GABRIELE D'ANNUNZIO
LA VITA
L'esteta La vita di D'annunzio può essere considerata una delle sue opere più interessanti: secondo i principi dell'estetismo bisognava fare della vita un”opera d'arte”. Nato nel 1863 a Pescara da agiata famiglia borghese, studiò nel collegio collegio Cicognini Cicognini di Prato. Prato . Abbandono Abbandono presto gli studi , preferendo vivere tra tr a salotti salotti mondan mondanii e redazion redazionii di n giornal giornali. i. Acquistò Acquistò subito subito notorietà, notorietà, sia attraverso una copiosa produzioni di versi, di opere narrative, di articoli giornalistici, giornalistici, sia attraverso una vita altrettanto scandalosa , per i principi morali dell'epoca. Sono gli anni in cui D'Annunzio si crea la maschera dell'e dell'esteta, steta, dell' dell'in indi divi viduo duo superiore, superiore, dalla dalla squisi squisita ta sensib sensibil ilità, ità, che rifiuta rifiuta inorrid inorridito ito la mediocr mediocrità ità borghese, rifugia rifugiandosi ndosi in in un mondo mondo di pura arte.
Il superuomo Questa fase estetizzante della vita di D'Annunzio attraversò una crisi alla svolta degli anni Novanta; lo scrittore cercò così nuove soluzioni, e le trovò in un nuovo mito, quello del superuomo, ispirato alle teorie del filosofo tedesco Nietzsche, un mito non più soltanto di bellezza, ma di energia eroica, attivistica. D'Annunzio puntava a creare l'immagine di una vita eccezionale (il vivere inimitabile''), sottratta alle norme del vivere comune. A creargli intorno un alone di mito contribuivano anche i suoi amori, specie quello di Eleonora Duse. In realtà, realtà, in questo questo dispr disprezzo ezzo per la vita comun comunee e in questa questa ricer ricerca ca di una vita vita d'eccez d'eccezio ione, ne, D'Annunz D'Annunzio io era strettamente strett amente legato alle alle esigenze del sistema economico del suo tempo. Il culto della bellezza bellezza ed il “vivere “vivere inim inimitabi itabile” le” risultavano risultavano essere finalizzati finalizzati al loro contrario, a ciò che D'annunzio D'annunzio ostentava di disprezzare, disprezzare, il denaro e le esigenze esigenze del mercato: proprio lo scrittore scrittor e che più disprezzava disprezzava la massa, era costretto costre tto a solleticarla solleticarla e a lusingarla. lusingarla.
La ricerca dell'azione: la politica e il teatro Per questo, nel 1897, tentò l'avventura parlamentare, come deputato dell'estrema destra, in coerenza con le idee affidate ai libri, in cui esponeva con veemenza il suo disprezzo per i principi democratici ed egualitari, il suo sogno di restaurazione della grandezza di Roma e di una missione imperiale dell'Ita dell'Itali lia. a. Ciò non gli imped impedì, ì, nel nel 1900di 1900di passare passare allo allo schiera schieramen mento to di sini sinistra: stra: ma non deve meravig meravigli liare, are, perchè perchè
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estetizzanti e vitalistiche. D'Annunzio a partire dal 1898, con la rappresentazione della Città morta, si rivolse anche al teatro, a causa dei creditori inferociti, nel 1910 fu costretto a fuggire dall'Italia e a rifugiarsi in Francia. Nell'esilio si adattò al nuovo ambiente letterario, scrivendo persino opere teatrali
in francese, pur senza interrompere i legami con la patria “ingrata” che aveva respinto il suo figlio d'eccezione.
La guerra e l'avventura fiumana Allo scoppio del conflitto D'Annunzio tornò in Italia ed iniziò un'intesa campagna interventista. Arruolatosi volontario nonostante l'età non più giovanile 52 anni, attirò nuovamente su di sé l'attenzione con imprese clamorose, la “beffa di Buccari”. Nel dopoguerra D'Annunzio si fece interprete dei rancori per la “vittoria mutilata” che fermentavano tra i reduci, capeggiando una marcia di volontari su Fiume, dove instaurò un dominio personale sfidando lo Stato italiano. Scacciato con le armi nel 1920,sperò do proporsi come “duce” di una rivoluzione” reazionaria, ma fu scalzato da un più abile politico, Benito Mussolini. Il fascismo poi lo esaltò come padre della patria, ma lo guardò anche con sospetto, confinandolo praticamente in una villa di Gardone, che D'Annunzio trasformò in un mausoleo eretto a se stesso ancora vivente, il “Vittoriale degli italiani”. D'annunzio attraversò oltre un cinquantennio di cultura italiana, influenzandola profondamente in numerose fasi con la sua produzione sovrabbondante; un'impronta incalcolabile lasciò sul costume, dando vita al fenomeno del dannunzianesimo, ma ispirò anche le forme della nascente cultura “di massa”, che traduceva la atmosfere estetizzanti e rarefatte ad uso di lettori di mediocre cultura, ed influenzò il cinema.
L'ESTETISMO E LA SUA CRISI
L'esordio Le prime due raccolte liriche, Primo vere e Canto nuovo si rifanno al Carducci delle Odi barbare; la prima opera narrativa, la raccolta di novelle Terra verdine guarda al Verga di Vita dei campi. Se si esclude Primo vere, che è poco più di un esercizio di apprendistato, il Canto novo offre già indicazioni molto interessanti. Oltre alla metrica barbara, D’Annunzio ricava da Carducci il senso tutto “pagano” delle cose sane e forti, della comunione con una natura solare e vitale. Ma questi temi sono portati al limite estremo e toccano i vertici di una fusione ebbra tra io e natura. Non mancano però spunti diversi, momenti di stanchezza, visioni cupe e mortuarie, e, curiosamente, sono presenti anche spunti “sociali” provenienti dal contemporaneo Verismo, l’indugio su figure di reietti al limite del subumano. Terra vergine è il corrispettivo in prosa del Canto novo, il modello è il Verga rusticano di Vita dei campi; D’Annunzio presenta figure e paesaggi della sua terra, l’Abruzzo. Il mondo di Terra vergine è sostanzialmente idillico, non problematico: in una natura rigogliosa e sensuale esplodono passioni primordiali, soprattutto sotto forma di un erotismo vorace.
Sulla tessa linea si pongono sostanzialmente le raccolte di novelle successive, Il libro delle vergini e San Pantaleone, che saranno poi riunite nelle Novelle della Pescara. Anche questi testi rivelano l’ambiguo compiacimento per un mondo magico, superstizioso e sanguinario. Se dunque esteriormente le novelle di D’Annunzio si richiamano al regionalismo veristico, la loro sostanza profonda è del tutto estranea al gusto documentario, agli interessi sociali, alla visione positivistica del verismo, e si collega alla matrice irrazionalistica del Decadentismo.
I versi degli anni Ottanta e l’estetismo La stessa matrice è evidente nella copiosa produzione in versi degli anni Ottanta. L’Intermezzo di rime è giocato sulla confessione della stanchezza sensuale, della sazietà della carne viziosa. Isaotta Guttadauro è un esercizio raffinato ed estetizzante di recupero delle forme poetiche quattrocentesche, la Chimera, pubblicata insieme all’Isotteo insiste sui temi di sensualità perversa, compendiati in immagini di una femminilità fatale e distruttrice. Queste opere poetiche sono il frutto della fase dell’estetismo dannunziano, che si esprime nella forma “il verso è tutto”. L’arte è il valore supremo, e ad essa devono essere subordinati tutti gli altri valori. La poesia non sembra nascere dall’esperienza vissuta, ma da altra letteratura. I versi dannunziani pertanto sono fitti di echi letterari. Questo personaggio dell’esteta, che si isola dalla realtà meschina della società borghese contemporanea in un mondo rarefatto e sublimato di pura arte e bellezza, è a ben vedere una imposta ideologica ai processi sociali in atto nell’Italia postunitaria, i quali tendevano a declassare e ad emarginare l’artista. Il personaggio dell’esteta è una forma di risarcimento immaginario da una condizione reale di degradazione dell’artista. Sfruttando abilmente i meccanismi della produzione capitalistica, propone un’immagine nuova di intellettuale, che sin pone fuori della società borghese, e fa rivivere una condizione di privilegio dell0’artista che era propria di epoche passate, e che sembrava definitivamente tramontata.
Il piacere e la crisi dell’estetismo D’Annunzio si rende conto dell’intima debolezza di questa figura e della costruzione ideologica che essa presuppone: l’esteta non ha la forza di opporsi realmente alla borghesia in ascesa. Egli avverte tutta la fragilità dell’esteta in un mondo lacerato da forze e conflitti così brutali: il suo isolamento sdegnoso, non può che divenire sterilità ed impotenza, il culto della bellezza si trasforma in menzogna, la costruzione dell’estetismo entra allora in crisi. Il primo romanzo scritto da D’Annunzio, Il piacere è la testimonianza più esplicita. Al centro del romanzo si pone la figura di un esteta, Andrea Sperelli, il quale non è che un “doppio” di D’Annunzio stesso, in cui l’autore obiettiva la sua crisi e la sua insoddisfazione. Andrea è un giovane aristocratico, artista proveniente da una famiglia di artisti, “tutto impregnato di arte”. Il principio “fare la propria vita, come si fa un’opera
d’arte” diviene una forza distruttrice, che lo priva di ogni energia morale e creativa, lo svuota e lo isterilisce. La crisi trova il suo banco di prova nel rapporto con la donna, l’eroe è diviso tra due immagini femminili. Elena Muti, la donna fatale, che incarna l’erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, che rappresenta ai suoi occhi l’occasione di un riscatto e di una elevazione spirituale. Ma in realtà l’esteta libertino mente a se stesso: la figura della donna angelo è solo oggetto di un gioco erotico più sottile e perverso, fungendo da sostituto di Elena, Andrea finisce per tradire la sua menzogna con Maria, ed è abbandonato da lei, restando solo con il vuoto e la sua sconfitta. Nei confronti di questo suo “doppio” letterario D’Annunzio ostenta un atteggiamento impietosamente critico. Il romanzo risente ancora della lezione del realismo ottocentesco e del Verismo. Sono evidenti le ambizioni a costruire un quadro sociale, di costume, popolato di figure tipiche di aristocratici oziosi e corrotti. D’Annunzio mira soprattutto a creare un romanzo psicologico, in cui contano i processi interiori del personaggio, complessi e tortuosi indagati con sottili indugio analitico. Nel Piacere compare poi un’altra tendenza fondamentale, quella di costruire al di sotto dei fatti concreti una sottile trama di allusioni simboliche.
La fase della “bontà” La crisi dell’estetismo non approda immediatamente a soluzioni alternative, al Piacere succede un periodo di incerte sperimentazioni. La stanchezza sensuale e il disgusto per gli artifici dell’estetismo inducono D’Annunzio a subire il fascino del romanzo russo. Nel Giovanni Episcopo, storia di un “umiliato e offeso” che tocca l’estrema degradazione, arrivando all’omicidio, è evidente l’influsso di Dostoievshij; nell’Innocente si esprime un’esigenza di rigenerazione e di purezza, attraverso il recupero del legame coniugale, ma si esplora anche una contorta psicologia omicida, sempre su imitazione dostoievskiana. E’ la fase che viene usualmente definita della “bontà”. essa comprende anche la raccolta poetica del poema paradisiaco, percorsa da un desiderio di recuperare l’innocenza dell’infanzia, di ritornare alle cose semplici e agli effetti familiari; in realtà il libro presenta anche i temi più sottilmente ambigui: stati d’animo di languore voluttuoso, atmosfere sfatte, paesaggi su cui aleggia un senso di estenuazione di morte. La bontà è però una soluzione provvisoria.- uno sbocco alternativo alla crisi dell’estetismo scaturirà dalla lettura del filosofo Nietzsche, avvenuta intorno al 1892.
I ROMANZI DEL SUPERUOMO
D’Annunzio e Nietzsche D’Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche, banalizzandoli e forzandoli entro un
proprio sistema di concezioni: innanzitutto il rifiuto del conformismo borghese, dei principi egualitari che schiacciano e livellano la personalità; l’esaltazione dello spirito “dionisiaco”,l’esaltazione della “volontà di potenza”, il mito del superuomo. D’Annunzio dà a questi motivi un’accentuata coloritura antiborghese, aristocratica, reazionaria, imperialistica. Egli si scaglia violentemente contro la realtà borghese del nuovo Stato unitario. Vagheggia l’affermazione di una nuova aristocrazia, che sappia tenere schiava la moltitudine degli esseri comuni ed elevarsi a superiori forme di vita attraverso il culto del bello e l’esercizio della vita attiva ed eroica. Il motivo nietzschiano del superuomo è quindi interpretato da D’Annunzio nel senso del diritto di pochi eccezionali ad affermare se stessi, sprezzando le leggi comuni del bene e del male.
Il superuomo e l’esteta Il nuovo personaggio del superuomo creato da D’Annunzio non nega la precedente immagine dell’esteta, ma la ingloba in sé. Il culto della bellezza è essenziale nel processo di elevazione della stirpe nelle persone di poche eletti: in tal modo l’estetismo non sarà più rifiuto sdegnoso della realtà, ma strumento di una volontà di dominio sulla realtà. Il mito del superuomo è sempre un tentativo di reagire alle tendenze, in atto nella società capitalistica moderna, ad emarginare e a degradare l’intellettuale; ma è un tentativo che va in direzione opposta rispetto a quella che proponeva il mito dell’esteta, poiché affida all’artista-superuomo una funzione di “vate”, di guida in questa realtà, ed anche compiti più pratici, attivi, una missione politica, seppur per ora alquanto vaga. Ben consapevole dei processi in atto che declassano l’intellettuale, d’Annunzio on si piega ad accettare la sorte comune, ambisce a rovesciarla, a ritrovare un ruolo sociale.