rispetto alla velocità, dell'energia da dissipare; - l'esigenza di contenere gli spazi di arresto entro limiti compatibili con il layout degli impianti di segnalamento esistenti e comunque la necessità di non dilatare gli spazi di distanziamento fra treni oltre un certo limite (questo perlomeno per i sistemi di distanziamento “a spazio” tradizionali) ovvero, all’opposto, l’esigenza di imporre velocità più limitate; - l'incremento delle azioni dinamiche che possono sorgere all'interno del convoglio a causa del ritardo insito nella propagazione del comando del freno lungo il convoglio e nei tempi di intervento delle apparecchiature; questo implica un non perfetto sincronismo nell'applicazione dello sforzo frenante sui diversi veicoli con effetti nocivi che possono portare allo spezzamento degli organi di aggancio; - l'esigenza di garantire un comfort di marcia di livello sempre migliore e quindi l’assenza di strappi e contraccolpi in fase di arresto. La realizzazione di dispositivi di frenatura avanzati procedono di pari passo con lo sviluppo tecnologico delle apparecchiature, dei componenti e dei materiali impiegati per la realizzazione dell'impianto frenante di un veicolo ferroviario. Si illustreranno tali problematiche ripercorrendo la trattazione delle caratteristiche principali di un freno ferroviario ad aria compressa (1) (Pag. 130 e seguenti del testo del prof. Maternini) che si riassumono così: a) Continuità ► possibilità di comandare il freno da un unico punto, mentre l’azione frenante si estende a tutto il convoglio b) Automaticità ► intervento automatico del freno (in frenatura) al verificarsi di un evento potenzialmente pericoloso (spezzamento del convoglio, intervento delle apparecchiature di sicurezza che vigilano sulla marcia sicura del treno) c) Moderabilità in frenatura ed in sfrenatura (quest’ultima collegata all’inesauribilità) d) Potenza. Va ricordato innanzitutto che i freni ferroviari automatici ad aria compressa sono attivati provocando una caduta di pressione in un'apposita condotta detta condotta generale del freno. Si tratta quindi di un freno indiretto. Quindi, per poter funzionare, il freno ferroviario deve essere preventivamente "armato", cioè la condotta del freno e tutte le capacità (serbatoi) ad essa collegate debbono essere portate ad una pressione di regime, stabilita dalle norme UIC in 5 bar. Tali capacità (serbatoi) sono chiamati in causa nella regolazione e nell’azionamento del freno. Sono denominati serbatoi ausiliari e sono collocati su ciascuno dei veicoli in composizione, quelli che costituiscono la riserva di potenza per l’azionamento del freno. Il valore dell'azione frenante è correlato con l'entità della caduta di pressione provocata dal guidatore a mezzo del rubinetto di comando, partendo dal valore di regime. Con la condotta a regime (5 bar) i freni debbono ovviamente risultare aperti. Quanto appena detto, e tutta un'ulteriore serie di requisiti che debbono essere posseduti dai freni ferroviari per poter essere "omologati" per il servizio internazionale (2), fa parte di 1 I freni a vuoto, tuttora impiegati dalle ferrovie del Regno Unito e su molte linee a scartamento ridotto, possono soddisfare parimenti a tutte le condizioni esposte appresso. Tuttavia si tratta di un sistema destinato all'obsolescenza in quanto non suscettibile di sostanziali miglioramenti nelle prestazioni. 2 L'unificazione delle caratteristiche tecniche di costruzione e di funzionamento dei veicoli ferroviari è stato uno dei primi problemi affrontati e risolti con accordi internazionali, al fine di consentire lo scambio dei veicoli tra le diverse Reti senza dover operare rotture del carico. Già dal secolo XIX fu elaborata l'"Unità Tecnica delle Ferrovie", piccola pubblicazione che rimase da allora fondamento per il processo di unificazione. A partire da elementi basilari, quali lo scartamento (distanza tra le facce interne delle rotaie) e la sagoma limite (profilo ideale entro cui devono essere inscrittibili i veicoli ed i carichi), il processo in parola coinvolse in successione settori complessi quali la frenatura, il riscaldamento e l'illuminazione elettrica delle carrozze, solo per citarne alcuni. Al giorno d'oggi il processo è tuttora attivo; il suo obiettivo è quello dell'interoperabilità, cioè la possibilità che un convoglio percorra indifferentemente le linee di amministrazioni o Stati diversi utilizzando - oltre a tutte le apparecchiature sopra citate - anche i sistemi di segnalamento, di telecomunicazione e di alimentazione elettrica in uso presso tali reti.
prescrizioni obbligatorie dell'U.I.C. (fiche 540-O e 544) che contemplano specificamente le proprietà che sono oggetto dello studio che qui interessa approfondire. Il soddisfacimento di tutti questi requisiti determina, tra l'altro, le leggi di funzionamento in base alle quali deve essere progettato e realizzato il distributore, che è l'organo fondamentale tra tutti quelli di cui è composta l'impianto frenante istallato a bordo di ogni veicolo. Esso è propriamente un dispositivo pneumatico, pilotato di regola dalla pressione dell'aria nella condotta generale, in grado di stabilire, durante le varie fasi della frenatura e sfrenatura, i collegamenti fra le varie capacità e apparecchiature pneumatiche fino a raggiungere determinate condizioni di equilibrio: in sintesi: durante la frenatura: collegamento: Serbatoio ausiliario Cilindro a freno durante la sfrenatura:
collegamenti: Condotta Gen. Serbatoio ausiliario e Cilindro a freno Atmosfera
Moderabilità: Si intende per moderabilità la possibilità per il guidatore di graduare l'intensità dell'azione frenante, sia in frenatura che in sfrenatura, entro un ampio campo di valori, in modo da poter imprimere al treno una decelerazione in ogni istante adeguata alle caratteristiche richieste dal percorso. Ad esempio, frenatura di trattenuta nelle discese, frenatura di rallentamento o di arresto nelle fermate di servizio, frenatura d'urgenza nei casi di pericolo. Deve essere anche garantita la possibilità di eseguire sequenze di frenature a sfrenature successive senza apprezzabile decadimento delle prestazioni del freno (vedi più avanti, inesauribilità). Il freno Westinghouse, detto anche "valvola tripla", inventato e realizzato nel 1872 , possedeva la caratteristica di essere moderabile in frenatura ma non in sfrenatura: l'azione frenante cioè poteva esser fatta aumentare progressivamente col decrescere della pressione nella condotta generale però, non appena la pressione in quest'ultima tendeva a risalire (inizio sfrenatura) il cilindro a freno veniva messo direttamente in comunicazione con l'atmosfera e quindi l'azione frenante si annullava (entro un certo tempo determinato dal calibro dei fori di efflusso) senza alcun ulteriore controllo.
FIGURA 1 (schema dell'impianto frenante di un veicolo dotato di valvola tripla) A=Serbatoio ausiliario; D=Distributore Valvola tripla; V=rubinetto di scarico del cilindro a freno (F); M=rubinetto freno di emergenza)
Il guidatore, con questo tipo di freno, può accrescere progressivamente l'azione frenante, anche operando successive riduzioni della pressione in condotta ma, una volta operato un qualsiasi aumento di pressione in condotta, viene a provocarsi l'allentamento completo del freno indipendentemente dal raggiungimento della pressione di regime nella condotta e nelle altre capacità. Questa modalità di funzionamento richiedeva una condotta molto accorta per non provocare l’esaurimento, cioè la perdita della capacità frenante. Aumentando progressivamente la frenatura, accade che negli istanti immediatamente precedenti l'arresto si manifesti un'esaltazione dell'azione frenante in conseguenza dell'incremento del valore del coefficiente di attrito ceppi/cerchioni. Ciò impone di conseguenza una limitazione della potenza (massa frenata) dei veicoli (Rapporto Q/P < 0,7), salvo che non si adottino provvedimenti specifici. 2
Freno Alta Velocità: E’ un dispositivo che equipaggiava in passato i veicoli atti a circolare a velocità di 120 Km/h e superiori. Per questi, la limitazione della massa frenata era inaccettabile in quanto non poteva essere rispettato lo spazio di frenatura "tipico" di 1200 m; per tale motivo, si ricorse all'adozione di particolari dispositivi pneumatici esterni al distributore (regolatori di pressione), interposti fra quest'ultimo ed il cilindro a freno. Il freno così attrezzato è il cosiddetto "freno alta velocità". Collegati ad un sensore tachimetrico (o più semplicemente ad un interruttore centrifugo), tali dispositivi riducevano, quando la velocità scendeva sotto una soglia di 60 - 70 Figura 1a: Impianto frenante di un veicolo munito di dispositivo “Alta Velocità”
Km/h, la pressione nel cilindro a freno senza alterare per il resto il funzionamento del distributore. Era consentito quindi realizzare elevati valori di peso frenato alle alte velocità, riducendolo poi alle basse velocità per compensare il predetto aumento del coefficiente di attrito. Questa tecnologia, che tuttora risulta applicata nei rotabili obsoleti, deve ritenersi del tutto superata con l’introduzione Figura 1b: Impianto frenante munito di dispositivo antislittante Legenda: 1 - Cilindro a freno; 2 - Distributore; 3 - Serbatoio ausiliario; 4 - Serbatoio di comando; 6 - Elettrovalvola di comando
del trasformatore di pressione; 7 - Trasformatore di pressione; 8 - Manometro; 9 - Spie freno AV oppure segnalazione asse in slittamento; 10 - Pulsante prova; 12 - Interruttore centrifugo per freno AV; a-b-c-d: ingresso segnali velocità dai 4 assi alla centralina “Parizzi”
3
dei freni ad alta potenza muniti di apparecchiatura antislittante (vedi più avanti, potenza). Le due figure 1a e 1b mettono a confronto le apparecchiature frenanti dei due tipi qui citati.
Moderabilità in sfrenatura: Come si è accennato a proposito della moderabilità in frenatura, la "valvola tripla" è in grado di far stabilire nel cilindro a freno una pressione tanto maggiore quanto minore è la pressione in condotta generale. Questo tipo di apparecchio controlla, istante per istante, l'equilibrio fra due sole pressioni, agenti sulle due facce di un pistone: da un lato, la pressione della condotta generale, dall'altro la pressione del serbatoio ausiliario (la "riserva" d'aria che viene utilizzata in frenatura, cfr. fig.2a. Il pistone aziona una piccola valvola ("a spillo") che, attingendo aria dal serbatoio ausiliario, ne invia al cilindro a freno una quantità tale da ripristinare l'equilibrio sopraddetto. Fig. 2a: Valvola tripla ad azione rapida (sezione parziale) S.A.: collegamento con il serbatoio ausiliario C.F.: collegamento con il cilindro a freno C.G.: Condotta generale. V : valvola a spillo: si apre in fase di frenatura F : foro di alimentazione del serbatoio ausiliario (si scopre quando l’equipaggio mobile è a fine corsa a sinistra, cioè in fase di carica o di sfrenatura
atm
Fig. 2b: Distributore moderabile in sfrenatura (schema puramente indicativo: non corrisponde cioè ad alcuna apparecchiatura reale, ma ne riassume il principio)
sensibilità
B - Camera in cui regna la pressione della condotta generale C - Camera in collegamento col cilindro a freno; 7-8 : Scarico all'atmosfera del c.f. (8=foro calibrato) D - Camera a pressione costante P - Valvola di intercettazione del serbatoio di comando (=camera a pressione costante) M - K - N : complesso pistoni e stelo del dispositivo principale
Fig. 2a e 2b - Schemi di principio di funzionamento di un distributore moderabile in sfrenatura (tipo Westinghouse "U" o Breda) (in basso) in raffronto ad una valvola tripla (in alto)
La valvola tripla è quindi insensibile alla pressione esistente nel cilindro a freno e questo è il motivo per cui essa non può controllare (graduare) la sfrenatura. L'obiettivo di ottenere un freno moderabile anche in sfrenatura fu conseguito già nel 1892, costruendo un distributore il quale controllava anche la pressione del cilindro a freno. L'applicazione pratica di questo principio avvenne, in Italia, appena negli anni '30, con l'introduzione del freno Breda, la cui caratteristica principale - condivisa con tutti gli altri distributori moderabili in sfrenatura, fino ai più moderni - è quella di essere dotato di una camera entro cui viene mantenuta una pressione costante durante tutte le fasi di frenatura e successiva 4
sfrenatura (cfr. Fig.2b). Tale pressione costituisce un valore di riferimento ed è continuamente comparata con quelle regnanti nel cilindro a freno (l'attuatore dell'azione frenante Q) e nella condotta generale (o nel serbatoio ausiliario, che è la "riserva di potenza" frenante, costituita a bordo del veicolo nella fase in cui viene "armato" il freno). Le tre pressioni vengono fatte agire su pistoni mobili tra di loro meccanicamente collegati, interni al distributore. La risultante delle azioni provoca lo spostamento dei pistoni che, agendo su un'opportuna valvola (indicata col numero 6 nella fig. 2b), stabiliscono istante per istante una condizione di equilibrio tra le pressioni sopra citate, tale da rendere impossibile (entro certi limiti di sensibilità) il completo azzeramento della pressione nel cilindro a freno senza che nel contempo non sia stata raggiunta nuovamente, nel serbatoio ausiliario, la pressione di regime di normale funzionamento (5 bar). In questo modo, l'interruzione del flusso d'aria che rialimenta la condotta (interruzione della sfrenatura) provoca la cessazione dello scarico del cilindro a freno. L'allentamento completo dei ceppi avviene solo quando il freno sia nuovamente in grado di intervenire con la potenza nominale (sempre fatto salvo un certo margine di sensibilità delle apparecchiature). Si fa notare, incidentalmente, che l'aver posto sotto controllo la pressione del cilindro a freno consente di compensare automaticamente, richiamando nuova aria dal serbatoio ausiliario, le perdite che eventualmente si dovessero manifestare nello stesso cilindro a freno per scarsa tenuta delle guarnizioni o delle tubolature.
FIGURA 3: Schema dell'impianto con distributore Breda o Westinghouse tipo “U” .
La figura 3 (che riprende le fig. 1a e 1b) evidenzia le differenze che si riscontrano nello schema d'impianto del distributore Breda o Westinghouse tipo “U” rispetto alla “valvola tripla”: si riscontra l'introduzione di un nuovo piccolo serbatoio (serbatoio di comando) in collegamento con la camera a pressione costante e l'assenza del rubinetto di scarico del cilindro a freno. I grafici che seguono dimostrano invece il diverso comportamento, in sfrenatura, del distributore Westinghouse delle origini ("valvola tripla") e del distributore Breda. La didascalia mette in evidenza lo svuotamento totale del cilindro a freno a partire dal primo istante in cui la pressione in condotta generale tende a risalire. Il tempo di deflusso è controllato solo facendo fuoriuscire l’aria attraverso un foro calibrato, in modo da poter predefinire il tempo di azzeramento della pressione nel C.F..
5
FIGURA 3: Andamento nel tempo delle pressioni in C.G., S.A. e C.F. nel caso di frenatura e sfrenatura con la valvola tripla e con distributore Breda.
La tabella che segue illustra i campi di pressione nella condotta generale entro cui è utilizzabile la moderabilità in frenatura e sfrenatura negli attuali distributori. Si può aggiungere anche che la piena efficacia dei distributori dotati delle proprietà sopra illustrata si ottiene grazie all'impiego oggi quasi generalizzato dei moderni rubinetti di comando del freno, del tipo "autoregolatore". Questi sono in grado di mantenere costante un qualsiasi valore di pressione in condotta, compreso entro il campo di funzionamento normale del freno, e di individuare quindi con esattezza in ogni situazione le condizioni di funzionamento del distributore. FRENATURA
SFRENATURA
Inizio frenatura (Frenatura minima)
Fine frenatura (Frenatura massima)
Fine sfrenatura (annullam. press. C.F.)
C.G.
C.F.
C.G.
C.F.
C.G
C.F.
4,5
0,8
3,5
3,8
4,85(*)
0,25(*)
Pressioni in bar. (*) rispettivamente 4,8 e 0,2 per distribut. Breda
Rapidità: Non è una delle proprietà fondamentali, però è essenziale per ridurre gli spazi di arresto ed impedire l’insorgere di azioni longitudinali (strappi e compressioni incontrollate) lungo il convoglio. La rapidità dell'intervento del freno è legata a due fattori: 1. la velocità di propagazione dell'onda di depressione in condotta 2. il tempo di riempimento dei cilindri a freno ed il raggiungimento in essi della massima pressione. 1 - Il primo parametro deve essere senz'altro minimizzato. L'onda di depressione si propaga nella condotta generale ad una velocità subsonica (270 - 280 m/s) ed il suo gradiente è primariamente legato al volume d'aria che viene fatto sfuggire all'atmosfera, nell'unità di tempo, attraverso il rubinetto di comando. La velocità di propagazione può essere grandemente aumentata facendo sì che, nelle prime fasi della frenatura, non tutta l'aria debba uscire dal rubinetto di comando, ma venga parzialmente assorbita lungo il convoglio andando a riempire alcune camere supplementari ricavate nel corpo stesso dei distributori o addirittura venga fatta sfuggire 6
all'atmosfera ad opera di apposite valvole (dette di frenatura rapida) come avviene nei distributori più moderni come l'Oerlikon ed il Westinghouse "Tipo WU" (da non confondersi con la "valvola tripla", indicata con “W”). Freno elettropneumatico: Un ulteriore modo per accelerare l'azione frenante è ricorrere all'azionamento elettrico del freno pneumatico (il cosiddetto freno elettropneumatico). Il rubinetto di comando del freno, abbinato ad un interruttore elettrico, invia ai distributori, in parallelo all'azione pneumatica ed in relazione alla posizione da esso assunta, delle correnti elettriche che, percorrendo una serie di cavi che si estendono dalla locomotiva a tutti i veicoli, giungono a dispositivi attuatori (elettrovalvole di frenatura e sfrenatura) i quali comandano la frenatura e la sfrenatura agendo sui distributori o addirittura direttamente sui cilindri a freno. Il comando elettrico del freno pneumatico non possiede ovviamente il requisito dell' automaticità e pertanto anche nei convogli in cui è realizzata la frenatura elettropneumatica deve essere presente un impianto pneumatico di tipo tradizionale, il cui funzionamento è legato alle variazioni di pressione in condotta generale.
Due schemi di principio di un freno elettropneumatico, diretto ed indiretto. Nel freno indiretto manca la condotta principale e le elettrovalvole “anticipano” l’azione pneumatica del distributore
2 - Quanto al secondo dei due fattori che determinano la rapidità, cioè lo stabilirsi nel cilindro a freno della pressione di regime in frenatura, bisogna attentamente calibrare i tempi in modo tale che, lungo il treno, non ne derivino azioni frenanti scompensate (non coordinate nel tempo e nell'intensità) che provocherebbero contraccolpi con perdita di comfort e pericolo di spezzamento degli organi di aggancio. In generale quindi si tende ad evitare assolutamente un aumento brusco ed incontrollato della pressione. La famosa "valvola tripla ad azione rapida", che anticamente equipaggiava i tender delle locomotive a vapore ed alcuni tipi di bagagliai e carrozze, ed il cui 7
funzionamento consisteva nell'inviare direttamente nel cilindro a freno una quota parte di aria prelevata dalla condotta generale, era spesso responsabile di spezzamenti degli organi di aggancio.
Dispositivo "del primo tempo" e regime “MerciViaggatori (G/P)”: I moderni distributori sono progettati in modo che, non appena avvertita la depressione in condotta, il dispositivo di frenatura porti molto rapidamente la pressione nei cilindri a freno ad un valore iniziale di 0,6 bar (o 0,8 bar, a seconda dei tipi), provocando con ciò il superamento degli attriti di primo distacco degli organi meccanici che compongono la timoneria del freno ed un rapido accostamento dei ceppi ai cerchioni. Successivamente, l'afflusso dell'aria viene controllato deviandolo attraverso fori calibrati dimensionati in modo che il valore massimo della frenatura (3,8 bar) si raggiunga in circa 5" per i freni "tipo viaggiatori (P)" ed in ben 40" per i freni "tipo merci (G)". Quest'ultimo tipo (regime “merci”) è adatto all'impiego su convogli molto lunghi circolanti alla velocità massima di 85 Km/h. Al giorno d'oggi la frenatura "tipo merci" non trova praticamente più alcun impiego, in concomitanza con l'incremento della velocità a cui possono circolare i treni merci, con il miglioramento dell'efficienza dei distributori e dei rubinetti di comando del freno e soprattutto con il generalizzato incremento di quello che il testo del prof. Maternini definisce rapporto di frenatura cioè il rapporto fra la massa del treno gravante complessivamente sugli assi frenati e la massa totale del treno: anche sui treni merci infatti è generalizzata l'applicazione delle apparecchiature frenanti su tutti i veicoli. In sintesi, si può dire che al giorno d’oggi anche tutti i treni merci sono equipaggiati con freno tipo viaggiatori. Il grafico che segue dimostra, sempre per il distributore tipo Breda, l'andamento temporale della pressione nel cilindro a freno dopo una frenatura a fondo (abbassamento repentino della pressione in condotta generale da 5 a 3,5 bar) ed una successiva sfrenatura completa (ricarica sollecita della condotta generale a 5 bar).
Andamento delle pressioni nel C.F. in frenatura e sfrenatura in un freno Breda tipo viaggiatori e merci.
Inesauribilità, collegata con la moderabilità in sfrenatura Questa proprietà consiste nel permettere successive frenature e sfrenature anche parziali, in sequenza, senza che la potenza del freno venga significativamente a diminuire. Nei freni tipo Westinghouse originali (valvole triple), per quanto detto è evidente che, non appena dato inizio alla sfrenatura, il guidatore doveva obbligatoriamente e sollecitamente operare la ricarica completa delle capacità del freno collocate sui veicoli (serbatoi ausiliari) prima di passare nuovamente in frenatura. Il tempo richiesto dalla ricarica era legato alla sola capacità di produzione di aria compressa e, se esso si prolungava eccessivamente, si poteva giungere all'allentamento completo dei freni senza aver ricostituito pienamente le riserve d'aria compressa necessarie per riprendere la frenatura. In queste condizioni, eventuali successivi interventi di frenatura avrebbero sortito un'efficacia sempre minore in quanto al cilindro a freno veniva inviata aria attinta ad un serbatoio ausiliario la cui pressione era inferiore a quella di regime. Il susseguirsi di frenature e 8
sfrenature parziali portava cioè il freno all'esaurimento. Da ciò si può comprendere come inesauribilità e moderabilità in sfrenatura siano due proprietà intrinsecamente inscindibili. Nei distributori più moderni (ad esempio, il Westinghouse "Tipo U1"), oltre ad essere realizzato il controllo combinato della pressione della condotta e del cilindro a freno, come più sopra accennato, sono realizzati diversi accorgimenti aggiuntivi tesi a consentire la ricarica rapida del freno ed allo stesso tempo garantire che la condizione di freni aperti sia sempre accompagnata dal ripristino della piena capacità di intervento in frenatura.
Potenza E’ la capacità di dissipare, entro un determinato tempo (o spazio) l’energia cinetica posseduta dal convoglio. Questo parametro si definisce indicando la cosiddetta “percentuale di massa frenata”, data dal rapporto fra la somma delle masse frenate di tutti i veicoli in composizione e la massa totale del convoglio. La massa frenata di un veicolo può essere definita, in fase di progetto, in base alle caratteristiche geometriche delle apparecchiature frenanti (pressione e diametro dei cilindri a freno, rendimento della trasmissione dello sforzo frenante ai ceppi od ai dischi, coefficiente d’attrito preso in considerazione in base alla natura ed alle condizioni di esercizio) però, in base alle norme ERRI (ex UIC) l’attribuzione della massa frenata deve essere confermata da una serie di prove sperimentali che hanno lo scopo di verificare gli spazi di arresto di un convoglio composto da veicoli omogenei. La possibilità di costruire cilindri a freno di opportuno diametro e di realizzare leveraggi di azionamento dei ceppi (la cosiddetta timoneria ) con rapporti fra i bracci di leva variabili ha consentito fin dalle origini di poter realizzare sforzi frenanti Q (e quindi percentuali di massa frenata) grandi a piacere, quale che fosse la sorgente di energia utilizzata per il serraggio dei freni: la forza muscolare dell'uomo, la pressione atmosferica o l'aria compressa. I limiti che sono imposti alla potenza dei freni sono di altra natura. Il primo è quello ben noto del limite di aderenza in frenatura (cfr. l'equazione fondamentale che lega sforzo frenante con peso aderente). Specialmente per le prime apparecchiature, munite di valvole non moderabili in sfrenatura, era necessario mantenere il rapporto Q/P piuttosto basso (<=0,7). Ciò non costituiva grande ostacolo finché le velocità raggiungibili non assunsero un valore elevato. Si superò tale limitazione introducendo il cosiddetto dispositivo "alta velocità", costituito da un interruttore centrifugo collegato all'asse del veicolo. Quando questo viaggiava a velocità superiore ai 60 Km/h, l'interruttore chiudeva il circuito di alimentazione di una particolare valvola pneumatica a comando elettrico (detta trasformatore di pressione) che impartiva il consenso per inviare al cilindro a freno, durante la frenatura, aria compressa fino alla massima pressione consentita (3,8 bar). Al disotto della velocità di 60 Km/h, la pressione era parzializzata, sempre ad opera della valvola in parola, senza interferire minimamente sul funzionamento del distributore del freno. Un secondo elemento che limita tecnicamente la potenza del freno è costituito dalla dissipazione di energia per attrito e quindi dal surriscaldamento dei ceppi e dei cerchioni. che ne deriva. Frenatura a dischi. L'adozione della frenatura a dischi introduce dei vantaggi decisivi ai fini di assicurare un'efficace azione frenante anche alle alte velocità. In primo luogo, viene trasferita la dissipazione del calore dai cerchioni ai dischi, i quali sono progettati specificamente a tale scopo, sono autoventilanti e consentono di utilizzare "pastiglie" frenanti costruite con materiale non rapidamente usurabile (come invece per ovvi motivi è la ghisa dei ceppi tradizionali) e che presenta un coefficiente di attrito quasi costante al variare della velocità. I freni a dischi inoltre non temono danni strutturali a causa di surriscaldamenti (entro ovviamente determinati limiti), mentre i cerchioni delle ruote temono fortemente il surriscaldamento in quanto, essendo calettati a caldo, un incontrollato elevamento di temperatura può provocare una diminuzione del loro "tiro" di calettamento e l'allentamento del cerchione stesso. Né molto più favorevole è la condizione delle ruote "monoblocco", costruite cioè in un sol pezzo fucinato a caldo. Qui il surriscaldamento può alterare lo stato delle tensioni interne ed innescare principi di rottura. L'impostazione dei treni a velocità superiori ai 160 Km/h è possibile al giorno d'oggi grazie all'adozione di criteri diversi e più avanzati, legati all'applicazione generalizzata della frenatura a dischi su tutti i veicoli atti a viaggiare a velocità superiori ai 160 Km/h. Accanto alle proprietà delle 9
apparecchiature frenanti, naturalmente, gioca un ruolo decisivo l'attrezzaggio delle linee con sistemi di ripetizione dei segnali (con più di quattro codici captabili a bordo) e la dotazione dei mezzi di trazione di apparecchiature integrate di ripetizione segnali e controllo della velocità, con curve di frenatura preimpostate nella logica di funzionamento in base alla percentuale di massa frenata realmente esistente sul treno. Ulteriori miglioramenti nelle prestazioni sono ottenuti quando linee e rotabili siano attrezzati con i moderni sistemi di controllo della circolazione (ETCS, SCMT). Al segnalamento ed al controllo della velocità del mezzo è attribuito, al giorno d'oggi, oltre al tradizionale significato di trasmissione di informazioni sulla libertà della via e di protezione dei punti caratteristici della linea (stazioni, sezioni di blocco), quello di indicazione e del controllo della velocità massima ammissibile in relazione agli spazi di frenatura disponibili ed all'efficacia del freno. Il valore massimo di velocità raggiungibile in assenza delle suddette apparecchiature speciali di sicurezza, che viene mantenuto a 150 Km/h (la normativa in merito però è in continua evoluzione), assume oggi chiaramente il significato di una limitazione di esercizio, legata allo spazio di frenatura di 1200 ÷1350 metri. Un ulteriore adeguamento della potenza del freno è quella che tiene conto del carico dei veicoli. La regolazione della potenza è essenziale nel caso dei veicoli merci in cui la differenza fra massa a carico e tara è molto sentita (l’incidenza della tara sulla massa totale di un carro a 4 assi può andare dal 20 al 40 % a seconda della specializzazione del carro).Per tale motivo, questi carri possono essere muniti del cosiddetto dispositivo vuoto-carico azionabile manualmente (schema a fronte) che agisce modificando, meccanicamente o pneumaticamente, la massa frenata del veicolo. Per i carri destinati ai trasporti veloci (120 km/h o più), è invece prevista la realizzazione dell’adeguamento automatico della massa frenata alla massa reale. Si realizza cioè la cosiddetta “frenatura del carico” o freno autocontinuo che, con l’ausilio di sensori di carico a cui sono asserviti dispositivi meccanici o pneumatici (regolatori di pressione), adeguano costantemente la potenza del freno al peso lordo del veicolo.
Frenatura elettrica - Realizzazione: La frenatura elettrica consiste nell'utilizzazione della locomotiva come freno, invertendo la funzione dei motori e facendoli agire come generatori. La potenza meccanica, trasformata in potenza elettrica, può essere in qualche caso rinviata in rete (sistemi a corrente alternata monofase o trifase o sistemi a corrente continua con sottostazioni di alimentazione reversibili dotate di convertitori statici "a quattro quadranti"), ma nella maggioranza dei casi viene dissipata a bordo della locomotiva, alimentando delle opportune resistenze elettriche (reostati di frenatura) che cedono all'atmosfera il calore prodotto per effetto Joule. La frenatura elettrica con ricupero di energia su locomotive dotate dai motori a collettore fu sperimentata ed impiegata sulla rete italiana a corrente continua fin dai primordi e fino agli anni '40. Concettualmente è di semplice realizzazione: il circuito di trazione viene diviso in due rami, l'uno comprendente tutti gli avvolgimenti di campo, che vengono alimentati da una sorgente a bassa tensione (generatore ausiliario) e l'altro comprendente i circuiti di armatura (spazzole e collettori degli indotti), da cui si preleva una corrente che viene rinviata in linea. Si realizza cioè una dinamo del tipo a eccitazione indipendente che, con opportuna regolazione poco dissipativa, si pone in parallelo alla sottostazione di alimentazione. Il sistema a ricupero di energia in corrente continua, essendo le sottostazioni normalmente non reversibili (non in grado cioè di trasferire l’energia dalla linea di contatto alla rete di alimentazione esterna) presentò sempre notevoli problemi tecnici e di esercizio, come le sovratensioni in linea e le possibili folgorazioni per deficienza di isolamento. Esso venne ben presto abbandonato, perlomeno in Italia. Sulle locomotive tradizionali non ebbe neppure una grande diffusione il sistema di frenatura elettrica dissipativa, perlomeno finché la tecnica rimase vincolata ai sistemi di regolazione di velocità/potenza, tutti di tipo elettromeccanico e strettamente legati al sistema di alimentazione della linea di contatto. 10
Con i mezzi di trazione moderni, ormai tutti realizzati con azionamento a controllo elettronico che consente di svincolare l'alimentazione ed il controllo dei motori dal sistema di elettrificazione, si assiste alla introduzione sistematica della frenatura elettrica dissipativa (ad es. locomotive dei gruppi 652 con motori a collettore a corrente continua).Non sono richieste sostanziali modifiche circuitali, essendo già in origine divisi ed alimentati indipendentemente i circuiti degli avvolgimenti di campo e degli indotti dei motori. Non esistendo però in tali locomotive il reostato di avviamento, è necessario però montare un apposito reostato di frenatura, su cui va dissipata la potenza sviluppata. Per tali mezzi può essere tracciata una caratteristica meccanica di frenatura, che rappresenta il campo di possibile funzionamento e permette di valutare la potenza del freno elettrico alle varie velocità. Nelle locomotive dotate di motori asincroni trifasi (dalla E 402 in poi), e quindi con regolazione realizzata tramite inverter a quattro quadranti, è possibile realizzare sia la frenatura dissipativa (utilizzando il predetto reostato di frenatura) sia la frenatura a ricupero quando si operi sotto una linea a corrente alternata. La linea elettrica fornisce la potenza reattiva (di magnetizzazione), imprime la frequenza costante ed è in grado di assorbire la potenza attiva generata dai motori asincroni. Si riporta qui di fianco un esempio della caratteristica di una locomotiva di tale tipo, idonea a circolare sulla rete a 3 KV cc e 15 KV 16,7 Hz. (gruppo 412 FS, impiegato sulla linea del Brennero con possibilità di operare anche sulla rete austriaca).
11