Stefano Magnani
IL VIAGGIO DI PITEA SULL'OCEANO
Pàtron editore
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Studi di Storia - 8
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' Collana fondata da GIANCARLO SusiNI e diretta da ANGELA DONATI
Stefano Magnani
IL VIAGGIO DI PITEA SULL'OCEANO
PÀTRON EDITORE BOLOGNA 2002
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Prima edizione, gennaio 2002 Ristampa 6 5 4 3 2 l
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Volume pubblicato con il contributo del CNR e deH'Università degli Studi di Bologna (fondi ex 60%)
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INTORNO ALL'OCEANO
Ancora oggi la storia della geografia è vittima di un'evidente schizofrenia. La si deve a Strabone, il primo geografo dell'era volgare e il primo a distinguere, nella sua polemica contro Eratostene, i geografi che per descrivere misurano da quelli che invece raccontano. Prima del lavoro che qui si introduce nessuno aveva con altrettanta decisione e precisione collocato nel cuore della polemica la figura di Pitea e attraverso di essa il genere periegetico, racconto e insieme misurazione. Poiché un'introduzione non è una ripetizione, né tantomeno un'anticipazione. non è il caso di illustrare adesso i motivi di tale coinvolgimento, dal Magnani puntualmente esposti. Basterà far subito notare, invece, come proprio per tali ragioni Pitea non compare nell'elenco di coloro che Strabone, all'inizio del primo libro della Geografia, pone subito dopo O mero all'origine del sapere geografico stesso, tra i nomi cioè di quelli che a scuola abbiamo studiato come filosofi presocratici, e che Giorgio Colli chiamava i sapienti greci. Tra i quali spicca la figura di colui che verso la fine dell'opera che qui segue appare come una sorta di ultima Thule dell'operazione conoftcitiva (teorica e pratica insieme) di cui si riferisce: la figura di Anassimandro. E su tale misteriosa ma decisiva icona del pensiero occidentale che la ricostruzione dell'epistemologia piteana da parte del Magnani si arresta, come su di un lido non proprio sconosciuto ma certamente ancora tutto da riconoscere ed esplorare- impresa quest'ultima che etimologicamente implica il pianto, come Pitea benissimo sapeva. D'altronde non c'è verso: se finalmente si restituisce aiJa geografia la sua natura di fonna originaria del sapere occidentale, come nel caso di Pitea sarebbe difficile non fare. le questioni cui s'approda non possono essere altro che la ricapitolazione di quanto prima della filosofia esisteva, la riscoperta dei modelli archetipici della conoscenza, del suo stato aurorale, della sua condizione magmatica. Cioè del tempo in cui, come ancora Osip Mandel' stam ricordava, chi non aveva viaggiato non osava scrivere. Quando il viaggio, come complessiva e indivisi bile costruzione conoscitiva, era insieme accertamento della Terra e degli strumenti e dei modelli di conoscenza della Terra stessa, di un oggetto e insieme delle sue modalità di riduzione e addomesticamento, perlustrazione insomma di un rapporto rimesso di continuo in discussione. Il viaggio era ricognizione del già noto e insieme riapertura delle sue infinite possibilità di descrizione, procedimento ontologico per eccellenza. incessante n-definizione dell'esistente (vale a dire sua inclusione in ambiti e limiti di volta in volta differenti, perché risultato di
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progressivi estensioni o slittamenti). Una ri-definizione che sul piano gnoseologico non s'appoggia su nessuna distinzione di genere, ma è insieme mitologica e scientifica, o meglio precede tale illusoria opposizione. E "insieme" qui significa nel tempo e nello spazio, così come per secoli dopo Pitea appunto Oceano avrà il doppio valore di figura spaziale e temporale, di emblema della strutturale inseparabilità tra spazio e tempo. Come appunto dire che il periplo di Pitea riguarda "lo spazio riempito di cose terrestri'', secondo l'espressione cara ai geografi tedeschi del primo Ottocento e al contempo tutta la precedente conoscenza occidentale del mondo. Per questo il lavoro del Magnani altro non può fare, una volta riconosciuto il doppio carattere del viaggio, che mettere capo ad Anassimandro, al primo che, secondo tradizione, osò inscrivere la terra abitata su una tavoletta, così inaugurando non un metodo ma il metodo (!J-É6oooç) - quel che appunto, alla lettera, esime dal viaggio (oooc;) perché gli è successivo, ma proprio in quanto tale lo ricomprende e lo supera, dunque in ultima analisi finisce col determinarlo. E' proprio nello spiraglio, nell'intercapedine tra impresa odeporica e metodo che la rimonta verso settentrione di Pitea si svo1ge. Ed essa si arresta, inevitabilmente, al confine tra fisico e metafisica. Appunto questo significa Thule, raggiunta la quale il viaggio si trasforma in ritorno, non perché la Terra sia finita, ma perché non vi è più nulla da vedere. perché rorigine è stata raggiunta. Anche in questo caso, e molto prima dei romantici. l'origine- non la fine- è la meta. Esaurire il percorso terrestre, dare il giro alla Terra sarà la mania moderna, quando il problema sar~ come dirà von Kleist, quello di vedere se per caso il nostro pianeta non fosse un pò più aperto (non avesse un buco) dalla parte di dietro. Ma per Pitea e ancor più per Strabone vale, a differenza di Anassimandro, non il pianeta ma l'ecumene, non la Terra ma la sua porzione conosciuta e abitata. Proprio questo Strabone rimprovera ad Eratostene: l'aver considerato alla stregua di un qualsiasi corpo celeste. dunque da astronomo e non da geografo, la sede degli uomini, la ~·casa per l'educazione dell'umanità" come dirà ali" inizio dell'Ottocento Cari Ritter, il fondatore dell' Erdkunde e il geografo più straboniano di tutti. Vale a dire appunto trascurando il valore della mediazione gnoseologica, il discorso interno alla natura dei modelli conoscitivi posti in opera. L'ecumene non è infatti dato una volta per tutte, come la forma astronomica dei corpi celesti, ma è l'esito di un incessante processo che coinvolge il complesso delle relazioni interne all'umanità, e dell'umanità stessa con il pianeta. L'ecumene è la Terra e insieme la consapevolezza della relatività dei modelli in base ai quali la descriviamo, della loro riflessività. Come proprio Strabone spiega, l'ecumene è quella parte della Terra per la quale ''possediamo il linguaggio". L'ecumene è la Terra e insieme la coscienza della prima zia del modello con il quale conosciamo rispetto alla cosa conosciuta. (Coscienza che dopo Colombo sparisce dalla cultura occidentale, almeno da quella geografica, eccezion fatta appunto per gli Erdkunder, per i geografi critici - i geognosti della Prussia tra riforme e rivoluzione). Per questo nel suo viaggio verso l'inizio della fisica, verso l'origine della Terra l' ecumenista Pitea, armato di una teoria e di uno gnomone, riconduce a ciò che è umano, alla nostra portata conoscitiva cioè, quel che per Anassimandro era al suo opposto: nientemeno che l' apeiron. Perché proprio questo a Thule accade, e proprio per questo nel pensiero occidentale Thule significherà, dopo Pitea, l'ultima possibilità, l'ultimo materiale limite ma allo stesso tempo anche l'ultimo pensiero possibile.
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Intorno al/ 'Oceano
Si compari quel che sull'apeiron ci è stato tramandato con ciò che, teste Strabone, Pitea scrive sul Hpolmone marino" che è l'ultima cosa che vede prima di far marcia indietro. A me pare che siano proprio la stessa cosa. Cito dalla traduzione di Serena Bianchetti dei frammenti dell'opera di Pitea sull'Oceano: 4 ~ né terra vera e propria, né mare, né aria, ma un misto ( cruyxpt!J-Cl) di questi diversi elementi", qualcosa 'che tiene uniti tutti gli elementi e non è percorribile né navigabile". Se vi è un significato inequivoco del vocabolo apeiron, da qualsiasi termine greco lo si faccia discendere, è proprio quest'ultimo: qualcosa di inattraversabile da una parte all'al tra perché inesauribile, dunque per la sua natura. E il termine qui adoperato per indicare la miscela degli elementi. la specie di mi~ma in cui Pitea riferisce d'essersi imbattuto, ha la stessa radice di quell' Èxxpt vEcr6cu che (teste, in questo caso attendibile, Aristotele) Anassimandro adopera per indicare la separazione dall' apeiron dei singoli elementi tra loro contrari, ma senza che il loro legame con questo sia perciò completamente reciso. Proprio per tale dialettica, che implica una continua dinamica. Pitea ricorrerebbe all'immagine del polmone, che come si legge nel classico lavoro dell' Onians sulle origini del pensiero europeo era per gli antichi la sede della vita e della coscienza, in questo caso del mondo, esattamente come per Anassimandro l' apeiron è il principio da] quale "la nascita delle cose avviene ... per distacco dei contrari a causa dell'eterno movimento", secondo l'espressione di Simplicio. Dopodiché il upolmone marino'' di Pitea, che sicuramente avrà visto qualcosa, potrà anche coincidere, come si è voluto, con un fiordo, con una pialassa o con un' altra anfibia parte di qualche apparato deltizio, o con qualsiasi altra cosa si decidesse. Basta appunto non dimenticare quel che il sapere ecumenico e il viaggio davvero volevano dire in termini gnoseologici, come al Magnani non pare sfuggire. E rendersi così conto che l'impresa di Pitea ha lo scopo di riportare alla physis proprio quel che Anassimandro assegna al metafisica, di riannettere a ciò che è di competenza degli uomini quel che la speculazione ionica aveva collocato fuori della loro portata. L' apeiron diventa così l'Oceano che circonda e perciò governa la Terra, e che per Pitea termina appunto quando all'apeiron egli riesce finalmente e concretamente ad assegnare forma e contenuto, facendo coincidere r idea con quel che si vede, la teoria con 4
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uAbolire la metafisica: come se fosse una cosa nuova!". Così all'inizio del Novecento si esprimerà Wittgenstein. Ma tra Pitea e Wittgenstein c'è un abisso. Per il secondo il mondo è una carta geografica, per il primo è un globo. Proprio da Pitea, anzi, inizia la genealogia dei bona fide travelers, dei ricognitori dell'autentica forma terrestre, quella sferica. Per questo conviene dimenticare il filosofo e tornare come qui di seguito si fa ali' esploratore e al geografo, oggi che i tragici esiti di quella che spensieratamente chiamiamo globalizzazione rivelano la crisi di ogni moderno nomos della Terra e premono perciò con forza verso la riconcettualizzazione di tutti i nostri modelli di conoscenza. a partire da quelli geografici. Come ha spiegato qualche anno fa Regis Debray, arcaico non è quel che una società si lascia dietro nella misura in cui essa diviene industriale, urbana, professionale, internazionale. L'arcaico è anche ciò che l, attende come esito di tali trasformazioni. L'arcaicità della figura di Pitea consiste nel suo essere appostato sulla prima soglia tra racconto e misura, tra fisica e metafisica, tra ciò che si vede e ciò che si pensa. E consiste nel suo ruolo di primo costruttore di un globale modello scientifico del mondo: un modello che ai giorni nostri nessuna intelligenza, né privata né collettiva, è in grado di costruire, a dispetto
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dell'urgenza con cui il suo bisogno si manifesta. Sicché tornare ad interrogarsi oggi su Pitea, come qui appresso acribicamente accade, non significa soltanto ricostruire, valicando confini storiografici, il principio del sapere occidentale. Significa anche mettere a tema la possibilità del nostro, quanto mai incerto, futuro. FRANCO FARINELLI
Presidente del Corso di Laurea in Scienze Geografiche Università di Bologna l 2 Settembre 2001
Desidero ringraziare coloro che, con suggerimenti e discussioni, hanno contribuito alla realizzazione di questo studio: il prof Giovanni Brizzi, dalle cui indimenticate lezioni di Geografia storica venne lo stimolo per affrontare l'indagine su Pitea; il compianto prof Giancarlo Susini e il prof Franco Sartori, che ebbi il piacere e la fortuna di avere entrambi come tutor negli anni di Dottorato; la profssa Serena Bianchetti, che con cortesia estrema ha seguito le diverse tappe di elaborazione del testo, prodigandosi in consigli e suggerimenti; il prof Roberto Idillio Biondi, che ha gentilmente verificato i contenuti matematici. A costoro e agli amici e colleghi coi quali più volte si è discusso di Pitea un grazie di cuore.
Abbreviazioni ANRW: Aufstieg und Niedergang der Romischen Welt. Geschichte und Kultur Roms im Spiegel der Neueren Forschung, hrsg. von H. Temporini, Berlin-New York, L972. Berger: Die geographischen Fragmente des Eratosthenes, neu gesammelt. geordnet und besprochen von H. Bergcr, Leipzig, 1880. Bianchetti: Pitea di Massalia, L 'Oceano. Introduzione. testo, traduzione e commento a cura di S. Bianchetti, Pisa, 1998. Biittner-Wobst: Po/ybii Historiae, vol. IV, Libri XX-XXXIX-Fragmenta, editionem a Ludovico Dindorfio cura ram retractavit Theodorus Buettner-Wobst, Stuttgart, 1904. rist. 1985. Bywater: l. Bywater, Supplementum Aristotelicum, 1, 2, Berlin, 1886. Colli: G. Colli, La sapienza greca, II, Epimenide, Ferecide, Talete, Anassimandro, Anassimene, Onomacrito, Teofrasto, Opinioni dei Fisici, Milano. 1978. DG: Doxographi graeci. co/legit, recensuit, prolegomenis indicibusque instruxit H. Diels, Bero1ini. 1879, rist. 1965. Dicks: The Geographical Fragments of Hipparchus, edìted with an lntroduction and Commentary by D. R. Dicks. London, 1960. DK: Die Fragmente der Vorsokratiker, von H. Die1s, hrsg. W. Kranz. Berlin, 1951-1952fl. Edelstein-Kidd: Posidonius, I, The Fragments. edited by L. Edelstein and l G. Kidd, Cambridge, 1972, Cambridge-New York-New Rochelle-Melboume-Sidney, l989 2. FGrHist.: Die Fragmente der griechischen Historiker, von F. Jacoby, Berlin-Leiden, 19231958. FHG: Fragmenta Historicorum Graec:orum, auxerunt, notis et prolegomenis instruxerunt C. et T. Miilleri, voli. I-IV, Parisiis, 1841-1851, rist. Frankfun am Main. 1975. GGM: Geographi graeci minores, edidit C. Mtiller, 2 voll., Parisiis 1855-1861, rist. Hi1desheim, 1965. Hiller: Theonis Smyrnaei, Philosophi Platonici, Expositio rerum mathematicarum ad /egendum Platonem utilium, recensuit E. Hiller, Lipsiae, 1878. /nscr. /t., Xlii. l: /nscriptiones /taliae, vol. XIII, Fasti et Elogia, fase. l, Fasti consulares et triumphales, curavit A. De grassi, Roma, 1947. KP: Der Kleine Pauli. Lexikon der Antike, auf der Grundlage von Pauly's Rea/encyc/opiidil• der klassischen Altertumswissenschaft unter Mitwìrkung zahlreicher Fachgelehrter, bearbeitetet und herausgegeben von K. Ziegler und W. Sontheimer. bd. 1-V. Stuttgart. 1964-1975. Lasserre: Die Fragmente des Eudoxos von Knidos. herausgegeben, ilbersetzt und kommentien von F. Lasserre, Berlin, 1966. Maass: Commentariorum inAratum, Reliquae, coflegit, recensuit, prolegomenis indicibusque instrlLTit E. Maass, Berolini, 1898, rist. 1958. Mette: Pytheas von Massalia, collegit H. J. Mette, Berlin. 1952. Radt: Tragico rum Graecorum Fragmenta (TrGF). vol. 3, Aeschy/us, editor S. Radt, Gottingen, 1985. RE: A. Pauli. G. Wissowa (et a/ii), Rea[ Encyclopiidie der kfassischen Aftertumswissenschaft. Berlin-Stuttgart-Mtinchen, 1893-1980. RGA: Real/exikon der Germanischen Altertumskunde, von J. Hoops. Zweite, vollig neubearbeitete und stark erweitene Auflage unter Mitwirkung zahlreicher Fachgelehner, Berlin-New York, 1973-. Rose: Aristotelis qui ferebantur librorum Fragmenta, collegit V. Rose, Lipsìae, 1886. SVF: Stoicorum Vetera Fragmenta, collegit H. von Arnim, voli. III, Lipsiae 1903-1905. Theiler: Poseidonios, Die Fragmente, hrsg. von W. Theiler, I, Texte; II, Erliiuterungen, Berlin-New York, I 982. Wehrli: Die Schule des Aristate/es. Texte und Kommentar, herausgegeben von F. Wehrli. Basel. 1967-19692 (1. Dikaiarchos; VII, Herakleides Pontikos; Vlll, Eudemos von Rhodos; X, Hieronimus von Rhodos). Wlinsch: loannis Lydi, Liber de mensibus, edidit R. Wuensch, 1898, Stuttgart. 1967.
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PITEA DI MASSALIA
La seconda metà del IV secolo a.C. fu per il mondo greco un'età di profondi mutamenti e di radicali rinnovamenti, sotto molteplici punti di vista. In particolare, una figura domina sia direttamente sia indirettamente questo periodo: Alessandro Magno, la cui vita e le cui imprese segnarono una svolta fondamentale nel corso della storia, aprendo al pensiero ed alla cultura greca nuovi orizzonti di portata ecumenica. Il suo ruolo, per quanto concerne il progresso realizzato nella conoscenza del mondo abitato, venne notato già nell'antichità da Eratostene di Cirene 1, il geniale direttore della Biblioteca di Alessandria sul finire del III secolo a.C., che fu il vero e proprio iniziatore degli studi geografici 2 . Osservando l'importanza dei progressi realizzati in campo geografico neli' età di Alessandro ed in quella immediatamente successiva, Eratostene ovviamente non intendeva restringere al solo sovrano macedone i meriti del massiccio incremento delle esplorazioni e delle conoscenze geografiche greche. bensì indicare un'epoca che aveva segnato un contributo fondamentale alla conoscenza dell'ecumene. Delropera geografica di Eratostene e, più in generale, della riflessione che fece seguito a quest'epoca di esplorazioni, non rimangono oggi che indizi e frammenti sparsi negli scritti di studiosi di età posteriore, in particolare di Strabone. che nei suoi rtwypa~txa utilizzò ampiamente gli autori precedenti. fornendo n~ei primi due libri una panoramica generale della storia della geografia antica. E grazie soprattutto a quest'opera che sono noti gli studi di Eratostene nel settore e quelle che furono le sue fonti principali. Una di queste fu l'astronomo e matematico Pitea di Massalia, l'odierna Marsiglia, vissuto nella seconda metà del IV secolo a.C. ed autore di uno straordinario viaggio lungo le coste oceaniche dell'Europa, «da Cadice fino al Tanais», l'odierno Don che sfocia nel Mare di Azov, anticamente denominato F I B, 11 Berger = Strabo, l, 3, 3, C 48. Per una rapida panornmica sull'opera di Eratostene si rimanda a G. Dragoni, Eratostene e l'apogeo della scienza greca, Bologna, 1979; Id., introduzione allo studio della vita e delle opere di Eratostene (circa 276- circa 195 a. C.), <
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
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palude Meotide3. Le esperienze e i risultati delle ricerche svolte nel corso del viaggio furono raccolti ed elaborati da Pitea in un 'opera intitolata nepi '.Qxeavou 4 , oggi perduta, che funse da base e da stimolo alla speculazione geografica e scientifica di età ellenistica, a partire dai rewypact>txa di Eratostene per giungere all'omonimo nepi 'Qxeavou di Posidonio, e che ebbe notevole presa sull'immaginario non solo antico. Pitea infatti raggiunse e descrisse regioni che fino ad allora erano rimaste estranee alle conoscenze geografiche dei Greci e dei Mediterranei in genere, o la cui esistenza era ammantata di un alone favoloso e mitico: la penisola armoricana; le )sole Britanniche e le terre da cui proveniva lo stagno; Thule, che egli ritenne essere il limite settentrionale dell'ecumene; il mare congelato; le terre d eli' ambra. Dello scritto piteano, purtroppo, sopravvive solo un numero ridotto di frammenti e testimonianze risalenti per di più ad autori che non consultarono direttamente il testo piteano e che spesso, anzi, furono animati da forti pregiudizi circa la sua credibilità, come nel caso di Strabone. Unica eccezione sembra essere un breve passo di lpparco, che non a caso viene accolto dagli editori come primo frammento dell' operas. Oltre al nept '.Qxeavou, a Pitea è attribuita anche una neptoòoç fijç di cui rimane una breve testimonianza relativa al particolare fenomeno del ribollire delle acque marine che si verificava in prossimità delle isole Eolie 6 • Risulta difficile comprende se si tratti di un diverso titolo per la stessa opera o di due opere effettivamente distinte. L'osservazione dei fenomeni marini è infatti una delle costanti del nept 'i)xeavou, anche se tale titolo contrasta, almeno appa3
Per il significato dell'espressione «da Cadice al Tanais)) si veda oltre. Che l'opera o una delle opere di Pitea portasse questo titolo è testimoniato da Gemino (Elem. a.str., VI, 9 = F 13a Bianchetti = F 9a Mette); cfr. G. Aujac, Le.s traités
), LXXIV, l 972, pp. 74-85. 5 Per quanto concerne la pubblicazione dei frammenti o, meglio, delle testimonianze piteane, all'ancora utilissimo e qui ampiamente citato lavoro di H. J. Mette (Pytheas von Massalia, collegi/ H. J. Mette, Berlin, 1952). si sono affiancate recentemente due nuove raccolte. La prima è quel1a curata da C. H. Roseman (Pythea.s oj Massa/io: On the Ocean. Text, Translation and Commentary by C. H. Roseman, Chicago, 1994 ). che adotta una suddivisione tra testimonianze e frammenti quanto meno discutibile. per una scelta uoppo ampia del numero dei frammenti, e non apporta sostanziali novità al corpus piteano, se non l'introduzione di un passo di Marziano Capella (De Nuptiis Philologiae et Mercurii. VI. 608-609 =T 29 Roseman). in cui la menzione di Pitea è congettura moderna in luogo di un aluo passo dello stesso autore (VI. 219-220 F 13b Mette). Altrove gli interventi si linùtano a semplici variazioni nell'ampiezza delle testimonianze. La scelta delle edizioni dei testi di riferimento non è poi la migliore, almeno nel caso di Strabone per il quale la studiosa utilizza l'edizione «integrata)) di W. Aly (Strabonis Geographica, recensuil W. Aly. I (libri I-11), Bonn 1968. e Il, (libri III-VI), Bonn, 1972). Recentissima è la raccolta curata da S. Bianchetti (Pitea di Massalia, L 'Oceano. Inuoduzione, testo, uaduzione e commento a cura di S. Bianchetti, Pisa, 1998), che introduce nel corpus il passo di Maniano Capella già citato, ma che, rispetto aJla studiosa americana. conserva un maggior grado di unità alle testimonianze e ordina i testi in base alla personale ricostruzione dell'itinerario piteano. Per un più ampio commento a questo ottimo lavoro, oltre aJle considerazioni riportate nel testo, si veda quanto ho scritto in llEpl 'UxEavou. Note e discussioni a proposito di una recente edizione dei frammenti e delle testimonianze dell'opera di Pi1ea di Massalia, «RSA», XXIX, 1999, pp. 263-282. Per le citazioni dei frammenti, ove non si rendano necessari ulteriori chiarimenti, rimando sia alla raccolta curata dalla Bianchetti sia a quella curata dal Mette, facendo presente comunque che una tabella sinottica del1e concordanze tra le testimonianze raccolte ne11e tre opere sopra citate è riportata da S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., p. 213. 6 Schol. Apoll. Rhod., Arg., IV, 761-765 = F 19 Bianchetti= F 15 Mette, per il quale rimando a S. Bianchetti, Der Ausbruch del· Atnn und die Erkliirung.sanséitze der Antike, in Naturkatastrophen in der antiken Welt. 6. Historisch-Geographische5 Kolloquium in Stuttgart, 8-12 Mai 1996, hrsg. von E. Olshausen. H. Sonnabend, Stuttgan, 1998, in part. pp. 131-133. 4
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Pitea di Massalia
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rentemente, con l'ambientazione mediterranea della testimonianza in questione. Comunque sia, con l'espressione llEptoooç rY)c; nell'antichità si designava in genere un'opera costituita essenzialmente da una rappresentazione cartografica dell'ecumene ed eventualmente accompagnata da un testo di corredo7. Si può pertanto presumere con un certo fondamento che, sia che si tratti di due opere distinte sia che si tratti della stessa opera, la testimonianza relativa alla fiEpioooç ri}ç p i teana rimandi implicitamente all'esistenza di una carta ecumenica realizzata da Pitea; e in questo senso possono essere interpretate le annotazioni relative ai calcoli delle latitudini da lui effettuati in diverse località e i computi delle distanze percorse durante il viaggio, che costituirono l'abbozzo di un reticolo di meridiani e paralleli successivamente adottato da Eratostene e lpparco. 1.1 -Il problema della datazione
Gli unici termini di riferimento affidabili per una collocazione cronologica di Pitea sono costituiti da testimonianze indirette legate all'attività e alle opere di Eudosso di Cnido (terminus post quem) e di Dicearco di Messene (terminus ante quem). Eudosso, vissuto presumibilmente tra il 395 e il 342-341 a.C. 8 , elaborò una complessa teoria della sfera celeste fondata su un modello geometrico-cinematico che riproduceva i moti dei corpi celesti 9 . In tale modello egli individuò una serie di assi e di circoli: l'asse del cosmo, passante per i poli celesti e per quelli terrestri; perpendicolare a tale asse è l'equatore celeste, corrispondente al circolo descritto dal sole durante gli equinozi di primavera e d'autunno; altri circoli celesti perpendicolari all'asse sono i tropici, estivo e invernale. corrispondenti 7 Cfr. A. ?eretti, Il Periplo di Scilace. Studio sul primo porto/ano del Mediterraneo, Pisa, 1979, pp. 69-80; C. Jacob. La geografia, in Lo spa:::,io letterario della Grecia antica, a cura di: G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza, vol. l, La produzione e La circolazione del testo, tomo Il, L'Ellenismo, Roma, 1993, p. 396. 11 Secondo la tesi tradizionale, accolta recentemente anche da G. Aujac (L'immagine della terra nella scienza greca, in Optima hereditas. Sapìenza giuridica romana e conoscenza dell'ecumene, Milano, 1992, p. 202), Eudosso sarebbe vissuto tra il408 c il355 a.C. Tuttavia, la notizia di Plinio secondo cui egli era a conoscenza della morte di Platone, avvenuta nel 348 a.C . (N.H., XXX, 3: Eudoxus ... Zoroastren hunc sex milibus anno rum ante Platonis mortem fuisse prodidit), pone gli ultimi anni della sua vita successivamente a tale data, scendendo fino al 342 o anche al 337 a.C.; si veda in proposito D. R. Dicks. Early Greek Astronomy to Aristotle, London, 1970. p. 151. Sui rapporti tra Platone, Eudosso e il giovane Aristotele. del quale Eudosso fu maestro, si veda E. Beni, La filosofia del primo Aristotele, Firenze, 1962, pp. 138-143, in particolare p. 141. con ampia bibliografia circa la data della morte dì Eudosso. che il Berti colloca al 347 a.C. (così anche O. L. Hudey, s. v. Eudo.xus ofCnidus, in Dic:Iionury of Scientifk Biography, cit., IV, p. 465); a mio giudizio, forse troppo a ridosso di quella di Platone, perché Eudosso avesse il tempo di inserirla quale punto di riferimento cronologico per la vita di Zoroastro-Zaratustra. Seguo pertanto la datazione suggerita da F. Lasserre (Di e Fragmeme d es Eudoxos von Knidos . Herausgegeben. tibersetzt und kommentiert von F Lasserre. Berlin, 1966, pp. 137-139). 9 Per maggiori informazioni riguardo alla teoria di Eudosso rimando a D. R. Dicks, Early Greek 1\stronomy, cit., pp. 151-189; G. L. Huxley, Eudoxus, cit., pp. 465-467; G. Aujac, Astronomie et géographie scientiftque dans la Grèce antique, «BAGB», 1973, p. 444; Ead., La géograph;e dans le monde antique, Paris, 1975. pp. 12-13; Ead., Géminos, lntroduction aux Phlnomènes, texte établi et traduit par G. Aujac, Paris, 197 5, pp. LXV I-LXV m; Ead ., Regards sur l 'astronomie g re eque, in L'Astronomie dans l'An tiquité Classique, Actes du Colloque de Thulouse, 1977, Paris, 1979, pp. 38-39; Ead., Les reprlsentations de /'espace, géographique ou cosmologique, dans l'Antiquité. «Pallas>), 28, 1981, pp. 3-14; F. F Repellini, Cielo e terrrJ. in Il ~apere degli antichi. lhtrOduziont~ alle culture antiche, a cura di M. Vegeui, vol. Il. Torino, 1985, in part. pp. 126-141; S. Bianchetti, Pitea di Massa/io, cit., pp. 39-47.
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rispettivamente al circolo più settentrionale ed a quello più meridionale descritti dal corso del sole. Durante l'anno, infatti, il moto apparente del sole oscilla rispetto al corso ideale rappresentato dall'equatore celeste, definendo inoltre un circolo posto su un piano inclinato, rispetto a quello equatoriale. che prende il nome di eclittica; a sua volta l'eclittica non è altro che il circolo centrale di una più ampia fascia, detta zodiaco, all'interno della quale si muovono apparentemente i pianeti. Altro circolo celeste importante è quello artico o delle stelle sempre visibili, che a differenza di quelli già menzionati non è fisso ma variabile a seconda della latitudine del luogo di osservazione; i Greci, tuttavia, prendendo come riferimento la latitudine di Rodi (36°), individuavano anche un circolo artico celeste fisso a 54 o. Infine, ancora, l'orizzonte, che circoscrive l'emisfero celeste visibile da una denninata località; pertanto, esso è tangente il circolo artico e, come quest'ultimo, dipende dal luogo di osservazionel 0 • Questi circoli delimitano dei piani che intersecano la sfera terrestre, posta al centro dell'universo, originando sulla sua superficie la proiezione di circoli equivalenti che furono utilizzati come linee di riferimento da coloro che tentarono di riprodurre sulla carta il modello del mondo abitato. L'introduzione della teoria della sfera da parte di Eudosso fu il presupposto necessario alle indagini compiute da Pitea in campo astronomico. Il Massaliota, infatti, era noto per avere migliorato le osservazioni di Eudosso relative alla localizzazione del polo celeste l l, cardine fondamentale nella realizzazione del modello della sfera celeste e presupposto essenziale per una corretta collocazione dei corpi celesti su di essa e delle relative proiezioni ed intersezioni sulla sfera terrestre 12 • Le ricerche svolte a questo proposito da Eudosso e Pitea erano dirette evidentemente verso un medesimo fine, tanto che si è ipotizzato che Eudosso fosse stato maestro di Pitea 13. Quanto a Dicearco, la cui attività è collocabile cronologicamente tra il 342/1 e il 309 a.C. 14 • egli fu allievo di Aristotele ed autore di una fle:pioòoç fijç 15 10
Ulteriori precisazioni si possono trovare nel Jessico curato da G. Aujac in appendice a Strabon, Géographie, Tome I- 2" partie (Livre Il), texte établi et traduit par G. Aujac, Paris, 1969, pp. 177-194. Il Jpparch .• In Arali et Eudoxi Phaenomena, IV, l = F l Biancheni = F l Mette. Per l'interpretazione della testimonianza di lpparco. in relazione ai rapporti intercorsi tra Eudosso e Pitea, si veda P. Fabre, ltude sur P.whéas le Massaliote et l'époque de se.~ travaux, ((LEC», XLIII. 1975, p. 35. 12 Difficilmente Eudosso fu in grado di mettere a frutto tutte le potenzialità offerte dallo studio della sfera. ma le ricerche da lui avviate vennero proseguite ed approfondite da studiosi suoi contemporanei o di poco successivi, quali Callippo ed Aristotele (per i quali si rimanda a D. R. Dicks, Early Greek Aslronomy, cit., pp. 190-219); e, soprattutto, Autolico di Pitane (360-290 a.C. ca.). Su quest'uhimo si veda l'introduzione di G. Aujac a Autolycos de Pitane, La sphère en mouvemenl. Levers et couclrers lzé/iaques. Testimonia, texte établi et traduit par G. Aujac, Paris, 1979; in particolare, a p. 12, la studiosa francese rileva la coincidenza tra gli studi di Autolico e il viaggio di Pitea: «Ce que l'un démontrait par la géométrie. l'autre allait le vérifier sur piace». 13 K. Mlillenhoff. Deutsche Altenumskunde. l. Berlin, 1870, p. 234; G. V. Callegari. Pitea di Massi/ìa, «Rivista di storia antica», VII. 4, 1903, p. 702; lo studio di Callegari sul Massaliota apparve suddiviso in più parti nell'ambito della stessa rivi sta fra gli anni 1903 e 1905. Esso ha prevale ntemente il meri to di fornire l'esame dello stato degli studi su Pitea alla fine dell'Ottocento, ponendo inoltre particolare attenzione agli aspetti astronomici dell'opera piteana. Sui rapporti tra Pitea ed Eudosso si vedano anche F. Gisinger, Pytheas (1). RE, XXIV. 1963, col. 316, c S. Bianchetti, Pìlea di Massalia, cit., pp. 37-47. 14 F. Wehrli, Die Schule des Aristate/es. Texle und Kommentar, herausgegeben von F. Wehrli, l, Dikaiarchos, Basei-Stuttgart, 1967 2, pp. 43-44. Cfr. F. Martini. s. v. Dikaìarclws (3), RE, V, I. 1903, col. 547, che ne colloca I'IÌx(Li), al più tardi, al 310 a.C. F. Lasserre, s.v. Pytlzeas (4), KP. IV, 1972, col. l 272, pone, quale lenninus ante quem per l'opera piteana,la IlEptoÒoç rijç di Dicearco. datandola al 309-300 a.C. 15 FF 109-11 O Wehrli =Agalh., Geogr. inf., 1-2 e 5, in GGM, II. pp. 471-472.
Pitea di Massalia
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comprendente una descrizione dell'ecumene, la misurazione della sua lunghezza e larghezza, e molto probabilmente una carta 16• Quest'ultima presentava tra le sue peculiarità la proiezione di una linea retta passante per le Colonne d'Eracle, la Sardegna, la Sicilia, il Peloponneso e la Cariai7, destinata a diventare il parallelo di riferimento fondamentale, alla latitudine di 36°, per tutta la successiva produzione cartografica antica. In pratica, tale linea divideva in due parti il mondo abitato allora conosciuto dai Greci. Nella llEptoòoç ri)ç Dicearco menzionava Pitea, al quale rifiutava però ogni credito 18 • In base a queste considerazioni e tenendo conto, ovviamente. anche dei tempi richiesti per la divulgazione di notizie sul viaggio e del resoconto scritto redatto in seguito da Pitea, si può ritenere con ampia approssimazione che l'avventuroso periplo che rese famoso Pitea venne compiuto contemporaneamente, o quasi, alla spedizione in oriente di Alessandro Magno. In effetti, gli studiosi moderni hanno optato generalmente per una datazione del viaggio oceani co di Pitea al periodo compreso tra il.,340 e il 31 O a.C., ma non sono mancate comunque datazioni affatto diverse. E il caso. penanto, di soffermarsi sia pure rapidamente su alcune delle proposte più recenti. 1.2 - Le ipotesi recenti Fra coloro che hanno proposto una datazione alta del viaggio di Pitea si segnala Paul Fabre Ili, il quale ritiene che lo si debba collocare nel periodo 380-360 a.C. Principale indizio in tal senso sarebbe la diffusione nel mondo greco di notizie relative al viaggio piteano e, soprattutto. alla meta estrema raggiunta dal Massaliota, Thule, in epoca precedente il 332 a.C. Egli fonda le sue argomentazioni sulla base di due J?rincipali testimonianze: alcuni elementi cronologici presenti nel romanzo T ci U7tEp f)ouÀ l'l" a7ttO''tCX attribuito ad Antonio Diogene, ma risalente in parte ali' opera di Antifane di Berga e noto attraverso un riassunto fornito da Fozio 20 ; e la notizia, aggiunta al commento di Servio alle Georgiche virgiliane, secondo cui di Thule avrebbe parlato Ctesia2 1• che il Fabre identifica con Ctesia di Cnido, autore attivo fra il 384 e il 358 a.C. Tuttavia gli indizi sui quali si fonda tale ipotesi non paiono del tutto soddisfacenti. Nel caso delle Meraviglie oltre Thu/e, se da un lato alcuni puntuali riferimenti ad eventi e personaggi storici collocabili all'epoca della presa di Tiro da parte di Alessandro, nel 332 a.C., sembrano corroborare l'ipotesi di una origine antifanea del romanzo, e dunque vicina nel tempo a questa data, è per altro ceno che i te m pi deli' azione sono puramente fittizi e del tutto funzionai i alla narrazione. I protagonisti del romanzo si muovono infatti in un mondo F. Wehrli, s.\'. Dikaiarchos, RE. suppl. Xl, 1968, col. 533. F l IO Wehrli = Agalhem .• Geogr. inf., 5, in GGM. Il. p. 472. IR F t 11 Wehrli = Strabo, II, 4, 2, C 104. 19 Étude sur Pythéas, dt.. pp. 25-44 e 145-165. 2o Bibl .. 166; per la dipendenza di Antonio Diogene da Antifane. da lui stesso citato come autore di storie analoghe. si veda G. Knaack, Antiphanes von Berga, «RhM», 61, 1906, pp. 135-138: sull'opera di Antonio Diogene, si veda l'interessante commento di M. Fusillo, Antonio Diogene oltre i confini del fantastico, in Antonio Diogene. LR incredibili avventure al di là di Tu/e. a cura di M. Fusillo. Palenno, 1990. pp. 11-49. 16
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2t
Serv. auctus, Comm. in Verg. Georg .• l, 30: multa praeterea mirm:ula de hac insula (scii. Thy/e)
ferunrur. sicut apud Graecos Cresias et Diogenes. apud Latinos Sammonicus dicit.
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geograficamente e cronologicamente irreale, nel quale è loro consentito compiere viaggi strabilianti che li conducono persino alle vicinanze della luna e incontrare ad un tempo figure leggendarie, personaggi storici vissuti nella prima metà del V secolo ed altri vissuti nella seconda metà del IV secolo a.C. A questo proposito, inoltre, le avventure dei protagonisti sono semmai calate in pieno V secolo, se non addirittura ai suoi inizi 22 , mentre si collocano all'epoca dell'assedio di Tiro solo gli avvenimenti che portano al rinvenimento del documento nel quale, secondo una nota trama letteraria, erano narrate le loro gesta. In quest'ottica, l'attività di Pitea andrebbe datata al V secolo a.C., con netta anteriorità rispetto alla datazione proposta dal Fabre e in aperto contrasto con il più tardo contesto scientifico che il llept 'nxecx.vou invece presuppone. D'altra parte, i riferimenti cronologici all'interno del romanzo, che apparentemente dovrebbero svolgere la funzione di ancorare storicamente il racconto, finiscono in realtà per collocarlo al di fuori del tempo in virtù della loro esplicita valenza parodistica. Mi sembra pertanto alquanto azzardato attribuire un valore storico ai dati presentati nel romanzo, ovvero ipotizzare con il Fabre che la menzione di Thule nell'opera e la pennanenza in questa terra lontana dei protagonisti presuppongano che la scoperta dell'isola da parte di Pitea sia già avvenuta da tempo; dunque, ben prima del 332 a.C., data ultima presente nel rornanzo23 • Quanto alla notizia contenuta nel commento alle Georgiche, occorre notare che il nome di Ctesia è frutto di una congettura di Pierre Daniel, in luogo dell'originale lezione Etesias, e che alcuni commentatori hanno preferito, giustamente, correggere il testo in Pytheas 24 • La sostituzione di C tesi a a Pitea operata dal Daniel sembra essere il risultato ultimo del progressivo slittamento e dell'assorbimento dei dati genuinamente piteani all'interno di opere romanzesche, come Le Meraviglie oltre Thule, e in raccolte di èbtta'ta e mirabilia che lo videro accomunato ad altri autori fra i quali Io stesso Ctesia25. L'innesto del resoconto piteano all'interno della tradizione fantastica ebbe l'effetto di minarne la credibilità scientifica agli occhi di autori come Polibio e Strabone, che finirono per negare ogni credito al Massaliota26 • E tuttavia, proprio da Strabone proviene un 'indicazione decisiva in relazione alla presunta menzione di Thule da parte di C tesia; egli affenna infatti in più occasioni che nessun'altro aveva mai parlato di Thule ali' infuori dello stesso Pitea27. Sulla linea interpretativa del Fabre si colloca anche Christina Horst Roseman2s, la quale ritiene che il viaggio piteano debba essere datato attorno al 350 a.C., o poco prima, ma che il llEpt 'UxEcx.vou sia stato diffuso solo verso il320 a.C. In base agli elementi superstiti dell'opera, infatti, la Roseman ritiene che l'attività di Pitea mostri precise analogie con quella di studiosi delle geneSi veda J. Romm, Novels beyond Thule: Antonius Diogenes, Rabelais, Cervantes, in The Search for the Andent Nove/, edited by J. Tatum, Ba1timore-London, 1994. in part. p. 104, che pensa ad una data vicina al 500 a.C. 23 In questo senso si veda anche S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., pp. 29-30. 24 K. Miillenhoff, Deutsche Altertumskunde, I, cit., p. 391; G. Knaack, Antiphanes, cit., p. 137: S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., p. 30. 25 A proposito della presenza di elementi romanzeschi nell'opera di Ctesia, si veda N. Holzberg, Ktesias von Knidos und der griechische Roman, «WJA», 19, 1993, pp. 79-84. 26 Rimando, in proposito, a quanto ho scritto in Una geografia fantastica? Pitea di Massalia e l'immaginario greco, «RSA», XXII-XXIII, 1992-1993, in part. pp. 41-42. 27 Strabo, I. 4, 3, C 63 e II, 5, 8, C 114-115. zs Pyrheas, cit., pp. 1-2 e 154-155. 22
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razioni di Platone e Aristotele -come Eudosso, Eraclide Pontico, Callippo e Teofrasto -, in quanto mirerebbe alla raccolta di dati e ad intenti pratici, più che allo sviluppo teorico nel campo delle scienze fisiche; allo stesso tempo, essa apparirebbe lontana dali' approccio descrittivo che si affermerebbe in campo geografico nell'ultimo quarto del IV secolo a.C. Il ritardo nella pubblicazione del TIEpt 'U>
complesso. 3o
Strabo, IV, 5, 5. C 201.
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trattati Sull'Oceano31. In questo senso, dunque, nell'opera piteana la raccolta dei dati non è fine a se stessa ma mirata alla ricerca di conferme a teorie già espresse e di elementi per fondarne di nuove; e l'indagine del Massaliota, oltre che sul piano dell'esplorazione, si muove anche su quelli teorici della matematica, deli' astronomia e della fisica. Quanto al fatto che sul finire del IV secolo a.C. si sia affermata in campo geografico una tendenza descrittiva da cui apparirebbe esente l'opera piteana, occorrerebbe in primo luogo capire che cosa significhi esattamente descrittivo in questo contesto e a quali autori ed opere faccia riferimento la studiosa americana. In quell'epoca, infatti, runico studioso in materia di geografia degno di essere menzionato esplicitamente da Strabone32 , in un contesto che molto probabilmente risale ad Eratostene, è Dicearco, il quale non può propriamente essere definito quale autore di una geografia descrittiva, se non nel senso in cui egli avrebbe inteso la propria opera come studio e descrizione della sfera terrestre nel suo complesso. Ma la visione complessiva della sfera terrestre, come si è sopra notato, costituiva un fondamento importante anche dell'opera piteana. Se invece il termine viene riferito più genericamente alle opere di carattere storico ed etnografico nelle quali è presente un interesse descrittivo nei confronti delle regioni e dei luoghi menzionati, non si può non riconoscere anche nel lle:pt 'Uxe:cx.vou l'esistenza di sezioni simili, nelle quali, come si vedrà in seguito, emergono le capacità di Pitea nella duplice veste di esploratore e scienziato. Ciò che rimane, dunque, della tesi della Roseman è l'annotazione che il He:pt 'Uxe:cx.vou venne reso noto attorno al 320 a.C. A differenza di Pau l Fabre e di Christina Roseman, in un'opera che ha fatto epoca e che raccoglie il frutto di numerosi studi dedicati alla figura di Pitea, Roger Dion fa risalire ad una data assai vicina al320 a.C. non solo la redazione e la diffusione del l le: pi 'Uxe:cx.vou ma anche la realizzazione del viaggio piteano33. Lo studioso francese, infatti, ipotizzando un collegamento diretto tra l'impresa di Pitea e quella di Alessandro Magno, colloca il viaggio piteano al 324-323 a.C., inserendolo nel contesto dei grandiosi progetti maturati da Alessandro a Babilonia nel periodo precedente la sua morte, avvenuta nel 323 a.C. Sembra, infatti, che egli avesse in mente di circumnavigare Arabia e Africa partendo da Babilonia, mosso dali' idea che il compimento della circumnavigazione attorno ad un determinato territorio rappresentasse <
~
14 -
Strabo, II, 2, l, C 94 e II, 3, 3, C 98. Strabo, I. 1. I. C l.
R. Dion, Aspects politiques de la géographìe antique. Paris, 1977, pp. 175-222. Aspects politiques, cit., p. 177.
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mento del viaggio, ai mezzi di cui Pitea doveva disporre e agli obiettivi cui egli mirava. Questi stessi interessi consentirebbero inoltre di aggirare due grosse questioni: il cosiddetto blocco cartaginese delle Colonne d'Eracle e il silenzio mantenuto da Pitea circa gli scopi reali e rorigine ultima del viaggio. Pitea, infatti, tornato dopo la morte di Alessandro, avrebbe evitato di menzioname il ruolo per non inasprire i rapporti tra Cartagine e Massalia, avendo la città punica ripreso la sua politica aggressiva dopo una fase di rapporti concilianti dettati dalla minaccia di una affermazione del potere di Alessandro anche in occidente. Cartagine era infatti menzionata tra le città che avevano inviato amha~cerie ad Alessandro3 5 , e il Dian suppone che il Macedone avesse approfittato di quella occasione per ottenere il permesso di attraversare le Colonne d'Eracle. Tale ipotesi, per quanto suggestiva, contiene tuttavia alcune incongruenze interne e non tiene conto pienamente delle fonti, che descrivono i progetti di Alessandro in modo abbastanza confuso. Diodoro, in un contesto pieno di inverosimiglianze, riferisce che dopo la morte di Alessandro vennero rese note le disposizioni che egli aveva lasciato a Cratero, fra cui l'allestimento di porti e la fabbricazione di mille grandi navi da guerra in Fenicia, Siria, Cilicia e Cipro, in vista di una spedizione contro i Cartaginesi e le popolazioni che vivevano lungo le coste della Libia e dell' Iberia 36 • L'impresa sarebbe stata dunque ancora in fase progettuale al momento della morte di Alessandro. Curzio Rufo afferma che tali piani erano stati già esposti da Alessandro al momento dell'incontro con Nearco e Onesicrito durante il ritorno dall'India. Il sovrano macedone, informato dai suoi ammiragli sull'oceano Indiano ed il Golfo Persico. avrebbe deciso di raggiungere l'Africa dalla Siria, con intenzioni ostili verso Cartagine; quindi, attraversato il deserto della Numidia, avrebbe voluto dirigersi a Cadice, ove la tradizione collocava le Colonne d'Eracle, per poi tornare in Epiro seguendo la costa iberica e quella celtica ed attraversando le Alpi e l'Italia. A questo scopo avrebbe ordinato di trasportare dal Libano fino alla città di Tapsaco, sull'Eufrate. il legname necessario per allestirvi settecento navi a sette ordini di remi, da condurre poi a Babilonia37 • Secondo Curzio Rufo, dunque, la spedizione sarebbe dovuta partire da Babilonia ed avrebbe dovuto circumnavigare Arabia e Libia. Sulla falsariga di Curzio Rufo si pone Plutarco, il quale, in un brevissimo accenno, attesta che l'incontro con Nearco fu all'origine del progetto di discendere l'Eufrate con una grande flotta, di costeggiare poi Arabia e Libia, e di entrare infine nel Mediterraneo attraverso le Colonne d'Eracle. Alessandro avrebbe perciò dato l'ordine per la costruzione delle navi a Tapsaco, e per l' anuolamento di marinai e piloti 38 . Le circostanze dell'incontro tra Alessandro e Nearco, avvenuto in Carrnania nel dicembre del 325 a.C., sono esposte con precisione da Arriano, che utilizza l'opera dello stesso ammiraglio, per il quale l'avvenimento ebbe grande importanza, essendo egli riuscito a portare in salvo fino al Golfo Persico la flotta ritenuta ormai perduta da Alessandro39. A differenza degli altri autori antichi, Arriano dichiara di non poter congetturare con sicurezza quali fossero i reali Diod .. XVII, 110. 2: Anian .. Anab .• VII. 15. 4. Diod., XVIII. 4, 1-4. 37 Curt. Ruf .• Hist. Alex., X. l, 17-19. 38 Plut.. A/n.. 6R. 1-2. 39 Ani an, lnd., 33-36 == FGrHist. 133 F l; cfr. anche Anab., VI, 28, 5, 6. 35
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progetti di Alessandro di cui alcuni avevano scritto: circumnavigazione dell' Arabia, dell'Etiopia, della Libia fino a Cadice ed al Mediterraneo; sottomissione della Libia e di Cartagine; spedizione nel mar Nero e nella palude Meotide, contro gli Sciti; spedizione in Sicilia e Iapigia40 • Egli però descrive accuratamente i preparativi per la circumnavigazione della penisola araba. Al suo ritorno a Babilonia, Alessandro avrebbe trovato ad attenderlo la flotta di Nearco, che lo aveva preceduto, e la flotta condotta dalla Fenicia, via Tapsaco. Quest'ultima non era però la grande flotta cui accennano le altre fonti, essendo composta da due quinquiremi, tre quadriremi, dodici triremi e da una trentina di triacontori. Arriano trae la notizia da Aristobulo, che con Tolemeo e Nearco, come lui compagni d'avventura di Alessandro, è una delle sue fonti privilegiate41 • Sempre secondo Aristobulo, Alessandro diede l'ordine per la costruzione di un'altra flotta in Babilonia, per l'edificazione di un porto atto ad accogliere mille grandi navi e per il reclutamento di marinai in Fenicia e sulla costa siriaca. Era sua intenzione colonizzare la costa lungo il Golfo Persico e le isole vicine, poiché egli riteneva che quella regione si sarebbe rivelata altrettanto prospera della Fenicia-n. Le pagine successive di Arriano, sempre dipendenti dal resoconto di Aristobulo4J. confermano l'intenzione da parte di Alessandro di sottomettere gli Arabi. Egli era stimolato a quest'impresa dalla prosperità della regione, e dalla sua ricchezza in fatto di spezie: cassia. mirra. incenso, cinnamomo e spigonardo44 • Inoltre, gli era stato riferito che la costa dell'Arabia era lunga non meno di quella dell'India, e che lungo di essa si trovavano molte isole e porti capaci di offrire approdi alla flotta e di consentire l'edificazione di città, ed una loro prosperità futura 45 • Alessandro inviò persino alcuni esploratori allo scopo di raccogliere informazioni sulla navigazione nel Golfo Persico e sui territori circostanti. Il primo di costoro fu Archia, personaggio di spicco all'interno della flotta di Nearco e suo successore, ricordato più volte da Arri ano. Inviato con un triacontoro ad esplorare il tratto di costa fino all'Arabia, Archia spinse la sua o Anab., VII. l, 2-4. Arrian .• A11ab., VII, 19,3-20, l= FGrHist., 139 F 55. Aristobulo è anche la fonte di Strabo, XVI. l. Il, C 741 (FGrHist.. 139 F 56), passo che coincide sostanzialmente con quello di Arriano. Per una rivalutazione delrimponanza di Aristobulo, da inserirsi tra le fonti primarie relative ad Alessandro. si veda K. Meister, Die griecllische Geschichts.schreibung: \'On den Anfiingen bis :um Ende des Hellenismul·, Stuttgart-Berlin-Koln, 1990, trad. it. La ,ftoriografia greca. Dalle origini alla fine dell'Ellenismo, Roma-Bari. 1992. pp. 136-139. _. 2 Anab .• VII, 19, 3-5 = FGrHist .• 139 F 55. Per la consistenza della noua si veda anche Plin., N. H .. VI, 138. -'~ 3 FGrHist., 139 F 55, che è la fonte di un ampio brano di Arriano (Anab., VII, 19,3-22,5). ~ In realtà solo mirra e incenso erano originari dell'Arabia meridionale, mentre cassia, cinnamomo e spigonardo provenivano dall'India. dali' Asia sud-orienrale o dalla costa somala. Il controllo sul loro traffico faceva la fortuna degli empori e dei commercianti arabi. Sulla provenienza delle spezie cfr. J. LMìller, The Spice Trade ofthe Roman Empire. 29 B.C. to A.D. 641. Oxford. 1969. trad. it. Roma e la via delle spe:::_ie. Da/29 a.C. a/641 d.C., Torino, 1974, pp. 40-111; e soprattutto l'importante studio di M. G. Raschke, New Studies in Roman Commerce with the East. ANRW, II, 9. 2. 1978, Berlin, pp. 6041361, in panicolare pp. 6.50-677. Il Raschk.e sostiene che le parole K.cxcricx e K.rvvclfJ-WfJ-OV non designassero le stesse spezie che noi oggi conosciamo sotto questi nomi, ma altre originariamente prodotte in Somalia o, comunque. nell'Africa orientale e che di qui giungevano nel Mediterraneo per il tramite degli Arabi (p. 65.5). L'origine africana di cassia e cinnamomo è stata ribadita recentemente da F. De Romanis, Cassia, cinnamomo, ossidiana. Uomini e merci tra oceano Indiano e Mediterraneo, Roma, 1996, in part. pp. 109-117. 4 5 Anab., VII, 20, 1-2. 4
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indagine fino all'isola di Tylos, forse l'odierna Bahrein, ma non osò proseguire oltre. Fu inviato allora Androstene, anch'egli fornito di un triacontoro col quale costeggiò parte della penisola, giungendo forse vicino all'estremità del Golfo Persico46 • Più lontano si spinse lerone di Soli. sempre con un triacontoro. Il suo compito avrebbe dovuto essere quello di circumnavigare la penisola e di raggiungere Heroonpolis, in Egitto~ ma egli, dopo aver costeggiato la penisola araba fino ad un promontorio che sporgeva ampiamente nell' oceano 47 , fece ritorno riferendo di aver compiuto il periplo della maggior parte della penisola, le cui dimensioni erano impressionanti e di poco inferiori a quelle dell'India. Secondo Arriano. anche Nearco. navigando lungo la costa persiana, aveva avvistato il promontorio di cui parlava Ierone, ma non vi si era spinto, perchè gli ordini di Alessandro erano stati di seguire la costa senza esplorare l'oceano. Ciò aveva salvato la flotta da una fine sicura, a causa del deserto arabo che aveva bloccato anche la navigazione di lerone48 • La vera e propria spedizione. per la quale si allestivano il porto e le navi, e che avrebbe visto a capo della flotta lo stesso Nearco, occupò Alessandro nell'ultimo periodo della sua vita, e alla morte del sovrano rimase incompiuta49 • Secondo Arriano, comunque, i progetti di Alessandro non si erano limitati alla sola Arabia; aveva infatti inviato Eraclide in Ircania, probabilmente nella primavera del 323 a.C., con la missione di fabbricare navi di grandi dimensioni. Egli desiderava esplorare il mar Caspio per scoprire se era collegato al Mar Nero ed ali' oceano es terno e se era possibile na vi gare fino ali' India5o. Dall'insieme di questi resoconti, risulta evidente che Alessandro fu impegnato, tra la fine del 325 e l'estate del 3 23 a.C., ad attuare un grande progetto concernente la circumnavigazione, la colonizzazione, e la conquista della penisola arabica. Le altre iniziative che gli sono attribuite da Plutarco e Curzio Rufo sembrano invece il risultato dell'esagerazione della portata della spedizione araba, i cui preparativi vengono confusi con quei progetti mediterranei che furono resi noti, secondo Diodoro, solo dopo la morte di Alessandro. Si tratti di reali progetti che Alessandro aveva in mente o di invenzioni posteriori, sembra in ogni caso che egli non abbia tentato in alcun modo di metterli in atto. Se si esclude il desiderio di esplorare il mar Caspio, le sue attenzioni furono dirette esclusivamente all'avventura araba, cui lo muovevano desideri di grandezzafra i quali la presunzione di essere considerato come un dio, superiore a Dioniso,
" 6 Eratostene, infatti, che lo utilizza come fonte per la distanza tra Babilonia e l'imboccatura del Golfo Persico, in prossimità del promontorio :\Iaxcu (F III B. 39 Berger = Strabo, XVI, 3, 2, C 766), computa circa 10.000 stadi tra le due località. Si veda anche Pii n., N. H., VI, l 08 = F III 8, 41 Berger. 47 Si tratta, molto probabilmente, del promontorio hlaxt't'a ricordato altrove da Arriano (lnd., 32, 7). corrispondente al Maxa.t menzionato da Eratostene e da identificare con l'odierno Ras Masandam, nello streuo di Onnuz. -18 Anab., VII. 20, 3-10, sempre da Aristobulo; cfr. anche lnd .• 43, 8-9. Su questi tentativi si veda lo studio di J. Desanges, Reclzerches sur /'activité des Méditerranéens aux confin.s de l'Afrique, Roma. 1978, pp. 243-24 7. Egli suggerisce che vi sia una contemporaneità tra le spedizioni nel Golfo Persico, in particolare quella di lerone, ed almeno una spedizione partita dall'Egitto con lo scopo di compiere il periplo dell'Arabia e di raggiungere Susa e la Persia (Arrian., lnd., 43, 7). Si tratterebbe della stessa spedizione, partita proprio da Heroonpolis, di cui parla Teofrasto (Hist. Plant .• IX, 4. 4-5): essa sarebbe stata guidata da Anaxicrate, fonte di Eratostene per la misurazione della costa araba del Mar Rosso (F III B, 48 = Strabo, XVI, 4, 2-4, C 767-769), e si sarebbe arrestata al Bab el-Mandeb. 49 Arrian., Anab., VII, 23, 5: 25. 4. so Arrian., Anab., VII, 16, 1-2.
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del quale aveva emulato le gesta51 --ed anche forti interessi economici connessi al controllo della via delle spezie. Inoltre, l'impresa araba si stava rivelando più ardua di quanto egli potesse prevedere al momento del colloquio con Nearco che gli aveva spalancato gli orizzonti meridionali dell'ecumene. Il fallimento sostanziale delle spedizioni inviate lungo la costa araba e le difficoltà incontrate nel far costruire col legname libanese la flotta per poi trasportarla via Eufrate fino a Babilonia, con la conseguenza di dovere utilizzare legname locale di minor pregio52 , avevano molto probabilmente allungato i tempi da lui previsti. In queste condizioni, non è certo pensabile che egli intendesse ampliare, almeno nell'immediato, la portata della spedizione araba, per trasformarla nella circumnavigazione dell'Africa. Men che meno dovevano interessarlo in quel momento i presunti progetti europei. L'esplorazione del Caspio è piuttosto rivolta a ricercare una nuova via per l'oriente che gli consentisse di portare a termine l'impresa lasciata in sospeso sulle rive dell'lodo. Il riferimento di Curzio Rufo al periplo delle coste mediterranee sulle tracce di Eracle sembra una invenzione successiva e non lascia intendere, in ogni caso, alcun interesse per l'Europa occidentale e settentrionale. Quanto ai riferimenti di Arriano alla Sicilia ed alla Iapigia, improbabili agli occhi dello stesso storico, essi rientrano, forse, nel sogno ricorrente, da Alessandro in poi, dell'unione della grecità sotto un'unica guida. Non è pertanto affatto chiaro in che modo questi ipotetici progetti potessero riguardare Pitea. Soprattutto, le spiegazioni fomite dal Dion a motivazione del silenzio di Pitea circa gli scopi reali del viaggio, le mete raggiunte e il patrocinio di Alessandro a monte dell'impresa sembrano artificiose e contrastano in parte con altre considerazioni dello stesso studioso. Infatti, se Pitea tornò dal suo viaggio dopo la morte del sovrano macedone, quando il sogno della conquista deV'ecumene era ormai svanito, è improbabile che sussistesse «une raison d'Etat» che imponesse all'esploratore di confermare la possibilità della circumnavigazione dell'Europa53. Quanto ai rapporti con Cartagine, a cominciare dall'ambasceria inviata presso Alessandro, a Babilonia, sono più numerosi i dubbi che le certezze. Arriano, che ne parla, utilizza fonti che giudica meno credibili rispetto a quelle da lui utilizzate normalmente: Tolemeo di Lago ed Aristobulo. Dal che si può dedurre che in costoro non vi era menzione di questa ambasceria cartaginese 54. Se vi sono dubbi sull'ambasceria cartaginese, appare poi del tutto inverosimile l'ipotesi che Alessandro abbia strappato agli ambasciatori cartaginesi in tale occasione gli eventuali accordi sul passaggio delle Colonne d 'Eracle. In base ai progetti di cui parlano Diodoro e Curzio Rufo, ed ai quali accenna anche Arriano, sembra che Alessandro si sarebbe dovuto comunque scontrare con Cartagine sia nel caso della circumnavigazione dell'Africa sia in quello della spedizione mediterranea fino alle Colonne. E ciò, se non altro, stante la scarsa credibilità di questi progetti, indica che secondo gli storici antichi non esistevano rapporti di alleanza o accordi fra Alessandro e Cartagine. Che poi Pitea, col suo silenzio, avesse voluto evitare di fornire a Cartagine Arrian., Anab., VII, 20, l. Arriano parla dell'abbattimento dei cipressi che costituivano l'unico legname utilizzabile localmente (Anab., VII, 19, 4). 53 R. Dion, Aspects politiques, cit., p. 222. 54 Anab., Vli, 15, 4. 51 52
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motivi di astio nei confronti della sua polis, sembra supposizione del tutto gratuita. Se è vero che interessi economici o politici potevano giocare un peso determinante, la relazione piteana conteneva comunque elementi che avrebbero potuto danneggiare Cartagine. spingendo Massalia o le altre poleis greche dell' occidente ad interessarsi della rotta atlantica dello stagno e d eli' ambra. II che rappresentava un pericolo ben più serio per Cartagine del sapere che Alessandro, il quale all'epoca era in ogni caso già morto, aveva progettato la circumnavigazione deU' Europa. Ritengo inoltre che ulteriori prove contrarie alla tesi espressa da Roger Dion vadano ricercate nelle fonti sopra citate a proposito della spedizione araba e delle figure di Archia, Androstene, Ierone ed Eraclide. Il silenzio degli autori antichi circa i presunti rapporti intercorsi tra l'esploratore massaliota e Alessandro contrasta infatti con l'abbondante e precisa documentazione che riguarda le figure degli esploratori inviati da Alessandro lungo il Golfo Persico o in lrcania, i nomi di alcuni dei quali compaiono solo in queste occ,asioni e le cui imprese non furono certo paragonabili a quella del Massaliota. E ad esempio singolare che le fonti utilizzate da Arri ano, molto vicine ad Alessandro, abbiano trasmesso il nome di Eraclide, collegandolo ad un 'impresa che non venne mai condotta a termine, e non abbiano menzionato il nome dell'esploratore al quale Alessandro avrebbe affidato un incarico di importanza almeno pari, la circumnavigazione dell'Europa da Cadice al Tanais. Neppure le relazioni più fantasiose fanno il benché minimo riferimento a questa impresa. Se, dunque, Pitea non fece menzione di rapporti con Alessandro né questi risultano dalla tradizione dipendente da quegli storici che più furono vicini al sovrano macedone né un simile collegamento fu visto da Eratostene, Polibio, Posidonio o Strabone, sembra probabile che tali rapporti non siano mai esistiti; le due imprese, pur presentando caratteri comuni. devono essere intese come distinte ed autonome l'una rispetto alr altra. Che poi l'avventura pi teana possa essersi prodotta nel periodo tra il 325 e 323 a.C. è comunque possibile, ma nessuna testimonianza lo può attualmente confermare. L'affinità che lega l'impresa di Alessandro a quella di Pitea non sembra comunque limitata al semplice fatto che entrambi abbiano contribuito contemporaneamente ed in maniera simmetricamente opposta all'ampliamento dell' orizzonte geografico greco: e il fascino di un collegamento ulteriore tra Pitea e Alessandro continua ad essere avvertito dagli studiosi, anche se con un radicale rovesciamento rispetto alla tesi del Dion sopra discussa. Secondo quella che è la più recente ipotesi in proposito 55, infatti. l'impresa del sovrano macedone sarebbe stata letta già dalla stotiografia coeva alla luce delle concezioni geografiche tisultanti dall'esperienza del viaggio piteano. la cui influenza avrebbe determinato lo spostamento verso settentrione delle mete raggiunte da Alessandro, con una chiara saldatura rispetto alle mete raggiunte dall'esploratore massaliota: mentre Pitea era giunto ai confini nord-occidentali dell'ecumene, Alessandro avrebbe così toccato quelli nord-orientali. Tale operazione propagandistica era nota già ad Eratostene e da lui aspramente criticata, ed era a suo parere originata dalla volontà di molti storici, alcuni dei quali avevano accomss S. Bianchetti. Pitea di Massa/io. cit., pp. 27-39; la studiosa riprende qui alcWle delle conclusioni già avanzate in occasione dell'intervento dal titolo Per una datazione del 0Ept 'UxEavou di Pitea di Massalia. da lei tenuto ne[ corso del convegno Cielo e terra nell'antichità greco-romana. Firenze. 5 mano 1997. Aula Magna di Palazzo Fenzi, ora in «Sileno~>. 23. 1997, pp. 73-85 .
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pagnato lo stesso Alessandro, di adulare il sovrano facendolo pervenire ben oltre i confini da lui raggiunti e dunque implicitamente mostrando ormai a lui sottomessa la quasi totalità dell'Asia56. Si possono leggere in questo senso le affennazioni di Policleto di Larisa 57 • In base alla radicata convinzione che il corso del fiume Tanais segnasse il confine tra Asia ed Europa, allo scopo di far giungere fin qui Alessandro, Policleto ed altri storici sostenevano che il mar Caspio fosse un lago nelle vicinanze della palude Meotide, ad essa collegato mediante numerosi condotti sotterranei. Essi poi identificavano il Tanais con il fiume Iassarte, al quale era giunto Alessandro e che provenendo dall'India sfociava nel Caspio. In tal modo il sovrano macedone risultava avere percorso ed in sostanza occupato tutto il settore nord-occidentale dell'Asia, fino al confine con l'Europa. In effetti, l'insistenza nel localizzare le imprese del sovrano macedone in prossimità del confine rappresentato dal Tanais potrebbe connettersi con l' affermazione piteana dell'avvenuta esplorazione di tutta la costa oceanica dell'Europa da Cadice fino, appunto, al Tanais. Nell'ottica dell'ipotesi presentata da Serena Bianchetti, ciò potrebbe confermare che gli storici di Alessandro operarono una rilettura in chiave nordica delle sue imprese mirando a fargli eguagliare, sul versante opposto, le mete raggiunte da Pitea. In particolare, la studiosa individua uno dei punti centrali di questa operazione propagandistica nel trasferimento a nord dei dati orientali relativi alla campagna condotta da Alessandro nel 330 contro i Paropamisadi, nell'attuale Kaboulistan. Stando a Diodoro e Curzio Rufo, il territorio di questa popolazione si troverebbe infatti sotto le Orse. sottoposto ad un clima rigidissimo, e la notte invernale sarebbe particolarmente lunga 58 • La responsabilità ultima di tale spostamento parrebbe da accreditarsi a Clitarco ed agli storici coevi ad Alessandro59, ed una eco di tale fenomeno sarebbe avvertibile già in Eschine, nell'orazione Contro Ctesifonte60 pronunciata nel 330 a.C., ove si afferma che il sovrano macedone aveva superato I'Orsa e quasi il limite dell'ecumene. Questi estremi confini raggiunti da Alessandro sarebbero inoltre collocati da Tolemeo alla stessa latitudine della meta più settentrionale raggiunta da Pitea, Thule, simbolico limite settentrionale dell'ecumene; e poco importa in questo caso che Tolemeo, vissuto nel II secolo d.C., ponga Thule a circa 63° di latitudine Nord61, allorché secondo Pitea l'isola si trovava alla latitudine in cui il circolo artico veniva a coincidere con il circolo del tropico estivo, ovvero a 66° ca. Sempre secondo Serena Bianchetti, un più esplicito indizio della connessione istituita tra le mete raggiunte dal sovrano macedone e da Pitea lo si troverebbe in Plinio e, più precisamente, nelle fonti da lui utilizzate a proposito delle coste dell'oceano settentrionale: Ecateo di Abdera62, Filemone63, Senofonte di Sto
F I B, 24 Berger = Anian .• Anab., V. 3, 1-4, da confrontare con Strabo, XI. 5, 5, C 505; XI, 7, 4.
C 509; XI. 8. l. C 511. 57 FGrHist .• 128 F 7 =Strabo, XI. 7. 4, C 509-510, mediato da Eratostene (FIl C, 23 Berger). ~s
Diod .• XVII, 82; Cun. Ruf.• Hist. Alex .. VII. 3, 7 e l l. Cfr. P. Goukowski, Essai sur les origines du mythe d"Alexandre. I. Nancy, 1978. pp. 149-165. 60 III. 165: o" AÀÉ~o:vopoç t~W -ri)c; èipx'!OU XllL -rl)c; Ot><.OU!J.ÉVY)c; ÒÀt"(OU ?)Eiv 7ttlO"Y)c; 59
~E6ELO"'t"~X(t.
o
Geogr., III, 5. 4 e 14. FGrHist., 264 F 14 = Plin .. N.H., IV, 94. FHG, IV, p. 475, F l = Plin .• N.H., IV, 95. Su questo geografo, vissuto tra l'età augustea e quella di Vespasiano, si veda W. Kroll . .s. v. Philemon (Il). RE. XIX. 2. 1938, coll. 2146-2150. La sua opera fu 61
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Lampsaco 64 • Costoro infatti attuarono la saldatura tra i luoghi di Alessandro, riecheggiati nel nome del fiume Parapaniso che bagna la Scizia e sfocia nell'oceano, e quelli piteani, come il mare congelato del nord e le terre dell'ambra. In particolare si segnala il ruolo di Ecateo, anche in altri casi prezioso testimone della diffusione del resoconto piteano e della rapida confluenza di molti degli elementi in esso contenuti all'interno della letteratura di genere fantastico. Vissuto tra la fine del IV e l'inizio del III secolo a.C., Ecateo di Abdera fu autore di un'opera nept 'r7tep~opÉwv nella quale è ampiamente riscontrabile l'influenza piteana65, per altro senza che nelle poche testimonianze superstiti compaia esplicitamente il nome dell'esploratore massaliota66. La sua testimonianza consente di individuare l'impatto che l'opera di Pitea ebbe sull'immaginario antico fin dal suo apparire e di determinare la rapidità con la quale le informazioni in essa contenute vennero assorbi te nel genere fantastico e neli' utopia67 • Secondo Serena Bianchetti, dunque, la conoscenza di alcune notizie relative al viaggio di Pitea parrebbe sottesa ai racconti degli storici coevi ad Alessandro e la testimonianza di Eschine sembrerebbe datare già al 330 a.C. l'operazione propagandistica di spostamento verso nord delle mete raggiunte dal sovrano macedone. Ciò non porta comunque ad una datazione precisa dell'opera p i teana. Tuttavia, se si considera che Pitea sembra essere a conoscenza degli studi sulla posizione della stella Canopo compiuti da Eudosso negli ultimi anni di vita, «è verosimile che successivamente a questi anni vada collocato il viaggio di Pitea»6s, la cui opera appare strettamente connessa alla ricerca astronomica fertile attorno alla metà del IV secolo a.C. Si tratta indubbiamente di un'ipotesi particolarmente interessante, nella quale l'incertezza conservata circa la datazione del viaggio di Pitea sembra dovuta alla mancanza di sufficienti testimonianze per inquadrare correttamente l'opera degli storici coevi ad Alessandro. Da questo punto di vista, l 'unico reale appoggio cronologico è costituito dalla testimonianza di Eschine. L'orazione Contro
ampiamente ulilizzata da Plinio a proposito delle regioni settentrionali, benché le testimonianze sicuramente attribuibili a Filemone raccolte da C. Mtiller siano solo due (oltre al passo citato, si veda Plin., N.H .. XXXVII, 33 e 37). alle quali va aggiunta quella di Ptol., Geogr., I. Il, 7, relativa all'Irlanda. (,.l FHG. III, p. 209. F 2 = Plin., N.H .• IV. 95. Su Senofonte, oltre ad una breve nota in K. G. Sallmann. Die Geographie de5 iilteren Plinius in iflrem Verhiiltnis ;:u Varro. Versuch einer Quellenanalyse. Berlin-New York. 1971, p. 85. si rimanda a F. Gisinger, s. v. Xenophon (IO), RE. IX. A2. 1967. coli. 2051-2052, e J. Desanges, Recherc:hes, ci t., p. 59. Sembrerebbe trattarsi di uno scrittore attivo tra il II e il I secolo a.C. ed autore di un Periplo nel quale dovevano essere raccolte e riassunte alcune importanti esperienze precedenti, come il viaggio di Pitea e quello di Annone (F 3 = Plin., N.H .• VI, 200). M F. Jacoby. s.1: Ht'katuios (4). RE. VII, 2, 1912. col. 2751, lo wlloc;a lr.l il 336/5 e i1290 a.C. ca. Secondo C. F. C. Hawkes. Pytlreas: Europe and the Greek. Explorers, Tlrt eighth J. L Myres memoria/ lectures, delivered at New College. O:iford, 1975, Oxford. 1977, p. 38, l'opera di Ecateo sugli lperborei sarebbe stata composta attorno al 315 a.C. ed avrebbe preceduto lo scritto Iltpi Alj'U7t"t'twv. Quest'ultimo daterebbe al 320-315. e comunque sarebbe precedente al 305 a.C., secondo O. Murray, Hecateus of Abdera and Pharaonic Kingship, (dEA)~. 56, 1970. pp. 142-144. Per la dipendenza di Ecateo da Pitea cfr. L. Berlelli, L'utopia greca, in S1oria delle idee politiche, economiche e soda/i, a cura di L. Firpo. vol. I, L 'antichità classica, Torino. 1982, p. 558. 66 Le testimonianze relative al lle:pi '1'ne:p~opÉwv di Ecateo sono raccolte in FGrHist., 264 FF 714; in particolare si vedano; F 7 = Plin., N.H., II. 47; F 8 = Strabo, VII, 3, 6, C 299 (da confrontare con VII, 3, 1. C 295 = F 8g Bianchetti= F 6h Mette); F Il =St. Byz., Ethn., s. vv. Kapa~~uxcu ed "EÀ[~ma; F 14 = Plin., N.H.. IV, 94, da confrontarsi con Plin., N.H.• VI, 34. Si veda, inoltre, Diod., V, 22, l. fl7 Si v~da i] mio articolo. Una geografia fantmtica?, cit., pp. 25-42. 68 S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., p. 38.
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Ctesifonte fu pronuncita nel 330, durante 1' arcontato di Aristofonte, come testimoniano Teofrasto e Dionigi di Alicamasso 69 , ma è quasi certo che il testo deli' orazione fu rivisto e perfezionato dallo stesso Eschine negli anni d eli' esilio, tra il 330 e il 315/31470 . Non si può dunque escludere che il riferimento ad Alessandro eù alle estreme mete da lui raggiunte sia ùovuto ad una inserzione successiva. Il che porterebbe ad una data vicina a quella della composizione della Storia di Alessandro, scritta da Clitarco al più presto attorno al 315-31 O a.C.?'. A questi stessi anni, con una coincidenza che non ritengo casuale, vanno assegnate l'opera Be: pt 'ì'7tE:p~opÉw'.l di Ecateo di Abdera, in cui è evidente l'influenza delle recenti scoperte piteane nel1a riscrittura del più antico tnito degli Iperborei, e la fi}c; 11e:pioòoc; di Dicearco, in cui compare la prima menzione di Pitea. La datazione proposta da Serena Bianchetti, come avverte d'altronde la stessa autrice 72 • ripropone all'attenzione degli studiosi la questione dell'assenza di qualsiasi riferinlento al viaggio di Pitea e alle sue esperienze nelle opere di Aristotele. E alquanto improbabile. infatti, che lo Stagirita pur essendo a conoscenza dell'opera di Pitea si accontentasse di «Un silence méprisant», come ha sostenuto Paul Fabre73, rifiutando a priori non solo di accettarne i dati ma addirittura di discuterli. Soprattutto allorché si consideri che Aristotele si era occupato in più occasioni di temi trattati anche da Pitea, come le cause delle maree 74 , lo sviluppo della teoria della sfera e del modello delle sfere omocef)triche elaborati da Eudosso 75 , l'estensione degli oceani sulla sfera terrestre76. E ben vero che Aristotele sembra scarsamente informato anche riguardo ai nuovi orizzonti ecumenici aperti dalle conquiste di Alessandro; ma il fatto potrebbe spiegarsi alla luce della rottura tra i due verificatasi in seguito ali' uccisione di Callistene. Il caso piteano appare dunque diverso. Le informazioni raccolte durante il viaggio da Massalia a Thule riguardavano dati astronomici, geografici. economici ed etnografici che non avrebbero mancato di suscìtare l'interesse di Aristotele. Non bisogna dimenticare. poi, che Aristotele era stato allievo di Eudosso di Cnido- ritenuto anche maestro di Pitea- durante la sua permanenza nell'Accademia platonica, tra il 367 e il 347 a.C., e che ne aveva subito l'influenza per quanto riguardava gli studi matematico-astronomici. Il ftlosofo stagirita aveva pertanto la possibilità di comprendere le ricerche astronomiche piteane e di riconosceme lo sviluppo rispetto alle teorie dì Eudosso. Le opere stesse di Aristotele dimostrano la sua capacità di evoluzione intellettuale, Theophr.. Characteres, 7; Dion. Hai., Epist. ad. Ammaeum, l, 12. Si veda A. Porro, lnrrodu::.ione, in Eschine. Contro Ctesifonte, traduzione e note di S. Fortuna, Milano, 1995. pp. XIX-XX. 71 Cfr. F. Jacoby. s. v. Kleitarchos {2), RE. XI. 1921, col. 626; K. Meister, La storiografia grecu, ci t., pp. 140-141. l pochi frammenti attribuibili a quest'opera di C1itarco sono raccolti in FGrHist .. 137. FF l-6. n Pìrea di Massalia, cit., pp. 28-29. 73 Étude sur Pythéas, cit., p. 33. 74 F 680 Rose= Strabo, III, 3, 3, C 153; Ps. Galen., Hist. philos., 88. in DG, p. 634: Ps. Plut.. Epit., III, 17 e Stob., Ecl., I, 38 = Aet., Plac., Ili, 17, l. in DG, p. 382. Cfr. anche ArisL, Meteor .. U, l, 354a. sulle correnti marine dell'oceano oltre le Colonne d'Eracle. 75 Si veda. in particolare, Ari st., Meraph., XII, 8, l 073b-1074a. L'opera di revisione delle teorie di Eudosso fu condotta da Aristotele utilizzando le modifiche apportate da Callippo, anch'egli allievo di Eudosso. Su Callippo e Aristotele, e l'influenza che ebbe su di loro la teoria di Eudosso. si rimanda a D. R. Dicks, Early Greek Astronomy. cit., in part. pp. 190-194 e 200-202. ' 11 Arist. De caelo, li. 14, 298u; Meu:or., Il, 5, 362b. M
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che lo portava, semmai, a discutere ipotesi o teorie diverse prima di cogliere le proprie conclusioni. Perché allora avrebbe dovuto rifiutare a priori la discussione degli scritti piteani? Aristotele mostra, inoltre, di essere in possesso di informazioni recenti riguardo a molte regioni dell'ecumene; ma per quanto concerne le regioni occidentali e settentrionali del]' Europa è costretto a ricorrere ad antichi racconti che egli stesso definisce troppo fantasiosi o a teorie che le indagini piteane avrebbero definitivamente cancellato. Il suo silenzio sembrerebbe pertanto determinato dalla reale mancanza di conoscenza dell'impresa dell'esploratore e dei risultati da lui ottenuti. Ciò significa che, se non il viaggio, quanto meno la diffusione dello scritto piteano fu successiva o al massimo contemporanea agli ultimi anni di vita del filosofo, poiché non è pensabile, a mio parere, che l'opera di Pitea o comunque alcune notizie sul suo viaggio fossero note e diffuse in Grecia, negli ambienti ateniesi ed in quelli vicini ad Alessandro, tanto da essere all'origine della particolare interpretazione dell'impresa di Alessandro che sarebbe riecheggiata nel discorso di Eschine. senza che si verificasse una loro ricezione da parte di Aristotele e della sua scuola. Lo dimostra ìl fatto stesso che la più antica menzione di Pitea risalga a Dicearco, allievo di Aristotele, il quale, pur non prestando fede al resoconto dell'esploratore massaliota, non rifiutò di discuterne le informazioni nella propria opera. A questo proposito, il fatto che sia Strabone, per il tramite di Polibio, a trasmettere il giudizio di Dicearco su Pitea, in un contesto estremamente polemico nei confronti de] Massaliota, fa sorgere il dubbio che vi sia da parte dello storico o della sua fonte una certa esagerazione e che la critica di Dicearco riguardasse non la totalità de li' indagine pi teana ma una o più singole questioni. Anche perché lo stesso Dìcearco aveva sfruttato gli studi di Eudosso e probabilmente alcune delle informazioni piteane per costruire una carta dell'ecumene giustamente famosa perché recava la prima traccia del parallelo passante per le Colonne d'Eracle, lo stretto di Messina, Cnido e il Tauro che sarebbe divenuto uno degli assi portanti delle successive ricostruzioni cartografiche. A mio giudizio, il silenzio di Aristotele va interpretato alla luce del De mundo, un'opera inserita nel corpus aristotelico ma che fino a pochi anni fa era generalmente ritenuta di più tarda compilazione. Si tratta di uno scritto introduttivo alla filosofia dedicato ad Alessandro Magno che Giovanni Reale ha riconosciuto come autenticamente aristotelico, forse l'ultimo degli scritti «essoterici» 77 ; un'attribuzione che pur sollevando alcune critiche ha raccolto un diffuso consenso78. L'interesse di questo scritto nei confronti della questione piteana è dato principalmente dalla menzione delle Isole Britanniche, leme ed Albion, situate oltre Ja regione dei Ce1ti79 ; e dalla conoscenza da parte delrautore della teoria 77 Aristotele. Trattato sul cosmo per Alessandro, traduzione con testo greco a fronte. introduzione. commento c indici di GiO\'anni Reale. Napoli, 1974, in part. pp. 25-34. 78 Contro l'ipotesi di G. Reale si è pronunciato P. Moraux. Der Aristotelismus bei de n Griechen von Androniko~ bis Alexander VO!l Aphrodi.sias. vol. n. Der Aristotelismu.s im l und }/ Jh. n. Chr., Berlin, 1984, pp. 5-82: a favore si sono pronunciati con ulteriori considerazioni: J. Barnes. De mundo, «CR>>, XXVII. 1977. pp. 40-43; A. P. Bos, Considerazioni sul De mundo e analisi critica delle tesi di Pau/ MoraiJX, «RFN». LXXXII, 1990, pp. 587-606~ Id., Supplementary notes on the 'de mundo', «Hermes>), CXIX, 1991, pp. 312-332; D. M. Schenkeveld, Longuage atui Style of the Aristotelian De Mundo in relu.tion tu the que:-,;tion uf its Ìllauthenticity, «Elenchos)), XII, I99l, pp . 221-255. 79 De mundo, 3, 393b.
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che connetteva il fenomeno delle maree al ciclo lunareso. Non vi è ombra di dubbio che si tratti di conoscenze derivate dall'esperienza di Pitea, il quale fu ad un tempo il primo Mediterraneo noto a giungere alle Isole Britanniche, denominandole come tali, e l'autore della teoria della dipendenza delle maree dal moto lunare, fenomeno da lui studiato nel corso del viaggio atlantico. Se si accetta come genuinamente aristotelico il De mundo e, con Giovanni Reale, lo si data al periodo 343/342-340 a.C. o, comunque, non oltre il 336, si dovrebbe di conseguenza datare il viaggio e l'opera di Pitea ad un momento precedente, quanto meno attorno alla metà del IV secolo a.C. Rimane tuttavia da spiegare la discrepanza tra la conoscenza del resoconto piteano che traspare nel De mundo - che forse è più ampia di quanto notato da Giovanni Reale 81 -e la sua totale ignoranza nelle opere aristoteliche più tarde. In esse, tra l'altro, Aristotele sostiene la vecchia teoria secondo la quale il mare esterno, oltre le Colonne, sarebbe poco profondo a causa del fango e vi mancherebbe la forza del vento a causa dell'avvallamento della regione 82 ; teoria che risale a fonti fenicie o ai primi navigatori greci giunti fino alle Colonne 83 , e che il resoconto piteano avrebbe facilmente demolito. In stridente contrasto con la teoria dell'influenza della luna sulle maree è poi l'opinione, attribuita ad Aristotele dallo Pseudo Galeno e da Aezio 84 , che le maree atlantiche fossero generate dall'azione del sole e dei venti. Secondo Strabone, inoltre, il filosofo riteneva che le maree eccezionali che si verificavano nell'area delle Colonne d'Eracle fossero detenninate dalla particolare conformazione delle coste lusitane e marocchine, che respingevano le onde oceaniche incanalandone la spinta verso le Colonne stesse 85 . Non meno stupefacente è l'assenza di notizie di carattere etnografico, sui costumi delle popolazioni nordiche descritte da Pitea, che avrebbero certamente interessato Aristotele, se è vero che «l' ethnographie joue pour le politologue aristotélicien le role de l'utopie pour Platon» 86 • Anche in campo strettamente geografico, le opinioni di Aristotele divergono nettamente dalla rappresentazione ecumenica piteana allorché il filosofo di Stagira restringe a settentrione l'ampiezza dell'ecumene fissandola, in base alla latitudine di Rodi, a 54os7. Si può allora sospettare con Giovanni Reale che proprio la sezione geografica e meteorologica del De mundo, contenente dati di sicura origine piteana, sia stata riadattata più tardi da Teofrastoss. così come testimonia Apuleio nella sua «traduzione-parafrasi-interpretazione» delr opera aristote1icas9 • Teofrasto, d· altra parte, potrebbe essere implicato nell'elaborazione dell'opera fin dalle sue origini, dato che, molto probabilmente, accompagnò lo stesso Aristotele quando
De mundo. 4, 396a. Hl Ad esempio, la testimonianza di Pitea relativa al ribollire del mare nei pressi delle isole Lipari trova un possibile riscontro nei fenomeni marini descritti nel De mundo (4, 396a), come le eruzioni di fUOCO che SÌ verificano nel mare: cXVcx
e
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quest'ultimo venne chiamato alla corte di Filippo di Macedonia come precettore del giovane Alessandro90 • Questa ipotesi terrebbe così conto sia degli elementi genuinamente aristotelici sia di quelle componenti che appaiono invece più recenti o non aristoteliche. Tutto conduce pertanto a ritenere che l'opera piteana sia stata letta con attenzione in ambito peripatetico, forse anche con qualche divergenza di opinione circa l'affidabilità del resoconto. Un tale interesse, più che contrastare semplicemente con il silenzio aristotelico, sembra indicare che la pubblicazione del I h: p t 'UKe:avou, o almeno la sua diffusione in Grecia, fu successiva o tuttalpiù contemporanea agli ultimi anni di vita di Aristotele. Poiché, se è vero che «L'assenza di citazioni piteane nell'opera aristotelica ... non comporta conseguenze automatiche per la datazione del Perì okeanou, non necessariamente successivo al 322, data di morte di Aristotele» 91 , è altre si evidente che le testimonianze coeve di Ecateo di Abdera, Antifane, Teofrasto, Dicearco e, probabilmente, quelle di Clitarco e di Eschine confermano l'impressione di una diffusione dell'opera piteana o di notizie ad essa attinte negli anni attorno al 315 a.C., suggerendo anche una rapida ed efficace presa del resoconto piteano sull'immaginario greco. A questi nomi va poi aggiunto quello di Timeo, che redasse la propria opera a partire dal 316-312 a.C., data presunta del suo trasferimento ad Atene9 2 , e che nell'ambito deiia tradizione piteana fu un importante riferimento per numerosi autori successivi, fra i quali Diodoro e Plinio93 . Sulla base della contemporaneità di questi interventi rielaborativi delle esperienze piteane si può suppone con qualche fondamento che l'opera di Pitea si sia diffusa in quel momento e che il viaggio di Pitea si sia svolto non molto tempo prima; probabilmente solo il lasso di tempo necessario per rivedere e ordinare quanto egli stesso aveva raccolto ed annotato. Se lo iato temporale fosse stato maggiore, sarebbero probabilmente trapelate indiscrezioni e notizie che avrebbero potuto essere raccolte in particolare proprio da Aristotele, visto l'indubbio interesse suscitato dal viaggio di Pitea nella sua scuola. /.3 - L· eccezionalità del viaggio p iteano
Trattando del viaggio di Pitea occorre tenere presente che le not1z1e frammentarie pervenute attraverso le fonti più tarde, in primo luogo Strabone, non conservano elementi chiarificatori che consentano di districare definitivamente l'itinerario seguito dall'esploratore dalla pluralità delle possibili ed alternative soluzioni, o persino di distinguere inequivocabilmente le osservazioni e gli episodi relativi al percorso di andata da quelli riferibili al ritorno. La ricostruzione dei movimenti di Pitea risulta spesso ipotetica o fondata su 90
La presenza di Teofrasto alla eone di Filippo II di Macedonia è ricordata da Ael., Var. hist.,
IV, 19. Cfr. R. French, Gli antichi e la natura. Historiae meravigliose e szoria naturale. Genova,1999, p. 103.
S. Bianchetti, Pitea di Massalia. cit., p. 29. Si veda A. Momigliano, Atene nel 111 secolo e la scoperta di Roma nelle Storie di 1ìmeo di Tauromenio. «RSI», LXXI, 4, 1959, pp. 529-556, ora in A Momig1iano, w storiografta greca, Torino, 1982, pp. 225-257, in part. pp. 226-227. 9 3 Sulla dipendenza di alcuni passi di Diodoro e di Plinio da Timeo e, attraverso questi, da Pitea, si veda S. Bianchetti, Plinio e la descrizione dell'Oceano settentrionale in Pitea di Marsiglia, «Orbis Terrarum», 2, 1996, in part. pp. 78-79; Ead., Pitea di Ma.ssalia, cit., pp. 134-142 e 198-200. 91
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
esili indizi: la menzione di un luogo, di un popolo, il computo di alcune distanze tra località diverse o il riferimento ad una latitudine94 • Eppure è questo un tentativo necessario, oltre che avvincente, per l'acquisizione di importanti riscontri dell'approccio piteano nei confronti delle nuove realtà incontrate; né vanno tralasciate alcune indicazioni che sembrano fare luce sugli scopi e gli obiettivi del viaggio stesso. Soprattutto, tale indagine si rivela determinante per comprendere il ruolo svolto dall'opera del Massaliota nel contesto più ampio delle scienze geografiche di età ellenistica95 ; un ruolo la cui importanza non poté essere negata neppure da Strabone, suo strenuo denigratore, e fu pienamente colta da Eratostene, non a caso fondatore della geografia come scienza e del suo peculiare sguardo retros pettivo96 • Pertanto, trarre dalle poche testimonianze la eventuale realtà geografica del viaggio, ricostruendone il percorso, identificandone le tappe e ricercandone il significato recondito, è quanto gran parte della critica moderna ha tentato di fare, giungendo a posizioni quanto mai divergenti, a testimonianza del fatto che nonostante i secoli sono ancora integre quelle capacità di presa e di influenza sull'immaginario che sembrano essere state una delle costanti e delle prerogative dell'opera di Pitea97. lnnanzitutto i termini, da Cadice al Tanais98 , poiché ogni viaggio, comunque lo si voglia intendere, ha certo un inizio ed una fine. Suggeriti dallo stesso Pitea, forse a conclusione e ricapitolazione della propria opera99 , essi sono i luoghi geografici necessari tra i quali scorre il percorso reale e soprattutto metaforico o, meglio, metaforicamente allusivo e comprensivo di una concezione antica che ne faceva gli estremi ed opposti confini dell'Europa 100 ; essi evidenziano 94
Cfr. S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., pp. 52-67. ~ Basti ricordare che Marciano di Eraclea, vissuto tra il IV e il V secolo d.C.. al quale si deve attribuire una notevole conoscenza di testi geografici, citava Pitea fra gli autori di opere sul mare esterno, in ordine di imponanza subito dopo Timostene, Tolemeo ed Eratostene (Epit. Peripl. Menipp .• 2, in GGM, I, p. 565 ). 911 La natura retrospettiva della geografia, ovvero la storia della disciplina, si afferma infatti fin dal momento in cui essa si costituisce come scienza autonoma: cfr. C. Jacob, Inserire la terre habitée .wr une tablette. Réflexions sur lafonction des cartes géographiques en Grèce ancienne, in Les .\'Ul'Oirs de /'écriture. par M. Detienne. Li Ile, 1988, p. 27 3. 97 Per l'influenza delle scoperte piteane nella letteratura dall'antichità ai giorni nostri si veda il breve ma interessante saggio di M. Mund·Dopchie. l..tJ !ìun.·ie litléraire de la Thulé de Pyrhéas. Un exemple de la permanence de schémas antiques dans la cult11re européenne, «AC>>, LIX, 1990, pp. 7997; cfr. inoltre: A. Linage Conde, Enrre la geografia rea( )·la fantastica: «Ultima Tlmle» en las leffras griegas y lati nus, (), XXXIX, 1988. pp. 297-3 JO; L. De Anna. Thule. Le fonti e le tradi:imli. Rimini. 1998. che analizza l'origine e l'evoluzione della leggenda e del mito di Thule fino alla trasformazione esoterica e simbolica operata dal nazismo. 9 s F 8d Bianchetti= 7a Mette= Strabo, Il, 4, l, C 104. 99 Come è stato ipotiz:zato da R. Oion, Où P_vthéas voulait-il aller?, in Mélanges d'archéologie er d'histoire offerts à André Piganiol. III, Paris, 1966, in part. pp. 1315-1319. wo Sull'identificazione del Tanais con il confine orientale dell'Europa si veda S. Bianchetti. fiÀw'!'à xa~ 7tOpEuTci. Sulle tracce di una periegesi anonima, Firenze, 1990, pp. 155-200, che sottolinea la probabile origine persiana di tale concezione, già diffusa nel VI secolo a.C. tanto da essere accolta da Sci lace di Carianda ( § 70, in GGM, l, p. 59, se a lui risale realmente il nucleo più antico del Periplo che la tradizione gli attribuisce, come ha sostenuto A. Peretti, Il Periplo di Sci/ace, cit., in part. pp. 435-504) e combattuta da Erodoto ([V. 45: cfr. anche IV. 42). il quale si riallaccia alla tradizione ionica già presente in Ecateo (S. Bianchetti, TIÀw-rà xai 7topw-ra. ci t.. pp. 158-165: cfr. F. Jacoby, s. v. Hekataios (3), RE, VII, 2, 1912, coli. 2704-2705). Secondo Serena Bianchetti le due concezioni sarebbero pertanto coeve e contrapposte (p. 200). Si veda anche, della stessa Bianchetti, Il confine Europa-Asia in Eschilo, 9
Pitea di Massalia
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consapevolmente la dimensione dell'impresa. «Da Cadice al Tanais», ovvero l 'Europa finalmente resa propria, assoggettata al1a comprensione, delimitata e nota in tali limiti, e con essa parte dell'ecumene che, simbolicamente, aveva alle Colonne d'Eracle il proprio limite occidentalelOI_ Originariamente, infatti, le Colonne d'Eracle erano in realtà le stele di Melqart, la divinità fenicia poi assimilata ad Eracle, erette nel santuario gaditano del dio. Solo dopo alterne vicissitudini i Greci finirono per identificarle con i monti di Abila e Calpe, ma alcune tradizioni sul loro significato originario erano ancora vive nell'età di Artemidoro e Posidonio 10 2. Cadice, pertanto. prima ancora delle Colonne localizzate ad Abila e Calpe, venne ad assumere il ruolo di limite occidentale dell'ecumene sia dal punto di vista simbolico sia da quello più propriamente geografico 103. Non è certo un caso che i tennini nei quali inscrive il proprio viaggio Pitea, a distanza di secoli, trovino una sorprendente ripresa nelle Res Gestae di Augusto: Gallias et Hispanias provincias, item Germaniam, qua includit Oceanus a Gadibus ad ostium Albisfluminis pacavi104. Non si vuole, con ciò, né pretendere che Pitea possa avere fornito il modello per il compiuto esempio di ideologia della conquista ecumenica che sono i capitoli 25-33 delle Res Gestae 105 , almeno direttamente. né tanto meno supporre una identificazione dell'Elba con il Tanais. ma la suggestione è evidente e così pure lo schema mentale 106 • «Sileno>}, XIV, 1988, in part. pp. 212~214, in cui è dibattuta la posizione sostenuta dal Bolton (Aristeas of Proconnesos, Oxford, 1962, pp. 56~60), e fondata su Agatemero (Geogr. inf, 3, in GGM, II, p. 472), che il Tanais sarebbe subentrato al Fasi in qualità di confine tra Asia ed Europa; posizione, quest'ultima, condivisa anche da A. Diller, Agalhemerw:, Sketch oJGeography. «GRBS)), 16, 1975, p. 72. Opinioni totalmente differenti sono espresse da G. Moreui (L 'Europa nella polemica tra Erodoto e la scuola ionica, in L'Europa nel mondo amico, a cura di M. Sordi. «CISA», XII, 1986, pp. 49~56), la quale sostiene che Ecateo avrebbe individuato nel Tanais il confme Lra Europa e Asia (p. 50). Per quanto riguarda Cadice, si trattava dell'ultimo. più remoto cenlro della civiltà mediterranea in occidente e si prestava quindi ad essere l'ovvio punto di partenza, anche se solo metaforico, del viaggio piteano verso l'ignoto, lungo le rive dell'oceano e i confini occidentali e settentrionali dell'Europa. Particolarmente interessante, alla luce dell'ipotesi che vuole Pitea allievo di Eudosso, è il fano che nella Periegesi di quest'ultimo. il Tanais rappresentava il confine tra Asia ed Europa e da esso partiva la descrizione delle regioni asiatiche nel l libro dell'opera (F 277 Lasserre = Steph. Byz .. Etlm., s. v. ~ap~!i-ra~). 101 Cfr. G. Amiotti, Le Colonne d'Ercole e i limiti delf'ecumene. in Il confine nel mondo classico, a cura di M. Sordi, «CIS A>>, Xlii. 1987, pp. 13~20. 102 Rispettivamente: F l Stiehle = Plin .• N. H., II, 242; FGrHist., 87 F 53= F 246 Eùelstein-Kidd = F 26 Theiler = Strabo, III, 5, 5, C 170. 103 Sulla questione si vedano: C. Bonnet. Melqarl. Culres et Mythes de I'Héraklès ryrien en Méditerranée, Studia Phoenicia. VIII, Leuven~Namur, 1988. pp. 233~236; S. Bianchetti, A\•ieno, Ora mar. 80 ss.: le colonne d'Eracle e il vento del nord, «Sileno)), XVI, 1990. in pan. pp. 245-246. 104 26. 2. Il significato geografico assunto da Cadice quale confine occidentale dell'ecumene, di cui ad esempio è testimone Plinio (N. H .. II. 167~ 168, ove. tra l'altro, è ripreso i! tema augusteo dell'avve~ nuta conquista delle terre comprese tra Cadice e il promontorio dei Cimbri, l'odierno Jutland). è stato giustamente notato da J. Gagé, Gadès, l'lnde el /es navigarions urlantiques dans l'antiquilé. «RH», CCV. 1951. in pan. pp. 193-196 e 215 (la versione originale di tale studio, in lingua ponoghese, è del 1940: Gades, as navegaçoes arlanticas e a rola dus /ndias na Alltiguidode. «Boletin de Historia da Civilizaçào)), 7, S. Pau lo). Dello stesso Gagé si veda anche Hercr./e-Melqarl, Alexandre elle Romains a Gadès, in Mélanges Radet, <>, 1973. in pan. p. 473. La comprensione geograftca di un tenitorio e la sua rappresentazione canografica si rapponano al reale o preteso assoggettamento militare e politico, e anche l'interpretazìo-
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Il viaggio dì Pitea sull'Oceano
Il discorso piteano precisa e circostanzia l'evento; l'esploratore infatti afferma di avere percorso tutta la costa oceanica dell'Europa da Cadice fino al Tanais, ritornando dal luogo in cui terra, acqua e cielo cessavano di essere elementi distinguibilì e distinti per formare un insuperabile miscuglio indefinibile107, solo apparentemente restringendo con ciò la propria azione, semmai esa lt an do l'eccezionalità d eli' itinerario oceani co ed omettendo significati vamente l'equivalente percorso mediterraneo e pontico 108. Già qui le ambiguità intrinseche al testo lasciano il segno, pure nella complessa tradizione che le propone. Ma la connaddizione lra la prospettata dimensione oceanica del percorso e la constatazione che da Cadice al Tanais, con l'esclusione di un breve tratto iniziale, il viaggio si dovrebbe compiere logicamente ne11e ben note acque del Mediterraneo e del Ponto Eusino è solo apparente -lo dimostra la mancanza di critiche a tale asserzione da parte di chi~ come Strabone, non lesinò i rimproveri al Massaliota -, e questo perché nella visione degli antichi il Tanais, originariamente solo elemento terminale e notu del più esLeso ed ignoto confine tra Asia ed Europa, era assurto a simbolo della sua totalità 109 • L'idea è già espressa da Polibio 110, e persino Strabone mostra di fondare la propria rappresentazione delle forme e dimensioni delle regioni settentrionali dell'ecumene su una tale concezione 111 , alla cui origine ed al cui sviluppo forse non fu del tutto estraneo lo stesso Pitea 112 • In effetti, che Pitea sia pervenuto a quello che presun1eva essere il limite tra Europa ed Asia è testimoniato da Strabone, secondo cui il Massaliota pretendeva di aver esplorato tutte le regioni settentrionali dell'Europa ("t'Yjv 7tpoaapx"t'tov "t'YJ<; Eùpw7t"'f1<; 7tcicra.v) 113. ne di Roger Dion risente di questa relazione, per l'ipotizzato collegamento di Pitea con Alessandro (Ùl géographie d'Homére, cit. p. 473; ma soprattutto Aspects politiques, cit., pp. 175-222). Un esempio notevole e, a suo modo, singolare di questa associazione tra cartografia (rappresentazione dello spazio geografico sulla carta e, conseguentemente, suo controllo) e politica (controllo dello spazio umano o della dimensione umana dello spazio geografico) è fornito dal caso di Mettio Pompusiano in età flavia, sul quale si rimanda a P. Amaud, L'affaire Mettius Pompusianus ou le crime de cartographit, < si Yeda R. Dion, Où Pyrh~as voulair-il aller?, cit., pp. 1315-1336, poi ripreso con ulteriori osservazioni ed un significativo cambio di indirizzo in Aspects politiques, cit., in pan. pp. 183-188 e 212-236. 112 Quesm è l'ipotesi originariamente espressa da R. Dio n (si veda la nota precede nte), poi rie laborata con l'individuazione della personalità di Alessandro quale mandante ed ispiratore del viaggio piteano e delle idee geografiche che ne sembrerebbero alla base. 113 Il, 4, 2, C l 04 = F 21 Bianchetti = F 7a Mette.
Pitea di Massalia
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Cadice e il Tanais si connotano dunque come termini ideali della navigazione sull'oceano, significativamente conclusa nel titolo dell'opera: llEpt 'Oxe:cxvou; ma lo spazio reale del viaggio va ben oltre tali termini, partendo dal Mediterraneo- e più precisamente da Massalia, l'antica colonia focea, avamposto della grecità occidentale- per giungere non solo ai confini dell'Europa ma addirittura ai più remoti e straordinari limiti dell'ecumene e del cosmo stesso 114 , indubbiamente inteso come ordine umano.
114 Si veda Polyb.• XXXIV, 5, 9 Biittner-Wobst = Strabo, II, 4, 2, C 104, secondo cui Pitea avrebbe preteso di avere raggiunto "tà 't'OU )(OO'fLOU 7tÉp11'!Cl (F 21 Bianchetti = 7a Mette).
II
DA MASSALIA A CADICE
Il viaggio ebbe inizio da Massalia, e non solo in quanto città di origine di Pitea 1• L'antica fondazione focea nel IV secolo a.C. era per un Greco il luogo ideale in cui predisporre ed organizzare una spedizione oceanica diretta verso le terre settentrionali dell'Europa. Massalia, infatti, usufruiva di una rete continentale di contatti e relazioni commerciali che avevano i loro sbocchi lungo i litorali atlantici e settentrionali della Celtica e che certo dovevano consentire l'afflusso di notizie da e su quelle terre lontane; come dimostrano i casi di Polibio e Posidonio, che effettuarono una sosta a Massalia proprio per raccogliervi, in maniera più o meno fortunata, notizie sulla Celtica. la Britannia e le terre dello stagno. La tradizione fa risalire l'instaurarsi di proficui contatti e relazioni con le popolazioni d eli' entroterra già ai tempi della fondazione della città2, nel 600 a.C.J, e la documentazione archeologica mostra che a partire dalla seconda metà del Vl secolo a.C. si verificarono una consistente crescita d eli' abitato4 • molto probabilmente in corrispondenza di un nuovo afflusso di
Le fonti sono concordi nell'indicame l'origine massaliota; si veda F. Gisinger, Pytheas, cit., col. 314. 2 Arist., F 549 Rose= Athen., XIII. 576a; Iustin .• XLIII, 3, 4-13~ cfr. anche Plut., Sol., 2, 7. Un giudizio piuttosto critico a proposito della possibilità di utilizzare dal punto di vista storico le notizie riferite da Aristotele e Giustino è espresso da D. Pralon, w légende de la fondation de Marseille. in Marseille grecque et la Caule. Actes du Colloque intemational d'Histoire et d'Archéologie et du V.. Congrès arr:héologique de Gaule méridionale (Marseille, 18-23 novembre 1990), textes réunis et édités ear M. Bats, G. Ber1ucchi, G. Congès, H. Tréziny, avec la collaboration de A Guilcher et M. Pagni. coli. Etudes Massaliètes, 3, 1992. pp. 51-56, che vede nei due brani il frutto di elaborazioni romanzesche. Un foi1e indizio in questo senso è rappresentato in effetti dalle strette analogie riscontrabili tra i] resoconto di Giustino e la narrazione dei rapporti tra Fobo di Focea e Mandrone re dei Bebrici riportata da Plutarco (Mul. virr .• 18. 255a-e). Cfr. G. Panessa, PHJL/AI. L'amicizia nelle relazioni interstatali dei Greci. I, Dalle origini alla fine della guerra del Pe/opomteso. Introduzione, edizione critica, traduzione, com~ mento e indici, Pisa, 1999, pp. 45~47 e 63-65. J Per la datazione attorno al600 a.C. si vedano: Ps. Scymn .• vv. 209-214, da Timeo (FGrHist .. 566 F 71 ); Soli n.• Il, 52-53. -1 L.-F. Gantès, w topographie de Marseille grecque. Bilan des rechercms ( 1829~1991 ), in Marseille grecque et lo Gaule, cit., pp. 71-88. Cfr. anche B. B. Schefton, Massalia and Colonisation i11 NorthWestem Mediterranean, in The Archaeology of Greek Colonisation. Es!ays dedicated to Sir John Boardman, edited by G. R. Tsetskhladze and F. De Angelis, Oxford, 1994, pp. 61-69. 1
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
coloniS, e una notevole espansione del raggio di azione economico e politico che perdurò nel corso di tutto il V secolo a.C. 6 • Nel IV secolo si assiste ad una radicale trasformazione della politica commerciale massaliota, con una più accentuata presenza della polis tramite interventi quali la formazione di un sistema di colonie litoranee o l'emissione della cosiddetta dracma pesante
5 Sembrano infatti distinguersi almeno due momenti fondamentali: la vera e propria fondazione, nel 600 a.C. ca., e un consistente afflusso di coloni attorno alla metà del VI secolo. al quale fece forse seguito una sorta di rifondazione religiosa. Si vedano. in particolare: Strabo. VI. l. l, C 252, da Antioco di Siracusa (FGrHist. 555 F 9). secondo cui i fuggiaschi focei nel 545 a.C. si diressero verso la Corsica e Massalia, sotto la guida di Creontiade; in seguito. essendo stati respinti, andarono a fondare Velia (notevoli sono ]e affinità con Herod., l, 163-167, secondo cui i Focei che lasciarono la madrepatria, dopo un vano tentativo di insediarsi alle isole Enusse, si rifugiarono presso ]a colonia di Alalia, in Corsica; alcuni anni più tardi. dopo l'esito disastroso di uno scontro navale con Etruschi e Cartaginesi, i sopravvissuti si recarono a fondare Velia); Strabo, IV. l, 4, C 179, probabilmente da Artemidoro di Efeso, secondo cui i Focei in fuga si diressero ad Efeso per procurarsi una guida prescrìtta dalla dea Artemide. Questa venne riconosciuta in una giovane donna della nobiltà efesina, Aristarche, che si imbarcò con i Focei recando una copia della statua dedicata alla dea. Giunti alla loro meta (Massalia) i Focei costruirono un tempio per la dea e ne diffusero il culto in tutte le loro colonie. Inoltre: lsocr., Archid.• 84, testo sostanzialmente ripreso da Arpocrazione (s. v. Maaaalia): Paus., X. 8, 6. Queste ed altre fonti sono raccohe e commentate da J. Bronel, Marst'ille et lnfugitifs de Phocù. «REA», L, J94R, pp. 5-26, il quale. rigettando la tesi di una duplice fondazione di Massalia e pure non scartando del tutto la data de] 600 a.C. per la fondazione deUa città. sembra propendere per il 545 a.C. Diversamente. G. Nenci, Le relazioni con Marsiglia nella politica estera romana (dalle origini alla prima guerra punica).
Da Massalia a Cadice
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massaliota 7 • La restrizione del raggio di azione verso l'interno celtico tra la fine del lV e il corso del 111 secolo a.C., che si postula solitamente in base alla diminuzione della presenza di anfore e ceramica massaliota nelle regioni dell'entroterra 8 , è forse più apparente che reale. La mancanza di ceramica non significa assenza di commercio; questo, semmai, sembra organizzato in forme diverse e, soprattutto, sembra avere trovato nella moneta un più consono mezzo di scambio rispetto al vino9. In quest'ottica l'attività di Pitea si può allora comprendere anche come impresa voluta e finanziata dalla città, affiancandosi motivazioni e fini economici a quelli scientifici e personali che da soli difficilmente spiegherebbero i mezzi necessari alla sua riuscita, come già sottolineava Polibio 10 . Inoltre, Massalia godeva di una solida propensione marittima ed era la sola città greca che potesse vantare una tradizionale esperienza in fatto di navigazioni oceaniche, alla pari dei principali centri fenici d'occidente: Cadice e Cartagine. La più occidentale delle maggiori fondazioni greche sembra aver sempre goduto di rapporti privilegiati con l'estremo occidente e le rotte che oltrepassando le Colonne d'Eracle portavano all'oceano Atlantico: la traccia di un arcaico periplo massaliota, altrimenti ignoto, è pervenuta attraverso la rielaborazione poetica che ne fece Avieno, nel IV secolo d.C., in un poemetto in versi intitolato Ora maritima, per descrivere le coste dell'Europa occidentale, dalle Isole Britanniche a Massalia 11; alla rotta atlantica di Pitea verso nord si oppone geometricamente e significativamente la rotta oceanica meridionale dell'altro grande esploratore massaliota Eutimene 12 , la cui datazione è Cfr. M. Bats. Commerce et politique massaliètes aux IV~ et 1/Jt siècles av. J .. c. Essai d'interprétation du facies céramique d'Olbia de Provence (H.vères. Var), in l Focei dall'Anatolia all'Oceano, «PP''• 37. 1982, pp. 256-267; Id., Marseille. /es colonies massaliètes etles relai.s indigènes dans le trafic le long du littoral méditerranéen gaulois (VJ... Ja s. a\'. J.·C.). in Marseille grecque et la Gaule, ci t., pp. 263-278. Favorevole ad una qualche fonna di intervento in campo commerciale da pane dell'oligarchia massaliota, già in età precedente. è anche B. B. Schefton, Massalia and Colonization in rlze North- Westem Mediterranean, cit., p. 68. Per una recente datazione alla fine del IV secolo della dracma pesante massaliota si veda L. Villaronga. A propos de la daration de la drachme Jourde de Marseille, <(NAC», XXIII. 1994. pp. 153-155. 8 Per l'asse Aude-Garonna si veda J.-M. Seguier, M. Vidal. Les rapports commerciaux le long de l'llXe Aude-Garonne aux Ages du fer. in Marseille grecque et la Gaule, cit., pp. 431-444; gli autori sostengono che tale via non costituì mai uno sbocco importante per l'economia massaliota e vedono nella diminuzione della presenza di anfore massaliote tra la fine del IV e l'inizio del Il secolo a.C. l'effetto del declino del commercio massaliota in conseguenza della mancanza di capacità nello sviluppare una atti va dina mica dello scambio. 9 Così M. Bats, Marseille, les colonies mas.saliète.s el les relai.s indigènes. cit.. pp. 273-275. 10 Polyb., XXXIV, 5, 9 Bilttner-Wobst = Strabo, II. 4. 2, C 104 = F 21 Bianchetti= F 7a Mette. li Secondo l'opinione di A. Schulten, Fontcs Hispaniae Antiquuc, l, Avienus, Ora maritima ( Periplo Massaliota del siglo VI a. de J. C.). )unto con los demds testimonios anteriores al aiio 500 a. de }.C., cdicion de A. Schulten, Barcelona·Berlin. 1922. Barcelona. 19552, pp. 18-19, che data tale nucleo antico alla fine del VI secolo a.C. Stando allo stesso Schulten (pp. 17 e 30·31 }, l'arcaico periplo massaliota sarebbe stato utilizzato da Pitea. Non mancano ruttavia coloro che ne hanno messo in dubbio la realtà, rimandando l'origine delle infonnazioni agli autori citati dallo stesso Avieno come sue fonti: J. Hind. P.v"ne and thR Date of thR «Massaliot Sailing Manual».
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
controversa 13, forse spintosi fino alla foce dell'attuale Senegal 14 ; mentre appare molto più improbabile nelle vesti di esploratore massaliota quel Midacrito nominato da Plinio, che ne faceva il primo (greco?) ad aver trasportato lo stagno dali' isola Cassiteridel5.
Il./ - Lo gnomone e la latitudine dì Massalia Soprattutto, l'antica colonia focea è il costante punto di riferimento per le misure delle distanze percorse fomite da Pitea c per la griglia delle latitudini settentrionali che egli elaborò nel corso della sua avventura, che sono tra l'altro nunc prima vice edidit, commentariis criticis indicibusque tam eorum quam 1•erborum insmait L L. ldeler, vol. I. Berlin, 1891, rist. Amsterdam, 1963, p. 191; Sen., N. Q., IVa, 2, 22; lohan. Lydus, De mens .• IV, 107, p. 145 Wi.insch, che in sostanza traduce Seneca; Ps. Plut., Epit., IV, l. 2 Aet.. Plac .. IV. l. 2 in DG, p. 385; A.el. Arist., XXXVI, 85-96; Marcian., Epit. Peripl. Menipp .. 2. in GGM. I, p. 565. 13 Le opinioni moderne oscillano tra VI e IV secolo a.C. Per una generale considerazione sulla questione cronologica rimando a J. Desanges, Recherches, cìt .• in particolare pp. 24-27, che lo data al VI secolo. A1la fine del VI secolo lo pongono anche F. Jacoby, s. v. Euthymenes (4 ). RE VI. l, 1907, col. 151 O, che lo indica inoltre come possihile fonte di Ecateo (coL t 511 ). e D. Bonneau. w crue du Nil, divinité égyptienne, à travers mille ans d'histoire ( 332 av.·64l ap. 1.-C.). d'après /es auteurs grecs et latìns, et leJ document.s des époques ptolémai"que. romaine et byzantì1le. Paris. 1964. p. 145. Tuttavia, la simmetria geografica riscontrabìle tra la spedizione di Plteu e quella di Eutimene, c la comunanza di intenti e di interessi scientifici. mi sembrano elementi significativi e sufficienti ad avvalorare la tesi. se non della loro contemporaneità, quanto meno di una stretta vicinanza cronologica tra i due episodi. In questo senso. si vedano: R. Dion, Aspects poLitiques. cit., p. 189. il quale ritiene che Eutimene sia stato un contemporaneo di Pitea. come lui appoggiato da Alessandro Magno nella realizzazione della propria impresa~ G. Amiotti, Eutimene dì Marsiglia e le piene del Nilo, in Fenomeni naturali e awenimemi storici nell'antichità, a cura di M. Sordi, c~CISA», XV, 1989, in part. pp. 65-70. la quale, notando le strette consonanze tra i due esploratori non solo per quanto riguarda le competenze astronomiche e l'attenzione ai fenomeni naturali, ma anche rispetto allo scarso credito ricevuto presso i posteri. ritiene che il viaggio dì Eutimene preceda di qualche decennio quello di Pìtea e vada datato alla prima metà del IV secolo a.C. In effetti, il viaggio di Eutimene e il relativo resoconto scriuo erano noti ad Eforo (FGrHist., 70 F 65f = Ael. Arist., XXXVI. 64-85). mentre non sembra che lo storico cumano fosse a conoscenza dell'impresa di Pìtea. 14 Cfr. F. Jacoby, s. v. Euthymenes. cit., col. 1509: G. Arnioni. Eutimene di Marsiglia. cit., pp. 6364. Si vedano però anche le critiche mosse a quest'ipotesi da J. Desanges. Recherches, cit.. pp. 21-22, il quale, a mio giudizio erroneamente, reputa esclusivamente Jeueraria l'attività di Eutimene (p. 27). l:> Plin .. N.H .. Vll, 197: Plumbum ex Ca.ssiteride insula primus adporravit Midacritus. Che il personaggio in questione possa essere di origine massaliota è quanto sostenuto da M. Clavel-Lévèque, Marseille grecque. w dynamìque d'un impérialisme marchand. Marseille. 1977. p. 23. Non vi sono tuttavia indizi a sostegno dì una tale affermazione né, come sottolinea la stessa studiosa. si può stabilire per quale via taJe personaggio sia giumo all'isola Cassiteride. Ad esempio, secondo A. Schulten, Tartessus. Ein Beitrag zur ii/testen Geschiclzte d es Westens, Hamburg. 1922, 1950 2 • p. 46 (pp. 25-26 nella prima edizione), si sarebbe trattato di un Foceo: ~le:tòòxpt-.oç. Del credito erroneamente attribuito a questa notizia pliniana è testimone anche M. Cary, The Greeks and tmdent trade with the Atlantic, «JHS», XLIV, 1924, pp. 169-170. Si vedano inoltre le considerazioni di R. Carpenter. Beyond the Pillars of Herakles. The Classica/ World seen through the Eyes o.f its Discoverer.'i, New York. 1966, p. lO l, che destituisce tale notizia di ogni autorità. Bibliografia in merito è raccolta da J. D. Muhly, Copper and Tin. The distribution of Minerai Resources and the Nature ofthe Metals t rade in the Bronz.e Age, Hamden (Connecticut), 1976, alle note 38-40, pp. 424-425, il quale ritiene che non vi sia alcuna ragione perché il passaggio di Plìnio su Midacrito debba meritare le serie considerazioni che gli sono state rivolte in passato. Quanto all'utilizzo della fonna singolare, in luogo dell'usuale pluraJe, per design are i l luogo di p rovenìen za dello stagno. lungi dali' essere indizio utile per l'identificazione, essa sembra affennare ulteriormente la valenza simbolica della denontinaz.ione; un generico luogo mitico più che una precisa località geografica. Non vi possono essere dubbi nelJa corrispondenza a livello mitico tra questa Cassìteride e le Cassiteridi menzionate da altri autori antìchì. a partire da Erodoto (III,
=
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due dei suoi maggiori contributi allo sviluppo dell'indagine geografica antica 16, essendo stati in seguito ampiamente utilizzati in particolare da Eratostene e lpparcol7. Famoso per le sue capacità di astronomo, Pitea misurò infatti la latitudine di Massalia all'epoca del solstizio estivo tramite l'uso dello yvw(J.OV (gnomone), trovando che il rapporto tra questo e la sua ombra era pari a 120:(421/5), ovvero 120:41,8 18, per una obliquità dell'eclittica, ossia dell'angolo tra tropico ed equatore, approssimata a 24 o 19. Per comprendere il senso di tale misura occorre prima affrontare il discorso sulla natura dello gnomone. Si tratta di una macchina relativamente semplice, composta da un'asta verticale di altezza conosciuta (il segmento AB nella figura 1), innestata su una base o, più semplicemente, sul terreno; colpita dalla luce del sole, l'asta disegna sulla base o sul terreno un'ombra il cui rapporto con l'asta stessa consente di individuare l'ora, la durata del giorno, la durata delle stagioni e un ulteriore insieme di valori a questi correlati. L'ombra proiettata dallo gnomone varia infatti di lunghezza e posizione durante l'arco della giornata e nel corso dell'anno. Dall'alba al tramonto l'ombra compie un movimento in senso orario, al mattino accorciandosi fino ad un punto minimo per poi progressivamente allungarsi verso sera. L'ombra più breve è quella proiettata allorché a mezzogiorno il sole raggiunge il punto più alto del suo moto apparente nel cielo (zenith); in questo momento la linea d'ombra indica l'asse sud-nord e coincide dunque con una porzione del meridiano terrestre passante per il punto in cui è infissa l'asta. E questa la linea d'ombra più facile da individuare e misurare, ed allo stesso tempo la più ricca di significati per l'osservatore. Nel corso de li' anno, infatti, nel medesimo luogo, l'ombra meridiana dello gnomone mantiene invariabilmente la stessa direzione ma varia di lunghezza: è più lunga in inverno. fino a raggiungere la lunghezza massima che si riscontra nel giorno del solstizio invernale. mentre è più corta in estate, raggiungendo il minimo nel giorno del solstizio estivo. Si può dunque rappresentarla come una linea perpendicolare all'asta dello gnomone. Il rapporto tra lo gnomone e la sua ombra meridiana è dunque parallelo e inverso al rapporto tra la durata del giorno e quella della notte: nel giorno più breve dell'anno, il solstizio invernale, l'ombra dello gnomone è la più lunga (il segmento AE); viceversa, nel giorno più lungo, il solstizio estivo, l'ombra è la più corta (AD). Queste osservazioni consentono altresì di individuare altri due momenti importanti dell'anno, gli equinozi di primavera e d'autunno, nei quali il rapporto tra
115). Le fonti sulle isole dello stagno sono raccohe e commentate da J. Ramin, Le problème des Cassitérides et Jes source.s de l'étain occidental depuis /es temps protohistorique.s jusqu 'au début de notre è re, Paris, 1965, pp. S1-89. 16 Cfr. H. J. Mette, Pythea.s, cit., p. III: «Zwei Kostanten seiner Methode, die unbekannte Welt der ratio zu erschlieBen, fallen deutlich indie Augen: die Berechnung der Distanzen nach Tagesfahrten und die Fixierung an Hand der Dauer des langsten Tages zur Zeit der Sommerwende>>. J7 Per Eratostene, si vedano i frammenti II C, 2, 8. 13-14, e III B, l, 122. 125-126 Berger; per lpparco, si vedano i frammenti 52-62 Dicks. 18 F Ba Bianchetti = F 6a Mette= Strabo, I, 4, 4, C 63; F 8b Bianchetti= F 6b Mette= Strabo, II, l, 12, C 71; F Se Bianchetti= F 6c Mette= Strabo, Il, 5, 8, C 115. L'unico passo straboniano nel quale è riportato l'esatto rappono di 120:(42-1!5) (II. 5, 41. C 134 = F 6c Mette), non essendo riferito esplicitamente a Pitea, non è inserito tra le testimonianze da Serena Bianchetti. Tuttavia Strabone è esplicito in proposito affermando negli altri passi citati che il rapporto gnomonica è stato rilevato da Pitea a Malìsalia ed in seguito adottato da lpparco per la laùtudine di Bisanzio. 19 Su tale valore tornerò in seguito.
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K
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L
A
D
c
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AB= gnomone ABD =triangolo gnomonico AD= ombra solstiziale esliva AC =ombra equinoziale AE =ombra solstizi aie invernale O= polo celeste NO= asse dell'universo LM =orizzonte IF =equatore celeste KG =tropico invernale celeste JK =arco interuopicale o intersolstiziale HJ tropìco estivo celeste GH = pmiezione terTe.~ITe dell'arco intenroricale FG (= FH = IJ::: IK) =arco dell'ohliquità dell'eclittica E= angolo dell'abliquità deiJ'eclittica AF =arco della latitudine del luogo o+ E = cp = angolo della latirudine del luogo
=
Fig. l. La circonferenza gnomonica per la latitudine di Massalia, approssimata a 43° e riferita ad uno gnomone di l 20 unità.
durata del giorno e della notte è uguale 20 , rappresentabili con il segmento d'ombra AC. Noto già nel mondo babilonese e forse anche in epoche più antiche, lo gnomone fu introdotto in Grecia da Talete e da Anassimandro. Il primo lo utilizzò per misurare le piramidi e per individuare i solstizi2 1, fondando in tal modo la geometria e l'astronomia; Anassimadro approfondì l'indagine del maIn realtà, per il fenomeno della rifrazione. la durata del giorno è leggennente superiore a quella della notte, ma a quanto pare gli antichi greci non furono in grado di accorgersent:. 21 Per la misurazione delle piramidi: F Il, A l DK = F 10. 8 1 Colli =Diog. Laert., \-r,tae plzil., l, 27 = Hieron. Rhod., F 40 Wehrlì; F 1 l, A 21 a-b DK = F lO. 8 10 a-b Colli= Plin. N.H., XXXVI, 82 e Plut., Conviv. sept. sap .. Il, l47a; per i solstizi: F l l. A l DK = F 10, 8 l Colli = Dìog. Laert., Vìtae phil., l, 23-24: F li, A 17 DK = F l O. 8 5 Colli = Eudem. Rhod., F 145 Wehrli = Theo Smym., Exp. rer. math., 198. Secondo Eudemo di Rodi, allievo di Aristotele ed autore di una celebre ed autorevole Storia della geometria. purtroppo perduta. Talctc non solo individuò i due solstizi mu misurò anche lu distanza temporale tra essi, accorgendosi che intercorrevano più giorni dal solstizio estivo a quello invernale che. viceversa, dal solstizio invernale a quello estivo. Sull'importanza della misurazione delle piramidi da parte di Talcte e del conseguente omonimo teorema per la storia della scienza (la nascita della geometria) e della filosofia, si veda M. Serres, Les origines de la géometrie. Tiers livre des jondations, Paris, 1993, trad. it., Le origini della geometria, Milano, 1994, rist. 1995. in part. pp. 161M 192. Altre importanti scopcne in campo geometrico gli sono attribuite da diverse fonti: Diog. Laert, 20
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estro individuando gli equinozi tramite la soluzione del problema della bisezione di una corda. In parole povere, l'asta dello gnomone, la sua ombra sul terreno e il raggio di luce che oltrepassa il vertice dell'asta costituiscono un triangolo rettangolo nel quale l'angolo retto è quello compreso tra l'asta e la sua ombra (a =90°). Poiché l'ombra meridiana si sposta entro i due estremi costituiti dalle ombre solstiziali, è possibile individuare abbastanza facilmente la distanza sulla linea d'ombra tra i due solstizi e tra questi e il punto in cui lo gnomone è infisso nel terreno. Ora, se si immagina che l'asta dello gnomone AB costituisca il raggio di una circonferenza avente come centro il punto B, questa stessa circonferenza rappresenta il meridiano celeste e, allo stesso tempo, la sua proiezione sulla sfera terrestre come meridiano del luogo nel quale si compie l'osservazione. Lo gnomone, cioè, diviene strumento per rappresentare la sfera celeste e quella terrestre in uno schema che è l'immagine simbolica dell'universo. Creato per misurare il tempo, lo gnomone misurava contemporaneamente anche lo spazio ed in entrambe queste sue funzioni lo utilizzarono i matematici, gli astronomi e i geografi greci, fra i quali anche Pitea22. Determinata la lunghezza delle ombre solstiziali, se si tracciano due rette passanti per i punti terminali delle ombre solstiziali (D ed E) e per il centro B, tali rette intersecano la circonferenza nei punti 1 e K che rappresentano rispettivamenle il sole al culmine della volta celeste all'epoca del solstizio estivo e di quello invernale. Le stesse rette intersecano altresì la circonferenza nei punti G e H, speculari a 1 e K dei quali rappresentano la proiezione terrestre. Si indi vidua così un arco 1K, detto arco intersolstiziale o, come lo chiamavano i Greci, intertropicale; infatti i due solstizi indicano non solo rispettivamente i giorni più lungo e più corto ma anche i due estremi del moto di oscillazione del sole attorno all'equatore nel corso dell'anno: i due tropici, nei quali si verifica la conversione del moto apparente del sole. L'arco GH ne è l'equivalente terrestre. A questo proposito, va tenuto presente che il valore dell'arco corrisponde a quello dell'angolo ad esso sotteso espresso in radianti, ma si è preferito fornire il primo valore poiché fu quello utilizzato dagli astronomi e dai matematici greci, i quali, a quanto pare, anche se non elaborarono una vera e propria trigonometria sferica almeno fino a Menelao di Alessandria2 3, vissuto nel I secolo d.C., erano in grado di risolvere problemi di trigonometria attraverso lo studio di archi e corde di circonferenza. Essi utilizzavano come sola funzione trigonometrica la corda sottesa ali' arco e non, come noi moderni, il seno dell'angolo, Vitae phil .. l, 24 = F l I. A l DK = F 10. B l Colli: inscrizione di un triangolo rettangolo nella circonferenza; Procl., In Eudid., I, def. 17: il cerchio è bisecato dal diametro; I. 6: gli angoli alla base del triangolo iso:scele sono uguali; l, 15: uguaglianza deg]i angoli opposti al vertice formati da due rette che si intersecano; I, 26: proprietà dei triangoli simili. Proclo, almeno in questi ultimi due passi, utilizza come fonte Eudemo di Rodi (rispettivamente FF 135 e 134 Wehrli): i passi di Proclo sono raccolti come FIl, A 20a-d DK=F IO, B6a-dColli. 22 Per ulteriori informazioni sullo gnomone si vedano: A. Szab6, E. Maula, Les débuts de l'astronomie, de la géographie et de la trigonométrie che:. /es Grecs. Paris, 1986, pp. 25-120; A. Szab6, Preistoria della geografia matematica, <
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e si avvalevano dell'ausilio di tabelle di corde e archi corrispondenti. Il procedimento moderno, derivato dalla matematica indiana, a sua volta sviluppo di quella ellenistica, è certo più semplice, ma il metodo greco è altrettanto efficace. Le due funzioni, corda e seno,. sono infatti equivalenti e una semplice formula moderna consente il passaggio dall'una all'altra: corda(cx.) == 2sen(cx./2) 24 . Tornando alla figura l, se si uniscono rispettivamente i punti G con K e H con J, si ottengono due segmenti paralleli che rappresentano i diametri, o proiezioni sul piano, dei circoli tropici, ovvero i cerchi descritti dal moto apparente del sole nella volta celeste ai solstizi. Più difficile è l'individuazione del punto equinoziale, intermedio tra i due solstizi. Esso infatti non è determinabile empiricamente, tramite l'osservazione dell'ombra, ma solo attraverso il calcolo geometrico2 5 . Il problema, a quanto pare, fu risolto da Anassimandro attraverso la bisezione dell'arco intersolstiziale26 • Egli individuò sulla circonferenza il punto F, tale che gli archi FG e FH risultavano uguali. Tracciando una retta passante per i punti B e F, il suo prolungamento interseca la linea del terreno in C, individuando l'ombra meridiana equinoziale AC; allo stesso modo, il punto l d'intersezione sulla circonferenza rappresenta il culminare del sole all'equinoZIO.
Questa scoperta di Anassimandro può a ragione essere ritenuta il passo decisivo per l'origine della geografia dalla geometria e dall'osservazione astronomica, tanto da meritargli il primo posto nella lista dei geografi compilata da Eratostene 27 • Infatti, l'individuazione dei punti F ed l consente di tracciare tra essi una retta passante per il centro B; essa rappresenta in realtà il diametro del circolo dell'equatore celeste e, nel punto F, la sua proiezione sul meridiano terrestre. Di conseguenza, la metà dell'arco intersolsti ziale non è altro che l' obliquità dell'eclittica, l'inclinazione massima del moto apparente del sole ai solstizi rispetto alla linea equinoziale o equatoriale, che rappresenta il percorso ideale nel momento in cui il giorno e la notte hanno la stessa durata . Anassimandro apre dunque la via per la rappresentazione della superficie terrestre, più precisamente della sfera terrestre, vista teoricamente dall'alto. L'utilizzo dello gnomone, infatti, rivelando l'inclinazione tra il luogo di osservazione e l'equatore, ovvero la curvatura della superficie terrestre, impone l'assunzione dell'ipotesi che la terra sia sferica e posta al centro dell'universo, della cui geometria è proiezione. Non è un caso, pertanto, che ad Anassimandro siano attribuite due ipotesi: nella prima la terra sarebbe equiparabile ad un cilindro28 ;
24
Si veda in proposito il recente lavoro di L. Russo. La ril•oluzione dimenticata. Jl pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Milano, 1996, in pun. pp. 75-78. Cfr. inoltre: O. Neugebauer. Mathematical Methods in Ancient Astronomy, «Bulletin of the American Mathcmatical Society)), 54, 1948, pp. 1028-103 l, ora in Astronomy and History. Selected Essays, New York·Berlin-Heidelberg· Tokyo, 1983. pp. 113-115 (in realtà, ad esclusione del sommario, vengono mantenute le numerazioni di pagina degli articoli originari); Id., The Exact Sciences in Antiquity, Providence, 1957 2• trad. it., Le scienze esatte nell 'antichità, Milano, 1974. in pan. pp. 193; 251-253: Id., On Some Aspects of Early Greek Astronomy, «PAPhS>~. 116, 1972, pp. 249-251, ora in Astronomy and History, cit., pp. 367-369. 25 Ptol. Synt. math., II, 5. 26 Così A Szab6, E. Maula, Les débuts de l'astronomie, cìt., in part. pp. 52-55 e 107-108. che interpretano in tal se.nso il F 12, A 5 DK = F li B 13 Colli = Plin., NH., II, 31. 27 FF l e I A, l Berger = SLrabo, I, l, l, C l; F I B, 5 Berger = SLrabo. I, I. lO. C 7. 2s Che la terra di Anassimandro avesse forma di un cilindro, alto un terzo della larghezza. è affennato da Ps. Plut., Strom., 2 = F 12, A l O DK = F l t, B 20 Colli; Hippol., Ref, I, 6, 3 = F 12, A Il DK = F Il, B 22 Colli.
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nel secondo caso essa sarebbe invece sferica29_ Tale divergenza deve essere interprertata e compresa come un'evoluzione del pensiero di Anassimandro, col su pera mento della precedente teoria grazie ai nuovi dati acqui si ti tramite l' esperienza gnomonica. Di conseguenza, Anassimandro per primo ebbe anche l'ardire di inscrivere su una tavola (7ttva~) l'ecumene3°- rappresentazione circolare della terra posta al centro di un universo nuovo, matematizzato, geometrico disegnandone i contorni delle terre e dei mari 31 . Un ulteriore passo importante fu compiuto in seguito da Enopide di Chio, vissuto nel V secolo a.C., il quale riuscì a misurare l'ampiezza dell'arco intersolstiziale e, più precisamente, dell' obliquità dell'eclittica; Enopide osservò, infatti, c h e l'arco de Il' eclittica coincide con l'arco corrispondente al lato del pentadecagono regolare inscritto nella circonferenza e, dunque, equivale a 1/15 della circonferenza stessa32 . In termini moderni tale arco e l'angolo ad esso sotteso sono pari a 24 o, un'approssimazione molto vicina alla realtà e che nell' antichità venne perfezionata in seguito dal solo Eratostene, il quale ottenne una misura più raffinata che fu poi adottata da Ipparco e, con una leggera variante. da Tolemeo33. Spetta invece ad Eudosso di Cnido il merito di avere perfezionato in un vero e proprio sistema la visione gnomonica del mondo, quale si era delineata a partire da Talete ed Anassimandro, fondando su di essa la teoria della sfera, che fornì il modello utilizzato da Pitea per la comprensione del cosmo e della sfera terrestre posta al suo centro. In particolare, in campo geografico, Eudosso sembra essere stato il primo di cui si abbia notizia ad avere sfruttato l'osservazione gnomonica per ottenere la latitudine del luogo di osservazione, anche se egli utilizzò non il diretto rapporto gnomonico ma un valore da esso ricavabile: il rapporto tra la durata del giorno più lungo e della notte più corta, ovvero tra la parte del tropico estivo situata sopra l'orizzonte (il giorno soistiziale) e la parte situata sotto (la notte solstiziale)34 • Probabilmente, egli introdusse anche la nozione di xÀip..a, ovvero l'inclinazione rispetto all'equatore del punto di osservazione35; in altri termini, si tratta della latitudine, la distanza del luogo nel quale si compie l'osservazione gnomonica rispetto all'equatore terrestre. Ciò significa che egli indubbiamente comprese che la lunghezza dell'ombra solstizìale varia con la latitudine del luogo di osservazione e che essa si allunga 12, A I D K = F Il, B 6 Colli = Diog. Laert., Vita e phil.• Il, l. 12,A6DK=Fll,B5Colli=Strabo,I, l, 1l.C7. 31 F 12, A l DK = F Il, B 6 Colli= Diog. Laert., Vilae phil., II, l. 32 F 41,7 DK = Eudem. Rhod., F 145 Wehrli = Theo Smym., Exp. rer. math., 198, e Ps. Plut., Epit., II, 12 e Stob., Ecl., I, 23 =Aet. P/al:., Il, 12, 2, in DG, pp. 340-341. 33 F H B. 42 Berger = F 41 Dicks = Ptol., Synt. math .. I, 12. Si veda A Szab6. E. Maula. Les débuts de /'astronomie. ci t., pp. 51-52. 34 F 67 Lasserre = Hipparch., ln Arati et Eudoxi Phaenomena, I, 3, 9: sulla possibilità che Eudosso potesse ricavare il rapporto giorno-notte non su base empirica. tramite ad esempio la misurazione del tempo effeuuta con una cl~ssidra, ma teorica, attraverso il rapporto gnomonica. e sul metodo eventualmente utilìualo, si veda A. Szab6. E. Maula, Les débu.ts de l'astronomie, cit.. pp. 121-169. 35 F 67 Lasserre = Hipparch .. In Arati et Eudoxi Phaenomena, l, 3, 9; F 68 Lasserre = Hipparch., In Arati et Eudoxi Phaenomena, I. 2, 22; F 350 Lasserre = Strabo, XI, L 2. C 390; T 21 Lasserre = Strabo, II. 5, 14, C l) 9. Per il concetto di xÀL!J-Cl e l'evoluzione del suo significato si veda D. Marcotte. Ul climatofogie d'Erato.sthène à Poséidonios: genèse d'une scien.ce humaine, in Sciences exacres et Jciences appliquée à A lexarufrie (Il t~ sièc/e av. J.-C. - Ja siècle ap. l. -C.), Actes du Colloque lnternational de Sainr-Étienne (6-8 juin 1996), publiées par G. Argoud et J.-Y. Guillaumin, Saint-Étienne, 1998, pp. 263-277. 29 F 31lF
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man mano che ci si allontana dall'equatore, così come aumenta anche la durata del giorno più lungo. Nella circonferenza gnomonica la latitudine è espressa dall'arco AF. Poiché, a questo punto, grazie agli studi di Anassimandro ed Enopide si conosceva già l'ampiezza dell'arco G F, per risalire alla latitudine occorreva misurare il solo arco AG; e questo è appunto il dato che si ricava dal rapporto operato da Pitea tra l'altezza dell'asta AB e la lunghezza dell'ombra solstiziale estiva AD. Noto AG, si somma ad esso l'arco GF e si ottiene la latitudine AF. Teoricamente, conoscendo l'arco AH relativo al solstizio invernale sarebbe possibile risalire alla latitudine detraendo da questo l'arco FH, ma in realtà gli astronomi greci effettuarono le loro osservazioni esclusivamente al solstizio estivo, durante il quale l'ombra più corta risultava più facilmente misurabile ed era soprattutto ridotta la zona di penombra che al solstizio invernale comprometteva il rilevamento36 ; i dati relativi agli altri momenti dell'anno venivano dunque ricavati per via teorica. In termini moderni, il rapporto tra l'altezza dell'asta (AB) e la lunghezza della sua ombra (AD) equivale alla tangente delrangolo opposto all'asta, cioè l'angolo r dell'altezza del sole formato dall'intersezione tra il raggio solare e il piano sul quale lo gnomone proietta la propria ombra, e alla cotangente dell'angolo zenitale ò, formato dall'intersezione tra il raggio solare e il vertice dello gnomone: AB/AD= tgy = cotgò. Invertendo il rapporto, AD/AB, si ottiene la tangente dell'angolo ò, complementare a r. Il rapporto piteano è dunque facilmente risolvibile con l'ausilio di una qualsiasi macchina calcolatrice e, sommando ad esso il valore dell'obliquità dell'eclittica (l"arco GF e l'angolo E ad esso sotteso equivalgono a 24 °), si ottiene la latitudine di 43° 12' l 7'', equivalente all'arco AFe all'angolo sotteso ~.dove~= o+e:). Pitea, che non disponeva dei moderni strumenti e delle conoscenze della trigonometria sferica, dovette ricorrere a procedure diverse e all'ausilio dei teoremi di Talete e Pitagora, degli studi realizzati dai matematici pitagorici nel campo dei poligoni inscritti nella circpnferenza, delle ricerche di Eudosso sulla geometria della sfera. Secondo Arpad Szab6, autore di una delle più interessanti ricerche in proposito, il suo metodo può essere ritenuto simile a quello utilizzato dagli astronomi di epoche successive, come lpparco o Tolemeo. In pratica, egli avrebbe dovuto avere a disposizione, forse perché da lui stesso costituita, una tabella di correlazione tra archi e corde ad essi sottese in una circonferenza di raggio noto. Egli avrebbe potuto quindi operare nel seguente modo: noti i valori dei segmenti AB e AD (rispettivamente 120 e 41 ,8), per il teorema di Pitagora si trova il valore di BD, l 'ipotenusa del triangolo ABD, che corrisponde a 127,07; quindi, per il teorema di Talete, si può inscrivere tale triangolo reuangolo in una semicirconferenza di cui BD è il diametro e al tempo stesso la corda maggiore, corrisponde n te all'arco costi tuito dalla senticirconferenza, e i lati AB e AD due corde alla circonferenza stessa (figura 2). A questo punto è sufficiente rapportare tra loro i valori del triangolo gnomonico della latitudine di Massalia e quelli risultanti dalla tabella di riferimento precostituita, per risalire all'arco, e dunque all'angolo, di cui
36 Si veda Pto1., Sy"t. math .• II, 5, col relativo commento di K. Manitìus, Ptolemiius. Handbuch der Astronomie, I. I...eipzig, 1912. pp. 419-420, riportato da A. Szab6, E. Ma ula. Les débuts de l'astro"omie,
cit.,
pp. 32-33.
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Fig. 2. Procedimento adottato da Tolemeo per il calcolo dell'arco AG. Sull'ipotenusa (BD) del triangolo gnomonica (ABD) viene costruita la circonferenza nella quale i due cateti del triangolo (AB e AD) rappresentano le corde alla circonferenza stessa. l valori trovati sono quindi rapportati a quelli relativi alla circonferenza di riferimento con diametro di l 20 unità, ottenendo il valore della corda corrispondente ali 'arco AG da cercare nella tabella to/emaica.
la corda AD è funzione37. Se si prende come riferimento la tabella di Tolemeo, il segmento BO viene dunque rapportato a) diametro di 120, utilizzato appunto da11'astronomo alessandrino, per lrovare il valore della corda corrispondente ad AD: x:4l ,8 = 120: 127. Da cui si ricava x = 39,47, valore della corda da cercare nella tabella di Tolemeo, dove però la cifra decimale è espressa in sessantesimi, cui corrisponde un arco di poco superiore a 38°. La tabella di Tolemeo non è così precisa, non scendendo oltre il mezzo grado, ma i1 valore corrisponde a circa 38° 28'. Si tratta in realtà del valore doppio dell'arco, in quanto l'angolo è preso al centro e non a11a circonferenza e vale pertanto 2o; è sufficiente perciò dividerlo per due per ottenere il valore corretto di circa 19° 14', cui si deve aggiungere l' obliquità delJ 'eclittica per ottenere la latitudine di circa 43° 14', molto vicina alla valutazione che si ricava dai dati piteani attraverso il calcolo della tangente.
n metodo è attribuito a Pitea da A. Szab6. E. Maula, Les débuts de l'astronomie. ci t.. pp. 95-106. e descritto accuratamente nei dettagli. Poiché non è comunque possibile sapere che tipo di unità di riferimento avesse in mente Pitea, Szab6 opera la correlazione con la tabella di Tolemeo. 37
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
ll problema. in questo caso. è dato dal fatto che non vi sono attestazioni dell'esistenza di tavole di corde e archi fino ali' epoca di} pparco, il quale scrisse in proposito un'opera in dodici libri, oggi perduta3 8 • E tuttavia probabile che l'opera di lp parco non fosse la prima in materia e che semmai rappresentasse la summa delle ricerche svolte dai Greci in precedenza, la raccolta organica e omogenea di saperi lentamente accumulati nel tempo, e che pertanto fossero state create tabelle di correlazione, redatte ad uso strettamente personale e prive di una comune unità di riferimento, anche in età precedenti. Esistono in effetti alcuni indizi, a favore di questa supposizione, riguardanti la precedente comparsa in Grecia della suddivisione della circonferenza in 360 parti e relativi multipli e sottomultipli; il che implica, per i geometri greci, la possibilità di inscrivere nella circonferenza un poligono di 180, 360 o 720 lati, ognuno dei quali corrispondente ad una corda ed al relativo arco, entrambi quantificabili. Il primo di questi indizi è costituito dal fatto che, molto probabilmente, già Eudosso aveva utilizzato in campo matematico tale suddivisione 39 . Prima di lui, Talete aveva sostenuto che la grandezza del sole e quella della luna equivalessero alla settecentoventesima parte delle relative orbite40; dal che si dovrebbe dedurre che egli era in grado di apprezzare un'unità di misura della circonferenza pari al mezzo grado. Ma l'indizio, se non la prova, più consistente viene dalla stessa misura piteana. Il rapporto di 120 a 4 I ,8 trovato da Pitea ha infatti lasciato perplessi numerosi studiosi. Non solo è il più antico rapporto gnomonica noto, ma è anche il più elevato, allorché tutti i rapporti noti per l'antichità si fondano su valori numerici molto inferiori; Vitruvio riporta i seguenti rapporti equinoziali: 5:3, 7:5, 4:3, I I :9, 9:8, rispettivamente per le latitudini di Alessandria, Rodi, Atene, Taranto e Roma41 . Rapporti equinoziali differenti e in alcuni casi più elevati sono riportati da Plinio, il quale comprende sotto il medesimo valore ampie fasce di latitudine e diverse località e regioni: 7:4 per l'Egitto, Cartagine e le Colonne d'Eracle; 35:24 per Babilonia, Tiro e il Lilibeo; 100:77 per il Tauro, Rodi e Cadice; 21 : 16 per Ate ne, Corinto e Carthago No va; 7:6 per Delfi, Taranto e le Baleari; 9:8 per Bisanzio, Roma e Marsiglia; 35:36 per Boristene, Aquileia e i Pirenei -n. Se si esci ude quello di 100:77, divisibile chiaramente per l O, il rapporto gnomonica piteano non ha confronti e viene spontaneo chiedersi quali furono le ragioni che spinsero Pitea a trovarlo allorché avrebbe potuto utilizzare coefficienti numerici inferiori, ad esempio 20:7 43 o 23:8 44 , ottenendo valori 38 L'opera di lpparco è menzionata da Theo Alex., In Ptol., l, 10. citato da A. Szab6, E. Maula, Les débuts de l'astronomie, cit., nota 33. pp. 190-191. w Si veda. in questo senso. A. Szab6. E. Maula, Les débuts de l'astronomie, cit.. pp. 142-169. A. Szab6 muove serie obiezioni alla tesi tradizionale. sostenuta tra gli altri da D. R. Dicks, The Geographical Fragments of Hipparchus, edited with an lntroduction and Commentary by D. R. Dicks, London, l 960, pp. 148-149, secondo cui i primi ad introdurre in Grecia la suddivisione della circonferenza in 360 parti sarebbero stati Ipsicle e Ipparco nel corso del II secolo a.C. 4 ° F II. A l DK = F 10, 8 l Colli = Diog. Laert., Vitae phil .. l, 25. 4 1 Vitruv., De arch, IX. 7, L 42 Plin., N.H., VI. 212·218. 4 J Suggerito da A. Szab6, E. Maula, Les débuts de /'astronomie, cit., pp. 103-104; corrisponde al rapporto 120:42. J4 Tale rapporto è supposto da B. R. Goldstein, The Obliquity of the Ecliptic in Ancient Greeck Astronomy, «Archives Intemationales d'Histoire des Sciences», 33, 1983, pp. 3-14, ora in Theory and Observation in Ancient and Medieva/ Astronomy, London, 1985, in pan. p. 12 (il volume mantiene la numerazione originale delle pagine degli articoli che vi sono raccolti); corrisponde a circa 120:41,7.
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della latit!Jdine di Massalia sufficientemente vicini a quello dato da 120:41,8. Secondo Arpad Szab6, il fatto che Pitea abbia fatto ricorso a numeri così elevati - forse grazie ad un metodo algoritmico di reciproche retrazioni o sottrazioni successive (àv't"ava:tp~at<; o à:v't"ucpa:ip~atç) che potrebbe essere stato introdotto da Eudosso, perché già noto a Platone45, oppure attraverso un più semplice procedimento di approssimazione 46 - si spiega solo con la necessità di ottenere la massima precisione nell'individuazione dell'angolo con lo gnomone; sarebbe stato infatti privo di scopo e di senso fornire un tale rapporto se non si fosse cercato di determinare l'arco corrispondente a partire dalla lunghezza della sua corda, cosa impossibile a farsi senza tavole di corde, di cui dunque occorre presupporre l'esistenza e l'utilizzo da parte di Pitea47. Si deve anzi supporre che l'opera di Pitea sia stata preceduta da altre ricerche in questo campo, a partire almeno da Enopide di Chio e dalla divisione del cerchio in 15 parti, ciascuna di 24048. Il rapporto gnomonica per la latitudine di Massalia si rivela interessante anche in vista di una ricostruzione del procedimento piteano leggermente diversa da quella proposta da Arpad Szab6. Infatti, il valore di 120 unità attribuito allo gnomone non solo corrisponde a quello adottato in seguito da Ipparco e Tolemeo per il diametro della circonferenza di riferimento, ma potrebbe essere stato scelto da Pitea proprio in quanto sottomultiplo della suddivisione della circonferenza in 360 parti. Adottando tale misura per lo gnomone e, di conseguenza, per il raggio della circonferenza gnomonica, egli poteva procedere nel proprio calcolo senza dover ricorrere alla costruzione di una circonferenza avente come diametro il segmento BD da rapportare ulteriormente con la circonferenza utilizzata per sviluppare la tavola di riferimento. Gli era sufficiente prendere il punto intermedio R sul segmento AB come centro di una nuova circonferenza di raggio AR (figura 3); tale circonferenza interseca la retta BD nel punto S, così che il segmento AS risulta essere la corda dell'arco corrispondente all'angolo 2o in una circonferenza avente come raggio la metà di AB, ovvero 60 unità, come nel modello tolemaico. Il triangolo ABS, in quanto inscritto in una semicirconferenza, risulta essere rettangolo, con~ = 90°. Pertanto, il segmento AS non è altro che l'altezza relativa all'ipotenusa del triangolo rettangolo ABD e risulta immediatamente quantificabile in termini moderni come il prodotto dei due cateti del triangolo gnomonica diviso per l'ipotenusa: AS = (AB-AD)/BD = 39,47. Questa relazione tra l'altezza e i lati di un triangolo rettangolo fu esposta da Euclide in anni molto vicini a Pitea 49, ma poiché essa non è altro che una conseguenza del teorema di Pitagora, e può dunque essere ritenuta molto più antica, è più che plausibile che Pitea ne fosse a conoscenza e ne avesse fatto uso in questa circostanza, ricavando in tal modo lo stesso valore sopra ottenuto con il ricorso al metodo tolemaico. Per concludere la misurazione, a Pitea occorreva solo una tabella di corrispondenza tra archi e corde tarata su una circonferenza
o
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Parmen, 154b-d. Sul fatto che tale pl"oecdimcnto, noto anche come algoritmo euclideo perché compare negli Elementi (VII, 1-3 ), fosse conosciuto già in età precedente, si vedano A. Szab6, E. Maula, Les débuts de l'astronomie, cit., p. 76~ D. H. Fowlel", The Mathematics of P/ato's Academy. A New Reconstruction, Oxford, 1987. pp. 31-66; P. Zellini, Gnomon .• cit., in part. pp. 171-193. 46 A. Szab6. E. Maula, l..es débuts de l'aslrotwmie, cit., p. 103. ~7 Szab6, E. Maula. Les débuts de l'm·tronomie, cit., pp. 105-106, 111-112 e 118 . ..sg A. Szab6, E. Maula, Les débuts de l'astronomie, cit., pp. 90-120. 49 Elemen., VI, 8.
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AB= gnomone ABD =triangolo gnomonica AD= ombra sostiz.iale estiva R =centro della circonferenza di riferimento per la tarntura della tabella di archi e corde e ve n tu al mente utilizzata da Pite:il ABS =triangolo rettangolo in S inscritto nella circonferenza con raggio AR = 60 uni là AS =corda sottesa alrarco AS corrispondente all 'angolo Ò alla circonferenza e all'angolo 2Ò ul centro (R).
Fig. 3. Ricostruzione della procedura probabilmente adottata da Pitea, L'utilizzo dello gnomone di I 20 unità consente di cosiruire direltamente su di esso la circonferenza di riferimento per calcolare il valore dell 'cm_·o AG.
avente un raggio di 60 unità, nella quale ricercare il valore dell'arco che più si approssimava alla corda trovata. A mio parere, pertanto, la scelta nel valore di 120 unità per lo gnomone non fu affatto casuale ma predisposta da Pitea al fine di ottenere una rapida equivalenza tra il cerchio gnomonico e quello utilizzato come riferimento, sul quale egli doveva in precedenza avere lestato una ampia gamma di valori di corrispondenza tra archi e corde, costituendo una tabella che gli consentiva la maggiore accuratezza possibile nella realizzazione della misurazione gno~ monica. Le precisione di quesfultima si spiega facilmente alla luce della ricerche svolte nel corso del viaggio; la latitudine di Massalia rappresenta infatti il riferimento esemplare necessario ad ancorare la griglia dì paralle.li costilUita a partire dalle diverse osservazioni astronomiche relative alla latitudine delle regioni raggiunte. Quanto alla possibilità che egli potesse disporre di una tabella di corrispondenze tra archi e corde, si deve osservare che nella sua epoca vi erano quanto meno le conoscenze necessarie per coslituirla, poiché i geometri greci avevano
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inscritto nella circonferenza numerosi poligoni, i cui lati non sono altro che corde sottese al rispettivo arco di circonferenza. Fra questi, il quadrato (con arco di 90°) e l'esagono (60°), il cui lato è uguale al raggio; dall'esagono si ricavavano con successive costruzioni geometriche: il triangolo equilatero ( 120°); il pentagono (72°) il decagono (36°), il cui lato corrisponde alla sezione aurea del raggio; il pentadecagono (24°); e diversi altri. Era infatti sufficiente bisecare l'arco corrispondente al lato di uno di questi poligoni per costruire, attraverso alcune applicazioni elementari del teorema di Pitagora condotte sui triangoli rettangoli risultanti dalla bisecazione, un nuovo poligono avente un numero di lati doppio rispetto a quello di partenza; e l'operazione poteva ripetersi numerose volte. Il risultato era la misurazione di archi sempre più piccoli e delle relative corde, rappresentate dai lati dei poligoni. Inoltre, noto il valore della corda di un dato arco, era facile ricavare il valore della corda d eli' arco complementare. Così, a partire dal fondamentale pentadecagono inscritto, di cui si conosceva il valore della corda e dell'arco, era relativamente semplice ricavare il valore di corde corrispondenti successimente ad archi di 12°, 6°, 3°, l 0 30', 45'. Va notato, a questo proposito, che si tratta di quei medesimi archi che Tolemeo otterrà in seguito attraverso lo stesso processo di dimezzamento dell'arco, anche se i suoi calcoli non saranno più effettuati a partire dal pentadecagono inscritto da Enopide, ma si gioveranno dell'utilizzo di alcune nuove formule 50 • Se la mia ipotesi coglie nel vero, lo gnomone di 120 unità sarebbe il risultato di una scelta consapevole da parte di Pitea e implicherebbe l'utilizzo di una circonferenza di riferimento con diametro di 120 unità e raggio di 60, costituendo il modello utilizzato nei secoli successivi da astronomi e geografi, fra i quali lpparco e Tolemeo. Comunque sia, l'importanza dell'osservazione gnomonica effettuata da Pitea e della griglia di latitudini stabilita per le regioni nord-occidentali dell'ecumene fu enonne. Il suo calcolo, eccezionalmente corretto51 , era e rimase a lungo, nell'antichità, tra i pochi basati su procedimenti matematici e astronomici. Svincolandosi dal relativismo delle distanze computate tramite la durata in giornate del viaggio, via terra o via mare, tra due distinte località, la latitudine di Massalia divenne uno dei capisaldi delle successive elaborazioni cartografiche di Eratostene e della tabella dei climi di Ipparco52 . Eratostene, a dire il vero, si limitò ad accogliere i risultati dell'indagine piteana, inserendo ad esempio il parallelo di Thule nella lista di paralleli che avevano come riferimento località poste approssimativamente sul meridiano di Alessandria e probabilmente proiettando sulla carta un nuovo meridiano occidentale. lpparco commise invece l'errore, gravido di conseguenze future, di coniugare impropriamente le latituPtol., Synt. math .• I. IO. La latitudine reale di Massalia è di circa 43° 18'; per questa e per le altre latitudini calcolate in tennini moderni faccio riFerimento a The Columbia Lippincott Gazetteer of the World, edited by L E. Seltzer, with the Geographical Research Staff of Columbia Universìty Press and with the Cooperation ~o
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of the American Geographlcal Society, New York, 1952, 1962, 19664 • 52 Per la ricostruzione della tabella dei climi di lpparco si veda D. R. Dicks. Hipparchus, cit., p. 193. Ulteriori e diversi tentativi sono stati effettuati anche da K. Mtillenhoff, Deutsche Altertumskunde. I. cit., pp. 335-349), che pure ricostruisce una più semplice tabella delle latitudini secondo Eratostene (pp. 331-335); A. Diller. Geographical l.LJtitudes in Eratosthenes, Hipparrhus and Posidonius, <~Klio>>, 27, 1934. pp. 258-269, in part. p. 265; G. Aujac in appendice a Strabon, Glographie, Tome I- l re pan.ie (lntmduction générale - Livre l), introduction par G. Aujac et F. Lasserre, textc établi et traduit par G. Aujac, Paris. 1969, pp. 195-197.
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dini piteane al meridiano delineato da Eratostene, collocando sul parallelo di Massalia calcolato da Pitea anche la città di Bisanzio, che al contrario si trova circa 2° più a sud53, ed alterando così tutto un insieme di dati astronomici e distanze ~he facevano riferimento a quest'ultimo centro e al meridiano di Alessandria. E il caso, ad esempio, di Boristene54, r antica città greca che sorgeva presso la foce dell'omonimo fiume55. che viene ad essere collocata 2° più a settentrione di quanto non sia in realtà, alla stessa latitudine rilevata da Pitea per le regioni settentrionali della Celtica56. Non è da escludere, inoltre, che anche altre latitudini settentrionali risentano, seppure in maniera opposta, di questo erroneo inserimento di Bisanzio sul parallelo di Massalia. Come si vedrà, infatti, i dati per alcune località presentano uno sfasamento di circa 2° tra la latitudine ricavabile dalle distanze in stadi - che traducono i gradi della tabella di Ipparco secondo l'equivalenza: l o = 700 stadi57 - e quanto invece espresso tramite le osservazioni della durata del giorno più lungo e dell'altezza del sole all'epoca del solstizio estivo; elementi, questi ultimi, che risalgono molto probabilmente all'indagine di Pitea. Poiché però Ipparco è unanimemente ritenuto uno tra i maggiori astronomi delrantichità, si è tentato di interpretare in altro modo le infonnazioni di Strabone in proposito. Una possibilità sarebbe quella di accreditare al solo Ipparco il rapporto gnomonica relativo a Massalia. In sostanza, lpparco, in possesso dei dati relativi alla durata del giorno più lungo a Bisanzio, avrebbe calcolato per via teorica il rapporto gnomonica trovando il valore 120:41,8; quindi avrebbe esteso tale valore anche a Massalia, in base ad un diverso ed ignoto rapporto che sarebbe stato rilevato da Pitea5s. Questa ipotesi non salverebbe comunque Ipparco dall'avere commesso l'errore relativo a Bisanzio. Inoltre, l'astronomo di Nicea avrebbe dovuto trasformare in un rapporto gnomonico, per altro inusuaJe59, il valore della durata del giorno più lungo, che è da lui normalmente utilizzato per il calcolo delle latitudini senza essere necessariamente associato ad altri tipi di rilevamento. Anche l'equivalente durata del giorno solstiziale di 15 h 15', riportata da Strabone60 , si adatta alla latitudine di Massalia e non a quella di Bisanzio, e non è pertanto, in ogni caso, osservazione personale di Ipparco; essa potrebbe essere stata ricavata da quest'ultimo attraverso il calcolo, a partire dali' osservazione gnomonica, ma potrebbe anche essere stata desunta dall'opera piteana, come dimostrano alcune analoghe osservazioni sulla durata del giorno solstiziale alle diverse latitudini settentrionali effettuate da Pitea nel corso del viaggio e sulle quali si tornerà in seguito. Vi è poi la testimonianza di Strabone, ribadita in ben
La latilUdine corretta è 41 o 5'. F 57 Dicks = Suabo, II, 5, 42. C 134-135. 55 Strabone, in questo e altri contesti, sembra riferire le osservazioni alla foce del fiume Boristene, ma è possibile che esse debbano essere rapportate alla città di Olbia, posta nei pressi della confluenza tra il Dnepr e il Bug (l'antico "ì"1ta vLc;). È infatti logico supporre che le osservazioni astronomiche circa la latitudine del luogo siano state effettuate presso il centro abitato e non presso la foce del fiume. Seguo pertanto D. R. Dicks, Hipparchus, cit .• p. 184, che riferisce le diverse osservazioni alla città, mentre G. Aujac, Strabon. II, ci t., nota l, p. 25 (pp. 130-131 ), le attribuisce alla foce del fiume. 56 F 11 Bianchetti = F 6b Mette = Strabo, II, L 12-13, C 71-72. 57 F 39 Dicks = Strabo, II. 5, 34, C 132. ss Così B. R. Goldstein, The Obliquity, cit., pp. 10-12. 59 Come sottolinea lo stesso Goldstein, The Obliquity, ci t.. p. l O. 60 II, 5, 41, C 134 = F 52 Dicks. 5.'
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tre distinte occasioni, il quale insiste sul fatto che Ipparco ed altri dopo di lui avevano attribuito Bisanzio alla latitudine di Massalia e che addirittura Ipparco non solo menzionava Pitea come propria fonte 61 , ma aveva rilevato egli stesso che il rapporto gnomonico a Bisanzio era lo stesso calcolato a Massalia da Pitea62 • Poiché ciò è affermato da Strabone, il quale riteneva addirittura che Massalia fosse ampiamente a meridione di Bisanzio e che anche a questo proposito cercav a in ogni modo di screditare l'opera di Pitea63. mi sembra che la notizia della dipendenza di Ipparco da Pitea debba essere tenuta in seria considerazione. Infine, vi è l'evidenza costituita dal fatto che il rapporto gnomonico corrisponde esattamente alla latitudine di Massalia e non a quella di Bisanzio. La misurazione piteana pertanto era corretta e non è necessario supporre per essa un diverso rapporto non testimoniato da alcuna fonte. Avendo a disposizione rilevamenti effettuati forse di persona a Bisanzio che corrispondevano alle osservazioni e alla misurazione gnomonica compiute da Pitea a Massalia, ma evidentemente di minore valore e accuratezza, Ipparco non aveva alcuna necessità di rielaborare i dati piteani in una fonna più complessa64; più semplicemente, egli fu indotto a ritenere che i due centri si trovassero sullo stesso parallelo e preferì mantenere le indicazioni piteane. Questo errore di valutazione di lpparco rispetto alla posizione reale di Bisanzio, per altro, non appare neppure rilevante se comparato a quello commesso da Strabone, che riteneva Massalia più meridionale di Bisanzio. Allo stesso modo ritengo che debba essere scartata l'ipotesi mirante a imputare a Strabone o ad una fonte intermedia l'errore di avere confuso le infonnazioni fornite da Ipparco e relative a due distinti paralleli, quello di Bisanzio, grosso modo coincidente con quello passante per l'Ellesponto, e quello di Massalia. I due paralleli in questione facevano parte della tabella di Ipparco, nella quale Bisanzio non doveva essere menzionata, così come non è menzionata nella corrispondente tabella di Tolemeo. L'autore dell'errore avrebbe allora semplicemente invertito il parallelo nel quale collocare Bisanzio, il XIV in luogo del Xlll 65 • Tale ipotesi, tuttavia, oltre a negare ogni affidabilità a Strabone, tiene conto solo dei dati tolemaici desunti dalla Syntaxis mathematica 66 , da cui è tratto il parallelo con lpparco, ignorando del tutto quanto lo stesso Tolemeo aveva indicato nella Geographia. Nel primo caso. i passi di Strabone sono a mio parere fin troppo chiari ed espliciti; egli aveva avuto modo di consultare direttamente 1' opera di lpparco, per cui sono da escludere intermediari, e, anche se effettivamente non aveva le conoscenze necessarie per comprendere pienamente la questione della misurazione della latitudine67 , difficilmente avrebbe potuto ripetere in tre punti distinti dell'opera il medesimo errore, per di più citando esplicitamente Ipparco. Quanto alla corrispondenza eventuale tra la tabella di Ipparco e quella di Tolemeo, va notato che quest'ultimo, se non menziona Bisanzio nella Syntaxis mathematica, non esita a porla alla stessa latitudine di
M
62 63 64 65
F 55 Dicks = Stra bo, Il, 1, 12, C 71; F 54 Dicks = Stra bo, II, 5, 8, C 115. F 53 Dicks = Strabo, I, 4. 4. C 63. II, 5. 8. C 115. Come invece sostiene B. R. Goldstein, The Obliquity, cit., p. 12. A. Szab6, E. Maula, Les débuts de l'astronomie, cit., pp. 99-101.
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Il, 6.
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Cfr. G. Aujac, Strabon, l, cit., p. 44.
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Massalia nella Geographia68 ; e ciò, qualora si tenga presente l'influenza esercitata da Ipparco su Tolemeot sembra deporre ulteriormente a favore del fatto che già l'astronomo di Nicea avesse operato il medesimo posizionamento. D'altra parte, lp parco aveva la necessità di far corrispondere in qualche modo la griglia delle latitudini in suo possesso, risalente a Eratostene e riferita al meridiano passante per Siene e Alessandria, con le informazioni e la griglia delle latitudini stabilita da Pitea e che probabilmente già Eratostene aveva organizzato su uno o più meridiani occidentali (Cadice, Promontorio Sacro, Artabri, Cassiteridi; Massalia, Celtica settentrionale, Britannia meridionale, Britannia settentrionale, Thule). La possibile coincidenza tra Massalia e Bisanzio favoriva tale compito, fornendo anche le corrispondenze tra località e regioni settentrionali poste su distinti meridiani ma sullo stesso presunto parallelo. In conclusione, ritengo che non debbano esservi dubbi circa l'attribuzione a Pitea della misurazione gnomonica relativa a Massalia e, altresì, circa l' attribuzione ad lpparco dell'erronea collocazione di Bisanzio alla latitudine di Massalia.
II.2 -L'itinerario iniziale L'importanza di Massalia come luogo di raccolta per informazioni di natura geografica è segnalata per epoche posteriori da almeno due episodi che ebbero come protagonisti Polibio e Posidonio. Il primo, ispirato dai resoconti piteani sui quali era bene documentato 69 , vi si era recato assieme al suo protettore e discepolo Scipione Emiliano con l'intento apparente di raccogliere informazioni sulla Britannia70 • L'indagine di Polibio e Scìpione mirava molto più probabilmente e in maniera recondita a fare luce sulle rotte commerciali lungo le quali lo stagno delle terre settentrionali affluiva a Massalia; vie la cui esistenza è
Il, 1 l, 5. in cui è riportata la latitudine di 43° 5' per Bisanzio, In ste~sa rilevata per Massalia (fl, 10. 8); si veda anche Geogr-.. I, 23. 14 e III. 13. 25. Nella Synt. math., n. 6, Tolemeo fornisce per Massalia la latitudine di 43° 4'. La differenza di circa 9' rispetto al calcolo sopra riportato (43° 14 1 ). effettuato sulla tabella tolemaica, dipende quasi certamente dalla diversa misura dell'obliquità dell'eclittica. che si suppone fosse valutata da Pitea in 24", in base ai calcoli di Enopide, mentre per Tolemeo corrispondeva approssimativamente a 23" 51' 15" (S:mt. matlz .. l, 12). 69 Come dimostra il fatto che alcune delle principali testimonianze di Strabone sull'opera di Pitea derivino dal perduto XXXIV libro delle ·I,.~optcxl di Polibio. Va anzi rilevato che Polibio. al contrario di Strabone, sembra avere conosciuto direuamenete l'opera piteana. senza alcun filtro o mediazione, poiché, apprestandosi alla descrizione dell'Europa, egli dichiara espressamente di non volersi soffermare sugli autori più antichi, ma di prendere in esame solo le opere di coloro ne hanno fatto la critica. ovvero: Dicearco, Eratostene e Pitea (Polyb., XXXIV. 5. t Btittncr-Wobst = Strabo. II. 4. l. C 104 = F 7b Bianchetti= F 7a Mette). Dal che si potrebbe anche dedurre che l'opera di Pitea conteneva unn critica ai predecessori. 70 Polyb.. XXXIV, IO, 6-7 Btittner-Wobst = Strabo. IV. 2, l, C 190. Secondo P. Pédech. La métlzode histor-ique de Pof.vbe, Paris, 1964, pp. 555-558, l'inchiesta sarebbe stata svolta a Massalìa e Narbo nel 151 a.C .• mentre Sci p ione Emiliano era diretto in Spagna, in qualità di tribuna militare, ed aveva al suo seguito Polibio. F. W. Walbank ritiene che Scipione si sia fermato solo a Massalia, ma non all'andata, bensì al suo ritorno dalla Spagna, nel 150 a.C. (Polybius, Sather Classica! Leclures. vol. 42. Berkeley-Las Angelcs-London, 1972, p. 127. Id .• A Historic:a/ Commentary on Polybius, vol. III, Commenta')· on Books XIX-XL, Oxford. 1979. p. 612). Stando al testo ~traboniano, il Walbank ha certamente ragione per quello che riguarda la sosta nel solo centro di Massalia, ove dovevano trovarsi anche gli informatori. o presunti tali. provenienti da Korbilon e Massalia. Del tutto erronea è invece la collocazione a Korbilon dell'indagine svolta da Scipione sostenuta da N. Parisio, Pitea da Mar-siglia. «Rivista Geografica Italiana», II. 1895, p. 510. 68
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testimoniata da Diodoro e Strabone7 1• Lo smacco al quale Polibio e Scipione andarono incontro, non riuscendo ad ottenere notizie né dai Massalioti né da coloro che provenivano da alcuni importanti centri della Celtica, come Narbo e Korbilon. quest'ultimo un antico emporio alla foce della Loira, fu uno dei motivi che determinarono le aspre critiche rivolte dallo storico a Pitea. Costui fu accusato di avere esagerato l'ampiezza delle proprie esperienze o, peggio, di essersi inventato di sana pianta i resoconti relativi a Korbilon e alla rotta dello stagno che portava alle Isole Britanniche. Stando infatti a Polibio, Pitea pretendeva di essere giunto ai confini del cosmo stesso. di aver percorso ed esplorato tutte le regioni settentrionali dell'Europa e le sue coste oceaniche da Cadice al Tanais, di descrivere regioni e fenomeni che non avevano invece alcuna corrispondenza nella realtà, di menzionare popoli e luoghi che nessun altro conosceva o di cui non si era mai sentito parlaren. Appare pertanto implicito il riferimento a Pitea allorché lo storico di Megalopoli afferma di non essersi soffennato a parlare dello stretto delle Colonne d'Eracle né dell'oceano e delle sue caratteristiche né delle Isole Britanniche e dell'estrazione dello stagno, o delle miniere d'oro e d'argento dell'Iberia; argomenti dei quali gli scrittori, quasi a gara l'uno con l'altro, erano soliti parlare molto e a lungo, finendo per contraddirsF3. La seconda e fondamentale accusa mossa da Polibio era che tali imprese erano impossibili da realizzare da parte di un semplice uomo senza mezzi, senza sostegno politico ed economico7~. Come poteva infatti Pitea sostenere di aver compiuto una simile esplorazione, per terre e mari tanto lontani, quando Scipione e lo stesso Polibio, con alle spalle il potere politico ed economico di Roma, non erano stati in grado di raccogliere aJcuna informazione, sui luoghi descritti da Pitea, nella stessa Massalia e presso persone provenienti dai centri nei quali Pitea diceva di aver raccolto le proprie? Nessuno ne sapeva nulla; pertanto, l'unica risposta possibile era che Pitea aveva mentito, i suoi resoconti erano falsi e completamente inventati. e lo storico greco poteva tranquillamente affermare che quanti scrivevano o pretendevano di sapere qualcosa sulle regioni settentrionali dell'Europa in realtà non ne sapevano nulla e non facevano altro che inventare favole 75 • Le regioni occidentali e settentrionali dell'Europa rimanevano inesplorate e Polibio poteva tranquillamente vantare di essere colui che aveva dischiuso ai Greci la conoscenza dell'occidente 76, cancellando con un colpo di spugna il passato. Tale critica finisce per ritorcersi contro di lui. Poiché, se è più che ovvio che prima del 11 secolo non potesse esservi il potere romano a favorire con la conquista la conoscenza di queste regioni, è altrettanto evidente che prima dell'arrivo delle armate romane in Gallia e in Iberi a vi erano stati centri come Massalia, C ad ice e Cartagine, il cui potere e le cui diramazioni, attraverso l'impianto di colonie e le relazioni commerciali, non erano stati certo irrilevanti. Ed è inne-
71
Diod., V. 22.4: V. 38, 5; Strabo. IV, l, 2. C 177: IV, l. 14. C 1RR-IR9: IV, 5. 2. C 199. Polyb.. XXXIV, 5, 1-9 Btittner-Wobst = Strabo. II, 4, 1-2, C 104. 1 ~ Polyb., III, 57, 2-3. Si veda anche Polyb., III, 57,7-9 e m. 58, con le diverse critiche rivolte a costoro. 74 Polyb.. XXXIV, 5. 7 Bi.ittner-Wobst = Strabo, ll. 4. 2, C 104. 15 Polyb., III. 37. Il c III. 38. 2-3. Sull'opinione che Polibio aveva della conformazione delle regioni settentrionali dell'Europa si veda R. Dion. Aspects po/itiques, cit., pp. 223-230. 76 III. 59, 3-9: cfr. anche III, 58, 5-9, sulle difficoltà che avevano precluso ai Greci ogni conoscenza reale dell'occidente prima dei suoi viaggi. 72
56
Il viaggio di Pitea sull'Oceano
Oc(>ano Atlantico
/
Rotta di andata Rotta di ritorno
Fig. 4. Possibile ricostru:.ione del
~·iaggio
di Pitea.
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Da Massaiia a Cadice
gabile che gli autori, compreso Strabone, che si occuparono di storia, geografia ed etnografia successivamente a Poli bio usufruirono certo di nuove acquisizioni, dovute appunto all'espansione romana, ma in gran parte recuperarono proprio quei saperi che Polibio aveva tentato di cancellare. Inoltre, i risultati ottenuti da Polibio, nonostante il potere romano alle spalle, si rivelarono in questo caso particolarmente scarsi, inducendolo non solo alla negazione di ogni conoscenza sulle regioni settentrionali ma anche al contraddittorio ricorso a quelle stesse fonti d'informazione tanto biasimate costituite dai commercianti provenienti da Narbo e Korbilon. In questo smacco, indubbiamente, anche se non si vuole vedere l'origine della critica ai predecessori, che fa piuttosto parte di un modus operandi tipico della storiografia antica, si può individuare il motivo della sua asprezza soprattutto nei confronti di chi, come Pitea, affermava di avere ottenuto notevoli risultati. In seguito. il fatto che le ambizioni di Poli bio fossero rimaste frustrate non impedì a Posidonio, che conosceva bene l'opera piteana, di effettuare una sosta a Massalia per compiervi indagini sul territorio e sulle popolazioni della Celtica77 , e per raccogliervi notizie su quelle vie commerciali la cui esistenza, nascosta a Polibio per evidenti interessi economici, è tuttavia nota da altre fonti e testimoniata dai rinvenimenti archeologici 78 . Proprio la certezza dell'esistenza di vie interne alla Celtica, unita a quella dell'esistenza di un impenetrabile «blocco» dello stretto di Gibilterra da parte di Cartagine, ha dato adito ad alcune ipotesi di un iniziale itinerario continentale del viaggio di Pitea: un tragitto terrestre attraverso l'istmo narbonense e la Garonna fino all'attuale Bordeaux~ ove egli avrebbe allestito la flotta per il prosieguo del viaggio79 ; oppure la risalita del Rodano per poi piegare verso
77
=
FGrHist .. 87 F 58a = F 269 Edelstein-Kidd = F 25 Theiler Straho, III, 4, 17, C 165, sull'ospitalità e i raccomi resi a Posidonio dal massaliota Charrnolao. Sul periplo mediterraneo di Posidonio si rimanda a M. Laffranque, Poseidon;os d'Apamée. Essai de mise au point, Paris, 1964, pp. 77-86, in part. pp. 82-85 per la sua presenz.a a Massalia o, comunque, nel suo Lerritorio. La studiosa data il viaggio di Posidonio al periodo compreso tra il 101 e il 91 a.C. (pp. 66-67): diversamente J. Desanges, Recherr:hes sur J'activité des Méditerranéens, cit., p. 154, in base ai riscontri presenti nel resoconto relativo all'impresa di Eudosso di Cizico (FGrHist .• 87 F 28 = SLrabo. II. 3. 4, C 98-1 00). lo data al periodo compreso tra il li O e il 104 a.C. Secondo J. Ma1itz, Die l/ìstorien des Posidonìo.s, Munchen, 1983, p. 13,1'inizio del viaggio sarebbe tuttavia poco verosimile prima del 102 a.C. 711 Sull'antichità di Korbilon e la sua importanza, segnalata dai rinvenimenti nell'area. si veda J. R. Marechal, Les re/ations emre /es dépots de l'age du brcm:.e et la roure Corbilo-Agarhe à partir du VIII~ sièc/e a.C., <
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
Korbilon, seguendo il corso della Loira~o. o proseguire verso la Manica, lungo la Senna81 • In realtà, tutto ciò che si può estrapolare dalla testimonianza polibiana è che Pitea aveva riferito notizie sulla Britannia e che molto probabilmente aveva parlato di relazioni esistenti fra l'isola e i centri di Korbilon, N arba e Massalia. Nulla invece lascia supporre che egli si sia imbarcato a Korbilon, piuttosto può avervi fatto tappa e raccolto informazioni. Cosa che invece non riuscì a Scipione Emiliano, che non si sarebbe preso il disturbo di fare indagini sulla Britannia a Massalia e presso persone provenienti da Korbilon e N arba se non avesse saputo, evidentemente tramite le notizie riferite da Pitea, dell'esistenza di precise relazioni tra questi centri e la Britannia. Se Scipione non giunse ad alcun risultato, fu probabilmente perché nessuno volle rivelargli alcunché sulla Britannia 8 ~. I commercianti e i marinai erano soliti mantenere segrete le proprie mete e le proprie rotte; azione tanto più giustificabile, in questo caso, da parte di quei Greci e di quei Celti della Gallia che, pur mantenendo ancora la loro autonomia, avvertivano ,il peso crescente e minaccioso dell'imperialismo di Roma sui loro commerci. E ovvio che dopo un tale smacco subito dall'amico, protettore e discepolo. Polibio non potesse accettare il successo di Pitea che metteva in cattiva luce tanto la sua figura di geografo quanto la portata del potere romano. Ancora più fragile è il sostegno fornito a queste ipotesi di un iniziale tragitto interno alla Celtica da un breve passo di Avieno 83 , nel quale, secondo alcuni editori e commentatori, sarebbe menzionata l'esistenza di un percorso interno della durata di sette giorni che metteva in comunicazione r Atlantico e il Mediterraneo tra il golfo di Guascogna (o Biscaglia) e quello del Leone 84 . In realtà. l'indicazione del percorso interno si regge su un emendamento al testo di Avicno, con la sostituzione al verso 151 di pediri viae al tràdito reditu viae. L'idea dell'esistenza di un «blocco» dello stretto di Gibilterra probabilmente ha consigliato sia l'emendamento sia la sua adozione da parte degli studiosi. Poiché
Ku W. Aly. Strabon von Amaseia. Untersuclwngen iiber Text. Aujbau und Quellen der Geographika. in Straborzis Geographica. 4. Bonn. 1957. p. 465. ~~ Enuambe le ipotesi (Rodano-Loira o Rodano·Senna) vennero avanzate, tra gli altri. da R. Hennig (Die westlichenund nordlidlen KultureinjWsse auf die antike Mitte/meen-relt, «Kiio)>, XXV. 1932. pp. I 5-16). il quale. in un successivo lavoro j Terrae lncognitae. Eine Zusammenslellung tmd krilische Bewertung der wiclztigsten \'orkolumbischen Emdeckungsreisen an Hand der dariiber rorliegenden Origina/berichte, I. Altertum bis Ptolemiius. Leiden, 1936. pp. 126-128). introdusse l'alternativa rappresentata dall'istmo narbonense, poi accolta anche da F. Benoit. Lo compétition commerciale des Plréniciens et des Hellène.\'. Ambiance ionienne au ro.vaume de Tanessm;. ò(RSL)>, XXX. 1964. p. 132. Su tali ipotesi si veda F. Gisinger. s. l'. Pytheas. cil .. col. 324. con bibliografia ulteriore. M~ Così anche D. Timpe. Der keltische Handel nach Jristorischen Quellen. in Untersuchungen ::11 Hande l un d Verkelzr der \•or· und friihgeschichtlichen Zeit in Mitre/- un d Nordeuropa, I. ci t., in p art., pp. 266-267. secondo cui gli im·iati delle tre città ritennero opponuno lasciare all'oscuro i Romani circa la Britannia. s~ Ora mar., vv. 148-151. ~ B. Luiselli non solo ritiene che Pìtea abbia seguito la via indicata nei versi di Avieno e che abbia fano costruire la sua flotta a Bordeaux. ma sostiene anche che la fonte massaliota di Avieno non sia altro che Eutimene (Sroria culturale, cit., pp. 97-98; cfr. inoltre pp. 67-73). Ipotesi, 4uesl'ultima, per altro già espressa, ma solo in forma dubitativa. non essendoci altri candidati conosciuti. da A. Schulten (Avienu.~. ci t., pp. 16-17), il quale mantenne comunque la più totale indeterminazìone circa l'autore del peri pio. Lo stesso Schulten, commentando il passo in questione, vi vide un'allusione ad una antica via interna che univa il golfo di Guascogna al Mediterraneo, ma collegò tale via agli antichi percorsi dei ~.:ommer cianti focei in altemativa alla rotta marittima, ritenendo che Pitea avesse seguito quest'ultima (pp. 30· 31 e 99).
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Da Massalia a Cadice
oggi, come si vedrà in seguito, l'idea del «blocco» è da abbandonare definitivamente, pare consigliabile tornare al testo tràdito, nel quale il percorso di ritorno viene inteso chiaramente come viaggio marittimo dal golfo di Guascogna al Mediterraneo lungo le coste atlantiche de li 'lberiass. Inoltre, le ipotesi di un iniziale tragitto terrestre contrastano con quanto è possibile ricostruire della prima parte del viaggio piteano a partire dalle affermazioni di Polibio, riferite e fatte proprie da Strabone, circa l'influenza esercitata dalle ricerche piteane su Eratostene. Stando infatti ai suoi detrattori, lo studioso cirenaica non possedeva una conoscenza diretta delle regioni occidentaliB6, ma, nonostante alcune perplessità8 7, aveva prestato fede a Pitea per quanto riguardava le Isole Britanniche, Cadice e l'lberia88. Già in base a questa sola, ma grave, affermazione di Polibio, dunque, l'intero quadro occidentale della rappresentazione ecumenica di Eratostene risentirebbe dell'influenza dell'opera p i teana. in particolare riguardo alle regioni iberiche89. Né mancano ulteriori e precisi riscontri a quanto affermato, poiché Artemidoro, a sua volta, ricusava alcune di quelle notizie che Eratostene aveva accolto e ne confermava l'origine piteana; ed esse rimandano precisamente all'avvenuto compimento del periplo iberico, trattandosi della menzione della distanza di 5 giorni di viaggio tra Cadìce e il promontorio Sacro. della notizia che qui avevano tem1ine le maree, il cui ciclo avvolgeva l'ecumene, e dell'osservazione che le coste settentrionali dell'lberia erano più facilmente percorribili (letteralmente di più facile approdo-accesso) in direzione della Celtica che attraverso roceano90 . D'altra parte, come si è notato, lo stesso Pitea affermò di a vere percorso tutta la costa oceanica dell'Europa da Cadice al Tanais9 1, o meglio a quella che egli ritenne essere la foce settentrionale del Tanaìs o la sua controparte nordica; ed una tale affermazione non può essere concepita se non comprendendo evidentemente anche le sponde iberiche. Gli stessi Polibio e Strabone, che non persero
xs L. Antonelli, Il periplo 1zascosto, cit., pp. 48-50, 80 e 159. ~ 6 F III B. 96 Berger = Strabo, IL l, 41, C 93: secondo Strabone. Timostene, Eratostene e i loro predecessori ignoravari"o completamente l' lberia, la Celtica e ancor più la Germania e la Britannia. così come le regioni abitate dai Geti e dai Bastami. Leggendo tra le righe mi pare lecito supporre che gli autori compresi nella critica straboniana, Eratostene in particolare, non avessero una conoscenza personale di queste regioni, ma ne parlassero milizzando altri lestimoni. Ciò è estremamente imeressante sopr.attutto nel caso della Germania, poiché la comparsa di tale nome è generalmente datata al I secolo a.C. 87 Non è affatto chiaro che cosa si debba intendere per queste perplessità. poiché dalle diverse testimonianze non emerge alcun riscontro e, anzi. Eratostene sembra avere accolto senza riserve l'opera di Pitea. ss Polyb .. XXXIV. 5, 8 Bi.ittner·Wobst Strabo. IL 4, 2, C 104: Tòv ò' 'Ep~-roo-6iliYJ
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Òtanop·~o:ro.v'!O., e:t XPTJ itl-:J"'t"EUE~'.I 'tou-ro~c:;, OtJ-<1)(; rte:pt -re: 't·~c:; Hpe:'t"'t"O.'II~><~c:; 7te:7t~o:r-rwxi'llat xaì -rtt)'\1 xo.~à. f'
affermava Eratostene a proposito dell'utilizzo di fonti che non poteva verificare sulle regioni più remote, ovvero che si sarebbe limitato a riportarnc i dati, intendendo con ciò le distanze tra un luogo e l'alno, intervenendo eventualmente solo per precisare se queste erano computate in linea retta o meno. poiché fra loro non erano omologabili (F III B. 66 Berger = Strabo, IL L 41, C 93). Che anche le critiche di Strabone a Eratostene riportate alla nO(a precedente mirassero indirettamente a Pitea, in quanto fonte de.llo studioso Cirenaico per le regioni occidentali, è evidente (cfr. G. Aujac, Strabon, II. cit., nota 3, p. 53 (p. 141 )), c tanto più significativo per la menzione in quel contesto della Germania. 89 Come conferma ancora Polyb., XXXIV, 7. 6 Btittner-Wobst Strabo. Il, 4. 4, C 107: llaÀtv ÒÈ
-roCrro tJ-È" òpOwç 90 91
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F 11 Stiehle = Strabo, Hl, 2, Il. C 148 = F III R, 122 Rerger. F 8d Bianchetti = F 7a Mette= Strabo, 11, 4, 1, C 104.
Il viaggio di Pitea sull'Oceano
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occasione per mettere in dubbio la veridicità ed affidabilità dei resoconti piteani tanto per le regioni conosciute quanto per quelle sconosciute, sembrano ammettere la realtà del viaggio, almeno per quanto riguarda le coste mediterranee dell' lberia. Essi ne rifiutano semmai il prolungamento verso le estreme regioni nordiche dell'ecumene, con la conseguente scoperta piteana dell'esistenza di terre e popolazioni ben oltre quelli che erano i confini generalmente ammessi del mondo abitabile92. Sui singoli riferimenti si tornerà in seguito, ma essi dimostrano inequivocabilmeqte la necessaria attuazione del periplo delle coste iberiche da parte di Pitea. E possibile allora affermare che Pitea non utilizzò la via Aude-Garonna né la via Rodano-Loira che conduceva al porto celtico di Korbilon né, tanto meno. la via Rodano-Senna. Le vie interne alla Celtica appaiono infatti controllate dalle popolazioni locali e, benché la presenza di commercianti ed avventurieri massalioti sia attestata almeno lungo la valle del Rodano9 3, non è affatto certo che essi si siano spinti anche fino ai porti dell'Atlantico o della Manica, risalendo o discendendo le grandi vie continentali formate dai maggiori corsi d'acqua e lungo le quali l'ambra frisone o baltica e lo stagno britannico e bretone erano trasportati fino al Mediterraneo94. Le osservazioni di Polibio, Artemidoro e Strabone circa il credito dato a Pitea da Eratostene giustificano a mio avviso il ricorso ad un novero più ampio di testimonianze rispetto a quelle accolte nel corpus piteano, con l'acquisizione di elementi utili al chiarimento di taluni aspetti delle ricerche di Pitea; soprattutto in considerazione della molteplicità dei passaggi da autori diversi cui il materiale piteano è stato sottoposto e, di contro, del fatto che proprio Eratostene fu uno dei pochi che ebbero modo di utilizzare direttamente la sua opera. Diviene dunque possibile illustrare con maggiori dettagli alcune parti del viaggio, benché risulti vano il tentativo di ricostruire il suo itinerario lungo le coste iberiche tappa per tappa, giorno per giorno, come taluno ha fatto 95 , né è possibile, più in generale proporre un quadro esaustivo dei suoi movimenti e spostamenti o, ancor più, determinare i rapporti cronologici e la durata del viaggio stesso96. 1
'.Il
43.
Oltre ai passi già citati, si veda Strabo. I. 4, 3, C 63: II. 4. 1-2. C 104: Il, 5. 8. C 114-115: II. 5.
c 135-136.
Cfr. F. Perrin. C. Bellon. Mobilier d'origine et de filiation méditerranéennes. cit.. pp. 423-426. 94 Cfr. D. Timpe, Der keltisclle Handel nach historisclzen Quellen. cit.. pp. 258-266. sul sistema di vie fluviali all'interno della Celtica. e pp. 267-284. sulle basi storiche e sociali dei commerci che lungo questi assi si svolgevano; Id., Griechischer Handel nach dem niirdlichen Barbaricam (nach historische" Queller~). in Umersuchungen :::u Handel und Verkehr der vor- und fruhge~;chichtlichen Zeit ù1 Mittelund Nordeuropa, I. cit .. in part. pp. 202-209, sul commercio massaliota verso l'interno celtico. Si veda anche M. Clavei-Léveque, Marseille grecque, cit., pp. 20-24; 31-32; 50-54. 95 G. V. Callegari, Pilea di Massilia, cit., VII, 4, 1903, pp. 712-713. Inoltre: N. Parisio. Pitea. cit., p. 515; R. Carpenter, Beyond the Pillars of Heracles, ci t., pp. 154~ 157. 96 Cfr. G. Broche, Pythlas le Massaliote, découvreur de J'extrème ocddent er du nord de l'Europe (tV~ siècle av. J.-C.), Paris, 1935. in pan. pp. 239-242, ove viene presentata una tabella completa delle tappe e dci giorni di viaggio e vengono discusse alcune ipotesi precedenti. Secondo il Broche, Pitea avrebbe impiegato un minimo di 187 1/2 giorni di viaggio, aggiungendo ai quali le soste egli ottiene la cifra minima totale di 287 giorni (si veda la recensione di G. Radet, <(REA~). XXXVIII. pp. 356-358, all'opera del Broche c il suo atteggiamento giustamente critico a questo riguardo). Recentemente C. H. Roseman, Pytheas, cit., p. 6, ha invece espresso l'opinione che Pitea debba avere impiegato un minimo di due anni per completare il viaggio. Purtroppo. non conoscendo con precisione le tappe, gli spostamcnti, 93
Da Massalia a Cadice
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Ne consegue, pertanto, che le misure fomite da Eratostene per le dimensioni d eli' lberia, quali quella di 7.000 stadi tra Massalia e le Colonne d'Eracle e quella, compresa nella precedente, di 6.000 stadi tra i Pirenei e le Colonne, debbono essere fatte risalire verosimilmente a Pitea97. Ne è conferma, alla pari di quanto si è detto a proposito della tabella dei climi di lpparco, il riferimento a Massalia, punto di partenza di un percorso allo stesso tempo reale, il periplo, e ideale, in quanto rappresentazione cartografica. Il computo di tali distanze mostra chiaramente di derivare dalla logica equivalenza di 1.000 stadi per ogni giorno di viaggio98, secondo un rapporto ricavabile anche da altri contesti e che venne adottato da Eratostene per riportare sulla carta i dati piteani espressi in giorni di viaggio. Un riscontro assai vicino è quello ricavabile dall'antico periplo massaliota contenuto nell'Ora maritima di Avieno99 , in cui la distanza tra le Colonne d'Eracle e Pirene era segnalata in 7 giorni di viaggio, mentre da Pirene a Massalia sono previsti 2 giorni e 2 notti 1oo. È dunque strano, almeno apparentemente, che Strabone pur approvando in più occasioni le critiche mosse da Polibio ad Eratostene, fra le quali appunto quella di avere prestato fede a Pitea riguardo all'lberia, in questo caso preferisca i dati eratostenici a quelli forniti in alternativa da Polibio. Questa accoglienza benevola da parte di Strabone risulta ancora più sorprendente allorché si prenda in considerazione una testimonianza ulteriore che, per quanto si è detto dell'utilizzo dei dati piteani da parte di Eratostene, risale con buona probabilità al Massaliota. Si tratta della menzione della città di Tarragona da parte dello studioso di Ci rene, con l'attribuzione ad essa di un porto 101 . A questo proposito, va infatti osservato che fra le scarse testimonianze di Eratostene sull'lberiai02,
i mezzi impiegati. le rotte seguite o la durata di eventuali soste. ogni ipotesi in la.] senso è chiaramente gratuita. Altrettanto privo di senso è il lentatìvo compiuto da C. Jullian. Himilcon et Pytlreas, «lS», 1905. p. 98, di quantificare in stadi il percorso piteano. n F III B. 119 Berger = Polyb .. XX.XlV, 7, 3 Bi.inner~Wobst = Strabo. Il, 4, 4, C 106. A queste misurazioni Polibio oppone le sue: 9.000 stadi da Massalia e 8.000 dai Pirenei. Ma lo stesso Strabone attribuisce la ragione allo studioso di Cirene e, indirettamente, al bistrattato Pitea. Per quanto riguarda Eratostene, le sue conoscenze relative aii'Iberia e l'utilizzo che egli fece di Pitea a questo proposito, si rimanda alla recente sintesi dì J. M. Alonso-Nufiez. La vision de la Péninsule Jbérique chez /es géogmphes et !es historiens de l 'époque hellénistique ( Études sur Timée de Tauroménium el Eratosrhène de ()rene), in Opes Atticae. Miscellanea philologica et historica R. Bogaert et H. Van Looy obinta. edidit M. Geerard. adiuuamibus 1. Desmet et R. Vander Plaetse, The Hague, 1990, in part. pp. 5-8, con ampia bibliografia. Sulla probabile influenza di Posidonio sul giudizio negativo di Strabone nei con~ fronti dei dati polibiani e, al contrario, stranamente positivo nei confronti di Pitea. si veda J. MaliLZ, Die Historien, cit., p. 96. ~l! Cfr. H. Berger. Eratosthenes, cit., p. 367; per l'equivalenza tra il tragitto percorribile in un giorno e una notte di viaggio e la distanza di 1.000 stadi. si vedano anche: A. Schulten, Avienus, eH •• p. 29: A. Peretti, Ti Periplo di Sci/ace, cit., nota 31, p. 35. 99 Vv. 562·565. IOO V. 699. Va sottolineato che A. Schulten nel suo commento (Avienus, cit., pp. 29 e 139·140) sostenne l'ipotesi che in realtà la prima distanza dovesse essere compula.ta a partire dall'antica Tartesso. non dalle Colonne. e che Avieno avesse confuso le due località. così come confonde Tartesso con Cadice (Ora mar., vv. 85-89; cfr. anche Plin., N.H., IV. l 19); tuttavia. lo Schulten giunse ad attribuire al percorso tra Pirene e Massalia la strana durata di due giorni e una notte (pp. 29 e 148·149), che non compare nell'Ora maritima ma nel Periplo attribui to a Scilace di Carianda ( § 3, in GGM, I. p. 17). 1o1 F III B. 120 Berger = Strabo, 1114. 7, C 159. 1m FF Ili B, 119~ 123 Berger: si veùa anche A Schullen, ròntes Hispaniae Antiquae, II. 500 a. de J.C. hasta César. edici6n y comentario, Barcelona, 1925, pp. 114-119, ove sono raccolti ulteriori riferimenti per un totale di 15 testimonianze, che per altro il Berger ha inserito in contesti diversi ali' interno dell'opera geografi ca di Eratostene.
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11 viaggio di Pitea sull'Oceano
una è esplicitamente dettata dall'utilizzo delle infonnazioni piteane103; due riguardano la conoscenza dell'Iberia, di Cadice e delle popolazioni che vivono lungo la costa esterna della penisola 104 , e le già menzionate distanze tra Massalia, le Colonne e i Pirenei 105, notizie per le quali si può supporre una origine p iteana in base a quanto precedentemente affennato da Polibio e Strabone 106; un'altra testimonianza consiste in un breve e decontestualizzato riferimento a CadicelO?, mentre l 'ultima è appunto quella relativa a Tarragona. Inoltre, il fatto che Artemidoro contraddicesse Eratostene anche in questa occasione, sostenendo che il luogo in cui si trovava Tarragona non si prestava neppure all'ancoraggiol08 , non può non riallacciarsi alle precedent! critiche rivolte ad Eratostene per l'accoglienza da lui prestata ai dati piteani. E ancora più significativo e sintomatico della mancanza di credito nei confronti del Massaliota che questa affennazione di Artemidoro, ribadita anche da Strabone, sia smentita chiaramente dai fatti, poiché il porto di Tarragona venne utilizzato dalla flotta romana durante la fase iniziale del secondo conflitto romano-cartaginese. Di qui, infatti, salpò Gneo Cornelio Scipione con 35 navi., dopo avervi svernato con la flotta e con resercito, per scontrarsi poi con la flotta cartaginese presso la foce deli' Ebro nel 217 a.C. 109 • La scelta del si to per ricoverarvi la flotta e per insediarvi in seguito una colonia dovette quasi certamente essere guidata dalla sua favorevole natura e dall'esistenza di una qualche struttura portuale presso il centro indigeno preesistente 11 o. D'altra parte la contraddizione pare insita nel testo dello stesso Strabone, ove, poco oltre, si affenna che il tratto di costa compreso tra le Colonne e Tarragona sarebbe povero di porti, implicitamente ammettendo in tal modo la natura portuale di quest'ultimo centro iberico' l l. Massalia, i Pirenei, Tarragona; sembra delinearsi in una luce favorevole la possibilità che il percorso di Pitea si sia risolto lungo le coste iberiche con regolari scali e che debba escludersi la via d'altura che gli avrebbe consentito di giungere alle Colonne e a Cadice senza compiere soste. Ulteriori indizi in questo senso potrebbero derivare dalle conoscenze eratosteniche circa la regione delle Colonne d'Eracle e la questione della loro localizzazione e identificazione, che da tempo impegnava gli studiosi an tic h i 112 • Eratostene, infatti, sembra avere individuato con precisione le Colonne, identificandole rispettivamente nei monti Abila e Calpe, il primo lungo la costa africana, in una regione denominata 1
F III B. 122 Berger = Strabo. III, 2, Il. C 148 = F 8 Mette. F III B. 123 Berger = Polyb., XXXIV, 7, 7-8 Bi.ittner-Wobst = Strabo, II. 4, 4. C 106-107. 105 F III B, 119 Berger = Polyb., XXXIV, 7, 3 Bi.ittner-Wobst = Strabo, II. 4. 4. C 106. 106 Polyb., XXXIV, 5, 8 Bi.ittner-Wobst = Strabo, Il, 4, 2. C 104. tm F III B. 121 Berger =St. Byz .. Ethn .. s. v. raòEtpa. 108 F 26 Stiehle =Strabo, III, 4, 7, C 159; da notare che R. Stiehle attribuisce tale affennazione, così come quella contraria di Eratostene, all'isola di Ebuso che Strabone menzionava nel passo (R. Stiehle, Der Geograplz Artemidoros von Ephesos, «Philologus», XI, 1856, p. 204). Riferiscono invece correttamente tale menzione a Tarragona F. Lasserre (Strabon, Géographie, tome II (Livres III et IV), texte établi et traduit par F. Lasserre, Paris, 1966. nota 4, p. 66 (p. 167)). che indica per l'appunto in Pitea la fonte di Eratostene, e J. M. Alonso-Nufiez, La vision de la Péninsule Jbérique, cit., p. 6. 109 Polyb., III, 95, 5; III, 76; Li v., XXI. 61, 11; XXII, 19, 4-5. tto Plinio afferma che furono proprio gli Scipioni a fondare la colonia romana (N.H., III, 21 ); ciò non esclude che il preesistente centro indigeno fosse dotato di un porto. 111 Strabo, III, 4, 8, C 159. m Si vedano Euctemone, astronomo e viaggiatore ateniese di V secolo, in Avienus, Ora mar., vv. 350-369, e Scilace di Carianda (FGrHist., 709 F 8 = Avienus, Ora mar., vv. 372-374). Confusione ben sintetizzata da Strabone (III, 5, 3~6, C 168~172), che riporta diverse opinioni di autori antichi, oltre al suo personale giudizio. 103 1
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Da Massalìa a Cadice
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M€'to:.ywvtov e abitata da popolazioni numidichell 3 , il secondo su quella iberica 11 4 ; e si è supposto che anche queste conoscenze sulla regione dello stretto di Gibilterra derivassero dalle infonnazioni raccolte e dalle osservazioni compiute da PiteaJJs. Artemidoro infatti, criticando Eratostene per il credito prestato a Pitea, faceva riferimento anche alla regione circostante Calpe che lo studioso cirenaica chiamava Tap'tYJO"O"tç 116 . Inoltre, Stra bo ne riporta l'opinione dì Timostene di Rodi 117 , secondo il quale anticamente Calpe era denominata 'HpaxÀ€tet, essendo stata fondata da Eracle~ vi si mostravano un grande muro di cinta e de1le darsene1 18. Poiché Timostene, navarca di Tolemeo Filadelfo e qui citato tramite Eratostene, non aveva verosimilmente visitato l' lberiall 9, dato che è accomunato da Strabone ad Eratostene e ad altri autori precedenti dalla comune ignoranza circa questa ed altre regioni !20, si può ragionevo]mente ritenere che Pitea sia ancora una volta la probabile fonte di queste notizie 121 • Ed è indubbiamente in base a queste considerazioni che si motiva l'attribuzione ad Eratostene, e a Pitea sua fonte, della distanza di 800 stadi, poco meno di una giornata di viaggio, tra Calpe e J'iso)a di Cadice, mentre Strabone sembra preferire la misura alternativa di 750 stadi 122. 11 3
Si tratterebbe dell), LX, 1986, p. 248). 114 F III B, 58 Berger = Strabo. III, 5, 5. C 170. '15 Cfr. J. M. Alonso-Nufiez, La vision de la Pétzinsule Jbérique, cit., p. 6. Il!'! F m B, 122 Berger = F 11 Stiehle = Strabo, III, 2, Il, c 148. 11 7 Su Timostene si veda F. Gisinger, s. v. Timosthenes (3). RE, VI, A l, 1937, coll. 1310-1322. 118 III. l, 7, C 140. 119 Un giudizio critico circa l'accuratezza dell'opera dì Timostene è espresso da Marciano di Eraclea (Epit. Peripl. Menipp., 3, in GGM, I, p. 566), il quale invece sottolina il fatto che Artemidoro di Efeso abbia viaggiato molto e visto di persona molti dei luoghi che descrive. 120 Stra bo II, I. 41. C 93 . 121 crr. F. Lasserre, Strabon, III, ci t., nota 3, p. 28 (p . I 87). 122 Strabo, III, L 8, C 140. Secondo quanto supposto da F. Lasserre, la misura di 800 stadi dovrebbe risalire attraverso Posidonio ad Eratostene e quindi a Pitea, mentre quella di 750 stadi deriverebbe da Artemidoro, ma sempre con la mediazione dì Posidonio (Strabon, IIL cit., nota 6, p. 28). La struttura compositiva delropera dì Strabone, in questa sezione comprendente la descrizione dell'lberia meridionale, è particolarmente complessa. Egli infatti sembra utilizzare come fonte principale Posidonio, che aveva una conoscenza diretta della regione ma che riprendeva ampiamente anche le opinioni dei prede~ cessori, in particolare Artemidoro ed Eratostene (cfr. F. Lasserre, Strabon, III, cit., pp. 4-7). R. Zimmermann, Posidonius und Stra bo, «Hermes», XXIII, 1888. in part. pp. I 09-113, attribuiva a Posidonio la sola distanza di 800 stadi. La distanza di 750 stadi è riportata ancora da Strabone in un altro contesto non meno complesso dal punto di vista compositivo (III. 5, 3. C 168 ). Dopo avere menzionato l'esistenza di due iso lotti nei pressi delle Colonne, di cui uno noto come isola dì Era, che secondo alcuni autori sarebbero da identificare con le Colonne stesse, Strabone ricorda l'esistenza dell'isola di Cadice e la distanza di 750 stadi che la separava dalle Colonne. Egli passa quindi alla descrìz.ione di Cadice, iniz.ìalmente impmntata a Posidonio, anche se il filosofo non viene menzionato esplicitamente (cfr. F. Lasserre, Strabon, lll, cit., nota 3 p. 84 (p. 200)). e in seguito a fonti più recenti. Si può pertanto supporre che anche la distanza in questione sia derivata da Posidonio. Tuttavia, poco oltre, Strabone ritorna sulla localizzazione delle Colonne c menziona esplicitamente Artemidoro tra i sostenitori dell'identificazione di queste con le due piccole isole (III, 5, 5, C 170 =F IO Stiehle). Può darsi, quindi, che anche Artemidoro facesse riferimento ad una tale distanza c che sia corretta la già menzionata ipotesi del Lasserrc, ma l'incertezza relativa
alla dipendenza di Strabone da Posidonio non facilita le cose .
Ul
CADICE
L'antica colonia fenicia di Cadi ce fu la prima importante meta di Pitea, al termine di una fase iniziale del viaggio coincidente con il periplo delle coste mediterranee del)' Iberi a. A Cadi ce il viaggio piteano si trasformò in avventura, iniziando di qui il vero e proprio tragitto oceanico che lo condusse alle regioni inesplorate dell'occidente e del settentrione; come egli stesso rammentava: da Cadice fino al Tanais. Molto probabilmente Pitea non vi effettuò un semplice scalo, bensì, come alcuni indizi fanno supporre, una sosta prolungata che gli consentì di raccogliere notizie sulle rotte atlantiche, da tempo frequentate dai Tartessi, dai Fenici e sporadicamente dai Greci, e di approfondire alcune ricerche sulla regione e sui particolari fenomeni che vi si incontravano. Fondata secondo la tradizione attorno al l .l 00 a. C .1. Cad ice si trovava in una posizione ideale per fungere da punto di contatto culturale ed economico tra Atlantico e Mediterraneo. e per questo. fin dall'età arcaica. la regione fu frequentata da navigatori e commercianti provenienti dal bacino orientale del Mediterraneo. Luogo di scambio tra il commercio atlantico (argento, stagno e ambra da nord; oro e legname da sud) e quello mediterraneo (prodotti dell'artigianato levanti no), fin dali' età arcaica Cadice e le regioni circostanti furono frequentate da navigatori e commercianti fenici, siriaci. ciprioti e greci. Le prime tracce di insediamento fenicio nell'isolotto gaditano, oggi unito alla ter1
Stando a Pomponio Mela (Chor., III. 46), la sua fondazione risalirebbe all'epoca di Troia, mentre Velleio Patercolo la ritiene fondata dai Tiriì ottanta anni dopo la caduta di Troia, centoventi dopo l'ascensione di Eracle fra gli dei (l, 2). Si veda anche l 'interessante racconto sulla fondazione di Cauice confluito in Strabone. forse per il tramite di Posidonio {Strabo. III. 5. 5. C 169-170 = FGrHist., 87 F 53 = F 246 Edelstein-Kidd = F 26 Theiler). Per l'esame di queste ed altre fonti si rimanda a C. Bonnet. Melqart, cil., pp. 203-207. I dati archeologici non ne confermano l'alta antichità ma. secondo la Bonnet (pp. 204-205), la ricerca di metalli. motivo delle prime navigazioni occidentali, non richiedeva l 'esistenza di contatti regolari né implicava necessariamente la creazione di stanziamenti fissi. Sull'iniziale presenza fenicia nel sud iberico, ì rinvenimenti archeologici e le fonti relative a Cadice c alla regione circostante. si veda anche C. Jourdain-Annequin, Héraclès aux portes du soir: Mythe et histoire, Paris, 1989, pp. 105-112. Si rimanda inoltre a P. Rouillard. Les Grecs et la Péninsule lbérique du VI/l" au IV~ siède avant Jésus-Christ, Paris, 199 L pp. 40-4 L sulle fonti; pp. 41-4 7, sui rinvenimenti archeologici ne11a regione. i quali sembrano indicare la presenza distanziamenti ad est di Cadice attorno al 750 a.C., con materiali di origine occidentale e ceramiche fabbricate sul luogo. Poiché queste ultime sono molto omogenee tra un sito e l'altro. pare che tm centro motore e di produzione debba essete ricercato dalle pani di Cadice; cfr. anche pp. 60·63.
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
raferma, risalgono all'VIII secolo a.C. 2 . Durante il VII e il VI secolo a.C. nella regione sorgeva il regno di Tartesso o, comunque, l'entità nota con tale nome, la cui prosperità e la cui configurazione culturale, economica e forse politica ricalcavano quella della contemporanea Etruria di età orientalizzante3. I suoi comInercianti si spingevano lungo le rotte atlantiche, in particolare lungo quella da cui veniva lo stagno della Cornovaglia e dell' Armorica. Sul finire del VI secolo a.C. il regno di Tartesso scomparve dalla storia; e lo stesso accadde a molti degli emporia e dei fondaci levantini. 11loro ruolo venne assunto dallo stanziamento fenicio di Cadice4. L'importanza del controllo dì questo centro era, allo stesso tempo~ reale e simbolica: reale, perché di qui e dalla gemella città di Lixus, posta simmetricamemente sulla opposta costa africana, transitavano le rotte commerciali atlantiche; simbolica, perché le stele di Melqart. poste a Cadice e a Lixus nei rispettivi templi\ rappresentavano le radici tiri e, l'elemento ancestrale deJl'espansione della città di Tiro 6 • A causa deJla posizione di questi centri. posti al termine, o alrinizio, deJle grandi rotte mediterranee e atlantiche7. è verosimile che le stele abbiano finito per identificare gli itinerari marittimi che ad essi conducevano, collegandoli al dio che i Greci assimilarono a Eracle. I luoghi sacri al dio di Tiro, posti geometricamente al di qua (i monti Abila e Calpe) e al di là (le stele di Cadice e Lixus) dello stretto di Gibilterra, divennero nella diversa ottica dei Greci le mitiche Colonne poste dal loro massimo eroe ai limiti del mondos. Si spiegano così in parte le molteplici localizzazioni proposte dagli Cfr. C. Bonnet. Melqart. cit.. pp. 205-206. con ampia bibliografia. Per le comuni influenze culturali. forse dovute a contatti commerciali diretti. si veda recentemente M. J. Gran-Aymerich. É. du Puytison-Lagarce , Recherchl'S sur fa période orientalisante en Étmrie et dans le Midi ibérique, «CRAh. avril-juin 1995. pp. 569-604. con ampia bibliografia in proposito. 4 Secondo C. Jourdain-Annequin, Héraclès. cit., p. 112. la propensione atlantica dì Cadice è insita nella sua stessa fondazione e i materiah rinvenuti a Lixus c Mogador. datati al VII-VI secolo a.C., indicherehbero già in Cadice il cenlro propulsore (p. 117 ): così anche F Lopez Pardo. Re.flexiones sobre el origen de Lixus y su Defuhrum Herculis en el contexto de la empresa comercial fenicia . in Lixus. Actes du colloque organisé par f'lnstitut des sciences de /'archéologie et du patrimoine de Rabat avec le concours de l'École française de Rome. Larache. 8-11 novembre 1989. Roma. 1992. in part. pp. 9091: E. M . Aubet. Gadir y su Bahia. in E. Acquaro. M. E. Auhet, M. H. Fantar. Jnsediame11ti fenici e punici nel Mediterraneo occidentali!. Le puys de Carrlwge - /rafia - Espatia. Roma, 1993, p. 176. che sottolinea anche la prospettiva interna aperta dal1'insediamcnto gadilano . Si veda anche L. Antonelli. l Greci oltre Gibilterra. Rappresentazioni mitiche dell'estremo occidente e naviga:ioni commerciali nello spazio atlantico fra VJ Il e lV secolo a. C., Roma. 1997. i n part. pp. 119-133 e 151-160. sulla progressiva sovrapposizione e quindi sulla sostituzione di Cadice a Tartesso . 5 Secondo Plinio (N. H .. XIX, 63). presso Lixus vi era un santuario dedicato ad Eracle più antico di quello gaditano . Per quanto riguarda il santuario dì Melqart a Cadice e il presunto santuario a Lixus si veda C Jourdain-Annequin. Héraclès, cit., rispettivamente pp. 126-127 e 128-135. ~'~ Come sostiene C. Bonnet, Melqart. cit., pp . 235-236 e 249. Cfr. anche C. Jourdain-Annequin, Héraclès. ci t.. pp. 95-104, sull'importanza e gli aspetù simbolici e mitici. oltre che economici e commerciali, di Cadice e Lixus: in part . pp. 102-104 sullo spirito di simmetria che sembra avere dominato il pensiero geografico antico e sulla posizione fondamentale di Cadice c Lixus in questo contesto: simmetriche non solo l'una rispetto all'altra ma entrambe rispetto alle Colonne di Abila e Calpe (si veda Slrabo. XVII, 3, 2, C 825). Si veda inoltre E. M. Moulay Rchid, Lixus et Gadès. Réalité et idéologie d'une symétrie, «DHA» . 15, 1989, pp. 325-331. 7 Sul cosiJdetto «circuito dello stretto di Gibilterra~>. si veda: J. Gran-Aymerich, Le détroit de Gibraltar et sa proiecrion rigiona/e; /es données géo·.\·trarégiques de l 'expansion phéniciemze à la fumière des fouilles de Maiaga et des recherches cn cours, ìn Lixus, ci t., pp. 59-69. 8 Cfr. C. Bonnet, Melqart, cit., p. 236. Si veda inoltre H. Walter, Le Colonne di Ercole. Biografia di un Simbolo , in Il simbolo dal/'Antic:hità al Rinascimento. Persistenza e s~·iluppi, a cura dì L. Rotondi Secchi Tarugi, Milano. l 995. in part. pp. 250-255. ove sono analizzatj l'integrazione nel mito Ji Eracle 2
3
67
Cadi ce
autori antichi, divenendo le Colonne di Eracle gemelle e concorrenti di quelle di Melqart poste nel santuario gaditano 9 •
111. l -Le indagini piteane a Cadice e la teoria delle maree
A Cadice era possibile incontrare i navigatori, marinai e commercianti punici e iberici, o altri, che si spingevano lungo le rotte atlantiche. I Mediterranei che vi giungevano rimanevano stupefatti dei resoconti volutamente esagerati che venivano loro fatti circa i pericoli della navigazione atlantica; lo stesso dicasi per quanto riguarda l'ampiezza del fenomeno delle maree. Poiché, infatti, il nome di Pitea è associato alla scoperta che le maree erano legate al ciclo lunarelo, appare più che probabile che già a questo punto del viaggio egli abbia iniziato a studiare il fenomeno che, di scarsa rilevanza lungo le coste mediterranee, assume improvvisamente dimensioni impressionanti e dunque meglio
del1e colonne del tempio g<~ditano e il loro passaggio da elemento mitologico a fenomeno geologico e riferimento topografico. , XV, 1989, in part. pp. 153-156; S. Bianchetti, IlÀw'ta. xai 7topeu'ta., cit., pp. 39-73; Ead., Avieno, Om mar. 80 ss., cit., in part. p. 246; L. Antonelli, l Greci o/r,-e Gibilterra, cit., in pan. pp. 151-168 e 178-188. 1o FF 2a-b Bianchetti= F 2 Mette= Ps. Plut .. Epir .• III. 17 e Stob., Ed., l. 38 = Aet., Plac., III, 17, 3. in DG, p. 383: nu6Éaç ò I\lacr'l'aÀtW""rlJç, -rj] 1tÀlJPW'l'Et rijc; 'l'YJÀ-f;vl']c;; 'tèr.c;; 7tÀl'J!J-!J-Upac;; yi..,e:a-611t, "!'~ 8~ (J.t:tw1't:l "!'liO:: liJJ-7tw"Tt8tto:: (Pseudù Plutarcù); nu6.il'.t.O:: Mtt-:r1'ttÀtw"!'lJO::. "!'TI 7tÀYjpw-:rt:t -r-i]o:: 'l'YJÀT,vl']c;; xa.~ -rfl fJ.Etwcre:t 't'cXC: bta-:-Épou TOU"!'wv at'ttttc;; àva"t'i6l']'l't" (Stobeo).
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
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s tudiabili neli' area atlantica del sud iberico''· No n a caso Posidonio, che s1 occupò delle n1aree e delle loro cause perfezionando la scoperta piteana 12 , si recò a sua volta a Cadice per svolgervi le proprie ricerche 13 . ln seguito queste furono raccolte in un'opera intitolata IlE pi 'Lh
Cfr. R. Almagià. La dottrina della marea nell'antichità classica, •·Rivista Geogratica Italiana'', X, 1903, pp. 482-484. 12 FGrHist., 87 FF 85-86 FF 217-218 Edelstein-Kidd F 26 Theiler Strabo. HL 5, 8-9. C 173175: cfr. Plin .. NH., II, 212-221. ' 3 Per la presenza di Posidonio a Cadìce, e per l'osservazione della stella Canopo nelle vicinanze di questo centro, si veda FGrHi.st., 87 F 99 = F 204 Edelstein-Kìdd = F 14 Theiler = Strabo. li. 5, 14. C 119. Inoltre: FGrHi.st., 87 F 28 = F 49 Edelstein-IGdd = F 13 Theìler = Strabo, II, 3. 4. C 98-100. sui viaggi compiuti da Eudosso, di cui Posidonio aveva avuto notizia a Cadìce: FGrHìst., 87 F 45 = F 119 Edelstein-Kidd = F 16 Theiler = Strabo. III. l. 5, C 138. sull'effetto ottico dell'ingrandimento del sole: FGrHist .. 87 F 85 F 217 Edelstein-Kidd = F 26 Theiler = Strabo, Ili, 5, 7, C 172-173, sulle osservazioni delle variazioni del livello dell'acqua nei pozzi, di cui aveva discusso anche Polibjo (XXXIV, 9, 5-7, Biìtlner-Wobst). Sugli studi di Posidonio a Cadice si veda J. Malitz. Die Historien, cit., pp. 96-116. in part. pp. 111-115. sull'osservazione del fenomeno delle maree. 14 FGrHi.H .. 87 T 15a =T 76a Edelstcin-Kidd =T 30a Theiler = Strabo, Il. 2, I. C 94. JS Cfr. J. Malitz, Die Historien. cit.. p. 14. 16 Ps. Plut., Epit., Hl, 17 e Stob., Ecl .. l. 38 = Aet., Plac., lll, 17. 1-9. in DG. pp. 382-383. 17 F 680 Rose = Strabo, III, 3, 3, C 153, il cui testo. punroppo. è in questo punto lacunoso; cfr. E Lasserre. Strabon, Ili, cit.. note 2-3. p. 54 (p. 194). Hl Ps. Galen., Hist. philo.s., 88. in DG. p. 634; Ps. Plut., Epit .. rH. 17 e Stob., Ecl., l, 38 = Aet .. Plac., III, 17, L in DG. p. 382. 19 Così R. Almagià, La dottrina della marea, cit., p. 487 . 2o FGrHist., 87 F 81 = F 138 Edelstein-Kidd = F 317 Theiler = Stob., Ecl., l, 38 =Aet., Plac., III, 17, 4, in DG, p. 383. 21 In questo senso si potrebbe interpretare l'opinione di Aristotele secondo cui le correnti marine dell'oceano oltre le Colonne d'Eracle erano determinate daJla particolare conformazione concava della regione, che favoriva l'azione dei venti. cui si univa l'afflusso delle acque di numerosi tìumi (Meteor., II, l, 354a).
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Cadice
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lacunosità del passo straboniano, va tenuto presente che la teoria aristotelica era nota a Strabone solo indirettamente. perché citata e discussa da Posidonio 22. Ancora più impanante sen1brerebbe la notizia, riferita dallo Pseudo Galeno e inserita subito dopo quella relativa ad Aristotele, secondo la quale Eutimene di Massalia riteneva che i tlussi della marea si verificassero al crescere della luna. i riflussi al suo calare 23 . Eutimene. quindi, potrebbe avere scoperto alla pari di Pitea la relazione tra le maree e i moti lunari!-l. Senonché. questa affermazione, che accumunerebbe Eutimene a Pitea non solo per quanto riguarda l'esplorazione geografica ma anche per quanto concerne la speculazione scientifica. appare viziata dal fatto che i passi paraJleli dello Pseudo Plutarco e di Stobeo citano Pitea al posto di Eutimene25. Inoltre, il passo in cui compare il nome di Eutimene è inserito in un contesto che contiene almeno un errore di trascrizione, poiché lo Pseudo Galeno riporta di seguito r opinione di tale Ttf1-w6e:oç, allorché i testi dello Pseudo Plutarco e di Stoheo presentano la lezione TifJ-rLtoç26 . Quanto al fatto che difficilmente un copista avrebbe potuto inserire il nome quasi sconosciuto di Eutimene in luogo di quello più noto di Pitea. allorché ci si dovrebbe aspettare il contrario!?. va detto che la lectio difficilior non tiene conto della menzione di Eutimene poche righe oltre. nel capitolo dedicato dallo Pseudo Galeno alle diverse teorie sulle piene del Nilo 28 • Ed è prohahilmente a questa vicinanza espositiva tra le opinioni dei due Massalioti che si deve la trascrizione erTonea del primo nome o. meglio. il trasferimento del nome di Eutìmene in luogo di quello di Pitea2 9 . Mi pare dunque preferibile sostituire Eù6u!J-ÉVY)ç con llu8e:a' nel testo, attribuendo così al solo Pitea l'osservazione che il fenomeno delle maree era collegato alle fasi lunari3o. In base a quanto si è detto a proposito della datazione di Pitea. la teoria presentata da Aristotele rappresenta il dibattito sulla questione negli anni immediatamente precedenti il viaggio piteano e. come tale. fu assunta in toto o parzialmente da alcuni suoi allievi, come Eraclide Pontìco, Diccarco e Teofrasto; salvo, nel caso di quest'ultimo. essere poi rivista in base alle ricerche piteane. infatti, come ho già notato a proposito del De mundo aristotelico, Teofrasto potrebbe aver fatta propria la spiegazione fornita da Pitea inserendola nella
1-'GrHist.• M7 F 84 = F 220 Edelstein·Kidd = F 20 Theiler. Hist. philos .. 88. in DG. p. 634. 2<~ Secondo S. Bianchetti, Pitea di Massalia. ci t. p. l 11-112. 2s Ps. P!ut., Epit., Ili. 17 e Sto b .. Ecl .. l. 38 = Aet.. Pluc. . Hl. 17. 3, in DG. p. 383. 26 Ps. Plut., Epir.,lll. 17 e Stob.. Ed .. l. 38 = Aet., Plac:.. III. 17. 6. in DG. p. 383. Un ulteriore errore potrebbe riscontrarsi anche nel successivo paragrafo dedicato alla teoria di Seleuco. poiché vi si parla dell ' oceano Atlantico allorché Scleuco aveva compiuto i propri studi in relazione ai moti del Mare Eritreo (l'attuale Golfo Persico). A questo proposito. L. Russo ha avanzato l'ipotesi che l'autore citato come il matematico Seleuco sia in realtà l'omonimo grammatico. vissuto in età liberiana, confuso col primo da Aezio o da una sua fonte. in quanto criticando l'opinione di Cralete di M allo aveva esposto la teoria sulle maree probabilmente sulla base di Posidonio (L'astronomo Seleuco. Galileo e la teoria della grm•ita:.ione, ((QUCC", 49, 1995. pp. 148~151). Tuttavia, è anche possibile che Seleuco menzionasse effettivamente l'Atlantico come termine di confronto per le proprie ricerche. in quanto ad esso facevuno riferimento gli studi precedenti di Pitea ed Eratostene. e che le fonti dossografiche abbiano erroneamente interpretato tale riferimento. 27 La lectio d~fficilior è preferita da S. Bianchetti. Pìtea di Massalia. cit., pp. 111-112. 2K Ps. Galen., Hist. phi/os .. 89, in DG, pp, 634 ~ 635. 29 Così H. Diels. in DG. p. 13. 30 Si vedano, in questo senso. G. Broche. Pythéas le Massaliote, cit., p. 38, e J. Desanges, Recherches, 22
~3
cit., p. 19.
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sezione metereologica del trattato3 1, in contrasto con quanto altrove da lui stesso sostenu to32 • Quanto al significato delle osservazioni piteane, occorre notare che dalle testimonianze dossografiche emerge semplicemente l'individuazione da parte del Massaliota di un ciclo mensile delle maree collegato al crescere e calare della luna: al crescere della luna si osserverebbero le maree ascendenti, al suo decrescere la maree discendenti. Più precisamente, il testo di Stobeo sembra indicare che Pitea avesse individuato nelle fasi lunari le cause delle maree, 't'CÌ at't'iat. Così come è presentata, la spiegazione piteana si rivela parzialmente erronea, poiché il fenomeno di flusso e riflusso della marea si ripete innanzitutto circa due volte al giorno. D'altra parte. gli espliciti richiami testuali alle fasi lunari indicano chiaramente che queste testimonianze devono essere riferite alle cosiddette maree sizigiali. che si verificano allorché il sole e la luna sono rispettivamente in opposizione (plenilunio) e in congiunzione (novilunio), e che sono molto più ampie rispetto alle maree che si verificano nei periodi intermedj33. L'osservazione dell'esistenza di una differenza tra le maree al plenilunio e quelle al novilunio corrisponde alla realtà osservabile su un periodo di tempo limitato, poiché esiste un ritmo delle maree. grosso modo annuale, nel quale le maree più ampie si verificano per sei mesi in congiunzione, segue poi una sostanziale equivalenza per circa un mese e mezzo. ed infine per altri sei mesi si verificano durante le opposizioni 34 . In questo caso, Pitea osservò anche l'influenza del sole in congiunzione e opposizione con la luna, come più tardi fecero Seleuco e Posidonio? Comunque sia. vi sono indizi sufficienti per supporre che Pitea non si sia limitato a studiare la sola periodicità mensile e che l'errore riportato dalle fonti debba imputarsi non a lui ma a coloro che ne hanno riassunto le indagini senza pienamente comprenderle. Il primo e più significativo indizio è fornito da Eratostene. Secondo Strabone, lo scienziato di Cirene aveva spiegato il fenomeno di flusso e riflusso delle correnti nello stretto di Messina in base al confronto con il regime delle maree oceaniche. Eratostene aveva notato che la corrente nello stretto cambiava di senso due volte nello spazio di un giorno e di una notte, così come le acque dell'oceano avanzavano e si ritiravano due volte. Egli assimilava al flusso di marea la corrente proveniente dal Tirreno, poiché si presentava come una corrente discendente determinata da una superficie liquida più elevata e, soprattutto, rispettava gli stessi tempi dell'alta marea. Come questa, infatti, il flusso cominciava al sorgere della luna e al suo tramonto, e si arrestava ai suoi passaggi al meridiano del luogo di osservazione ed al suo opposto, cioé nei momenti in cui l'astro culminava al di sopra e al di sotto dell'orizzonte. La corrente inversa corrispondeva invece al riflusso, poiché iniziava ai passaggi della luna 31
De mundo. 4. 396a. De signis tempestatum. 29. 33 Sulla dinamica delle maree e sulle diverse interpretazioni fomite nell'antichità si veda C. Préaux. LA lune dans la pensée grecque. Académie Royale de Belgique, Mémoires de la Classe des Lettres. LXI. 4. Bruxelles, 1973. pp. l 03- l 15, in p an. p. 113 sulle maree sizigiali. La prospettiva moderna è trattata adeguatamente da G. H. Darwin. The Tides und kindred phenomena in the .wlar System. London, 190 l~. trad. it .• La marea ed i fenomeni concomitanti nel sistema solare, Torino. 1905. che presenta anche un breve sunto storico alle pp. 62-73, e, più sinteticamente, da J. Bouteloup, Vagues. marées, courants marins, Paris, 1950. J.s Cfr. J. Bouteloup. Vugues. marée~·. cit., p. 67. J2
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al meridiano e cessava al momento del sorgere e del calare dell' astro35. Siccome Eratostene non aveva esperienza diretta dei fenomeni marini nella regione dello stretto di Messina e nessuna fonte suggerisce che egli abbia fornito una propria spiegazione del fenomeno delle maree, si deve supporre che egli si rifacesse a fonti e a swdi precedenti, probabilmente rielaborati in maniera autonoma. Ora, l'unico studioso che in età precedente avesse fornito una spiegazione delle maree oceaniche in base ai moti lunari è proprio Pitea, di cui, tra l'altro, Eratostene aveva utilizzato le informazioni a proposito dei fenomeni di marea che si verificavano presso il promontorio Sacro, nella regione occidentale dell'Iberia36 . Inoltre, Pitea possedeva anche una buona conoscenza del Tirreno meridionale, avendovi osservato e studiato il fenomeno del ribollire delle acque marine in prossimità delle isole Lipari 37 • Si può dunque supporre che a lui risalgano le osservazioni presentate da Eratostene per quanto concerne le maree oceaniche e, molto probabilmente. anche per quanto riguarda la spiegazione dei movìmenti marini nello stretto di Messina. La prospettiva dell'indagine piteana sulle cause delle maree si amplierebbe così notevolmente; sì potrebbe non solo affermare che egli individuò il ciclo diurno. perfettamente delineato attraverso la testimonianza di Eratostene, ed il ciclo mensile, la cui conoscenza rimane invece precaria a causa della scarsa affidabilità delle fonti che la riferiscono, ma anche supporre ragionevolmente che queste ed altre osservazioni corroborassero una più ampia teoria che vedeva nella luna la causa dei movimenti marini nel loro complesso e non solo delle maree oceaniche. Un secondo indizio e la conferma di quanto ora osservato a proposito di Eratostene potrebbero ricavarsi da altre due testimonianze relative all'influenza della luna sulle correnti del1o stretto di Messina. Si tratta di un accenno contenuto nel De mirabilibus auscultationibus pseudo-aristotelico, in cui è riportata l'informazione che il livello dell'acqua nello stretto aumentava e diminuiva in accordo con la luna3B, e di un breve passo di Antigono di Caristo, autore vissuto nel III secolo a.C.J9, il quale precisava che il livello dell'acqua diminuiva ed aumentava in relazione al calare e al crescere della luna4 o. La situazione descritta è dunque l'esatto p aralie lo della spiegazione de Ile maree che la tradizione dossografica attribuisce a Pìtea e pone alcuni interrogativi. Si deve forse ritenere che anche nel caso dello stretto di Messina sia stato individuato neli' antichità un ritmo mensile legato alla luna, oppure si deve supporre cheAntigono non abbia pienamente compreso la fonte che aveva consultato e faccia pertanto erroneamente riferimento alle fasi lunari di novilunio e plenilunio invece che al moto giornaliero dell'astro così come descritto da Eratostene? In quest'ultimo caso, l'errore commesso da Antigono potrebbe essere stato commesso anche dai dossografi e, dunque. Pitea avrebbe parlato solo del ritmo diurno delle maree? Oppure, ancora- ed è questa, credo, l'ipotesi più probabile-, Antigono e i dossografi riunirono erroneamente elementi che nel loro contesto originario facevano riferimento a due distinte spiegazioF I B, 16 Berger = Strabo. I, 3, IO. C 54-55. F III B. 122 Berger = Strabo. Ili, 2, li. C 148 = F 4 Bianchetti = F 8 Mette. 37 F 19 Bianchetti= F 15 Mette= Schol. Apoll. Rhod .. Arg., IV, 761-765 . .>R De mir. ausc .. 55. 8.34b. 39 Cfr. C. Robert. s.l'. Anrigonos (19}. RE. I. 2, 1894, coli. 2421-2422. -'O Antig. Caryst.. Hi.çt_ 111ir .. 125. in Paradnxngraphi graeci. edidit A. Westermann. Braunschwcig. 1839, rist. Amsterdam, 1963, p. 91. 35
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ni, l'una per il ritmo giornaliero delle maree, l'altra per quello mensile? Di sicuro, da queste fonti emerge il dato di fatto che la spiegazione del fenomeno delle maree fornita da Pitea, per i suoi contenuti, non poteva essere correttamente recepita al di fuori di una ristretta cerchia di specialisti, e ciò ne spiega i travisamenli 41 • Inolue, si può constatare che la spiegazione dei mutamenti del livello marino che si verificano nei pressi dello stretto di Messina, in base alla teoria piteana, per quanto mal compresa, era sufficientemente nota e diffusa nel mondo greco, nel 111 secolo a.C., da essere raccolta in un'opera di mirabilia; un destino che la accomuna ad altre indagini compiute da Pitea. E poiché la contemporaneità tra Antigono ed Eratostene sembra itnplicare l'esistenza di una fonte precedente, direttamente o indirettamente comune ad entrambi. che non può essere altri che Pitea, almeno in base alle attuali conoscenze, si rafforza l'ipotesi sopra enunciata che egli avesse già interpretato i movimenti marini nello stretto di Messina sulla base del confronto con le maree oceaniche e con la scoperta che queste erano in relazione con il moto e le fasi della luna. Inoltre, l'accoglienza della spiegazione piteana nell'opera pseudoaristotelica, la cui redazione sembra risalire agli inizi del III secolo e all'ambito peripatetìco 42, confermerebbe la rilettura degli insegnamenti aristotelici sulla base delle più recenti acquisizioni piteane che è stata indicata nel caso di Teofrasto e del De mundo. Oltre che per Eratostene, la dipendenza dalla teoria piteana è accertabile anche nel caso di Posidonio, il quale, con1e si è visto, si recò personalmente a Cadice per compiervi quegli stessi rilievi che molto probabilmente Pitea vi aveva effeuuato almeno due secoli prima. La situazione è complicata dal fatto che Posidonio disponeva anche dei recenti studi compiuti dall'astronon1o e matematico Seleuco lungo le rive del Golfo Persico. Posidonio aveva tentato infatti di verificare di persona a C ad ice l'esistenza del ciclo annuale delle maree scoperto da Seleuco, il quale aveva osservato che le due maree giornaliere erano anomale in prossimità dei solstizi e regolari in corrispondenza degli equinozi; ma non vi era riuscito 43 . In effetti, le osservazioni di Seleuco erano corrette per il Golfo Persico, dove le maree di maggiore portata si verificano durante i noviluni e i pleniluni prossimi ai solstizi, ma non lo erano per l'oceano Atlantico. che ha un diverso regime nel quale l'ampiezza massima della maree è riscontra bile agli equinozi 44 • Poiché Seleuco aveva anch'egli messo in relazione le maree con la luna e, in più, con il sole. dato che solo l' interazione tra i due corpi celesti consente di spiegare il ciclo annuale delle disuguaglianze diurne 4 5, non è facile capire se la teoria elaborata da Posidonio riassumesse o meno le
La stessa considerazione è formulata a proposito del mondo latino da S. Lunais. Recherches sur la iufle, l, Les auteurs latins de la fin d es Guerres Punìque s à la fin du rè gne d es A ntonins, Leiden, 1979, p. 39. 4 2 Cfr. H. Flashar, Aristoteles, Mirabilia, i..ibersetzt von H. Flashar. Berlin. 1972. rist. 1990. pp. 3950; in part. pp. 92-93 sul capitolo in questione. 43 FGrHist., 87 F 86 = F 218 Edelstein-Kidd = F 26 Theiler = Strabo. III. 5, 9, C 174-175. Secondo O. H. Darwin, le affermazioni dì Seleuco, il cui sìgnìficato è parzialmente oscurato dal fatto che sono sopravvissute attraverso una duplice: mediazione, indica no la scoperta da parte sua de Il' esistenza di una disuguaglianza nell'ampiezza delle maree diurne all'epoca dei solstizi e di una uguaglianza agli equinozi (La ma rea, ci t., pp. 68 ·69, cfr. an c h e pp. l 28-12 9 e 148-149). Così anche R. Alma già. La dottrina della marea, cit., p. 541, e L. Russo. L'astronomo Seleuco, cit., p. 159. 44 Cfr. I. Bouteloup. Vagues. marées, cit., pp. 65-74 e 94-98. <~.s L. Russo, L'astronomo Seleuco, cit.. pp. 151-153. 41
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posizioni di Pitea o quelle di Seleuco a proposito d eli' andamento diurno, mensile ed annuale delle maree. Anche perché nella teoria proposta da Posidonio vi sono elementi contraddittorii.u,_ Nel resoconto straboniano si afferma che Posidonio distingueva un movimento diurno. legato al moto della luna; uno mensile. collegato alle fasi lunari ed influenzato dalla congiunzione solare; infine, uno annuale, con la diminuzione dell'ampiezza delle maree in occasione degli equinozi. A proposito di quest'ultimo, egli aveva prestato fede ad alcuni suoi informatori gaditani, i quali sostenevano che le maree più consistenti si verificavano in prossimità de] solstizio; le loro affermazioni, che come si è visto sopra confermavano la teoria di Seleuco ma non corrispondevano alla realtà gaditana, erano state accolte da Posidonio benché fossero in contrasto con quanto egli stesso aveva notato circa l'innalzamento del livello dell'acqua in alcuni pozzi del santuario di Eracle a Cadice47. Per rafforzare la propria scelta, Posidonio citava allora la teoria di Seleuco, affermando però di non averla potuta confermare pur avendo compiuto numerose osservazioni a Cadice all'epoca del solstizio estivo4 B. Posidonio, dunque, stando al testo di Strabone, avrebbe fatto proprie le osservazioni di Seleuco applicandole però erroneamente alla realtà atlantica. Questa conclusione tuttavia contrasta con quanto riferito da altre fonti che pure dipendono, esplicitamente o meno. dall'opera dello studioso di Apamea: Seneca 49 , Plinio5° e soprattutto Prisciano5 1• Costoro concordano con Strabone circa le maree diurne e quelle mensili, ma riferiscono correttamente dell' andamento delle maree annuali, che aumentano di ampiezza in prossimità degli equinozi. Ciò significa. molto probabilmente. che Posidonio rivide le proprie opinioni abbandonando il tentativo di verificare le osservazioni di Seleuco52 . Poiché Strabone utilizza le 'l~"t'opiat di Posidonio53, contenenti l'informazione errata, si deve pensare che tale revisione sia stata attuata nel corso della stesura del Ilepi 'Uxeavou5 4, che Strabone conosceva solo indirettamente attraverso l'omonima opera di Atenodoro di Tarsoss. o dei Me--rewpoÀoytxa. noti a Prisciano tramite l'epitome che ne aveva fatto Geminos6. -'~> La posizione di Posidonio, il quale individuava nei venti c. dunque. nello pneuma il mezzo attraverso il quale si esplicherebbe l'influenza della luna sui moti marini. è analizzata da C. Préaux. La /ut1e, cit .• pp. 108-11.'5 e l. G. Kidd. Posidonius, II, The Commemary. Cambridge-New York-New Rochelle-Melboume-Sydney, 1988. in part. pp. 774-776. 47 FGrHi.st .• 87 F 85 = F 217 Edelstein-Kidd = F 26 Theiler = Strabo. III. 5. 8. C 173-174. 411 FGrHi.st .• 87 F 86 = F 218 Edelstein-Kidd = F 26 Theiler = Strabo, III. 5, 9, C 174-175. 49 N.Q .• III, 28. 6. 5° N.H .• Il. 212-221. Sl Sol. ad Chusr., VI, 69-76 Bywater, che cita espressamente Posidonio (F 219 Edelstein-Kidd F 313 Theiler). 52 La diversa ipotesi che Strabone abbia erroneamente interpretato il testo di Posidonio, sostenuta da G. Broche. P:whéas le Mas.saliole. cit., pp. 43-44, M. Laffranque. Poseidonios, cit., p. 211. e C. Préaux, LA lune, cit.. p. 113. deve essere abbandonata. poiché è evidente che Posidonio. sulla base di Seleuco, era pienamente convinto di poter individuare a Cadice un innalzamento del !ivelJo delle maree in prossimità dei solstizi. Cfr. su quest'ultimo punto l. G. Kidd, Posidonius, li, cit., pp. 775-776. Mantiene il dubbio G. Aujac, Strabon et la science de san temps, Paris, 1966, p. 289. 53 Cfr. J. MaJitz, Die Historien, cit., in part. pp. 104 e 111-116. S-4 Questa è l'opinione di F. Lasserre, Strabon, III, cit., nota l, p. 93 (p. 202). ma cfr. anche le note 2. p. 5, e 2. p. 92. 55 Cfr. G. Aujac. Strabon, l, cit., pp. 29-30 e 44-46; Ead., Géminos, cit., nota 2. p. LXXXV. Ater\odoto era stato allievo di Posidonio ed eta a.mico petsonale di Strabor\e. 56 Cosl L G. Kidd, Posidonius, cit., p. 776.
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In base a tali elementi si può ritenere che Posidonio abbia rivisto le proprie opinioni dopo aver forzatamente abbandonato l'idea che le maree dell'oceano Atlantico avessero un proprio massimo attorno al solstizio estivo. Si affidò in questo caso alle osservazioni piteane, utilizzandole quanto meno come termine di confronto per i dati raccolti personalmente? Credo che la risposta debba essere affermativa per almeno due ragioni. La prima è che le fonti dossografiche sopra citate menzionano i diversi studiosi che si erano occupati del fenomeno delle maree seguendo non un criterio cronologico, bensì il principio della dipendenza di una teoria dall'altra. Quindi, Aristotele, Eraclide e Dicearco ne attribuiscono la causa all'azione del sole; Pitea e Posidonio alla luna; Platone, Timeo, Cratete e Apollodoro al movimento delle acque; infine Seleuco nuovamente alla lunas7. Pertanto, la spiegazione fornita da Posidonio viene indicata come dipendente da quella piteanass, ma distinta da quella di Seleuco. La seconda motivazione è data da un insieme più complesso di elementi. Stando alla testimonianza di Strabone, l'astronomo Ipparco sosteneva contro Eratostene che l'oceano non subiva ovunque le stesse trasformazioni e non circondava uniformemente la terra. e chiamava a testimone di tale andamento Seleuco di Babilonia59. Dalle poche testimonianze dell'opera di Seleuco si può dedurre che l'idea della non uniformità dell'oceano si fondava sul confronto tra la tipologia delle maree da lui personalmente studiata nel Golfo Persico e la tipologia atlantica descritta da Pitea, che quanto meno doveva essergli nota attraverso Eratostene 60 • Posidonio, che pure conosceva l'opera di Seleuco, era al contrario un seguace della visione opposta, sostenuta da Eratostene. secondo cui l'ipotesi di un oceano continuo si accordava con l'uniformità delle mutazioni dei flussi e riflussi delle maree che si presentavano ovunque come il prodotto del movimento di uno stesso mare 61 • Ma, come si è visto. questa teoria sostenuta da Eratostene dipendeva quasi certamente dalle riflessioni di Pitea sui fenomeni di marea nell'Atlantico e nel Mediterraneo ed è in questa direzione, pertanto, e non verso la teoria di Seleuco, che dovette guardare Posidonio, influenzato in ciò anche dal credito attribuito al Massaliota dallo studioso cirenaico. Per abbandonare la teoria di Seleuco, Posidonio doveva sentirsi confortato dalle indagini di Pitea che evidentemente confermavano quanto egli aveva osservato e raccolto a Cadice e che estendevano tali osservazioni anche ad altri mari, se non già alla totalità dei mari e degli oceani. Quindi, il ciclo annuale descritto da Posidonio e noto attraverso la diretta testimonianza di Prisciano, oltre che dai dati personalmente raccolti nel mese trascorso a Cadice dipendeva con ogni probabilità anche dalle osservazioni di Pitea, che era stato molto più a lungo sull'oceano e dunque aveva più termini di confronto, avendovi osservato i fenomeni marini in diverse regioni. Tra l'altro, Plinio, che forse fra tutti gli autori antichi presenta la migliore esposizione del fenomeno delle mareel indica esplicitamente una sola fonte in proposito, Pitea.
Ps. Plut., Epit., III, 17, 1-9 e Stob., Ecl., I. 38, l-9 = Aet., P/ac., 111, 17, l-9. in DG, pp. 382-383. Cfr. H. J. Mette, Pytheas, cit., pp. 13-15 e 38-39. 59 Strabo, l, I. 9, C 5-6= F 4 Dicks. 60 Cfr. G. Aujac. Strabon et la science de son temps, cit.. p. 291. L'erronea indicazione che Seleuco si era occupato delle maree atlantiche, in Stob., Ecl .. l, 38 e Ps. Plut.. Epit .. m. 17 = Aet., Plac .. III, 17. 9, in DG. p. 383. diversamente da quanto supposto da L. Russo (L'astronomo Seleuco, cìt., pp. 148151 ), potrebbe derivare proprio da questo confronto istituito da Seleuco stesso. M F Il A. 13 Bergcr = Slrabo. I. l. 8. C 5. ~1
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citato per avere osservato le eccezionali maree che si verificavano nell'estremo nord della Britannia62 . Da ciò non si può arguire che tutta la descrizione pliniana derivi da Pitea, la cui opera per altro Plinio doveva conoscere solo indirettamente, ma quanto meno che nelle fonti utilizzate da Plinio alle indagini del Massaliota venisse dato un risalto particolare63. In conclusione, ritengo possibile che Pitea, oltre al periodo giornaliero e mensile, avesse affrontato anche la questione relativa al periodo annuale e al culmine solstiziaJe delle maree, formulando una teoria che ne riconosceva la causa nell'influenza della luna e, anche se solo indirettamente, nell'interazione fra questa e il ciclo solare. Le sue considerazioni rappresentarono un contributo fondamentale per le successive teorie elaborate da Eratostene e da Posidonio. L'attenzione eziologica nei riguardi delle maree e, più in generale, dei diversi fenomeni marini, sembra essere una vera e propria costante dell'indagine piteana, a Cadi ce come in Britannia, neli' oceano settentrionale come nel Mediterraneo. Come si vedrà in seguito, infatti, la teoria delle maree rientrava in una più ampia e globale visione dell'oceano e dei moti marini che sembra anticipare per alcuni aspetti e fondare la teoria della continuità degli oceani enunciata da Eratostene. Tale visione costituiva il nucleo centrale del suo scritto, coerentemente e significativamente intitolato llEpt '!JxEavou, ed era il risutato dell'applicazione delle indagini astronomiche e matematiche al mondo fisico. , Le ricerche piteane a Cadice non si limitarono al fenomeno delle maree. E infatti probabile che egli vi abbia effettuato anche alcune osservazioni astronomie he, in particolare re lati ve aH' apparizione della stella Canopo sul filo delr orizzonte. Poiché il fenomeno era già stato osservato a Cnido da Eudosso64, il suo ripresentarsi a Cadi ce avrebbe fornito la prova che C nido (e Rodì) e le Colonne d'Eracle si trovavano sullo stesso parallelo65 ; questo, ovviamente, assumendo per certo che Cadice e le Colonne. ormai defmitivamente identificate con i promontori di Abila e Calpe, si trovassero all'incirca sullo stesso paralleIo66. In realtà, S trabone asseri se e che le osservazioni re lati ve a11' apparizione di Canopo ali' orizzonte di Cadi ce furono effettuate da Posidonio, il quale. durante il suo soggiorno in una città distante 400 stadi da Cadice, affennava di avere osservato dali' alto di una abitazione un astro che aveva identificato con Canopo, poiché era riconosciuto che tale astro risultava visibile spingendosi di poco a sud dell' lberia67 . Ma è molto probabile che, come per le maree, Posidonio N.H.. II. 217 = F 7e Bianchetti = F J3a Mette. Plinio cita fra le sue fonti. a proposito della teoria delle maree. Posidonio. Dìcearco. Eratostene e Pitea (N.H., t 2 = F 3 Bianchetti). tH T 21 e F 7 5a Las serre = Slrabu. Il. 5, 14, C l L9; F 75b Lus~erre = Theo Smyrn., E.tp. re r. mCJlll., 121. 65 Così G. Aujac, Astronomie et géographie, cit., p. 45 , la quale ritiene per l'appunto che l'autore dì tale osservazione sia Pitea. 66 Strabo. Il, 5, 14, C 119. 67 FGrHist., 87 F 99 = Strabo. II. 5, 14. C 119. L'osservazione dell'appartizione di Canopo all'orizzonte di Rodi ebbe particolare importanza nell'opera di Posidonio, poiché gli fornì gli elementi necessari per formulare un calcolo della circonferenza terrestre alternativo a quello di Eratostene (Cleom., Caelestia.I. IO; FGrHist., 87 F 28 = F 49 Edeltein-Kìdd =F 13 Theiler = Strabo, II. 2, 2. C 95 c Il, J. 6, C 102: cfr. anche Strabo. Il, 5. 24, C 125-126). Tale calcolo. benché fosse ottenuto a partire da dati erronei o nei quali erano insiti margini d'errore superiori a quellì contenuti nel procedimento di Eratostene. e nonostante fosse stato sottoposto a revisione dallo stesso Posidonio, venne accolto favorevolmente da Marino di Tiro e Tolemeo e comportò l'attribuzione di dimensioni ridotte alla sfera terrestre, sulla quale l'ecumene assumeva dimensioni spropositate. Cfr. G. Aujac, L 'immagir1e della 62
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facesse riferimento alle ricerche svolte, due secoli prima, da Pitea. Infatti, Dicearco. il primo detrattore di Pitea68, aveva collocato sulla sua carta del mondo l'importante parallelo che collegava le Colonne d'Eracle, la Sardegna, la Sicilia, il Peloponneso, la lonia, la Caria, la Licia, la Pamfilia, la Cilicia e il Tauro fino al monte Imeo; comprendendo pertanto anche Rodi e Cnido in questa linea che diveniva rasse portante per la collocazione sulla stessa carta delle regioni mediterranee. gravitanti appunto attorno a questo parallelo centrale69. Poiché egli conosceva ropera di Pitea, è possibile che la collocazione delle Colonne sullo stesso parallelo di Rodi si fondasse su una osservazione piteana, ed in particolare quella delrapparizione di Canopo a sud di Cadice. Se tale supposizione è corretta, l'attenzione di Pitea alla localizzazione e collocazione delle Colonne d'Eracle potrebbe essere letta in una duplice prospettiva, topografica e geografica. Dal punto di vista topografico, infatti, vi sarebbe il tentativo di porre fine ad una lunga diatriba, con l'individuazione delle Colonne nei due promontori di Abila e Calpe; come si deduce dalle critiche, più volte menzionate, mosse da Polibio e Artemidoro ad Eratostene per il credito prestato a Pitea. Se. come pare, risalgono realmente all'esploratore massaliota le informazioni in possesso di Eratostene, si potrebbe supporre che Pitea avesse chiaramente distinto le Colonne d'Eracle da Cadice e. quindi, dalle colonne del tempio di Melqan-Eracle - poiché le Colonne erano prese come riferimento per il computo delle distanze da Massalia e dai Pirenei, mentre Cadice distava da esse 800 stadi -, e le avesse identificate con i promontori di Abila e Calpe. Dal punto di vista geografico. l'osservazione astronomica relativa a Canopo e le coordinate fomite dalle distanze computate in giorni di viaggio si inserirebbero con le altre osservazioni piteane nel contesto di una sommaria griglia delle latitudini fondata sulla latitudine di Massalia ma rapportata infine al parallelo di Rodi, caposaldo della speculazione astronomica greca in funzione cartografica. In tal modo l'indagine di Pitea si ancorerebbe a quella dei suoi predecessori, Eudosso in particolare, mostrando di non essere scevra da quella esigenza di simmetria nella rappresentazione ecumenica che fu tipica del pensiero geografico greco. Strabone. fra le altre critiche mosse da Arternidoro ad Eratostene a causa dell'origine piteana delle infonnazioni di quest'ultimo. riferisce anche quella secondo cui, contro coloro che avevano identificato I'isolotto gaditano con l'isola 'Epu6e;~cx della saga di Eracle e Gerione, il Cirenaica aveva obiettato che l'isola 'Epu6e::tcx si chiamasse in realtà isola felice (e::ùòcxi~wv)1°. A questo proposito è necessario sottolineare l'esistenza di almeno due diverse tradizioni: la prima faceva di 'Epu6e::tcx l'isola abitata da Gerione e la identificava con Cadice 71 ; terra. cit.. in pan. pp. 175-177. sull'osservazione posidoniana di Canopo: p. 181. sulrinfluenza esercitata dal calcolo di Posidonio. 611 Almeno secondo Poi .. XXXIV. 5. IO Bunner-Wobst = Strabo. II. 4, 2. C 104 = F 104 Wehrlì. 611 F IlO Wehrli = Agathem .• Geogr. inj., 5, in GGM. Il. p. 472; la menzione della lonia. espunta da precedenti commentatori, è reintegrata da A. Diller. Agathemerus, cit.. p. 61. Cfr. G. Aujac. Astronomie et géographie, cit .• p. 47-48; ed inoltre il commento della stessa Aujac, Strabon. Il. cit., nota 2. p. 12 (p. 125), ove si accredita la possibilità, precedentemente fonnulata da F. Lasserre, Die Fragmente des Eudoxos von Knidos, cit., p. 271, che già Eudosso di Cnido avesse delineato questo parallelo (cfr. F 350 Lasserre = Strabo. IX. l. l. C 390), poi sostanzialmente ripreso come asse fondamentale anche da Eralostene (F III A. 2 Berger = Strabo, II. l. l, C 67). 7 F III B. 122 = Strabo. III, 2. 11. C 148. 71 Heruù., IV. 8; Strdbu, III, 2, Il, C 148; Plin., N.H .• IV, 120.
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la seconda ne faceva un'isola situata in pieno oceano, al largo delle coste iberiche 72 • Quest'ultima tradizione conosceva evidentemente l'esistenza di un'isola e:ÙOCX.t!J-WV, identificata con 'Epu6e:tcx., posta in pieno oceano e distinta dali' isola di Cadice. Si può pertanto supporre che Era toste ne facesse riferimento alla stessa isola oceanica di cui parlano Diodoro73 e lo Pseudo Aristotele 74 , e che viene identificata con l'odierna Madera75 • La fonte comune a questi autori sembrerebbe essere Timeo 76 , il quale a sua volta potrebbe dipendere dallo stesso Pitea77 , che avrebbe raccolto a Cadice le informazioni dei marinai gaditani che si avventuravano lungo le rotte atlantiche. Per quanto concerne Diodoro, la sua dipendenza da Pitea, attraverso la mediazione di Timeo e forse di Eratostene, è sicuramente accertabile negli excursus dedicati alla Britannia, ali' isola di "Ix'tt<; e a quella dell'ambra. È dunque ragionevole supporre che derivi da Pitea anche questa notizia relativa alle estreme regioni occidentali, soprattutto se si considera che Eratostene, in base ai dati piteani, aveva ampliato le dimensioni dell'ecumene anche verso occidente, ben oltre i limiti continentali dell'Europa78. Riguardo invece al De mirabilibus auscultationibus. altri passi denotano una buona informazione sulle regioni occidentali: si tratta del capitolo 135, sui primi Fenici giunti a Tartesso, e del capitolo 136, sulla pesca del tonno che si svolgeva lungo la costa africana79. Un possibile riferimento alla teoria delle maree appare invece al capitolo 55, come si è visto sopra. Infine, Stefano di Bisanzio riferisce che in una versione perduta di quest'opera compariva un riferimento al «popolo celtico» dei rÉp!J-cx.pcx. che non vedeva mai il giomo!!D, e tale notizia sembra trovare un preciso parallelo nella popolazione settentrionale che mostrò a Pitea dove il sole andava a donnire81. Non è pertanto improbabile che l'ignoto autore della versione originaria dell'opera pseudo-aristotelica, comunque da collocare all'interno della scuola peripatetica di inizio III secolo a.C., avesse una buona conoscenza delle indagini svolte da Pitea e ne facesse uso. Tornando a Cadice, il centro fenicio era indubbiamente un luogo privilegiato per la raccolta di informazioni sul prosieguo del viaggio verso l'Europa settentrionale e non è affatto improbabile che Pitea abbia arruolato in città marinai esperti e cambiato tipo di imbarcazione per affrontare le diverse condizioni di 12
Mela, III, 47, che tuuavia vi collocava Gerione: Plin., N.H .• IV. 120. v. 19-20. 7~ De mir. ausc:., 84, 836b-837a. 7 ~ G. Amiotti. Le isole Fortunate: mito, utopia. realtà geografica, in Geografia e storiografia nel mondo classico, a cura di M. Sordi, c>, XIV. 1988. pp. 166-177, in part. pp. 171-174. 7 f> Il passo di Diodoro è infatti raccolto fra i frammenti di Timeo dallo Jacoby (FGrHist., 566 F 164): dr. P. Ce~.:~.:ardli,/ nesiulika, 1), benché lo stesso Mazzarino ritenesse prudente non pronunziarsi sul fatto che già Pitea avesse fatto uso di tale nome. 7 -1
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navigazione dell' Atlantico82 . Lo stesso avrebbe fatto, sul finire del II secolo a.C.~ Eudosso di Cizico, nel momento in cui si apprestò ad affrontare la circumnavigazione della Libia per raggiungere l'oceano Indiano e il Mar Rosso; un altro grande viaggio, questo, ma senza ritornoBJ.
III. 2 - La questione del presunto «blocco» cartaginese delle Colonne d'Eracle Proporre per la fase iniziale del viaggio di Pitea un tragitto terrestre, alternativo a quello marittimo implicante il periplo dell'Iberia, aveva anche lo scopo di evitare le difficoltà sottintese dalla sua presenza a Cadice. Secondo quella che fino a qualche anno fa era la communis opinio, infatti, tale presenza sarebbe risultata in aperto contrasto con la teoria del «blocco» dello stretto di Gibilterra e, più in generale, del Mediterraneo occidentale attuato da Cartagine, con conseguente monopolio delle rotte e interdizione agli stranieri. Si tratta di una teoria moderna che ha trovato largo seguito in questo secolo e che non può essere disgiunta da ulteriori ipotesi e considerazioni: la conquista delle regioni meridionali de11'Iberia da parte di Cartagine, tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C.; la dissoluzione del regno di Tartesso e il coinvolgimento della città di Elissa nella vicenda; l'imposizione del dominio cartaginese sui precedenti centri fenici o la loro distruzione; la scomparsa degli stanziamenti greci nella regione, ormai preclusa da Cartagine alla frequentazione commerciale o di altro tipo. Più in generale tale teoria si riallaccia in sostanza alla complessa questione dell' «imperialismo» cartaginese, della politica espansionistica e protezionistica attuata dalla città punica ad incremento e difesa non solo dei propri possedimenti, ma anche e soprattutto delle proprie rotte e attività commerciali 8-l. Negli ultimi anni, tuttavia, si sono da più parti attuate una revisione e una ridefinizione di tali ipotesi, con conclusioni che spesso sovvertono radicalmente quanto precedentemente assunto come certo. Corretta la definizione di «imperialismo» da attribuirsi a Cartagine 85 - sempre che tale definizione possa ~~~Cfr. C. H. Roseman. P.vtheas. cit., pp. 148-150. che ha tuttavia la tendenza ad attribuire a Pitea il costante utilizzo di mezzi locali, mentre ritengo possibile sia una sua partenza da Massalia, con una o più imbarcazioni già appositamente cosLruite per solcare l'oceano. sia la loro acquisizione a Cadice, ma non rutizzazione di natanti di volta in volta reperiti presso gli emporia e i porti toccati. Una eccezione in questo senso. ma chiaramente legata all'occasione, potrebbero essere state le imbarcazioni di pelli che i Britanni utilizzavano per raggiungere l'isola di Ictis durante l'alta marea (Plin., N.H., IV, 104 = F 8f Bianchetti = F t lb Mette). Al contrario, secondo R. Carpenter, Beyond the Pillars of Herak/es. cit. p. 152. Pitea avrebbe utilizzato una nave commerciale massaliotu lenta e piccola. H3 FGrHist., 87 F 28 = F 49 Edelstein-Kidd = F 13 Theiler = Strabo. Il. 3. 4. C 98-100. Cfr. J. Gagé, Gadès. l'lnde et /es nadgarions atlantiques. cit., pp. 202-203. con espliciti riferimenti a Pitea ed Eu dosso. 11-1 Una panoramica sintetica dello sviluppo di tali teorie all'interno della stenografia moderna è fornita da P. Barcel6. Kartha,r:o und die lberirche Halbinsell·or den Barkiden. Studien zur karthagischen Priisen:. im westlichen Mirtelmeerraum von der Griindun,~ von Ebusus (VII. Jlz. ''· Chr.) bis :urn Ubergang HamUkars nach Hispanien (237 v. Chr.), Bonn, 1988, nota 9, p. 46; nota 33. p. 53; pp. 63-67. Hs Secondo C. R. Wittaker, Carthaginian fmperialism in the Fifth and Fourth Centuries. in lmperialism in rhe Ancienl World, The Cambridge University Research Seminar in Ancient History, edited by P. D. A. Gamsey and C. R. Wittaker, Cambridge-London-New York-Melboume, 1978, pp. 59-90, il tennine sarebbe valido nella sua accezione economica, intrinseca alla struttura sociale e politica cartaginese. mentre solo a partire dal IV e soprattutto nel III secolo secolo a.C. si affermerebbe un suo significato territoriale. Cfr. anche E. C. Gonzalez Wagner. Fenicios )' Cartagineses en la Penfnj·u/a lbérica: Ensayo de illlerprewci6n fundamentodo e n un andlisis de las factores intemos, Madrid. l 983. pp. 250-263.
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rimanere comunque valida, cosa che a mio parere non è - si è giustamente ridimensionato, attraverso le recenti indagini archeologiche e il riesame della documentazione letteraria, il ruolo di Cartagine nelle vicende che coinvolgono l'Iberia meridionale tra VI e III secolo a.C.86_ In base a tali indagini, sembra ormai accertato che solo a partire dali' avventura dei Barcidi, dunque dal 237 a.C., sia corretto parlare di un intervento militare e della conquista cartaginese della regione 87 ; fino a quel momento, i centri fenici o indigenì continuarono a godere di una propria autonomia. Quanto alle presunte colonie greche alla cui esistenza molti continuano a credereBB, esse non sono mai esistite89; molto più probabilmente la frequentazione greca degli emporia indigeni o fenici dislocati lungo la costa iberica meridionale e la presenza in loco di un numero elevato di personaggi dì origine greca - mercanti, marinai, artigiani o avventurieri di altro genere-, sul modello dell'Etruria contemporanea, determinò l'applicazione di nomi greci a località che in età successiva furono erroneamente ritenute vere e proprie colonie greche90. Il regno di Tartesso sembra invece essere stato coinvolto in una serie di rivolgimenti interni, frutto di una lenta evoluzione, che congiuntamente a fattori esterni portarono alla sua scomparsa come singola realtà. Al suo posto sorsero strutture regionali minori attorno a centri di recente sviluppo; in sostanza, una sorta di ristrutturazione interna con la formazione di entità politiche e sociali indipendenti e individualizzate che mantennero ancora fino al IV secolo una generale prosperità, come è indicato dai ricchi tumuli aristocratici 91 • Più complesse appaiono le questioni della scomparsa di alcuni degli insediamenti fenici e deli 'effettivo ruolo svolto da Cartagine nella regione, in particolare le sue relazioni con i centri fenici preesistenti e con le popolazioni locali. Nel primo caso si può ipotizzare un fenomeno parallelo a quello avvenuto per Tartesso. con l'accentramento politico ed economico attorno ad alcuni insediamenti principali e il conseguente abbandono delle fattorie e degli empori liti C. R. Wiuak.er. Carthaginian lmperialism, cit., pp. 69-71: E. C. Gonzalez Wagner. Fenicios )' Cartagineses. cit., pp. 238-250: P. Barcel6. Kartlwgo. cit.. in part. pp. 144-151. per un quadro conclusivo: cfr. anche J. L L6pez Castro. Pompeyo Trogo (lustino XLIV, 5, 1-4) y el imperialismo cartaginés en la Pen(nsula JIJérica, in In memoriam l. Cabrera Mareno. cit., pp. 219-235. &7 P. Barcelo, Karthago. cit., pp. 75-85. ~;~;Cfr. J. Arce, Co/oni7.adon grieRa en Espaiia: algwzas consideration merodologicas. ((AEA», 52, 1979. pp. l 05-110; M . Bendala Gal an, Las mas antiguas navegaciones griegas a Espana y el origen de Tartessos, «AEA», 52. 1979. pp. 33-38; Y. B. Tsirkin. The Greeks and Tartessos, ~>, 5, 1986. pp. 163·171: L Antonelli, Euctenwne a Maindke. Riflessioni sul problema dell'ultimo stan::_iamentn greco verso occidente, in Grecità adriatica e grecità per{feriche, cit.. pp. 117-128. a proposito della presunta città greca di 1\lcuvcixY). ~"' Si veda H. G. Niemcyer. A la busqueda de Mainakt': el conj1icto entri' los testimonios arqueologìcos y escritos. «Habis», l 0-ll. J979-1980. pp. 279-302: Id., Tlze Greeh and the Far West. Towards a Rem!utation of the Archeologica! Record from Spain: in La Magna Grecia e il lontano Occidente. Atti del XXiX Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1989, Taranto. 1990, pp. 2953. Cfr. inoltre: M. Femandez-Miranda. Horizonte cultura! tartessico _v lwlla~os griegos en el sur de la peninsula, «AEA}>, 52. 1979, pp. 49-63; P. A. Barcelo, Karthago. ciL, in part. pp. 116-125. ()()E. C. Gonzalez Wagner. Fenicios y Cartagineses, ciL, pp. 208-209; P. Barcel6, Karthago. cit., p. 123. '~ 1 Cfr. T. Judice Gamito, Soda/ Complexity in Southwest lberia, 800-300 B.C. The Case ofTartessos. BAR International Series 439. Oxford. 1988, in pan. pp. 138-142 e 182-184, il quale segnala principalmente la trasformazione interna; E. C. GonzAiez Wagner. Fenicins y Cartagineses, cit., pp. 231-238, al comrario, vede nello sfruttamento delle vie interne alla CeiLica da parte di Massalia, con conseguente perdita dì importanza della via atlantica dello stagno. la causa principale del dissolvimento di Tartesso. Il quadro è certamente più complesso, come indica P. Barcelo, Karthagn, cit.. pp. 47-52.
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di minori dimensioni o il cui ruolo si era andato esaurendo nel tempo. Quanto alle cause di tale fenomeno, forse sono da vedersi in un generale riassetto delle linee interne del commercio iberico 92 . Riguardo alla presenza cartaginese neii'Iberia meridionale, non si può parlare affatto di occupazione ma semplicemente di avvio e consolidamento di relazioni politiche ed economiche sia con i centri indigeni sia con i centri fenici, senza che si possa distinguere con sicurezza l'esistenza di vere e proprie colonie puniche 93. Cadice e gli altri centri mantennero intatta la loro autonomia tanto dal punto di vista politico quanto da quello commerciale, conservando il controllo delle proprie rotte 94 • Questo tuttavia non significa che Cartagine non abbia giocato alcun ruolo nel contesto iberico in età pre-barcide~ esso semmai va riconosciuto in una realtà più complessa. In sostanza, analogamente a quanto si andava verificando in Sicilia, Cartagine diede vita a relazioni di tipo mutualistico con le città fenicie e i centri e le popolazioni iberiche. garantite poi da trattati internazionali. Cartagine forniva il proprio appoggio nel mantenimento della sicurezza commerciale e dell'indipendenza di quei centri che le offrivano il diritto di accesso ai loro porti e agli emporia; il che era certo facilitato nel caso degli stanzi amenti fenici 95 • La necessità di mantenere sicure e stabili le basi di appoggio, che rimanevano quindi indirette, era soddisfatta attraverso un'opera di prevenzione che è chiarita dal secondo trattato romano-cartaginese riportato da Polibio e generalmente datato al 348 a.C. 96 , a11orché Cartagine escluse la frequentazione romana lungo un tratto della costa iberica che non aveva alcun interesse per Roma e che, allo stesso tempo, non mostra tracce del1a presenza e del controllo cartaginese che sembrerebbero presupposti dal trattato stesso97 • In un contesto così radicalmente mutato, il «blocco>> cartaginese delle Colonne d'Eracle sembra poco più che una presunzione moderna9B, ed è probabilmente più corretto parlare, almeno fino al III secolo a.C., di una forma di protezionismo preventivo mirante ad allontanare la presenza di pirati o nemici da aree di rilevante interesse economico per Cartagine, garantendo la sicurezza del commercio con le popolazioni locali e con altri partner riconosciuti da trattati bilaterali che regolamentavano la frequentazione degli emporio~ e non 91
L'idea di E. C. Gonz.alez Wagner. Fenicios y Cartaginese s. cit., p. 236. che la decadenza di questi stanziamenti sia dovuta al colpo inferto al commercio dello stagno lungo la via atlantica dall' apenura delle vie interne alla Celtica che facevano capo a Massalia. è quanto meno esagerata. 9 3 P. Barcel6, K{lrthago, cit., in part. pp . 35-37: cfr. anche M. J. Pena, ÙJ (supue.Ha) cldusola referente al Sudeste y al Levante peninsular en el prìmer rratado emre Roma y Cartago. in Simposi lntemacional: Els Orfgens del mon ìbèrìc, Barcelvna-Empurìes. 1977, <
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solo di queJli iberici. Data, tuttavia, l'importanza che tale teoria ha avuto nella questione piteana, mi sembra opportuno dedicare una particolare attenzione ali' esame di alcune delle fonti sulle quali essa per lungo tempo è stata fondata. La teoria del <. Cfr. R. Dian, Aspects politiques. cit .. p. 188, che cita a sostegno della realtà del «blocco» cartagine se i versi di Pindaro (O! .. III. 43-44; Ne m., III. 21; IV. 69; ma si veda anche lstm., IV. 12). esclusi invece da M. Clavel-Lévequc, Mar:•eille grecque, ciL, p. 133. in quanto chiara espressione poetica dell'idea del fiume Oceano circondante la terra che si trova già in Omero. Ancora, si veda J.-8. Colbert de Beaulieu, Traité de numi.~matique celtique. l, Métlwdologie des ensembles. Paris. 1973. pp. 17~-179. che ipotizza addirittura la pennanenza di una piccola squadra navale cartaginese nelle acque dello stretto di Gibilterra. con il compito di impedirne agli stranieri l'accesso. ritenuto comunque possibile durante la notte o in situazioni di scarsa visibilità. 101 R. Dion. La géographie d'Homére. cit. p. 473: Id .. A.,pects politiques. cit., pp. 175-222. 102 R. Carpentcr. Beyond tlze Pil/ars, ci t .. pp. 145-14 7. 103 W. Sieglin. Enrdeckungsgeschichte. cit.. pp. 855-856 e 860. L'ipotesi dello Sieglin venne seguita anche da R. Hennig, il quale. prima di ricorrere all'alternativa di un tragitto inizialmente terrestre lungo gli assi fluviali della Celtica (cfr. Die Anfiinge des kulturel/en und Handelsverluhrs in der Miuelrneerwelt. "HZ'', 139, 1928-1929, pp. 23·24), aveva supposto che Pitea avesse compiuto il suo viaggio con l"approvazione o, addirittura. su incarico da pane di Cartagine (Von riitse/haften Uindem. MUnchen. 1925, p. 96). IO-l Cfr. J. Malye, Pythéas, «BAGB>•. 41. 1933. pp. 39-42, elle riunisce tutte queste ultime possibili
motivazioni all'apertura momentanea del «blocco», seguito in ciò da E. Davin, Pythéas le Massaliote, premier grand navigateur provençal, «BAGB)>, 62, 1954. p. 63.
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delle informazioni offerte dalle fonti in relazione alla possibilità di collocare cronologicamente I' attività di Pitea e sulla relativa libertà consentita da questa mancanza, per altri versi pesante. Le ipotesi sopra elencate sono, almeno in alcuni casi, interessanti, ma non ricevono le necessarie conferme dall'esame delle fonti. Queste ultime, per quanto relativamente poco numerose, indicano inequivocabilmente che qualche forma di politica protezionistica, col ricorso anche a metodi di estremo rigore, fu effettivamente praticata da Cartagine, ma occorre individuarne ed eventualmente circoscriverne quella che fu spazialmente e temporalmente la portata 105. Che infatti tale politica abbia avuto dei limiti o che comunque abbia lasciato spazio alle azioni intraprese da Greci, e non solo da Greci, è testimoniato da notizie riferite da più fonti. Basti pensare al già menzionato viaggio dell' esploratore massaliota Eutimene, che sembra essersi spinto lungo le coste africane fino alla foce dell'attuale Senegal ove, oltre ad individuare l'esistenza di una fauna tipicamente nilotica, prestò attenzione allo straordinario effetto provocato dal fiume, le cui acque addolcivano l'oceano 106 • Un fenomeno che non mancò di sorprendere anche i navigatori portoghesi che attorno alla metà del XV secolo d.C. riscoprirono le rotte atlantiche africane, preludio alla circumnavigazione del continente e all'apertura della via per le lndie107 . Altro esempio è fornito dall'ateniese Euctemone, più volte menzionato per le sue osservazioni sulle Colonne d 'Eracle e probabilmente da identificare con il famoso astronomo che nel 432 a.C. collaborò con Metone alla rifondazione del calendario ateniese 108 • Ancora si pensi agli autori o alle fonti del capitolo 112 del Periplo di Scilace, che sembra da ricondurre ad un originale di VI secolo rivisto, con ulteriori informazioni. attorno alla metà del IV secolo a.C. 109 ; a Ofela 110, autore di un Periplo della Libia e generalmente identificato con Ofella, il condottiero cirenaica che marciò con Agatocle contro Cartagine nel 308 a.C., e fu da questi assassinato a tradimento11 1; infine, alle fonti di Eforo ed Aristotele per quanto 1os Cfr. J. Desanges. Recherches. cit. p. 32.
A non. fior., De increm. Nili, 5, in Phisid et medici graeci minores, cit., p. 191; Sen .• N. Q., IVa, Iohan. Lydus. De mens., IV, 107, p. 145 Wiinsch; Ael. Arist., XXXVI. 85-96. 107 Fu Nuno Tristào, nel 1444, a scoprire la foce del Senegal. Tanto lui, quanto coloro che ne seguirono la rotta, come Diniz Dias che nello stesso anno toccò il Capo Verde scoprendo al termine della lunga fascia costiera del deserto sahariano l'inaspettato spettacolo della f1ora tropicale, cnn palme e altri alberi verdi, riferirono della grande massa d'acqua dolce che si spingeva a grande distanza nel mare e i loro racconti indussero i geografi contemporanei a pensare che il fiume fosse un ramo occidentale del Nilo; cfr. C Errera, L'epoca delle grandi seoperte geografiche. Milano. 190l. 1926\ rist. 1976, p. 225; J. H. Parry, The Discovery of the Sea, 1974. Berkeley-Los Angeles. 1981. trad. it, Ln conquista del mare. Milano. 1984, p. 118; A. Solmi, Le grandi al'l'enture di mare. l conquistatori degli oceani dai Vichinghi a Colombo e Mage/lano. Novara, 1984, p. 40. 108 Avien .• Ora mar., vv. 43-44; 337-369. Cfr. A. Rehm. s. v. Euktemon (lO), RE. VI. l, 1907, coli. l 060-1061: D. R. Dicks. s. v. Euctemon, in Dictionary of Scientific Biography. ci t., vol. IV, New York. 1971. pp. 459-460. 109 Cfr. A. Peretti, Il Peri pio di Sciia a. ci t .. pp. 3 73-417. 110 Strabo. XVII. 3, 3, C 826; cfr. Marcian., Epit. Perip/. Menipp .• l, 2. in GGM, I, p. 565, che menziona tale Apellas di Cirene come autore di un Periplo. 111 L'ipotesi è sostenuta da C Mi.iller, in GGM,I, p. XXIV. da H. Berger, Era/Osthenes, cit., p. 310. e da C. R. Wittaker, Cartlwginian lmperialism, cit, p. 80, ma è rigettata da J. Desanges, Recherches, dt., pp. 3~5. Si sono espressi favorevolmente a questa identificazione E. Honigmann. s. v. Ophelas, RE, XVIII, I, 1939, col. 630: A. Peretti,/1 Periplo di Sci/ace. ci t., nota 340, p. 311; Id .• Dati storici e distan:.e marine nel periplo di Scilace, «SCO», XXXVIII, 1988, p. 58; S. N. Consolo Langher. Cirene, Egitto e Sicilia nell'età di Agaroc/e, in Ln Cirenaica in età antica, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Macerata, 18-20 maggio 1995, a cura di E. Cateni, S. M. Marengo. Pisa-Roma, 1998. p. 153. 106
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riguarda ]'occidente e le regioni esterne alle Colonne d'Eracle, sempre.che non si tratti di qualcuna fra quelle appena menzionate. Eforo infatti conosceva l' opera di Eutimene 112, mentre Aristotele ricordava espressamente come fonte tale Promathos di Samoll3. Ma non solo i Greci furono presenti nell'area dello stretto di Gibilterra e nell'Atlantico: Erodoto infatti fornisce il resoconto della navigazione del persiano Sataspe, nipote di Dario per parte di madre, che fu incaricato da Serse del compito di circumnavigare l'Africa in senso inverso al periplo realizzato dai Fenici inviati dal faraone Nechaotl4; mentre Diodoro, attraverso Timeo, menziona l'interesse che gli Etruschi ebbero addirittura nella colonizzazione di un'isola atlantica che molto probabilmente è da identificare con Madera 115. Passando quindi all'esame delle fonti relative al presunto «blocco» cartaginese, ritengo sia opportuno iniziare dal già menzionato secondo trattato romano-cartaginese, quindi da una data tutto sommato vicina a quella del viaggio di Pitea. La testimonianza principale in proposito è quella di Polibioll6, il quale fornisce il testo del trattato e altre informazioni collaterali. Le clausole comportavano per Roma il divieto di esercitare pirateria, commerciare e fondare città nei territori posti o l tre l' cìx.pw't~ptov Kcx Àov, cioè nella regione della Piccola Sirte 117 , e oltre la località di 1\<[cxa'ttc'l Tcxpcr~tov, quindi nel sud Eforo ricordava Eutimene a proposito della piena del Nilo, nell'Xl libro delle 'Ia--ropicu a divites et insulas», in L 'ltalie préromaine et lu Rome républicaine. Mélanges offerrs à Jacques Heurgon, Il. Roma 1976, pp. 877-902. Per l'identificazione con Madera si rimanda invece a G. Amiotti, Le isole Fortunult>, cit., pp. 171-174, e P. T. Keyser, Fmm Myth to Map. The Blessed lsles in the Firsr Century B.C., «AncW», 24, 1993, in part. pp. 155-156. 116 III, 24, 1-16: cfr. inoltre Diod., XVI. 19, l: Liv.. VII, 27, 2; Oros .. Hist., III. 7, l. Mentre per Polibio questo è chiaramente il secondo trattato stipulato tra Roma e Cartagine, Diodoro e Orosio lo intendono come il più antico; Livio non si pronuncia, ma nella sua opera non vi è alcuna traccia che indichi la conoscenn dell'esi.,tenza di trattati precedenti da parte dello storico patavino. 117 Come si deduce da Polyb., III, 23, 1-2, anche se i1 testo in questo caso si riferisce al primo trattato romano-cartaginese; cfr. Polyb., III, 22. 1-13 e III, 23. 3-6. L'identificazione del promontorio in questione con il capo Farina o il capo Bon ha diviso lungamente la critica; per una recente messa a punto si rimanda a J. Desanges, La Jocalisation du «Beau-Promontoire» de Polybe, «Karthago}>, XXJT, 1990, pp. 21-33, che propende chiaramente per il capo Bon. Cfr. inoltre: 8. Scardigli. l trattati romanocarlaKineJi, cii., p. 107, con una rapida presentazione delle diverse ipotesi; M. R. Cataudella. Geografia greca e geografia punica a proposito della costa settentrionale dell'Africa nei lrottati fra Roma e 112
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iberico 118 ; nessun Romano inoltre poteva commerciare o fondare città in Sardegna e in Libia (la costa nord-africana). Ai Romani era concesso di sostare solo per approvvigionamenti o riparazioni. In caso di necessità non era comunque consentita una sosta, in queste aree, superiore a cinque giorni. Era invece concesso ai Romani di agire e commerciare liberamente nella Sicilia soggetta ai Cartaginesi ed a Cartagine stessa. Queste clausole sembrano essere state valide anche per gli alleati di Roma, e riprendevano, in sostanza, quelle del primo trattato, con in più le limitazioni relative alla Sardegna e al1'Iberia 119 • Si rendono qui necessarie ulteriori considerazioni, poiché ha notevole rilievo, ai fini di questa ricerca, l'opinione diffusa presso la maggior parte dei commentatori moderni che Massalia sia da considerare tra gli alleati di Roma, venendo quindi indirettamente ad esse:re vincolata al trattato 12°. A tale proposito, va innanzitutto osservato che Massalia non è mai tnenzionata nel testo, mentre Polibio nomina i centri latini ai quali, a suo parere, è esteso il trattato: Ardea, Anzio, Circei, Terracina. ln realtà, poiché si tratta delle stesse località, con l'esclusione di Laurento, menzionate nel primo trattato e poiché i loro nomi non compaiono nel testo del secondo trattato, ma sono aggiunti in seguito da Polibio, la sua testimonianza a questo riguardo rimane alquanto dubbia; tanto che si potrebbe ragionevolmente supporre che nel testo del trattato visionato da Polibio non comparisse alcun nome. Quanto a Massalia, la polis era molto probabilmente legata a Roma da un trattato, ahneno fin dall'inizio del lV secolo a.C. 121 ; ma ciò non significa che le clausole del secondo trattato romano-cartaginese la includessero implicitamente. Nonostante i dubbi circa i nomi di località riferiti da Polibio, è infatti evidente dal testo del trattato che per alleati di Roma si devono intendere i centri latini soggetti a Roma~ tant'è che una clausola si riferisce precisamente a quei centri latini non soggetti alla città, ma sui quali essa sembra esercitare, agli occhi dei Cartaginesi, una sorta di tutela. Tuttavia, se si potevano passare sotto silenzio i centri latìni, non sarebbe certo stato possibile tacere il nome di MassaHa, il cui ruolo economico e politico nel Mediterraneo occidentale alla metà del IV secolo Cmtagine, in L'AfrictJ romana. Alli dell'Xl convegno di studio. Cartagine. 15-18 dicembre /994. a cura di M . Khanoussi, P. Ruggeri e C. Vismara, Ozieri, 1996. pp. 327-334, che identifica il promontorio menzionato nel trattato con il capo Farina e intende che il divieto faccia riferimento alla navigazione da questo capo verso il Mediterraneo occidentale. 118 Per una panoramica delle diverse ipotesi di identificazione della località si rimanda a B. Scardigli. l trattati romano-cartaginesi, cìt., pp. l 07- l 08, secondo la quale Mastia dei Tartessi sarebbe da localizzarsi nella zona del Capo de Palos: più scettico, sulla possibililà di una precisa localizzazione. appare P. Barcel6, f
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era di tutto rilievo. II trattato romano-cartaginese è in sostanza un atto bilaterale che non può coinvolgere una terza entità in accordi alla cui definizione essa non partecipa; se Cartagine aveva necessità di definire con Massalia o con altre poleis o realtà statali delle regole di comportamento internazionale, poteva farlo direttamente stipulando trattati specifici con gli interlocutori interessati. Ed è ciò che molto probabilmente avvenne, benché non vi siano testimonianze come quella di Polibio a garantirlo 122 • Altre testimonianze utilizzate a favore dell'esistenza del «blocco» cartaginese sono offerte da due brani di Strabone. Il primo di questi consiste in un breve excursus che Strabone deriva direttamente da Posidonio e, più precisamente, dai racconti che egli aveva ascoltato durante il suo soggiorno a Cadice 12J, ma la cui origine appare più complessa. Una prima sezione, dedicata alle isole Cassiteridi, sembra infatti risalire a Timeo 124 , mediato da Posidonio. Di seguito è riportata la notizia, che interessa in questa sede, secondo cui un tempo solo i Fenici di Cadice praticavano il commercio con le Cassiteridi, mantenendone segreta la rotta. Poiché i Romani avevano seguito un loro capitano per scoprirne a loro volta gli emporia, costui, per impedirglielo, incagliò volontariamente la nave in un basso fondale, conducendo verso la stessa fine gli inseguitori. Egli riuscì a salvarsi dal naufragio e il carico della nave che aveva perduto gli fu rimborsato a spese del tesoro pubblicol25_ Il brano, che prosegue poi con il riferimento alla «scoperta>> delle presunte isole Cassiteridi da parte dei Romani nel I secolo a.C., denuncia una situazione collocabile cronologicamente tra la metà del III secolo a.C. e il 206 a.C. Solo a partire dalla seconda fase della prima guerra punica, infatti, i Romani sembrano essere stati in grado di allestire una flotta capace di impensierire quella punica, spingendosi addirittura fino alle rotte atlantiche; il riferimento all'origine gadirita del capitano conduce quindi come terminus ante quem alla data del 206 a.C., anno in cui Cadi ce cadde in mano romana 126. L'episodio, collocato in questi termini, acquista perciò una valenza diversa o comunque ulterjore rispetto a quella di semplice protezione delle rotte commerciali atlantiche. E infatti questa l'epoca di quella che è stata definita la duplice guerra romano-cartaginese 127 , che si concluderà con la scomparsa di Cartagine quale potenza mediterranea. Il secondo brano straboniano richiama invece tutt'altre considerazioni. All' origine di tale passo è Eratostene. il quale. descrivendo i diversi usi dei popoli nei confronti degli stranieri- nel caso particolare tratta detrEgitto -.cita l'esempio dei Cartaginesi che gettavano a mare o affondavano gli stranieri che navigatn Cfr. C R. Wittaker, Carrhaginian Jmperialism. cit.. p. 81, ove è menzionata la presenza di Massalioti a Tharros in Sardegna. una delle aree nelle quali, in base al testo del secondo trattato, i Romani e i loro alleati non potevano commerciare o fondare città: la loro presenza doveva limitarsi a scali per vettovagliamento o riparazioni e, comunque, non superare la durata di cinque giorni. 123 FGrHist., 87 F 115 = F 26 Theiler. ~~~ Per il riferimento alle -rpcty~Kat llmvctt. Timeo menzionava infatti le -rpay~Kat Ilmvat anche a proposito delle donne daunie ( FGrHisr., 566 F 55 =Schol. Lycophr., Alex.• 1137 ). Si veda in proposito F. Lasserre. Strabufl, III, cit., nota 6, p. 96. m III, 5, Il. C 175-176. Si tratta, con ogni evidenza. di un Fenicio di Cadice, come ritiene M. Ponsich, Le rrajic du plomb dan.~ le dérroir de Gibraltar, in Mélanges André Piganio/, III, Paris, 1966, p. 1272, e non di un Cartaginese come sostiene invece M. Clavei-Lévèque. Marseille grecque., cit., p. 13 5: tutta via la stessa studiosa francese asserisce che «Si l'o n ente nd q u' i I s'agit des gens de Gadès. i l n'y a plus de problèmes de dètroit» (nota 61, p. 147). 126 Liv., XXVJII. 37. 121 A. I. Toynbce, L'eredità di Annibale, cit.. p. 4.
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vano lungo le coste della Sardegna o in prossimità delle Colonne 128_ Strabone poi aggiunge che è per questo motivo che non sono degni di fede molti resoconti relativi all'occidente, probabilmente riferendosi con tale affermazione a Pitea e criticando così indirettamente Eratostene che vi prestava fede e che, agli occhi di Strabone, sembrava essersi in tal modo contraddetto 129 • E evidente il parallelo tra quanto testimoniato da Eratostene e le clausole contenute nel secondo trattato romano-cartaginese: in entrambi i casi ci troviamo di fronte a notizie relative alla limitazione. imposta da Cartagine, della navigazione nelle acque sarde e nell'area dello stretto di Gibilterra. Queste aree erano sicuramente di vitale importanza per Cartagine, garantendole il controllo delle rotte atlantiche e di quelle del Mediterraneo occidentale 130 ; quindi anche di quei prodotti che su queste rotte venivano trasportati e commerciati. Tale episodio risulta pertanto chiaramente collocabile nel periodo che va dal 348131, data probabile del secondo trattato romano-çartaginese, al 264 132 a.C., data di inizio del conflitto tra Cartagine e Roma. E questa dunque la fase di conflittuale alleanza tra Roma e Cartagine che prelude allo scontro diretto per il controllo del Mediterraneo occidentale. Tuttavia, difficilmente un efficace controllo, almeno nei termini sopra descritti, fu possibile all'infuori del periodo tra il306 e il 264 a.C. 133, a causa dei conflitti che videro Cartagine coinvolta in Sicilia. contro la storica rivale Siracusa, all'epoca di Timoleonte prima e di Agatocle poi. Quest'ultimo, alleatosi con Ofella di Cirene ed anticipando di un secolo Scipione, tentò la rivoluzionaria manovra di assalire il centro punico direttamente in Africa, mettendo in seria difficoltà Cartagine e il suo controllo. Difficoltà che sono testimoniate dalla stessa frequenza dei rinnovi del trattato con Roma e dal fatto che anche alcune città fenicie dell'Africa settentrionale si schierarono più o meno apertamente con Agatocle; indice di insofferenza ed allo stesso tempo del fatto che Cartagine non aveva all'epoca un controllo totale nei confronti delle altre città fenicie dell'occidente. Ciò valeva indubbiamente anche per Cadice. Strabo, XV Il. I. 19, C 802 = F I B. 9 Berger. Cfr. il commento del Berger. Eratosthenes. cit.. p. 52. 13° Per quanto riguarda l'importanza della Sardegna, per il controllo di tali rotte. si veda A. Mastino, R. Zucca. La SardeRna nelle rotte mediterranee in età romano. in Idea e realtà del daRRio. Il \'iaRRio nel mondo antico, a cura di G. Camassa e S. Fasce, Genova, 1991. pp. 191-259. La Sardegna era inoltre di vitale importanza per i rifornimenti granari di Cartagine. 13 1 O. comunque, riferibile ad una data di poco precedente, se nel 378n a.C. si ha notizia dell'invio di cinquecento coloni Romani ìn Sardegna. Su questo episodio si veda M.Torelli. Co/oni:za:.:ioni etrusclte e latine in età arcaica: un esempio, in Incontro di studio in onore di Massimo Pa/Jottino. Roma. 11-13 dicembre 1979, Roma, 1981, pp. 71-82. m La rinegoziazione dì tale trattato nel343 ca .. nel 306. ed ancora nel 278 a.C .. non dovrebbe avere apportato sostanziali modifiche per quanto concerne le aree in questione. anche se molto probabilmente venne creata una netta limitazione tra la sfera di influenza cartaginese in Sicilia e quella romana in Italia. Si veda su questi trattati l'analisi di A. J. Toynbee, L 'eredità di Annibale, cil, in part. pp. 681-696. sui trattati del 343 ca. e del 306, sui quali la critica appare alquanto discorde. Diversa trattazione in B. Scardigli, l trattati romano-cartaginesi, cit., pp. 30-33 e 129-162, la quale elimina dalla questione il trattato datato al 343 a.C. ca. che invece sembra presupposto da un passo di Livio ave. riferendosi al trattato del 306 a.C.. si parla di foedus tertio reno\'atum (IX. 43, 26). Poiché Livio non menziona alcun trattato prima di quello datato al 348 a.C., sembra almeno logico suppome uno intermedio tra queste due date. 133 È questa l'opinione espressa anche da M. Clavel-Léveque, Marseilfe grecque, cit .• pp. 134-135, con la quale tuttavia non concordo circa la datazione allo stesso periodo dell'episodio del capitano gadirita riferito da Strabone. 128
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Benché manchino tracce consistenti dei rapporti tra Massalia e Cartagine nel corso del lV secolo a.C. 134 , si può concludere questa breve analisi con la constatazione che non sussistono motivi, fondati sull'esame di queste fonti, per vedere applicate nei confronti di Massalia le misure che Cartagine adottò nei confronti di Roma. Misure che sono solo in apparenza protezionistiche, ma che mirano al contrario al mantenimento di un regolare traffico commerciale riconosciuto lungo rotte libere dalla pirateria o da ingerenze non control1abili 135 • I seguenti fatti mostrano inoltre che Cartagine e le altre città fenicie d' occidente, pur mantenendo un comprensibile riserbo riguardo alle rotte atlantiche, non ne impedirono tuttavia l'accesso agli estranei né la diffusione di notizie precise, accanto ad altre false, sulle regioni esterne alle Colonne d'Eracle. Pitea infatti compì il suo periplo lungo le coste iberiche senza incontrare difficoltà. Se il «blocco>> delle Colonne d'Eracle fosse realmente esistito alla sua epoca, almeno nei confronti di Massalia, certamente Polibio e Strabone non avrebbero esitato nell'utilizzare una tale possibilità per fare passare come menzogneri i resoconti piteani. Non solo questo non si verificò 136 , ma, come si è detto, vi sono notizie di altri navigatori, greci e non, spintisi in epoche diverse fino alle Colonne e alle regioni poste più ad occidente di queste, senza avere notizie di opposizioni da parte cartaginese. Anche il fatto che proprio nel corso del IV secolo a.C. vengano diffusi nel mondo greco i resoconti del cartaginese Annone 137 , oltre a quelli di Eutimene, al Periplo di Scilace, contenente al capitolo 1 12 notevoli informazioni sulla costa africana esterna alle Colonne d'EraclelJS, e a quello dello stesso Pitea, indica con chiarezza che il presunto controllo di Cartagine non era poi del tutto insuperabile e che non vi erano opposizioni alla diffusione di notizie che, se pure talvolta vaghe o inquietanti, presentavano le coste atlantiche come accessibili e frequentabili senza eccessive difficoltà; si pensi alle colonie che Annone avrebbe impiantato lungo le coste africane. Ai Greci. agli Etruschi e. come nel caso di Sataspe, ai Persiani, fu impedito non tanto di spingersi fino alle Colonne d'Eracle e oltre, quanto piuttosto di fondarvi sedi stabili ed utilizzabili successivamente come basi di partenza per spedizioni e commerci atlantici. La priorità della presenza fenicia nell'area dello stretto di Gibilterra e la concomitante esistenza di una forte entità locale, quale il regno di Tartesso, fecero sì che i più arditi navigatori greci venissero respinti. ma con eccezioni, verso il Mediterraneo nord-occidentale. In seguito, Fenici e Punici riuscirono a mantenere distanti o a sviare gli interessi greci sfruttando elementi irrazionali, quali mito e paura. Ancora una volta è notevole il parallelo con l'Etruria, in cui l'esistenza di evolute strutture locali impedì l'insediamento greco su base stabile. E. forse, proprio la diversità degli interessi IJ-l Tuttavia P. Fabre, Pyrheas le Mas.mfiote. ciL. pp. 147-158. ritiene che questi non fossero affatto conflittuali. Cfr. anche P. Barcel6. Karthago. cit. pp. 97-114. DS Cfr. C. R. Wittaker, Carthaginian lmperiafism. cit., pp. 81-85. 136 Secondo P. Fabre. Les Massaliotes et I'Atlantique, in Actes du J07e Congrès national des Sociétés suvuntes. Brest. 1982. Paris, 1985, pp. 27-28, il presunto «blocco» delle Colonne d'Eracle sarebbe stato inventato dallo stesso Strab
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che furono alla base de li' espansione verso occidente di Greci e Fenici fu il motivo per cui in aree in cui esistevano già forti e stabili strutture locali si privilegiò o si tollerò inizialmente la presenza dei piccoli empori fenici, evitando invece la creazione di più vasti e stabili insediamenti greci. Il mito di Eracle e delle colonne da lui poste ai limiti dell'ecumene affonda infatti le sue origini nel culto gadirita di Mel q art (le stele del tempio di Cadi ce); e i resoconti diffusi dai marinai fenici e punici circa i pericoli e le difficoltà insuperabili a cui si andava incontro oltrepassando le Colonne 139 , facevano apparire agli occhi dei Greci la regione dello stretto di Gibilterra e 1' Atlantico come un mondo di confine. popolato di esseri fantastici e sede di fenomeni inspiegabili, al limite fra sfera umana e sfera infera; un mondo che ben si addiceva alle concezioni greche relative alla forma dell'ecumene 140 • Sfruttando dunque la situazione favorevole dei loro insediamenti ed inculcando il timore per ]'ignoto, i Fenici prima e i Cartaginesi poi evitarono che interessi stranieri si appuntassero verso le regioni occidentali o. perlomeno. li limitarono a sporadiche apparizioni senza seguito e perciò senza pericoli per le loro attività. Particolarmente indicativa in questo senso è la testimonianza di Euctemone, secondo cui i bassi fondali erano la causa per la quale si dovevano scaricare le merci ali 'isola della Luna prima di poter raggiungere l 'isola che egli identificava come la Colonna europea. Qui vi erano templi e altari, ma agli stranieri era consentito di sostare solo per fare sacrifici, compiuti i quali dovevano lasciare l'isola 141 • Una significativa analogia con alcune delle clausole dei trattati romanocartaginesi che regolavano i reciproci rapporti economici e commerciali.
1311 Nei resoconti dei viaggiatori e degli esploratori antichi, ai reali pericoli della navigazione oceanica vanno ad aggiungersi notizie fantastiche o dai toni volutamente alterati: Imilcone ricordava la mancanza di vento, il mare pigro. i bassi fondali. gli animali e i mostri marini. le foschie e le nuvole. l'estensione sconosciuta del mare apparentemente senza tine. le alghe che impedivano il moto delle onde (Avienus, Ora ma r .• vv. t 20-129, 380-389, 406~411J: anche Sataspe affermava l'impossibilità di navigare in un oceano che sembrava non avesse termine. Altri pericoli furono incontrati da Annone lungo la costa africana: popolazioni feroci. fuochi immensi e fenomeni inspiegabili. difficoltà di ap~ provvigionamento (§§ 1-18, in GGM, l, pp. 1-14); si veda anche Plin .• N.H .. IX, 8-12. sugli straordinari mostri marini dell'Atlantico, da resoconti raccolti probabilmente a C ad ice (secondo R. Chevallier, La \Ùion du Nord dans l"Antiquité gréco-romaine. de P_vthéas à Tacite. «Latomus••. XLIII. t 984, p. 89, le informazioni di Plinio deriverebbero da Pitea: ritengo invece che esse siano molto più recenti). Le difficoltà della navigazione, a causa dei bassi fondali e del fango. erano note anche a Platone (Tim., 25d). Che la regione delle Colonne d'Eracle presentasse reali difficoltà per i naviganti, è dimostrato da M. Ponsich, La navigation antique dans le Détroit de Gibraltar. in Littérature gréco-romaine et géographie historique. MéJanges offerts à Roger Dion, publiés par M. ChevalJier. Paris, t974, «Caesarodunum», IX bis, pp. 257-273. ! 40 La concezione omerica che la terra fosse un disco piutto circondato dal fiume Oceuno (//., VII. 421-422; VIli. 485-486; Od., Xl, 11-13 e 639~640: si veda anche Strabo, I. l, 3, C 2). filtrata attraverso i primi sviluppi della geografia e cartografiu ionica (Herod., II. 21; IV, 8; IV, 36; cfr. P. Léveque, P. Vidai-Naquet, Geografia, scultura e polilica: lo spirito geometrico, in l Pre~;ocratici, a cura di W. Leszl, Bologna. 1982. pp. 209-221 ). sopravvive ancora nel momento in cui viene riconosciuta la sfericità della terra, come teoria dell'oceano che circonda l'ecumene (cfr. Arist., Meteor., II. 5, 362b, 15-30; Strabo, l, l. 8. C 5: Il. 5, 5, C 112; II. 5. 18, C 121: Plin .• N.H .• II. 242). L'oceano. a causa delle poche conoscenze che se ne avevano e della scarsa ftducia prestata a coloro che ne avevano parlato, mantenne invariati i suoi connotati di misteriosa sede di fenomeni allo stesso tempo reali e fantastici; una sorta di area di confine tra lo spazio umano e lo spazio dell'oltretomba o di un aldilà comunque non più umano. Nel corso dei secoli. inoltre. i Greci furono stimolati a trasferirvi luoghi mitici che originariamente avevano tutt'altra collocazione. Si veda, a questo proposito. P. Fabre, f..e.ç Grecs et la connaissance de l'Occident, Lille, 1981, pp. 2 I 5-358, ed in particolare pp. 334-335 su Pitea. 14 1 Avien .• Ora mar., vv. 358~369.
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L'ipotesi del «blocco» cartaginese tendeva inoltre a considerare i Greci nel loro complesso, come se essi avessero raggiunto uni! qualche unità politica tale da contrapporli in blocco agli interessi di Cartagine. E ben chiaro invece che tale unità non è mai esistita, neppure nei momenti di maggiore accanimento della lotta tra Cartagine e Siracusa, come ben testimoniano alcuni passi di Diodoro. I commercianti cartaginesi. durante i periodi di pace, svolgevano infatti le loro attività e risiedevano nelle città greche di Sicilia, persino a Siracusa, la rivale storica di Cartagine per il controllo dell'iso[a1~2. La cacciata di tali commercianti da Siracusa nel 389 a.C. sembra aver costituito un fatto isolatoi~J. mentre alcuni tiranpi sicelioti trovarono naturale allearsi con Cartagine contro Siracusa 1 ~. E pertanto probabile che anche commercianti greci o di altre nazionalità potessero svolgere le loro attività nei centri fenicio-punici del Mediterraneo occidentale che fino al IV secolo a.C., come si è visto, appaiono svincolati politicamente da Cartagine. Si può inoltre considerare che durante la campagna ateniese in Sicilia (415413 a.C.) gli Ateniesi stipularono alleanze proprio con Cartaginesi ed Etruschi 145_ mentre Siracusa si rivolse a Spartal46. Un contingente di navi spartane, inviato con truppe di rinforzo nel413. andò incontro a diverse traversie; le navi, gettate dalla tempesta sulla costa lihica, vennero soccorse dai Cirenei e, per raggiungere la Sicilia, proseguirono il viaggio lungo la costa È:c:;; ~Éav ttoÀtv, l\.. a pxYJÒOvtaxòv È:!J-7tOptov, distante solo due giorni e una notte di navigazione dall'isolai-n. Gli Spartani non trovarono alcun ostacolo da parte cartaginese benché si trovassero su fronti opposti e nonostante il fatto che Neapoli, secondo una certa interpretazione dei fatti, trovandosi a sud di Capo Bon avrebbe dovuto fare parte dell'area interdetta, soprattutto ad una flotta da guerra.
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14J
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140 147
Diod .. Diod .. Diod., Thuc., Thuc., Thuc.,
XIII. 81. 3-5; XIV. 46, 1-2. XIV. 46. 1-2. XVI, 82. 3. VI, 88, 6. VI. 88. 7-8. VII. 50, 2.
IV
Anche se. come si è detto. non è possibile ricostruire l'itinerario iberico tappa per tappa. è certo che fin dalla partenza da Massalia Pitea annotò le giornate di navigazione, unitamente a notizie e impressioni sui luoghi visitati e sulle popolazioni incontrate. Lo conferma la già citata affermazione polibiana secondo la quale alla base delle informazioni di Eratostene sull'Iberi a e sulle altre regioni occidentali stavano i dati piteani. Ciò dimostra che egli era partito con un vero e proprio intento scientifico, quali che fossero le motivazioni economiche o politiche del viaggio, come è chiaro dalle sue attenzioni sia alle caratteristiche geografico-ambientali sia a quelle etnografiche o astronomiche. Forse Pitea elaborò la teoria sulle maree che lo rese famoso solo più tardi, al ritorno, dopo aver osservato quelle d eli' Atlantico settentrionale, lungo le coste britanniche e nord-europee; ma fin dall'inizio fu pronto a ricercare testimonianze e informazioni, oltre che ad osservare personalmente i fenomeni. E non è affatto improbabile che già a Massalia egli avesse raccolto presso i commercianti che vi affluivano notizie e informazioni utili sui luoghi che avrebbe visitato e sui fenomeni che avrebbe incontrato. Ln questo consiste indubbiamente uno dei principali apporti di Pitea allo sviluppo della geografia antica, nell'atteggiamento sostanzialmente nuovo col quale egli si rapportò al mondo che lo circondava 1: l'indagine non più fondata sulla contingenza di informazioni trasmesse da marinai o mercanti, pertanto sulla loro aleatorietà, ma su di un preciso programma di ricerca alla cui esecuzione erano stati trovati mezzi che probabilmente corrispondevano anche a interessi di natura differente implicati neli' i m presa. IV l - Il promontorio Sacro e la navigazione oceani ca
Come si è già osservato. da Cadice Pitea intraprese finalmente La navigazione atlantica, raggiungendo il promontorio Sacro con una navigazione durata cinque giorni. Artemidoro riferiva che qui, secondo Eratostene, terminavano le maree oceaniche e che in questo, come nella durata del summenzionato tragitto,
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Cfr. 8. Luiselli. Storia culturale, ci t., p. 95.
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
lo studioso cirenaica aveva erroneamente prestato fede alle menzogne di Pitea2. Il passo di Artemidoro, sul quale può volte si è tornati, pur ricco di preziose informazioni, crea indubbiamente numerose difficoltà alle quali occorre tentare di fornire un chiarimento. A titolo preliminare va osservato che i dati piteani sono passati attraverso molteplici filtri: Eratostene prima, poi Artemidoro ed infine Strabone; ciò può avere condotto indubbiamente a fraintendimenti o incomprensioni. Non va infatti dimenticato che Strabone accoglie qui l'intento chiaramente polemico di Artemidoro rispetto ad Eratostene3. Tale atteggiamento critico nei confronti del fondatore della scienza geogratìca e, più in generale, dei propri predecessori in questo campo sembra essere un connotato tipico di gran parte della speculazione geografica post-eratostenica, a partire da Ipparco per giungere a Strabone tramite Polibio e Artemidoro stesso, e sembra mutuato dal coevo modello storiografico nel quale svolgeva un ruolo fondamentale 4 • Questo perché la geografia antica - della cui tìsionomia peculiare, nel campo dell'indagine e del sapere umano, erano pur ben consci alcuni studiosi, a partire dallo stesso Eratostene - non raggiunse una piena autonomia quale genere letterario, rimanendo per lo più confinata nell'ambito della storiografia e di altri generi letterari o inaridendo in manuali per usi pratici.5. La questione più immediata riguarda la menzione dei cinque giorni di viaggio e. di conseguenza, l'identificazione del promontorio Sacro. Stando infatti allo stesso Artemidoro. tra Cadice e il promontorio in questione la distanza non superava i 1.700 stadi. una cifra notevolmente inferiore a quella presupposta dal computo piteano. Certo, si potrebbe osservare che nel novero delle giornate di viaggio potevano essere implicitamente intese eventuali soste o che non venisse dato conto di difficoltà incontrate nel corso della navigazione6, ma si tratterebbe di soluzioni tendenti a dimenticare il dato di fatto che di cinque giorni di navigazione si tratta e di una navigazione dal corso regolare, poiché non si giustificherebbe altrimenti la critica di Artemidoro. La soluzione allora sembra dover seguire un'altra via: il promontorio Sacro menzionato da Pitea e da Eratostene non coincide con quello noto ad Artemidoro e identificabile con l'attuale capo San Vincenzo 7 . Artemidoro, dunque, forse anche con una qualche malizia, non avrebbe compreso l'omonimi a ed avrebbe raccolto una prova ulteriore a sostegno dell'inaffidabilità di Eratostene e della sua fonte. Cosa intendevano allora Pitea ed Eratostene? Una risposta è forse fornita dal testo di Avieno o meglio dall'antico presunto periplo massaliota confluito nell' Ora maritima, nel quale sono segnalati diversi promontori rilevanti lungo la
F 11 Stiehle = Strabo, Ill. 2. 11, C 14B = F III B, 122 Berger = F 4 Bianchetti = F 8 Mette. Cfr. S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cil., pp. 118-122. 4 Cfr. C. Jacob, Géographie et ethnograplzie en Grèce tmcienne. Paris, 1991. pp. 116-124. ~ Cfr. C. van Paassen, The Classica/ Tradition of Geography. Groningen, 1957, pp. l-64: F. Prontera, lntrodu:.ione, in Geografia e geografi nel mondo antico. Guida storica e critica, a cura di F. Prontera, Roma-Bari. 1990, pp. IX-XXIX. 6 Alcune di queste ipotesi sono ora riportate da S. Bianchetti. Pitea di Massalia, cit., pp. 118119. 7 Diversamente si è espresso F. Prontera, L'estremo Occidente nella conce:.ione geografica dei Greci, in LA Magna Grecia e il lontano Occidellle, cit., pp. 56-62. ìl quale ritiene che Pitea, Eratostene ed Anemidoro facessero riferimento al medesimo promontorio, identificabile con l'odierno capo San Vincenzo. ~
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costa atlantica dell'Iberia; poiché Pitea ripercorse la rotta già nota all'autore anonimo del periplos. Seguendo l'andamento del periplo, dalle Isole Britanniche al Mediterraneo, dopo la menzione di un magnus sinus aequoris che si apre fino ad Ophiussa 9 , antico nome della penisola iberica, e nel quale si può riconoscere l'odierno golfo di Guascogna, e dopo il riferimento alla durata della via di ritorno che conduce in sette giorni al mare Sardum 10 , che in Avieno indica il Mediterraneo, compare un Veneris iugum 11, vicino al quale sono menzionate due isole. A tale promontorio. forse identificabile con il capo Finisterre12, fa seguito il promontorio Aryium, prominens in aspe rum septentrionem 13, che potrebbe corrispondere al capo Sillerio 14 • Dal promontorio Aryium a Tartesso, qui confusa da Avieno con le Colonne d'Eracle 15, l'antico periplo computava cinque giorni di naviga11
Anche A. Schulten. avendo notato tale parallelismo. ipotizzava che l'antico peri pio massaliota fosse noto a Pitea (Al•ienus. cit., pp. 17 e 30-31 ). 11 Ora ma r.. v v. 147-157. 10 Ora mar.. vv. 150-151. Si è notato sopra come questa via corrisponda all'itinerario marittimo lungo le coste iberiche. l l Ora mar.. vv. 158-160. 12 A. Schulten, Al•ierws, cil., pp. 100-101, lo identifica col capo Higuer, che costituisce l'esLremità occidentale dei Pirenei. Ma tale localizzazione è stata messa in dubbio :-;ia dal Peretti, Il Perip/o di Sci/ace. ciL nota 27. p. 31. sia dalla Cardano, Antichi viaggi per mare. Peripli greci e fenici. Testi di Annone, Scilace di Carianda, Arriano, Rufo Festo Avieno, Pordenone. 1992, nota 17, p. 152 (p. 170), che vi vedono una menzione del capo Finisterre. al largo del quale si trovano alcune isolette. Per ulteriori ipotesi, si veda A. Bcrthelot. Fe.stus Al'ienus, Ora maritima. Edition annotée. précédée d'une lntroduction et accompagnée d'un Comrnentaire parA. Berthelot, Paris. 1934. p. 67. D Ora mar... vv. 160-162. 1" A. Schulten. Avienus, cit.. pp. 19 c IO l, lo identifica con il capo Ortegal. Ma anche in questo caso sia il Peretti, Il Periplo di Sci/ace, cit.. nota 25, p. 31. sia la Cardano, Antichi viaggi per more, cit., nota I 8, p. 152 (p. 170). non appaiono così sicuri dell'identificazione ed ipotizzano, accanto a quella col capo Ortegal. la possibilità che il testo del periplo faccia riferimento al capo Sillerio. In tal senso si esprimeva già il Benhelot. Festus Al•ienus. cit. p. 167, per il confronto con i dati fomiti da Tolemeo (Geogr., II. 6, 2), gli stessi che stando allo Schulten deriverebbero da un equivoco de] geografo alessandrino (Avienus. ci t., p. IO l). La descrizione del promontorio sembrerebbe in apparenza dare ragione allo Schulten. poiché il promontorio Onegal è chiaramente orientato a settentrione, ma anche «Le cap Sillerio est J'ex:tremité nord d'un fronton élevé. prolongé vers le N. W. par une chaussée de rochers et de roches<~ llstructions rwutiques. Co/es d· Espagne et de Portugal. 1927. p. 150. citato dal Berthelot. hsws Avie,ius, cit., nota 2, p. 67). Va sottolineato che que5ti studiosi. sia pure in maniera diversa. tentano di mantenere intatto l'ordine dei parapli e dei riferimenti costieri utili alla navigazione. quale si trova nel testo di Avìeno. Ma non è detto che non siano intervenute inversioni tra un paraplo e l'altro o sostituzioni di pani o della totalità di alcuni di essi, nel corso dci diversi passaggi, delle interpolazioni. delle traduzioni ai quali il testo originale è stato sottoposto. Si notano, infatti. alcuni fenomeni di questo genere nel testo di Avieno. come l'anticipazione della descrizione del fiume Anas (Guadiana) al verso 205. o quello del fiume TartesJus (Guadalquivir) al verso :!25 (si veda il commento dello Schulten. Avienus. cit.. p. 107.). Ancora più macroscopico è l'erroneo inserimento del fiume Hiberus al verso 248. 1<; Che vi sia in Avieno una confusione tra le Colonne d'Eracle, che egli a)Lrove identifica con Abila c Calpe (vv. 341-344). e Tanesso, è chiarito dalla somma dei parap1i parziali che conduce inequivocabilmente al cenLro iberico (v v. 265-267 ). Tale erroneo riferimento trova una puntuale spiegazione nel fatto che Avieno confonda Tartesso con Cadice (vv. 85 e 267v270) e nell'esistenza di numerose e diverse tradizioni relative alla localizzazione delle Colonne, note in parte allo stesso Avieno (vv. 350-374). Quella più antica ed originaria, che identifica le Colonne con le stele di Mclqart erette nel santuario gaditano. appare nel Peri p/o attribuito a Scìlace di Carianda (§ l e III, in GGM, l. pp. 15-16 e 84-91) ed è raccolta ancora da Anemidoro (F l Stiehle = Plin., N.H., Il, 242) e Posidonio (FGrHi.st., 87 F 53 = Strabo. III. 5, 5, C I 70). In sostanza. dunque, nel testo di Avieno le distanze marittime sono prese a panire da un'unica località di riferimento che nella fonte originaria- l'antico periplo massalio[a- era indubbiamente Tartesso, ma che un interpolatore successivo ha confuso erroneamente con la fenicia
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
zionel6, così ripartiti: due giorni traAryium e Ophiussa (capo Roca)17; un giorno tra Ophiussa e Cyneticum iugum (capo San Vincenzo) 18 ; un giorno tra Cyneticum iugum e Anas amnis 19 ; un giorno tra Anas amnis e Tartessus amnis 20 • Vi è dunque, quanto meno, la possibilità che il promontorio piteano corrisponda ad uno di questi. In effetti, i cinque giorni di navigazione computati da Pitea a partire da Cadice coincidono significativamente con quelli segnalati dall'antico compilatore del periplo per il tragitto tra Tanesso - che Avieno confonde con Cadice2 1 - e il capo Aryium22; ma non escluderei lo iugumVeneris, in quanto nel testo di Avieno i due capi sembrano essere considerati vicini, non venendo menzionata alcuna distanza fra essi. A riprova di ciò, la concordanza nei riferimenti alla durala della navigazione trova una conferma puntuale nel confronto tra le informazioni di Eratostene, probabilmente risalenti a Pitea, relative al percorso lungo le coste mediterranee dell'lberia e le equivalenti distanze menzionate nell'antico periplo, dove sono presi in considerazione sette giorni di navigazione dalle Colonne d'Eracle a Pirene 23 , da identificare probabilmente con la colonia massaliota di Emporion2 4 . Anche in questo caso è chiaro che il riferimento originario per il computo della distanza non erano le Colonne ma Tartesso, confusa da Avieno - o da altri inlerpolatori prima di lui - con Cadice e, di conseguenza, con le Colonne di Melqart-Erdcle che vi erano originariamente collocate, prima di essere individuate dai Greci nei promontori di Abila e Calpe25. La distanza di sette giorni di navigazione è dunque comprensiva anche del paraplo di un giorno tra Cadice e Calpe, così che la rimanente distanza di sei giorni di viaggio viene a coincidere con quella rilevata da Pitea ed accolta da Eratostene, che la trasformò in stadi. Che tale coincidenza di dati non sia frutto di una semplice casualità è confermato dal Periplo attribuito a Scilace di Carianda, in cui la navigazione lungo le coste iberiche, calcolata in sette giorni e sette notti, era originariamente compresa entro gli stessi termini geografici utilizzati nell'antico peri p lo massaliota: Cadice e Pirene 26. Non combaciano invece col dato piteano di un giorno di navigazione le distanze fornite da Avieno e Scilace per il tragitto da Pirene al Rodano o a Massalia, rispettivamente due giorni e due notti2 7, e due giorni e una
Cadice. ove erano le stele di Melqart: probabilmente a!Jorché il centro iberico venne soppiantato da quello fenicio. Successivamente, con la fusione culturale tra Melqart ed Eracle. i Greci disconobbero il significato dell'originale identificazione e le localizzarono altrove, in precisi rilievi geomorfologici, quali isole o promontori. fino alla definitiva individuazione nelle opposte rupi di Abila e Calpe. Sulla questione si vedano A. Peretti, Il Periplo di Sci/ace, cit., nota 25, p. 30, pp. 154-169 e 364-372: L. Antonelli,/1 periplo nascosto, cit., pp. 155, 167-168 e 172-174. lb Ora mar., vv. 160-164. 17 Ora ma r., v v. 172-173. IH Manca. in questo caso l'indicazione della distanza, che è tuttavia deducibile per sottrazione della somma dei parapli rimanenti dal totale di cinque giorni. l" Ora mar., v. 222. 2o Ora mar., vv. 265-267. 21 Ora mar., vv. 85 e 267-270. 22 In questo senso, sia pure dubitativameme, sì veda anche S. Bianchetti, Pitea di Massalia e l'estremo occidente, in Grecità adriatica e grecità periferiche, cit., p. 133. 23 Vv. 262-265. 24 L. Antonelli, Il periplo nascosto, cit., pp. 65-69. 2S Si veda A. Peretti,/1 Periplo dì Scilace, cit., pp. 167-169. e in part. la nota 167, p. 168. 26 Così, giustamente, A. Peretti,/1 Periplo di Sci/ace, cit., pp. 168-169. 27 Ora mar., v. 699.
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notte 28 ; ma tale discrepanza non infirma il valore delle concordanze precedentemente notate 29 . Sembra, anzi, che si possa definire l'esistenza di una precisa rotta regolare tra Massalia, i Pirenei e Cadice; rotta che un tempo giungeva fino a Tartesso per poi congiungersi con quella atlantica che conduceva fino alle remote terre dello stagno. Tornando alla localizzazione del promontorio Sacro menzionato da Pitea, accanto a11'identificazione con il capo Aryium o con lo iugumVeneris va comunque tenuta in conto la possibilità di individuarlo nel più meridionale promontorio Ophi us sa (probabilmente l'attuale capo Roca, a nord deli' estuario del Tago), luogo anticamente dedicato al cu1to del Sole e della Luna3o. A sostegno di questa localizzazione si è opinato che i cinque giorni del viaggio piteano corrispondessero a 2.500 stadi, per un valore di 500 stadi per giorno di viaggio 31 • In tal modo, però, si contraddice l'equivalenza, da tempo evidenziata a questo stesso proposito, tra giornate di viaggio e distanze in stadi per un rapporto approssimato di l a 1.00032 • Più recentemente si è sottolineato l'aggetto occidentale del capo Roca33 , che Pitea avrebbe dovuto rilevare nel complesso dei dati relativi all'esistenza di promontori occidentali, poi utilizzati da Eratostene per collocare il meridiano fondamentale posto 3.000 stadi ad occidente delle Colonne d'EracieJ-'. Ed in effetti, almeno nella Chorographia di Mela e nella Naturalis historia di Plinio, tale capo, noto col nome di promunturium Magnum, assume la funzione di punto più occidentale dell'Iberia - oltre le Colonne, I' ager Cuneus e il promunturium Sacrum (capo San vincenzops- in linea con l'adiacente costa iberica fino al promunturium Celticum (capo Finisterre)36. Tuttavia, a questo proposito, va rimarcato che ancora maggiore è la rilevanza geografica del capo Finisterre, oltre il quale si apre il golfo di Guascogna; essa è implicita già nel nome moderno che lo accosta in modo significativo all'orno§ 3. Infatti, entrambi i tesLi presentano lacune e rimaneggiamenti notevoli in corrispondenza delle notizie relative a tale paraplo. così che non ne risultano chiari neppure i termini stessi. Jo Tale ipotesi è stata avanzata da A. Schuhcn. Avienus. ci t .. p. 107. Per il culto della luna si veda Ptol., Geogr .. II. 5, 3; alcune iscrizioni menzionano invece entrambi i culti: CIL. II. 258 e 259. 31 A. Schulten. lberische Landeskunde. Geo!{raphie des antiken Spanien, I. Strasbourg-Kehl, 1955, p. 64. 32 H. Berger. Eratosthenes. cit., p. 367. L'approssimazione, d'obbligo in questi casi. risponde agli scarni dati fomiti dalle fonti: Erodoto riporta come percorso medio di una nave 1.300 stadi. di cui 700 in navigazione diurna e 600 in navigazione notturna (IV. 86), mentre nel Periplo attribuito a Scilace di Carianda per una n.vchtimeria (percorso di un giorno e una notte) vengono presi in considerazione esattamente 1.000 stadi (§§ 69. 106 e ili. in GGM, l. pp. 58, 81 e 90). Quest'ultimo valore appare mediamente più attendibile. tenendo comunque sempre presente l'aleatorietà di tali dati souomessi ad eventi quali lo stato della navigazione. il tempo, i venti, le correnti. il tipo di nave, l'utilizzazione di elementi di riferimento esterni alla navigazione stessa (come distanze misurate secondo sistemi locali e successivamente equiparate agli stadi greci). Cfr. A. Peretti, Il Periplo di Sci/ace, cit .. n. 31, p. 35. D S. Bianchetti, Pitea di Mas.salia e l'estremo accidente. cit., p. 133; Ead., Pitea di Mas.salia, cit., pp. 118-121 . Da rilevare che la studiosa anri bui sce i cinque giorni della navigazione p iteana al tragitto Colonne d'Eracle·promontorio Sacro (Pitea di Mas.salia e l'estremo occidente, cit., pp. 132-133; Pitea di Ma.s.sa/ia, cit., p. 121 ), allorché Strab
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11 viaggio di Pitea sull'Oceano
ni m o capo armoricano, ali' opposta estremità di questa vasta rientranza dell' oceano Atlantico. Noto anche come capo Niptov37, come promunturiumArtabrum 38 o Celticum 39 , dai nomi delle popolaziom celtiche che vivevano nella regione, i Neri 40 e gli Artabri 41 , stando alle fonti esso fungeva da vero e proprio termine nella rappresentazione non solo della regione iberica ma di tutto il settore nordoccidentale dell'ecumene. Strabone lo definisce infatti come il limite delle coste occidentali e settentrionali dell'lberia, utilizzando significativamente il termine 7tipaç 42 • mentre Mela lo affianca al promunturium Magnum nel definire la sporgenza occidentale dell 'Iberia4\ e ne fa il punto di rottura fondamentale dell'andamento non solo della costa iberica ma di tutto il contorno ecumenico occidentale e settentrionale: deinde ad septentriones foto latere terra convertitur a Celtico promunturio ad Scythicum usque. Il capo Finisterre appare dunque come il necessario riferimento per la navigazione in queste acque occidentali, per la sua rilevante funzione rappresentativa44; non a caso, ad esso sembra ricondotta la successiva rotta piteana verso la Celtica e le regioni nordiche. Tale funzione risale, a mio parere, alle osservazioni compiute dal Massaliota, il quale, segnalando l'ali ineamento verso setten trione delle coste iberiche a partire dal capo Finisterre. proiettava questa estrema propaggine nord-occidentale della penisola iberica in una più ampia prospettiva che avrebbe influenzato i successivi studi cartografici. Viste le sue capacità in campo astronomico, si può supporre che non gli fosse sfuggita anche la concomitante collocazione del promontorio iberico all'incirca sullo stesso pa37 Strabo. III, l, 2, C 137; III , 3, 5, C 153; Ptol., Geogr., Il, 6, 2. A favore di questa identificazione. e delle successive, si veda A. Silberman, Pomponius Mela. Clwrographie, texte établi. lraduit et annoté parA. Silberman. Paris. 1988. note 8 e 9. p. 70 (pp. 252·253); tuttavia. secondo F. Lasserre, Strabon. cit .• p. 235, il capo ~ti:pto\1 corrisponderebbe all'odierno Touriiian, 25 Km a nord del capo Fi· nisterre. -' 8 Plin., N. H.. Il, 242. da Artemidoro ( F l Stiehle ); cfr. anche N. H., IV. l 13. 3
m.
Da Cadice a Où~Lcra!J.ct
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rallelo di Massalia, che costituiva il punto di partenza delle sue osservazioni45 • L'importanza di questo capo iberico fu colta ancora da Artemidoro, il quale però, fondandosi evidentemente su dati e informazioni diversi e più recenti di quelli in possesso di Eratostene~ riteneva che il promontorio degli Artabri distasse da Cadi ce 7.932 stadi 46 , corrispondenti a 991,5 miglia romane47 • Strabone~ discutendo delle dimensioni dell'ecumene fomite da Eratostene, criticava il fatto che lo studioso cirenaico avesse aggiunto ben 3.000 stadi ad occidente delle Colonne d'Eracle ai 70.800 stadi calcolati tra queste e l'estremità orientale dell'India, a causa del xup't'WIJ.CX o convessità dell'Europa. Tale xup't'WIJ.CX era costituito dall'Iberia e da altri promontori, tra i quali spiccava quello degli 'ilo-'t'ti-J. vtot, denominato Ka~atov, con le isole ad esso vicine, la più lontana delle quali era Où!;taci~J-a, che secondo Pitea distava tre giorni di navigazione 4s. Al di là del problema dell'identificazione di queste località e del punto di riferimento della distanza piteana, questioni sulle quali si tornerà in seguito, mi sembra che questa testimonianza confermi l'ipotesi in base alla quale i cinque giorni di navigazione tra Cadice e il promontorio Sacro impiegati da Pitea non andrebbero intesi nella sola direzione occidentale rispetto al centro fenicio, come sarebbe stato se tale promontorio fosse corrisposto all'omonimo capo noto ad Artemidoro e Strabone e identificabile con il capo San Vincenzo, poiché altrimenti la sporgenza dell'Iberia avrebbe di gran lunga superato i 3.000 stadi verso occidente riportati da Eratostene. Avrebbe infatti raggiunto i 6.000 stadi ca., ottenuti sommando gli 800 stadi tra Calpe e Cadice ai 5.000 corrispondenti alla distanza di cinque giorni di navigazione tra Cadice e il promontorio Sacro piteano, dato che lo studioso cirenaico, come si è già osservato, trasponendo i giorni di viaggio computati da Pitea in stadi sembra avere utilizzato costantemente il rapporto di l a l .000. Parte di quei 5 giorni dovette essere impiegata per raggiungere un promontorio più distante e dunque più settentrionale. La distanza di 3.000 stadi fornita da Eratostene andrebbe pertanto riferita non al promontorio Sacro piteano (o ad un qualsiasi altro punto preciso della costa iberica) ma alla sua proiezione sul parallelo fondamentale passante per le Colonne d 'Eracle, nel punto di intersezione con il meridiano occidentale delineato dal xup":'w!J-a dell'Europa, rispetto al quale il promontorio Sacro individuaJ~ 46
La latitudine del capo Finisterre è infatti di 42° 53'. Si veda Agathem .• Gevgr. inj., 16, in GGM, Il, p. 476. J7 F I Stiehle = Plin .. N. H., II, 242. II codex Leidensis Vossianus F 4 è l'unico testimone che riporti la cifra esattamente corrispondente di 991,5 miglia (DCCCCXCI.D); gli altri codici riportano la cifra DCCCCXC, seguita però da id, da cui deriva la correzione in DCCCCXCI.D; cfr. 1. Beaujeau, Pline l'Ancien, Histoire Naturelle, Livre Il, texte établi, traduit et commenté par l Beaujeau, Paris, 1950, p. 108. Meno comprensibile è la correzione in OCCCCXCII da parte di A. Diller, Agathemerus, cit., p. 74. Per l'utilizzo di Artemidoro quale fonte da parte di Plinio, si veda K. G. Sallmann, Die Geographie des iilteren Plinius, cit., pp. 60~64. ave però, alla nota 27, p. 61, sono riportati alcuni dati erronei in relazione alle distanze sopra citate, A proposito del promunturium Artabrum menzionato da Artemidoro, J. Beaujeau (Pline, II, cit., p. 108) lo identifica con l'attuale capo Ortegal. sulla costa iberica nordoccidentale. In questo caso, le distanze menzionate da Artemidoro avrebbero allora come riferimento un luogo più settentrionale di quello piteano. Sta di fatto. però, che Plinio. pure sottolineando l'esistenza di tradizioni diverse o da lui interpretate come tali (N. H., IV, 113-114), colloca gli Artabri o Arrotrebi nelle immediate vicinanze del promunturium Celticum (N.H., IV, lll). 4H Strabo, I, 4, 5. C 64 = FII C. 18 Berger = F 6a Bianchetti= F 6a Mette. Eratostene aggiungeva inoltre 2.000 stadi, sia ad oriente sia ad occidente, per ottener~ circa 78.000 stadi quale valore della lunghezza dell'ecumene, superiore al doppio della sua larghezza, che era calcolata in 38.000 stadi (FII C, 2 Berger Strabo, I. 4, 2, C 62-63). Su queste misure si veda anche Marcian., Peripl. mar. ext., I, 6, in GGM, I, pp. 520-521 e il relativo commento del Miiller.
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to da Pitea si trovava più a nord, ma in linea con esso4 9. La polemica delle fonti, forse anche volutamente esagerata, nasce dal fatto che almeno a partire da Artemidoro il cosiddetto promontorio Sacro venne identificato non più con un promontorio settentrionale (Finisterre o Roca che sia) ma neli' attuale capo San Vincenzo, che si trovava in prossimità del punto d' intersezione individuato da Eratostene e che rappresentava un punto di rottura altrettanto cospicuo per la navigazione lungo le coste iberiche. Di conseguenza, non solo le informazioni piteane non risultavano più comprensibili. ma anche i 3.000 stadi che Eratostene aveva originariamente riferito alla distanza tra le Colonne e il punto di intersezione del meridiano tangente il xup1'Wi.J.CC su] parallelo fondamentale venivano ora a coincidere con la distanza tra le Colonne e il promontorio Sacro (capo San Vincenzo). Questo è appunto quanto si può constatare in Strabone, forse sulla falsariga di Posidonio, allorché descrive il promontorio Sacro (capo San Vincenzo) come l'estremo punto occidentale dell'ecumene, posto all'incirca sul parallelo che attraversava C ad ice, le Colonne, lo stretto di Sicilia e Rodi:
òua!J-txw't"o:'t"ov !J-Èv yap O"YJ~t:tov -rYjç oixoull- ~vlìç -rò -rwv 'I~~pwv CÌxpw-rl}ptov, O XClÀOUO"tV 'le:pov· XEt'!O:t XO:"tO: '!~V ypO:~!J- ~V 7twç '!~V Òtà ro:oe:tpwv '!E XO:t ~'!YJAWV XO:t 'tOU ~txe:Àtxou 7top6!J-OU XO:t -rYjç 'Pooiaçso_ Nella rappresentazione eratostenica il O"YJ!J-Etov doveva essere il pun-
o€
to di proiezione del promontorio Sacro piteano sul parallelo fondamentale, dunque il luogo d'intersezione tra questo e il meridiano occidentale; solo successivamente tale significato teorico andò perduto e si ebbe la sovrapposizione con il promontorio Sacro-capo San Vincenzo5 1•
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In questo senso, si veda S. Bianchetti. Pitea di Massalia. cit., pp. 120-121 (cfr. Pitea di Massalia e f'eslremo occidente, cit., pp. 132-133), la quale ritiene però che la polemica di Artemidoro abbia volutamente determinato un appiattimento delle informazioni fornite da Pitea ed Eratostene. Secondo la studiosa, infatti, i cinque giorni di navigazione sarebbero stati originariamente computatì da Pitea a partire da Calpe e Abila, da lui considerate le Colonne d'Eracle. mentre il riferimento a Cadice sarebbe attribuibile ad Artemidoro che vi localizzava le Colonne. so Strabo, II. 5, 14. C 119: cfr. anche III, I. 4, C 137. 11 primo passo è compreso tra i frammenti di Posidonio, esplicitamente citato in seguito (FGrHisr .. 87 F 99 = F 204 Edelstein-Kidd = F 14 Theiler). Il capo San Vincenzo si trova a 3 7° l' di latitudine nord, rispetto ai 36° 6' di Calpc e ai 36'" 32' di Cadicc. Tuttavia. gli astronomi e geografi antichi potevano ben apprezzare solo le variazioni di latitudine superiori al mezzo grado (400 stadi secondo Strabo, Il. l. 35, C 87), così che la differenza di latitudine tra Calpe e il capo San Vincenzo. se compresa attraverso quella intennedia di Cadice. rientra in quesl'ambito di difficile percezione, avvertita ed espressa nel 7tWç di Strabone ma non quantiticabile con precisione. ~• Diversamente, Serena Bianchetti distingue il promontorio Sacro menzionato da Pitea (capo Roca) da quello noto ad Eratostene. che sarebbe da identificare con il capo San Vincenzo (in concordanza, dunque, con Artemidoro), Tale distinzione sarebbe stata appiattita dalla critica di Anemidoro. La studiosa fonda tale opinione anche sulla menzione straboniana della distanza di 3.000 stadi tra le Colonne e il promontorio Sacro (Il, 4, 3, C 106), che ella attribuisce ad Eratostene (Pitea di Massa/io, ci l., pp. 119- I 20). La testimonianza in questione, che non è compresa nell'edizione curata dal Berger (Eratosrhenes, cit.). potrebbe tuttavia risalire ad un calcolo di Strabone fondato forse sui dati di Posidonio. La distanza di 3.000 stadi tra le Colonne e il promontorio Sacro (capo San Vincenzo) è compresa infatti. come computo parLiate, nella somma complessiva di 70.()(XJ stadi per la lunghezza dell'ecumene che viene citata nello stesso passo e che trova un preciso riscontro in un passo precedente derivato appunto da Posidonio (II, 3, 6, C 102=FGrHist., 87 F 28 = F 49 Eddslein-Kidd = F 13 Theiler). Eratustene. come si è già osservato. riteneva che l'ecumene fosse ben più ampia, comprendendo 70.800 stadi tra la foce del Gange e le Colonne d'Eracle, ai quali erano da aggiungere 3.000 stadi tra le Colonne e il meridiano occidentale tangente il xup'!W!J-Cl dell'Europa - distanza che invece è già compresa nel calcolo di Posidonio - e altri 2.000 stadi sia ad occidente sia ad oriente. Eratostene non menzionava affatto in questo contesto il promontorio Sacro, che invece collocava in base ai dati piteani a 5 giorni di navigazione da Cadice.
Da Cadice a Où~tcra~J.a
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D'altra parte, il Massaliota aveva segnalato diversi promontori che costituìvano la sporgenza o convessità dell'Europa verso occidente e che venivano a formare una sorta di abbozzo del meridiano di riferimento 52 , e l'odierno capo San Vincenzo era probabilmente uno di questi, vista la sua notevole ri1evanza ai fini della navigazione lungo le coste atlantiche dell'Iberia, con l'inversione della rotta in direzione del settentrione. Esso doveva porsi a non troppa distanza dalla linea meridiana ideale che costituiva il riferimento occidentale dei 3.000 stadi computati da Eratostene a partire dalle Colonne e che corrispondevano probabilmente a tre giorni del viaggio di Pitea, che ne era la fonte. Se, infatti, ai 3.000 stadi della distanza tra Calpe e la linea meridiana tangente il x.up'tW!J-
L'ipotesi che già in Pitea comparisse tale abbozzo del meridiano occidentale è formulata da G. Aujac, Strabon, Il, ci t., nota 4, p. 96 {p. 163 ). 53 III. l, 4, C 137. Polibio utilizza per le popolazioni che vivono nella regione l'etnonimo Koviot (X, 7, 5), mentre Appiano adotta la variante Kouviot (!ber., 57-58 e 68). Pomponio Mela (Chor., III, 7) menziona in questi paraggi un Cuneus age r. mentre Plinio menziona il promunturium Cuneus (N.H .. IV, 116). 54 La cui presenza è attestata da Erodoto (Il, 33. 3 e IV. 49. 3. con le due varianti dell'etnonimo). che ne fa gli estremi abitanti de li' Europa. oltre i Celti. L'origine celtica della popolazione risulta però chiaramente dalla radice del toponimo Coni- che appare altrove nella regione iberica (Strabo, Hl, 2, 2, C 141: Kov[cr-ropyLç; III , 3, 8, C 156: Kwvuxxot; Avienus, Ora ma r., v. 566: lirus Cyneticus (presso i Pirenei): cfr. F. Lasserre, Strabon, III, cit., nota 2, p. 24 (p. l 85); A. Berthelot. Festus Avienus. cit., p. 75. 55 Ora ma r., v. 20 l. ove è menzionato anche il populus Cynetum. 56 Così A. Schulten, Avienus, cit., p. 89, e A. Berthelot, Festus Avienus. cit., pp. 74-75. Si noti che nella recente edizione del testo di Avieno curata da P. Villalba i Varneda (Ruf Fest A~·iè, Periple [Ora maritima}. introducci6. text. traducci6 i notes de P. Villalba ì Varneda, Barcelona, 1986, nota 63, p. 82) è indubbiamente una svista l'attribuzione al Berthelot dell'ipotesi che il capo Cinetico sia da identificare con il capo santa Maria. Quest'ultimo capo è invece designato chiaramente con l'appellativo di ager Cuneus in Mela, Cho r., III, 7. per il quale si rimanda ad A. Silberman. Pomponius Mela, ci t., nota 15, p. 69 (p. 251 ). Tale apparente o reale spostamento del toponimo può essere giustificato sia da una variazione dell'areale occupato dalla popolazione nel corso dei secoli intercorsi tra Avieno. Pitca e Mela (o la sua fonte), sia dalla ne<::essità di localizzare altrimenti un toponimo che veniva a sovrapporsi a quello, ormai più noto e stabile. del promontorio Sacro (capo San Vìncenzo). menzionato da Mela nello
stesso contesto. 57
Strabo, Il, 4, 4, C 107
= Polyb. XXXIV, 7, 6-7 Buttner-Wobst = F
III B, 123 Berger.
Il viaggio di Pitea sull'Oceano
100
conseguente brusca variazione nella direzione della navigazione. D'altra parte, se quest'ultimo connotato non fosse stato messo in rilievo da Pitea non si spiegherebbe la collocazione del meridiano occidentale da parte di Eratostene se non come frutto di una speculazione geometrica. Eratostene doveva invece essere infonnato dal resoconto piteano che, a partire da un punto collocabile a circa due giorni di navigazione da Cadice, la costa piegava bruscamente e in modo netto verso nord- sia pure con un ulteriore andamento occidentale culminante nel promontorio Sacro definito da Pitea- comportando un radicale punto di rottura nella rotta, e di conseguenza utilizzò tale riferimento per collocare sulla carta dell'ecumene il meridiano occidentale tangente i promontori iberici incontrati dali' esploratore lungo questa rotta diretta a settentrione. La proiezione cartografica di Eratostene doveva tenere conto di alcuni problemi fondamentali, dovuti essenzialmente alla fiducia riposta dallo studioso cirenaico nelle informazioni piteane e ali' improbabile stima di 1.000 stadi per ogni giorno di navigazione che, per quanto approssimata, non poteva rendere conto delle diverse condizioni di navigazione che una nave doveva affrontare solcando il Mediterraneo, lo stretto di Gibilterra o r Atlantico. Eratostene probabilmente ne era conscio, ma non aveva altri termini di riferimento se non il viaggio di Pitea, dal cui resoconto egli era informato del fatto che l'esploratore massaliota, a partire dalle Colonne d'Eracle, era giunto a Cadice dopo quasi un giorno di navigazione verso occidente (di qui gli 800 stadi)~ dalla città fenicia. in circa due giorni di navigazione, aveva poi raggiunto un promontorio oltre il quale la navigazione - fino a quel momento diretta in sostanza verso occidente -era proseguita verso settentrione. Si trattava dell'attuale capo San Vincenzo, che veniva così a trovarsi, per Eratostene, in prossimità del punto ideale di intersezione tra il meridiano occidentale e il parallelo passante per le Colonne. Altri tre giorni di viaggio in direzione nord nord ovest avevano infine condotto Pitea ad un ulteriore promontorio58 , da lui denominato Sacro, che rappresentava ai suoi occhi, evidentemente, il confine occidentale e settentrionale dell'Iberia, oltre il quale, come si vedrà, la navigazione prese una nuova direzione, verso la Celtica, verso oriente. Nel momento in cui lo studioso cirenaico traspose sulla carta le informazioni duplici, itinerarie ed astronomiche, desunte dal resoconto piteano, dovette rendersi conto rapidamente dell'impossibilità di fare combaciare i due tipi di dati, almeno in alcuni casi. Gli era cioè possibile trasformare le giornate di viaggio in stadi secondo un rapporto approssimato di l a 1.000 ed inserire tali distanze nella griglia dei paralleli e dei meridiani solo in relazione alle regioni mediterranee, ma allorché i dati piteani si riferivano alle regioni atlantiche tale rapporto non era più valido; se utilizzato, non risultava più coerente con le accurate osservazioni astronomiche, di cui invece poteva fidarsi. Ecco forse uno dei motivi per cui le distanze di viaggio rilevate da Pitea sono state trasmesse in 511
Stando a Strabone, dal promontorio Sacro (capo San Vincenzo) alla foce del Tago la distanza via mare. in linea retta, era di 1.000 stadi (III, 3, l, C 151 ); di qui fino alla costa settentrionaJe e aJ territorio degli Artabri ve ne sarebbero stati altri 3.000 (III, 3. 3, C 153), di cui non è specificato però se per mare e in linea retta, per un totale di 4.000 stadi. Tali cifre sembrano derivare da fonti diverse e sovrapposte, fra cui Artemidoro e Posidonio, raccordate malamente da Slrabone, se è vero, come sostiene F. Lasserre (Strabon, 111, cit.. nota 5, p. 53 (p. 193)). che Posidonio avrebbe riferito la cifra di 3.000 stadi al tragitto tra il capo San Vincenzo e la foce del Douro. [n un contesto di questo tipo non è affatto impensabile che Pitea potesse coprire in soli tre giorni di navigazione la distanza tra il capo San Vincenzo e il capo Finisterre o il Sillerio.lo stesso lasso di tempo che sembra attestato anche nell'antico periplo massaliota.
Da Cadice a OÙ~Lacl!J.Cl
101
stadi per quanto riguarda le coste iberiche mediterranee e in giorni di navigazione per quelle atlantiche. Per gli stessi motivi, come si vedrà in seguito, anche il successivo percorso fino ad Ouxisama e alla Britannia è riportato in giorni di navigazione e manca completamente nelle fonti ogni indizio relativo alla durata del peri p lo lungo la costa settentrionale de li' l beria e la costa atlantica della celtica, allorché sono conservati il probabile tragitto in linea retta, sull'oceano, tra l'isola di Ouxisama e l'area del Finisterre iberico, e quello tra la stessa isola e il promontorio Belerion. Se la distanza piteana di cinque giorni di navigazione crea qualche imbarazzo, altrettanto può dirsi dell'altra informazione contenuta nel frammento di Artemidoro, secondo cui Eratostene avrebbe dato credito agli studi sulle maree atlantiche compiuti da Pitea proprio in prossimità del promontorio Sacro, ove le maree avrebbero avuto termine; allorché, stando allo stesso Artemidoro, esse circondavano con i loro flussi l'ecumene. Anche in questo caso è possibile pensare ad una errata interpretazione del testo di Eratostene 59 , ma se ciò può avere un senso qualora si considerino equivalenti il promontorio Sacro piteano ed eratostenico e l'omonimo capo in Artemidoro, lo stesso non può dirsi se, come in questo caso, si afferma la loro diversità. Si può forse supporre che la polemica di Artemidoro nei confronti di Eratostene e di Pitea esageri o fraintenda i termini della descrizione di quest'ultimo; il quale, in realtà, potrebbe avere semplicemente osservato che il fenomeno della marea ali' altezza del promontorio Sacro era pressocché impercettibile rispetto, ad esempio, a quanto osservabile a Cadice 60 . Ma si può anche ritenere che I' azione del verho 7tEpa'!'ow, qui impiegato nella forma medio-passiva. fosse intesa originariamente non nel senso passivo di un limite imposto alle maree, bensì, ricollegandosi all'idea dell'uniformità dell'oceano, nel senso attivo della delimitazione costituita dalle maree stesse all'ecumene da esse circondata; una definizione che bene si adatterebbe ai promontori della Galizia protesi a occidente e settentrione tra i flutti impetuosi del1'oceano, ed in ,Particolare al capo Finisterre-NÉ:ptov, che, stando a Strabone, xat '!'~~ Éa7tEptou 7tÀEupa~ x a i 't'i) c; ~o p€ io u 1t €p a c; Èa 't't 61. Al di là della soluzione di tali questioni, un dato importante consiste nell'ulteriore conferma del metodo di rilevamento e di indagine attuato da Pitea: calcolo delle giornate di viaggio, riferimento ai principali elementi topografici della regione attraversata, attenzione rivolta ai fenomeni naturali. L'intero quadro occidentale della rappresentazione ecumenica in Eratostene risente dell'influenza dell'opera piteana, e non solo per quanto riguarda l'aspetto più propriamente cartografico, con l'utilizzo di quelle misurazioni delle distanze percorse che, come si è osservato, il Massaliota aveva rilevato in base ai giorni di viaggio e che lo studioso di Cirene aveva trasformato in stadi, o dei calcoli delle latitudini delle località visitate, ma anche in relazione al contesto etnografico della distribuzione delle popolazioni occidentali e settentrionali e dei loro usi e costumi. Lo dimostra Strabone, osservando che Polibio aveva giustamente rilevato l'incompetenza di Eratostene, il quale non conosceva affatto l'Iberi a, avendo dichiarato che i raÀa"t'at occupavano la parte esteriore dell'Iberia fino a Cadice, S9
60 61
Cfr. H. Berger. Eratosthenes, cit., pp. 367-368. In questo senso si veda S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., p. 121. III. 3. 5, C 153.
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
quindi l'estremo occidente europeo, senza però più nominarli nella sua descrizione della regione 62 • Si può presumere, per quanto osservato circa la presenza delle popolazioni celtiche dei Cineti nella regione del capo San Vincenzo, dei Neri e degli Artabri presso il capo Finisterre, che anche tali osservazioni sulle popolazioni indigene derivassero da Pitea, così come le notizie su alcuni dei principali centri della Lusitania che bene si addicono ali' indagine del Massaliota63. L'insieme piuttosto scarno di questi elementi è quanto rimane del percorso probabilmente costiero che Pitea seguì una volta giunto in Atlantico. Non si addice infatti ai riferimenti ai promontori e alle popolazioni locali l" adozione di una rotta d'altura pienamente oceanica come quella supposta a proposito del tragitto di Imi leone di cui riferisce AvienoM. Giunto al capo Finisterre. sia che questo vada identificato con il promontorio Sacro sia che vada altrimenti inserito in una serie di parapli andati perduti attraverso la tradizione posteriore, Pitea prosegul lungo la costa settentrionale dell'lberia addentrandosi nel golfo di Guascogna. Ancora una volta è l'enigmatica testimonianza di Artemidoro a fungere da guida, apportando forse più incertezze di quante ne contribuisca a chiarire. Infatti. fra le altre critiche rivolte ad Eratostene, a causa della mal riposta fiducia nelle invenzioni fantasiose di Pitea. egli rimyrovera al Cirenaica di aver~ sostenuto Kll.t "tÒ "tCÌ rcpoo-cxpx'ttxà p.ÉpYJ 'tijç 'I~Y)ptas e:Ù7tapoow'tEpa Eivat 7tpòç 't~" Ke:À-rtK~" ~ xa'tà 'tÒv WKECX.\IÒ\1 7tÀS:OUIJ't 65. Come è logico aspettarsi, il passo ha dato luogo a numerose e divergenti interpretazioni. L'attenzione della critica moderna si è soffermata sul significato del termine EÙnapooÙJ"tEpcx e sul valore da attribuire alle preposizioni rcp6ç e KCX.'tci, ma non sono mancati tentativi di correggere e integrare il testo straboniano. L'interpretazione letterale del termine EÙrcapoow'tepa, nel significato di più facile accesso, ha condotto parte degli studiosi a ritenere che Pitea intendesse fare riferimento ad una via interna che dal Mediterraneo consentiva di raggiungere più rapidamente e facilmente la costa celtica sul golfo di Guascogna rispetto alla circumnavigazione della penisola iberica. Alcuni di questi studiosi si sono limitati a vedere nel passo un'allusione di Pitea ad un percorso interno attraverso l'istmo narbonense che sembrerebbe coincidere col presunto iter pe~ destre di sette giorni menzionato nel testo di Avieno66 , pur ritenendo che il Massaliota avesse poi effettivamente utilizzato solo la via marittima67 • Altri, al 62
Strabo. Il. 4, 4. C 107 = Polyb. XXXIV, 7. 6-7 Bi.ittner-Wobst = F 111 B. 123 Berger. F. Gisinger. Pytheas. cit., col. 324, ritiene che la descrizione delle coste iberiche in Pomponio Mela derivi da Pitea, me ntre F. Las serre. Strabon. III. ci t.. note 5 e 7, p. 54 (p_ 194}. si chiede se il Massaliota non sia una possibile fonte indiretta della descrizione straboniana della Lusitania. 64 Ora nwr .. vv. IIO-l35. Cfr. J.-J. Dupuich. Note sur l'Ora maritima de Rufius Festus Avienus. in Littérature gréco-romaine et géographie historique. Mélanges offerts ù Roger Dion, cit, pp. 63
225~231.
F 11 Stiehle = Strabo, III, 2, Il, C 148 = F III B. 122 Berger = F 4 Bianchetti= F 8 Mette. Ora mar.• vv. 148-151. 67 Così A. Schulten. /berische l.Andeskunde, cit.. p. 63; cfr. anche, dello stesso Schulten, Avienus, cit., pp. 30-31 e 99. Secondo R. Carpenter, Beyond the Pillars of Herakles, cit. pp. 158-159, Pitea avrebbe rilevato che la costa oceanica era più facilmente accessibile via terra non per una sua conoscenza diretta del percorso terrestre ma in base ai calcoli effettuati e dopo essersi reso conto che compiendo il periplo delle coste iberiche aveva completato i quattro Iati di un grande quadrilatero ed era ritornato verso la latitudine e la longitudine di partenza. 65
66
Da Cadice a Où~tO'a!J.a
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contrario, sono giunti a modificare sostanzialmente il testo straboniano per meglio fondare l'ipotesi che Pitea avesse raggiunto l'Atlantico seguendo un iniziale itinerario continentale attrave:rso la Celtica 68 , che sembrerebbe coincidere con una via commerciale nota ad altre fonti69. Vi è poi chi, interpretando e:ùnapoowtte:pa in relazione al verbo itÀÉw, nel senso di più facile accesso marittimo, e ritenendo che le preposizioni rtp6ç e x.arra abbiano valore di stato in luogo, suppone che Pitea facesse riferimento al fatto che la costa iberica settentrionale era più facilmente accessibile a1 navigatore in prossimità della Ke: )vnx:~. ovv,e ro in fondo a] golfo di Guascogna, che in pieno oceano. presso il capo Finistene7o. Diversamente, altri studiosi attribuiscono a np6ç e xa"t"a il valore di moto a luogo e sostengono che Pitea abbia qui inteso la direzione della navigazione lungo le coste iberiche settentrionali; pertanto sarebbe più facile navigare da ovest a est. verso la Celtica. che in senso contrario. da est a ovest, verso l' oceano71. La questione è parzialmente aggirata da alcuni commentatori, i quali ritengono che Pitea avrebbe indicato due distinte possibilità di navigazione in direzione della Celtica.: una rotta d' altura (xa'tà -còv wx.E~vov) ed una costiera. Quest'ultima, lungo Je coste settentrionali dell.lberia, sì sarebbe rivelata più facile da seguire rispetto alla corrispondente rotta oceanican. Altre interpretazioni individuano nel passo un'allusione di Pitea alle diverse condizioni di navigazione incontrate in distinti momenti del viaggio. Pertanto. il MassaJiota avrebbe inteso dire che la navigazione lungo le coste. settentrionali dell'lberia in direzione della Celtica. favorita dalla Corrente del Golfo, si era rivelata più agevole di quella lungo il lato meridiona]e della stessa penisola. da Mì riferisco all'cdizi()ne riveduta ed ampliata del passo fornita da W. A.ly. Strabl]nis GeograpJrica. IJ. cit.. p. 185: ... x.at -r6 -rà. 7tpocrapx·nx.à. ~lp·fì -.ijc; 'l(j·f)p taç eÙ7tapoOÙYtepa e i.va t < -rotç 1te ~·n 1t()pwe >da t 7tpÒç 1'"Ìjv KEÌ\nx.·~v ·f. < 'tOtç > x.a'tà. -ròv wx.e:avi"Jv 7t).Éour.n, Xll.l ocra "Ìì ii). AIl. d p·fJxE Il !J6t~ mcr":"e:ucrcx.ç Òt" ii Àaçovdatv <)..e: x_Oi ne<>. Secondo r Aly. Pitea avrebbe raggiunto i l porto ili Korbìlon. alla foce della Loira. se.g uendo la via interna lungo il Rodano e la Loira. e le osservazioni relative al percorso lungo la costa iberica settentrionale non ~;arebbero state il frutto de1Ja sua esperienza diretta. ma sart!bbcro derivate da informazioni da lui raccolte (Srrabon von Amnseia. cit.. pp. ~65-466). L· edizione del!" Aly e l" ipotesi che Pitea facesse riferimento ad una via interna sono state riprese recentemente da C. H. Roseman, Pytheas. cit.. pp. 27-28 e 60-61, che però sembra optare a favore della realizzazione ùcl periplo marittimo da pane dell'esploratore massalìola. L'integrazione del testo è accolta pure da L. Antonelli. l Greci oltre Gibìlterra. cìt., pp. 149·150. che mette in relazione l'indicazione pìteana con il rresunto iter pedestre menzionato da Avieno. non avendo ancora optato per la lezione tràdita redìtu viae nel testo avieneo. Sull'inopportunità di tali correzioni si veda S. Bianchetti. Piu•a di Massalìa. cit.. pp. 121-122. (!\) Diod .. V. 22. da Timeo
o
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Mainake verso le Colonne d'Eracle e l'oceano Atlantico 7 3. Più recentemente si è invece supposto che Pitea avesse «notato le differenze che caratterizzavano il mare e la navigazione a nord e a sud del promontorio Sacro» 74 . Queste non sono che alcune delle supposizioni moderne attorno ad un passo che va leno tenendo conto non solo del complesso contesto polemico dal quale è astratto, ma anche di ulteriori riferimenti implicati nella più generale ricostruzione deli' itinerario pi teano. A mio parere, le tracce del passaggio di Pitea per le Colonne e Cadice non possono essere ignorate ed è chiaro che il Massaliota seguì un itinerario marittimo, pertanto si deve abbandonare ogni ipotesi di un iniziale tragitto terrestre. Quest'ultimo non è neppure preso in considerazione da Pìtea come termine di riferimento alternativo al suo percorso marittimo, poiché l'indicazione 7tpÒç 't~v KEÀ'ttx~v può essere chiaramente intesa solo in relazione alla direzione della navigazione. Diversamente, xartà rtòv wxeavòv indica qui una navigazione interamente oceanica, da un capo all'altro 75 , e ciò esclude la possibilità che si faccia riferimento al viaggio di ritorno da est a ovest lungo le coste settentrionali dell'Iberi a. Inoltre, la definizione dell'accessibilità di queste stesse regioni accomuna le due indicazioni relative alla direzione e allo stato della navigazione, e urta inevitabilmente contro le interpretazioni che vedono nel passo straboniano un'allusione a due diversi segmenti dell'itinerario piteano. La questione, pertanto, si concentra esclusivamente sul significato della menzione di due distinte rotte, una d'alto mare ed un'altra costiera, che consentivano entrambe di portare a termine il medesimo tragitto, i cui termini erano riferiti alle coste iberiche settentrionali ed a quelle della Celtica. Si tratta ùi due rotte, alteméJtive l'una rispetto al1'altra, che con ogni probabilità Pitea percorse in due momenti distinti del viaggio: una ali' andata e l'altra al ritorno. Un indizio in questo senso sembrerebbe essere racchiuso nella congiunzione di xarta e del verbo 1tÀÉw, che potrebbe intendersi quale navigazione di ritorno interamente oceanica. Nel caso, pertanto, Pitea avrebbe seguito all'andata il percorso costiero, certamente più prudente e sicuro, che lo avrebbe condotto dal Finisterre iberico alla costa celtica del golfo di Guascogna e quindi alla penisola armoricana e alle regioni più settentrionali. Al ritorno da queste regioni egli avrebbe invece potuto seguire una rotta d'altura collegante le Isole Britanniche o il Fìnisterre armoricano al Finisterre iberico 76. Rotta che si sarebbe rivelata più difficile al n1o1nento di raggiungere le coste iberiche e alla quale fa rifeiitnento, come si vedrà, la distanza di tre giorni di navigazione attribuita all'isola di Ouxisama. H. Berger, Geschichte der wissenschaftlìclzen Erdkunde der Griechen. IIL cit.. pp. 32-33; G. V. Callegari, Pitea di Massilia. cit.. VII, 4, 1903, pp. 716-717, con ampia discussione di ulteriori ipotesi. Tale interpretazione è accolta con alcune varianti da G.-E. Brache. Pythéas le Mas.saliote. cit., pp. 6875, con discussione dell'ampia bibliografia precedente; lo studi oso francese riteneva infatti che i l Massaliota avesse compiuto all'andata ìn tre giorni l'attraversamento del golfo di Guascogna seguendo una rotta d'altura, dal capo Ortegal a Ouxisama, e che pertanto Pitea intendesse indicare più genericamente la maggiore facilità della navigazione a nord dell'lberia, in direzione della Celtica, rispetto a quella lungo le coste meridìonali della stessa penisola (p. 70). 74 S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., p.l22, con analisi di ulteriori ipotesi proposte dalla critica moderna (pp. 121-122). 75 Come cortesemente suggerito dal Prof. Franco Sartori. 76 Si veda S. Bianchetti, Pitea di Massalia e l'estremo occidente, cit., pp. 135-136; Ead., Pitea di Massalia, cit., pp. 130-131, la quale ritiene che Pitea possa avere sperimentato la via d'altura nel viaggio dì andala u di ritorno. Ulteriore bibliografia in F. Gisinger, Pytheu~·. cit., coli. 325-326. 73
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D'altra parte per poter affrontare con sicurezza una rotta oceanica d' altura gli accorrevano informazioni su mezzi, correnti e venti, che egli poteva aver raccolto all'andata presso i porti della Celtica, ed in particolare in quello di Korbilon, alla foce della Loira.
In base ad una informazione di Polibio, citato da Strabone77, sembra infatti certa la presenza di .Pitea i:n questa località, ove l'esploratore ebbe probabilmente l'occasione di interrogare marinai e commercianti che frequentavano le rotte atlantiche tra l'estuario della Loira, r Armorica e la Cornovaglia. Il porto di Korbilon era stato «un tempo» un importante emporio sulla Loira, trovandosi in una posizione ideale sulla rotta lungo la quale lo stagno delle Isole Britanniche o dell' Armorica era trasportato fino a Massalia78 • Da Korbilon si proseguiva risalendo la Loira fino alle .regioni controllate dagli Arverni, la cui potenza e prosperità, legata al controllo esercitato lungo questa in1portante rotta commerciale, è testimoniata dalla loro precoce mouetazione79. Quindi si scendeva lungo il corso del Rodano per poi dirigersi verso MassaliaSo. Un'altra via seguita imboccava la Gironde e il corso della Garonne giungendo all'antica Narbo8 1; è però probabile che proprio il maggiore sfruttamento di tale linea, conseguente alla caduta del potere degli Arverni e alla cresciuta importanza di Narbo in seguito all'occupazione romana, sia alla base del declino di Korbilon. Il sito del porto non è stato individuato, ma sembra che esso vada localizzato nella regione. compresa tra l'attuale centro di Nantes82, l'antico Portus Namnetum della Tabula Peutingeriana 83 • e Le Croisic, poco a nord dell'estuario della Loira, <s4 • L'antichità di Korbilon e la sua importanza sono indicate da diversi rinvenimentì nell'area85; 77
Polyb.. XXXIV. IO. 6-7 Bi.iHner-Wobst = Strabo, IV, 2. l. C 190. Strabo. III. 2, 9, C 147. da Posidonio (FGrHi!it. , 87 F 47 = 239 Edelstein-Kidd = F 19 Theiler); cfr. FGrHist., 87 F 117 = F 89 Theiler = Diod., V. 38. 4-S. 79 .l cui inizi vengono posti alla .tine del IV secolo da M. Clavel-Léveque, Marseille grecque, cit., pp. 173-174. Tuttavia la data iniziale delle emissioni è collocata da al cri studiosi al ITl o solo al Il secolo a.C.; cfr. J.-B. Colbert de Beaulieu, Traiti de numismarique celtique. cit., pp. 170-176 e 202-205. so Diod., V, 22. Kl Dìod .. V, 38, 5. 82 P. Galliou, Les relations commercia/es de l'Annorique gallo-romaine. «Caesarodunum», XTI. 2. 1977, p. 482. 83 Seg. l, 2-3 della riproduzione pubblicata in A. e M. Levi. lrineraria picta. Contributo allo studio della Tabula Peutingeriana, Roma, 1967. 84 R. Dian. Transport de l'étain des fles britanniques à Marseille à travers la Caule préromaine, Actes du 93t' Congrès National des Sociétés Sawmtes, Tours . ./968. Section d'Arclzéo/ogie, Paris, 1970. p. 433. Così anche H. E. A. Pìneau, La cote atlantique, de la Bidessoa à Quiberon, dans L'Antiquité, <>, suppl. 52, Paris, 1993., pp. 96-98, il quale crede che quello di Korbilon sia semplicemente un nùto volto a nascondere la realtà deB 'esistenza n.on di un singolo centro ma di numerose località lungo la costa celtica e la valle della Loira connesse al traffico dello stagno. A questo proposito, tuttavia, senza voler negare l'esistenza di 78
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in particolare, si segnalano alcune monete ritenute fenicie, una moneta di Lisimaco, databile aJ 294-281 a.C. 86 , e una di Sesto databile al II secolo a.C. 87 • Da Korbilon il viaggio ,di Pitea continuò seguendo l'andamento della costa bretone fino ad Ouessant. E quanto si può intuire da Strabone, il quale riferisce che Eratostene, dopo essersi sbagliato a proposito della larghezza del mondo abitato, aveva errato anche a proposito della sua lunghezza, soprattutto per quanto concerneva le regioni occidentaJii~S. Egli, infatti, aveva aggiunto alla sporgenza occidentale dell'Iberi a oltre le Colonne (3.000 stadi) anche alcuni promontori, fra cui quello degli 'i!cr'"t't!J- vtot chiamato Ka~atov. e le isole vicine a questo~ l'ultima delle quali, Oùç,crci!J-a. si trovava, secondo Pitea, a tre giorni di navigazione. Stando sempre a Strabone, Eratostene sosteneva che queste regioni non aumentavano la lunghezza del mondo abitato; ed inoltre che esse si trovavano a nord, nella KtÀ'ttK~, non in lberia89 . Quest'ultimo è un dato importante per comprendere i motivi della critica di Strabone nei confronti di Eratostene, fondata su una diversa rappresentazione dei confini occidentali e settentrionali dell'Europa. Strabone infatti riteneva che le coste atlantiche della Celtica fossero rivolte verso nord 90 , per cui i citati promontori non potevano sporgere verso occidente. Tali sporgenze erano solo invenzioni di Pitea: Ilu6Éou 7tÀacr~J-a'"t'a91. Si può cosl intravvedere ancora una volta quale fu l'influenza esercitata dai resoconti piteani sulle concezioni e sulle conoscenze che presiedettero allo sviluppo della rappresentazione dell'ecumene in Eratostene. Il confronto con gli altri passi di Strabone indica infatti in Pitea la fonte utilizzata dallo scienziato di Cirene per quello che riguardava le regioni occidentali. Navigando lungo le coste atlantiche Pitea aveva pertanlu rilevato la sporgenza occidentale dell'Iberia. calcolata rispetto alla posizione delle Colonne d'Eracle, ideale confine dell'ecumene antica. Egli aveva poi annotato che le regioni celtiche si estendevano a nord deli'Iberia e che qui si trovavano alcuni promontori che si protendevano sull'oceano, verso occidente, raggiungendo quasi la longitudine della costa iberica occidentale. ma non superandola92 • Nonostante quest'ultima annotazione sia scorretta in termini moderni. essa costituisce tuttavia il primo riconoscimento del rilievo rappresentato dalla penisola armoricana93. una pluralità di terminali e di empori. mi pare che il testo di Strabone sia inequivocabile nell'affermare che. secondo Polibio, Pitea aveva parlato precisamente di Korbilon e che Scipione aveva interrogato alcuni commercianti che provenivano da questa località. llt. Cfr. M. Prevost. La Vc1! de Loire dans l'Antiquité. cit .. p. 96: altri rinvenimenti lungo la valle della Loira sono segnalati alle pp. 93~95. K7 B. M. Henry, Le commen·e medìterranéen et/a Vandée /iuorale du VJJfr siècle au/"' sièc/e a\'Ont l. C.. «Archeologi a». 52. 1972. pp. 6 7-71. M!\ In realtà Strabone non comprende lo sviluppo teorico svolto da Eratostene sui dati in suo possesso: cfr. G. Aujac. Strabon, I, ci t.. nota 7. p. 167 (p. 216 ). 8 " Strabo, L 4, 5, C 64 F Il C. 18 Berger = F 6a Bianchetti = 6a Mette. 9U Per la concezione dell'Europa settentrionale in Strabone si vedano i seguenti passi: Il. 5. 28. C 128; Hl. l, 3, C 137; IV, l, l. C 176-177; IV, 2, l. C 190: IV, 3, 3, C 193. Si velia R. Dion, Le problème des Cassitérides, «Latomus». Il. 1952, pp. 311-312, ove si adducono le antiche relazioni marittime lungo le rotte atlantiche a motivazione della panicolare e deformata visione straboniana delle regioni occidentali: <~en géographie, Ies liens humains comptent davantage qu'un simple rappon de proximité dans l' éspace>J< (p. 311 ). 9 1 I. 4. 5. C 64 = F 6a Bianchetti = F 6a Mette. n In tal modo dovrebbe intendersi la frase di Strabone: cfr. F. Gisinger. P;rtheas. cit., col. 326. 9 3 Come già osservò R. Dion. Aspecrs poliriques, cit., pp. 190-191. w
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Che non vi siano dubbi circa una tale identificazione lo conferma lo stesso Strabone in un altro passo nel quale, descrivendo le popolazioni celtiche situate oltre i Veneti, nomina la popolazione degli 'OatO"!J--tOt, menzionati però da Pitea come 'L!a'tt[J. vtot; costoro abitano un promontorio che sporge sull'oceano, ma non tanto quanto riferito da Pitea e da coloro che gli prestano fede 94 • Il passo consente quindi di identificare gli 'Ucr'!t[J. vtot con gli Osismi dì cui parla Cesare, collocandoli fra le popolazioni celtiche quae Oceanum attingunt quaeque eorum consuetudine Aremoricae appellantur95 ; o ancora. fra le maritimae civitates che Oceanumque attingunt96_ Due passi paralleli di Pomponio Mela consentono di apprezzare ulteriormente le informazioni piteane: la costa della Gallia, a partire dalla Garonne fino al promontorio degli Osismi, si protende verso occidente per un tratto corrispondente a quello della costa settentrionale dell'Iberi a, così che il promontorio degli Osismi si trova opposto alla costa cantabrica9 7 . Il dato è estremamente preciso: la penisola armoricana segna una prominenza che viene a trovarsi sullo stesso meridiano della regione cantabrica. Ma Mela, avendo la stessa visione deformata delle coste occidentali e settentrionali dell'Europa riscontrata in Strabone98, non intende che questa corrispondenza tra Cantabri e Armorica avviene sul medesimo meridiano e che l' Armorica si trova a nord, molto più a nord, dei Cantabri. Di questa penisola Plinio fornisce anche le dimensioni, con un perimetro di 625 miglia e una larghezza di 125 miglia, rispettivamente equivalenti a 5.000 e I .000 stadi99. Si tratta di misure che con ogni probabilità risalgono alle osservazioni effettuate dall'esploratore massaliota, per il tramite di Eratosteneloo. In effetti, la precisione nella corrispondenza tra miglia e stadi rimanda ad una originaria fonte greca ed è pertanto pensabile che, analogamente a quanto veritìcatosi a proposito del perimetro della Britannia 101 , le dimensioni della penisola armoricana fossero note a Plinio attraverso la conversione degli stadi in miglia romane effettuata da Isidoro di Carace, un compendiatore dell'opera di Eratostene. vissuto in età augustea 102 . Le dimensioni deHa penisola, inoltre, si adattano coerentemente alla rappresentazione piteana ed eratostenica di questa sporgenza occidentale d eli' Europa. ~~ 1V. 4, l, C 195. Ancora una volta Strabone, fedele alla propria concezione dell'ecumene, rifiuta il dato piteano di una notevole sporgenza della penisola armoricana verso ovest. 95 B.G .. VIL 75. 4. <~6 B.G .. Il. 34. Secondo Ptol., Geogr .. II, 8, 6. gli 'OatcrlJ-tOt abitavano la costa occ.identale della Gallia. Si veda L. Pape. w civitas des Osismes a l'époque gallo-romaine, Paris, 1978. in part. pp. 1519 sulla denominazione e pp. l 9-42 sulla localizzazione degli Osismi attraverso le diverse fonti. 97 Ch or.. III. 16~ III. 23. 911 Si veda Mela. Clwr .. III. 12, il quale, dopo avere brevemente parlato delle coste iberiche orientate verso occidente. afferma: deinde ad septemriones toto late re terra convertitur a Celtico promullturio ad Scyticum usque. Il promontorio Celtico, come si è vislO, conisponde probabilmente al capo Finisterre. o comunque ad uno dei capi della regione nord-occidentale dell'lberia. mentre il promontorio Scìtico è l'immaginario capo nord-orientale dell'ecumene; si veda in proposito il commento di A. Silberman. Pomponius Mela, cìt.. nota l, p. 71 (p. 255). 119 N.H.. IV, 107: paeninsulam specratiorem excurrentem in oceanum a fine Ossismorum circuitu DCXXV. cen·ice in laritudinem CXXV. wo Questa almeno è l'opinione espressa da F. Gisinger. P)!theas. cit., col. 326; cfr. anche H. Berger. Erato.srhenes, cit.. p. 369. 101 Si veda Plin .. N. H., IV. l 02. 101 Su lsidoro quale fonte dì Plinio. oltre ali' articolo curato dal WeiBbach. s.t, Isìdoros (20), RE. IX. 2. 1916. coli. 2064-2068, si veda K. G . Sallmann, Dìe Geographie des dlteren Plinius, cit .. pp. 50-60.
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L'osservazione piteana che Ouxisama e il Kabaion si trovano sullo stesso meridiano delle regioni occidentali dell'lberia risulta ancora più apprezzabile quando si osservi il contrasto netto con le opinioni che i geografi antichi, con l'eccezione di Eratostene (appunto in base ai dati piteani), ebbero di tali regioni anche dopo la conquista romanaw3 • Nella rappresentazione dell'Europa occidentale e settentrionale essi immaginarono una linea di costa continua e pressoché priva di irregolarità che andava dal promontorio Sacro alla terra degli Artabri in direzione nord, per poi assumere un andamento verso est, o leggermente obliquo verso est nord est, fino alla leggendaria apertura settentrionale del mar Caspio. Il golfo di Guascogna era pertanto rappresentato come aperto verso nord e in opposizione alla costa meridionale della Britannia, così che il promontorio Belerion veniva a trovarsi dinanzi ai Pirenei e il Kantion di fronte alla foce del Reno. È a questo schema, mentale e cartografico ad un tempo e le cui origini risalgono almeno in parte a motivazioni di chiara matrice politica e propagandistica, che si devono molte delle incomprensioni di Strabone nei confronti delle infonnazioni fomite da Pitea e da Eratostene e di conseguenza il rifiuto dei dati piteani. D'altra parte, va rilevato che ancora nella rappresentazione di Tolemeo, che pure si distacca in parte da tale tradizione, la penisola armoricana è ridotta ai minimi tenni n i w... L'identificazione di questa propaggine occidentale della Celtica con l' odierna Armorica non esaurisce le problematiche offerte dal primo passo straboniano. Se la questione degli 'Ua-d~ vtot, complicata dalla presenza di alcune lezioni differenti o affini nei codici straboniani, può dirsi oggi sostanzialmente definita 105 , ne sussistono altre non pienamente risolte. Ad esempio, circa oùçtaci~a, che i più identificano con Ouessant 106, ma che secondo altri sarebbe da identificare con le Scilly 107• La toponomastica indica Ouessant, mentre la distanza di tre giorni conduce apparentemente alle Scilly. Ma da dove è calcolata questa distanza? Dal promontorio Kabaion, dalla GirondeiOs, dal porto di Korbilon alla foce della Loira 109 , o da un altro luogo ancora? Ed inoltre, è localizzabile sulla costa bretone un promontorio che corrisponda al Kabaion di Pitea? Riguardo ad Ouxisama, a mio parere è evidente che non vi possono essere dubbi circa la sua identificazione con l'odierna Ouessant, la maggiore e più lontana delle isole che costellano il saliente armoricano, come già. significati103 Per Polibio si rimanda a R. Dion, Aspects politiques, ci t., pp. 223-230; per Posidonio, a sua volta fonte della proiezione straboniana, si veda Poseidonios, Die Fragmeme, hrsg. von W. Theiler, II, Erliiuterungen, Berlin-New York, 1982, p. 42: cfr. Strabo, II. 5, 15, C 120; III, I. 3, C 137. suii'Iberia: II. 5, 28, C 128; IV, l. l, C 176-177; IV, 2, l. C 190; IV, 3, 3, C 193: IV, 5, l, C 199, sulla Celtica (un'analisi su questi ed altri passi straboniani è stata condotta da C. Goudineau, Les provinces de Gau/e: problèmes d'histoire et de géographie, in Mélanges P. Uveque, 5, Anthropn/ogie et.mciété, édités par M. M. Mactoux et E. Geny, Paris, 1990, pp. 161-176, con risultati interessanti circa la relazione tra cartografia e suddivisioni amministrative, in questo caso della prima età imperiale~ Id .. Cesar et la Gaule, Paris, s.d., in part. pp. 77-100); Mela, Chor., III, 16 e 23. 104 Ptol., Geogr .• II, 8. 105 Cfr. F. Lasserre, Ostiéens et Ostimniens che: Pytl!eas, «MH», XX, 1963, pp. 107-113: S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., pp. 128-130 e 133. 106 Cfr. R. Dion, Aspecls politiques, cit., p. 191; F. Gisinger, Pytheas, ci t, col. 326. Quanto alle altre isole vicine al Ke:l~cxW\1, si tratterebbe in questo caso dei numerosi scogli e isolotti che costellano il saliente annoricano. 107 P. Fabre, Les Massa/iotes. cit., pp. 35-36. 1011 Così C. F. C. Hawkes, Pytheas, cit., p. 27. 109 Così P. Fabre, Les Massaliotes, cit., pp. 35-36; R. Wenskus, Pytheas und der Bemsteinlumdel, cit .. p. 94.
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vamente, aveva annotato Pitea. L'antico nome dell'isola appare come un topo nimo particolarmente diffuso in area celtica 110 . Formato dall'aggettivo ux-o, nel significato di «alto>> e, forse, per estensione «nobile>>, e dal suffisso superlativo -i-sama1 11, esso individua la caratteristica conformazione topografica che distingue Ouessant dalle isole vicine e si è conservato localmente attraverso i secoli con leggere varianti: A"Cantos in Plinio 112 , Uxantis nell' ltinerarium provinciarum Antonini Augusti 113 , Eu-Ossa - Eussa in età tardo-medioevale e sotto diverse forme in epoca moderna 114. Il ruolo rilevante dell'isola nelle rappresentazioni piteana ed eratostenica dell'ecumene, oltre che da Strabone, sembra segnaJato indirettamente da alcuni versi de Ha Periegesi anonima attribuita dalla tradizione. a Scimno di Chio 115 • Qui infatti è menzionata fra i Celti una È:
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sa ottica di Artemidoro e di Strabone che identificavano il promontorio Sacro con l'odierno capo San Vincenzo. Si potrebbe meglio intendere, in tal modo, il significato dell'affermazione della maggiore facilità di accesso alle coste iberiche settentrionali navigando in direzione della Celtica -lungo la costa- piuttosto che attraversando l'oceano da un capo all'altro; ovvero dal Finistère armoricano o dall'antistante isola di Ouxisama al Finisterre iberico. 01tre ai problemi comunque insiti in una navigazione d'altura, infatti, la mancanza di elementi di riferimento costieri costringeva il navigatore ad orientarsi nel senso della longitudine facendo affidamento ai soli calcoli sulle distanze percorse all'andata ed eventualmente alle informazioni circa la durata del tragitto che egli poteva avere raccolto nel corso del viaggio, non esistendo nell'antichità strumenti che consentissero di calcolare con qualche affidabilità la longitudine di un luogo, all'infuori delle stime itinerariell9. Anche le osservazioni astronomiche, per quanto accurate, non potevano essere di alcun sostegno, poiché solo con la scoperta dei satelliti di Giove da parte di Galileo e l'attenta osservazione dei loro moti da parte de1lo stesso Galileo e di Cassini si poté giungere in epoca moderna a stime precise della longitudine di una località110. Doveva pertanto risultare piuttosto difficoltoso il compito di raggiungere un punto preciso della costa iberica partendo da Ouessant ed attraversando in linea retta l'oceano Atlantico allargo del golfo di Guascogna. in quest'ottica, si può allora presumere che l'eventuale rotta di ritorno oceanica sia stata intrapresa da Pitea solo dopo aver raccolto precise informazioni presso navigatori e commercianti che evidentemente la conoscevano già, a Korbilon o Ouxisama. La distanza piteana, riferita e criticata da Strabone 121 , di alcuni giorni di navigazione tra il promontorio Kciv'ttOv in Britannia, l'odierno Kent, e la Celtica va forse interpretata in maniera simile, come riferimento ad una rotta diretta da Ouxisama o dal Kabaion al Kantion. Per quanto concerne il promontorio Kabaion, da tempo sono state formulate varie ipotesi di localizzazione: la punta St.-Mathieu, vicino a Brest, da cui il litorale curva in maniera decisa verso est e di fronte alla quale si trova il gruppo di isolotti e scogli che tennina con Ouessant 111 : la punta di Raz, all'estremità del capo Sizun che delimita a meridione la baia di Douarnenez. presso cui era un'ansa denominata ancora in epoca recente Gobestan o Cabestanl 13; la penisola di Penmarch, che costituisce il tennine meridionale del saliente armoricano 12-'. Queste ultime due ipotesi sono fondate concorrenzialmente in base al confronto con i dati fomiti da Tolemeol 15; dati che pertanto non contribuiscono a dirimere 119
L'invenzione di orologi di grande precisione che misero i naviganti in grado di conoscere la longitudine nel corso della navigazione avvenne solo nel XVIII secolo. ad opera dell'orologiaio inglese John Hanison; cfr. D. Sobel. Longitude. s.I.. 1995. trad. it., Longitudine. LA vera storia della scoperta av~·enturosa che ha cambiato l'arte della naviga:::ione, Milano. 1996. no Cfr. D. Sobel, Longitudine, cit., pp. 25-29. 121 I. 4. 3. 63. m P. Fabre, Les Mas.mliotes, cit.. p. 35; S. Bianchetti, Pitea di Marsiglia. cit, p. 7. 123 Cfr. K. Milllenhoff, Deutsche Altertumskunde, cit., p. 372, che deriva la prima denominazione da P. F. J. Gosselin (Recherches sur la géographie systématique et positive des anciens, Paris, VI ( 1798), vol. IV. p. 75, non vidi) e la seconda da alcuni documenti cartografici dell'epoca; dr. inoltre, a favore di questa ipotesi. L. Pape, LtJ ch>itas des Osismes, cit .. pp. 23-28, con ulteriore bibliografia: F. Lasserre, Ostiéens et Ostimniens, cit., p. 112; G. Broche, Pythéas le Massaliote, cit.. p. 84. 124 Secondo H. E. A. Pineau, LtJ cote atlantique, cit., p. 60. m Geogr .• Il, 8, 1-2 e .5.
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la questione, in quanto Tolemeo nel delineare cartograficamente la regione armoricana individuava un unico promontorio, il rci~atov abitato dagli 'Ocrtcr!J.tot, che chiaramente corrisponde al Ka~atov menzionato da Pitea. Migliore risultato non si ottiene neppure dali' evidenza del fatto che il Kahaion piteano abitato dagli Ostimni coincide con il promontorio Oestrymnis menzionato da Avieno o, meglio, dalla sua antica fonte massaliota 126 ~ così come gli ìsolotti antistanti, fra cui Ouxisama, conispondono alle insuiae Oestrymnides situate nel sinus Oestrymnicus che si apre ai piedi dell'omonimo promontorio127. La questione, anzi. si complica ulteriormente, poiché per il promontorio Oestrymnis è stata proposta anche una diversa identificazione con la odierna penisola di Quiberon, che chiude a settentrione il golfo del Morbi han, nel quale si trovano numerose isolette. Tale localizzazione consentirebbe infatti di conciliare la realtà geografica col testo di Avieno, in cui il promontorio Oestrymnis è descritto come rivolto a meridione 118 . In effetti. le imbarcazioni di pelle utilizzate dalle popolazioni oestrimniche in Avieno rimandano alla descrizione che Cesare fa delle navi dei Veneti del golfo del Morbihan 129. Tuttavia, sono rìscontrabili anche punti di contatto con la descrizione pliniana delle imbarcazioni di vimini cucite col cuoio utilizzate dai Britanni per andare a Ictis, che tramite Timeo risale certamente a Pitea 130 • Pertanto. più che una coincidenza topografica, tali notizie attestano la diffusione e l'utilizzazione di imbarcazioni costruite secondo tecniche simili. con legname e cuoio, in tutta l'area compresa tra la Britannia meridionale e la Celtica settentrionale, ad indicare l'esistenza di legami ed influenze culturali ed economiche reciproci 131 • Il tentativo di identificare con precisione il promontorio Kabaion con uno dei numerosi promontori armoricani sembrerebbe rivelarsi infruttuoso, poiché gli autori antichi, a partire dalla fonte di Avieno fmo a Tolemeo incluso, non rilevarono l'esistenza di una pluralità di promontori ma di una singola propaggine che. ad esempio. da Plinio viene identificata con la penisola armoricana nella sua totalità 13 2. Si dovrebbe pertanto su p porre c he anche neli' ottica pi teana i 1 116
Ora mar .. vv. 90-96. Identificano tale promontorio con la punta di St.-Mathieu sia A. Schulten, A1•ienus. cit., p. 94, sia L Antonelli, J/ periplo nascosto, cit., p. 156. 127 Erroneamente F. Cardano (Ln geografia degli antichi, Roma-Bari, 1992, p. 32; fig. 34, p. 132; Ead., Antichi viaggi per mare, cit., nota l O, p. 150) identifica le isole Oestrimnidì menzionate da Avieno t:on le Jsuk Britannidtt:. Bhiugua infalli nutan:: t:ht: la funtt: ùi Avit:nu t.:unusçe le:: isole abitale ùagli Hierni e dagli Alhioni. e che queste sembrano essere ben dìstinte dalle insulae Oestrymnides (Ora mar.. vv. 1 11-112). 128 Così S. Lewuillon. Polémique et méthode à propos d'une question historique: pour des «fles Cassitérides», «DHA>>, VI. 1980. pp. 235-266. Cfr. E. Renna, Pitea di Marsiglia e il viaggio di esplora:ione ai confini settemrionali del mondo abitato, in Scritti di l'aria umanità in memoria di Benito /ezz.i. a cura di M. Capasso c E. Puglia. Sorrento. 1994. p. 32, il quale pensa a delle antiche isole oggi interrate nella palude della Brière. 12'1 B.G .. JII, 8. l, e lll. 12-13. 13o N.H., IV, 104 = FGrHist, 566 F 74 = F 8f Bianchetti= F llb Mette. 13 1 Imbarcazioni di questo genere erano diffuse anche lungo la costa lusitana: cfr. Strabo. III. 3, 7, C 155. probabilmente da Posidonio. anche se solo W. Theiler accoglie il passo tra i frammenti ( Poseidonios. Die Fragmente, hrsg. von W. Theiler, l, Texte, Berlin-New York. 1982. F 22). Ma la tradizione delle imbarcaziGni cucite era diffus::. anche in ambito mediterraneo e a Massalia: legacci vegetali furono infatti utilizzati per l'assemblaggio della nave massaliota il cui relitto è stato rinvenuto nella baia di Bon-Porté. databile al terzo quano del VI secolo a.C.; altri esempi sono forniti dalla nave etrusca rinvenuta nelle acque dell'isola del Giglio (600 a.C. ca.) e dalla nave greca affondata nei pressi di Gela (inizio V secolo a.C.); cfr. P. Pomey, L Long. Les premiere échanges maritimes du Midi de la Gaule du VIe au l/le s. av. 1.-C à travers /es épaves. in Marseil/e grecque et la Gaule. cit., p. l92. 132 N. H., IV, 107.
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Kabaion corrispondesse non ad un singolo capo ma all'intera estensione occidentale della Celtica costituita dalla penisola armoricana nel suo complesso. In questo senso, almeno, sembrerebbe da intendere l'informazione fornita da Strabone circa la sporgenza oceanica rilevata da Pitea del promontorio abitato dagli Ostimni 133 • Ad una simile conclusione conducono anche le annotazioni relative a11a popolazione degli Ostimni-Osismi, in quanto il territorio da essi abitato nell' antichità era notevolmente ampio ed ha probabilmente subito alcune variazioni nel corso del tempo 134 • Nello schema sommario fornito da Mela gli Osismi abitavano l'estrema propaggine della Gallia che veniva a trovarsi di fronte al litorale cantabrico e a partire dalla quale la successiva linea costiera tornava a rivolgersi a settentrione 135. In particolare essi occupavano il territorio antistante l'isola di Senal36, l'attuale Sein, dunque in corrispondenza dell'odierno capo Sizun che termina con le punte di Raz e di Van. Quest'ultimo passo, tuttavia, è chiaramente diretto a localizzare l'isola in maniera generica rispetto alla vicina terraferma e dunque non intende fornire né una precisa connotazione topo grafica della costa né un limite al territorio abitato dagli Osismi, che sono presi qui come riferimento solo perché si tratta dell'unica popolazione della regione ricordata in precedenza nella descrizione della Gallia. Dal già menzionato passo di Plinio si ricava inoltre che gli Osismi occupavano tutta l' Armorica dalla baia di Saint-Brieuc, sul litorale settentrionale, almeno fino alla riva sinistra della Vilaine, venendo così a con fin are con i N amneti 137 . La relazione istituita da Mela o dalla sua fonte tra l'isola Sena e la costa antistante costituisce un significativo parallelo alla localizzazione piteana degli Ostimni presso il promontorio Kabaion, vicino al quale si trova un gruppo di isole di cui la più lontana è Ouxisama. Se ci si attiene strettamente al dato topografico l'unica possibile identificazione del Kabaion è quella con l'attuale punta di St.-Mathieu; se si privilegia una più ampia definizione, quale risulta da tutte le testimonianze antiche, il toponimo pare applicarsi non ad un singolo rilievo ma al Finistère armoricano nel suo complesso. Comunque vada identificato il Kabaion, è indubbiamente a questo promontorio ed aH' antistante isola di Ouxisama che vanno riferite alcune osservazioni piteane in funzione del rilevamento della latitudine delle regioni settentrionali della CelticaBs. a conferma dell'importanza della tappa effettuata a Ouxisama che risulta essere un riferimento significativo non solo per la navigazione in quel tratto di mare ma anche nella rappresentazione piteana e poi eratostenica delle regioni occidentali dell'Europa. Per Ouxisama passava infatti il meridiano occidentale di Eratostene definito dal x.up'tW!J-CX dell'Europa, ponendosi l'isola nelle vicinanze del promontorio Kabaion abitato dagli Ostimni, e tale meridiano andava ad intersecare in quei paraggi il parallelo corrispondente alle regioni settentrionali della Celtica. Nella rappresentazione antica, a partire sicuramente da Ipparco, questo parallelo coincideva con quello passante per la città di Boristene 139 , presso la foce 133
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131 1311
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IV, 4, l, C 195 = F 6b Bianchetti = F 6e Mette. Cfr. L. Pape. La civitas deJ Osismes. cit., pp. 19~42. Chor., III, 23. Chor., III. 48. Cfr. L. Pape, La civitas des Osismes. cit., pp. 28-31. F 8b Biancheni = F 6b Mette= Strabo, II, l, 12. C 71-72. Strabo. II, l, 12, C 71-72 =P 59 Dicks; Il. l. 1&. C 75 =P 5& Dicks; Inoltre: Strabo, II, l. 13,
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dell'attuale Dnepr sul Mar Nero, e la sua posizione era rapportata a quella di Massalia, la cui latitudine, come si è detto, fungeva da riferimento costante nella tabella dei climi di Ipparco in base all'idea errata che la latitudine di Bisanzio corrispondesse a quella di Massalia. Anche le informazioni di cui era in possesso Ipparco a questo proposito derivavano da Pitea; basterebbe a confermarlo l'ulteriore affermazione che questo stesso parallelo passante per la costa celtica settentrionale attraversava anche la Britannia 140, intendendo evidentemente la parte meridionale delrisola, in effetti non troppo distante dal continente. Se ciò fornisce una ulteriore dimostrazione dell'elevato margine di incertezza da attribuire a queste testimonianze, allo stesso tempo indica che anche Ipparco, alla pari di Eratostene, per quanto riguardava le regioni settentrionali e occidentali dell'ecumene aveva utilizzato Pitea come teste di riferimento. Conferme ulteriori in questa direzione non mancano e sono offerte dallo stesso Ipparco o, meglio, dalle testimonianze di Strabone in proposito, secondo cui il parallelo della Celtica settentrionale distava da Massalia 3.700 o 3.800 stadi 141 • Nel sistema di Ipparco - con l'equivalenza tra l o e 700 stadi, e il riferimento alla latitudine di Massalia di 43° 12' -la latitudine corrispondente era allora quella di circa 48° 29' o 48° 38', come viene confermato anche dalle distanze totali computate a partire dall'equatore: 34.000 o 34.100 stadi 142 , corrispondenti alla latitudine di 48° 34' o 48 o 43'. Si tratta, grosso modo, della latitudine di Ouessant (latitudine reale 48° 28') e dell'antistante costa armoricana, ovvero del Kabaion, comunque lo si voglia localizzare 143 , abitato dalla popolazione celtica degli Ostimni, di cui Pitea aveva rilevato evidentemente non solo la sporgenza occidentale, ma anche la latitudine. Tali misure in stadi erano ovviamente calcolate a partire da dati ed osservazioni di tipo astronomico, i cui risultati erano poi convertibili in misure lineari, anche se con leggeri sfasamenti e approssimazioni. Ipparco, infatti, era a conoscenza del fatto che a queste latitudini il giorno più lungo durava 16 ore equinoziali e che la costellazione di Cassiopea vi appariva tutta intera nel circolo delle stelle sempre visibili; durante le notti estive la frazione settentrionale dell'orizzonte era debolmente illuminata dal percorso notturno del sole da occidente ad oriente, poiché il tropico estivo distava dali' orizzonte 7/12 di un segno dello zodiaco e il sole non si abbassava oltre tale valore sotto l'orizzonte 144• Si tratta di osservazioni che appaiono corrette per la latitudine di 48° 30'1~5, quella, C 72; II. l. 16, C 74 ~ II. l. l 7. C 74-7 5. La lati tu di ne di Bori stene è utilizzata da Eratostene come importante riferimento (FII C, 2 Berger = Strabo, I. 4, 2, C 63), ma non vi è menzione in questo contesto della Celtica settentrionale, anche se è nominato Pitea. 14 F 53 Dicks = Strabo, I. 4, 4, C 63; cfr. Strabo, Il, 5, 8, C l 15 (solo parzialmente compreso nel frammento 54 Dicks di lpparco). 14 1 La prima distanza è riportata da Strabo. II. I • 12, C 71-7 2 = F 59 Dicks, ed equi vale a 5o t 7'; la seconda da Strabo. II, 5, 42, C 134- t35 = F 57 Dicks, ed equivale a 5° 26'. 142 Rispettivamente, Strabo, Il, t. t3, C 72 =F 59 Dicks; Strabo, Il, 5, 42, C 134- t35 = F 57 Dicks. Si veda il commento del Diclc.s, Hipparchus, cit. pp. t 84-185. 14 3 La punta di St.-Mathieu si trova alla latitudine di 48° 20'; Quimper e Douamenez, presi come riferimento da G. Aujac, Strabon. II. cit., nota 4. p. 19, sono poco più meridionali (Quimper è quasi esattamente sul 48° parallelo). 144 F 57 Dicks = Strabo, Il, 5, 42, C t 34-135. Si vedano: G. Aujac, Slrabon, Il, cit., nota l, p. 25 (pp. 130-131), e nota l, p. 123 (pp. 173-174); D. R. Dicks, Hipparchus, cit. pp. 184-185. 145 Nel sistema ipparcheo, con l'adozione di un valore dell'obliquità dell'eclittica approssimato a 23 o 5 t '. la durata d i 16 ore per i l giorno solstizi aie corri sponde ad una latitudine d i 48° 3 O'; mentre l a dislanza di 7112 di un segno dello zodiaco, poiché ogni segno occupa 30° corrispondenti a lfl2 deJI'ìntero cerchio, equivale ad un'allezza del sole sull'orizzonte di 17° 30', per una latitudine di 48° 39'. Se
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
appunto, della penisola bretone raggiunta da Pitea, ma che non si adattano a Boristene, come pretendeva lpparco, poiché questa città e la foce del1'omonimo fiume si tr
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tezza del sole al solstizio invernale, ricavabile a partire da un'osservazione gnomonica compiuta anche in un diverso momento dell'anno. A lui, infatti, sono riconducibili le analoghe misure riferite ad altre località e latitudini nordiche 152 • A queste osservazioni Ipparco aveva aggiunto la distanza tropico-orizzonte, deducibile teoricamente.
JV.3 - Le Cassiteridi e l'isola abitata dalle donne namnete Accanto a Ouxisama, Pitea menzionava anche altre isole lungo la costa celtica sulle quali è forse possibile far luce attraverso ulteriori testimonianze di Strabone che forniscono un chiaro indizio della sua incomprensione di alcune delle fonti utilizzate. Egli descrive infatti le isole Cassiteridi in un passo relativamente ampio e sintomatico della confusione esistente riguardo alla loca1izzazione delle mitiche isole 153 , riprendendo e riassumendo molto probabilmente le opinioni di Posidonio in proposito 154, senza accorgersi del fatto di avere in realtà riunito in un unico excursus tre notizie distinte ed autonome riferibili ad epoche, fonti e regioni diverset55. La prima notizia risalirebbe a Timeot56, per la citazione delle Tpcxytx.cxt Omvcxt che lo stesso Timeo menzionava in un diverso frammento a proposito delle donne daunie 157 • La seconda riporta invece un resoconto che Posidonio probabilmente raccolse da infonnatori gaditani, durante il suo soggiorno nel porto atlantico 158, e riferibile ad un episodio di concorrenza commerciale verificatosi nella seconda metà del III secolo a.C., quando ormai Roma poteva contare su una potente flotta mediterranea e prima della caduta di Cadice nelle sue mani nel 206 a.C. La terza parte della descrizione è il frutto di informazioni più recenti,legate alla figura di Pubi io Licinio Crasso. proconsole dell'Hispania Ulterior tra il 96 e il 93 a.C. 159 • del quale viene elogiata la «Scoperta» delle leggendarie isole. In quest'ultimo caso sembra che la denominazione di Cassiteridi sia applicata a1le isolette situate nell'area del Finisterre ibericoi60, m Strabo, Il. l, 18, C 75 =FII C, 6 Berger = F 75 Dicks = F Il Bianchetti= F 6b Mette.
III, 5. Il, C 175-176. Tutta questa sezione dell'opera di Strabone risente dell'influenza di Posidonio e ne ricalca probabilmente il testo stesso (FGrHist., 87 F 115 = F 26 Theiler, da confrontare con FGrH.ist., 87 F 47 = F 239 Edelstein-Kidd = F 19 Theiler = Strabo, III. 2, 9, C 147. e con FGrH.ist., 87 F 117 = F 89 Theiler = Diod., V, 38, 4-5); si veda in proposito il commento di F. Jacoby. FGrliist., II, C, pp. 21l-212. ISS Cfr. F. Lasserre. Strabon, III, cit., note 6 e 7, p. 96 (p. 203). 1 ~ 6 Se è corretta l'intuizione di F. Lasserre, Srrabon, III, cit., nota 6, p. 96 (p. 203). 15 7 FGrHist., 566 F 55= Schol. Lycophr.• Alex., 1137. m FGrHist .. 87 F 85 = F 217 Edelstein-Kidd = F 26 Theiler = Strabo, III, 5, 8, C 173. 159 Si veda T. R. S. Broughton, The Magistrates ofthe Roman Republic, II. Cleveland, 1952, 1968. pp. 10-15. Non mi pare infatti che possano sussistere dubbi circa il fatto che il Publio Crasso menzionato da Strabone sia il console del 97 a.C., padre del futuro triumviro Marco Licinio Crasso, e non il figlio di quest'ultimo. Publio Licinio Crasso. legato di Cesare in Gallia nel 57 a.C. (cfr. T. R. S. Broughton, The Magistrotes ofthe Roman Republìc, II, cit., p. 204). Per una discussione in proposito, si rimanda a r. Haverfield, s.v. KacraL-rEpi~eç, RE. X, 2, 1919, col. 2331; F. Mtinzer, s. l-: P. Licinius Crassus (61 ), RE, XIII, l, 1926, col. 289; Id., s. v. P. Licinius Crassus (63), RE, XIII, l. 1926, col. 292; F. Lasserre, Slrabon, III, cit., nota 2, p. 97 e nota 3, p. 97 (pp. 203-204). 160 Come nota A. Silbennan, Pomponius Mela, cit., nota 3, p. 81 (p. 281), le Cassiteridi di Strabone, Mela e Plinio devono essere identificate con le isolette allargo della costa iberica, tra Vigo e il capo Finisterre o tra questo e La Coruiia (secondo la tesi già sostenuta da F. Lasserre. Strabon, III, cit., nota 7. p. 96 (p. 203)). Queste erano probabilmente le isole che Polibio aveva tentato di 1s.l
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11 viaggio 01 Ynea suu·uceano
con un chiaro intento politico da parte del potere romano desideroso di fare rientrare all'interno dei propri confini queste isole leggendarie 16 1. La prima informazione è quella che interessa in questa sede. Essa va attentamente analizzata prima di passare ad un confronto con alcune altre descrizioni delle isole occidentali che Strabone. per motivi di organicità del testo e perché segue l'esposizione di Posidonio, riporta di seguito alla trattazione delle regioni atlantiche della Ke:ÀTtx~, nel IV libro. Le isole Cassiteridi si compongono di un gruppo di dieci isole vicine tra loro, a nord della costa degli Artabri, in pieno mare. Solo una di queste è deserta, tutte le altre sono abitate da uomini che portano mantelli neri, coperti fino ai piedi dalle tuniche, con la cintura attorno al petto e passeggiano con il bastone. Costoro assomigliano alle Furie vendicatrici delle tragedie. Vivono per lo più, come i nomadi, dei loro animali. Posseggono miniere di stagno e piombo di cui scambiano i prodotti con i mercanti, assieme a pelli di animali, in cambio di ceramica, sale ed oggetti di bronzo162. Altrove, lo stesso Strabone ribadisce la collocazione delle isole a nord degli Artabri, precisando inoltre che esse si trovano quasi sullo stesso xÀttJ.a della Britanni a 163. Il riferimento alle -tpaytxat Ilotvat sembra sufficiente per attribuire la paternità del passo a Timeo 164 ; poiché egli ha utilizzato Pitea per la descrizione delle regioni occidentali e settentrionali 165. si può supporre ragionevolmente che Pitea sia l'autore di questa osservazione e della identificazione di queste isole con le favolose isole dello stagno. Non a caso, quindi, nel secondo passo di Strabone compare due volte IIpe:-t-tavtx~ in luogo di llpe:-t'tavtx~, ad indicare in Pitea almeno una delle fonti utilizzate1 66 . spacciare per le mitiche C<1ssiteridi sulle quali non era riuscito a raccogliere le informazioni che si aspettava. 161 Numerosi sono i possibili esempi delle deformazioni geografiche e canografiche imposte dal potere romano al fine di avvalorare la tesi del suo controllo sull'ecumene: l'orbis Romanus. Si veda tra l'altro lo spostamento verso sud est delle regioni settenLrionali della Britannia nella Geografia di Tolemeo. che trasse in inganno lo stesso Dion (Aspects politiques, cit., pp. 201-204), che pure fu tra coloro che più approfondirono i legami tra potere e geografia. l62 Stra bo. III. 5. 11. C 175: :\i ÒÈ: Ka.'t'"tTre:piòe:c; òixa. (LE V e: t'l't, xe:l n a. t Ò' Èyyùç CÌÀ À~Àwv, 7tpÒc; apx-rov ci1tò -rou -rwv 'Ap-rci~pwv Àt(LÉvoç 7tEÀciytat· flla. Ò' a.ù-rw\1 EPYJ(LÒç EO"'tt, -ràc; o' (i)., Àa. c; OtKOUO'l \1 av6pwnot !J-E Àa YX Àat l)Ql, 7tOÒ ~p Et c; ÈvÒ EÒUKO't'e:ç 't'OUç Xl 't'W \l(.( ç, È'(;W'l'fl iv o t 7tEpt -rà I'J''!(pva., (LE'!a pa~ÒW\1 r.:e:pt7ta.-:ouvuc;, op,.otot -ra.i:ç -rpaytxatc; llotva.tç ~WO't o' à.m) ~O'l'X'l')flci'twv VOtJ.a.Òtxwç -rò r.:Àiov. :\lÉ-raÀÀa ÒÈ: i'X-ovre:c; xa-rn-rÉpou xa.t (LOÀu~òou xipa.(L0\1 CÌ\I'!t "LOU't'W\1 X(.( l '!W\1 OEp[.Lci't'W\1 OtaÀÀll"L'tOV"rat xai aÀaç xai 'X,aÀXWfla'!a 7tpÒç 't'OÙç ifl m)pouç. 163 II. 5. 15. C 120: Tou-rotç (scii. -roiç TI]ç llup~vr;ç &xpotc;) ÒÈ -ri.r. E'1'7tÈ:pta -r~ç llpe:-r1:a 'Vtx'ijç civ-rixet-rat 7tpÒç apx'!O'I, O(LOtwç o È xat 't'Olç , Ap-rci~potç à V'! LX EL V't a t 7t~Òç apx"t0\1 (.(l h:a-rn-re:pioe:ç xaÀoulu.,at vi)aot ne:Àa-ytat xa-rà -rò npe:-r'!avtxov 1twc; xÀi(La tòpuflE'VaL 164 Un interessante confronto è fornito da Athen. XII, 25, 523b: "I~Y]pe:ç ÒÈ: xai-rot iv -rpaytxaiç 'l''tOÀai:ç xa.t 7tatxtÀatç 7tpatov-re:ç xai 'XYtwat noò~pe:'l't 'X.PWfLEvat oÙÒ~\1 E(L r.:oòt~O\I'tat -rijç 7tpÒç -roùc; no).ÉfJ-ouç pw1-1- Y]ç. Il passo di Ateneo prosegue con l'attribuzione di costumi simili ai Massalioti e con due menzioni di Timeo a proposito di Siri e dei costumi dei suoi abitanti (FGrHist., 566 FF 51-52). Non si può dunque escludere che anche il brano di Ateneo sugli Iberi possa derivare dal Tauromenita, da lui più volte citato nel XII libro (FGrHist .• 566 FF 44-45 e 48-50). Il costume di indossare vesti nere è attribuito da Strabone anche ai Lusitani (III, 3, 7, C 155). 165 Cfr. S. Bianchetti, Plinio e la descrizione dell'Oceano settentrionale, cit., pp. 73-84. Ead., Pitea di Massa/ia, cit., pp. 144-148, 168, 173, 198-200. 166 Sul fallo che llpE't'tcxvtx~ fosse il nome attestato da Pitea per l'isola si vedano: Strabo, II. 5, 8, C 114-115; lV, 2. l. C 190; IV, 3, 3, C 193~ IV. 4, 6, C 198; IV, 5, l. C 199; IV, 5. 3, C 200; IV, 5. 4. C 201; Di od .• V, 22, l. Queste ed altre fonti sono passate in rassegna da G. Croncrt. Memoria Graera
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Una ulteriore testimonianza in questo senso è fornita dalla struttura stessa del passo straboniano, al cui interno è riscontrabile uno schema analitico ben preciso. Innanzitutto le isole Cassiteridi vengono collocate e descritte secondo una prospettiva geografica e topografica: si tratta di un arcipelago formato da dieci isole vicine tra loro e localizzate a settentrione della costa degli Artabri, in alto mare. A quest'insieme di dati utili alla localizzazione fa seguito una descrizione di tipo etnografico della popolazione delle nove isole abitate e dei suoi costumi particolari: gli abitanti vestono e si atteggiano in modo simile alle Furie della tragedia. La descrizione etnografica sfocia poi in un'analisi di tipo economico relativa al modo di vita «nomadico» degli abitanti ed ai prodotti tipici delle isole: metalli e pelli. L'attenzione si sposta infine ai meccanismi dello scambio di questi prodotti con altri che sono apportati dai mercanti, evidenziando in tal modo la funzione emporica ricoperta dalle isole. A questo punto del resoconto si inserisce il secondo passo che svela apparentemente l'identità di questi mercanti; si tratterebbe dei Fenici di Cadice. Se non che, pur cogliendo parzialmente nel giusto. tale rivelazione appartiene ad un nucleo di informazioni ben distinto. Ne è un indizio il tono diverso delle due parti: la prima rivolta a localizzare con precisione le isole, ad informare nei dettagli il lettore e di chiara origine greca per l'approccio investigativo ed interpretativo 167 ; la seconda al contrario enigmatica, che nulla svela della rotta seguita. e di origine punica o più precisamente gaditana. Lo schema analitico-descrittivo risultante dalla prima parte del brano straboniano è il frutto di un metodo di approccio alla realtà che trova precisi paralleli nelle descrizioni del promontorio Belerion e dell'isola lctis in Britannia168, dell'isola dell'ambra nell'oceano settentrionale169, e delle regioni vicine a Thulel7o, risalenti al resoconto piteano. Poiché per quanto riguarda le Cassiteridi, lctis e l'isola dell'ambra si ha a che fare con una mediazione da parte di Timeo 171 , si potrebbe ipotizzare che la presenza di informazioni relativamente abbondanti ed organicamente strutturate dipenda dalla scelta e dalla successiva rielaborazione effettuate dallo storico siceliota all'interno del materiale piteano. La descrizione delle regioni vicine a Thule riportata da Strabone testimonia però del fatto che il resoconto piteano era già organizzato in base a precisi criteri metodologici d· indagine. Tale metodo di approccio alle nuove terre scoperte è riassumibile come segue in alcune fasi essenziali: una prima fase consiste nella localizzazione geografica fondata sui riferimenti topografici, sul computo delle distanze percorse e sui rilevamenti della latitudine delle località oggetto di analisi, aprendo così la strada per una riflessione di natura cartografica; una seconda fase consiste nell'analisi dei costumi locali e ne li' eventuale confronto con costumi simili Herculanensis, cum titulorum Aegypti papyrorum codicum denique testimmziis comparatam proposuit,
Stuttgart, 1903, rist. Hildesheim. 1963, pp. 83-85 ): cfr. ino1tre: Hubner. s. v. Britanni, RE, III. l. 1897. col. 860: F. Gisinger, s.\'. P_wheus, cit., col. 327; C. H. Roseman, Pytheas, cit., p. 55. 167 Tenuto conto dei diversi passaggi fino a Strabone, è facile pensare anche ad una semplificazione dei dati. 1611 Diod., V, 22; Plin., N.H., IV, 104 = F 8f Bianchetti= F l tb Mette. I!W Diod., V, 23, l e 4; Plin .• N.H .• XXXVII, 35-36 = F 15 Bianchetti= F Ila Mette. 110 Strabo, IV, 5, 5. C 201 = F Se Bianchetti= F 6g Mette. 111 Per tctis si vedano: FGrHiJt., 566 F 74 =Pii n., N. H., IV, 104; F 164 = Diod., V, 22. A proposito dell'isola deJI'ambra: F 75a = Plin., N.H., IV, 94; f 75b = Plin .• NH .. XXXVII, 35-36; F 164 = Diod., v. 23. l.
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Il viaggio di Pitea su li 'Oceano
o analoghi diffusi nel mondo greco; segue qundi l'indagine relativa alle risorse economiche ed alle modalità del loro sfruttamento; infine. compare la descrizione dei meccanismi che regolano lo scambio delle risorse locali con prodotti che giungono dali' esterno attraverso le vie mercantili. Proprio l'importanza che sembrano aver rivestito le osservazioni di natura economica e commerciale, nel metodo d'indagine applicato da Pitea nel corso del viaggio, lascia ìntravvedere la possibilità che accanto agli innegabili interessi scientifici esistessero finalità economiche miranti alla raccolta di informazioni sulle regioni dalle quali provenivano lo stagno e 1' ambra, sulla lavorazione di questi prodotti e sui meccanismi che ne regolavano lo scambio ed il commercio. Non può infatti essere solamente un caso che proprio in relazione alle regioni dello stagno e d eli' a mbra si possegga una mole di dati su peri ore a quella re lati va a qualsiasi altra località visitata e descritta da Pitea. Dietro l'esploratore sembrano pertanto celarsi gli interessi dell' emporfa massaliota. Tornando alla descrizione delle isole Cassiteridi, uno degli elementi più interessanti è costituito dal confronto, a prima vista strano e fantasioso, tra la popolazione delle isole e le Furie della tragedia. Che l'immagine delle Furie corrisponda effettivamente a qualche costume o rito diffuso nel mondo celtico, e in particolare presso l'elemento sacerdotale, è però confermato da Tacito. Egli, in un passo fortunatamente più esplicito172, parlando delle operazioni militari condotte da Caio Svetonio Paolina in Britannia nel 61 d.C., durante la rivolta del1'isola, riferisce l'episodio dello scontro avvenuto nell'isola di Mona (l'odierna Anglesey, nel mare d'Irlanda) tra le truppe romane e i Britanni. Lo schieramento nemico si trovava sulla riva, folto di uomini in armi, mentre in mezzo correvano donne che, vestite funereamente come le Furie. con i capelli in disordine, brandivano torce. Attorno, i druidi, lanciando maledizioni con le mani al cielo, stupirono i soldati per l'insolita vista, così che questi si esponevano ai colpi quasi avessero le membra paralizzate, il corpo immobile 173 . Vittime di un equivoco, i Romani non compresero «qu'il ne s'agit pas d'une armée mais de druides (hommes ou femmes, maitres ou élèves) ayant utilisé contre l'armée de Paulinus Svetonìus une magie guerrière conforme aux possibilités du sacerdoce ce l tique» 174. In Pitea, attraverso Timeo, e Tacito, a distanza di quattro secoli, il doppio confronto tra una realtà celtica e l'immagine delle Furie, appartenente alla cultura classica, testimonia del permanere immutato delle tradizioni celtiche e dello spirito con cui i Mediterranei vi si avvicinarono e rapportarono. La testimonianza di Tacito apporta pertanto valore alla notizia straboniana; allo stesso tempo, consente di intravvedervi una corretta descrizione in chiave analogica di alcuni costumi diffusi presso il mondo c el tic o, testimoniando così dell' autopsia
m Anna/es, XIV. 29-30. m Anna/es. XIV, 30: Stabat pro litore diversa acies, densa armis virisque, intercursantibus feminis. quae in modum Furiarum veste ferali. crinibus deiectis faces praeferebant: Druidaeque circum, preces diras sublatis ad caelum manibu.s fundentes, novitare adspectus perculeff.' militem. ut quasi haerentibus membris immobile corpus vulneribus praeberent. Particolarmente interessante e significaùvo è il parallelo ulteriore con il testo di Euripide (Bacch., vv. 303-305): a-rpa:ròv yà~ Èv o1tÀotc; ov'La xlÌ.7tt -r&.haw/ 4>6~oc; ò~e:7t·dn]ae 7tptv ÀDY'X."fiç 6tyEtv./ fJ-av[a U. xai -rou-r' e:a-rt
:ltovuaou r.apa. 174 F. M. Le Roux, Les iles au nord du monde, in Hommages à Albert Grenier, édités par M. Renard, II, coJL «Latomus», LVIII. Bmxelles-Berchem. 1962, pp. 1052-1053 .
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che ne è alla base e dell'attenzione etnografica ed interpretativa di matrice greca rivo l ta a tratti folclorici e cerimoniali tipicamente celtici 175. Dato che Pitea viaggiò realmente lungo le coste atlantiche, visitò e descrisse i luoghi in cui si estraeva e si commerciava lo stagno, può essere interessante tentare di capire quale delle regioni attraversate e delle isole incontrate egli identificò con le Cassiteridi. A questo proposito, occorre però tenere presente che il termine Cassiteridi nell'antichità indicava una realtà generica che sfuggiva ad una vera conoscenza; questa realtà era inoltre in continuo mutamento, nel senso che le fonti la localizzarono in luoghi diversi a seconda di quale delle aree di produzione o di smistamento dello stagno era attiva e conosciuta in quel dato momento 176 . A causa di ciò, solo le indicazioni archeologiche e topografiche, unite a considerazioni di carattere geologico e mineralogico possono supplire all'impossibilità di una critica di tipo filologico e storico. Ricercare o localizzare le isole Cassiteridi è allora totalmente assurdo. «Après Hérodote, les popolations méditerranéennes furent convaincues que r étain, qui transitai t à ce moment aussi par Marseille via les grands axes fluviaux et autres de la Gaule, avait une origine unique (ce qui est faux), celtique (ce qui l'était moins, mème dans le cas de l'Espagne) et insulaire» 177 • Ma «il suffisait aux anciens de savoir qu'un trajet maritime entrait en ligne de compte pour supposer que les gisements fussent ins ulaires» 178 . Solo in questi termini è possibile tentare una storia dello sfruttamento dello stagno occidentale. a partire da quello iberico commerciato dai Tartessii, passando per quello bretone commerciato dagli 'Ucr't'L!J-vtot o Oestrymni, e per quello britannico che transitava per Ictis; ed è altresì possibile localizzare i luoghi. descritti nell'antichità, in cui si praticava l'industria e il commercio dello stagno, senza però cadere nell'errore commesso dagli antichi di identificare qualsiasi regione realmente od apparentemente insulare con le mitiche Cassiteridi. Pertanto, non sono le Cassiteridi in quanto tali ad essere qui oggetto di ricerca, ma le terre che Pitea designò con tale nome in quanto a suo parere presentavano caratteri idonei all'identificazione con le leggendarie isole dello stagno. Vista la precisa collocazione geografica a nord della costa degli Artabri e xa"t"à 't'Ov llpe:-rTavtxov 7twç xÀL!J-CI fornita da Strabone 179 , si è tentati ad identificare le Cassiteridi piteane con le isole Scilly, il piccolo ma numeroso arcipelago allargo del capo Land's End 180 , la propaggine sud-occidentale dell'attuale Cornovaglia. Tuttavia, il contesto nel quale si colloca questa notizia di Strabone è uno dei più emblematici della sua distorta visione delle regioni 175
Del carattere autoptico che conuaddistingueva la ricerca piteana è testimone Polibio (XXXIV. 5, 1-6 Bi.ittner-Wobst = Strabo, II. 4, l, C 104); teste tanto più significativo in quanto valorizza l'opera del Massaliota nel tentativo inverso di denigrarlo. Cfr. S. Bianchetti. Pitea e la scoperta di Thule. «Sileno», XIX, 1993. p. 12. 176 Cfr. R. Dion. Le problème des Cassitirides, cit., pp. 306-314: S. Lewuillon. Polémique et méthode, cit., pp. 242-245 e 249-251. m S. Lewuillon, Polémique et méthode, cit., p. 245. !7ll S. Lewuillon, Polémique et méthode, cit., p. 244. !79 Strabo, II, 5. 15. C 120. 1110 Si vedano, in questo senso: R. Dion, Le problème des Cassitérides, cit., pp. 310-314 .• con ulteriore bibliografia; F. Lasserre, Strabon, III. cit., nota 6, p. 96 (p. 203); E. Renna, Pitea di Marsiglia, cit., p. 33.
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oceaniche dell'Europa. Strabone, infatti, ritiene che a partire dal promontorio degli Artabri le coste dell' lberia e della Celtica siano rivolte prevalentemente verso settentrione e che il lato meridionale della Britannia si trovi a nord di esse, fronteggiando l'immaginario spazio costiero compreso tra i Pirenei e il Reno 181 • In quest'ottica è dunque ovvio che le isole Cassiteritli poste a nord degli Artabri debbano trovarsi all'incirca alla stessa latitudine della Britannia meridionale. La rappresentazione di queste regioni è resa ancora più problematica per la confusione creata da Strabone stesso tra due distinte nozioni di xÀt~a. Si è visto sopra, infatti, che il termine fu probabilmente introdotto da Eudosso a significare l'inclinazione rispetto all'equatore, ovvero la latitudine del luogo di osservazione. Le indagini e i rilevamenti compiuti da Pitea alle latitudini settentrionali contribuirono a modificame il significato in quello di fascia oraria entro la quale il giorno più lungo ha la stessa durata, con uno scarto di non più di mezz'ora 182 • Adottata da Eratostene, tale nozione di clima fu ulteriormente sviluppata da Ipparco nel significato di fascia di latitudine corrispondente ad 1/360 di cerchio, equivalente a 700 stadil 83 • Eratostene, però, aveva formulato anche una diversa definizione, che congiungeva la nozione di xÀt~a. a quella di crxij~a 184 ; si trattava in sostanza di un equivalente delle crcpp ayto e:ç, le ripartizioni dell'ecumene utilizzate dal geografo cirenaico per rappresentare sulla carta le regioni orientali. Strabone riprende in questo passo ed in quello immediatamente successivo quest'ultima definizione 185 , sia pure con fondendo) a in parte con quella ipparchea; non si capirebbe altrimenti perché un unico xÀt~a inteso come fascia oraria o di latitudine possa comprendere l'intera Britannia, che anche per Strabone aveva dimensioni considerevoli. Dunque, qui. xÀt~a indica una vasta regione, una ripartizione dell'ecumene che presenta caratteristiche fisico-ambientali simili. La definizione di llpe:"t'-ravtx6v x),i~a rimanda così esplicitamente a Eratostene e indirettamente a Pitea, poiché questi fu indubbiamente la fonte del Cirenaico sulla Britannia, di cui riferì il nome originario, e perché, in ultima analisi, l'adozione della nuova accezione del termine x.Ài~cx dipese anche dalle ricerche da lui svolte nel corso del viaggio. Ritengo infatti che il motivo per cui Eratostene abbandonò il criterio della suddivisione in cr
18::!
nota 4, p. 97 (pp. 163·164); cfr. anche p. 186, s. l', xÀl!J-CL, per la confusione di Strabone in proposito.
Da Cadice a OÙ~Laa!l-a
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isole poste lungo la costa celtica. Un primo elemento è costituito dal fatto che Pitea riteneva che direttamente a nord dell'Iberi a e sulla stessa linea delle sue estreme propaggini occidentali si trovasse il promontorio degli Ostimni, con le isole vicine, la più lontana delle quali era Ouxisama 186 • La relazione tra le isole Cassiteridi e la costa degli Artabri viene così chiarita alla luce della rotta atlantica intrapresa da Pitea, che in tre giorni lo condusse da Ouxisama o dal Kabaion al Finisterre iberico, e allo stesso tempo ne fornisce una testimonianza ulteriore. Allo stesso modo, si spiega con l'ulteriore rotta verso nord e con le osservazioni astronomiche piteane anc!te il collegamento instaurato dalle fonti tra le Cassiteridi e la Britannia. E pertanto nell'area armoricana o poco più a sud, lungo la costa celtica, giustamente ritenuta a settentrione deli'Iberia, che occorre localizzare le isole che Pitea denominò Cassiteridi. La seconda motivazione nasce invece dalla combinazione di ulteriori dati forniti da un insieme eterogeneo di fonti, fra le quali ancora Strabonc, che presentano col brano esaminato affinità di contesto geografico ed interpretativo. Sempre secondo Strabone 187 , infatti, in prossimità della costa oceanica della Celtica. alla foce della Lo ira, si trovava l'isola abitata dalle donne t\ CZ!J- vi -rczt possedute da Dioniso e votate a propiziarsi il dio con riti mistici ed altre cerimonie sacrc 18 8. Non giungevano mai uomini sull'isola, ma le donne attraversavano il mare per unirsi agli uomini e poi vi facevano ritorno. Ogni anno esse toglievano il tetto del tempio e lo rifacevano lo stesso giorno portando ciascuna il proprio carico. Quella a cui cadeva il carico era smembrata dalle altre che poi portavano le sue membra attorno al tempio con grida e non smettevano finché non cessava la furia. Accadeva sempre che una cadesse e subisse tale sorte. Il brano in questione risale a Posidonio 1119 , ma presenta alcune caratteristiche che inducono ad individuarne l'origine ultima in Pitea. Anche in questo caso è infatti verificabile l'applicazione del metodo d'indagine sopra descritto, pure se apparentemente limitato alle caratteristiche geografiche ed etnografiche; come si vedrà in seguito. tuttavia, il frammento si inscriveva in un più ampio contesto nel quale le attenzioni economiche e commerciali prendevano probabilmente il sopravvento. Fondamentale è comunque l'indiscutibile parallelo riscontrabile tra la descrizione delle Cassiteridi e quella dell'isola delle donne Ncz!J-Vt't'czt; Strabo, I. 4, 5, C 64. IV. 4, 6, c 198: 'E•I ò~ -:-ti) wx.E:avt!J çn')'JVJ d"llat vij'.J'OV (J.tx.oàv où 7tll\IU itEÌ.a:yiav, r::poxE l(J.ÉVl']V -ri]ç è:x~oì, Y.1ç ~ou •\d "("~poç r.o-:-a.!J.ùCi' t:~ix.e:i v È -ra.U":'YJV -:aç -rwv ~a~ w: v IMI!
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Marcian, Peripl. mar. ext., Il, 21. in GGM. I. p. 552: ~lX(J.Vt-ra.t Chrest., 4. 15. in GGM, II, p. 546: Samni'tai. Pro!., Geogr., II, 8, 6 e 8, menziona la popolazione dei ~lX(J.Vt't'a.t, vicino al fiume Loira; ma nel testo compaiono anche i Na.tJ.VYJ'!lXt (II. 8, 8). Cfr. C. MUller, GGM.,II. p. 140; Keune, s. v. ~lX(J.Vt't'a.t (l), RE. I. A2. 1920. coli. 2132-2134: G. de Montauzan, s. v. Namnetae. RE. XVI, 2, 1935, coli. 16712. Secondo F. Lasserre. Strabon. IV, cit., nota 2, p. 163 (pp. 215-216), contro l'opinione corrente. si tratterebbe di una popolazione distinLa da quella dei Namneti. 1H9 FGrHist .• 87 F 56= F 276 Edelstein = F 34 Theiler.
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simili, oltre all'approccio descrittivo, sono infatti il contesto geografico e quello culturale riferibile alle isole iniziatiche del mondo celtico. L'isola delle donne namnete era collocata di fronte alla foce della Loira, ovvero in prossimità di quel porto di Korbilon nel quale aveva sostato Pitea nel corso del viaggio atlantico. Narrando di quest'ultimo episodio, Strabone riferisce che Pitea aveva inventato storie fantastiche sull'antico centro commerciale di Korbilon, posto sulla Loira, fiume che fungeva da confine per i territori dei ITtx.'t'OvEç a sud e dei Ncx(J-Vt't'cxt a nordt90. Queste storie erano note a Strabone per il tramite di Polibio che le aveva confutate - a suo dire! - con la propria indagine rela,tiva alla Britannia ed alle rotte commerciali che la univano a Massalia 191 • E pertanto probabile che le popolazioni menzionate da Strabone comparissero già nelle «Storie favolose» di Pitea relative alla regione della foce della Loira 19 2. Un indizio a favore di questa ipotesi si può appunto cogliere nel succitato passo di Strabone sulle donne namnete, in questo caso attinto da Posidonio ma che potrebbe risalire a Pitea proprio per il carattere fantastico in esso letto da Strabone; il quale di seguito afferma: 't'OU-:'0 o' E't't (J-U6wOÉO''t'Epov d'pYJX.Ev 'Ap't'e:(J-tOwpoc;. Ovvero: Artemidoro ha riferito una storia ancor più fantastica (di quella riferita da Posidonio sulle donne namnete). In realtà il resoconto ha ben poco di fantastico, descrivendo un tipico esempio rituale di sacrificio espiatorio per l'inaugurazione annuale del luogo sacro I93. Quest'ultimo è posto su un'isola di iniziate, da cui il di vieto agli uomini di raggiungere l'isola e l'accoppiamento rituale delle donne con gli uomini rimasti sul continente. La realtà culturale e cultuale locale viene pertanto interpretata solo esteriormente per analogia con i rituali dionisiaci, ma ne rimangono intatti i significati profondi che Pitea comprese 194, a differenza di Strabone. Ne G. de Montauzan. Namnetae. cit., col. 1671. ipotizza anche un originale Namnh'tai. La sopravvivenza dell'etnonimo è oggi attestata dal centro di Nantes,l'antico Portus Namnetum menzionato nella Tabula Peutingeriana, seg. I, 2-3, alla foce della Loira. Cfr. J. Moreau, Supplément, cit., p. 174. 191 IV. 2, l. C 190 = Polyb.. XXXIV. 10,6-7 Bi.ittner-Wobst: 'O oÈ .\dì'YJP f.LE'7a~ù lltx'7ovwv -n: xai ~a(J.\IL'!W\1 Èx~aÀÀEL. npo-rEpov OÈ Kop~tÀwv u7tiJPXP-' È(J.7t0ptov È7t~ '1'0U'7~ '!tlJ 7t0't'i:If.L
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Da Cadice a OùEtcrcitJ-a
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è prova la terminologia impiegata nella descrizione; le donne compiono le 'Te:Àe:'tat, ovvero le iniziazioni misteriche proprie del culto di Dioniso 19 5; dopo aver svolto il sacrificio si agitano gridando Euai, il tipico urlo delle Menadi o
Baccanti 196, in preda al delirio ed alla frenesia, la ÀU~1"Yì caratteristica delle Furie e delle Baccanti !97. Qui si a vverte definitivamente il duplice legame che unisce la descrizione delle Cassiteridi a quella dell'isola delle donne namnete: non solo realtà simili che sono alla base del resoconto -isole iniziatiche! ambiente sacerdotale- ma una medesima interpretazione che si avvale del metro di confronto analogico rappresentato dall'intuizione del profondo significato della tragedia e del culto misterico dionisiacot98. Che tale interpretazione si inserisca appieno nel contesto dell'approccio tipicamente piteano alle realtà incontrate nel corso del viaggio è ulteriormente comprovato qualora si intendano i due frammenti, quello su Korbilon e quello sull'isola delle donne natnnete, cotue facenti parte di un'unico nucleo descrittivo relativo alla regione di Korbilon; nucleo nel quale, accanto ai già rilevati elementi geografici ed etnografici, comparivano infine, e sicuramente in misura rilevante, le informazioni sulle risorse econon1iche, ovvero commerciali, del porto stesso, transito e tramite della rotta dello stagno che univa la Britannia a Massalia. A questi dati allude implicitamente la critica di Polibio. Non è probabilmente un caso, quindi, che nella Periegesi di Dionisio di Alessandria 199 ed in quella di Prisciano2oo, che della prima è una rielaborazione, alla descrizione delle isole, qui al plurale, abitate dalle donne 'AfJ- v't -rcx.t -con la caduta della N iniziale20I - e delle cerimonie ivi compiute faccia seguito la menzione di Thule. Quanto all'interpretazione piteana di alcune realtà locali come realtà iniziatiche e cultuali, altre fonti forniscono alcuni importanti elementi di sostegno. Prime fra tutte Je Argonautiche orfiche, in cui è questione di un'isola di Demetra posta nell'oceano settentrionale e alla quale nessun essere umano può accedere 202 . Gli Argonauti vi giungono nel corso del viaggio che li conduce dal Mar Nero, risalendo il Tanais e seguendo una sua controparte nordica. fino all'oceano settentrionale e quindi alle Colonne d'Eracle e al Mediterraneo, navigando )ungo le coste settentrionali dell'Europa verso occidente ed oltrepassando l'isola di 'Ie:pvtç, che simboleggia nel testo l'insieme delle Isole Britanniche203. Strabone, di seguito al resoconto sulle donne namnete, riferisce a sua Eurìp .. Bacch .• vv. 22; 73; pa.ssim; cfr. W. Burkerl. Ancient M_vstery Cu/ts. Cambridge Mass.London, 1987. Lrad. it., Antichi culti misterici, Roma-Bari, 1989, pp. 14-18. 1'~ 6 Si veda Eurip .• Bacch., vv. 67-68; passim. !97 Eurip., Bacch .. vv. 977-981. Si vedano in particolare i vv. 135-167 e 1125-136, ove sono presenti anche affinità con il passo straboniano relativo alle donne namnete. 198 Sui discussi legami tra Dioniso e la tragedia si veda W. Burkert, ~'i/der Ursprung. Opferritua/ und Mythos bei den Griechen, Berlin, 1990. Lrad. it., Origini selvagge. Sacrificio e mito nella Grecia arcaica, Roma-Bari. 1992, pp. 3-33, con ampia bibliografia. L'interpretazione in chiave dionisiaca e traf?ica del sacrificio espiatorio sembra avvalorare la tesi di quanti vedono appunto nel sacrificio del rrpayoç, il capro espiatorio, l'origine della tragedia . J99 Vv. 570-574. 200 Vv. 585-587. 201 Fenomeno reso quasi sicuro dal fatto che il termine che precede, nel testo di Dionisio, è àyauvwv. 202 Vv. 1189-1202. 203 Vv. !065-1245. Sull'influenza esercitata dal resoconto pìteano nella redazione di fine IV secolo a.C. delle Argonautiche orjiche, per quello che riguarda il tragitto oceanìco degli Argonauti, sì vedano, oltre al mio articolo sopra citato (Una geografia fantastica?, pp. 33-34), S. Bianchetti. Pitea di Massalia, 1"5
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volta dell'esistenza di un'isola, vicino alla Britannia, nella quale si svolgono cerimonie sacre uguali a quelle che si celebrano nel1'isola di Samotracia in onore di Demetra e Core. Ancora una volta ci si trova di fronte a isole iniziatiche abitate da sacerdoti o sacerdotesse. A questo proposito, Pomponio Mela, descrivendo le isole oceani che da Cadice fino a Thule e a Talge nel mac Caspio- da lui ritenuto aperto verso nord 204 - , riporta l'inforn1azione che nell'isola di Sena205, nominata subito dopo le Cassiteridi e posta in Britannico mari, di fronte al territorio abitato dagli Osismi, vi era un oracolo le cui sacerdotesse chiamate Gallizenae, vergini e in numero di nove, possedevano poteri magici che riservavano ai navigatori che si spingevano fin lì appositamente per consultarle206 . Quest'ultima testimonianza può forse offrire ulteriori elementi a favore della qualità delle osservazioni piteane. Il numero delle sacerdotesse deJJ 'isola di Sena è infatti lo stesso delle isole Cassiteridi abitate dai personaggi simili alle Furie tragiche; e se non è noto il numero deJle sacerdotesse namnete 1 è comunque certa l'esistenza di gruppi sacerdotali composti da nove Druidi o sacerdotesse presso il mondo celtico207 • Riguardo alla localizzazione dell'isola delle donne namnete sono state avanzate numerose ipotesi indicanti le isole situate tra l'estuario della Lo ira e la penisola di Quiberon, comprendendo anche Belle-Ile-en-Mer2o~. Fra queste isole ve n'è una, poco più a sud della foce della Loira, che presenta alcune caratteristiche particolari: l'isola di Noirmoutier. Innanzitutto, è una di quelle isole che la bassa marea unisce aHa terraferma e verso le qua1i Pitea ebbe un particolare interesse2°9; in secondo luogo, in età tardo antica essa era abitata da monaci che vi fondarono un monastero~ 10 , dal quale ha origine il nome moderno: noir-
cit., pp. 74-76, e F. Vian, Le périp!e océanique des Argonautes tlans /es Argmwtique.\· oq>hiques. in Peuples et pays mytlziques, Actes du V" Colloque du Centre de Recherches M.vthologiques de l' Unh•ersité de Paris X (Chantilly. 18-20 septembre /986), réunis par F. Jouan et B. Deforge. Paris. 1988. pp. 177186, che identit-ica l" isola di Demetra con Ouessant (p. 182). ~o.t C h or.. IIL 38. 2ns Probabilmente l'attuale Sei n. 20h Chor.. III. 47-48. zn7 Si veda L. Fleuriot. Essai d'interprétation anal_vtique, in M. Lejeune. L. Fkuriot. Le plomh magique du Lar::.ac <'f !es sorcières gauloises. Parìs, 1985. pp. 60-61. 2oti Rimando. in breve. a F. Lasserre, Strabon. IV. cit .. nota 2. p. 163 (pp. 215-216). segnalando solo la singolare ipotesi sostenuta da H E. A. Pìneau. Lo. d)te arlantique. cit., p. 60, il quale localizza l'isola nell'attuale collinetta di Paimbceuf. presso la foce della Loira. sulla riva sinistra. in base allo studio delle variazioni del livello del mare, che nell'epoca di Pitea doveva essere più alto rispetto all'auuale di circa due metri. In base al confronto tra i dati di Avicno e quelli di epoca romana. l'autore giunge alla conclusione che il livello del mare doveva essere nel primo caso più alto di due o tre metri rispetto ali" attuale, mentre in età romana coincideva con l'attuale. Ma secondo L. Pape, w ci vi las des Osismes, cit., p. 46. almeno per quello che riguarda l' Armorica, il livello marino si sarebbe innalzato di circa due o tre metri dali" antichità ad oggi. A favore di un generale innalza mento del livello marino si può indicare la segnalazione. e J'individuazione di alcuni dolmen sommersi nei pressi dell'isola di Noirmoutier, che nell'untichità doveva essere considerevolmente più estesa di quanto lo sia attualmente: cfr. R. Milliat, Un doltf!ell submergé près de Noi rmoutier, «Archeologia», 40. 1971. pp. 76-77. 2-0Q E il caso di Ictis e delle altre isole poste tra la Britannia e il continente (Diod .. V. 22. :!-3): cfr. anche Mela. Chor., III. 55, su alcune isole dalle caratteristiche simili poste di fronte alla Sarmazia. Un elemento piuttosto interessante. a questo proposito, è fornito dalla stessa descrizione straboniana dell'isola delle donne namnete . definita où mivu 7te:ÀayLa. 210 Il fondatore del monastero fu San Filiberto. attorno al676-677; cfr. G. Devailly. s. v. Noinnoutier, in Lexikon des Mittelalters, VI, Mi.inchen-Zi.irich, 1993. col. 1216; J.-C. Pauli n, s. t•. Filibertus. in Lexikon des Mittelalters, IV, Munchen-Zi.irich, 1989, coli. 447~448: J. Mauclèrc, L"fle de Noirmoutier. illuslrations de R. Bergevin. La Rochelle, 1927. pp. 4-8.
Da Cadice a Où~tcraf.La
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moiìtier2 11 , monastero nero. Ci si può chiedere se non sia da intravvedere in questo fatto una continuità con tradizioni celtiche precedenti che facevano dell' isola un luogo sacro il cui accesso era consentito ai soli sacerdoti o sacerdotesse, e se inoltre non vi sia anche una singolare sopravvivenza di alcuni precisi costumi, come si potrebbe ritenere in base al confronto tra i lunghi abiti neri dei monaci e le lunghe vesti nere degli abitanti delle Cassiteridi. In ogni caso, in età alto-medioevale (VII-IX secolo), Noirmoutier ebbe un ruolo rilevante come porto insulare nel traffico commerciale tra le Isole Britanniche e le coste della Francia meridionale e della Spagna settentrionale212. Una delle merci principali coinvolte in tale traffico era il sale, prodotto anche a Noirmoutier, in alcune saline a nord dell'isola 213 , ma soprattutto proveniente dalle grandi paludi saline localizzate sulla vicina costa e che sono le più settentrionali dell'Atlantico. Noirmoutier rappresentò anche in epoca più tarda- XIIIXVI secolo- uno dei più importanti luoghi di smistamento del sale in direzione delle Isole Britanniche e dell'Europa settentrionale fino a Danzica, Konigsberg, Riga e Reval, nel mar Baltico2 1 ~. Flotte imponenti, composte da oltre cento navi di grandi dimensioni, salpavano ogni anno da questi porti per rifornirsi di sale nella baia a sud dell'estuario della Loira, di fronte a Noirmoutier, o in altre località poco più meridionali, e il sale che esse riportavano indietro era non a caso denominato «sale della Baia»: Baisalz o Boisalz215 . A questo commercio e alla presenza abbondante di sale si lega certamente l'esistenza, ancora in tempi recenti, all'estremità nord-occidentale dell'isola, di un porto attrezzato per la pesca delle sardine:!l6_ La via atlantica del sale in età medioevale e moderna ricalca sorprendentemente buona parte del tragitto piteano, così come da me ricostruito, da Cadice fino all'estuario della Vistola, con significative diramazioni in corrispondenza della Britannia e della Scandinavia. Ciò conferma, quanto meno, l'esistenza di condizioni favorevoli alla navigazione lungo queste precise rotte. Ma la menzione straboniana del commercio del sale da parte degli abitanti delle Cassiteridi, risalente a Pitea, fa anche supporre che questa attività si svolgesse lungo le coste della celtica e sulle rotte atlantiche già nell'antichità; il che avrebbe fornito a Pitea l'occasione di raccogliere ulteriori e preziose informazioni sulle rotte seguite dai commercianti. Ed è quanto confermano gli indizi archeologici. Il commercio del sale individuato da Pitea trova infatti precisi riscontri nelle tracce dell'esistenza di una vasta produzione di sale basata sulla tecnica del briquetage 217 , a partire almeno dall'VIII secolo a.C. e fino ai primi 211
Cfr. P.-E. Littré, Dictimmaire de la ltmgue française. t. 3, édition nouvelle, Monte-Carlo. 1964, p. 4033. Nel XIII secolo il nome dell'isola era Nermoster, nel XVII secolo Nermontier; cfr. J. Moreau, Supplément, cit., p. 179. In età alto-medioevale il nome dell'isola era Herium o Herus (Ennent., Vit. Filib., 21 ), confrontabile con un fiume omonimo collocato da Tolemeo a nord della Loira (Geogr .• II. 8). 212
H. LOwe, Die "'Vac:etae insolae« und die Elllstehungs:eit der Kosmographie de5 Aethicus /ster,
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11 viaggio di Pitea sull'Oceano
secoli della nostra era, diffusa in diverse località lungo la costa celtica, dall'Aquitania all' Annorica e alla Belgica21s. L'insieme dei resoconti, in cui l'isola delle donne namnete e le isole Cassiteridi abitate dalle stesse Furie vendicatrici si collocano perfettamente, mostra chiaramente che ci si trova di fronte all'interpretazione greca di riti e miti celtici; interpretazione che muove da concezioni misteriche e ortiche. Orfeo infatti è legato a Samotracia e ai suoi culti misterici per l'esito della sua missione con gli Argonauti 219 . Tale interpretazione risente delle suggestioni impresse, nell'animo del primo esploratore greco spintosi ai remoti confini occidentali, dall'incontro con i riti e le tradizioni di popoli lontani e sostanzialmente estranei alla cultura greca: riti e miti che vengono reinterpretati utilizzando il patrimonio culturale proprio dello stesso esploratore 220 . Questi non è altri che Pitea; e le isole di cui descrive i costumi sono qu~lle disseminate lungo la costa celtica, dalla regione della Loira a Ouessant. E fra queste che egli colloca le Cassiteridi- luoghi di smistamento più che di produzione dello stagno221 -,guidato in ciò dal mito stesso e dalla mitizzazione occorsa nei confronti di quel primo resoconto su queste terre che ancora oggi si ritrova nel poemetto di Avieno e che egli doveva certo conoscere. II raffronto con altre notizie relative alle isole nordiche, reali o immaginarie. che la tradizione antica ha conservato, dimostra che, «ayant recueilli quelques informations sur ces iles mystérieuses, les Grecs», e il mondo classico in genere, «ont parfois brutalement transposé le mythe dans la géographie descriptive»222. Il mito celtico e, più genericamente, nordico è entrato così nella cultura classica per il tramite dei suoi esploratori, e ciò ha dato luogo a quella fusione di realtà ed immaginario attuata su più livelli cui già ho accennato trattando della tradizione romanzesca o comunque fantastica legata a Pitea. Su questo fenomeno tornerò ancora trattando di Thule. Le fonti antiche collocarono nei mari ad occidente e settentrione della Ke:À:ttx~ numerose isole dalle straordinarie caratteristiche, poiché il lontano occidente rimase nell'antichità, anche dopo e nonostante Pitea, luogo di confine al di sopra del focolare ne ha permesso la conservazione. Più complessa appare l'individuazione di bacini nei quali, già nell'antichità, il sale era prodotto per sola evaporazione solare. :!18 Cfr. M. Prevost, La Val de Loire dans l'Antìquité, cit., pp. 92-93; E. Will. Le sei des Morins et des Ménapiens, in Hommages d A/ben Grenier, cit., pp. 1649-1657. 2 19 Diod., V, 48, 4- 49, 6, testimonia il legame che unisce Giasone (che a Samotracia sposa CibeleDemetra; unione da cui nasce Kopu~ac;) ed Orfeo ai misteri di Samotracia. Essi. in quanto iniziati ai misteri. ebbero successo in tutte le IT'Tpania~ intraprese. Il legame tra Orfeo e Samotracia è ancora testimoniato da Diod .. V, 64. 4. Per una visione più complessa della figura di Orfeo si veda G. Colli. La Sapienza greca, l, Milano, l977, pp. 31-43; 117-289; 389-424. 22o P. Fabre, Les Grecs et la connaissance de I'Oc:cident, cit .. pp. 215-358, ha dimostrato l'importanza del mito nell'interpretazione della realtà occidentale. Esso, anche quando originariamente legato ad altro contesto, venne riutilizzato per giustificare quei fenomeni che altrimenti si sarebbero rivelati inspiegabili all'uomo greco. Cerimonie o culti panicolari, e tipicamente celtici. furono in questo caso associati a corrispondenti manifestazioni greche, con cui condividevano evidentemente alcune caratteristiche. Se in determinati casi furono utilizzati confronti con i culti misterici e con l'orfismo. particolarmente diffuso sul finire del IV secolo a.C., in altre circostanze si confusero le isole nordiche dell'immaginario celtico, allo stesso tempo reali e fantastiche, con le altrettanto reali e mitiche isole occidentali dell'immaginario greco. O, più generalmente. si sovrappose alla reale conoscenza dell'occidente una precedente geografia fantastica, nata da più scarse informazioni, infinnandone così la portata. 2 1 ~ Come si vedrà nel capitolo seguente. infatti, la vera e propria origine dello stagno sarà indagata da Pitea nel corso de1la successiva tappa del viaggio. presso il promontorio Belerion in Britannia. 122 F. M. Le Roux. Les druides. Paris, 1961. p. 145.
Da Cadice a OùEtaci{J-et
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tra il giorno e la notte, la vita e la morte, residenza degli dei e dei defunti. La confusione che gli antichi realizzarono tra occidente e settentrione contribuì ad alimentare il carattere straordinario di quelle regioni di confine~ ai bordi di un oceano avvolgente coi suoi flutti l'ecumene. Tale visione sopravvisse alresplorazione delle regioni occidentali ed al progressivo affluire di conoscenze nel mondo mediterraneo; queste ebbero anzi talvolta l'effetto paradossale di rivitalizzare con nuovi elementi i miti e le leggende più arcaiche. Infatti il contatto con le popolazioni celtiche fu accompagnato da una operazione di interpretazione in chiave analogica dei loro rituali e costumi~ delle diverse concezioni religiose e filosofiche, che prese spunto dal patrimonio rituale e mitico greco.
v LE ISOLE BRITANNICHE
Pitea, dunque. sembra avere compiuto nun1erose indagini nella regione armoricana, non solo raccogliendo notizie sulle popolazioni che: vi vivevano. sulle loro attività. i loro costumi e le loro tradizioni, ma anche effettuando alcune osservazionj astronomiche, quali la durata del giorno solstiziale, l' altezza del sole al solstizio inverna]e il fenomeno della lun1inosità notturna all' orizzonte durante il periodo estivo e la comparsa di determinate costellazioni. Inoltre, egli rilevò la particolare conformazione geografica della regione, protesa verso occidente eoni suoi numerosi promontori e le isole circostanti~ fornendone le dimensioni e segnalandone la posizione non solo in rapporto alla massa continentale, ma soprattutto rispetto ad una linea occidentale ideale che in seguito verrà assunta da Eratostene come meridiano di riferimento per la costruzione della carta dell'ecumene. Un modo di proeedere complesso che, come si è visto, trova una sorprendente conferma a proposito delle isole Cassiteridi o. meglio. di quelle isole che Pitea aveva identificato con le leggendarie isole dello stagno. Collocate sul meridiano occidentale. le Cassiteridi piteane non erano altro che il gruppo di isole che si trovavano ad occidente delr Armorica.. fra cui oùçto·a(J-a- probabilmente luoghi deputati al commercio dello stagno, più che aree di produzione dello stesso - , mentre la distanza di tre giorni di navigazione tra quest' isola e la terraferma era computata a partire dalla costa iberica nordoccidentale e a questo tragitto faceva riferimento la rotta x.a'tà 'tÒV WKEaVOV alternativa a quella costiera. Rapportando la posizione di Où~tiJ"cX{J-a e del Ka~atov a quella del Finisterre iberico, Pitea delimitò la rientranza costituita dal golfo di Guascogna sia nel senso della longitudine sia in quello della latitudine, apportando così un contributo decisivo alla conoscenza e atla rappresentazione delle regioni occidentali dell'Europa. Ma, mentre Eratostene e lpparco ne utilizzarono ampiamente i dati, Strabone. che è la fonte principale in proposito, negò ad ,essi ogni valore, generando per di piC1 una confusione determinante per la comprensione degli stessi. Egli fu spinto a ciò dalla polemica nei confronti del Massaliota, attizzata indubbiamente dali ' atteggiamento di energico rifiuto opposto da Polibio e dall' adozione di un diverso modello di rappresentazione, anch'esso polibiano, dì quelle che egli riteneva essere le regioni settentrionali dell'Europa, ma che in realtà, come Pitea aveva giustamente osservato, ne componevano ancora la parte occidentale. 1
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
Nella rappresentazione di Polibio e Strabone, dall'angolo nord-occidentale dell'Iberia, corrispondente al capo Finisterre-promontorio Niptov. la conformazione dell'Europa veniva ad assumere un andamento verso est o est nord est; la costa oceanica si trovava così allineata, almeno inizialmente, con il paraJlelo Celtica-Boristene, mentre quei promontori celtici che Pitea aveva segnalato a nord dell'lberia venivano collocati ad est, non sullo stesso meridiano ma sullo stesso parallelo. Nel conseguente totale appiattimento del1e regioni nord-occidentali dell'Europa riscontrabile in Strabone, le isole Cassiteridi descritte da Pitea venivano a confondersi con le iso1ette iberiche più tardi scoperte da Publio Licinio Crasso, e non si può escludere che anche in questo la rappresentazione geografica si adeguasse o rispondesse comunque a interessi di natura politica. dato il valore propagandistico che poteva avere per Roma ]a proclamata scoperta delle lontane e favolose isole dello stagno. Solo con Mela e Plinio venne riconosciuta l'effettiva ampiezza della penisola armoricana, ma occorrerà attendere a ncora un se co lo e l'opera di To lemeo. i n un'epoca neJJ a quale r occidente era ormai interamente romano, perché la rappresentazione del golfo di Guascogna e dell' Armorica ritorni ad adeguarsi più coerentemente alla realtà, mentre un diverso destino incontrarono le isole Cassiteridi, che rimasero definitivamente legate alla costa iberica l. A ulteriore dimostrazione dell'attenzione con la quale si mosse Pìtea in queste regioni, dell'importanza che egli attribuì al rilievo della loro confonnazione e a testimonianza dell'assunzione delle sue osservazioni da parte di alcuni, almeno, dei suoi commentatori, si può inoltre osservare che la rotta oceanica e Oùçtcrap.a. sembrano essere nuovamente implicate nell'affermazione di Diodoro secondo cui il promontorio B€Àipwv, corrispondente all'odierno Land's End. la propaggine sud-occidentale della Cornovaglia. distava quattro giorni di navigazione dal continente2. Tale notizia è fornita senza un esplicito richiamo a Pitea. ma, come si vedrà in seguito, vi sono pochi dubbi su] fatto che gran parte delle informazioni di Diodoro sulla Brhannia risalgano a Pitea per il tramite di Timeo o dì Eratostene e che, pertanto, anche in questo caso la distanza di quattro giorni faccia allusione allo stesso punto di riferimento da cui si calcolava in tre giorni la distanza di Oùçtcra.p.a. e corrisponda a quella tra il ll€ÀÉ.ptov e la costa nord-occidentale dell'Iberìa3. Si può quindi supporre, in base a questo sistema di riferimento per la localizzazione del promontorio, che anche il Belerion si trovasse su quella linea occidentale dell'Europa disegnata letteralmente dai promontori iberici e celtici. Dali' Armorìca. di cui aveva rilevato la particolare sporgenza verso occidente, e dalle isole ad essa vicine, la navigazione piteana si spinse infatti fino alle isole, ancora più nordiche, che l'antico perìplo confluito in Avieno indicava con i nomi delle popolazioni che vi vivevano, gli Hierni e gli Albioni-+. Mela, Clwr., IIJ. 47: Plin., N.H .• IV. 119. Diod .. V, 21, 3. Da segnalare che nel già menzionato scolio 96 alle Gesta Hammaburgensis di Adamo di Brema. i Vichinghi impiegavano un giorno di navigazione per compiere il tragitto da Prol (oggi Prawle Poìnt, fra Dartmoulh e Plymouth, la parte più meridionale del Devon, nel sud della Britannia) alla punta di St. Mathieu ìn Bretagna, da dove, in tre giorni e tre notti. raggiungevano la costa iberica settentrionale nei pressi di San lago di Compostella: cfr. C. Jullian, Pythéa.ç et /es Vikings, cit., p. 127. che sottolinea giustamente r esatta corrispondenza di tale tragitto con i dati relativi al percorso piteano. 4 Avienus, Ora mar .• vv. 111-112. Ai versi l08-l09, Avieno afferma comunque che un tempo la prima di queste. ovvero l'Irlanda, era c hiarn ara i n sulo Sacra. probabi 1mente tradll cendo l'espressi o ne l
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Isole Britanniche
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Che Pitea sia giunto in Britannia ed abbia fornito sull'isola numerose informazioni è esplicitamente affermato da Strabone, il quale, come si è più volte osservato, aveva fatto proprie le accuse mosse da Polibio ad Eratostene, colpevole di avere dato credito ai resoconti menzogneri di Pitea relativi alle regioni occidentali e settentrionali dell'Europa, comprendendo fra queste anche la Britannia5• Un contesto ben fertile, dunque, per quanto riguarda la questione piteana, quello delle accuse di mendacia rivolte a Pitea e delle corrispondenti critiche mosse da Polibio, Artemidoro e Strabone a coloro che invece avevano prestato fede all'esploratore massaliota; tanto che ad esso risale il maggior numero di testimonianze su Pitea. Così, infatti, Strabone ricorda che Pitea aveva fornito la misura di 20.000 stadi per la lunghezza della Britannia ed aveva collocato il promontorio KO:v't'tov, corrispondente al capo North Foreland nell' odierno Kent, a qualche giorno di navigazione dalla Celtica. Dati che, a dire di Strabone, erano evidentemente falsi, poiché la Britannia era lunga grosso modo quanto la costa celtica di fronte alla quale si stendeva, ovvero non più di 5.000 stadi 6 , mentre il Kantion e le foci del Reno sulla costa antistante erano reciprocamente visibili. Sempre secondo Strabone. Pitea mentiva di nuovo allorché riferiva di Thule. isola nordica distante sei giorni di navigazione dalla Britannia, e la sua testimonianza era significativamente equiparata, anche se per essere smentita, a quella di coloro che avevano una personale conoscenza della Britannia 7, poiché Pitea stesso aveva affermato di avere visitato ogni luogo accessibile della Britannias. Pitea fu così il primo greco, di cui si abbia notizia, a giungere in quelle terre. Le notizie riferite da Avieno e riconducibili ad un arcaico periplo massaliota non sembrano infatti derivare da una conoscenza diretta dei luoghi, quale è attestata per Pitea, ma da informazioni raccolte forse a Tartesso presso i commercianti e i marinai che si avventuravano lungo le rotte atlantiche 9 ; né la già citata notizia pliniana su Midacrito può avere alcun valore, anche qualora si identifichi con la Britannia ]'isola Cassiteride da lui eventualmente raggiunta. Sempre stando alle informazioni di Avieno, Pitea sarebbe stato preceduto su queste rotte dal cartaginese Imilcone, ma l'ipotesi che costui si sia spinto fino a Ierne, seguendo greca ·r~p~ v-~.,.oc;. che sembra non solo una traslitterazione del nome originario dell'isola (lplc; in Diod .• V. 31, 3: 'IÉ:pn; in S1rabo. IV, 5, 4, C 201 J ma soprattutto una traduzione fedele del significato che essa rivestiva nel contesto culturale celtico. in quanto isola sacra per gli iniziati e i sacerdoti. ~ Polyb., XXXIV, 5, 8 BUttner-Wobst = Strabo, Il, 4, 2, C l 04 = F III 8, l Berger = F 21 Bianchetti = F 7a Mette~ cfr. anche Strabo, III, 4, 4, C 157-158 = F 22 Bianchetti = F 4 Mette. 6 La cifra di 5.000 stadi si riferisce alla costa Celtica dai Pirenei al Reno, mentre per la Britannia Strabone riporta altrove la misura di 4.300- 4.400 stadi (IV, 5. l. C 199). Occorre notare, ancora una volta, che nell'ouica tli Strabone la costa celtica era rivolta verso il settentrione e l'intero territorio deJia Cehica era compreso tra la catena dei Pirenei e il corso del fiume Reno posizionati parallelamente, con andamento da sud a nord: anzi. tra i due elementi geografici Strabone riscontrava una convergenza in prossimità dell'oceano {Il. 5. 28. C 128; IV. l. l. C 177; IV, 5. l. C 199). In tal modo, i capi meridionali della Britannia si trovavano ad essere prospicenti alla costa celtica: il Kantion di fronte al Reno, il Belerion di fronte ai Pirenei (IV. 5, l. C 199). Fondandosi su tale concezione, in un ulteriore contesto, dopo avere menzionato la Senna e la. Loira, Strabone affermava che dai fiumi della Celtica la distanza da superare per giungere in Britannia era di 320 stadi (IV, 3, 4, C 193); la stessa distanza, in seguito, era riferita più correttamente al tragitto da "hwv all'isola (IV, 5, 2, C 199), e derivava dall'esperienza di Cesare (cfr. B. G., IV, 23. 2), mediata, a quanto pare, da Asinio Pollione, poiché Strabone non conosceva il De bello gallico (cfr. il commento di F. Lasserre, Strabmr, IV, cit.. nota 2, p. 165). 7 Strabo, l, 4, 2-3, C 63 = FF 7a e 8a Bianchetti = F 6a Mette. x F 7b Bianchetti= F 7a Mette= Strabo. II. 4. l. C 104 = Polyb.• XXXIV, 5, 2 Biittner-Wobst. 9 Cfr. A. Schuhen, A\'ienus, cit., pp. 18~19; A. Peretti, Il Periplo di Sci/ace, cit.. in part. pp. 27·33.
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Il viaggio di Pitea su li 'Oceano
una rottad'altura 10 , non è suffragata dal breve resoconto che si trova ripetuto per tre volte e con versi quasi identici nell'Ora maritima••. Sembra infatti più probabile che i termini della navigazione dell'ammiraglio punico, durata quattro mesi, siano da vedere nella regione oestrimnica12. Ad ogni modo, egli ne fu lo «scopritore scientifico» 13 , titolo che ben si addice a colui che per primo compì effettive ricerche, di natura geografica, astronomica, etnografica ed economica sulla Britannia. E infatti nel caso della Britannia e, più in generale. di quelle che egli identificò come Isole Britanniche che l'insieme dei dati piteani conservatisi concorre a delineare più chiaramente il suo metodo d'indagine, applicato in più campi del sapere. Le sue informazioni furono in seguito utilizzate da Timeo, Eratostene e Ipparco, e contribuirono ad inserire queste isole all'interno dei nuovi orizzonti ecumenici ellenistici. Tra le altre cose, egli annotò che il nome dell'isola principale era llpt::'t''t'CJ. vta 14 o flpE't''t'CJ. vtx~ 15 e per estensione designò l'arcipelago di cui faceva parte, con 'Ii:pvlj e altre isole minori, col nome di ITpE't''t'avtxcxt vijaot 16 o IlpE't''t'avtOEç v~aot 17 • Lo si può affermare con sicurezza, perché questo è il nome de[[' isola trasmesso dalle fonti più antiche, mentre la variante BpE't''t'avtaBpE't''t'CJ.VLK~ venne adottata solo successivamente1 8 , quasi sicuramente a partire dalretà cesarianat9. Il nome, probabilmente, aveva un'origine etnica, così come Albion nella fonte di Avieno, e si può supporre che tra l'età alla quale risalgono 10
J.-J. Dupuich. Note sur l 'Ora mariti11UJ, ci t.. pp. 225-231. 117-129; 380-389; 408-413. 12M. Cary ed E. H. Wannington, The Anciem E:rplorers, London, 1929, trad. frane. Les e.tploraleilrs de fantiquité, Paris. 1932, p. 50, si limitano ad osservare che in quattro mesi Imilcone avrebbe avuto il tempo di spingersi fino alla Britannia. anche perché le risorse metallifere della Cornovaglia potevano essere uno stimolo in tal senso; appare invece destituita di ogni fondamento l'ipotesi avanzata da C. Jullian, Himilcon et Pythéas, , I. 1893, pp. 504-524; F. Gisinger. s. v. Pythem, cit.. col. 327. 14 Diod., V. 22. l; Marcian., Peripl. mar. ext., II. 27, in GGM, I, pp. 553-554. 15 Diod., V, 21. l; Strabo. Il, 5, 8, C 114-115; IV. 2. l, C 190: IV, 3, 3, C 193: IV. 4, 6. C 198; IV. 5. l. C 199; IV, 5, 4, C 201; inoltre IV, 5, 3-4, C 200-201, in cui gli abitanti della Britannia vengono chiamati Ope:-::-ra \IO L 16 Marcian., Perip/. mar. ext .• II. 41, in GGM, I. p. 560, ove raccoglie sotto tale denominazione le due isole principali: 1) TE xa),t>UiJ-É:\11] '.--\ì..~tW\1 xcx~ ~ 'JouEpvtcx; utilizzando quindi i toponimi più antichi: cfr. anche Marcian., Peripl. mar. ext .• l, Prooem., in GGM, I, p. 516, e l, 8. in GGM, l, p. 521. dove, tuttavia, sulle lezioni tràdite (rispettivamente: BpE-r-::av~xai"ç e Hpe:-r-:-cxvLxwv) è intervenuta la correzione del Mtiller fondata sulla testimonianza fornita da Stefano di Bizanzio {s.\', BpE-r-ricx; si veda il commento di C. Mtiller. GGM. l, p. 516). 17 Strabo. II. 5. 8, C 114-115. lt~ Per i primi due libri dell'opera di Strab
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Isole Britanniche
le infonnazioni di Avieno e l'epoca nella quale operò Pitea si fosse verificata una variazione nella componente etnica dell'isola o di alcune sue regioni. Se si possono fare solamente ipotesi sull'appartenenza etnica degli Albioni, non vi sono dubbi sul fatto che i Ilp~-t'tll.voi fossero una popolazione celtica2°. A dire di Strabone, infatti, Ipparco fidandosi di Pitea aveva sostenuto che delle popolazioni celtiche vivevano in regioni distanti 6.300 stadi a nord di Massalia 21 • Che Pitea intendesse le popolazioni della Britannia è implicitamente attestato dallo stesso Strabone, il quale ne rigetta le affermazioni sostenendo che non doveva trattarsi di Celti ma di Britanni 22 , fornendo così la duplice conferma della propria miopia al riguardo e, al contrario, della costanza delle attenzioni che l'esploratore massaliota rivolse alle popolazioni che risiedevano nelle regioni da lui visitate. A differenza di Strabone, Ipparco aveva compreso chiaramente quanto Pitea aveva inteso affermare, poiché nella sua ricostruzione dell'ecumene le regioni in questione si trovavano circa 2.500 stadi a nord della costa settentrionale della Celtica e di quello stesso parallelo Celtica-Boristene sul quale egli, sulla base delle informazioni di Pitea, aveva posto anche la Britannia; evidentemente intendendone le regioni meridionali.
V. l - La forma dell'isola La distanza di 20.000 stadi menzionata da Strabone corrispondeva nell'ottica piteana a quella del lato più lungo dell'isola, il cui perimetro era stato calcolato da Pitea in oltre 40.000 stadi:!J. Informazione, quest'ultima, che si rivela particolarmente preziosa, poiché ad essa si connettono alcune notizie fomite da altri autori, grazie alle quali è possibile individuare nell'esploratore massaliota la fonte originaria, anche se attraverso mediazioni ulteriori, non solo di un particolare schema rappresentativo della Britannia, ma anche di numerose infonnazioni sulla natura dell'isola e dei suoi abitanti. Così, ad esempio, Scimno di Chio, autore vissuto tra la seconda metà del III e la prima metà del li secolo a.C.2-t, in un frammento a lui attribuito riportava per la Britanni a un perimetro di 40.000 stadi:! 5, dipendendo con tutta evidenza da una fonte intermedia comune a quella di Polibio e probabilmente individuabile in Eratostene26. criticato dallo storico di Megalopoli per essere stato indotto in errore anche in questo caso dalle menzogne di Pitea27 • Nello stesso contesto, oltre alla misura del perimetro dell'isola, Scimno riferiva alcune interessanti notizie relative al tipo di coltivazioni e di vegetazione: non vi si trovavano infatti i frutti con nocciolo, come le olive, né quelli con gli acini, come l'uva, né altri simili a questi. Riferimenti di questo genere, che derivavano indubbiamente dalle osservazioni piteane, testimoniano ancora una volta dell'attenzione che 20 Secondo A. Schulten, A\•ienus, cit., p. 36, gli Albioni erano Liguri, mentre i Ilpe;·rravoi erano una popolazione celtica. 21 Strabo, II, l, 18, C 75 = F 75 Dicks = F li Bianchetti = F 6b Mette. 22 Strabo, Il, l, 18, C 75. 23 F 7b Bianchetti = F 7a Mette = Strabo, Il, 4, l, C 104 = Polyb., XXXIV, 5, 2 Blittner-Wobst = F III B, 126 Berger. 24 F. G i si nger, s.". Skymnos (l). RE, III. A I. 1927. col. 661. 25 F 9 Gisinger, s. v. Sk)'mnos, cit., coL 670 = Apoll., Histor. mirab., 15. U. Si veda in proposito il commento del Gisinger, s. v. Skymnos, cit., coli. 671-672. ~ 7 Polyb.• XXXIV, 5. l= Strabo, D, 4, l, C 104 F 2 Berger.
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l'esploratore massaliota rivolse alle caratteristiche naturali e produttive delle località da lui visitate. Alle cifre menzionate da Strabone e Scimno si avvicina quella di 4.875 miglia per il perimetro dell'isola, equivalenti a 39.000 stadi, che Plinio attribuisce a Pitea e Isidoro28 . Ma le più importanti testimonianze in proposito sono fomite da Diodoro, in un contesto la cui dipendenza indiretta da Pitea, per il tramite di Timeo o Eratostene, è avvalorata dal confronto con le affermazioni di Strabone. Più preciso di quest'ultimo. Diodoro affermava che l'isola aveva una fanna triangolare ( ~[J.a -rpiywvov ). molto simile alla Sicilia, ma i suoi lati non erano tra loro uguali. Essa si estendeva obliquamente lungo l'Europa; il promontorio più vicino al continente era chiamato Kciv-rtov e distava dalla terraferma circa 100 stadi, nel luogo in cui il mare sboccava (nell'oceano). 11 secondo promontorio. chiamato lle:ÀÉptov, distava dal continente quattro giorni di navigazione, mentre l'ultimo promontorio, denominato ''Opxcxv29, si protendeva verso il mare aperto. Il lato più breve. quello che si estendeva lungo l 'Europa, misurava 7.500 stadi; il secondo lato, che andava dallo stretto al vertice del triangolo, era lungo 15.000 stadi; il terzo. infine. 20.000 stadi. così che, il perimetro complessivo dell'isola misurava 42.500 stadi 30 • E evidente che Diodoro fornisce con maggiore dovizia di particolari quei dati ai quali Strabone accenna semplicemente, ritenendoli infondati e frutto della fantasia di Pitea. Non a caso, il passo di Diodoro e la successiva descrizione dei modi di vita e dei costumi degli abitanti dell'isola sono stati ricondotti ali' autorità di Timeo3 1• o a quella di Eratostene3z. Infatti. le distanze fra i tre verticipromontori dell'isola rispondono al tipico modo di procedere di Eratostene nelrutilizzo delle informazioni piteane che si è riscontrato finora. con la probabile trasformazione in stadi delle distanze computate in giorni di viaggio. e anche lo schema geometrico risultante si adatta appieno alla rappresentazione ecumenica propria di Eratostene. A questo proposito. infatti, mi sembra che lo O''X, ~(J-CX 'tptywvov dell'isola rispecchi esattamente quanto indicato al capitolo precedente a proposito delle ripartizioni dell'ecumene nella Geografia di Eratostene, ovvero l'utilizzo di una definizione areale che riuniva xÀtfJ.CX e
crx
211 N.H .. IV. 102 = F 7c Biancheni = F l Jb Mette. Si tratta di lsidoro di Caracc fra i cui frammenti è compresa la testimonianza pliniana (FGrHist .. 781 FIl). come conferma la sua ulteriore menzione. accanto a Pitea, tra le fonti utilizzate da Plinio a proposito della Britannia (N. H., L 4). 29 Secondo K. MOIIenhoff. Deutsche Alterfllm.\·kwzde. J, nota*, p. 377. la forma "Opx.a.v sarebbe quella originaria, in base al confronto con la forma tardo-latina Ornmia. con l'anglosassone Orcaflie e con l'antico norvegese Orkne.vjar. Dello stesso parere. relativamente al testo diodoreo, si mostra G. Macdonald, s. v. Orcas, RE. XVIII. l. 1939. col. 882. Più di recente. A. L. F. Rivet e C. Smith, The Piacenome... o.f Roman Britain. cit .. pp. 433-434. hanno optato per la forma Orcas. corrispondente a quella tràdita da Tolemeo (Geogr .. Il. 3. 1: Ta.pouE.ÒUf.L -~ xa.i 'Opxàç
essi sospettano che originariamente il nome non designasse una precisa località. ma la regione della Britannia più vicina alle isole Orcadi (The PltJ.ce-names of Rorruur Britain. cit., p. 115). Mi pare comunque probabile, per quanto riguarda la rappresentazione piteana. che il nome designasse originariamente un luogo ben preciso: l'attuale Duncansby Head. vero e proprio vertice nord-orientale deiJa Scozia. proteso verso le antistanti isole Orcadi. ~o Diod., V, 21. 3-4. ~~ FGrHist .• 566 F 164. con il relativo commento dello Jacoby. L'ipotesi della dipendenza da Timeo era stata formulata in precedenza dal Miillenhoff, Deu/sche Alterrumskunde. l. cit.. pp. 469-473. 32 F III B. 127 Berger. con commento e discussione della citata ipotesi alternativa del Mtillenhoff (Eratosthenes. cit .. pp. 372-380).
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crx·ru.J.a e che almeno nella sua formulazione iniziale sembra essere debitrice delle indagini piteane, essendo utilizzata solo per le regioni occidentali dell'ecumene. Diversamente, le notizie sulla popolazione dell'isola, sulle quali mi soffermerò tra breve, corrispondono piuttosto a quelli che sembrano essere stati gli interessi di Timeo nella fruizione dei dati fomiti da Pitea33. La scelta tra le due ipotesi non è pertanto praticabile con certezza, anche perché essa non è affatto necessaria, nell'evidenza del fatto che le notizie di Diodoro -filtrate da Timeo o da Eratostene- derivano indubbiamente dalresperienza e dalla narrazione dell'esploratore mas saliota. A differenti concezioni rimandano invece Je informazioni riferite da Cesare. per il quale r isola aveva una forma triangolare. con un lato posto di fronte alla Gallia~ un angolo di questo lato, verso il Cantium, era rivolto ad oriente, mentre l'altro. più basso. guardava a meridione. Questo lato era lungo circa 500 miglia. Il secondo lato era rivolto verso la Spagna e l'occidente; da questa parte si trovava l'Hibernia. le cui dimensioni erano la metà di quelle della Britannia e che distava da questa tanto quanto la Britannia stessa dalla Gallia. La lunghezza di questo lato era di 700 miglia. Il terzo lato era rivolto verso settentrione e nessuna terra si trovava di fronte ad esso. ma una sua parte guardava in particolare verso la Germania. Questo lato misurava 800 miglia, così che il perimetro totale dell'isola risultava essere di 2.000 miglia34 . Nella narrazione cesariana è riscontrabile, dunque. una rappresentazione radicalmente diversa dell'isola per quanto riguarda le dimensioni e la posizione rispetto al continente, ma non mancano echi di una sottaciuta tradizione che a Pitea quanto meno si riallacciava indirettamente. A proposito delresistenza di numerose isole minori nei pressi della Britannia. Cesare affermava infatti che, secondo alcuni. in queste isole all'epoca del solstizio invernale la notte durava trenta giorni consecutivi3\ mostrando così di a vere sentore d i un certo tipo d'in d agi ne, su Il a straordinaria durata del giorno e della notte alle latitudini settentrionali, che fu proprio di Pitea e i cui risultati già da tempo erano parzialmente confluiti nelle raccolte di a7ttcr't'a e mirabìlia. Ulteriore indizio di reminescenze piteane, nello stesso passo. è dato dal1a natura triquetra dell'isola36 • che segue la rappresentazione comune a tutte le fonti. fino a Plinio compreso3 7 • e la cui paternità è da attribuire ancora una volta a Pitea. Anche secondo Strabone la Dritannia aveva una forma triangolare. ma. a differenza di quanto affermato da Cesare. il suo lato più lungo era quello che si estendeva di fronte alla costa Celtica. rispetto alla quale non era né più lungo né più corto. Le due lunghezze erano calcolate in 4.300 o 4.400 stadi ciascuna: la costa ce1tica, dalle foci del Reno ai capi settentrionali dei Pirenei. in Aquitania; la costa dell'isola, dal Kantion, che si trovava di fronte alle foci del Reno e che ne era il punto più orientale, fino al promontorio occidentale, che si trovava di fronte all'Aquitania e ai Pirenei. Questa era la misura più corta attribuita alla 3.~ Il caso della descrizione delle isole Cassiteridi ne è un esempio. per ultro confermuto, come si vedrà in seguito. da altre testìrnonianze sulle terre dello stagno e dell'ambra. J.t Caes .. B.G .. V, 13. -'5 B.G .. V. 13, 3. 36 B.G .. V. 13. l. _ ~7 Si vedano: Diod., V. 21. 3: Ai)L··r, yap ~0 "'X r,J.la:n ~p i ywvo~ où-:ra 7tetpa 7t À -r;-:r(wç -r'fì ~tx~ÀLq:: Strabo. IV. 5, l. C 199: Mela, Chor .. IIL 50: iterum se in diversos angulos cuneaTTriquetra el Siciliae maxime similis. Plinio ne definisce la forma triangolare implicitamente, sostenendo che essa fronteggia Germania. Gallìa e Spagna (N.H .. IV, 102).
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distanza tra i Pirenei e il Reno, mentre la più lunga era calcolata in 5.000 stadi. Ma, sempre secondo Strabone, era riconoscibile una certa convergenza nella disposizione parallela del fiume rispetto alla catena n1ontuosa; entrambi gli elementi infatti finivano per curvare l'uno verso l'altro in corrispondenza delle loro terminazioni oceaniche3s. Strabone, che non fornisce alcun dato relativo agli altri due lati dell'isola, parrebbe avere improntato la propria sommaria ricostruzione a Posidonio, forse fonte comune a lui e a Cesare39, ed il filosofo di Apamea a sua volta doveva avere fatto ricorso all'opera di Artemidoro4o, anche qui evidentemente coinvolto in un· accesa polemica contro quei dati piteani che Eratostene aveva accolto nella propria opera. La rappresentazione della penisola iberica ad occidente della Celtica41 , con il conseguente parallelismo tra la catena dd Pirenei e il corso del Reno. che in fondo costituiva la causa fondamentale dell'errato sistema di proiezione della Britannia rispetto all'Iberia e alla Gern1ania, sembra poi derivare dalle concezioni di Polibio, il quale delimitava la massa dell'Europa tra il fiume Tanais e il fiume Nap~wv 4 2~ due istmi più o meno immaginari proiettati verso il settentrione sconosciuto e l'oceano estemo 43 . Elaborando tale proiezione, Strabone e Cesare finirono per trascurare l'estensione verso nord dell'isola cbe, viceversa, e non senza notevoli implicazioni e calcoli di natura politica44 , veniva in tal modo rappresentata e compresa all'interno di un vasto arco costituito dalle coste settentrionali dell'Europa. La concezione piteana della Britannia, tuttavia, si rivela persistente ancora in età imperiale, nelle opere di Pomponio Mela e di Plinio. Mela. infatti, pure non riportando alcuna misura dell'isola, se mbra avvicinarsi ali o schema piteano delineato in Strabone e Diodoro allorché ne descrive la fonna, con il Kantion a formare un angolo ottuso in direzione della foce del Reno 45, e pone l'Irlanda a nord, oltre la Britannia46. Quanto a Plinio. come si è visto, il richiamo a Pitea è esplicito e. anche se si accompagna alla citazione della più recente opera di Agrippa. non si limita alla sola isola principale ma concerne altre isole che facevano parte dell'arcipelago, fra le quali spicca il nome piteano di Thule-n. Simili considerazioni sono forse possibili anche per quanto riguarda l'opera di Tacito. Egli affermava che la Britannia era l'isola più grande di cui i Romani avessero notizia e che, dal punto di vista geografico ed astronomico (spatio ac caelo ), si estendeva ad oriente in direzione della Germania e ad occidente in direzione della Spagna, mentre a meridione poteva essere intravista anche dai Galli. A settentrione, invece, non essendovi alcuna terra di fronte, era battuta dal 38 Strabo, IV. 5, l. C 199. La cifra di 5.000 stadi è riportata da Strabone in altri due contesti: L 4, 3, C 63: II. 5. 28, C 128. 39 La misura di 500 miglia per il lato meridonale dell'isola. fornita da Cesare. corrisponde a 4.000 stadi e sembra una approssimazione di quei 4.300 o 4.400 stadi ai quali fa riferimento Strabone: il che, appunto, fa pensare ad una fonte comune. Non mancano. inoltre altri punti di contatto nelle descrizioni dell'isola fornite dai due autori: Caes., B. G., V. 12-14: Strabo, IV, 5, 2, C 199-200. Si veda in proposito il commento di F. Lasserre, Strabon, IV. cit., nota 3, p. 165. 4 u Così F. Lasserre, Strabon, IV. cit., nota 4, p. 164 (p. 216), e nota l, p. 165. 41 Cfr. Stra bo, III, l, 3, C 137. 4 2 Polyb., III, 37, 8; III, 38. 2: cfr. anche III. 37, 9. 4 3 Cfr. R. Dion, A.rpect.~ po/itiques, cit .. pp. 223-230. 44 R. Dion, Aspects po/itiques. eit., pp. 247-260. 45 Chor .. Ili, 50. 46
Chor., III. 53: Super Britanniam /uuema esi.
47
N. H., IV, l 02-104.
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vasto mare aperto48. Accanto a questo riecheggiamento della rappresentazione cesariana è però evidente in Tacito l'assunzione di nuove informazioni in seguito alla conquista ormai consolidata di gran parte dell'isola. Egli, infatti, commentando le opinioni di Livio e Fabio Rustico, secondo i quali la Britannia avrebbe avuto la forma di un rombo o di una scure, sosteneva che questa in effetti era la forma del paese, se si escludeva la Caledonia, ma che a quanti si fossero spinti fino a queste estreme regioni sarebbe apparso evidente che l'isola si assottigliava a forma di cuneo. La flotta romana infatti aveva circumnavigato le coste di questo mare recentemente scoperto ed aveva confermato che la Britannia era un'isola, raggiungendo tra l'altro le Orcadi ed avvistando persino l'isola di Thule-'9. Il riferimento a Thule, avvistata nel corso della spedizione navale condotta da Agricola, non appare però isolato e la stessa presunzione relativa alla dimostrazione dell'insularità della Britannia sembra rivelare una qualche reminiscenza del racconto piteano. Ma vi sono ulteriori elementi. In particolare, Tacito espone in un breve capitolo alcune interessanti considerazioni circa i peculiari aspetti astronomici e climatici d eU' isola. Secondo lo storico latino, nonostante l'inclemente frequenza delle pioggie e delle nebbie, il clima dell'isola non era eccessivamente rigido; la lunghezza dei giorni era maggiore rispetto a quella dei paesi mediterranei (evidentemente nel periodo estivo). la notte era luminosa e nell'estrema regione della Britannia era così breve che era possibile distinguere la fine e l'inizio del giorno solo grazie ad un breve crepuscolo. Addirittura, affermavano (i Britanni?) che se non vi erano nubi, di notte si poteva scorgere la luce del sole che non tramontava né sorgeva ma transitava all'orizzonte. Poco oltre, egli sostiene infine che la terra era feconda e produceva frutti, ad esclusione di ulivi e viti e di quelli adatti a climi più caldi5°. Quest'ultima considerazione sembra rip~tere esattamente quanto affermato da Scimno di Chio nel II secolo a.c.s1. E legittimo chiedersi se si tratti di una semplice coincidenza o se invece Tacito non sia a sua volta influenzato, come Scimno, dal resoconto piteano. Quest'ultima possibilità sembrerebbe trovare una conferma nelle osservazioni astronomiche riportate dallo storico. Il fenomeno della luminosità notturna in Britannia, per altro accentuato forse a causa della sua straordinarietà. è infatti sottolineato anche da Strabone, Plinio, Gemino e Cleomede, i quali menzionano esplicitamente Pitea come loro fonte ultima, accostando le osservazioni sulla durata del giorno in Britannia a quelle relative all'isola di Thule 51 . Tutto Agricola, l O, 2. Agricola, IO. 3-6. La spedizione avvenne su ordine di Agricola (cfr. Tac., Agricola, 38, 5-7). nell'83 d.C., ma già nell'estate dell'anno precedente una coorte di Usipì che si era ribellata ed impossessata di una flotta composta dì tre liburne aveva compiuto il periplo delle coste britanniche. apparentemente da est a ovest e dunque in senso inverso rispetto a quello della spedizione voluta da Agricola. Oltre che da Tacito (Agricola. 28). l'episodio è narrato anche da Cassio Dionc (LVI, 20). Sulla rappresentazione della Britanni a in Tacito sì veda: M. Gorrichon, La Bretagne dans la« Vie d'Agricola» de Tacite, in Littérature gréco-romaine et géographie historique, cit., in part. pp. 191-194. Per la ricostruzione dei movimenti della flotta dì Agricola e di quella degli Usipi si veda A. L. F. Rivet, C. Smith, The Place-names of Roman Britain, cit., fig. 6, p. 122. so Tac., Agricola. 12. 5-9. 51 F 9 Gisinger. s. v. Skymnos, cit., col. 670 = Apoll., Histor. mirab., 15. s2 Stra bo, Il, l, 18, C7 5 = F l l Bianchetti = F 6b Mette; Pii n., N. H .• II. 186 = F 9a Bianchetti = F 13a Mette, e IV, 104 = F 8f Bianchetti= F llb Mette; Gemin., Elem. astr., VI, 8-9 = F 13a Bianchetti = F 9 a Mette; Cleom.. Ca e/e stia, I. 4, 194-231 = F 12a Bianchetti = F 14 Mette. Su questi passi si tornerà in seguito. 48
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dunque lascia supporre che anche Tacito derivi alcune sue informazioni sulla Britannia dal resoconto piteano, la cui intluenza sembra essere stata avvertita ancora in età imperiale, quando ormai la Britannia era entrata a far parte dell' orbis Romanus. Il riferimento a Pitea e alle sue indagini, per quanto mai esplicito, sen1bra poi riaffiorare nell'opera di Tacito in altre occasioni, sulle quali si avrà modo di tornare La traccia più antica dell'idea della forma triangolare della Britannìa. in base al confronto con la Sicilia, si riscontra nell'opera I Iept 'ì:'7te:p~opéwv di Ecateo di Abdera, composta come si è visto attorno al 3 J 5 a. C .. la cui testimonianza consente non solo di attribuire a Pitea la prima formulazione di tale •>, e vi si tratteneva ballando e suonando tutte le notti dal1 'equinozio di primavera sino al sorgere delle Pleiadi. I sovrani della città e i responsabili del recinto sacro erano detti Bope:a6e:ç. perché discendevano da Bopéaç. e si trasmettevano il potere per discendenza5~. Il fiume menzionato da Ecateo compare anche in un passo di Plinio nel quale sono descritte le regioni settentrionali d eli' Asia, poste su li· oceano. a partire dal cantine con l'Europa e progredendo verso oriente. Dopo il popolo degli lperborei. che secondo alcuni sarebbe da ritenere europeo, Plinio afferma che il primo luogo noto è il promonlOrio celtico denominato Lytharmis, cui fa seguito il fiume Carambucis 55 . La dipendenza da Ecateo è evidente- coniugandosi qui le testimonianze di Stefano e Diodoro sul fiume in questione e sulla costa antistante r isola- ed è confermata dal fatto che Ecateo è espressamente citato altrove 53 St 8 yz .• Et/m .. s.v. · E).içow.: 'EÀi~r.Ha. \1-f)tjoç • f7tEp~opÉ:wv. oùx È:Àaa-tJwv ~Lx EÀio.:ç, ùr.:i:p r.o"":"Cl!J. o t) Kapa!J-(:hJxa. o i VY)'.n ti -rat 1-:.apctfA~U x a~ à nò Tou 7tO-r"Cl!J. o t). ç 'Ex a-ro.: [oç 'A~o·fìptn-;ç; s. J' . , Kafa!J-~uxat: KapctfA~UJ
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II, 47 = FGrHist .• 264 F 7. Plin .. NH .. Vl. 34: Ab extremo aquilone ad initium orientis aestivi Scythae sunt; ultra eos ultraque aqui/onis initia Hyperboreos aliqui posuere. pluribus in Europa dictos. Primum inde nosdtur 54 55
promunturium Celticae Lytharmis,flu\'ltts Carambuci.s. ubi /assala cum siderum vi Ripaeorum morztium deftciunt iuga. ibique Arimphaeos quosdam accepimus. haut dissimilem. Hiperboreis gentem.
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da Pl,inio come testimone a proposito delle regioni settentrionali delJ'ecumene56. La stupefacente menzione di un prom_o ntorio celtico ad oriente dei monti Ripei e oltre gH Sci ti, come si vedrà anche in seguito. si spiega proprio alla luce di una commistione tra riferimenti orientali e riferimenti occidentali. tra Celti e lperborei, insita già nella fonte utilizzata da Plìnio. Questo dunque. nella sintesi delle poche testimonianze supersJiti. è il resoconto sull'isola deg)j lperborei narrato da Ecateo di Abdera 57 • E chiaro che, accanto al dato di più antiche tradizioni sul leggendario popolo degli lperborei , Ecateo aveva usufruito deUe più recenti informazioni sull'esistenza di un'isola nell'oceano settentrionale dalla conformazione simile a quella della Sicilia; isola che è giocoforza riconoscere nella Britannia. pochi anni prima scoperta da Piteas~. Al Massaliota risalgono non solo il raffronto con la triangolare Sicilia e la collocazione xarra -ràç &px'touç, ma anche l'indicazione dei modi ospitali usati dagli indigeni verso gli stranieri , di cui si trova una eco in un altro brano di Diodoro59 , e si può supporre che facesse riferimento alla sua esperienza anche l'indicazione della frequentazione delJ'isola da parte dei Greci. A conferma della validità del confronto tra la Britannia piteana e l'isola degli Iperborei di Ecateo si deve poi notare che Pitea aveva indubbiamente indicato l'origine celtica dei Britanni.60. e che l ' identificazione tra Celti e Iperborei. forse più antica01 • era stata ribadita da Eraclide Pontico. allievo di Platone e Aristotele e
st. Plin .. N.H .• IV. 94 = FGrHist .. 264 F 14. Le te ~;timoniant.c delr opera di Ecateo. per quanto riguarda gli lperborei. sono raccolte dallo Jacoby. FGrHi.'it., 264 F 7-14. Oltre ai brani già citati. si wda. in particolare. Straho. VII. 3, 6. C 299 = FGrHi.w.. 264 F 8. che ricorda la menzione da parte di Ecateo di una itOÌ, tç Ktp.[J-e:ptç. Poco prima. lo stesso Strabone aveva ~1cconmnato Pitea agli scrittori di storie sugli lpcrborei
~9
V. 22. l.
Si veda Straho. Il. l. J8. C 75. in cui il geografo afferma che lpparco (F 15 Dicks). fidandosi di Pitca (F li Bianchetti = F 6b Me tte). a veva supposlO <:he
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dunque contemporaneo di Pitea 62 , in un contesto famoso per la menzione di Roma quale 7tOÀtç 'EÀÀ YJVtç63. Per Ecateo. l'equivalenza Britanni-lperborei era il semplice frutto de li' applicazione in campo etnografico del sillogismo aristotelico. La dipendenza di Ecateo da Pitea è d'altra parte implicita nella testimonianza pliniana riguardante il nome Amalcius o Amalchius che l" Abderita attribuiva all'oceano settentrionale e che nella lingua delle popolazioni (scitiche) locali significava congelato 64 • Si trattava con tutta evidenza di quello stesso mare concretum a nonnullis Cronium appellatur che secondo Pitea si incontrava ad un giorno di navigazione a nord di Thule65 , la 7tE:7tYJyutcx 6ciÀa"t'"t'a di Strabone66 . Plinio, riprendendo probabilmente da una compilazione operata da Filemone, la fonte più recente menzionata in questo contesto67, miscelava le informazioni di differenti autori: Timeo. Ecateo, Senofonte di Lampsaco ed infine Pitea; il quale, in ultima analisi, era il testimone da cui dipendevano gli autori menzionati da Plinio e, perciò, la narrazione dello stesso naturalista. Lo si può arguire dal confronto con altri passi più espliciti 68 , ed anche dalla struttura espositiva adottata da Plinio, che ricalca l'affermazione piteana con la quale veniva riassunto il viaggio ]ungo le coste oceaniche dell'Europa attraverso l'elencazione dei suoi temini estremi: à1tò rcxòdpwv Ewç Tcxvci'iooç69 • Plinio iniziava infatti la descrizione delle regioni esterne dell'Europa panendo dall' oceano settentrionale, posto oltre i monti Ripei, per giungere fino a Cadice. ripercorrendo così a ritroso l'itinerario, ideale e reale ad un tempo, del Massaliota70 • La successiva menzione di Timeo nel testo pliniano consente anche di precisare il punto di partenza di questa descrizione, riconoscibile nella foce nordica del Tanais o del suo corrispettivo settentrionale; poiché Timeo, utilizzando i dati piteani, aveva elaborato una particolare versione del ritorno degli Argonauti. Proveniendo dal Ponto, gli Argonauti avrebbero risalito il corso del Tanais fino
n:2 Per la cronologia. piuttosto incerta. di Eraclide. si veda il commento di F. Wehrli (Di e Schule des Aristvreles. cit., VII. Herak/eides Pontikos. Basei-Stuttgart, 1969~. p. 59). che lo pone tra il 388 (-373) e il339 a.C. ca. H. Gottschalk. Heraclides of Pontus. Oxford. 1980. pp. 4 e 8. lo ritiene nato dopo il 388. ma non più tardi del 385 a.C. 63 F 102 Wehrli = Plut., Cam .. 22, 3. Eraclide, fra l'altro. doveva avere qualche interesse panicolare per i viaggi atlantici. poiché Posidonio. prima di esporre il resoconto dei viaggi di Eudosso di Cizico, lo aveva criticato perché in uno dei suoi Dialoghi aveva fatto affermare ad un mago giunto presso Gelone di avere compiuto il periplo della Libia (FGrHist., 87 F 28 = F 49 Edelstein-Kidd = F 13 Theiler = Strabo, II, 3, 3, C 98 = F 69 Wehrli, e Strabo, Il, 3, 5. C 100 = F 70 Wehrli). Il dialogo in questione, secondo G. Aujac (Strabon, Il, cit., nota 3, p. 61 (p. 145). parrebbe essere lo Zoroastro
=
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alle sue sorgenti e poi trascinato la nave sulla terraferma tino a raggiungere un tìume che scorreva verso l'oceano~ di qui essi avrebbero proseguito da nord verso ovest tenendo la terraferma a sinistra fino a Cadice e al .Mectiterraneo 71 • La testimonianza fornita da Diodoro di questa versione nordica deJ perc.orso degli Argonauti è supportala. dal confronto con un frammeJlto attribuito a Scimno di Chio 72 , e trova ulteriore riscontro in una versione più tarda, le cosiddette .Argonautiche orfiche, nelle quali si specifica che prima di giungere all'oceano gli Argonauti attraversarono le valli Ripee 73. evidente rimando ai più noti monti Ripei oltre i quali si riteneva che vivessero gli Iperborei74 . Sempre a Pitea risalivano indubbiamente le informazioni relative alla costa celtica antistante 1' isola Elissoia, pure con una ulteriore commistione di tradizioni precedenti e di riferimenti piteani riguardanti regioni distinte dalla Britannia75 . Con il riferimento a.11a Celtica, Ecateo intendeva le regioni nordoccidentali dell'Europa. con una indetenninat:a estensione verso est76, e l'immaginario greco collocava gli lperborei generalmente a settentrione delle popolazioni che vivevano nelle steppe eurasiatiche, in uno spazio impreciso e indefinito a nord del Mar Nero17 • Le stesse Argonautiche orfiche li situavano presso la foce nordica del Tanais. o del suo corrispondente nordico! vicino ai ,monti Ripei. ai quali gli Iperborei sono sempre collegati, e all'oceano Scitico78. Una consonanza, dunque, pressoché completa con la narrazione pliniana e l'inserzione da Ecateo del mare Amalcium. A fronte di questi dati, si può pensare che Ecateo, riprendendo la narrazione piteana~ di sponda seguito da Plinio. abbia più o meno intenzionalmente trasposto verso oriente. cioè verso le presunte sedi iperboree. alcuni elementi che originariamente appartenevano alla descrizione di regioni più occidentali, come la Britannia e la Celtica settentrionale. anche a causa della sopravvenuta identificazione fra Celti e lperborei. In effetti. la menzione del promontorio celtico Lytlzarmis, presso il quale si trovavano il fiume Carambucis-l(apa~J-puxa e la popolaz-ione omonima. sembra spostare ad occidente la .l oca] izzazione de li' isola Elissoia, dim.ost.rando che Ecateo aveva generalmente compreso tutto lo spazio settentrionale nella definizione iperborea. Di chiara origine celtica, l'etnonimo Kcxpa!J-~UXal risulta composto da cara (amico) e ambis (fiume, corso d'acqua).
71 72
FGrHist .. 566 F 85 = Diod .. IV, 56. 3. F 5 Gisinger, .u~ Skymnos. ci t.. coli. 666-66 7 = Schol. ApoiL Rhod.. ArK .. IV. 284.
Ps. Orph .. Arg .• vv. 1079-1082. Cfr. Strabo. XI. 6. 2. C 507~ St. Byz., Et/m .•.\'.\~ 'f7ttp(~opetm. Lo stesso Plinio. nel brano sopra citato è testimone di questa tradizione (N.H.• VI. 34). 7S Oltre alle informazioni sulla Br.itannia. Ecateo aveva utilizzato per la sua isola degli lpcrborci anche elem~nti tratti dalla descrizione piteana di Tbule e delle regioni vicìne alla zona artica: sì veda in proposito iJ mio an.icolo Unct glwgra.fia.famasrica ?. ci t.. pp. 34-35, al quale rimando anche per i legami tra le versioni del ritorno occanico degli Argonauti sopra ricordate e per la dipendenza di tale variante da Pitea Cpp. 33-34). D'altra parte. Pitea riteneva che Thule facesse parte dell'arcipelago britannico. essendone l'iso1a più settentrionale (F 8c :Bianchetti= F 6c Mette. = Strabo, Il. 5, 8. C 114). 76 Così K. Miillenhot1'. Deutsc:he Altertumskwu/e. l. cit., pp. 423-424, ripreso anche da F. Jacoby. ll<'kataios (4). cit., col. 2756. L'idea dell'estensione della Celtica fino ai contini dell'Asia ricompare in Plutarco (Marius, Il, 6, 411 d). secondo cui alcuni autori affermavano che essa si estendeva tino alla palude Meotide (c dunque al Tanais che vi sfocia). Cfr. R. Dion, Pythéas explorateur, cit., p. 216. 71 Cfr. Herod .. IV. 13~ IV. 32-36. 7K Cfr. anche Plìn .. N. H.• IV. 88-91. in cui si af(erma che gli Iperborei vivevano oltre i monti Ripei. dove il giorno e la notte duravano entrambi sei mesi. e si ricorda il loro legame panicolare con Apollo. sulla falsariga di Erodoto. 73 74
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e letteralmente indica il «popolo che abita presso il fiume». Si tratterebbe dunque di una popolazione stanziata lungo uno dei grandi fiumi della Celtica, da confrontare eventualmente con gli Ambiani, insediati presso la Somme. Ad occidente della Senna era invece insediata la popolazione dei Lixovii19, il cui nome potrebbe non essere privo di legami con quello dell'antistante isola Elissoia 80 • Anche questo toponimo infatti risulta essere di origine celtica, derivando da e !ix, termine che indica l'alce, e da oia, nel significato di isolaBI. Allo stesso modo, i Lixovii non sarebbero altro che il «popolo de li' alce», evidentemente l'animale totemico da essi venerato originariamente. Nel resoconto piteano è probabile che il nome del <'(popolo delJ 'alce>> non ricorresse in questo contesto celtico o, quanto meno. non solo in questo. La radice indo-germanica *elk si ritrova infatti nella popolazione degli Hellusii, menzionata da Tacito nelle estreme regioni nord-orientali del1' Europa, accanto agli Oxiones, «popolo dell'orso»s 2 • E poiché queste popolazioni compaiono dopo il capitolo dedicato all'ambra e alle popolazioni che vivevano nei pressi del mare pigrum83- che è il corrispettivo del mare concretum84, la 7té':7t"t)"(Uta e&.Àa:trta piteana85 - e nello stesso contesto è presente un riferimento alle storie favolose che si raccontavano su queste regioni e i popoli che vi vivevano. vi è quanto meno la possibilità che Tacito abbia desunto tali informazioni dall'opera di Pitea86. In sostanza, dunque, Ecateo avrebbe utilizzato Ja descrizione piteana della Britannia, sovrapponendo però al nome dell'isola quello di una popolazione o di una regione menzionata anch'essa da Pitea ma forse più orientale e in più stretta consonanza con 1' originaria collocazione degli Iperborei. Nella testimonianza di Ecateo è particolarmente significativo il riferimento al ciclo dì Metone, l'astronmno che aveva dato vita ad una importante riforma del calendario ateniese nel 432 a.C. 87, ideando un regolare ciclo intercalare di 19 anni per correlare il mese lunare con l'anno so1are 88 , in collaborazione con
Caes .. B.G., III. 9, 6; 11, 4; 17. 2; 29. 3. Queste corrispondenze toponomastiche sono individuate da W. Sieglin. Emdecktmg.I·Reschichte \'On Englaml. ci t.. pp. 859-860. Quanto al nome del promontorio Lytlrarmis. egli vi trova alcuni confronti con il nome di un vi1laggio belga, Lethernaum, e con il nome attribuito dai Britanni alla costa celtica, Litavia. per il quale però non fornisce alcuna indicazione delle fonti utilizzate. R. Hennig. Di e Anfiinge des kulturellen zmd Handelsverkehn, cil., p. 30, pure senza indicazioni ulteriori, riporta il nome Litaria in luogo di Litavia. 81 Si veda B. Luiselli. Storia culmralt!, cit., p. 124. Va segnalato che secondo B. Luiselli. l'isola descritta da Ecateo non sarebbe la Britannia ma l'altra isola settentrionale di cui aveva narrato Pitea. Basilia, che egli identifica con la Scandinavia (pp. 123-125). 112 Tac., Germania, 46, 6: per l'etimologia rimando a T. Pekkanen, The Hellusii and the Oxiones of Tac. Ge m1. 46, 4,. «Arctos», XVII. 1983, p. .54. liJ Tac., Germania, 45, 1-8. !14 Plin., N.H., XXXVII, 35 = F 15 Bianchetti = F l la Mette. !!~ F Sa Bianchetti = F 6a Mette= Strabo, I. 4, 2, C 63. sn Cfr. in questo senso T. Pekkanen, The ethnic Orìgin oj tlle JouÀocnro,ooc. «Arctos)), suppl. l, Helsinki, 196S. pp. 33-49: Id .. The Hellu.sii and the Oxiones. cit., pp. 52-53. 7 M Si vedano: Diod., Xll, 36; Gem., E/cm. astr .. B. 50; Ptol., Synt. math .• fii. l. HK Cfr. J. Oppert, /.'année de Méton, «REO)), 16, 190J, pp. 5-17: Kubitschek, s.v. Meton (2), RE, XV, 2, 1932, coli. 145S-1466; B. L. van der Waerden, Greek Astronomica/ Calendar.s and their Relation 10 the Athenian Cìvìl Calendar, «IHS)>, LXXX, 1960, pp. 16S-1 SO; D. R. Dicks, s. v. Euctemon. cìt., pp. 459-460: G. J. Toomer, s. v. Meran. in Dictionary ofScientific BiographJ•. cit., lX, New York, 1974, pp. 337-340; G. Aujac, Géminos, Jntmduction au.x Phénomènes, texte établi et traduit par G. Aujac. Paris, 1975, p. LXXVIII e nota 2, p. 56. 79 80
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quello stesso Euctemone che fu autore di un viaggio e di una descrizione delle regioni occidentali dell'Europa fino alle coste meridionali dell' Iberia confluito in Avieno 89 . Una notizia di questo genere, che trova confenna nelle conoscenze astronomiche dei Celti9o. parrebbe infatti corrispondere anche agli interessi e alle capacità non indifferenti mostrati da Pitea in questo campo. In particolare, dovevano essergli note la figura e l'opera di Euctemone, come lui astronomo e viaggiatore, e non appare improbabile che egli possa avere associato il nome di Metone a un sistema calendariale in uso presso le popolazioni celtiche dell'isola. L'esempio del calendario di Coligny, anche se proveniente dal mondo celtico continentale, si rivela dunque importante poiché. come quello di Metone, questo calendario celtico è mirato alla ricerca di un sincronismo tra il ciclo solare e quello lunare, anche se documenta un ciclo regolare fondato sull'inserzione di due mesi intercalari ogni cinque anni 91 • Dunque, se Timeo aveva utilizzato il resoconto piteano per proporre una versione rielaborata de1la saga degli Argonauti, Ecateo di Abdera aveva rivitalizzato con le notizie riportate dal viaggio il mito degli lperborei. mentre Plinio ne aveva ripreso la struttura narrativa, sia pure indirettamente92. In base alle informazioni piteane, pertanto, la Britannia appare come un'isola dalle grandi dimensioni. di forma sostanzialmente triangolare e posta obliquamente a nord della Celtica, con un andamento da sud ovest a nord est che è rovesciato in Cesare. il quale, come Polibio e Strabone, riteneva che le coste settentrionali dell'Europa avessero un andamento pressoché rettilineo in direzione dell'oriente a partire dall'attuale capo Finisterre, nel nord ovest iberico. Questi autori, non fidandosi di Pitea o per altri motivi più sottili. non riconobbero infatti o finsero di non riconoscere r andan1ento verso nord e nord ovest della costa celtica occidentale 93 . Sono perciò riconoscibili due diverse tradizioni sulla Britannia: la prima risale probabilmente ad Eratostene (e forse Timeo) e da questi a Pitea; la seconda. comune a Cesare e Strabone, risale invece a Posidonio. il quale si avvale, nella confutazione dei dati piteani. di informazioni più recenti raccolte probabilmente durante i suoi soggiorni a Massalia e a Cadice. e di altre derivate invece da Artemidoro94 • Quanto alle misure fomite da Pitea, esse apparvero esagerate fin dall'antichità. In un passo dedicato alla prima spedizione britannica di Cesare. nel 54 a.C., Plutarco afferma infatti che ]e fantasiose dimensioni che erano state attribuite all'isola avevano fatto dubitare persino della sua esistenza, tanto che alcuni pensavano che il nome stesso fosse una pura invenzione e l'isola non esistesse
~~Ora mar., vv. 43-44; 337-369. Sull"esperienza di Ectemone nel sud iberico si veda L Antonelli. Euctemrme a Maimike. cit.. pp. 117~ 128. w Cfr. S. Piggott. The Druids. London. 1968. rist. 1985!, in part. pp. 115-117: M. Eliade. Dmids. Astron.omers. and Head-lnmters. in Perenniras. Studi in onore di Angelo Brelich, promossi dalla Cattedra di Religioni del mondo classico dell'Università degli Studi di Roma. Roma. 1980. pp. !73-183; S. C. McCiuskey, The Solt.1r Year inthe Calendar ofColign:r. «EC», XXVU, 19QO, pp. 163-174. 91 Su questo prezioso documento si veda Recoeil des !Jucriptions Gauloires ( RJG ). sous la direction de P. M. Duval, vol. III. Les calendriers (Coligny. Vi/lards d'Héria). par P. M. Duval et G. Pìnault, suppl. <(Gallia>•, XLV. Paris, 1986. in part. pp. 316-317 e 397-417. 9 ~ Sulla dipendenza dello schema espositivo ptiniano da Timeo e. attraverso quesli. da Pirea. si veda S. Bianchetti. Plinio e la descrizione dell'Oceano settelltriona/e, cit.. in part. pp. 78-79. 93 Per Cesare si veda B. G .. IV, 20, l: omnis Gallia ad jeptentriones vergit. Cfr. R. Dion, Aspects poliriques. cit., p. 251. 94 Si veda F. Lasserre, Strabon, IV, ci t., nota 4. p. 164, e nota l, p. 165.
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
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Fig. 5. Ricostruzione della eventuale forma allungata della Britannia nella carta di Eratostene.
né fosse mai esistita95. L'allusione è rivolta chiaramente ai resoconti piteani e, con ogni probabilità, alla feroce critica po1ibiana, che aveva tentato di demolire il resoconto piteano privandolo di ogni attendibilità. In effetti, quando si tenta di ricondurre a misure moderne i dati piteani e di raffigurarli su una carta, essi appaiono enonnemente esagerati, così dilatati da contrastare con quanto in altre occasioni è affermato da Pitea o da Eratostene, al quale, in ultima analisi, risale la conversione in stadi delle distanze calcolate da Pitea in base ai giorni di viaggio e la proiezione di questi dati sulla carta dell'ecumene. Applicando linearmente le misure fornite da Diodoro e Strabone, si è costretti, infatti, a piegare vistosamente verso est il vertice settentrionale della rappresentazione triangolare della Britannia, ottenendo una figura assurda ed incoerente96 - almeno ai nostri occhi di moderni abituati ad altri tipi di realizzazioni cartografiche- per non colJocare la parte settentrionale della Britannia più a nord di Thule, che invece distava dalla Britannia sci giorni di navigazione verso nord, e del para1 lelo ad essa corrispondente (66° nord ca.), che Eratostene poneva a «soli» 11.500 stadi dal parallelo di Boristene 97 • Ciò dimostra, a mio parere, che la via da intraprendere per comprendere i dati piteani è evidentemente un'altra. Innanzitutto va considerato che le distanze PluL. Caes .. 23, 3. Si veda la fig. 5. 97 Cfr. H. Berger, Eratosth(mes. cit .. p. 377. che. appunto. piega in tal modo l'isola. Così anche W. Sieglìn, Enrdeckungsgeschichte von Eng/and, cit., p. 863, il quale giunge addirittura a collocare nella rappn::senta:.t:ione pilean<~ lt: isole Sht:Lland sullo slcsso mcrìt..liano t..lclla foce del Tanais, evidentemente confondendo i dati relativi alla posizione di Thule (che per altro egli identifica con l'lsJanda alla quale Pitea non sarebbe però giunto, arrestandosi la sua navigazione alle Shetland = Aebuden e allo Jutlnnd (p. 861 )) nella carta di Eratostene e ritenendo erroneamente che la sua menzione a l l. 500 stadi dal Boristene non riguardasse genericamente il parallelo su cui Thule si trovava. ma la posizione deJI'isola suJio stesso meridiano che recava Meroe, Alessandria, Rodi, I'Eilesponto e Boristene (Strabo, I. 4, 2. C 62-63 =FIl C, 2 Bergcr = F 6a Bianchetti = F 6a Mette). 9.S
116
145
Isole Britmmiclze
originariamente riportate da Pitea dovevano essere espresse in giornate di viaggio, solo in seguito trasformate in stadi da Eratostene secondo 1' equivalenza di 1.000 stadi per ogni giornata di viaggio. Un'equivalenza aleatoria e scarsamente affidabile: la distanza percorsa nell'arco di una giornata, infatti, non era ovviamente sempre la stessa. dipendendo dal tipo di imbarcazione. dalle modalità di navigazione, dalle correnti e dai venti. Un problema simile si propone per ciò che riguarda il calcolo della latitudine, effettuato con lo gnomone ed utilizzando la durata del giorno più lungo~ in questo caso. quei dati che originariamente erano espressi in rapporti gnomonici o ore di luce vennero poi tradotti .,.in gradi e trasformati in stadi. con conseguente a umento dei margini di errore. E logico dunque pensare che le distanze percorse ed annotate da Pitea non fossero riferite ad un tragitto lineare ideale. ma ad un periplo c.omprensivo di scali e di rallentamenti dovuti alle difficoltà di una navigazione che si spingeva in mari e lungo terre sconosciuti. Si deve poi osservare che la forma triangolare attribuita alla Britan:nia è il frutto evidente di un tentativo di schematizzazione fondato sulla coscienza dell' esistenza di tre vertici fondamentali~ ma tale rappresentazione andava ce.r to a discapito del riconoscimento della reale conformazione delle coste britanniche. dall'andamento tortuoso e con rientranze e prominenze marcate rispetto alla linea .ideale tracciata da vertice a vertice. A questo proposito. non si può escludere che la forma dell'isola e la similitudine con la Sicilia fossero dettate o, quantomeno. fondate su concezioni geometriche di origine pitagorica98 • ma mi sembra inutile il tentativo di trovare dei modelli precostituiti ad una rappresentazione cartografica che derivava dalla parziale conoscenza delle coste britanniche e che pertanto doveva ancorarsi a quegli elementi geografici e morfologici apparsi piu rilevanti agli occhi del M.ass.aliota. Tanto più. che Pitea non appare certo digiuno di conoscenze matematiche e non gli occon·eva essere un pitagorico per poter calcolare l'eventuale terzo lato dì un triangolo di cui erano noti gli altri due. _M antenendo per i lati del triangolo le distanze corrispondenti ad una. navigazione costiera era inevitabile sopravvalutare le din1ensioni dell"isola, a meno di sottintendere che nello schema triangolare le distanze riportate non erano lineari ma andavano riferite ad un percorso più complesso. In questo caso si comprenderebbe il motivo per cui Eratostene, pur avendo adottato i dati piteani, non venga esplicitamente criticato da Artemidoro. Polibio o Strabone a proposito delle din1ensioni dell'isola. Poiché. se è vero che Poli bio e Strabone gli rimproverano di avere prestato fede a Pitea per quanto riguardava la Britannia. è altrettanto vero che r i n seri mento nella rappresentazione eratosten i ca dell'ecumene di un 'isola nordica dalle enormi dimensioni che sembrano supposte dai dati sopra riportati non poteva passare inosservato, come invece ac,cadde, tanto che al solo Pitea venne addebitato rerrore di avere esagerato le misure fornite. Come se non bastasse. nelr antichità furono in uso stadi di misure diverse. ma gli antichi non si rese-ro conto di questa realtà e continuarono ad utilizzare dati elle non erano fra loro rapportabili, poiché fondati su unità di misura diiTerenti, Anche per aree ben conosciute e frequentate. dunque. e-ssi possedevano conoscenze contraddittorie e di frequente lontane dalla realtà, perché affidate a 911
Cfr. in questo senso, P.
F<~bre.
Les Massaliott•s, cit., p. 37.
Il viaggio di Pitea sull•oceano
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metodi di rilevamento spesso soggetti al caso. variabili e non comparabili tra loro. Ancora nella prima età imperiale. quando la conquista della Gallia e le prime spedizioni in Britanni a avrebbero dovuto portare a nuove acquisizioni, le notizie fornite dalle fonti sono confuse, contraddittorie e, soprattutto, rimangono ancorate agli aulori più antichi, i quali a loro volta non avevano altra fonte diretta che Pitea. Basti pensare all'opinione dominante che considerava rivolto verso nord il litorale oceanico europeo, dall'Iberia alla Scizia, praticamente sullo stesso paralJelo; o al parallelismo dei Pirenei e del Reno, che secondo Strabone addirittura convergevano in prossimità delle loro estremità oceaniche 99 . Nello stesso passo, Strabone collocava poi il Belerion di fronte ai Pirenei. Ma, se è comprensibile che un autore antico non avesse coscienza del fatto che lo stadio utilizzato da Eratostene come unità di misura di riferimento potesse avere una lunghezza diversa da quelle dello stadio adottato da Ipparco, da Posidonio o dalle loro fonti, altrettanto non si può dire per quegli studiosi che perseverano nell'errore di volere conciliare le misurazioni antiche con quelle moderne, traducendo gli stadi in chilometri o in miglia, quando neppure si può affermare con certezza a quale tipo di stadio facessero riferimento Eratostene, Posidonio, Strabone o altri ancora 100 . Senza tenere conto. inoltre, del fatto che l'equivalenza in stadi del tragitto percorso in una giornata di navigazione- che sernbra essere stata l'indicazione principale fornita da Pitea per il computo delle distanze percorse, ma che è anche la base per i calcoli forniti da Eratostene, Ipparco. Polìbio, Artemidoro. Posidonio e Strabone. relativi alla forma e aJJe dimensioni dell'ecumene e del1e distinte partì di essa - variava in realtà da autore ad autore, secondo canoni personali predefiniti e indipendenti da queHe che di volta in volta potevano essere state le condizioni climatiche e meteorologiche che avevano accompagnato la navigazione o il tipo di imbarcazione utilizzato. Ritengo, di conseguenza, che le misure piteane si riferissero al tempo impiegato effettivamente dall'esploratore massaliota per compiere il periplo della Britannia, o alle infonnazioni in tal senso da lui raccolte 101 • e che Eratostene avesse mantenuto distinti i due tipi di dali, nel senso che, pure avendo attribuito ad ogni lato le misure rilevate da Pitea e tramandate da Diodoro, egli non Je aveva considerate in linea retta. Solo in questo caso, infatti, è possibile inserire coerentemente la Britannìa nel contesto settentrionale della rappresentazione ecumenica di Eratostene, in cui l'isola di Thule, posta a 11.500 stadi dalla latitudine di Boristene, si trovava pure a sei giorni di navigazione verso nord dalla Britannia, senza ricorrere ad una inclinazione assurda dell'isola. Pertanto, J'obliquità alla quale faceva riferimento Diodoro riguardava indubbiamente non una eventuale inclinazione verso est del)' asse della Britannia, ma il lato meridionale dell'isola compreso tra il Belerion e il Kantion. opposto e parallelo alla costa celtica e digradante verso nord est.
IV. 5. l, C 199. Sulle questioni connesse aJie diverse unità di misura adottate dagli antichi geograti, oltre al lessico curato da G. Aujac in appendice a Strabon. Il, cit.. pp. 191-192, S. l'. 11'1'cXÒW'v, si veda Y. Janvier, Les problèmes de métrologie dan.s /'étude de la cartographie antique, «Latomus», 52, 1993. pp. 3-22. lOI Credo infatti che Pitea non abbia circumnavigato la Britannia ma ne abbia seguìto le coste solo 99
100
parzialmente, deducendo poi il periplo totale da sue osservaz;ioni e dalle notiz;ie raccolte.
Isole Britanniche
147
V.2 - La sosta al Belerion
Diodoro, dopo avere fornito le notizie relative alla forma ed alle dimensioni della Britannia e dopo averne presentato un primo sommario quadro delle popolazioni, dei loro costumi e delle condizioni climatiche, si sofferma a parlare dello stagno che l'isola produce. Egli riferisce, così, che gli abitanti della Britannia che vi ve vano vici no al promontorio chiamato Belerion erano particolarmente ospitali verso gli stranieri e, a causa dei contatti con i mercanti stranieri, avevano ingentilito i loro costumi. Essi si procuravano lo stagno (xa't''t't't'€pov) lavorando ingegnosamente la terra che lo produceva; terra che era pietrosa, ma con strati terrosi dai quali estraevano una concrezione ripulita dalle scorie tramite procedimenti di fusione. 11 prodotto risultante veniva in seguito modellato in forma di pani romboidali ed era trasportato in un'isola vicina alJa Britannia chiamata "Ix't'tç; poiché, infatti, durante la bassa marea si prosciugava lo spazio fra l'isola e la costa britannica, essi, con dei carri, vi trasportavano lo stagno in grandi quantità. La stessa cosa si verificava per le isole vicine. poste fra l'Europa e la Britannia; infatti sembravano isole quando i flussi sommergevano lo spazio in mezzo, e sembravano promontori allorché il mare scorreva via con la bassa marea e si prosciugavano molti spazi. Nell'isola di "Jx-nç i mercanti acquistavano lo stagno dagli abitanti e lo trasportavano in ra:Àa:-da dove, infine. dopo aver viaggiato a piedi per circa trenta giorni. conducevano il carico su cavalli fino alla foce del Rodano102. L'excursus, in questo caso, risale con ogni probabilità a Timeo 103, come testimonia il confronto con un passo parallelo di Plinio sulla Britannia nel quale il naturalista, oltre ad utilizzare l'antico nome di Albione riportame il perimetro in base alle informazioni piteane 1 ~, afferma che secondo lo storico Timeo a sei giorni di navigazione dalla Britannia. verso l'interno. si trovava l'isola di /ctis da cui proveniva lo stagno (candidum plumbum). I Britanni vi arrivavano via mare, su imbarcazioni di vimini intrecciati cucite intorno con cuoioi05_ Poco importa che diverso rispetto a Diodoro sia il modo col quale i Britanni giungevano all'isola. poiché. vista la precisione delle informazioni e la probabile dipendenza diretta di Plinio dal resoconto timaico 106• non si può escludere che in
22. I03 FGrHisr .. 566 F 164. con il relativo commento dello Jacoby. A favore della dipendenza di Diodoro da Timeo si erano già pronunciati K. MUilenhoff. Deutsche Altertumskunde. I. cit., pp. 375-377 e 469-473, e J. Geffken. Timaios' Geographie des Westens. Berlin, 1892, p. 67. Non crede alla dipendenza da Timeo L. Pearson. The Greek His/Orians ofthe West. Timaeus and His Predecessors, Atlunta, 1987. p. 70. IO~
V,
HJ.I IV. 102-103 = F 7c Bianchetti = F l l b Mette. ws Plin .. N.H .. IV. 104 = FGrHist .. 566 F 74 (si veda anche il relativo commento dello Jacoby): Timaeus historicus a Britannia introrsus sex dierum navigatione adesse dicit insulam lctim. in qua candidum p/umbum prrJ\'eniat; ad eam Britannos vitilibus na\'igiis corio circumsutis navigare. Il particolare tipo di imbarcazione è ricordato altrove dallo stesso Plinio, sempre in relazione alla Britannia e alle isole dello stagno: Etiam nunc in Brìtarmico oceano (scii. rraves) viti/es corio cin.:umsutae fiunt (N.H., VII, 206); Pretiosissimum hoc [candidum l (scii. plumbum). Graecis appellatum cassiterum fabu/oseque narrarum in insulas Allantici maris peti t•itillbusque navigiis et circumsutis corio ad\'ehi (N.H .• XXXIV, 156). Un confronto interessante è offerto da Caes .• B.C.. I. 54: imperat militibus Caesar lll naves faciant. cuius generis eum superioribus annis usus Britanniae docuerat. Carinae ac prima statumina ex levi materia jìebant; reliquum (.'Orpus navium viminibus conrextum coriis integebatur. 106 Si veda 1<.. G. Sallmann, Die Geographie des alteren Plinius, cit., pp. 75-84. il quale ritiene verosimile che Plinio avesse una conoscenza diretta dell'opera di Timeo.
Il viaggio di Pitea sull'Oceano
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Timeo fossero presentate entrambe le modalità: la frequentazione via mare durante l'alta marea; il collegamento via terra durante la bassa marea. Quanto all'incertezza circa il nome pliniano dell'isola, dovuta al fatto che i codici presentano la lezione insulam Mictim e alla contestuale menzione di un'isola Vectis 107 , che corrisponde alla OÙYJX'ttc; di Tolemeo 108 , l'odierna isola di Wight. e nonostante il fatto che ancora oggi si levino voci discordanti 1°9 • ritengo che la questione sia stata ormai definitivamente risolta. lnsulam Mictim in Plinio, infatti. è chiaramente il risultato di un errore verifica tosi nel corso della tradizione manoscritta, con il raddoppiamento della m finale, a partire dali' originale insulam /ctim 110 ; penanlo Ictis è da identificare con "Ix.'ttç 111 • Riguardo alla distanza di sei giorni dell'isola dalla Britannia, per altro contraddetta dallo stesso testo pliniano ove si afferma ad eam Britannos vitilibus navigiis corio circumsutis navigare, essa è il frutto evidente di un errore commesso da Plinio che ha scambiato le informazioni relative a quest'isola con quanto Timeo riferiva di Thule, menzionata più volte nello stesso contesto e che ahrove era esattamente collocata a sei giorni di navigazione dalla Britanniall2. Timeo, dunque, risulta essere la fonte comune a Diodoro e Plinio e il tramite evidente per la descrizione piteana dell'isola da cui proveniva lo stagno. L'origine piteana, per il tramite di Timeo, delle testimonianze fornite da Diodoro e Plinio è sicura; non si vede infatti a chi altri avrebbe attinto Timeo le proprie informazioni poiché non furono ceno molti i Mediterranei che vantarono di essere giunti in Britannia prima delle due spedizioni effettuate da Cesare; pare anzi che Pitea fosse il solo in tale novero. Plinio fornisce in questo contesto diversi indizi della dipendenza da Pitea. citando espliciatamente il Massaliota N.H.. IV. 103. Il Mette. P:wheas. cit.. che comprende tra i frammenti piteani tutto il lungo excursus pliniano sulle Isole Britanniche (N. H., IV, 102-104 = F Il b), adotta la lezione Vieti m (p. 32); commentando poi il passo (pp. 40-42), egli identifica l'isola menzionata da Timeo con r"Ix·nc; di Diodoro e con risola Vectis menzionata da Svetonio (Vespas., 4, l), che certo corrisponde atrattuale isola dì Wight. Tale opinione è accolta favorevolmente da W. Aly, Strabon t'Otl Amaseia, cit .. pp. 464465. In base a questa ricostruzione, Plinio avrebbe ìnavvenitamente menzionato due volte la stessa isola, prima come Vectis, poi come Victis. 108 Geogr .• H, 3. 14. IOY Fra i più recenti commentatori, pensano a due isole distinte R. Wenskus, P_vtheas und der Bemsreinhandel. cit., p. 94, e Serena Bianchetti, Pitea dì Massalia.cit.. pp. 147-148. i quali distinguono "Ix:nç da Victis- Vectis. identificando la prima con l' isolotto di St. Michael's Mounl nella baia di Penzance e la seconda con l'isola di Wight. 110 Cfr. K. Mi.illenhoff, Deutsche Altertumsk.unde, l, cit., p. 473. 1 11 L'origine greca del nome è chiarita da W. Aly, Strabon von Amaseia, cit., p. 464, che propone anche alcuni esempi di passaggio dalla forma greca di nomi inizianti per t- ulla forma latina con \'iniziale, ed alla successiva forma greca iniziante con Ou-. Si veda anche K. G. Sallmann, Die Geographù• cles iilleren Plinius, ci t., nota 74, pp. 76-77. ll2 Plin., N. H., Il. 186 = F 9a Bianchetti= F 13a Mette, da confrontarsi con Strabo. I. 4, 2, C 63 = F Sa Bianchetti = F 6a Mette. e con Mart. Cap .• De Nuptiis Philologiae et Mercurii. VI. 595 (citato dal Mette. Pytheas, cit., p. 32. come testimone del frammento 13a e ora compreso come F 9b Biancheui). Sulla questione. oltre al commento del Mette (Pytheas, cit., pp. 3 e 41 J. si vedano: K. Mullenhoff. Deutsche Altertumskunde, I. cit., p. 472; T. S. Brown, lìmaeus. cit., p. 27. Non mi pare credibile che i sei giorni di navigazione menzionati da Plinio conispondesscro al tempo impiegato dai Britanni del Belerion per portare lo stagno alr isola di Wight a bordo delle loro imbarcazioni di pelle, come sostenuto da C. F. C. Hawkes, Pytheas, ci t., p. 29. e neppure al tragitto Korbilon-Wight, come sostiene R. Wenskus, Pytheas und der Bemsteinhandel, cit., p. 94. Sì veda inoltre S. Bianchetti. Pitea di Massalìa, cit., pp. 148 e 173. secondo la quale, al di là della sospetta coincidenza nella durata del viaggio verso Thule e verso lctis, nella testimonianza timaica si coglierebbe l'inversione di rotta che avrebbe portato Pitea da Thule nuovamente alla Britannia c l'avverbio introrsus (all'interno) indicherebbe la navigazione all'interno della Manica compiuta appunto al ritorno, in senso inverso rispetto al viaggio di andata verso Thule. 107
Isole Britanniche
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nel paragrafo precedente a proposito del perimetro della Britannia. nominando Thule per tre. volte prima e dopo la menzione di Ic.tis, attribuendo a lctis la distanza di sei giorni di navigazione dalla Britanrria, che invece andava riferita a Thule, ed infine ricordando .i1 mare concretum. Ma la migliore conferma è data dall'esistenza di un altro parallelo istituibile tra Diodoro e lo stesso Plinio a proposito dell'isola dell' am.bra 11 \ anche in questo caso fonte comune ad entrambi è Timeo. menzionato ancora una volta dal solo Plinio, il quale però cita anche la fonte di Timeo: Piteall4. Si può allora affermare che Pitea effettuò una tappa importante presso il promontorio Belerion, svolgendovi numerose indagini che si rivelano di fondamentale importanza non solo per quello che riguarda l'evoluzione della scienza e delle conoscenze geografiche antiche. ma anche ai tìn.i della co.mprensione del metodo d'indagine applicato dallo scienziato massaliota e del significato stesso del suo viaggio in quelle regioni. Le notizie riportate da Diodoro e Plinio si prestano infatti ad ulteriori considerazioni. Innanzi tutto viene testimoniata r accuratezza delle informazioni relative alla produzione ed a) commercio dello stagno. alla cui raccolta, dato il termine alla foce del Rodano della via sopra descritta, Pitea poteva essersi già dedicato a Massalia. Ma Je informazioni piteane~ utilizzate da Tirneo. sono ancora più precise riguardo alla regione dì produzione ed al punto di primo srnistamento dello stagno. Questo minerale preziosissimo veniva rinvenuto nei giacimenti della Cornovaglia e subiva una prin1a lavorazione sul luogo che lo rendeva atto al trasporto. Sotto forma di pani veniva così condotto su li' isola di lctis, la cui descrizione contribuisce a identificarla con una certa sicurezza con l'attuale St. Michaers Mount 1 un' isolotto situato nella baia di Penzance nel sud della Cornovaglia 115. Quest'isola. infatti. come quella descritta da Diodoro. preDiod. , V. 23. J-4 = FGrHist .• 566 F 164: Plìn.. N.H.• XXXV Il, 35-36 = FGrHisr .. 566 F 75b. Che l' lctis di Plinio e J'"I:wn<; di Diodoro corrispondano e risal.gano a Pitea per il tramite di Timco è altresì sostenuto da T. S. Brown. 7imaeus. cit.. pp. 25-27: cfr. anche M. Cary, Tlre Grel!ks ami mlCÌ<'nt Trade with tlze Arlamic. cit.. p. 174. 1J.s Cfr. R. Dion. Trcmsport de /'étain, cit.• pp. 423-438 ; Id., Une erreur traclitionelle à reclresser: l'iclentijication de 1'/ktis dt.• Diodore de Sicile m•ec l'Fie df Wight, «BAGB)). 1977, pp. 246-256. Egli ritiene che l'isola "Jx~tç di Diodoro (V. 22) corrisponda alf/ctis di Plinio c-:tc,·lc:ti.'> (o Mìctis) con Vectis e con l'odierna isola di Wìght. rìproponendo l'opinione già espressa da W. Aly, Strabon l'Oil A.maseia. cit.. pp. 464-465. e R. Schmittlein. Lutetia et les Parisii. ~~RIO», XVU. l 965, p. 279: B. Cunliffe,. lctis: is it flue?. «01A», 2. 1983. pp. 123-126. ipotizza l'identificazione di "Ix-:t<; con Mictis. locali.zzandola presso Mount Blatten. nel Plymouth Sound: lo stesso Cunliffe. Il traffico marittimo .fra il Cominenu.• f' la Brìumnia. in l Celti. Milano. 199l. pp. 573-580. sembra avere rivisto la sua posizione e accolto l'opinione di C.F.C. Hawkes (Pytlzeas. cit.. pp. 29-31: Id .• /ctis disentangled, and tlu' British tin trade, «OJA)>, 3, 1984. pp. 211-234). secondo cui Pitea a·veva menzionato un'isola Oùb.t'!lC,, corrispondente ali' odierna isola di Wight. e questo era il nome trasmess-o da Timeo e poi deformato in Mictis da PJ inio: quanto al testo di Diodoro. il nome "Iwnç deriverebbe da Posidon:io e dai.Ja sua indagine sulle regioni occidentali. e potrebbe idenLitì.care tanto St. Micb.ael's Mount. quanto Mount Batteo o le stesse Scilly. che all'epoca potevano essere unite in un'unica isola. 113
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senta la peculiarità di essere separata dalla costa da uno stretto braccio di mare che si prosciuga durante la bassa marea rendendola accessibile per via terrestre, trasformandola in una sorta di promontorio. Infatti, una strada sopraelevata naturale la unisce alla terraferma durante la bassa mareat 16, mentre il fondo formato da piccoli sassi consente il passaggio anche di veicoli carichi 117 • St. Michael's Mount ha una conformazione assai simile a quella del Mont SaintMichel, sulla opposta costa francese, e non mi pare affatto da escludere la possibilità c he fa cci a ri ferimento an c h e a q ues r ultima località l'acce nn o diodoreo (e piteano) ali' esistenza di altre isole-promontorio poste fra la Britannia e l'Europa. Tale tipologia, allo stesso tempo insulare e peninsulare, si connette anche con una notizia di Mela circa alcune isole poste di fronte alla Sarmazia 118 , su cui si tornerà a proposito della terra dell'ambra; anche in questo caso, infatti, si tratta di isole-promontorio. la cui configurazione è determinata dal ciclo de li' alta e bassa marea. La col1ocazione particolare di lctis nelle immediate vicinanze del Belerion e dei luoghi di produzione dello stagno, ne faceva un centro privilegiato per il commercio di questo prodotto, mentre la connotazione topografie a rendeva l'isola il luogo naturale più adatto per rimpianto di un emporio, quale in effetti dovette essere, garantendo allo stesso tempo la facilità nel trasporto delle merci e nell'accesso all'isola, una collocazione esterna dello stanziamento mercantile rispetto ai centri locali, la protezione e il rispetto sia per i mercanti stranieri sia per i produttori locali. Siti con simili caratteristiche erano particolarmente ricercati dai rpercanti che si spingevano su rotte poco note e verso i più lontani mercati. E il caso non solo degli empori greci e fenici nel Mediterraneo occidentale in età arcaica, preludio ai futuri stanziamenti sulla terraferma. ma anche degli en1pori posti oltre le Colonne d'Eracle e, più in generale. in regioni in cui la mancanza di strutture politiche e urbane evolute non consentiva la creazione di veri e propri quartieri commercia] i ali' interno d i centri preesistenti. l nlercanti stranieri che acquistavano lo stagno su li' isola di ktis lo trasporta vano attraverso la Celtica fino alla foce del Rodano, seguendo evidentemente la stessa via indagata da Scipione e Polibiol 19 ; un itinerario che dalle Isole Britanniche faceva capo a Korbilon, l'importante emporio alle foci della Loira. per poi proseguire fino a Massalia. risalendo il corso di questo fiume e discendendo quello del Rodano 12°. Si giustifica perciò ulteriormente l'interesse di Polibio per il centro di Korbilon, punto eli contatto economico tra la Britannia e Massalia, e luogo adatto alla raccolta di informazioni su Il' i sol a. A questo proposito, le caratteristiche di Ictis forniscono un interessante termine di confronto col caso di Noirmoutìer-isola dei Namneti e della sua relazione con il vicino porto-emporio di Korbilon, su cui pure si era soffermato Pitea annotandone non solo l'importanza economica ed il ruolo svolto lungo quella stessa via dello stagno. ma anche i costumi delle popolazioni limitrofe. Ancora 11 6 117
The New Encyclopaedia Britannica, vol. VIII. Chicago-London etc., 197915, pp. 791-2. R. Dian. Transport de /'étain, cit., p. 430, con foto e pianta dell'isola e del territorio circostante
alla p. 429. 118 11 9 120
111,55.
Strabo, IV, 2. l, C 190. L'indicazione di una ulteriore via che transitava per Narbonne (Diod., V, 38. 5) sembra fare riferimento ad un'epoca successiva, quando il crollo del potere degli Arvemi rese meno sicura la via della Loira; in questo senso depone anche il riferimento ai trenta giorni necessuri per il viaggio all'interno della Gallia, che male sia adatta al più breve tragitto lungo l'asse formato dai fiumi Gironde e Aude .
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una volta, in queste nuove terre raggiunte e scoperte, risulta rilevante l'attenzione posta alla localizzazione geografica, col Belerion che si pone sulla stessa linea dei promontori iberici e celtici, mentre il dato topografico si accompagna all'osservazione degli effetti del moto marino sul territorio costiero; in particolare~ l'azione delle maree determina l'esistenza straordinaria delle isole-promontorio, che sembrano avere attirato in modo specifico l'interesse di Pitea anche per la loro rilevante funzione emporica. Si aggiunge poi l'indagine etnografica sui costumi e i modi di vita degli abitanti profondamente segnati dall'importanza acquisita dalle ricchezze minerarie del territorio e dai conseguenti contatti con i mercanti stranieri. Soprattutto. nel caso di Ictis. è notevole la precisione di questi dati. a testimonianza di una osservazione diretta. autoptica 121 • E se Pitea sembra essersi maggiormente interessato, in questa circostanza~ all'analisi del1e attività e del1e modalitù che regolavano la produzione e il commercio dello stagno. tale attenzione non può che confermare il fatto che dietro alla sua impresa vi fossero potenti interessi economici. Può essere che tali interessi fossero solo secondari rispetto alle motivazioni scientifiche, ma ciò non toglie che solo la loro esistenza può giustificare la realizzazione del suo viaggio. La tappa di Pitea al Belerion. e nelle regioni circostanti, rappresentò quindi un momento importante del viaggio e risulta ancora oggi decisiva per la comprensione o almeno il chiarimento di alcune delle tante problematiche aperte relativamente ad esso. lnnanzitutto, è perlomeno sorprendente che nel naufragio della tradizione piteana si siano conservati ampi e chiari resoconti relativi a poche e precise località: la regione dello stagno vicino al Belerion e, in generale, l'isola britannica e la rotta dello stagno che la collegava a Massalia; l'isola de H' ambra; Thule e il luogo in cui egli raccolse informazioni su di essa. Unitamente alle misurazioni astronomiche e di percorso, disseminate lungo tutto il suo tragitto e che sembrano risalire a vere e proprie tabelle costituite dall'esploratore in base alle sue osservazioni e ai dati raccolti, di Pitea sono rimaste accurate informazioni in relazione a queste sole località. Per giustificare un simile dato, si può supporre che su tali regioni si sia particolarmente concentrata r attenzione di Pitea~ e che egli abbia perciò fornito una messe di dati superiore a quella relativa ad altre località o momenti diversi del viaggio. In sostanza. si può supporre che egli sia stato stimolato da qualche particolare interesse, diverso ed ulteriore rispetto a quello puramente scientifico ed astronomico che pare averlo mosso nella maggior parte delle circostanze, ad effettuare ricerche ed osservazioni più ampie e accurate nei luoghi sopra menzionati. Vi fu, forse, la precisa volontà da parte di Pitea dimetterne in risalto l'importanza, poiché in questa circostanza è evidentemente messa a nudo la struttura intrinseca dell'esposizione piteana. Ovvero, la duplicità della sua ricerca, corrispondente ad una duplicità di motivazioni ed intenti: da una parte la ricerca scientifica, tesa alla conferma pratica delle esperienze teoriche in campo astronomico, ma anche geografico, in seguito all'applicazione in questo campo della teoria della sfera fonnulata da Eudosso di Cnido 122 ; dall'altra, la ricerca di carattere economico, tesa a rintracciare i luoghi di produzione e di smercio di due prodotti particolarmente importanti per l'economia massaliota, quali lo stagno e l'ambra. m Sul passo di Diodoro si veda il commento di K. Miillenhoff, Deutsche Altertumskunde, L cit., p. 472 : «Die kunde ist so speciell. die ganze beschreibung so anschaulich dass sie nur von einen augenzeugen wie Pytheas herrtihren kannn. 12 l Sul lato teorico della sua ricerca e sulle sue c:onfenne ed applic:azioni tornerò in seguito.
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Ritornando alla presenza di Pitea al Belerion, e non disgiuntamente da quanto si è ora notato, occorre ancora sottolineare l'importanza della tradizione risalente a Timeo per quanto concerne la sopravvivenza e la comprensione dell'esperienza piteana. Non a caso infatti, la tradizione piteana appare divisa originariamente in due settori: quello legato ad Eratostene. che si cura prevalentemente degli aspetti fisico-astronomici o più propriamente scientifici; e quello appunto dipendente da Timeo. Egli è l'unico chiaro testimone del fatto che le ricerche di Pitea rispondevano anche ad interessi ed esigenze economiche e commerciali, poiché a lui risalgono i passi di Diodoro relativi alla Britannia ed all'isola dell'ambra, così come parte delle notizie su tali regioni raccolte e riferì te da Plinio.
V.3 - Le altre regioni e le popolazioni dell'isola Il viaggio e le osservazioni di Pitea non si limitarono a questa sola regione, avendo egli presente. nella sua duplice veste di scienziato ed inviato commerciale, ulteriori obiettivi. Il Massaliota raccolse infatti notizie relative ai costumi delle popolazioni britanniche e, come si è visto, tentò una prima schematica definizione delle dimensioni delJ'isola, compiendo inoltre alcuni accurati rilevamenti astronomici. Secondo Polibio, ripreso da Strabone. Pitea aveva dichiarato di aver visitato tutti i luoghi accessibili della Britanni a l ~3; in quei luoghi egli osservò le popolazioni che vi vivevano e i loro costumi. Le sue notizie, infatti. sembrano ancora distinguibili nelle fonti già sopra citate. nelle quali compaiono elementi comuni che, derivando da diversi autori quali Timeo, Eratostene e Posidonio, presuppongono una precedente ed unica fonte originaria. Diodoro, dopo avere riferito della forma. della posizione e delle dimensioni della Britannia secondo lo schema che Eratostene aveva derivato dalle informazioni piteane, dedicava la propria attenzione alla descrizione dei costumi degli abitanti dell'isola. Egli affermava che la Britannia era abitata da popolazioni autoctone che preservavano nei loro costumi l'antico modo di vita. Usavano, ad
Polyb., XXXIV. 5, :! Bi.ittner-Wobst = Strabo, II. 4, l, C 104: OÀYJV fJ-EV -r~v DpE77
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esempio, i carri durante i combattimenti, come si tramandava facessero gli eroi greci durante la guerra di Troia, e possedevano abitazioni semplici, per lo più costruite con canne e legname. Mietevano il grano tagliandone le spighe e raccogliendole in edifici coperti. Da questi. ogni giorno prelevavano le vecchie spighe e dopo averle triturate ottenevano il proprio nutrimento. I loro costumi erano molto lontani dalla perspicacia e dalla perversità dei contemporanei di Diodoro. Essi avevano un tenore di vita semplice ed erano scevri dalla dissolutezza che è generata dalla ricchezza. L'isola era popolosa e il clima estremamente rigido, poiché situata sotto la stessa Orsa ('t'YjV 't'OU ò:ipoç è:xe:tv Òta8e:crtv 7tav't'e:Àwç X.C('t'E:~UYfJ-ÉVYjV, wc; èiv U7t' a:ùr(jv 't'~V èipx.-rov X.E:tfJ-EVYjV). I Britanni avevano molti re e dinasti e per lo più vivevano in pace tra loro 124 • Il brano di Diodoro è stato compreso sia tra i frammenti di Eratostene sia tra quelli di Timeo, ed in effetti la scelta, se sceha deve esserci, sembra difficile, anche perché non credo si possa escludere a priori una terza possibilità. Quella. cioè, che Diodoro attingesse le proprie informazioni da Posidonio, con un ulteriore spostamento a monte della questione delle fonti utilizzate. L'ipotesi non mi pare priva di senso se messa in relazione ad altri contesti, ancora straboniani, che presentano con quello diodoreo indubbie affinità testuali e di ambito geografico. Dopo avere sommariamente collocato la Britannia a nord della costa celtica~ elencando anche i punti di partenza delle rotte che collegavano l'isola alla terraferma, Strabone ne descrive le risorse, le popolazioni e il clima. Egli afferma che la maggior parte dell'isola era pianeggiante e ricoperta di foreste, ma vi erano anche molte regioni collinose. I principali prodotti erano il grano, il bestiame. l'oro, l'argento e il ferro, che venivano esportati assieme a pelli, schiavi e cani eccellenti per la caccia che i Celti utilizzavano assieme ai loro per la guerra. Quindi, dopo avere descritto la corporatura dei Britanni, anche in base all'esperienza personale per averne visti alcuni a Roma, Strabone sostiene che i loro costumi erano simili a quelli dei Celti. anche se più rozzi e barbari. Infatti, benché alcuni di loro disponessero di latte in abbondanza, non erano in grado di ricavarne il formaggio ed erano inesperti della coltivazione degli ortaggi e di altre pratiche agricole. Vi erano presso di loro dei potentati. Facevano per lo più uso di carri durante le guerre, come alcuni dei Celti. Le foreste erano le loro città, infatti circondavano con una barricata di alberi abbattuti vasti spazi circolari al cui interno costruivano le loro capanne e chiudevano nelle stalle il bestiame. Il clima era piovoso più che nebbioso~ col cielo sereno l" oscurità permaneva per molto tempo, così che il sole era visibile per sole tre o quattro ore al giorno. attorno a mezzogiornoL!5. Lo schema espositivo, pur con l'introduzione di informazioni diverse. denota chiare linee comuni a quello rilevato in Diodoro. In entrambi gli autori. alla descrizione geografica dell'isola e al rilevamento della sua posizione rispetto al continente fa seguito un'analisi di tipo etnografico che mostra interesse per la semplicità degli usi e dei costumi degli abitanti. per l'uso dei carri in guerra, per i metodi costruttivi, le strutture statali, le condizioni climatiche. Tale indagine si inserisce in un contesto che indubbiamente risente dell'influenza di Posidonio, 124
Diod., V. 21. Un dato particolare: Aristotele (Meteor.. II. 5, 362b) riteneva che le regioni situate sotto I'Orsa fossero inabitabili (cfr. anche Strabo, II. 5. 8, C 114-115), menLre secondo la testimonianza di Diodoro le condizioni di vita sono dure ma non insupcrabili. 125 SLrabo, lV, 5. 2, C 199-200.
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come è stato sostenuto nel caso di Strabonet26, e come mi pare si possa affermare anche nei riguardi di Diodoro. Non credo infatti che si possa escludere un ruolo di mediazione di Posidonio nei confronti di Diodoro, per lo meno non in maniera così categorica come avrebbe voluto lo Jacoby 127 , che ha inserito tra i frammenti di Timeo i capitoli 2-23 del V libro di Diodoro12 8, e tra i fran1menti di Posidonio i successivi capitoli 25-32129. Una conferma di ciò potrebbe venire dal prosieguo dell'opera di Strabone. Menzionate le spedizioni di Cesare in Britannia, egli espone una serie di considerazioni sulla inutilità di una occupazione militare dell'isola. Pure mirando a giustificarne la mancata conquista da parte romana, soprattutto nel contesto della propaganda ecumenica augustea. le sue riflessioni si rivelano, per altro verso. premonitrici delle difficoltà alle quali andò incontro Roma in tale tentativo nel corso del I secolo d.C.13°. Strabone dedica in seguito un breve capitolo a 'IÉpvrj (l'odierna Irlanda). isola situata a nord ( 7tpÒç cipx-rov) della Britannia. descrivendone gli abitanti come più selvaggi dei Britanni, antropofagi e voraci essi infatti ritenevano un onore cibarsi dei propri padri morti e cosa virtuosa unirsi alle altre donne. comprese le madri e le soreJle. Queste informazioni non provenivano da testimoni degni di fede. ma. per quanto riguardava l'antropofagia. si affermava che tale pratica fosse in uso presso gli Sciti e. in casi di necessità durante gli assedi. anche presso i Celti. gli Iberi e altri popo]iD 1• Il passo di Strabone trova ancora una volta un preciso confronto in Diodoro. il quale sosteneva che le popolazioni celtiche più selvagge erano quelle che vivevano nell'estremo settentrione (u7tÒ --:èx.ç èipx"t'ouç) e ai confini della Scizia. delle quali si diceva che fossero antropofaghe, così come i Britanni che abitavano l'isola chiamata "Iptç 132 • La fonte è evidentemente la stessa e può essere riconosciuta in PosidonioDJ. ma è possibile risalire anche oltre, poiché Posi don io -come per la Britannia. del resto- attingeva esplicitamente ad autori precedenti134, fra i quali spetta a Pitea un ruolo più che preminente; egli è infatti l'unico ad essere esplicitamente menzionato da Strabone in questi contesti. Nel testo di Diodoro. inoltre. è tràdita la lezione Ilpe:-r-ravwv 135 • che implicitamente rimanda al Massaliota e a1le sue indagini nelJa regione. Si può ancora rilevare. a questo proposito. che le notizie sulla rigidità del clima derivavano da osservazioni effettuate nelle regioni centro-settrentrionali, poiché Cesare. che conosceva direttamente solo le regioni meridionali. attribuiva a queste un cJima più mite di quello della Gallia 136.
Cfr. F. Lasserre, Strabon, IV, ci t., nota 4, p. 164 (p. 216 ); note l e 3, p. 165; nota l. p. 166. Si veda il suo commento in proposito, FGrHisr., III b. Lciden 1955, 1969, pp. 593-594. 11s FGrHist., 566 F 164. 119 FGrHist .. 87 F 116 = F 169 Theiler. Si veda in proposito l'opinione espressa da J. Malitz, Die Historien, cit.. p. 203. 130 Strabo. IV, 5. 3, C 200-20L L'inutilità della conquista dell'isola era affermata anche altrove dallo stesso Strabone (Il. 5, 8, C 115-116). 131 Strabo, IV. 5, 4, C 201. Si veda anche Strabo, Il, 5. 8. C 115. m. Diod .. V, 32,3 = FGrHist., 87 F 116= F 169Theiler. "lpL<:; corrisponde chiaramente alla 'Iipv'f) di Strabone. 133 Cfr. F. Lasserre. Strabon. IV. cit., note 2-3, p. 168 (p. 217). 1 ~ Strabo, I. 4, 3, C 63; II. 5, 8. C 115. Per l'attribuzione a Posidonio di questi passi si rimanda a R. Zimmennann, Posidonius und Strabo, cit., in pan. p. 130. 135 Erroneamente corretta in HpE't'-ravwv daii'Oidfather, Diodorus of Sicily, V. cit., p. 180. 136 B.C., V, 12, 6. 126
L! 7
Jso}e Brìtannìcne
Ad ulteriore conferma del fatto che Strabone e Diodoro avessero usufruito della mediazione di Posidonio. oltre e a fianco di quella di altri autori come Eratostene c Timeo, per quanto riguardava le ricerche compiute da Pitea nelle regioni settentrionali e. nel caso particolare. nelle Isole Britanniche. si può addurre infine una successiva testimonianza del geografo di Amasea. Strabone, infatti, dopo avere menzionato l eme, passava ad analizzare la questione di Thule. altrove definita la più settentrionale delle Isole BritannicheL17 • Egli sosteneva che quanto Pitea aveva riferito su di essa e sulle regioni confinanti risultava chiaramente falso, ma ammetteva che il Massaliota aveva correttamente accordato i dati astronomici e la teoria matematica nel descrivere il modo di vita delle popolazioni che vivevano nei pressi della zona glaciale. Alcune di esse si nutrivano di prodotti selvatici e non praticavano neppure l'allevamento, mentre altre coltivavano il grano dal quale. unendolo al miele. ricavavano una bevanda. Poiché il sole non era limpido, costoro raccoglievano e battevano il grano in grand i costruzioni, no n pote ndos i svolgere tali compi ti an· a p erto a causa delle condizioni climatiche avverseDs. La descrizione delle regioni vicine a Thule riportata da Strabone presenta una evidente affinità con la notizia di Diodoro secondo cui i Britanni utilizzavano granai coperti per raccogliervi le spighe di grano che poi venivano tritate per iJ loro fabbisognoDQ. Il che conferma il ruolo dì mediazione svolto da Posidonio nei confronti d eli' opera di Pitea. poiché a questi due studiosi fa riferimento l'acce n n o di S trabone ali' indagine astronomie a e alla teoria materna ti c a, ri cerche che egli riteneva adatte a coloro che avevano voluto scrivere un trattato lle:pt 'Uxe:avou t~o. come era il caso di Pitea e Posidonio 141 • Il parallelo tra Diodoro e Strabone fa dunque supporre che Pitea avesse rilevato in Britannia e in altre distinte regioni settentrionali l'esistenza di tecniche agricole adattate aJle difficili condizioni climatiche. Ma si potrebbe anche pensare che Diodoro abbia utilizzato attraverso Posidonio alcune delle notizie che Pitea aveva riferito a proposito delle regioni vicine alla zona glaciale. attribuendole tuttavia alla Britannia o a una delle Isole Britanniche, poiché queste, in effetti, nelJ'ottica piteana si estendevano fino a Thule 1·n. Ciò potrebbe avere dato adito alla convinzione che le regioni descritte da Pitea nel lontano nord facessero tutte parte di questo arcipelago delle cui enormi dimensioni erano prova le misure ricordate dallo stesso Diodoro, ed evidentemente fraintese nel loro significato. Quanto alle osservazioni piteane, quali sembrano apparire da questi contesti, esse sono chiaramente il frutto di tradizioni molteplici e indirette, e recano pertanto intrinseche incongruenze e contraddizioni, come quelle relative alle attività agricole dei Britanni. Strabone, ad esempio, sosteneva che l'isola produceva grano e bestiame in quantità tali da essere esportate assieme a molti altri prodotti. ma poi, dimentico di ciò, già poche righe oltre affermava che i Britanni m Strabo. Il, 5, 8, C ll4 = F 8c Bianchetti = F 6c Meue. us Strabo, IV. 5. 5. C 10 l. v. 21. 5.. 14 Cfr. Strabo, Il, 2. L C 94; IL 3. L C 96; II, 3. 3, C 98. Tutti e tre i passi fanno parte di un ampio excursus che deriva direttamente da Posidonio (FGrHist., 87 F 28 = F 49 Edelstein-Kidd = F 13 Theiler). Si veda inoltre Strabo. VII, 3, l, C 295 = F 8g Bianchetti = F 6h Mette. t-H Per il titolo dell'opera di Pitea si veda Gemino (Elem. astr., VI. 9 = F 13a Bianchetti = F 9a Mette): per Posidonio: Strabo. IL 2. l. C 94 FGrHist .. 87 F 28 F 49 Edelstein-Kidd F l3 Theiler. 14 :! Strabo. IL 5. 8, C 114 = F Se Bianchetti = 6c Mette. 139
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non solo non sapevano fare il formaggio, ma anche non conoscevano alcuna forma di orticoltura e agricoltura. La contraddizione, più che derivare dalla sovrapposizione di fonti diverse, potrebbe attribuirsi al fatto che Strabone ignorasse o non avesse compreso che tali notizie facevano riferimento a differenti regioni dell'isola. Pitea, infatti, menzionava diverse località britanniche e le sue indagini avevano probabilmente riguardato non una sola ma diverse regioni dell'isola. Tuttavia, non vi è traccia in Strabone di questa molteplice esplicazione della ricerca piteana che traspare invece dal confronto con i dati fomiti da Diodoro a proposito dei tre vertici dell'isola e degli abitanti della regione prossima al Belerion, e che è confermata dalla testimonianza di Scimno sull'assenza dell'ulivo e della vite nell'isola e dal riconoscimento dell'innuenza esercitata dalla descrizione piteana della Britannia sulle caratteristiche attribuite da Ecateo di Abdera all'isola degli Iperborei. Pitea, dunque, aveva applicato il proprio metodo d'indagine in più occasioni. analizzando di volta in volta le caratteristiche peculiari delle regioni attraversate e delle popolazioni incontrate. Se presso il Belerion l'attenzione si era principalmente appuntata sulle risorse minerarie del territorio e sulle attività che queste implicavano- dall'estrazione alla prima lavorazione dello stagno, al suo commercio e al trasporto verso il Mediterraneo -. in altre regioni Pitea si era mostrato attento all'innuenza del clima sulle condizioni di vita degli abitanti, alle loro consuetudini, alle tipologie costruttive, alle strutture organizzative e poli ti che, ai prodotti del suolo e dell'allevamento, alla ricchezza forestale. Accanto a questo tipo di osservazioni erano onnipresenti gli interessi geografici e topografici, di volta in volta diretti al riconoscimento della morfologia dell'isola, al computo delle distanze percorse, ali' i ndi viduazione di quegli elementi che consentissero di mettere in relazione determinate località dell'isola con i punti di riferimento sui quali si fondava la schematica griglia di paralleli costituita da Pitea: Colonne d'Eracle, Massalia, Celtica settentrionale. Questa griglia era intersecata da una linea occidentale che forse è eccessivo riconoscere come meridiano già in Pitea, ma che comunque risultava bene delineata dalle sporgenze rappresentate da promontori iberici. da Ouxisama. dal Kabaion ed infine dal Belerion. Da questo tipo di informazioni è forse possibile intuire, almeno approssimativamente, a quali regioni della Britannia facessero riferimento le notizie di tipo etnografico ed economico raccolte da Pitea. Si è già detto della sua sosta a Belerion, ma la sua ricognizione del sud britannico non si limitò a questa regione. Egli menzionò infatti anche il promontorio Kantion, ponendo lo ad alcuni giorni di distanza dalla Celtica 14 3, allorché, secondo S trabone, la distanza Kantion-Reno era di 3 20 stadi 1 +~. Diodoro calcolava addirittura in soli l 00 stadi la distanza tra il promontorio britannico e il continente. Anche qui, come altrove, la spiegazione di tale discrepanza tra la misura piteana e la distanza accreditata da Strabone risiede nell'erronea valutazione da parte dello stesso Strabone. o delle sue fonti. dei riferimenti presi dal Massaliota per la localizzazione del Kantion. Pitea, evidentemente, rapportava la posizione del promontorio all'ultimo luogo della Celtica in cui aveva fatto tappa: Ouxisama, o forse il K.a~atovl45_ •-u F 7a Bianchetti = F 6a Mette = Strabo, l. 4, 3. C 63. t.;.s IV. 5, 2. C 199. 14-5 Questa è l'opinione anche di P. Fabre, Les Massaliote.s, cit., p. 36.
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Una ulteriore menzione della presenza di Pitea nel sud della Britannia proviene ancora da Strabone, ed è piuttosto sconcertante, almeno in apparenza. Secondo Strabone, infatti~ Ipparco dando credito a Pitea aveva situato le regioni meridionali dell'isola alla latitudine in cui il giorno estivo più lungo era di 19 ore e il sole in inverno si alzava meno di tre cubiti (meno di 6°) sull'orizzonte, oltre 9.100 stadi a nord di Massalia 146 : dati entrambi corrispondenti alla latitudine di 61 o (se il sole si alzava a 2,5 cubiti equivalenti a 5°), mentre gli oltre 9.100 stadi indicavano una latitudine superiore a 56° 12 1• Tale localizzazione appariva a Strabonc completammente errata poiché in base al suo ragionamento queste regioni si sarebbero dovute trovare abbondantemente a nord di Ierne, che per Strabone risultava essere la più nordica delle regioni abitate, 4.000 stadi a nord del centro della Britannia, per un totale di 9.000 stadi da Massalia e una latitudine di 56° ca.l47. Le osservazioni di Strabone sono in questo caso, e in questa parte dell'opera, particolarmente confuse, probabilmente perché, non possedendo i mezzi teorici per calcolare personalmente le latitudini in base agli elementi astronomici, egli ricorreva passivamente ad Ipparco. Avendo poi in mente una rappresentazione cartografica diversa da quella del1' astronomo di Nicea, Strabone finiva per correggerne le affermazioni con osservazioni ricavate maldestramente da altre fonti. Ne è un esempio eclatante il riferimento a Deimaco e al suo computo della distanza tra Battra e Taprobane (l'odierna isola di Sri Lanka) in 30.000 stadi che Strabone interpretava erroneamente, ritenendola misurata lungo il meridiano, ottenendo così di collocare Battra a 34.000 stadi dal tropico, 8.800 stadi a nord del parallelo Celtica-Boristenel 48. Tutte supposizioni dello stesso Strabone, che egli tuttavia finiva per imputare a Deirnaco, rendendolo così colpevole di una aberrante proiezione di cui invece era responsabile egli stesso1 49. Non contento di ciò, egli confrontava la localizzazione di Battra così ottenuta con i dati di lpparco relativi alle «presunte» regioni meridionali della Britannia e con la personale collocazione di Ierne. Infine, utilizzava tale confronto per demolire, a suo dire, la tesi di lpparco, sostenendo che nessuno aveva mai affermato che a Battra il giorno più lungo avesse una durata comparabile a quella attribuita da lpparco alla Britannia meridonale, che pure doveva trovarsi più a sud di Battra 15°. In un passo successivo, tornando sulla questione dell' individuazione del limite settentrionale de li' ecumene alla latitudine di Ierne, Strabone opera un singolare appiattimento dei dati precedentemente esposti. Egli afferma nuovamente che il limite dell'abitabilità può essere posto all'incirca a 4.000 stadi dalla Britannia. ma questa volta intende non il centro delrisola bensì la parte meridionale. che grosso modo coinciderebbe con il parallelo Celtica-Boristene. !Jt~ Il, l. 18. C 75 = F 61 Dicks = F l f Biancheui = F 6b Mette~ il passo è compreso anche tra i frammenti di Eratostene dal Berger
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In tal modo, Ierne e il limite suddetto vengono a collocarsi a 12.700 stadi da Rodi, per una latitudine di circa 54 o 151. A differenza dei precedenti contesti, nei quali risulta chiaramente che Strabone utilizzava come fonti Eratostene e lpparco, che fornivano dati ben precisi, anche se eventualmente approssimati, in questo caso Strabone si mantiene sul vago~ denotando una considerevole incertezza nel ripetere quelle stesse distanze e localizzazioni fornite in precedenza. Questo mi fa pensare che molto probabilmente egli stia tentando di fornire una propria definizione del limite ecumenico e che si trovi del tutto spaesato in questo personale approccio alla geografia matematica, non avendo evidentemente piena padronanza degli strumenti necessari. Il suo è un maldestro tentativo di ricondurre più a sud il limite dell'abitabilità fino a farJo probabilmente coincidere con il circolo artico rappresentato per r orizzonte della Grecia, seguendo dunque la definizione aristotelical52. Le ragioni di questo arretramento a meridione sono presentate dallo stesso Strabone, allorché afferma che per le necessità di governo (dell'impero romano) non vi è alcun vantaggio nel conoscere queste regioni settentrionali e i loro abitanti; in pratica, egli deve giustificare i limiti raggiunti dalla conquista romana. Fraintendimenti e incertezze sono allora determinati anche da una certa volontà di trasformare impropriamente i dati in suo possesso suggerendo che essi non siano del tutto affidabili ma, in qualche misura, esagerati. Cancellando non solo Thule e le ricerche piteane, ma anche quelle di Eratostene, lpparco e Posidonio, Strabone può affermare che oltre Ieme vi sarebbero solo regioni inabitabili e, in seguito, arretrare ulteriormente il discrimine sostenendo che le regioni poste a più di 6.300 stadi da Massalia, verso nord. sarebbero prossime alle terre inabitabili e non avrebbero quindi nessun interesse per il geografo e il politico l 53. Che l'attribuzione alla Britannia meridionale delle osservazioni sopra menzionate e della latitudine risultante di 56° 12' sia dovuta ad un fraintendimento più o meno volontario da parte di Strabone è dimostrato inequivocabilmente da una precedente testimonianza ipparchea, fornita dallo stesso Strabone, secondo cui il parallelo passante per la costa celtica settentrionale e per Boristene attraversava anche la Britannia 154. Difficilmente, infatti. lpparco poteva avere collocato le regioni meridionali della Britannia a più di 9.100 stadi da Massai ia dopo averle poste anche a 3.700 o 3.800 stadi dallo stesso punto di riferimento. Strabone. che nel passo in questione ricapitolava la tabella delle latitudini settentrionali stabilita da Ipparco, si era evidentemente confuso. Non vi è quindi alcuna necessità di sostituire la lezione vo'ttw'tepcx dei manoscritti con un improbabile àpx'ttXW'tEpcxl55. Vale perciò la pena di vedere in cosa consistesse la tabella dei climi di Ipparco, limitatamente alle regioni settentrionali, a cominciare dal parallelo della Celtica settentrionale cui si è già accennato; qui il sole al solstizio invernale si alzava sull'orizzonte non più di 9 cubiti ( 18°) 156 • A 6.300 stadi da Massalia 151
II. 5. 8·9. C 115·116. La latitudine reale dell'Irlanda va dai 51" 27' di Mizen Head ai 55° 23' di Malin Head. 152 Arist.. Meteor., Il, 5. 362a·b. m Strabo. II. 5, 42-43, C 135. 15 4 F 53 Dicks = Strabo. I. 4. 4, C 63; cfr. Strabo, II, 5. 8, C 115 (solo parzialmente compreso nel frammento 54 Dicks di lpparco). 155 Cfr. sulla questione A, Jaçob, Curcze Srrczbonia11e, «RPh>), 36, J91Z. p. 148. •~ Strabo, Il, l, 18. C 15 = F 58 Dicks.
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(2.500 stadi a nord della Celtica)~ il sole si alzava di soli 6 cubiti ( 12°), mentre a 9.100 stadi da Massalia si alzava di soli 4 cubiti e il giorno più lungo durava 18 ore equinoziali; ancora più a nord, il sole si alzava a meno di 3 cubiti, ed era questo il parallelo che Ipparco, dando credito a Pitea, avrebbe collocato nelle regioni meridionali della Britannia e nel quale il giorno più lungo durava 19 ore equinoziali 157 . In un diverso contesto il parallelo della Celtica settentrionale era identificato tramite la concordanza di ulteriori elementi, quali: la distanza di 3.800 stadi da Bisanzio; la durata del giorno più lungo calcolata in 16 ore equinoziali; la presenza della costellazione di Cassiopea all'interno de) circolo delle stelle sempre visibili o circolo artico; la distanza di 34.100 stadi dali, equatore; la luminosità crepuscolare; la distanza tra tropico estivo e orizzonte stimata in 7112 di un segno dello zodiaco; l'altezza di 9 cubiti del sole al solstizio invernale' 5 8. Strabone accennava quindi al parallelo che Ipparco avrebbe collocato 6.300 stadi a nord di Bisanzio. ove l'altezza del sole al solstizio invernale non superava i 6 cubiti e il giorno più lungo durava 17 ore equinoziali 15 9, e qui terminava l'esposizione della tabella di Ipparco da parte di Strabone poiché, a suo parere, le regioni più settentrionali non possedevano alcun interesse per il geo grafo, in quanto disabitate 160. Diverse sono le considerazioni possibili. Inmmzitutto, il riferimento a Massai i a, esplicito nella prima testimonianza ed implicito nella seconda - poiché Ipparco collocava Bisanzio sulla stessa latitudine calcolata da Pitea per Ja sua polis -, attesta l'origine piteana di almeno parte dei dati. Sicuramente risale a Pitea l'annotazione dell'altezza del sole al solstizio invernale, poiché solo in queste occasioni tale osservazione compare nella tabella di Ipparco16I, e probabilmente si devono al Massaliota anche alcune delle informazioni sulla durata del giorno più lungo, benché lpparco sia solito annotare tale dato che poteva ricavare anche e solo teoricamente; ma lo stesso era certamente in grado di fare anche Pitea. Nel caso del parallelo di Bisanzio, alla pari del rappotto gnomonica piteano, lpparco riportava infatti una durata del giorno che si accordava con la latitudine di Massalia e non con quella di Bisanzio, e lo stesso discorso vale per il parallelo di Boristene. cui vengono attribuiti i valori validi invece per la Celtica settentrionale. Sembra pertanto che Pitea avesse costituito uno schema essenziale delle latitudini settentrionali riferito alla latitudine di Massalia e basato sull'osservazione dell'altezza del sole al solstizio invernale e probabilmente del giorno più lungo. A questo proposito, va osservato che il fatto che i dati pìteani si riferissero a] solstizio estivo e a quello invernale non significa che egli avesse realmente effettuato le indagini in questi due soli momenti, poiché poteva risalire da un dato aH' altro per via teorica. Ed inoltre, egli doveva aver utilizzato osservazioni compiute dagli indigeni, poiché certo non poteva trovarsi esattamente al solstizio in ognuna delle località cui si riferiscono i dati. Lo dimostrano, come si vedrà in seguito, i casi di Thule e di altre regioni dell'estremo settentrione, riguardo alle quali Pitea affermava esplicitamente di avere raccolto informazioni sulla durata del giorno e della none presso le popolazioni locali. A queste informazioni si univano certamente altre osservazioni sporadiche ed occasionaStrabo, 158 Strabo, 159 Strabo, 160 Strabo,
1s1
t61
Il_ l. 18, C 75
= F 61
Dicks. Il, 5, 42, C 134-135 = FF 54-55 Dicks . II, 5, 42. C l 35 = F 60 Dicks. TI, 5, 43. C 135. Cfr. D. R. Dicks, Hipparchus. cìt., p. 187.
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li, come I' apparizione di determinate costellazioni o di altri fenomeni astronomici. Solo in seguito, lpparco vi aggiunse la distanza in gradi che probabilmente era computata significativamente a partire da Massalia, dato che nella trasformazione in stadi realizzata da Strabone il riferimento alla polis viene conservato e le misure in stadi risultano essere dei multipli di 700, il valore corrispondente ad l o in Ipparco. Ciò potrebbe anche significare che già nell'opera piteana fossero fomite le differenze di latitudine dei luoghi di osservazione rispetto a Massalia. poiché in effetti, come si è visto a proposito del calcolo della latitudine di quest'ultimo centro. egli disponeva degli strumenti necessari per effettuare il calcolo della differenza di latitudine tra due località. Il modello di questa tabella, con l'aggiunta delle distanze e delle latitudini equivalenti, doveva presentarsi nel modo seguente: alte:.za del sole
durata del giorno
distanza da Massalia
meno di 3 cubiti (se 2.5 =61 °) 4 cubiti (58°) 6 cubiti (54 o) 9 cubiti (48°)
l9h (6] 0 ) 18h(58°) 17h (54 o ) 16h ( 48° 30')
oltre 9. l 00 stadi 9.100 stadi (56° 12') 6.300 stadi (52° 12') 3.800 stadi (48° 38')
Ciò che sorprende non è tanto la possibile aderenza tra i dati ricavabili dai calcoli forniti da Pitea e le sue eventuali tappe nel sud. nel centro e nel nord della Britannia 162 , quanto la differenza di due gradi fra questi e le distanze in stadi ad essi rapportate da Strabone. Le spiegazioni in proposito tendono ad imputare a Strabone la responsabilità di tale discrepanza. Egli avrebbe malamente trasformato in stadi la differenza di latitudine che lpparco aveva espresso in gradi 163 , oppure avrebbe qui utilizzato una fonte diversa da Ipparco, forse Eratostene, che potrebbe anche in questo caso avere tradotto in stadi i dati piteani 164. Si deve però osservare che la differenza di due gradi richiama da vicino quella corrispondente esistente tra la posizione di Bisanzio calcolata da Ipparco in base al confronto con i dati piteani su Massalia (43° 12') e la sua reale latitudine ( 41 o 5'), ed anche quella, da questa chiaramente derivata, tra la posizione di Boristene sul parallelo passante per la Celtica settentrionale (tra 48° e 48° 30') e la sua reale latitudine (la moderna Olbia si trova a 46° 45', mentre la foce del Dnepr è a 46° 30'). La sola distanza riferita al parallelo della Celticaescludendo il riferimento a Boristene- parrebbe combaciare più o meno esattamente con le osservazoni astronomiche relative. ma forse tale coerenza è solo apparente. Se si confrontano infatti questi dati con l'opinione di Ipparco che il parallelo passante per la Celtica e Boristene attraversava anche la Britannia 165, si coglie grosso modo la stessa differenza di due gradi. poiché la propaggine più meridionale dell'isola. il capo Lizard, si trova a 49° 58' di latitudine nord e St.
rt.:! Si tenga presente che anche secondo Plinio. in un contesto chiaramente risalente a Pitea (N.H., Il, 186 = F 9a Bianchetti= F 13a Mette). in Britannia il giomo estivo più lungo sarebbe di 17 ore, e che Cleomede attribuiva alla Brilannia un giorno di 18 ore e una notte di 6 ore. quando il sole si trovava nel segno del Cancro, ed aggiungeva che la notte rimaneva comunque luminosa (Cuelestia, I. 4, 197-207 = F 12a Bianchetti = F 14 Mette). rt.J G. Aujac. SJrabon, II. cit.. nota 5, p. 25 (p. 131 ). 1 """ D. R. Dicks. HijJpurclms, cit., p. 190. rr.-; f 53 Dicks = Strabo. l. 4. 4. C 63.
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Michael's Mount a 50° 7' ca. 166, quasi due gradi più a nord della punta di St.Mathieu (48° 20'). Si può pertanto supporre che già nel trapasso dalle osservazioni effettuate da Pitea al sistema graduato di Ipparco si fosse verificata una erronea valutazione di quei dati da parte di quest'ultimo, in modo simile a quanto si è riscontrato per la latitudine di Massalia-Bisanzio. Probabilmente, Ipparco riunì in un unico meridiano ideale le osservazioni relative a due distinti meridiani, quello occidentale passante per Massalia e quello orientale passante per Bisanzio, senza avvedersi del fatto che così facendo spostava di due gradi verso nord le località prese come riferimento sulla sezione settentrionale del meridiano orientale. Evidentemente, egli riteneva che le osservazioni in suo possesso relative a questi luoghi fossero meno affidabili rispetto a quelle compiute da Pitea in occidente, ma così facendo, oltre agli errori relativi a Bisanzio e Boristene, egli pose la Britannia sul parallelo Celtica-Boristene senza accorgersi che l'isola era più settentrionale. In ciò può forse intravvedersi l'involontaria complicità di Eratostene, che. pur non confondendo. almeno apparentemente, i dati piteani con quelli relativi al meridiano orientale, aveva probabilmente segnalato che la latitudine della Britannia meridionale coincideva con quella di Boristene, da lui collocata molto a settentrione, a circa 49o 43'167. Arretrando di circa un grado verso sud la latitudine di Boristene, lpparco finì molto probabilmente per trasferire anche la Britannia sul parallelo della Celtica. Dunque, l'esploratore e astronomo massaliota parrebbe avere effettuato almeno tre soste, nel corso del periplo della Britannia, successive o comunque diverse rispetto a quelle individuabili presso il Belerion e forse presso il Kantion, nel corso delle quali egli compì non solo osservazioni di tipo astronomico, ma anche indagini sulla conformazione e morfologia dell'isola, sulle sue risorse, gli abitanti e i loro modi di vita. Le eventuali soste ancora nel sud e poi nel centro dell'isola risultano difficilmente localizzabili, poiché anche qualora la latitudine rilevata da Pitea si rivelasse corretta, occorrerebbe scegliere tra una localizzazione orientale od occidentale. Si rivela invece più interessante la latitudine di 58°, che, con un lieve margine di errore, bene si addice al capo Orkan menzionato da Diodoro e c~he nello schema piteano appare come il punto più settentrionale dell'isola 168 • E in questa regione. inoltre, che Pitea, portando avanti le proprie indagini sui moti dell'oceano e le loro cause, osservò che le maree (o flussi) si espandevano per ottanta cubiti (ca. 40 metri) 169; sempre al nord britannico e, implicitamente, a Pitea, si riferiva Tacito affermando che molti avevano parlato dell'oceano e delle maree, e che era sua opinione che in nessun altro
La latitudine è riferita al centro di Penzance. nella cui baia omonima si trova l'ìsolotto. Cfr. F II C. 2 Berger = Strabo, I. 4, 2, C 62-63. e F II C, 7 Berger = Strabo. Il, 5, 42, C 135. 1M La latitudine del Duncasby Head è di 58° 39'. 169 F 7e Bianchetti = F l3a Mette = Plin .• N.H., II. 217: Octogenis cubitis supra Britanniam intumescere aestus Pytheas Massiliensis auctor est. Plinio aveva precedentemente riferito approssimativamente la teoria delle maree di Posidonio, aggiungendovi La nota che nell'oceano esse, col loro periodico movimento, ricoprivano e mettevano a nudo spazi più ampi che negli altri mari. Anche se tale nota derivava probabilmente ancora da Posidonio (ma nel contesto il solo nome citato è quello di Pitea). bene si adattava anche alle osservazioni compiute da Pitea nella Manica e in altre regioni nordiche. Interessantissimo, nel contesto pliniano, è il riferimento al cubito, che come sì è visto fu utilizzato da Pitea anche come unità di misura per caJcolare l'altezza del sole al solstizio. Sulla questione e sul problema rappresentalo dall'altezza straordinaria di questo fenomeno marino, che non necessariamente deve essere interpretato come marea, rimando a S. Bianchetti, Pitea di Massa/iu, cìt., p. 149. lM
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11 viaggio di Pitea sull'Oceano
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luogo il mare costituisse un elemento così dominante, trasportando forti correnti, addentrandosi all'interno delle terre e serpeggiando fra colli e monti, col movimento di flusso e riflusso della mareal7°.
IV.4 - La questione dell'itinerario piteano Le considerazioni accennate a proposito della localizzazione delle eventuali tappe piteane nel corso del peri p lo dell'isola richiamano l'attenzione su uno dei dibattiti più interessanti relativi alla complessa questione piteana: quello riguardante il tragitto seguito da Pitea per giungere nel nord della Britannia. Se, infatti, in base a quanto sopravvive della relazione sulle indagini da lui compiute nell'isola, è accertabile la sua presenza presso i tre promontori che ne formano i vertici - Belerion, Kantion, Orkan -, non vi sono invece indizi probanti che permettano di ricostruire esattamente il succedersi delle tappe e delle sue osservazioni. Si può certo riconoscere che il Massaliota dovette compiere la prima sosta sull'isola in prossimità del Belerion, logicamente inserita fra le tappe del percorso occidentale, ma nulla sembrerebbe indicare con certezza che egli abbia proseguito il viaggio navigando lungo la costa meridionale fino al Kantion, continuando poi lungo quella orientale fino all'Orkan, o che invece per giungere a questo promontorio egli abbia seguito il percorso occidentale passando per il canale d'Irlanda. Altrettanto si può dire per quanto riguarda la realizzazione di un periplo completo o parziale dell'isola, poiché è evidente che le misure approssimative fomite da Diodoro potevano essere state dedotte teoricamente da Pitea in base alle informazioni raccolte localmente e alla conoscenza di due soli lati dell'isola e delle latitudini dei tre vertici fondamentali. Non si può infatti escludere che lo schcmatismo eccessivo risultante dai dati fomiti da Diodoro e Strabone sia il risultato di una ricognizione parziale, eventualmente integrata con le informazioni raccolte localmente. Anche l'ordine dei promontori, così come è riportato da Diodoro, pare rispondere alle esigenze dell'esposizione più che essere improntato ad un tragitto realei 7 1. I promontori sono infatti menzionati in base al valore crescente della loro distanza dal continente, così come i lati dell'isola vengono riportati secondo l'ordine crescente della loro lunghezza. Se il testo di Diodoro offre indicazioni troppo generiche, sncora meno utili si rivelano le informazioni in tal senso fomite da Strabone e Plinio. In sostanza, dunque, le ricostruzioni moderne dell'itinerario si sono fondate essenzialmente sul valore dato a queste poche notizie, sulla loro attribuzione all'indagine del Massaliota e sulla logica rispondenza alla ricostruzione delle successive tappe che ciascuno degli studiosi moderni ha tentato 172 • Tac., Agricola, IO, 7: Naturam Oceani atque aestus neque quaerere huius operis est, ac multi rettulere; unum addiderim. nusquam latius dominari mare, multum fluminum huc atque ìlluc ferre, nec Jitore tenus adcrescere a m resorberi, sed influeri penitus atque ambire, et iugis etiam ac montibus inseri velut in suo. Dove, fra i multi che hanno già trattato delle maree e dell'oceano- nel caso particolare, in relazione alla Britannia e, più precisamente, alla Caledonia, come mostra il confronto con Plinio (N.H., II. 217 = F 7e Bianchetti =F 13a Mette: supra Britanniam) -, è in primo luogo da intendersi Pilea, la cui conoscenza sembra dunque nuovamente sottintesa da Tacito. l7l Tale ordine è giustamente ritenuto senza impon.anza, per la ricostruzione del percorso piteano. da F. Gisinger, s. v. Pytheas, cit., nota l, col. 328, con ulteriore bibliografia. m: Si veda la discussione di alcune di queste ipotesi da parte di F. Gisinger, Pytheas, cit.. coli. 328329; cfr. anche G. E. Brochc, P:;theas le Massaliote. cit., pp. 97-100; 14S; 149-150; 193-198. 170
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Alcune ipotesi appaiono decisamente inverosimili ed inaccettabili, poiché prevedono che Pitea abbia compiuto l'esplorazione delle cost~ britanniche, ripercorrendo addirittura ampi tratti di costa già esplorati 173 • E infatti poco credibile che l'esploratore potesse concedersi il lusso temporale di ripetere più volte lo stesso tragitto, dopo essersi dimostrato in altre occasioni bene attento nella scelta del percorso da seguire e nell'individuazione delle tappe da compiere, in base aJla rilevanza e all'interesse che esse rivestivano per le sue indagini. Egli, inoltre, aveva sicuramente fatto ricorso ad un bagaglio di esperienze precedenti, aggiornandolo con la raccolta personale di ulteriori informazioni; pertanto doveva essere in grado di impostare la propria esplorazione in maniera coerente, lasciando ben poco aJ caso. Se si escludono tali opinioni e se non si tiene conto dell'inserimento degli eventuali spostamenti e deviazioni che Pitea avrebbe compiuto per giungere a Thule, nelle regioni vicine al circolo polare e all'isola dell'ambra, interrompendo momentaneamente il periplo delle coste britanniche, completo o parziale che fosse, le principali teorie relative al percorso britannico di Pitea si riconducono forzatamente a sole quattro possibili ricostruzioni che in maniera diversa rispondono alla logica dell'itinerario e all'affermazione dei suoi molteplici interessi, di volta in volta astronomici, etnografici, geografici o economici. Vale dunque la pena di analizzarle rapidamente attraverso le opere di coloro che ne sono stati i più recenti ed importanti esponenti e sostenitori, prima di formulare alcune personali considerazioni in proposito 174 • Ultima in ordine di tempo è la ricostruzione presentata da Serena Bianchetti, la quale ipotizza che dal Belerion il navigatore massaliota abbia costeggiato il lato occidentale della Britannia e che dal promontorio Orkan si sia poi spinto verso Thule (Norvegia); quindi, egli avrebbe riguadagnato la punta settentrionam Decisamente immaginifica si rivela la ricostruzione operata da C. Jullian, Himilcon et Pytheas, cit., pp. l 00-102. che fa compiere a Pitea il periplo completo della Britannia, dal Belerion al Kantion, all'Orkan e di nuovo al Belerion; poi lo fa proseguire ancora una volta lungo la costa meridionale fino al Kantion. Di qui, ~
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le dell'isola, costeggiandone il lato orientale fino al Kantion, per poi dirigersi verso le terre de11'ambra (Helgoland), tra la penisola dello Jutland e la foce dell'Elba, attraversando infine durante il ritorno la Manica 175 • Diversa è la ricostruzione presentata da Christina Horst Roseman, che prima fa percorrere a Pitea il lato occidentale della Britannia, dal Belerion all'Orkan, e che poi- dopo la puntata verso Thule e le altre regioni nordiche, per l'identificazione delle quali ia studiosa rimane nel vago (Shetland, Faer 0er, Norvegia)-, lo fa giungere alle terre dell'ambra (Helgoland e la costa frisone) e all'Elba; di qui. pervenuto alle foci del Reno, Pitea avrebbe attraversato la Manica diretto al Kantion, per seguire quindi la costa meridionale dell'isola ed infine compiere il viaggio di ritorno verso il Mediterraneo 176• In tal modo egli avrebbe compiuto solo un periplo parziale dell'isola, comprensivo della costa occidentale e di quella meridionale. L'ipotesi che Pitea, giunto al Belerion, abbia proseguito l'esplorazione lungo le coste occidentali della Britannia sembra in effetti essere quella ha ricevuto i maggiori consensi da parte della critica moderna 177 . In particolare, essa si distingue nella formulazione esposta da Roger Dion, non solo per l'autorità di questo che è stato uno fra i maggiori geografi e storici della geografia di questo secolo. ma anche per l'accuratezza della ricostruzione e l'attenzione che egli ha dedicato alla questione piteana nel suo complesso. Lo sludioso francese ipotizzava che Pitea, provenendo da Ouessant, avesse approfittato della potente deriva oceanica, nota col nome di Corrente del Golfo, per inoltrarsi lungo il Mare d'Irlanda, fino al nord della Scozia, e per poi proseguire verso le Shetland, la Norvegia ed infine raggiungere le terre baltiche dell'ambra. Al ritorno dal mar Baltico, Pitea si sarebbe spinto nuovamente fino alle regioni settentrionali della Britannia per portarne così a tennine il periplo completo, costeggiandone il lato orientale fino al Kantion e quello meridionale fino al Belerion 17 8• Il periplo completo dell'isola sarebbe stato realizzato da Pitea anche nella ricostruzione proposta da Bruno Luiselli, col dato rilevante, però, che secondo questo studioso l'esploratore massaliota avrebbe compiuto il circuito in senso inverso, costeggiando prima il lato meridionale, poi quello orientale ed infine quello occidentale, per ritornare così al Belerion1 79. Si tratta, grosso modo. dello 175 Pitea di Massa/io, cit., pp. 60-64 e 173; della stessa studiosa si vedano anche Pirea e la scoperra di Thu/e, cit.. p. 16. e Plinio e la descrizione dell'Oceano ultenrrionale. cit.. in part. pp. 74-78. 176 Pytheas, cit., in pan. pp. 27-28, e fig. 2, p. 23. m Si veda l'ampia disamina critica messa a punto da F. Gisinger, PJiheas, cit.. coli. 327-331. che accoglie tale ipotesi, pure non escludendo del tutto la possibilità che Pitea fosse giunto al Belerion provenendo dal Kantion, in precedenza raggiunto a partire dalla costa Celtica (coli. 344-345 ). 17 !:1 R. Dion. Pythéas explorateur, cit.. in part. pp. 200-209. con la fig. 2 a p. 207; Id .. Aspects poliriques. cit., pp. 191-199. L'ipotesi del Dion. se si esclude una diversa localizzazione di Thule. è sostanzialmente ripresa e seguita anche da C. F. C. Hawkes. Pytheas, cit.. pp. 29-32 e fig. 8. p. 28. ' 79 Storia culturale, cit., pp. 99-100 e p. 111. Secondo B. LuiseiJi, Pitea avrebbe navigato lungo il lato occidentale della Britannia al ritorno dalla spedizione a Thule (Islanda). La sua tesi presenta però il difetto di fare giungere Pitea via terra nel golfo di Guascogna e di dovere poi ricucire con un improbabile percorso oceanico le diverse località da lui toccate. Così, dopo essere tornato dal periplo britannico, Pitea si sarebbe spinto a meridione fino in prossimità di Cadice. senza potere transitare per le Colonne d'Eracle a causa del famigerato «blocco» attuato dai Cartaginesi; per cui, l'esploratore sarebbe ritornato a nord ed avrebbe costeggiato il litorale europeo fino al golfo di Riga, nel Baltico. prima di ritornare sui propri passi e rientrare nel Mediterraneo seguendo la via interna della Garonna, già percorsa all'andata (pp. 112-126)! Tale ipotesi rimanda a quella formulata da G. V. Callegari, Pitea di Massilia, cit.. IX, 1905, p. 243, che fa svernare Pitea a Cadice, al ritorno dalla Britannia, prima del proseguimento del viaggio fino al Tdnais (Elba, Vistola o Ovina) (p. 254).
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stesso itinerario proposto all'inizio di questo secolo da diversi studiosi. Fra questi, ad esempio, Franz Matthias, il quale ipotizzava che Pitea dal Belerion si fosse diretto ad est, lungo la costa meridonale, fino all'isola di Wight, per poi attraversare il canale della Manica da Dover a Calais, pervenendo quindi alla costa dell'ambra nel Mare del Nord. Di qui, egli avrebbe ripreso la rotta verso nord, costeggiando il lato orientale della Britannia e raggiungendo Thule (Islanda), per poi ritornare lungo la costa occidentale 1so. Diversamente, Paul Fabre ha avanzato l'ipotesi che Pitea. dopo essere giunto al Belerion, abbia seguito la costa meridionale fino al Kantion e poi quella orientale, verso nord, fino al capo Orkan. Da qui, la sua navigazione sarebbe proseguita fino a Thule (Faer 0er) e all'isola dell'ambra (Bornholm). ma al ritorno da questa regione Pitea avrebbe ripercorso la stessa rotta seguita all'andata 181 • Secondo il Fabre, quindi, l'avventuroso massaliota non avrebbe compiuto il periplo completo della Britannia, ma ne avrebbe dedotto le dimensioni fondandosi sull'idea pitagorica che le grandi isole avevano forma triangolare, determinandone il perimetro in base alla conoscenza della lunghezza dei due lati ..da lui percorsi 182. E dunque evidente che, tralasciando per ora le altre eventuali mete, le distinzioni sostanziali riguardano la realizzazione del periplo completo dell'isola o l'esplorazione di soli due lati di essa, e la direzione seguita nel corso della . . navtgaztone. Il primo riferimento da cui partire per tentare di comprendere questo aspetto dell'itinerario piteano è indubbiamente costituito dalla sua presenza al Belerion, che dovette essere la sua prima tappa sul suolo britannico. Se, infatti, come sembrano indicare le testimonianze. uno degli intenti di Pitea fu quello di chiarire quali fossero i luoghi di provenienza e smistamento dello stagno, appare quanto meno logico che egli non abbia limitato le proprie indagini alle isole armoricane ma si sia spinto conseguentemente e direttamente ai luoghi di produzione del prezioso metallo, nella non lontana Cornovaglia. La distanza di quattro giorni di navigazione dal continente parrebbe avvalorare tale ipotesi, inserendosi nell'ordine dei riferimenti alla rotta occidentale che dal Finisterre iberico portava a Ouxisama, anche se l' individuazione di tale rotta risale probabilmente al momento del ritorno dalle regioni settentrionali. Pitea, quindi, doveva avere inizialmente annotato solo la distanza di un giorno di navigazione tra l' Armorica, probabilmente a partire dal capo Kabaion, e il Belerion. La concordanza delle informazioni trasmesse da Diodoro e Plinio, nella comune mediazione timaica, contribuisce poi a localizzare nella baia di Penzance, presso St. 180 F. Matthias, Ober P_vtheas \'On Massilia und die iilteren Nachrichten von den Germanm, l. Berlin, 190 l, PP- 12-18. Un accenno meritano anche le ricoslruzioni proposte in quello stesso periodo da alcuni studiosi italiani. Nicola Parisio ipotizzava che Pitea avesse seguito la costa celtica settentrio· naie, attraversando la Manica in prossimità del Kantion, per poi proseguire lungo la costa orientale della Britannia. Dall'Orkan egli si sarebbe spinto a nord fino a Thule (Islanda), per poi tornare indielro e costeggiare il lato occidentale dell'isola. ponandone a tennine il periplo prima di proseguire verso il mar Baltico (Pitea da Marsiglia, cit., pp. 603-609). Secondo G. V. Callegari, Pitea sarebbe invece sbarcato iniz.ìalmente al Belerion, per poi costeggiare l'isola fino al Kantion e all'Orkan. Di qui, egli sarebbe giunto alle Shetland, ove avrebbe raccolto le informazioni su Thule (Islanda o Norvegia), per ritornare poi lungo il lato occidentale della Britannia (Pitea di Massilia, cit., VIII, 1904, pp. 233-236, 548, 556. e IX. 1905, p. 244}. 181 Massaliotes. cit.. in part. pp. 36-47. 1!12 Les Ma.ssaliotes, cit.. p. 37.
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Michael's Mount, la sosta, o una delle soste, effettuata da Pitea nella regione. A questo punto del viaggio, giunto nella regione sud-occidentale della Britannia, Pitea poteva scegliere se muoversi direttamente verso nord, seguendo il lato occidentale dell'isola, o dirigersi lungo la costa meridionale. Se nel primo caso poteva forse giovarsi della spinta fornita dalla Corrente del Golfo, non di meno, andando verso est egli avrebbe trovato condizioni di navigazione altrettanto buone, potendo usufruire di deboli correnti permanenti e di venti favorevoli. Al contrario, inoltrandosi nel Mare d'Irlanda, Pitea si sarebbe maggiormente esposto alle depressioni atlantiche e ai loro venti violenti, soprattutto in prossimità delle coste scozzesi 1R3• Viene quindi meno una delle motivazioni talvolta addotte a favore del percorso occidentalel84, senza però che questo ne escluda la realizzazione. Si può certo osservare che spingendosi lungo questo lato dell'isola Pitea si sarebbe allontanato decisamente dal riferimento della costa celtica e continentale, mentre navigando lungo il Canale della Manica egli avrebbe forse potuto individuare luoghi e popolazioni già noti 185 , e raccogliere inoltre ulteriori notizie sulla rotta verso settentrione, ma tale considerazione trova un limite nell'impossibilità di conoscere quelli che furono i reali intenti di Pitea. Ovvero, se l'esploratore mirasse fin dall'inizio al raggiungimento delle regioni settentrionali dell'isola o se tale impresa sia stata progettata solo in un momento successivo. L'unico indizio che, a mio parere, può rivelarsi determinante nel tentativo di ricucire le parti dell'itinerario piteano è quello fornito dalla testimonianza di Strabone, secondo C!Ji Pitea aveva posto il Kantion ad alcuni giorni di navigazione dalla Celtica 186 • E probabile che anche in questo caso lo studioso di Amasea fraintenda il reale significato dell'affermazione del Massaliota, per cui la distanza potrebbe fare riferimento a quello stesso elemento cardine della rappresentazione geografica piteana costituito dal promontorio Kabaion e non alla più breve rotta attraverso la Manica seguita poi da Cesare. In tal modo, la posizione del promontorio britannico verrebbe ad essere messa in relazione con la linea occidentale definita dal KUP't'W!J-rt dell'Europa, a partire dalla quale era dunque rilevabile cartograficamente. Tale affermazione da parte di Pitea potrebbe avvalorare la tesi di una navigazione diretta dal Belerion al Kantion, computando per entrambi i promontori la distanza rispetto ad un punto preciso della costa celtica occidentale, quale Ouxisama o il Kabaion. Una volta giunto al Kantion, Pitea si sarebbe diretto poi verso nord fino al promontorio Orkan; infatti, l'assenza dell'osservazione di un percorso più breve tra l'isola e il continente, quale 183
Lo studio di R. Sanquer. R. Piot e P. Galliou. Probfemes de ncwigation en Manche occidentale
à /'époque romaine. «Caesarodunum». XII. 2. 1977, pp. 491-508. basato su argomentazioni di tipo
nautit.:u e sui dati urt.:heulugici, ha infatti dimostrato çhe la navigazione auravensu la Maniça non era affatto più difficile di quella lungo il Mare d'Irlanda e soprattutto lungo le coste scozzesi; secondo questi studiosi, sarebbe decisamente sorprendente che un navigatore in grado di spingersi fino a Ouessant e alla Cornovaglia non fosse in grado di proseguire verso est. lungo il canale della Manica (p. 495). A simili conclusioni giunge anche M. Reddé, La nm•igation au large des cotes atlantiques de la Gaule à l'époque romaine, «MEFRA», 91. 1979. pp. 481-489. Cfr. inoltre. per una età però successiva, L. Langouet, Le site portuaire d'Aiet-Reginca et le t rafie maritime en Manche aw.: époques pre-romaine el gallo-romaine, in Actes du J07e Congrès national des Sociétés savantes, cit., pp. 89-103. 1114 Ad esempio. da R. Dion., Pythéas exp/orateur, cit.. p. 203. 185 Le relazioni tra le regioni meridionali dell'isola e l'antistante costa celtica sono oggi chiaramente documentate dali" evidenza archeologica. Pitea poteva dunque avere raccolto alcune informazioni su queste regioni già in precedenza. 11111 Strabo. l. 4. 3. C 63 = F 7a Bianchetti = F 6a Mette.
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sembra presupporsi in base al testo di Strabone, non giova certo all'ipotesi che dal Kantion Pitea si sia diretto verso la costa continentale, oltrepassando la foce del Reno e raggiungendo la Frisia e lo Schleswig. La ricognizione perimetrale dell'isola da parte di Pitea potrebbe essersi limitata a questi due soli lati e alla raccolta di informazioni sulle regioni occidentali ed eventualmente sulle isole e gli arcipelaghi antistanti, dei quali, se si escludono l'Irlanda e l'isola di Mona 187 , non vi sono menzioni almeno fino ali' età imperiale. Cesare, che le ricordava entrambe, conosceva anche l'esistenza di altre isole minorL nelle quali all'epoca del solstizio d'inverno la notte durava trenta giorni consecutivi 188• Egli dunque dipendeva con tutta evidenza da narrazioni che intrecciavano in maniera acritica alcuni dei risultati delle indagini di Pitea sulla straordinaria durata del giorno all'epoca del solstizio estivo e della notte al solstizio invernale nelle regioni settentrionali; opere la cui esistenza è attestata da Plinio. allorché sostiene che nelle regioni prossime al polo il giorno e la notte durerebbero sei mesi e che Pitea avrebbe affermato che questo accadeva nell'isola di Thule, mentre secondo altri autori la stessa cosa si sarebbe verificata nell'isola di Mona 189 • Evidentemente le due isole erano state accomunate in qualche raccolta di Mirabilia fra quelle poste nel1' oceano settentrionale e si era poi provveduto a localizzarvi fenomeni ben diversamente ubicati. Plinio. infatti, altrove indica più correttamente che a Thule non vi era notte all'epoca del solstizio estivo. allorché il sole attraversava la costellazione del Cancro, e non vi era giorno all'epoca del solstizio invernale, ma rigetta l'opinione di altri secondo cui tali fenomeni si protraevano per sei mesi ' 90 . Anche Strabone ricorda brevemente l'esistenza di alcune piccole isole accanto alla Britannia e a Ierne, ma in esse è forse possibile riconoscere le attuali Orkneys. situate di fronte al capo Orkan raggiunto da Pitea e menzionate anche da Pomponio Mela. nel contesto più generale delle isole occidentali e settentrionali 19 1. Nel testo di Mela compaiono anche sette isole Haemodae che sembrano corrispondere alle sette Acmodae note a Plinio, anche se la loro identificazione con le Shetland è tutt'altro che sicura 192 • Un elenco più completo, anche se correlato di scarse informazioni, è per la prima volta fornito da Plinio, ma, nonostante la chiara origine greca di alcuni dei nomi riportati, le fonti da lui utilizzate sono probabilmente più recenti 193 , pure se accompagnate a testimonianze più antiche come quella di Pitea. 187
Forse !"odierna isola di Man. anche se Plinio (N.H .. Il, 77 e 187) e Tacito (Agricola, 14) designano con lo stesso nome l'odierna isola di Anglesey. IHS B.G .• V. 13. 4-5. 189 N.H .. II. 187 = F 9a Bianchetti= F 13a Mette. lt)() N.H., IV. 104 = F 8f Bianchetti= F llb Mette. 19 1 Chor .. m. 6. 54. Mela ne conta 30. mentre Plinio (N.H., IV, 103) ne conosce 40. 19 1 Alle Shetland pensano A. L. F. Rivet e C. Smith, The Place-names of Roman Britain, cit., p. 41. ma A. Silberman, Pomponius Mela. cit .. nota 9, p. 82 (p. 286). ritiene piuttosto che sotto tale nome si celino le isole danesi e il sud della Scandinavia. Egli infatti restituisce il testo di Mela con una diversa punteggiatura che gli consente di mantenere una antica correzione apponata al manoscritto Vatica11u.'i latinus 4929 di IX secolo, dal quale dipendono tutti gli a1tri codici successivi della Chorographia (si veda l'introduzione all'edizione. pp. XLIII-L), così che la Scadinm•ia menzionata da Mela verrebbe annoverata tra le Haemodae. 19J Sì può pensare ad Agrippa, menzionato a proposito delle dimensioni delJa Britannia e dell'Hibemia, a lsidoro o a Filemone. che A. Silberman. Pomponius Mela, cit., nota 8. p. 82 (p. 286). ritiene essere la fonte di Mela a proposito delle Orcadì e che senz'altro sì era occupato dell'Irlanda (cfr. Ptol., Geogr., l, Il, 7). L'appono principale all'incremento delle informazioni sulla Britannia dovette
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
Quanto all'Irlanda, variamente denominata 194 , era posta genericamente a nord della Britannia 195, tanto che per Strabone essa risultava essere la più nordica delle regioni abitate, a circa 56° di latitudine nord 196 ; le condizioni di vita erano miserevoli a causa del freddo e la popolazione era una delle più barbare197. La sua forma era pressappoco rettangolare, ma anche a questo proposito le notizie erano vaghei 98 , tanto più che secondo Strabone le informazioni che si avevano sull'isola non provenivano neppure da testimoni degni di fede 199 • Poiché subito dopo è questione di Pitea e di Thule 200 , e poiché Strabone non perdeva occasione per denigrare lo studioso massaliota, si può ragionevolmente pensare che le informazioni su Ierne in possesso di Strabone derivassero indirettamente dal bistrattato esploratore. D'altra parte, se si esclude Pitea, non si vede a chi altri possano risalire, anche perché il confronto con Diodoro consente di individuare la fonte comune in Posidonio- anche se dell'isola dovevano trattare già Timeo 201 , Eratostene e Ipparco - quindi un autore che precedette la prima puntata romana verso nord. Del resto, lo stesso Cesare era in possesso di ben scarne notizie su quest'isolalm, e per di più diverse da quelle che si ritrovano in Strabone, in Diodoro e Mela. Ciò non significa però che Pitea fosse giunto anche in Irlanda o che ne avesse costeggiato il lato orientale percorrendo il canale che la separa dalla Britannia. Come mostra il confronto istituito da Diodoro e Strabone tra l'antropofagia degli abitanti dell'isola e le identiche pratiche in uso presso gli Sciti, i Celti, gli Iberi e altre popolazioni, tali notizie debbono ascriversi altopos etnocentrico del cannibale localizzato oltre i propri confini, emblema della ferinità dell'altro riscontrabile presso le più diverse culture203. Esse. dunque, denunciano una origine indiretta, e vennero raccolte probabilmente presso gli abitanti del Belerion, i cui costumi, come afferma Diodoro, si erano inciviliti in seguito al essere dato dalla sua parziale conquisla avviata da parte dell'imperatore Claudio, tra il 43 e il 44 d.C.; cfr. A. Galimberti, La spedi:.ione in Britannia de/43 D.C. e il problema delle Orcadi, «Aevurn)), LXX. t 996. pp. 69-74. Chiaramente, nel lungo periodo intercorso tra le spedizioni di Cesare e quella di Claudio, tenendo conto anche dci presunti progetti di Augusto e di Caligola, affluirono a Roma numerose infonnazioni. I
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contatto con i mercanti stranieri e per i quali ormai gli abitanti di leme rappresentavano l'alterità. La stessa isola, come rivela la sua probabile etimologia, si inscriveva nel novero delle isole iniziatiche e magiche, e allo stesso tempo rappresentava forse per i Britanni del Belerion anche una sorta di Aldilà posto oltre i confini accessibili agli uomini. Inoltre, se si attribuisce a Pitea l'origine delle informazioni sull'isola fornite da Strabone, non si capisce per quali motivi Pitea avrebbe collocato lerne a nord della Britannia, quando, navigando oltre il Mare d'Irlanda e il North Channel, avrebbe dovuto apparirgli evidente la ridotta estensione verso nord dell'isola rispetto alla Britannia. La posizione settentrionale dell'isola va dunque valutata rispetto al luogo nel quale l'informazione venne raccolta. Non era pertanto nel torto Tacito. se si tralascia la precedente esperienza degli Usipi, allorché attribuiva alla flotta romana inviata da Agricola il merito di avere dimostrato l' insularità della Britannia2°4 , anche se in questo caso, come in quello dell'avvistamento di Thule da parte della stessa flotta 205, entravano in gioco motivazioni «politiche» e propagandistiche nei confronti dell'operato del suocero Agrippa, cui viene ad esempio attribuita la scoperta delle Orcadi che invece erano state raggiunte precedentemente da Vespasiano. agli ordini di Claudio, tra il43 e il44 d.C. 206 . D'altra parte, agli occhi dei contemporanei. lo stesso Cesare si mostrava e appariva nelle vesti di colui che per primo aveva scoperto la Britannia207 • Tuttavia. in entrambi gli autori latini, la contigua presenza di riferimenti alla particolare connotazione astronomica della Britannia sembra suggerire una reminescenza delle informazioni piteane. Questa si avverte particolarmente nelle opere di Tacito, nelle quali è estesa al ricordo di Thule e ad altre osservazioni sui caratteri economici, etnografici e fisici (i moti marini nel nord dell'isola) che trovano precisi riscontri in quanto si può ricostruire della descrizione piteana. Si può allora sospettare che lo storico latino avesse una conoscenza non solo superficiale del lle:pi 'Uxe:cxvou piteano e che l'affermazione dell'avvenuto riconoscimento dell'insularità della Britannia vada letta come reale superamento e come definitiva realizzazione del periplo completo che Pitea non aveva portato a compimento. Per quello che riguarda il perimetro dell'isola, le misurazioni relative ai suoi lati e la schematicità della sua forma triangolare, non vi è alcun bisogno di fare intervenire delle presunte influenze pitagoriche208 , altrimenti non individuabili, poiché gli antichi, alla pari dei moderni, ebbero la tendenza a rappresentare con forme geometriche o con quella di oggetti noti le regioni de li' ecumene 209. Conoscendo due lati e i tre vertici della Britannia, ed avendo raccolto informazioni sulle regioni non personalmente esplorate, Pitea non doveva trovare grosse dif~CM
Agricola, 10. 5; cfr. Cass. Dio. LXVI. 20. Agricola, l O, 6; si Lratta sicuramente, in questo caso. delle Shetland. 2Ut- Cfr. A. Galimberti, La spedizione in Britannia, cit.. pp. 69-74. Sull'idealizzazione delle imprese esplorative e militari di Agricola da parte di Tacito, si veda A. A. Lund, De Agricola primo inventore (Tac. Agr. /0, 3 et 24. l). «Gymnasium}), 87, 1980, pp. 275-282. 20 7 Paneg. lat., IV, li. 2; Atht=n., VI, 105, 273b. 2°11 Tali influenze sono addotte da P. Fabre, l.Rs Massaiiotes. cit., p. 37. 209 Ad esempio: Strabo. Il, 5, 6. C 113, in cui la fonna dell'ecumene viene paragonata ad una clamide (mantello}, e le terre com{'rese nell'emisfero settentrionale vengono rappresentate come una testa di carciofo, o conchiglia (cr-'l'tovouÀoc;); il confronto con la testa di carciofo ritorna in SLrabo, Il, 5, 13, C 118, mentre Strabo, III, l, 3, C 137, paragona l'lberia ad una pelle di bue. Su questi ed altri esempi di crx~IJ-a't"a, antichi e non, si veda F. Cordano, La geografia degli antichi, cit., pp. 193-199, con relativa bibliografia. 2o5
U viaggio di Pitea sull'Oceano
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ficoltà nel fornire. una sommaria e schematica definizione geometrica dell'isola che ne facesse comprendere la forma, vagamente simile a quella della Sicilia, ali' eventuale lettore2to. D'altronde, nessuna fonte, pure riferendo le opinioni di Pitea sulla forma e sulle dimensioni della Hritannia. dichiara esplicitamente che egli ne abbia compiuto il periplo; come si è visto, Tacito sembra asserire il contrario. Il fatto che egli affermasse di avere percorso tutti i luoghi accessibili della Britannia non signitica infatti che egli abbia circumnavigato r isola; anzi, tale eventuale affermazione non sarebbe stata certo ignorata dalla critica di Polibio. Non fu certo poi per questo motivo che egli prolungò il viaggio fino al promontorio Orkan, come chiarisce quella che fu la sua meta successiva. Spingendosi a nord. fin dove possibile, l' intraprendente massaliota intendeva trovare una conferma pratica alla teoria della sfera recentemente elaborata da Eudosso di Cnido. dimostrando l'aderenza alla realtà delle teorie sulla durata del giorno alle diverse latitudini, su li ' abitabilità e le condizioni di vita nei climi settentrionali. sulle strutture stesse che regolano l'ordine del cosmo. Come bene indica Strabone. suo scopo era stato quello di unire i fatti, l'osservazione diretta della realtà. alla scienza astronomica ed alla teoria matematica21 1•
zw L'ipotesi che Pìtea avesse calcolato la misura del lato occidentale dell'isola senza percorrerlo era stata già avanzata da J. Lelewcl. Pytheas de Marseille et la Géngrapltie de svn temps. Pari s. 1836. pp. 30-36 (mm vidi). citato da G. V. Callcgari, Pitea di Massilia. cit.. VITI. 1904. p. 236. il quale riteneva che il tentativo <.leJ Lelewel di ricostruire il metodo adottato da Pitea a tale scopo fosse un· ipotesi «dotta e geniale... , nw ardita al punto da non convincere )~. e da G.-E . .Broche. Pytheas le Massaliou•. cit., p. 112. che lo critica per avere attribuito la lunghezza di 20.000 stadi al lato orientale delrisola e per avere ritenuto che Ju misura dd Imo occidentale fosse stata proposta da Pitea <>. m IV. 5. 5. C 20 l= F 8c Bianchetti= F 6g Mette: flpòç !J.ÉV"tot "t'eX oùp~ v> ooç€tE )(~xp·~aO
VI THULE
Il ricordo di Pitea è indissolubilmente legato a quello del più remoto tra i luoghi da lui raggiunti o dei quali aveva fatto menzione nel Ih:pt 'OxEavou: l'isola di Thule. Giunto nel nord della Britannia, Pitea infatti proseguì il viaggio in direzione di mete ancora più lontane. In base ai dati raccolti egli doveva essersi reso conto del fatto che la Bri tannia era solo una, anche se la maggiore, delle isole che componevano un più vasto arcipelago che da essa prendeva il nome. Altre isole probabilmente menzionate da Pitea. oltre a Ieme- che ne avesse o meno una conoscenza diretta-, erano Ictis e quasi certamente le Orcadi, il gruppo di circa 70 isole visibili dal promontorio Orkan, dal quale distano solo l O km, e ad esso legate toponomasticamente~ ma non si può per principio escludere che alcune delle isole menzionate da Plinio e Mela con nomi di chiara origine greca comparissero nel testo piteano, anche se, come si è detto, le fonti direttamente utilizzate dagli autori latini sembrano più recenti e probabilmente risalgono all'epoca di Claudio e alle operazioni di conquista da lui avviate in Britannia. La più remota delle Isole Britanniche, della cui esistenza egli fu evidentemente informato dagli indigeni 1, era appunto Thule, distante sei giorni di navigazione a nord della Britannia. È verso questa terra lontana che mosse Pitea, spinto probabilmente dal desiderio di trovare ulteriori conferme autoptiche a quanto le osservazioni astronomiche fino ad allora compiute gli andavano suggerendo. In particolare, le indagini sulla durata del giorno e sull'altezza del sole ai solstizi, nonché quelle relative alla posizione di determinate costellazioni, dovevano avergli dimostrato senza ombra di dubbio la correttezza della teoria della sfera elaborata da Eudosso di Cnido e da lui stesso perfezionata con una più accurata osservazione del punto in cui si trovava il polo celeste dell'emisfero settentrionale2, per il quale passava l'asse del cosmo e della terra immaginata al suo centro. Tale teoria consentiva di postulare l'incremento della durata del giorno solstiziale alle lati1
Per quanto il viaggio di Pitea si svolga in regioni fino ad allora ignote ai Greci e ai Mediterranei in genere. non credo possibile che egli osasse spingersi nei mari de} nord senza avere una o più mete ben precise, della cui esistenza poteva essere venuto a conoscenza nel corso del viaggio stesso, tramite informatori locali. 2 lpparch .• /11 Arati et Eudo.xi Phaenomena, IV. 1 = F l Bianchetti = F l Mette.
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tudini settentrionali e di ciò egli aveva trovato conferma empirica effettuando i diversi rilevamenti di cui si è già discusso. La possibilità che gli si offriva ora era quella di osservare di persona o, comunque. di trovare conferma diretta dell'effetto più straordinario che veniva previsto da tale teoria: l'esistenza di una latitudine alla quale all'epoca del solstizio estivo il sole non tramontava. Questo è precisamente ciò che secondo Pitea si verificava a Thule. alla latitudine in cui i circoli celesti artico e tropico coincidevano.
V. l - Thule e il sole di mezzanotte Ancora una volta, per ricostruire il viaggio di Pitea si deve fare riferimento principalmente a Strabone, che si sofferma a più riprese su Thule e sulla relazione di Pi te a riguardo le estreme regioni settentrionali d eli' ecu me ne. Stra bo ne non conosceva direttamente r opera di Pitea, ma per quanto concerneva Thule era ben informato per il tramite di Eratostene. La prima menzione di Thule nell'opera di Strabone compare infatti in una sezione dedicata alla critica dei predecessori e, nel caso particolare. allo studioso cirenaico. A proposito della larghezza dell'ecumene calcolata da quest'ultimo, Strabone riferiva che lo studioso cirenaico aveva misurato in 11.500 stadi la distanza tra il parallelo di Boristene e quello di Thule3, di cui Pitea affermava che si trovava a sei giorni di distanza dalla Britannia. verso nord, e che era vicina alla 7tE:1t1ìYUta 6ciÀa-r-ra. il mare congelato4 ; ma si può anche tradurre coagulato, solidificato, rappreso. La distanza di 11.500 stadi secondo Strabone era inaccettabile, perché Pitea, l'uomo che aveva raccontato di Thule, era riconosciuto come un grandissimo bugiardo5, e coloro che avevano visitato la Britannia e Ierne non dicevano nulla di Thule, pur parlando di altre piccole isole vicine alla Britannia. Inoltre, Pitea aveva mentito anche a proposito delle dimensioni della Britannia, della distanza del Kantion dal continente e per quello che riguardava gli 'Ucr-rtatot, e le popolazioni e i luoghi posti oltre il Reno fino alla Scizia6 . Oltre a non capire come potesse Eratostene riporre fiducia nelle notizie riportate da Pitea, Strabone non comprendeva neppure che lo studioso di Cirene aveva calcolato geometricamente e non per diretta esperienza la distanza tra Boristene e Thule. Eratostene~ infatti, dopo avere misurato in 252.000 stadi la circonferenza terrestre 7• si era impegnato a stabilire una griglia di latitudini per l'emisfero settentrionale avendo come riferimento diverse località che supponeJ F II C. 2 Berger. "' F Sa Bianchetti= F 6a Mette. 5 I. 4, 3, C 63: ·o -rE yà.p 1rr-ropwv -r~v HouÀYjv IIuOÉ:ac; à.v~p l}woirr-ra-roc; i~i-rarr-ra~. 6 I, 4. 2-4, C 62-63. 7 F Il B. 30 Berger = Vitruv., De arch., l, 6. 9; F Il B. 31 Berger = Plin .• N.H .• li, 247; F II B. 32 Berger =Censorio .• De die nat., 13. 2. Si vedano anche i FF II B. 34-35 = Cleom., Caelestia. l, IO, nei quali è spiegato il metodo utilizzato: Eratostene calcolò che l'arco di meridiano tra Siene e Alessandria rappresentasse 1150 del meridiano terrestre; poiché la distanza tra le due località equivaleva a 5.000 stadi, egli ottenne il valore originario di 250.000 stadi per la circonferenza terrestre, poi corretti a 252.000 per comodità di calcolo, essendo quest'ultima cifra divisibile per sessantesimi; il che conferma il fatto che Eratostene fosse conscio dell'approssimazione dei suoi calcoli. Da segnalare che Plin .• N.H .• Il, 247, accanto alla misura di 250.000 stadi attribuita ad Eratostene, riporta anche l'equivante misura in 31.500 miglia romane, senza accorgersi che quest'ultima corrisponde non a 250.000 ma a 252.000 stadi, dato che Plinio utilizza generai mente il rapporto di l :8 tra miglio e stadi o.
Thule
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va si trovassero all'incirca sullo stesso meridianos. Su questa linea ideale egli prendeva in considerazione una distanza di 5.000 stadi tra Siene, che riteneva posta sul tropico estivo, e Alessandria9; 8.100 stadi tra Alessandria e l'Ellesponto; 5.000 stadi tra l'Ellesponto e Boristene; quindi aggiungeva 11.500 stadi tra Boristene e Thule 10 , che in base alle osservazioni piteane si trovava alla latitudine in cui i circoli celesti artico e tropico coincidevano e pertanto ad una distanza dal polo equivalente a quella tra equatore e tropico estivo. Questa non è altro che l' obliquità del]' eclittica, calcolata in 24 o a partire dalle indagini di Enopide di Chio, ma per la quale Eratostene aveva ottenuto un valore più preciso. Egli stimava infatti che la distanza tra i due tropici corrispondesse a 11/83 della circonferenza terrestrell, equivalenti pertanto a circa 33.400 stadi (per l'esattezza 33.397,59). Rapportato in gradi, il valore di 11/83 di circonferenza corrisponde a poco più di 47° 42 1 39 11 , da cui si ottiene il valore di circa 23° 51 1 19 11 per l' obliquità delJ'eclittica. Gli 11.500 stadi tra Boristene e Thule che a Strabone risultavano incomprensibili erano il risultato del calcolo fondato su questo nuovo valore dell'obliquità. Infatti, dato che nella rappresentazione eratostenica dall'equatore al polo vi erano 63.000 stadi, sottraendo i 33.400 corrispondenti alla distanza tra i due tropici, equivalente alla somma delle distanze tra l'equatore e Siene e tra Thule e il polo, egli otteneva 29.600 stadi per la distanza tra Si e ne e Thule; siccome ve ne erano 18.100 tra Siene e Boristene, non ne rimanevano che 11.500 tra quest'ultima località e Thule 12. Va notato, a questo proposito, che gli 11.500 stadi valgono solo nella rappresentazione eratostenica e non sono riferibili alla tabel1a di Ipparco, come talvolta si è erroneamente sostenuto13, poiché quest'ultimo poneva Boristene circa un grado più ,a sud rispetto ad Eratostene. E interessante rilevare, inoltre, che gli 11.500 stadi di Eratostene corrispondono approssimativamente alle 1.250 miglia romane (l 0.000 stadi) che secondo Isidoro di Carace separavano la foce del Tanais da Thulel 4 . La foce del Tanais è infatti più settentrionale di Boristene. Plinio, che fornisce la cifra di Isidoro, la ritiene una coniectura divinationis. In ciò, quindi. il suo atteggiamento non si discosta da quello di Strabone, ed in questo senso risulta significativo anche il prosieguo del passo pliniano nel quale la misura della circonferenza terrestre da parte di Eratostene è definita in termini simili 15. Isidoro, che ricavava verosimilmente i suoi dati dali 'opera geografica di Eratostene operando la trasformazione degli stadi in miglia romane. è associato a Pitea a proposito del perimetro della Britannial6 ed è probabilmente la fonte di Plinio a proposito delle dimensioni della penisola armoricana 17 , per cui, come si desume dal seguito del brano, nel quale è riportata l'equivalenza in miglia della misura eratostenica della circonferenza terrestre, anche in questo caso le sue informazioni risas F l A. l Berger = Strabo, L 4. l, C 62. 9 FF Il B. 34-35 = Cleom .. Cae/estia, I. IO. 10 F II C. 2 Berger = Strabo. I. 4. 2. C 62-63. t l FII B. 42 Berger = Ptol.. Sym. math., l, 12. 12 Cfr. G. Aujac, Strabon, I, ci t., nota 7, p. 167 (p. 216 ). t3 Così. ad esempio, W. Aly, Strabon von Amaseia, cit.. p. 47 t. tJ FGrHist .. 781 F 7 = Plìn .• N.H., Il, 246. 15 N.H .• Il, 247: inprobum ausum, ven1m ita subtili argumentation~ compr~h~nsum, ut puteat non credere. 16 FGrHist., 781 F Il = Plin., N.H .• IV, 102 = F 7c Bianchetti= F l lb Mette. 17 N. H., IV, 107.
Il viaggio di Pìtea sull'Oceano
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livano ad Eratostene e. indirettamente, per quanto riguarda Thule, a Pitea. Tornando a Strabone, egli affennava poi che Pitea aveva indicato Thule, la più settentrionale delle Isole Britanniche, come limite estremo's. in cui i circoli celesti tropico estivo e artico coincidevano (il che avviene a circa 66° di latitudine); ma nessun altro riferiva dell'esistenza di un'isola chiamata Thule né che le contrade abitabili si estendessero fino al luogo in cui il tropico estivo coincideva con il circolo artico. Egli infatti riteneva che tale limite fosse posto molto più a sud, dato che autori a lui vicini non segnalavano oltre leme, situata a nord della Britannia, null'altro che uomini completamente selvaggi che vivevano miseramente a causa del freddo. Pitea perciò avrebbe mentito su tali regioni, così come aveva mentito riguardo a Massalia 19 • Dopo aver parlato della Britannia e di leme, Strabone ricordava nuovamente Thule, su cui le informazioni erano ancora più incerte a causa della sua lontananza (otà 't'Òv È:x'!07ttcr!J-Ov). Questa infatti era la più nordica delle terre che avessero un nome. Ciò che aveva riferito Pitea su di essa e sugli altri luoghi vicini risultava chiaramente falso; infatti, avendo egli mentito riguardo a regioni conosciute, il suo resoconto sulle regioni remote (7te:pi '!WV È:x'!E'!07ttO"!J-Évwv) risultava ancora più inaccettabile. Strabone doveva tuttavia ammettere che Pitea aveva correttamente accordato i dati astronomici e la teoria matematica ai fatti dicendo di coloro che vivevano nella zona glaciale(~ xa'!E~UY!J-~VYj ~WVYj) che mancavano completamente di piante coltivate e che gli animali erano insufficienti; essi si nutrivano di miglio, altre verdure, frutti selvatici e radici. Coloro che avevano grano e miele ne ricavavano una bevanda; poiché il sole non era limpido, battevano il grano in grandi costruzioni, dopo avervi portato le spighe, infatti non potexano utilizzare aree aperte, per la mancanza di sole ed a causa delle pioggie2o. E evidente in questo contesto la difficoltà che Strabone incontra nella collocazione di Thule, indicata prima come limite estremo, poi come ultima delle regioni che abbiano un nome. In questo caso la ripetizione di È:x'!07ttG'!J-OV - È:x'!E't'07ttcr!J-~Vwv indica l'estraneità stessa di Thule rispetto anche alle regioni più lontane 21 • Sempre Strabone riferisce che, secondo Polibio, Pitea avrebbe indotto molti all'errore per quello che aveva raccontato sulla Britannia, su Thule e sui luoghi nei quali non si troverebbe né terra vera e propria né acqua né aria, ma un composto o miscuglio ( cruyxpt!J-CZ) di questi simile alla medusa (7tÀEU!J-WV 6cx.Àa'!'!tOç. cioè polmone marino), in cui, a suo dire, la terra, il mare e tutti gli elementi rimarrebbero sospesi e fluttuanti (cziwpe:ta6at); questo composto costituirebbe una sorta di vincolo di tutti gli elementi (oe:a!J-Òc; -rwv oÀwv), nel quale non sarebbe possibile né camminare né navigare. Il fenomeno in fonna di medusa Pitea affermava di averlo osservato di persona (aÙ't'Òç ~wpax~vat), le altre cose di conoscerle per sentito dire (È:~ tixoi)ç). Questo è quanto raccontava Pitea; e sosteneva inoltre che, ritornando da quei luoghi, egli avrebbe percorso Tà i.i~-ra-ra: il limite estremo dell'abitabilità o l'ultima delle regioni abitabili, come risulta dal prosieguo della testimonianza. 19 II, 5, 8, C 114-115 = F Be Bianchetti= F 6c Mette. Il riferimento in questo caso è diretto contro la latitudine di Massalia trovata da Pitea ed utilizzata da lpparco per collocare anche Bisanzio sullo stesso parallelo. Strabone, come si è visto, pur di attribuire a Pitea una nuova menzogna. finiva per porre Massalia a sud di Bisanzio. 2° IV. 5, 5, C 201 = F 8c Bianchetti= F 6g Mette. 21 «Régions situées au delà des lieux accessibles» è la traduzione di F. Lasserre, Strabon, IV, cit .• p. 168. Il verbo Èx"ro7tt'l;E~v è utilizzato, sempre in relazione a Thule. anche in Strabo, I, 4, 4, C 63. 111
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tutta la costa oceani ca d eli' Europa, da Cadi ce fino al Tanais 22 • Secondo Polibio, era inverosimile che un uomo solo e povero avesse percorso queste distanze per mare e per terra. Eratostene, pur con qualche tentennamento, si era fidato di lui circa la Britannia, Cadice e l'Iberia. Per Polibio, sarebbe stato meglio fidarsi di Evemero di Messene. Questi infatti diceva di essere giunto in una sola regione, la Pancaia. Pitea invece affennava di essere giunto fino ai limiti del cosmo ('tà "'C'OU KOO'!J-OU 7tÉpo:'to:) e di aver visto tutta l'Europa settentrionale 23. Questo brano è fondamentale per la comprensione dell'opera di Pitea e del suo pensiero e comporta numerosi problemi interessanti, sui quali tornerò anche in seguito. In particolare, oltre ai termini entro i quali si iscrive il viaggio, di cui ho già discusso, esso testimonia dell'attenzione autoptica e della cura con la quale Pitea raccolse e riportò le testimonianze, distinguendo ciò che aveva visto di persona da quanto gli era stato riferito da altri. L'individuazione di questo duplice piano dell'ìnfonnazione fornita è sufficiente senz'altro per attribuire al Massaliota l'adozione di un metodo storico che potrebbe ricalcare quello erodoteo2 4 • L'autopsia di P i te a! con fermata dali' accuratezza delle sue ricerche, c he non va confusa col tentativo topico di rendere credibile l'incredibile, appare però anche figlia del proprio tempo e si inserisce nel fervido dibattito svoltosi nel IV secolo, allorché soprattutto il pensiero platonico portò ad una svalutazione dell'autopsia e ad una rivalutazione delràxo~. In questo senso, le affermazioni di Pitea, se lette alla luce della sua attività come esploratore, geografo, astronomo ecc., si distaccano dal pensiero platonico per avvicinarsi semmai alla 7!0 ÀU!J- ~~ta. teorizzata da lsocrate e a11' ~~ 1tEtpia. aristotelica25. Non si tratterebbe, dunque, di affermazioni occorse casualmente nell'opera piteana, ma di una vera e propria teorizzazione della conoscenza e dei suoi metodi. Conferme di ciò, a mio parere, si possono rinvenire proprio nel passo straboniano, in cui compare un riferimento velato a Platone, nell'uso del verbo o:twp~ta6at, che il filosofo aveva utillzzato per descrivere il moto di oscillazione che causava il confluire e rifluire delle acque nel Tartaro 26. A Platone, Pitea sembra legato indirettamente per il tramite di Eudosso, e dunque non è improbabile che egli ne conoscesse le riflessioni sul significato di o~tç e: àxo~ ed è significativo che proprio nel momento più pienamente platonico della sua esperianza, l'incontro col Ò~O'{J-Oç 't"{;.lv Àl1.lv:n, P1tea prendesse le distanze dali' insegnamento del filosofo, dimostrando così la propria autonomia intellettuale L'intera testimonianza, poi, potrebbe appartenere ad un particolare contesto del lle:pl 'nx~o:vou, ovvero ad una sorta di conclusione nella quale Pitea ricapitolava realmente e metaforicamente i termini del viaggio e le.principali osservazionPB, ed evidentemente enunciava il principio autoptico sul quale si era
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lt, 4, l, C 104 = Polyb., XXXtV, 5, 1-6 = F 8d Bianchetti= F 7a Mette. Polyb., XXXtV. 5, 7-10 = Strabo. II, 4, 2, C 104. 2-' Cfr. H. J. Mette. Pytheas. ci t .• p. 7; S. Bianchetti, Pitea di Massalia, ci t., pp. 166-167, che rimanda ad Herod., Il, 29. 25 Per l'evoluzione del signiticato di cr.u-ro~icr. nel tV secolo a.C. rimando a G. Nenci, Il motivo dell'autopsia nella storiografia greca, «SCO>~. llt, 1955, in part. pp. 36-38, e a G. Schepens, ÉpJwre sur la valeur de f 'autopsie ( FGrHist 70 F Il O = Polybe XII 2 7, 7 ), « AncSoc>>, 1, 1970, pp. 163-182. 26 Pha.ed., 111 e-l12b. 27 Sul quale si veda oltre. 28 Cfr. R. Dion, Où Pythéas voulait-il aller?, cit., pp. 1317-1318, il quale ritiene che la frase piteana xcr.i È7tet"lle:À6wv iv6ivò€ debba essere tradotta «e n se mettant à récapituler apanir d'ici», intendendo! a 22 23
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
fondato nell'intraprendere le proprie indagini. Tra l'altro, la fonte di Strabone in questo caso era Poli bio. il quale, mostrando di avere una conoscenza diretta del 0Ept ~!lxEavou, citava Pitea, Dicearco ed Eratostene come i soli autori recenti di opere geografiche che meritassero di essere presi in considerazione29, e proseguiva con la critica ad Eratostene per aver prestato fede a Pitea, il quale pretendeva di aver esplorato personalmente (x.a-rw7t't'Eux.Évat) le regioni settentrionali dell'Europa; cosa che a dire di Polibio non sarebbe stata credibile neppure se affermata dal dio Hermes3°. Il verbo Xtl.'t'07t't'e:uw qui utilizzato da Polibio trova riscontro nella sua opera nel significato di osservare, riconoscere. dunque vedere di persona31 , ma in questo caso risale effettivamente alle affermazioni con le quali Pitea riassumeva il senso della propria indagine sottolineandone il carattere autoptico. Tale dichiarazione metodologica è in stridente contrasto con i giudizi negativi attribuitigli da Strabone, soprattutto quando si tenga presente che lo stesso geografo poco oltre nel testo sembra farla propria affermando di avere una vasta esperienza diretta delle regioni ecumeniche ma soprattutto di affidarsi alla tradizione orale, all' àx.o~, seguendo il metodo generalmente in uso fra i geografi 32 . Si può allora sospettare a ragione che la critica straboniana miri in effetti a screditare l'opera di Pitea perché essa rappresenta ai suoi occhi il celato modello ideale33. La preoccupazione autoptica che accompagnò l'indagine di Pitea è illustrata adeguatamente da un brano di Gemino, autore di un compendio di astronomia vissuto forse nel l secolo a.C.34, che costituisce tra l'altro l'unica citazione letterale dell'opera piteana, per quanto giunta attraverso una tradizione indiretta. Gemino presenta infatti una tabella schematica delle principali latitudini, corredata di informazioni di varia natura che mischiano il dalo scientifico a quello puramente letterario, nella quale, pur senza menzionare Thule, fa evidente riferimento a questa regione e a quelle limitrofe sulle quali aveva scritto Pitea. Egli afferma che a nord della Propontide il giorno più lungo durava 16 ore; ancora più a nord si passava a 17 o 18 ore. Queste sembravano essere le regioni nelle quali era giunto Pitea di Massalia, poiché nella sua opera ne:pi 't'OU 'Ux.Ea vou affermava: «i Barbari ci mostrarono dove il sole riposa. Infatti accadeva in questi luoghi che la notte divenisse molto breve, sia due sia tre ore. così che. poco dopo il suo tramonto, il sole si levava di nuovo)>35. Gemino aggiunge-
quindi «com me un sommai re du parcours depuis les Colonnes d'Hercule jusqu' au Tanai's, mais le long de la face exteme ou «parocéanitique» de I'Europe». Personalmente ritengo che non sia necessario tradurre È1tavd,6wv con «ricapitolando», ma che comunque questo sia effettivamente il senso attribuibile alla testimonianza nel suo complesso. 29 Polyb., XXXIV. 5. l BUttner-Wobst = Strabo, II. 4. I. C 104 = F 7b Bianchetti = F ?a Mette. 30 Polyb.. XXXIV, 5. 8 BUttner-Wobst = Strabo. Il, 4, 2, C 104 = F 21 Bianchetti = F ?a Mette. 31 III. 45. 3. Cfr. P. Chantraine, Dictionnaire élymologique de la langue grecque. Hìstaire des mols, III. Paris. 1974, p. 811. ove si evidenzia il significato di «spiare». 32 Strabo, II. 5, Il, C 117. Su questo punto si veda R. Dion. Pythéas explorateur, ci t.. pp. 198-199. 33 Così G. Aujac, Strabon et la science de son temps, cit., pp. 45-48. -'4 Tale datazione è controversa. G. Aujac, La géogruphìe dans le monde antique, cit., p. 22, lo data al I secolo a.C. e ne fa un allievo di Posidonio, mentre C. H. Roseman, P.wheas, cit., p. 12, segue l'ipotesi avanzata da O. Neugebauer, History of Anciem Mathematical Astronomy, New York, 1975, p. 572, secondo cui l'attività di Gemino andrebbe collocata attorno alla metà del l secolo d.C. 35 Gemin., Elem. astr .• VI, 8-9 = F 13a Bianchetti= F 9a Mette. La notte di tre ore, equivale ad una latitudine di circa 64°: quella di due, ad una latitudine di circa 65°. Si veda in proposito la tabella sulle latitudini settentrionali in Gemino, Cleomede e Plinio presentata da G. Aujac, Géminos, cit.. nota 3, p. 34 (pp. 135-136).
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va che, secondo Cratete il grammatico, di questi luoghi avrebbe parlato perfino Omero a proposito della città dei Lestrigoni3 6 , la cui descrizione si adatterebbe. in base alla matematica ed alla teoria della sfera, a luoghi in cui il giorno durava 23 ore. Avanzando ulteriormente verso nord si giungeva dove il tropico estivo era completamente al di sopra della terra ed il giorno, al solstizio estivo, durava 24 ore. Ancora più a nord il giorno durava uno, due, tre, quattro, cinque e sei mesi; dove durava sei mesi vivevano, secondo Cratete, i Cimmeri di Omero3 7 • Letta alla luce del precedente brano straboniano, la testimonianza di Gemino conferma il fatto che Pitea effettivamente distinse accuratamente i fenomeni visti di persona da quelli sui quali era informato dagli abitanti dei luoghi visitati, come i Barbari che in questa occasione aveva consultato allorché non era stato in grado di verificare personalmente la durata del giorno più breve. La testimonianza degli indigeni, correttamente esplicita, era per lui una prova sufficiente perché in accordo con la teoria della sfera e con le altre osservazioni compiute e le informazioni raccolte nel corso del viaggio. · Singolarmente. l'unico vero brandello deJl'opera piteana si trova ripetuto in un passo di Cosma lndicopleuste38 , che risale evidentemente alla stessa fonte di Gemino, probabilmente da identificare con Posidonio. Questa non è però l'unica mediazione, poiché, almeno per Gemino, è evidente anche una sua dipendenza da Cratete di M allo, che aveva operato una revisione della geografia america sulla base dei risultati delle più recenti indagini, compresa quella di Pitea39. Pur con qualche divergenza, un preciso parallelo con il brano di Gemino si trova anche nell'opera di Cleomede, un astronomo vissuto nel II secolo d.C. Dopo aver parlato della durata di 18 ore del giorno nella Britannia e del fenomeno della luminosità notturna, che consentiva perfino di leggere, Cleomede riferiva che, secondo alcuni, il filosofo Pitea di Massalia era giunto sull'isola di Thule, in cui il tropico estivo era completamente visibile sopra la terra e coincideva con l'artico. In questo luogo, quando il sole si trovava nel segno del Cancro, il giorno durava un mese e la costellazione del Cancro vi era sempre visibile. Inoltre, Cleomede aggiungeva che, necessariamente (Ò:vo:yxo:twc;), vi erano latitudini della terra alle quali il giorno durava due. tre. quattro e cinque mesi. Al polo stesso, essendo l'intero Zodiaco sopra la terra, il giorno durava sei mesi 40 • Nel passo di Cleomede il significato dell'avverbio ò:.vayxo:twç deve essere inteso alla luce della teoria astronomica, che poteva prevedere determinati fenomeni senza averne un riscontro diretto. Attorno a questa necessità si pose l'in·'6
F 37a Mette (Sphairopoiia. Untersuc:hungen :ur Kosmologie des Krates von Pergamon, mil einem Anhang: texte von H. J. Mette, Munchen, 1936). Cratete di Pergamo o di Mallo fu attivo auomo alla metà del n secolo a.C. Stando alle fonti, egli reinterprerò Omero alla luce dei nuovi dati scientifici. in particolare delle ricerche e delle scoperte piteane sulle regioni nordiche; cfr. Strabo. I. 2, 24-25, C 3032 = F 34c Mette. Sphairopoiia; Il, 5, 10, C 116 = F 6 Mette, Sphairopoiia; III, 4, 4, C 157 = F 30 Meue, Sphairopoiia. Per una recente messa a punto si rinvia all'articolo di A. Bonajuto, L' È~wx.r.a.vtcr!J-OC: dei viaggi di Odisseo in Cratete e negli alessandrini, «A&R», XLI, 1996, pp. l-8. 37 Elem. astr .. V I, 8-21. Jll Christ. top., II. 80 = F l3b Bianchetti = F 9h Mette. 39 A favore della mediazione di Posidonio e anche per il ruolo di Cratere si veda S. Bianchetti, Pitea di Massa/ia, cit., p. 189. Secondo H. J. Mette, Pytheas, cit. IO. Gemino sarebbe debitore al soloCratete. Personalmente, non dimenticherei eventualmente Atenodoro di Tarso, che potrebbe avere associato Cratete e Pitea nella sua opera. 40 Cuele3·Iiu. l, 4, 194-231 = F l2a Bianchetti= F 14 Mette; bmno che secondo il Mette, Pvtheas, cit., p. 14. deriverebbe da Posidonio. ·
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dagine di Pitea, che con il suo viaggio e le sue osservazioni trovò conferme, autoptiche e non, alla teoria della sfera che ipotizzava la variazione del1a durata del giorno alle diverse latitudini e l'esistenza di latitudini alle quali il giorno più lungo era di 24 ore, di un mese o anche di sei mesi. A partire dalle sue ricerche, infatti, le latitudini settentrionali, quelle della Celtica, della Britanni a e di Thule, per intenderei, non furono più solo teoriche, ma osservate e calcolate direttamente. Le tavole di climi prodotte da Gemino e Cleomede, con le indicazioni orarie e le altre osservazioni relative ai fenomeni astronomici, risalgono in ultima analisi alla tabella realizzata da Ipparco, nella quale evidentemente erano però conservate le tracce dell'inserzione deUe osservazioni che Pitea aveva a sua volta organizzato in quella tabella di cui si è offerto sopra una parziale ricostruzione a p~roposito della Britannia. Una di queste tracce, altrove indicate a proposito delle latitudini di Bisanzio, di Boristene e della Britannia, compare anche in Gemino, allorché annota la durata della notte solstiziale in luogo di quella del giorno, che rappresenta invece la norma nel suo elenco delle latitudini41. Lo stesso discorso vale anche per la tabella dei climi riportata da Plinio, il quale attribuisce un giorno equinoziale di 17 ore alla Britannia, dove, egli afferma, le chiare notti estive garantiscono senza dubbio ciò che la scienza impone di credere, cioè che al tempo del solstizio estivo, avvicinandosi tnaggiormente il sole al polo (vertex mundi) e facendo la luce un giro più stretto: le regioni sottostanti abbiano giorni continui di sei mesi e notti altrettanto lunghe al solstizio d'inverno, allorché esso si allontana. Stando a Plinio. Pitea di Massalia scriveva che questo accadeva nell'isola di Thule, distante sei giorni di navigazione a nord della Britannia42 . In un passo successivo, correggendo in parte queste opinioni e riprendendo significativamente alcune affermazioni straboniane43, Plinio dichiarava che Thule era l'ultima di tutte le terre di cui si avesse conoscenza, nella quale non vi era notte all'epoca del solstizio estivo, allorché il sole attraversava la costellazione del Cancro, e ali' opposto non vi era giorno alJ'epoca del solstizio invernale. Secondo il naturalista, alcuni pensavano addirittura che questo fenom.eno si protraesse per sei mesi continui44. Ora, è molto probabile che nella tabella organizzata da Pitea comparissero anche i dati ipotizzati in base ana teoria della sfera per le regioni poste tra circolo artico e polo, e che i commentatori successivi abbiano creato un certo disordine o reinterpretato tali dati riferendoli all'unica località .menzionata nel contesto: Thule45 . Ma, a dire il vero, le testimonianze pliniane. oltre che ad una fonte per così dire «scientifica», presupposta dal fatto che Plinio disponeva Cfr. S. Bianchetti, Pitea di Massa/ia, cit.. p. 191. II, 186-187 = F 9a Bianchetti = F 13a Mette. Plin .. N.H.. II, 186-187: Sic fit, ut vario lucis incremento... longi.\·simus dies ... in Britannia XVII (horas). ubi aestate lucidae noctes haud dubie repromittunt. id quod cogit ratio credi, so/stili diebus accedente sole proprius vertìcem mrmdi angusto lucis ambitu subiecta terrae cominuos dies habere senis mensibus noctesque e diverso ad brumam remoto. Quodfieri in insula Thyle Pytheas Massiliensis scribit. sex dierum navìgatione in septentrionem a Britannia dista1lte. 43 Thule è indicata da Strabone prima come limite estremo (Il, 5, 8, C 114 = F 8c Bianchetti= F 6c Mette), poi come la più settentrionale delle regioni che hanno un nome (IV, 5, 5. C 20 l = F 8c Bianchetti = F 6g Mette: 'tc:l.U"t"Y}\1 (scii. '!~V eouÀ r,v vi)crov) yà:p TWV òvop.a~op.ivwv àpwnKW'tcX't"Y}\1 'tt6Éacnv). 44 N. H., IV, 104 = 8f Bì,ancheni = F 11 b Mette: ultima omnium quae memorantur Tyle, in qua solstitio nullas esse noctes indicavimus, cancri signunz sole tratrseunte, nullosque contra per brumam dies. Hoc quidanz senis mensibus continuis fieri arbitrantur. 4 5 Cfr. in questo senso, anche P. Fabre, Les Massaliotes. cìt., p. 38. 41
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anche di infonnazioni molto precise e corrette, sembrano concretamente risalire almeno in parte ad una qualche raccolta di Mirabilia nella quale i dati piteani erano volutamente esagerati e distorti per accendere la fantasia del lettore. L'esistenza di opere di questo genere è già attestata nell'età di Cesare, il quale menzionava nei pressi della Britannia la presenza di isole al cui riguardo non nulli scripserunt dies continuos XXX sub bruma esse noctem46. Non credo pertanto che l'attribuzione della durata di sei mesi del giorno e della notte alla latitudine di Thule sia da imputare ad un errore commesso da Plinio47. Non a caso, una significativa coincidenza coi passi pliniani sopra citati si ritrova nel romanzo Le meraviglie oltre Thule, attribuito ad Antonio Diogene e riassunto da Fozio. Il personaggio principale del romanzo, l'Arcade Deinias, narrava di essersi spinto con alcuni compagni oltre Thule e di avervi visto «ciò che anche gli astronomi espongono con zelo, che è possibile che qualcuno viva sotto il polo artico e che la notte vi duri almeno un mese, e per lo più sei mesi e anche un anno; non solo la notte raggiunge una tale durata, ma anche il giorno subisce un analogo fenomeno)) 4s. Una frase del genere non può che riferirsi a Pitea e alle sue indagini, traducendo ed amplificando la straordinaria esperienza dell'esploratore di fronte alla presa di contatto diretta con la realtà del lungo giorno nordico, il cui effetto, nei giorni vicini al solstizio, è accentuato anche dopo il tramonto dell'astro dalla persistente luminosità di cui parlava Cleomede; così che il giorno solstiziale sembra durare un mese intero. A proposito di Thule e delle regioni più settentrionali de li' ecumene la tradizione scientifica dipendente dal resoconto di Pitea sembra dunque accompagnata da una diversa e opposta tradizione che ne privilegiò in maniera del tutto acritica gli aspetti straordinari ed insoliti. Nelle fonti di diretta o indiretta derivazione piteana, Thule appare perciò concordemente situata a sei giorni di navigazione a nord della Britannia, nel luogo in cui circolo artico e tropico si confondono, alla latitudine di 66°. In ogni caso, anche quando non compare un esplicito collegamento marittimo, come in Gemino e Cleomede, la Britannia è ugualmente menzionata o sottintesa; per quanto riguarda Gemino, come luogo posto sul clima orario che immediatamente precede quello di Thule. Qui le notti estive sono illuminate dal sole che passa rasente all'orizzonte e al tempo del solstizio estivo il giorno dura 24 ore. Thule è un'isola, o comunque è ritenuta ed indicata da Pitea come tale. Essa appare abitata o almeno frequentata, se non altro da coloro che ne riferirono a Pitea; solo in questo caso infatti egli poteva estendere a nord fino a Thule il limite dell'abitabilità. Ad un giorno di navigazione da Thule si trovava il mare coagulato o congelato 49. Trascurabili sembrano alcune varianti, come quella di Plinio sulla durata di sei mesi del periodo di luce. Si tratta di chiare esagerazioni dovute sia all'inserimento di dati stravolti da una diversa tradizione sia al fatto che Pitea aveva probabilmente riportato la durata del giorno anche per le latitudini nordiche alle quali non era giunto. B.G., V, 13, 4. Come invece sostiene C. H. Roseman, Hour Tab{es and Thule in Pliny's Natura/ History, «Centaurus)>, XXX, 1987, pp. 93-105. 48 Phot. Bibl., II. 166: 'A xai ot -rijç àa't€06E:ci!J.o~oç 'ttXVlJç cr7touoaa'tat U7tO'tt6Enat, olov 46 47
wç è'J"'t[V bimç òuva-ròv xa'tà XO@U~v 't~\1 apx't'OV E:ivat, xat -r-Yjv VUX'ta fJ-lJVlatav, xai EÀa't't'OV òè xaL 7tÀÉov, xat içafJ.E\Itatav oÉ, xat 't'Ò Ecrxa't'OV Èvtauatata\1· où fJ:OV0\1 8E. 't'Yj\1 \IUX'ta È7tt "tocrou'tov 7tapa't'dve.a6at, àÀÀa xat TI]v ~tJ.Épav 't'au't'atç O"UfJ.~aivELv àvaÀoyov. 49 Sulle caratteristiche della Thule di Pitea si veda S. Bianchetti, PiteG e la scoperta di Thule, cit.,
pp. 9-10.
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
Con le osservazioni su Thule e sulle regioni limitrofe l'abbozzo o forse la vera e propria tavola dei climi redatta da Pitea si completa degli ultimi dati; essa doveva comprendere: Cadice; il promontorio Sacro; Massalia; la Celtica settentrionale; la Britannia meridionale, centrale e settentrionale; una regione in cui il sole si alzava a meno di tre cubiti; una regione in cui la notte più breve durava solo 2 o 3 ore; Thule~ in cui al solstizio estivo non vi era più notte; ed infine le latitudini teoriche alle quali il periodo di luminosità si estendeva fino a sei ·mesi. P.itea infatti aveva confermato col viaggio e con le esperienze vissute ciò che la teoria della sfera e la proiezione delle coordinate astronomiche sul globo terrestre avevano presupposto: la durata de] giorno e della notte variava a seconda delle latitudini. Le osservazioni contenute in questa tabella o nel1' abbozzo co.munque desun1ibile dalla sua opera, fondate sulla teoria della sfera di Eudosso e sulla nozione di clima con1e inclinazione del luogo di osservazione rispetto ali' equatore terrestre, avrebbero avuto un grande peso nella successiva storia della geografia. Eratostene infatti ricostruì in base ad esse gran parte della carta ecumenica, almeno in relazione alle regioni occidentali e settentrionali, e, soprattutto, giunse a formulare una nuova concezione di clima, inteso non solo come distanza dall'equatore, ma come fascia compresa entro dei limiti orari: delle bande orarie parallele che procedendo verso settentrione andavano sempre più restringendosi, come Pitea aveva osservato50 • La stessa tabella fu in seguito utilizzata da Ipparco e, indirettamente, da Gemino, Plinio e Cleomede. E fu in questa tabella che Cratete poté trovare infonnazioni accurate da utilizzare pe.r l'aggiornamento dei poemi omerici. Una delle più chiare fonnulazion:i dei fenomeni astronomici osservabili alla latitudine di Thule proviene da una fonte latina di età giu1io-claudia. Pomponio Mela, che è il caso di citare per esteso: Thyle Belcarum litori adposita est, Grais et nostris celebrata: carminibus. In ea, quod ibi sol longe occasurus exsurgit, breves utique noctes sunt, sed per hiemen sicut aliuhi obscurae, aestate lucida e, quod per id tempus iam se altius evehens, quamquam ipse non cernatur, vicino tamen splendore proxima illustrar, per solstitium vero nullae, quod tum iam manifestior non fulgorem modo sed sui quoque partem maximam obstentat51 • Accanto ad altre suggestioni, si trova qui descritto accuratamente il fenomeno del giorno di 24 ore al tempo del solstizio estivo e delle notti luminose che ad esso si accompagnano. Quest'ultimo corrisponde, in maniera più accentuata, al fenomeno di luminosità crepuscolare di cui parlavano anche Plinio e Cleomede, e al quale Pitea doveva aver prestato attenzione in più di una occasione. se, oltre che alla Britannia e alle regioni più settentrionali fino a Thule, esso è attribuito anche alle regioni co11ocate sul para1lelo del1a Celtica settentrionale e di Boristene (48° 30' ca.) da Ipparco52 • ]a cui descrizione derivava molto probabilmente dal Massaliota, dato che Boristene è in realtà molto più meridionale di quanto lpparco credesse. Il testo di Mela, accompagnando alla luminosità delle notti estive la durata del giorno solstiziale, pone Thule in una regione situata alla latitudine in cui circolo artico e tropico estivo coincidono, la stessa collocazione c.he risulta attestata da Strabone e Cleomede. 50 Sul concetto di clima, sulla e.voluz.ione del suo significato e sull'importanza di Pitea in questa evoluzione, rimando a D. Marcoue, La climatologie. cit.. pp. 263-277. SI Chor., m. 57. s2 Strabo, Il, l, l 8, C 75 = F 58 Dicks; II. 5. 42, C 135 = F 57 Dicks.
Thule
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La descrizione di Mela, tuttavia, si distacca da quelle degli autori sopra menzionati, in quanto Thule non è più messa in relazione con la Britannia, ma con il litus Belcarum. Si potrebbe anche supporre che questa costa e la popolazione che la abitava siano da localizzare in Britannia, ma così non è. I Belcae compaiono infatti in un precedente passo di Mela nel quale vengono presentati come l'insieme delle popolazioni sci ti che c,he vivevano oltre la Visto la, ai confini settentrionali dell'Europa con l' Asia53. E di fronte a queste regioni che Mela poneva Thule. Si avrebbe quindi uno spostamento, se non di Thule, che mantiene qui le caratteristiche astronomiche indicate dalle fonti precedenti, quanto meno del punto di riferimento adottato per la sua collocazione geografica. Secondo molti commentatori moderni, inoltre, l'etnonimo Belcae andrebbe corretto in Bergae5 4 , trovando una precisa corrispondenza nel popolo scandinavo Bergio, la cui esistenza è attestata da Giordane55 . In questo caso, la posizione di Thule sarebbe stata messa in relazione con una regione della Scandinavia da Mela o dalla sua fonte. Ed infatti, l'adozione della variante Bergae nel testo di Mela offre la possibilità di un confronto diretto con un passo pliniano nel quale sono menzionate le isole dell'estremo settentrione 56 , fra le quali Plinio ricordava le Scandiae, Dumna. Bergi e la più grande di tutte, Berricen o Nerigon 57 , da cui partiva la rotta per Thule. Questa distava un giorno di navigazione dal mare concretum a nonnullis Cronium appellatur5 8, che evidentemente coincide con la 7tE7t"fJ')'Utcx. 6ciÀcx.'t''t'CX di Pitea59. Dal contesto parrebbe logico dedurre che tutte queste isole facessero parte, secondo Plinio e le sue fonti, di un unico arcipelago. quello delle Scandiae 60 , identificabile con le regioni scandinave e vagamente localizzato in riferimento alla Britannia, poco sopra descritta. Tale relazione si può comprendere solo se si osserva che Plinio prende in considerazione, come facenti parte del medesimo arcipelago nordico, non solo le isole effettivamente vicine alla Britannia, come le 40 Orcades, le 7 Acmodae (Shetland?) 61 , le 30 Hebudes (Ebridi), l'Hibernia (Irlanda), Mona (Anglesey), Monapia (Man), Riginia (Rathlin?), Vectis (Wight), Silumnus (Scilly?) e Andros (Howth?) 62 , ma anche le isole della costa celtica, come Samnis (l'isola delle donne namnete Chor., III, 36. Questa popolazione è citata solo da Mela; cfr. A. Silbennan, Pomponius Mela, cit., nota 7, p. 83 (pp. 288-289); inoltre: Tomaschek, s.v. Belcae, RE, III, l, 1897, coli. 198-199. S4 Cfr. R. Dion. Aspects politiques. cit.. p. 279; P. Fabre. LRs Massaliotes. cit .• p. 39: A. Silberman. Pomponiu.s Mela, cit.. nota 7. p. 83 {pp. 288-289). 55 Get .• III, 21. 56 Plin., N.H .• IV, 103-104. 57 La variante Nerigon è accolta da O. Schneider, In C. Plini Secundi Naturalis Historiae libros indice.s, 1-11. 1857. rist. Hildesheim, 1967, 11. p. 78: R. Dion, Aspect.s politique.s, cit., p. 279: P. Fabre. Le.s Ma.s.saliotes. cit.. p. 39. H. J. Mette. Pythea.s, cit., p. 32, ritiene invece corretta la lezione Berricen; così, pure C. H. Roseman, Pythea.s, ci t., p. 92. Cfr. Ihm, s. v. Berrice (l), RE, III, l, 1897. col. 317: A. Franke, s.v. Nerigon, RE, XVII, l, 1936. col. 30. Si veda anche Ihm, s.v. Bergi. RE, III. l. 1897. 53
col. 291. 511 Plin., N.H., IV. l 04. Il passo, almeno relativamente ai nomi delle isole nordiche, potrebbe risalire ad Isidoro di Carace e da questi ad Eratostene: cfr. F. Gisinger, s. v. Pytheas, cit., col. 332. Si veda inoltre Strabo. II. 4, l, C 104, = F Sd Bianchetti = F 7a Mette. 59 F Sa Bianchetti = F 6a Mette= Strabo. I. 4, 2, C 63. 60 Ancora nel secolo successi vo, To le meo conosceva l'esistenza di quattro isole Scandie. la più grande delle quali era localizzata di fronte alla foce della Vistola (Geogr .• Il, li, 16). 6 1 Probabilmente corrispondono alle 7 Haemodae che Mela colloca di fronte alla Germania, nel sinu.s Codanus (Chor .• III, 54). 62 Le identificazioni sono proposte da A. L. F. Rivet, C. Smith, The Place·names of Roman Britain, cit .• pp. 40-41.
Il viaggio di Pitea sull'Oceano
HSl
menzionata da Strabone e posta di fronte alla Loira63) e Axantos (Ouxisama), e le isole della costa frisone (Glaesiae o Electrides). Chiaramente, i toponirni che destano maggiore interesse sono quelli di Bergi e Berricen-Nerigon, poiché presentano strettissime consonanze con quanto riportato da Mela. L'identificazione tra i Belcae-Bergae e gli abitanti di Bergi e la relazione istituibile con Berricen-Nerigon, nel caso in cui in questa realtà si debba riconoscere la Norvegia attuale o comunque una regione della Scandinavia, sembrerebbe attestare anche in Plinio la localizzazione orientale e scandinava supposta nel caso di Mela. In tal modo, risulterebbe rafforzata l 'idea di una localizzazione di Thule riferita alla Scandinavia. Plinio stesso aveva in precedenza nominato la Scatinavia, isola di imprecisata grandezza (incomperta magnitudo), la più famosa fra quelle collocate nell'immenso golfo detto Codanus, situato tra il monte Saevus e il promunturium Cimbrorum. A quanto si sapeva, quest'isola sarebbe stata abitata solo in parte dagli Hilleviones, stanziati in cinquecento villaggi. Altrettanto grande (ed evidentemente posta nello stesso sinus Codanus) sarebbe stata l'isola Aeningia o Feningia64. In base al testo, si potrebbe intendere che Plinio, utilizzando fonti diverse, chiami prima col nome di Scatinavia una delle isole del sinus Codanus, poi attribuisca a tutto l'arcipelago il nome di Scandiae6 5 • Si è già detto delle Acmodne-Haemodne, che Plinio collocava fra le Isole Britanniche, ma che Mela poneva invece di fronte alla Gennania, nel sinus Codanus. da lui altrove situato super Albim66. Fra queste isole Mela collocava anche la Codannovia o Scadinavia61 , per grandezza e fertilità superiore alle altre, ed abitata dai Teutoni. Alcune di queste isole erano poi poste di fronte alla Sarmatia68, quindi oltre il tenitorio dei Cimbri e dei Teutoni e oltre le ultime popolazioni gennaniche. gli Hermiones, in una regione i cui confini orientali egli identificava con il fiume Visto]a69. Oltre la Vistola erano appunto le popolazioni scitiche, dette anche Belcae o Bergae, rispetto alle cui rive era individuata Thule, quindi i confini dell'Asia. IV, 4, 6, C 198. N.H .• IV. 96. 65 Plin., N.H .• Il, 246, riferisce la recente scoperta di isole immense poste di fronte alla Germania. Può essere che egli utilizzi quindi almeno due fonti diverse che attribuiscono alle isole in questione nomi differenti. Cfr. anche lV, 94. in cui si ricorda l'esistenza di numerose isole senza nome nell'oceano settentrionale. fra cui, di fronte alla Scizia Baunonia, è anche l'isola dell'ambra di Timeo, cioè di Pitea. M Chor., III, 31. L'indicazione di Pomponio Mela induce ad identificare il sinus Codanus con l'attualme baia di K.iel (A. Silbennan, Les sources de date romaine, cit., p. 253), ma il confronto con i passi di Plinio sembra spostare il sinus Codanus in corrispondenza dello Skagerrak e del Kattegat o addirittura del Baltico vero e proprio, come si può dedurre dalla presenza della Aeningia-Feningia, identificabile forse con la Finlandia meridionale. IJ7 I manoscritti recano la lezione Codannovia, ma a partire dalle indagini di J. Svennung (Scadinavia und Scandia. Lateinisch-nordische Namenstudien, Uppsala, 1963, p. 12). si preferisce correggere il testo in Scadinavia. Secondo lo Svennung. seguito da A. Silbennan (Pomponius Mela, cit.. p. 82 e nota lO, p. 82 (pp. 286-287). si sarebbe verificata la caduta per aplografia della S di Scadinavia. nel testo preceduta da ex iis, mentre poi la parola sarebbe stata modificata per la vicinanza e l'assonanza con Codanus. Tuttavia anche questo punto è controverso, poiché P. Parroni (Pomponii Me/ae, De Chorographiae libri tre.f. Introduzione. edizione critica e commento a cura di P. Parroni, Roma, 1984, p. 164) preferisce correggere il testo in eximia Scadinavia; il che renderebbe impraticabile la spiegazione sopra data. 68 Chor .• III. 54-56. Secondo A. Silberman, Les sources de date romaine, cit., p. 253, con il termine Sannazia sarebbero qui indicati una fascia di terra ad est della Vistola e i territori della Pomerania, a ovest, fino alla Prosnica. 63
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(i}
Cho1., III, 32-33.
Thule
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Vista la comunanza delle fontFO, nonostante le numerose varianti, si può certo formulare l'ipotesi che i Belcae-Bergae in Mela e Bergi e Berricen (o Nerigon) in Plinio facessero riferimento ad una medesima entità etnico-geografica. In questo caso, pur se in apparenza i riferimenti di Mela sembrerebbero inserire tale realtà ai confini nord-orientali dell'Europa, ricordando in ciò la collocazione dell'isola degli lperborei di Ecateo di Abdera, i Belcae-Bergae non sarebbero degli Sci ti, ma una popolazione della Scandinavia; forse quegli stessi Barbari dai quali Pitea fu informato sul luogo nel quale il sole andava a donnire71 . In particolare, è significativa la corrispondenza toponomastica con l'attuale Bergen, località norvegese che in età vichinga fu il principale porto di partenza per le rotte che attraversavano il Mare del Nord e l'Atlantico settentrionale, toccando le Shetland e le Faer 0er, per giungere fino all'Islanda e, di qui, agli stanziamenti in Groenlandia72 • La definizione di Sciti, genericamente applicata alle popolazioni dell'Europa nord-orientale da Mela, comunque queste vadano intese e localizzate, trova particolare riscontro in un passo straboniano, nel quale il geografo di Amaseia rifiuta esplicitamente di riferire qualsiasi notizia riportata da Pitea a proposito degli '!ìo-'ttatot e delle regioni poste oltre il Reno e fino alla Scizia73. Contrariamente a quanto voluto da Strabone, questo silenzio, letto in negativo, attesta l'esistenza nel resoconto piteano di informazioni e annotazioni a proposito di questi popoli e di queste terre, fra le quali compariva evidentemente anche la Scizia o una regione che Pitea aveva ritenuto tale. Dunque, vista in quest'ottica, la notizia di Pomponio Mela sulle coste dei Belcae-Bergae e sulla loro relazione o vicinanza geografica con Thule, potrebbe risalire all'originaria testimonianza piteana; e lo stesso potrebbe dirsi per Berricen, da cui secondo Plinio si navigava verso Thule, e per le isole menzionate in tale contesto, alcune delle quali attestano nel nome la loro origine greca. Che alla base di alcune di queste informazioni sia da vedere l'opera di Pitea, lo testimonia anche il fatto che Plinio ricordi i Teutones e i Gutones del1'aestuarium Metuonis quali abitanti della costa vicino all'isola dell'ambra7 4 • Significativa è, inoltre, la menzione degli lstuaeones, popolazione che Plinio colloca oltre il Reno ~ che, forse, richiama nell' etnonimo gli '.Oo-'ttatot o '!ìo-'t'twve:ç di Pitea75 . E quindi possibile che Mela e Plinio abbiano utilizzato fonti di derivazione piteana scartate da Strabone 76 ; l'interesse verso le regioni settentrionali da parte di Augusto e degli imperatori successivi, oltre che al 70 La principale fonte comune a Mela e Plinio. fra quelle recenti, è certamente Filemone (cfr. A. Silberman, Les sources de date romaine, cit., p. 253); ma i due autori presentano numerose varianti che a volte rendono pressoché impossibile la ricosuuzione di un quadro unitario delJe regioni settentrionali. 71 F l3a Biancheni = F 9a Mette= Gemin .• Elem. astr., VI, 8-9. Cfr. in questo senso, A. Silberman, Pomponius Mela, cit.. nota 7, p. 83 (p. 289). n G. Jones, A History ofthe Vikings, Odord, 1968, 1973. trad. it.,/ Vichinghi, Roma, 19783; G. J. Marcus, The Conquest of the North Atlantic, s.I.. 1980, trad. it., lA conquista del nord Atlantico, Genova, 1992. in pan. pp. 74-75. l IO. 137-138; P. Barthélemy, Les Vikings, Paris, 1988, trad. it., l vichinghi, Genova, 1992, in pan. pp. 217-219; M. de Boiiard, Le rotte dei Vichinghi, in AA.VV., l viaggi della storia. Le strade. i luoghi, le figure. Bari, 1988, p. 97. 73 l, 4, 3, C 63 (f 18a Bianchetti = F 6a Mette). 74 Plin., N.H .. XXXVII. 35 = F 15 Bianchetti= F Ila Mette. 7 ~ F 18a Bianchetti= F 6a Mette = Strabo, I. 4, 3. C 63; F l8b Bianchetti = F 6f Mette= Steph. Byz .. Ethn .• s. v. 'Ua"tiW\IEc;. Cfr. F. Lasserre. Ostiéens et Ostimniens, cit., nota 18, p. 113. 76 Si veda, ad esempio, Strabo, VII, 3. l, C 295 (F 8g Bianchetti= F 6h Mette), passo nel quale Pitea è chiamato in causa, senza che venga riferito alcun particolare, per avere trasformato le sue false relazioni sulle regioni nordiche in verità scientifiche nel suo trattato di astronomia e matematica.
11
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vmggto CII Pttea suu ·uceano
confluire di nuove infonnazioni 77 , può aver contribuito anche alla ricerca di questi dati più antichi. Queste stesse fonti risultano importanti anche per altre considerazioni circa il mare congelato vicino a Thule, ed in generale per quanto concerne il pensiero degli antichi riguardo l'oceano settentrionale. Plinio infatti collocava Thule ad una giornata di navigazione dal mare concretum, da taluni detto Cronium 78 , che corrisponde evidentemente alla 7tE7tl')yuLa 6aÀa't'ta di Strabone79 , al Kpovtoç 7tOv"t'oç e alla ve:xpa 6aÀaaaa delle Argonautiche orjìcheso. In questo caso. ancora, la realtà si confonde con la fantasia. A proposito di questo mare, Plinio ricorda che secondo Ecateo di Abdera gli Sciti chiamavano Amalcius o Amalchius. che nella loro lingua significava conge/atumBI, r oceano settentrionale a partire dal fiume Parapaniso che scorreva nelle loro terre 82 • Secondo Filemone83 , invece, i Cimbri lo chiamavano Morimarusam, cioè mortuum mare, nel tratto che andava dal fiume Parapaniso fino al promontorio Rusbeas 84 , e Cronium nella parte successiva85 • intendendo con ciò forse distinguere l' esistenza di due mari, gli attuali Baltico e Mare del Nord. In base a tale concordanza, il mare concrelum o Cronium si troverebbe infatti ad occidente del mare mortuum o della ve:xpà 6aÀaaaas 6 , ed anche del promontorio Rusbeas. Tuttavia nelle 17
Cfr. C. Nicolet, L'inventario del mondo, cit., pp. 79-121. N.H., IV, 104. 79 I, 4, 2, C 63. 80 Vv. 1081-82. È necessario sottolineare che vi sono ulteriori punti di contatto tra il percorso degli Argonauti e le informazioni in possesso di Plinio. Mela e di altre fonti. Ad esempio, il promontorio vicino alla popolazione dei Cimmeri (v. 1129) è chiaramente identificabile con il promunturium Cimbrurum. La confusione tra Cimmeri t: Cimbri era già insita in Pusiùoniu (FGrHist .• 87 F 31 = F 272 Edelstein~Kidd = F 44a Theiler Strabo, VU. 2. 2, C 293; FGrHist .. 87 F 116 = F 169 Theiler =Diod .• V, 32, 4: cfr. U. Cozzoli, l Cimmeri. Roma. 1968, pp. 35-40: G. B. Lanfranchi. l Cimmeri. Emergen:.a delle élites militari iraniche nel Vicino Oriente (VIli·V/1 sec. a.C.). Padova. 1990, p. 145); ma tale localizzazione dei Cimmeri sembra risentire della precedente opera di Cratete di Mallo. che aveva collocato i Cimmeri omerici nelle estreme località nordiche utilizzando certamente le notizie piteane. Inoltre la polis 'Epp.~o"VE~a (v. 1136), menzionata poco dopo i Cimmeri, è chiaramente avvicinabile agli Hermiones di Plinio, Tacito e soprattutto Mela. Questa popolazione era compresa, secondo Plinio (N. H .. IV, 99), nel gruppo degli lstuaeones. Tacito distingueva invece le due popolazioni (Germania, 2, 3). Ma mentre per questi due autori si tranava di una popolazione dell'interno, Mela li collocava nel sinus Codanus. oltre i territori dei Cimbri e dei Teutoni. ai confini con la Sarmatia ' {A. Grilli. La documentaz.io· ne sulla provenienza dell'ambra in Plinio, «Acme)), XXXVI, 1983, nota 22, p. 13: B. Luiselli, Storia cultu.rale. ci t., p. 120). conservando l'equivalenza con la 7tE7tY)yui:a 60:.Act7't'IX. In ogni caso, è chiaro che il nome non è di origine locale ma il frutto dell'eventuale ellenizzazione del nome indigeno. s1 FGrHist .• 264 F 14 = Plin .• N.H.• IV, 94. 113 FHG, IV, p. 475, F 2 = Plin., N.H., IV, 95. H4 Si tratta. molto probabilmente della regione settentrionale dell'odierna Danimarca o della regione meridionale della Norvegia. La tradizione è abbastanza confusa da giustiticare la sovrapposizione di nomi o luoghi diversi. ss Cioè dal promontorio Rusbeas andando verso occidente, poiché la descrizione di Plinio ha inizio al Tanais e termina a Cadice. È interessante notare che la duplice toponimia presentata da Filemone corrisponde a quella delle Argonautiche orfiche. 116 Questo appellativo sembra ben applicarsi al Baltico. mare che non è mosso da correnti forti come quelle che imperversano nel Mare del Nord. Lo stesso vale anche per il canale che separa la penisola danese dalla Scandinavia. 78
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altre fonti tale distinzione non sembra avvertita e l'oceano settentrionale riceve indifferentemente diverse denominazioni venendo inteso nella sua integrità. Ad esempio, Tacito colloca oltre i Suiones, popolazione probabilmente insediata nella regione corrispondente all'attuale Svezia meridionale, un aliud mare, pigrum ac prope immotum 87 , che, almeno nelle sue intenzioni, è certo lo stesso mare pigrum sed grave remigantibus incontrato dalla flotta di Agricola nelle vicinanze delle Orcadi e della presunta Thuless. Egli conferma così l'attribuzione di determinate e comuni caratteristiche al Mare del Nord e al Baltico. intesi generalmente dagli antichi come un 'unica entità. Ai bordi di questo mare egli localizza nel territorio degli Aesti i luoghi di origine e raccolta dell'ambra, descrivendo questo prodotto come uno degli eiectamenta maris89, in un passo che ha notevoli concordanze con un brano pliniano di chiara origine piteana. Plinio, infatti, citava Pitea a proposito dell'isola Abalus sulla quale i nativi raccoglievano l'ambra, definita concreti maris purgamentum9o, lasciando forse intendere, in base all'equivalenza tra mare concretum e 7tE:7trryu'ta eciÀ.Cl't't(l, che questo mare comprendeva anche il Baltico. La sintesi fra mare concretum (la 7tE:7tY)yUt(l eaÀCl't't'Cl) e mare pigrum diviene esplicita in Solino: ultra Thylen accipimus pigrum et concretum mare9i. Un simile dato parrebbe far pendere la bilancia in favore di una localizzazione di Thule nell'insieme delle «isole>> scandinave, anche se potrebbe derivare da una confusione pliniana tra l'ambra e il ghiaccio, quali prodotti dell'oceano92, o soprattutto da una generica estensione del termine per designare i mari settentrionali. In ogni caso è evidente che con mare Cronium si intendeva l'oceano settentrionale e che tale denominazione aveva un'origine greca. La definizione di mare Cranio, Kp6vt'Y) aÀç, compare per la prima volta in Apollonia di Rodi per indicare l'Adriatico settentrionale, in prossimità dell' 'Ilptoav6ç e dell'isola sacra 'HÀ.e:x.'tptç93. Ma le Argonautiche orfiche, che a discapito di una stesura tarda risalgono ad un originale collocabile tra. . IV e III secolo a.C., designavano con tale appellativo l'oceano settentrionale. E probabile allora che esso identificasse in quell'epoca illonlano mare nordico da cui proveniva l'ambra e che Apollonio, per rimanere fedele ad una diversa tradizione del viaggio degli Argonauti, abbia trasferito nel Mediterraneo termini che si applicavano ad altre regioni ben più settentrionali94 • L'esplorazione piteana Germania, 45, l, ss Agricola, 10, 6: 89 Germania, 45, 5. 90 N.H., XXXVII. 35 = F 15 Bianchetti= F Ila Mette. 9J Collectanea rer. memorab., II, 9. 92 Tale ipotesi è avanzata da E. D. Phillips, Kpo\ltOv 7tEÀayoc;, «Euphrosyne», III, 1969, p. 195 . 93 Arg .. IV, 509, 548 e 580. Si veda in generale sull'argomento E. D. Phillips, KpéMov 7tÉÀtxyoç, cit .. pp. 193-197 . 9-' P. Fahre, Les Grecs et la connaissance de I'Occident, cit., p. 249, sostiene che l'appellativo di Cronio fosse originariamente attribuito allo Ionio ed all'Adriatico, e che «Apollonios de Rhodes est le demier témoin de la tradition qui désignait l' Adriatique sous le nom de «mer Cronienne» ... Mais la connaissance du Nord-Ouest de l'Europe, peut etre à la suite des voyages de Pythéas, rejette cette mer cronienne non plus dans la région où aboutit la route de l'ambre mais dans celle où elle débute au NordOuest de l'oekoumène, dans l'Océan». Tuttavia, come nota lo stesso Fabre, l'occidentaJizzazione del mito di Crono è ben precedente Pitea, se ~ià Pindaro collocava in ambiente oceanico la fortez~a di Crono, nell'isola dei Beati: ... 7tapti Kpovou 't"upanr E'18tx tJ-txxapwv vtiaov wxEtx\ILOEc; txÙptxt 7ttpt 7tviotatv (01., Il, 77-79). A conferma di una antica localizzazione occidentale di Crono si vedano alcuni versi di Esiodo (Op. , vv. 166-173) e un passo di Teopompo (FGrHist., 11.5 F 33.5 = Plut., De fs., 87
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potrebbe aver condotto ad una identificazione del Kpovtov 7tÉ:Àcxyoç con la 7tE1tljj'ULCX 6ciÀcx"t''t'a 95 , ma, essendosi spinta nell'oceano settentrionale fino alle regioni dell'ambra, potrebbe anche aver determinato la successiva duplice localizzazione. Certo è che tale denominazione finirà per essere applicata di volta in volta ai mari compresi tra 1' Atlantico settentrionale e il Baltico96. Gli autori antichi, forse con rare eccezioni, concepirono l'esistenza di un'unica realtà oceani ca che delimitava a settentrione tutta l'ecumene, senza comprendere che tra oriente e occidente si estendeva la massa continentale della Scandinavia, che continuò per molto tempo ad essere ritenuta un' isola9 7 • In Mela e Plinio, dunque, forse sulla base di più recenti acquisizioni, sembra verificarsi uno slittamento nel sistema di riferimento per la localizzazione di Thule. dalla Britannia alla Scandinavia. Più netto in Mela, in cui compare il solo collegamento col litus Belcarum o Bergarum, esso appare ancora ambiguo in Plinio, che conosce entrambe le relazioni, ma che, come tutte le altre fonti antiche, possiede una visione troppo confusa delle regioni settentrionali per poter apprezzare la conseguente diversità nell'individuazione di Thule. Merita di essere ancora menzionata la testimonianza di Plutarco sull'esistenza di un'isola oceanica, chiamata '~lyuyilj, posta a cinque giorni di navigazione ad occidente della Britannia. Secondo il suo resoconto, procedendo ancora più oltre neH'oceano, detto K~ovtov 7tÉÀcxyoç, si incontravano altre tre isole. in direzione del tramonto estivo, fra le quali ve ne era una in cui viveva Crono, imprigionato da Zeus in una caverna. Oltre le isole, ancora più ad occidente, si trovava un lontano continente che circondava l'oceano, al quale si poteva accedere solo navigando a remi, dopo una traversata resa lenta dal fango scaricato dai fiumi di questo continente, tant'è che alcuni avevano pensato che l'oceano fosse congelato (xat 1tE1tljj'É:Vat oò~av EO"'X,E). In questo continente vivevano i Greci giunti al seguito di Crono e di Eracle. Ogni trent'anni essi estraevano a sorte un determinato numero di uomini, i quali venivano poi inviati all'isola di Crono. Durante il tragitto essi si fermavano per novanta giorni nelle isole esterne, dove in estate per trenta giorni il sole non scompariva alla vista che un'ora e pertanto la notte assomigliava ad un leggero crepuscolo. Infine, essi giungevano all'isola di Crono e si mettevano al servizio del dio per trent'anni, trascorsi
79, 378e) secondo cui i popoli occidentali indil.:avi:Ulu col nume di Crono l'inverno. Lo Jacoby. nel commento al frammento di Teopompo. e il Fabre (Les Grecs et la connaissance de l 'Occident. ci t., p. 249) ritengono che all'origine di questa collocazione occidentale di Crono si debba vedere una teogonia ortica. Si tratterebbe della più diffusa delle teogonie ortiche, che poneva all'origine di tutto Crono (R. Laurenti, Introduzione a Talete, Anassimandro, Anassimene. Roma-Bari, 19862, p. 21 ). Pitea, quindi, non fu responsabile dell'occidentalizzazione di Crono; semmai, fu all'origine della sovrapposizione della denominazione di Kpo'~~toY 7tÉÀayoc:; alla 7tE7t7Jyuia 6aÀa't'"ta operata molto probabilmente da Timeo, per il cui ruolo si veda S. Bianchetti. Plinio e la descrizione del/ 'Oceano settentrionale, ci t., pp. 82-84. Tale sovrapposizione si fondava fon;e sul termine celtico che designava il mare congelato: croinn (cfr. F. M. Ahi. Amber; Avallon, and Apo/Jo's singing Swan, «AJPh», 103, in part. p. 399). Più improbabile appare l'ipotesi che la denominazione derivi dall'antico norvegese hronn, balena, ad indicare il mare nel quale si incontravano i grandi cetacei. avanzata da J. Svennung. Skandinavien bei Plinius und Ptolemairu. Kritìsch-exegetische Forschungen z.u den Altesten NonJ;schen Spraduienkmiifern, Uppsala. 1974, pp. 28-29. 95 Cfr. F. Gisinger, Pyrheas. cit., col. 342. 96 E. D. Phillips, Kpovtov 7tÉÀcxyoc;. cit., p. 195. 97 Cfr. R. Dìon, Pyrhéas e:cplorateur, cit., p. 200, e E. D. Phillips. Kpovtav 7tÉ.Àcxyoc;, cit.. p. 195. Tale giudizio è valido ancora nell'età di Procopio. il quale identifica nel vasto oceano nordico tre isole: Brilannìa. Brittia (Jutland]. Thule (Scandinavia).
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i quali potevano scegliere se rimanere o rimpatriare. L'isola di Crono era un 'isola dell'abbondanza e del sapere. vi si studiava astronomi~ geometria, filosofia. Crono era assistito da demoni dotati di virtù profetiche, ma egli stesso era il profeta più grande, in quanto sognava ciò che Zeus premeditava98 • Il racconto del1'isola di Crono è ripreso brevemente in un'altra opera plutarchea, in cui si riferisce del viaggio compiuto dal grammatico Demetrio nelle Isole Britanniche. Costui affermava l'esistenza di molte isole nei pressi della Britannia, alcune deserte, altre abitate da demoni o eroi. Su incarico dell' imperatore egli si era recato in alcune di queste isole, dove vivevano pochi abitanti ritenuti sacri ed inviolabili dai Britanni; vi si verificavano fenomeni magici o straordinari, spiegati dagli indigeni come interventi divini, ed essi raccontavano inoltre che in un'isola di questa regione viveva prigioniero Crono 99 . In questi due resoconti si ritrova una chiara atmosfera celtica, legata al mito delle isole occidentali, isole dei morti e isole degli iniziati. Il numero delle isole plutarchee si ricollega alle quattro città sacre in cui vivevano i quattro maestri del druidismo, ma Plutarco unisce al tema delle isole degli iniziati. quello delle isole dei morti. In realtà si trattava di due realtà distinte: <-:les iles mythiques du domaine des morts ne doivent pas etre confondues avec celles, toutes «réelles» où les druides vont acquérir une initiation supérieure. Des iles mythiques nul ne revient. si ce n'est exceptionnellement, tandis que des iles «réelles» les druides reviennent sans encombre pour dispenser leur enseignement et maintenir la juste cohérence sociale». Realtà tuttavia dipendenti dallo stesso principio: «retour aux sources du savoir et de la nécessité cosmique». Ma la distinzione «échappait totalement aux autres ou aux voyageurs du monde classique qui interprétaient au pie d de la lettre les récits faits par les CelteS>> 100 • Anche nell'opera di Antonio Diogene, Thule era connotata come isola dei morti, poiché vi si verificava la morte apparente dei personaggi del romanzo, e come isola della conoscenza, intesa in senso sia magico sia scientifico, per l'azione del mago Paapis e per 1' esplorazione condotta da Deinias fino ai confini del mondoloJ. Accanto a queste influenze della cultura celtica sono presenti anche elementi che appartengono chiaramente al mondo culturale classico: il mito di Crono che, cacciato da Zeus, regnava nelle isole dei Beati e, più in generale, il tema delle isole Fortunate o dei Beati 102; il legame tra Cartagine e queste isole occidentali 103; la presenza di motivi ideali legati alla filosofia platonica 104; il legame con r opera omerica, sottinteso nel nome stesso dell'isola 'Qyuytl]. lnfme, è De facie quae in orbe iunae apparet, 26, 94la- 942c. De defectu oraculorum, 18. 420a. HlO F. M. Le Roux, Les iles au nord du monde, cit.. pp. 1058-1059. w1 Phot., Bibl., II, 166. 1o2 Si veda, a proposito di queste isole, G. Amiotti, Le Isole Fortunate, cit., pp. 166-177. 103 Si veda Dìod .. V, 19-20. Cfr. G. Amiotti, Le Isole Fortunate. cit., pp. 169~171. JG4 E. D. PhiUips, Kpovto\1 niÀayoç, cit., p. 196. Interessante parallelo è quello con l'Atlantide platonica, un'isola posta oltre le Colonne d'Eracle, nell'oceano Atlantico, mare aJlora navigabile. Da quest'isola si poteva passare ad altre isole e. quindi, raggiungere il continente opposto. Essa scomparve a seguito di terremoti ed inondazioni. lasciando aJ suo posto un mare impraticabile ed inesplorabile a causa dei bassi fondali e del fango (Tim., 24e-25d); non interessa qui la più ampia descrizione dell'Atlantide nel Crizia (108e-1 09a; 113c-121 c). L'opinione di Platone sulla navigabili là dell'oceano Atlantico venne ripresa anche da Aristotele. Meteor., II. l. 354 a, 22-23: Ta o' (çw O"'t'YjÀW"II ~pcxxtcx !-'-È:\1 OtcX 't'Ò\1 1tYJÀO\I, èi7t\IOCX o' ~Q'"t't"\1 b XOtÀc:p 'ti]ç 6a.ÀcX"'t"'t'Yjç OUO"Y]c;. Nel racconto plutarcheo gli 98 99
wç
evidenti ric;:hiami all'Atlantide platonica attestano la sua funzione di mito educativo. Fabre, Les Grecs et la connaissance de l'Occident, cit., p. 245 e 336, adottando una cronologia alta per Pitea (Id., Étude
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evidente nel racconto plutarcheo la presenza di tratti di origine piteana 105: la posizione dell'isola Ogigia e delle altre isole, a cinque o più giorni di navigazione dalla Britannia, vicino ad un mare difficile da navigare, anzi, percorribile solo a remi, e che alcuni avevano perciò ritenuto congelato; l'importanza delle osservazioni astronomiche nella localizzazione di queste isole e, in particolare, del riferimento alla luminosità notturna durante il mese a cavallo del solstizio estivo. A Pitea potrebbe anche risalire la stessa commistione di dati fantastici e reali, che si rileva denominatore comune in Plutarco, nelle Argonauti che ortiche, in Ecateo di Abdera e nel romanzo di Antonio Diogene 106 . Nel caso dei Cimmeri e dei Lestrigoni citato da Gemino. e probabilmente anche in quello della polis 'Epp..t6vetcx, dell'ingresso dell'Ade, e dei Cimmeri nelle Argonautiche ortiche, Cratete di Mallo aveva ricollocato le località americhe sulla base delle scoperte piteaneiD7 . Anche la sostituzione di Ogigia a Thule potrebbe essere il risultato ultimo del processo di ricollocazione dei luoghi omerici da lui avviato; tanto più che Cratete, autore di un celebre globo terrestre di grandi dimensioni 108 • riprendendo e sviluppando il tema platonico degli cìv·rt7tooe:c; 109, aveva rappresentato sul suo globo quattro aree abitate, in forma di isole divise tra loro dagli oceani, due per ogni emisfero 110. E sicurasur Pythém, cit., p. 44: 380-360 a.C.), ipotìzzava addirittura la sua influenza sul mito platonico d eli' Atlantide. Tuttavia, Pitea parlava di mare solidificato o congelato. non fangoso: Platone ed Aristotele devono aver utilizzato eventualmente altre fonti più antiche. forse alcune di quelle confluite poi in Avieno. Un'ispirazione platonica è sottolineata anche da H. Chemiss. Concemig the face wich appears in the orb o/Jhe moon.lntmduction, in Plutarch 's Moralia, XII, edited by H. Chemiss. W. C. Hembold, London-Cambridge Mass., 1968, p. 25. A.P. Bos, A «Dreaming Kronos>~ in a /ost work by Aristotle. «AC», LVIII. 1989, pp. 88-111, ritiene che il sonno premonilore di Crono derivi da Platone. ma attraverso la mediazione di un'opera perduta di Aristotele. 105 Si veda Y. Vemière, S_vmboles et mythes dans la pensée de P/utarque. Paris, 1977, p. 274, che attribuisce a Plutarco l'Epitome de placitis philosophorum, generalmente ritenuta spuria, e sostiene di conseguenza che Plutarco conoscesse Pitea, avendo parlato della sua teoria delle maree in quest'opera (III, 17 = F 2a Bianchetti = F 2 Mette). 100 A questi e ad altri testi, in una prospettiva che arriva ai giorni nostri, viene infatti accomunato il racconto plutarcheo da M. Mund-Dopchie, l.n sun,ie linéraire de la Tlmlé de Pythéas. Un exemple de la permanence de schémtJS anriques dans la culture européenne, «AC>~. LIX. 1990. pp. 79-97. La studiosa. accertando le stesse affinità sopra segnalate rra Ogigia e Thule, ed un qualche comune legame con l'immaginario celtico (pp. 90-92), sottolinea che «dans la perspe,tive envisagée par Plutarque, Thulé-Ogygie, centre dispensateur de connaissances, est assimilée à d'autres terres de légende pour devenir la patrie originelle d'une humanité parfaite et techniquement évoluée. un <>, dom toutes les mythologies conservenlle souvenir, quels que soient les noms qu'elles lui donnent» (p. 94). Y. Vemiere, Symboles et mythes. cit.. pp. 280..285, sottolinea i richliUili trJ l'opera di Plutarco e quelle di Teopompo. Ecateo di Alxlera. Evemero, lambulo. Antonio Diogene. menendo in evidenza i paralleli con l'isola degli lperborei dì Ecateo e soprattutto con la Thule di Diogene. che condivide con l'isola di Crono tre elementi essenziali: il viaggio nordico, le rivelazioni lunari (il testo di Plutarco ha come argomento appunto la luna), l'ambiente pitagorico. Rimando anche al mio articolo Una geografia jallfastica ?, cit., pp. 25-42, e a S. Bianchetti. Pitea di Massalia, cit.. pp. 72-80. Ringrazio inoltre il ~rof. Franco Sanori per avermi indicato una ulteriore testimonianza in proposito (Suida, Lexicon, s. v. ftouÀLc;, ove si narra del re egizio Thulis che avrebbe dominato dall'Egitto fino a!J'oceano e che avrebbe dato il nome di Thule ad un'isola che vi si trovava). 107 Cfr. Strabo. III, 4. 4, C 157-158 = F 30 Mette. Sphairopoiia. 108 Strabo, Il, 5. lO, C 116 = F 6 Mene, Sphairopoiìa. 109 Si veda lo studio di G. Moretti. Viaggi verso /'irraggiungibile, notizie dall'altro mondo. Le comunicazioni con gli antipodi fra dottrina. mito e letteratura, in Idea e realtà del viaggio, cit., pp. 367386: in particolare la nota 4, p. 383, e la nota 8, p. 383-384: Ead .. Gli antipodi. Awentura letteraria di un mito .fcientifico, Panna, 1994, in part. pp. 25-27 su Cratete, con un'ampia bibliografia alle pp. 171-182. 0 Cfr. G. Aujac, Strabon, II. cit., nota 3, p. 90 (p. 160). Su Cratete. si veda anche Strabo. I, 2, 2425. C J0-32 = F J4c Mette. Sphaimpoiia: cfr. la Notice curata da G. Aujac in Strahon.. L ci t.. pp. 13-20.
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mente ad una simile concezione si rifà l'idea plutarchea di un continente posto ad occidente della Britannia 111 • In ogni caso, il contrasto con la tendenza a localizzare Thule ad oriente della Britannia, individuata in Mela e Plinio, sembrerebbe indicare l'utilizzo da parte di Plutarco di una fonte più antica, che poneva Thule, identificata con l'Ogigia omerica, nelle estreme lande nord-occidentali dell'ecumene. Può essere interessante soffermarsi brevemente anche su una tarda menzione di Thule nell'opera di Procopio. Thule viene descritta come un· isola molto grande, più di dieci volte la Britannia, e situata a nord di questa 112 • Gli Eruli, di cui Procopio sta narrando, vi erano arrivati partendo dalla costa dell'oceano, dopo aver superato il paese dei Varni e quello dei Dani. Il territorio di Thule è per lo più sterile, ma nelle regioni abitate vivono tredici tribù numerose. Al tempo del solstizio estivo il sole non tramonta per quaranta giorni 113, il contrario accade in inverno. Fra gli altri popoli che vi abitano c'è quello degli Scritifini (~xptGtt 6ept \là c; fJ-È:\1 -rpo7taç p-ci Àt'T-ra e: c; -fJ~J-ipac; "t'E'1'Tapaxov7a OÙOClfJ- Y] O'JEt, ci ÀÀa ò~ Y]'IIEXWc; r.: ci \l "t'C( 't'OÙ'tOV ":OV xpovov ur.:Èp yi]c; 4>aivE'::ctL J 14 Bel/. Goth ., VI, l 5. 8: È:(J-Ot fJ-È:\1 OÙ\1 È: c; -rau"t'Y]\1 tÉ\IctL "t'YJ\1 \IYJ'T0\1 'twv 'tE e:~pY]fJ-Évwv aù-::o7t'trJ, -rpÒ7t(fl oùòe:vi ~UVYjVEX 6Y]. m Beli. Goth., VIII, 20. 116 Beli. Goth .. VIII. 20,4-6: Bpt't'TLC( of: ~ VYJ'TOc:; ir.:i 'tOU'TOU (J-ÈV '!lKEct\IOU KEt'tat, 't~c; ~tovoc:; où 7tOÀÀ~ Cir.:o6ev, à).).' oaov àr.:ò 'T'tctOLW\1 ÒtctXO'TLWV ì(C("t'antxpù 'tW\1 't'OU 'Pl)vou Eì(~OÀWV tJ-llÀL'T't'a, HpE't'taviac; Oi: xai eauÀY]c; 'tljc; VYJ'TOU fJ-E'TCl~U Èa'ttV. È7tEt BpE't'tavta (J-ÈV r.:pòc; ouav'ta 7t0U KEL':'at 1iÀwv Ka':'à -:i:c; '1,-r.:avwv t'T)!.ct't'Cl xwpac;, àfJ-G:>L a-raoiouç où~ ~'T'TOV lì ic; -:e'tpaxt,.XtÀtouc; 't'Yìc; *m:ipou ttÉxorna, Hpt-:-ria OE ic; 1:1jc; faì.Àiac; -rà oma6E'II, ò~ r.:pòc:; 'UKEavòv -re:-rpa(J-(J-Éva, 'br.:avtac; OY]Àov6.-t Kat RpE't't'aviac; r.:pòc; ~oppciv ii.vf:tJ-OV. 80UÀYj ÒÈ:, O'Ta ye: cì.v6pwr.:ouc; doivat, Èc; '!lxe:avoù 't'OU r.:poc;; 'tfl apX't(JJ -rà (,-xa"t'a.
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orientale era fertile ed abitata, la parte occidentale era infestata da serpenti e rettili, e l'aria era talmente pestilenziale che chiunque avesse scavalcato il muro sarebbe morto all'istante. I villaggi sulla costa oceanica di fronte alla Brittia erano abitati da pescatori, contadini e commercianti che intrattenevano rapporti con gli isolani. Gli abitanti di questi villaggi, teoricamente soggetti ai Franchi, non pagavano loro alcun tributo, in quanto svolgevano in cambio un servizio del tutto particolare. Essi traghettavano di notte le anime dei defunti. Una voce li chiamava durante il sonno, ed essi andavano in riva al mare ove trovavano le barche già pronte. Non vedevano nessuno a bordo, ma allorché si mettevano a remare (in questa regione gli abitanti non facevano uso delle vele) sembrava loro che le barche fossero oltremodo cariche di persone. Tuttavia essi giungevano nell'isola Brittia in meno di un'ora, quando normalmente impiegavano un giorno ed una notte. Sull'isola i passeggeri scendevano, chiamati uno per uno da una voce, ma i barcaioli non vedevano nulla, solo si accorgevano che le barche al ritorno erano più leggerei17. Si incontra così, a distanza di secoli, un dato ulteriore da aggiungere al tema delle isole sacre; un dato tardo, ma che geograficamente, culturalmente ed ideologicamente non si discosta troppo dalle osservazioni di più antica matrice piteana, e che, anzi, getta ulteriore luce sulla origine di tali osservazioni. La Thule di Procopio è invece identificabile con la Scandinavia intesa nel suo complesso, dato che le popolazioni dei Dani e degli Eruli erano stanziate nella sua parte meridionale, mentre gli Scritifini, rapportabili forse ai Fenni di TacitoiiS, erano evidentemente dei Lapponi. Si conclude così, con una sicura identificazione di Thule con la Scandinavia, il processo di slittamento del riferimento per la localizzazione geografica di questa terra ai confini del mondo. Dai confini nord-occidentali dell'ecumene si passa a quelli nord-orientali; dalla Britannia di Strabone e, prima di lui, certamente di Eratostene, Cratete e Ipparco. si passa ad un duplice riferimento Britannia-Scandinavia in Plinio ed infine alla completa coincidenza con la Scandinavia in Procopio; questa Thule, però, non è più quella di Pitea. A questo punto, è spontaneo chiedersi se Pitea si spinse realmente fino a Thule, come potrebbero indicare i sei giorni di navigazione che separano quest'isola dalla Britannia e il testo di Cleomede. o se invece si limitò a raccogliere informazioni su questa terra presso le popolazioni che vivevano nella regione più nordica da lui raggiunta, come sembrerebbero suggerire Gemino e Strabone. Qualunque sia la risposta, ulteriori interrogativi si pongono necessariamente: quale realtà geografica si nasconde dietro il nome di Thule? Essa era abitata? A cosa corrisponde la 7tE7tYJyui:a 6aÀa't-ra? Quale fenomeno si cela dietro il miscuglio degli elementi visto e descritto da Pitea? Nel tentativo di rispondere a questi quesiti occorre ritornare alle fonti ora passate in rassegna e ad altre ancora, tenendo però presente che non tutte fanno riferimento alla stessa Thule, a quella scoperta da Pitea, poiché nei secoli, fino ai nostri giorni, sembrano essersi succedute diverse Thule; o, meglio, ad una Thule originaria, quella appunto scoperta e descritta da Pitea, alcuni fra gli autori antichi hanno preteso di sostituire nuove entità, reali o fittizie che fossero, identificandole col nome della terra che neli' immaginario antico costituiva l'es-
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Il&
Beli. Goth., VIII. 20. 42-48. Germania, 46, 1-3.
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senza stessa del confine del mondo abitato 119 • In realtà, la Thule di Pitea non fu mai più ritrovata, almeno con quel nome; e dunque le designazioni successive, quando non si riferiscano alla realtà piteana, andrebbero attentamente analizzate per comprendere le motivazioni, più o meno recondite, che spinsero alcuni autori a farne uso. Un primo punto fondamentale riguarda la distanza rilevata da Pitea di sei giorni di navigazione dalla Britannia a Thule, sulla quale concordano Strabone e Plinio. Si deve osservare innanzitutto che le cifre riferite da Pitea e relative ai giorni di viaggio nelle regioni atlantiche non presentano la stessa affidabilità che invece hanno le sue osservazioni astronomiche. La navigazione antica era infatti soggetta a tutta una serie di circostanze aleatorie, quali stato dei mari, regime dei venti e delle correnti. condizioni atmosferiche, tipo di imbarcazioni e altro ancora, che rendevano difficile l'equivalenza tra le giornate di viaggio e il computo delle distanze in stadi, anche per aree assiduamente frequentate. Se poi si aggiunge che la navigazione di Pitea si svolse nell'Atlantico e non nel Mediterraneo, diventa praticamente impossibile determinare quale distanza egli potesse percorrere in sei giorni. A differenza del percorso lungo le coste iberiche, celtiche e britanniche, non vi sono qui riferimenti toponomastici che possano rivelarsi utili. Non è neppure possibile stabilire che genere di imbarcazioni egli abbia utilizzato, benché debba aver comunque sfruttato le conoscenze e le esperienze dei marinai gaditani, celti o in questo caso britanni, avvezzi alle rotte oceaniche: poiché sicuramente aveva con sé interpreti che lo misero in grado di comunicare con le popolazioni incontrate nelle contrade settentrionali dell'ecumene, come dimostra la testimonianza di Gemino sopra citata. Va però rilevato che nessuna delle fonti lascia presupporre che Pitea abbia incontrato particolari difficoltà nel corso della navigazione verso Thule, mentre invece risulta da Strabone che ne incontrò nella regione nella quale osservò il fenomeno del miscuglio degli elementi. Tutto ciò è valido sempre che si assuma per certo che egli abbia effettuato realmente tale viaggio, poiché l'indicazione sulla sua durata potrebbe essere stata fornita a Pitea da gente della Britannia, dato che ad eccezione di Cleomede nessun· altra fonte afferma esplicitamente che Pitea sia giunto a Thule. Gemino e Strabone fanno infatti riferimento a regioni più meridionali, alle quali Pitea sicuramente giunse. La descrizione di Thule e dei fenomeni che in essa si verificavano potrebbe quindi risalire ad informatori locali, interrogati da Pitea, i quali erano a conoscenza dell'esistenza di una più lontana terra seuentrionale, forse da essi occasionalmente frequentata. Ciò non significa che si debba accantonare il dato relativo alla distanza dalla Britannia, ma perlo meno di deve abbandonare l'idea della possibilità di localizzare Thule tramite esso solo. La questione del viaggio verso Thule deve allora tradursi inizialmente in una indagine sulle mete più settentrionali toccate da Pitea, verificando solo in seguito se queste corrispondano o meno a Thule. In base alle informazioni fomite da Strabone e Gemino, è evidente, infatti, che Pitea raggiunse alcune regioni poste molto più a settentrione della Britannia. Occorre allora chiedersi da quale punto sia calcolata la distanza di sei giorni, poiché, comunque tale distanza vada intesa, questo luogo fu indubbiamente il punto di partenza per la successiva rotta di Pitea, anche se non necessariamente 119
Cfr. l. Whitaker. The Problem of Pyzhea .~' Thule. cit., p. 159.
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diretta a Thule. A questo proposito, Strabone e Plinio indicano genericamente la Britannia, senza menzionare alcun luogo preciso, ma credo che non possano esservi dubbi sul fatto che questo debba essere riconosciuto nel promontorio Orkan. Poiché infatti il prosieguo del viaggio deve intendersi diretto a nord, verso la latitudine alla quale non tramonta il sole, è logica deduzione che non sia stato scelto come punto di partenza un luogo qualsiasi dell'isola ma quello che nella rappresentazione piteana ed in quella eratostenica, ad essa conseguente, risulta essere il vertice settentrionale della Britannia. Non si può infatti ricorrere a diverse e più tarde rappresentazioni che nulla hanno a che fare con Pitea, come quella tolemaica, per fondare le proprie ipotesi in proposito, sostenendo ad esempio che i sei giorni vadano computati a partire dal Galloway 120. Secondo Tolemeo il vertice settentrionale della Britannia non era il promontorio Orkan o Orkas, che egli situava a 60° 15' (nella realtà a 58° 39'), ma il promontorio Noouav-rwv12I, posto a 60° 40' e corrispondente all' odierna penisola del Galloway, che in realtà si trova lungo la costa orientale della Britannia poco a nord dell'isola di Man, nel canale d'Irlanda, a circa 55° 122 • Tale sfasamento delle latitudini verso nord compromette la stessa collocazione di Thule, che infatti secondo Tolemeo verrebbe a trovarsi a 63° 123 . Senza entrare nei termini della discussione, tuttora apertissima124 , dei motivi che portarono Tolemeo ad una rappresentazione così distorta delle regioni settentrionali della Britannia, con la Caledonia vistosamente piegata verso oriente, è chiaro che non si possono utilizzare i riferimenti tolemaici per ricostruire il percorso piteano. Anche ammettendo che Pitea possa avere percorso il lato orientale dell'isola 125 , e soprattutto in questo caso, non è possibile pensare che viste le sue capacità come astronomo e la sua esperienza in mare egli abbia ritenuto che a partire dal Galloway la navigazione piegasse verso oriente, proprio allorché le coste frastagliate della Caledonia e le innumerevoli isole che ne accompagnano il contorno costringono il navigatore a dirigere la prua per lo più verso nord-ovest, per oltrepassare le Ebridi e raggiungere dopo alcuni giorni 1' odierno capo Wrath. A questo punto, per giungere al capo Orkan era sufficiente navigare effettivamente verso est, ma solo chi non conosceva personalmente le coste britanniche e non si fidava dei resoconti di navigatori e di mercanti poteva avere compiuto l'errore così grossolano di ritenere che il Galloway fosse la regione più settentrionale della Britannia, a nord del capo Orkanl26. D'altronde, Diodoro. che attingeva sia pure indirettamente a Pitea, testimonia che il capo della Britannia che si estende in pieno mare è quello chiamato Orkan 127, 12o Tale ipotesi è avanzata da R. Dion, A.~pects politiques, cit., pp. 201-204. 121 Geogr., 11, 3, l. m Geogr., n. 3. 7. l2l Geogr., I, 23, 22: Il, 3, 32; VII, 3, 3; VII, 5, 12. 12-1 Si vedano: J. J. Tiemey, Pto/emy's Map of Scotland, «1HS», 79, 1959. pp. 132-148; A. L. F. Rivet, Some aspects of Ptolem;..-'s Geograph,Y of Britain, in Littérature gréco-romaine et géographie historique, cit., pp. 55-81; A. L. F. Rivet, C. Smilh, The Place-names of Roman Britain, cit., pp. lll114~ C. Mann, Britain and the Roman Empire. Norfolk. 1996, pp. 61-62: B.Jones, L Keillar. Marinus, Ptolemy and the Turning of Scotland, <
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intendendolo chiaramente come il più settentrionale. In ogni caso, per i motivi già addotti, ritengo improbabile che Pitea si sia inoltrato nel canale d'Irlanda, propendendo invece per una navigazi~ne lungo la costa meridionale e poi orientale dell'isola fino al capo Orkan. E da questo punto, e non da altri, che si devono calcolare i sei giorni di viaggio fino a Thule. Nella Geografia di Tolemeo l'isola di Thule si trova compresa entro 62° 401 e 63° 15\ con un giorno solstiziale di 20 ore 128 , latitudine che non corrisponde affatto alle indicazioni di Pitea, il quale poneva l'isola nel luogo in cui i circoli artico e tropico coincidevano e il giorno più lungo durava 24 ore (66°), e neppure ai calcoli di Eratostene. che collocava Thule a 11.500 stadi da Boristene e dunque a 16.700 stadi dal polo (66° 81 41 11 ) 129 . Ciò significa che ci si trova di fronte ad una diversa localizzazione che nulla ha a che vedere con la Thule di Pitea e che. pertanto, anche in questo caso non si possono utilizzare i dati tolemaici per individuare le località piteane. Sono quindi da scartare a priori le ipotesi di identificazione con le Shetland o le Faer 0er, benché queste siano state sostenute, tra gli altri. da due studiosi che hanno dedicato a Pitea numerose ricerche, come Roger Dion e Paul Fabre. Il primo ha ipotizzato che la Thule piteana identificasse non una ma due regioni distinte ed omonime, corrispondenti alle Shetland e alla Norvegial3o. Il nome, originario della Norvegia, sarebbe stato mantenuto da una parte della popolazione migrata nelle Shetland, ed attribuito alla maggiore di queste isoJe131. Egli adottava inoltre le varianti Bergae per Belcae nel testo di Mela e Nerigon per Berricen nel testo di Plinio. ottenendo così conferma dell'identificazione di Thule con le Shetland, poste di fronte a Bergen (Bergae), in Norvegia (Nerigon), e collegate a questa tramite una rotta marittima 132 • In sostanza, egli riteneva che da Pitea in poi, attraverso Tolemeo e fino a Procopio, vi fosse stata una sostanziale continuità nell'utilizzo del nome Thule e nella localizzazione e identificazione di questa terra con le Shetland e la Norvegia. Solo la successiva occupazione vichinga avrebbe fatto sparire ogni traccia della sua esistenza133. Paul Fabre identificava invece Thule con le isole Paer 0er 13 4, la soluzione che meglio si adattava alle coordinate fomite da Tolemeo. Egli escludeva dunque rislanda perché troppo settentrionale, la costa norvegese che non poteva assomigliare ad un'isola e le Shetland, troppo meridionali 135. Inoltre, egli riferiva a Thule la descrizione piteana delle popolazioni che vivevano vicino alla zona glaciale e, come il Dion, adottava le lezioni Bergae e Nerigon' 36 • Entrambi gli autori, pur discordando tra loro, a proposito della localizzazione di Thule non tengono in alcun conto le fonti più vicine a Pitea, che sono a mio II, 3, 32: cfr. Synt. math .. IL 6. La divergenza è dovuta semplicemente al fatto, sopra accennato, che mentre Pitea utilizzò probabilmente un valore dell'eclittica pari a 24°. Eratostene ottenne il valore più preciso di 23° 51' 19". 130 Pythéas explorateur, cit.. p. 209. La stessa ipotesi è ripresa ed approfondita in Aspects politiques, cit., pp. 200-207. 131 Pythéas explorateur, cit., p. 210. Tale duplice identificazione si fondava sui versi di Claudiano e Rutilio Namaziano per le Shclland, e su un brano di Procopio per la Norvegia. m Aspects politiques, ci t., p. 279. Così anche A. Silberrnan, Pomponius Mela, cit., nota 7, p. 83 (pp. 288-289). m R. Dion, Pythéas explorateur, cit., p. 211. 114 Così anche A. Grilli, /1 mito dell'estremo Occidente nella lelleratura greca, in La Magna Grecia e il lontano Occidente, cit., pp. 17 e 25. 135 Le.s Massaliotes, cit., p. 38. 136 Les Massaliotes, cit., p. 39. 128 129
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avviso le sole in grado di offrire dati sicuri. È soprattutto attraverso Strabone che si può infatti risalire ad Eratostene, Ipparco e Posidonio, cioè a quegli studiosi che ebbero la possibilità di consultare r opera di Pitea e di valutare direttamente g1i elementi e le informazioni in essa contenuti 137 • Se Eratostcnc poneva Thule a l 1.500 stadi dal Boristcnc 138 , lo faceva certo attraverso un puro calcolo matematico, ma ta]e ca1colo si basava sul fatto che Pitea aveva collocato Thule esattame11te nel luogo in cui il circolo artico si confondeva con il tropico estivo 139 . E questa l'unica localizzazione valida rintracciabile nelle fonti, presentando tutte le altre una serie di variabili che le rendono inaffidabili !40, e che probabilmente derivano dalla mancata comprensione da parte degli antichi studiosi dei diversi dati e riferimenti che erano inseriti all'interno di una schematica tabella delle latitudini organizzata da Pitea. In essa, accanto alle constatazioni e misurazioni condotte autopticamente, comparivano ricostruzioni puramente teoriche delle latitudini più settentrionali alle qua1i egli non giunse. Ma anche esigenze politiche e motivi celebrativi ebbero spesso il loro posto; è il caso di Tacitol-11. di Silio Italico e Staziol 4 2, e di tanti altri prosatori e poeti, a con1inciare da Virgilio 1-n. Tali esigenze continuano a farsi sentire ancora oggi, se è vero che le diverse identificazioni di Thule da parte della critica moderna nascono spesso dalla volontà degli srudiosi di identificarla con la propria patrial44. Eliminate queste isole atlantiche. la Thule di Pitea non può che corrispondere all'Islanda o ad una parte almeno della costa norvegese 1.:J5 • Le annotazioni relative alla latitudine, alla distanza dalla Britannia, alla sua posizione nordica rispetto a quest'ultima. si adattano perfettamente sia al nord della Scandinavia Cfr. In questo senso l. Whitaker. The Problem cl Pyrlu:as · T/w/e. <(C h. LXX V II. 1981-1982. p 131\ Strabo, I. 4, 2, C 63 =FIl C. 2 Berger. Confermato da Isidoro (FGrHist .• 781 F 7 = Plin .. N.H .. Il. 246). 139 Strabo. Il, 5, 8. C 114 = F 8c Bianchetti= F 6c Mette. 1-m Cfr. in questo senso l. Whìtaker, The Problem of Pytheas' Thule. cit.. pp. 152·153. il quale sottolinea innanzitutto il diverso valore da attribuire ai frammenti. la maggior parte dei quali non sono altro che ripetizioni o sviste dovute al fatto che le testimonianze superstiti provengono da autori i quali non ebbero una visione diretla dell'opera di Pitea. ma la conobbero solo attraverso diversi intermediari. Inoltre. sarebbero presenti. particolarmente in Polibio. motivazioni quali quella di screditare Pitea per «the desire to removc any sort or riva! to his own reputation as the explorer of the outer ocean». A queste. aggiungerei anche evidenti motivazioni politico-propagandistiche, sia per quanto riguarda il giudizio di Polibio sta per quello di Strabone. Il Whitaker scarta così i testi più tardi e. soprattutto. non menziona gli autori come Tolemeo e Procopio che localizzarono Thule in modo preciso e gli scrittori che utilizzarono Thule quale termine in grado di suscitare una forte impressione nei propri lettori. 1..11 Agricola, IO. 6: si tratta sicuramente, in questo caso, delle Shetland. 14 ~ Sii., III, 597: XVII, 416-417; Stai.. Si/l'., III. 5. 20; rv. 4, 62-63; V. 2, 54-56. Su questi passi. che identificano Thule con la Britannia settentrionale raggiunta da Vespasiano, si veda il recente articolo di H. J. W. Wijsman, Tlzu/e applied to Brirain. «Latomus}>, 57. 1998. pp. 318-323. I·U Georg ., I, 30. e il relativo commemo di Serviu. 1 ~ l. Whitaker, The Problem of P.vtheas' Thule, ci t., p. 162. 1.\5 A questa stessa conclusione giungono F. Gisinger (s. v. Pytheas, cit., coli. 336-340.) e L Whitaker ( The Problem of Pytheas' Thule, cit.. p. 161 ). i quali pur propendendo entrambi per l'identificazione con l'ls lan da non scartano affatto l' ipotesi Scandinavi a. c h e nel l'antichità era considerata co me un a grand e isola, anche se, secondo il Whitaker. l'identificazione con la Norvegia sarebbe resa problcmatica dal Fatto che non vi si trovi ghiaccio permanente lungo le coste. In ogni caso. secondo costoro. sarebbero da scartare le ipotesi dì localizzazione con le Shetland o con regioni comunque più meridionali, come la Thule di Tolemeo. Queste regioni. infaui. secondo il Whitaker. non presentano alcuna corrispondenza con la durata della notte indicata da Pitca. con le distanz.e di sci giorni di navigazione dalla Britannia e di un giorno dal mare congelato. che egli identifica con il pack.. Ma il motivo fondamentale di tale esclusione «Ìs that Tbule ìs not described as a group of ìsland by Pytbeas». 137
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sia all'Islanda. Quanto all'insularità, come si è visto, la penisola scandinava era classificata dagli antichi come isola o gruppo di isole. Altri elementi appaiono invece discriminanti in favore dell'una o dell'altra ipotesi. Il primo di questi dipende dall'interpretazione de11a 7tE:7t)'}yu'Lcx. 6aÀa't''t'a; se si identifica con essa un mare in cui sono presenti masse di ghiaccio, o la stessa banchisa polare, solo l'Islanda settentrionale presenta caratteristiche adatte, almeno nelle attuali condizioni climatiche 1.t6 . Un secondo fattore discriminante è dato dal fatto che la Thule piteana sembra essere una terra abitata o almeno frequentata da coloro che ne diedero notizia a Pitea. anche se le notizie in proposito appaiono contraddittorie. Infatti, in base ai riferimenti di Strabone sembrerebbe che Pitea, trattando di Thule, avesse descritto la zona glaciale e le popolazioni che vivevano nei suoi pressi e più a meridione, ma nulla lascia supporre che queste popolazioni vivessero proprio a Thule, e neppure il riferimento implicito di Cleomede all'esistenza di abitanti nella regione in cui il sole non tramonta al solstizio estivo mi pare particolarmente indicativo. vista la sua genericità: Tot~ ~Év yap È:v 8ouÀn IJ"U~ 7tt7t'tEt O6e:ptvo~ 'tp07ttXÒ~ 'ttp àpx'ttX 147. Il fatto che quest'isola rappresenti il limite dell'abitabilità fa comunque supporre che essa fosse abitata, forse anche solo saltuariamente. da quelle popolazioni che vivevano nei pressi della zona glaciale. In questa stessa direzione va la notizia che il mare congelato si trovi ad un giorno di navigazione da Thule. Variamente interpretato dalla critica moderna1 4 8, e sommariamente localizzato nelle fonti antiche. anche e proprio perché strettamente legato all'introvabile Thule 149, questo mare viene a porsi in stretta consonanza con la zona glaciale; se effettivamente Thule corrispondesse all'Islanda, non vi sarebbero dubbi nell'identificare la 7tE:7t)'}yuta 6aÀa't''t'a con la banchisa polare. Tuttavia. le correnti fredde del nord trasportano i ghiacci molto più a sud, fin verso le Faer 0er 150 , e dal testo straboniano pare evincersi che riguardo a questo mare le informazioni in possesso di Pitea fossero indirette. L'ipotesi Thule-lslanda presuppone che quest'isola fosse conosciuta e frequentata circa un millennio prima della sua (ri)scoperta da parte dei monaci irlandesi, nota da alcune fonti medioevali 15 1• Tale frequentazione non è da escluIn relazione al mare congelato. L Whitaker pone attenzione al fatto che le condizioni attuali sono probabilmente diverse da quelle del IV secolo a.C.: «it should be noted that Pytheas' joumey carne at 1he end uf a long sub-Atlantic cold period. the clima;-;; of which was 600-500 B.C .• after which therc was. some improvemenl. If pre.-:ent-day conditions had obtained it would be necessary to postulate that Pytheas had visited the north-western point of Iceland, which is at time only one day's joumey from the southem limi t of ice, rather t han the much nearer north-eastem poi nt of the sa me island, which. however, in a period of harsh clima te may not ha ve been so far from the ice-pack» (The Problem of Pytheas' Tlwle. ci t., p. 161 ). 1-' 7 Clcom., Cael., I. 4 = F 12a Bianchetti= F 14 Mette. Cfr. tuttavia F. Gisingcr, s. v. Pytheas, cit., coli. 335-336. il quale ritiene, appunto in base al testo di Cleomede, che l'isola di Thule fosse abitata. 1411 Secondo F. Gisinger. si tratterebbe del Mare Glaciale. noto a Pitea solo È:~ àxoiJc;. R. Dion riteneva che l'espressione r.:E:r.l']yuia 6aÀo:-r-ra designasse la corrente fredda, proveniente da nord, che spinge i ghiacci flottanti dalla banchisa polare fino alle coste orientali delle Faer 0er (Aspects politiques, cit., p. 194; si veda inoltre la figura 15, p. 195. in cui è visualizzata l'area di dispersione dei ghiacci). Così anche P. Fabre, Les Massaliotes, cit., p. 39. Secondo l. Whitaker, The Pmblem of Pytheaj•' Thule. cit., p. 161, si tratterebbe invece della banchisa polare. 149 Si veda Strabo. l, 4, 3, C 63, secondo cui nessuno di coloro che avevano visitato la Britannìa e lerne aveva riportato notizie di Thule. !5o Cfr. R. Dion, Aspecrs politiques, cit., p. 194: si veda inoltre la figW"a 15, p. 195; e P. Fabre, Les Massaliotes. cit., p. 39. 151 l primi monaci o eremiti irlandesi potrebbero aver raggiunto l'Islanda nel VII secolo o anche prima, ma non vi sono prove decisive in t.aJ senso (Cfr. L. De Anna. Thule, cit., nota 9, p. 50). Sicural.ltl
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dere a priori, come potrebbe indicare il rinvenimento in due località nel sud-est dell'Islanda di tre antoniniani datati al periodo 270-305 d.C. La provenienza di queste monete da zecche lontane, Roma e Cizico, il fatto che le monete in rame ebbero valore solo nel momento della loro circolazione e la loro estrema rarità al di fuori dei confini dell'impero fanno supporre che l'arrivo dei tre antoniniani sull'isola vada ascritto alla fine del DI o all'inizio del IV secolo, forse al seguito del naufragio di una im-barcazione trascinata da una tempesta e proveniente dalla Britanrua o comunque dal Mare del Nordl52. Questo non è i1 solo rinvenimento antico che interessi la navigazione romana neli' Atlantico settentdonale. Infatti, nel 1934 fu segnalato il rinvenimento di un'olla romana in ceramica grigia presso il Porcupine Bank, a 150 miglia dalla costa occidentale dell'Irlanda. Sul fondo de.U 'olla compare il graffito C PISCI l FAGI e, sotto di esso, un disegno stilizzato che sembra riprodurre un orso (forse un orso bianco?)l53. Si deve dunque pensare che anche se in maniera occasionale o spesso involontaria vi fosse una qualche frequentazione dei mari a settentrione e ad occidente della Britannia in età romana e probabilmente anche. in precedenza. Le imbarcazioni in legname e pelle utilizzate dalle popolazioni locali erano infatti io grado di reggere adeguatamente le correnti dell'oceano e la loro tecnica costruttiva è rimasta quasi immutata fino ad epoche recenti. Se i monaci irlandesi si spinsero fino alle Shetland, a11e Faer 0er ed in seguito ali' Islanda si deve anzi supporre che sapessero già dove recarsi o che quanto meno avessero ricevuto indicazioni da pescatori o marinai che si erano avventurati in quelle acque seguendo molto probabilmente rotte ben più antiche. A questo proposito, le testimonianze di Plinio e Mela rendono suggestivo pensare che già nel IV secolo a.C. esistesse una rotta che collegava quest'isola alla costa norvegese in prossimente l'Islanda era frequentata dai monaci alla fine dell'VIII secolo. poiché la testimonianza della lunga permanenza di alcuni clerici nell'isola, menzionata come «Thile», fu raccolta da Dicuil nel Liber de mensura Orbis Terrae (VII. l 1), scritto nelr825 ma in questo caso relativo ad un evento verificatosi nel 795. Da questo punto di vista, al di là dell'idenùfica7ione ovvia di Thile con l'attuale Islanda. in quanto terra estrema, vi sono alcune considerazioni interessanti: la prima riguarda il fatto che secondo Dicuil i marinai irlandesi avevano incontrato il mare ghiacciato ad un giorno di navigazione a nord deH'isola; la seconda concerne i mezzi di trasporto che consentirono ai monaci irlandesi di raggiungere quest'isola. Essi utilizzavano infatti i cosiddetti curach, imbarcazioni di pelli cucite insieme su un telaio in legno che neli' uso e nella fabbricazione corrispondono alle imbarcazioni utilizzate nell'antichità dai popoli del settentri.o ne e, come si è visto, descriue già da Pitea a proposito di Ictis. Sulla tecnica di costruzione e sulrutilizzo del curach a partire almeno dall'Età del Bronzo si veda G. J. Marcus. La conquista del nord Atlantico. cit., pp. 17-37; cfr. anche pp. 38-62 sulle navigazioni dei monacì irlandesi ne.ll ' Atlantico settentrional.e. Si veda inoltre G. Orlandi, L'esplorazione deli'Atlanlico nell'alto Medioevo, in Columbeis, II. Genova, 1987, pp. 105-116. 152 Sulla problematica apena da questi rinvenìmenti si vedano: H. Shetelig, Roman coins fowzd in lceland. «Antiquity>>, XXII.I, 1949, pp. 161-163, che pensa all'arrivo dì marinai romani sospinti da una tempesta; F. M. Heichelheim, Roman coinsfrom lceland; «Antiquity», XXVI. 19.52, pp. 43-45. il quale, io base allo studio deUe monete, propende per l'arrivo, dovuto sempre ad una tempesta, di almeno un individuo che doveva aver militato nell"esercito romano lungo il Danubio e in oriente, e che in seguito si era dedicato ad attività marinaresche nei mari del nord. Cfr. anche l. Whitaker. The Problem of Pytheas · Thule. cit., p. 160, il quale si chiede: «Altìhough they were minted six centuries after Pytheas. their presence has not been satisfactorily explained, and we cannot rule out tbat one or more Roman ships found their way th~nce. lf tbe Romans reached keland, why not also tbe Greeks?>>. Possibilità per altro negata da J. M. Alonso-Nufiez, A Note on Roman coinsfound in lceland. «OJA>>, 5. 1986, pp. 121122, il quale, pur non escludendo del tutto l'ipotesi che il ritrovamento di queste monete sulJ'isola sia correlabile ad una eventuale presenza di Romani, preferisce coHegarlo alla frequentazione dell'isola in età medioevale. 153 Una breve nota su questo rinvenimento, accompagnata da una fotografia, apparve nel «JRS>), XXIV, l 934, pp. 220-221 e fig. 25.
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mità di Bergen. E infatti a partire di qui, dalla più meridionale Stavanger e dal porto più settentrionale di Trondheim che i navigatori norvegesi s'insediarono prima negli arcipelaghi delle Shetland, delle Ebridi, delle Orcadi, in Irlanda e nell'isola di Man, per poi giungere alle Faer 0er e all'Islanda, di volta in volta cacciandone o comunque sostituendosi agli eremiti che vi abitavano in precedenza, ed infine alla Groenlandia 154 . Bergen possiede inoltre altri requisiti che ben si adatterebbero alle osservazioni piteane. Si trova infatti sulla rotta che dal nord della Britannia porta alle terre baltiche dell'ambra, che potrebbero avere costituito la successiva meta di Pitea. La sua latitudine è inferiore a quella della località in cui Pitea ricevette infonnazioni dalle popolazioni locali sul luogo in cui il sole andava a dormire155, ma si addice sia a quella in cui il sole all'epoca del solstizio invernale si alzava a soli tre cubiti dall'orizzonte 156, sia a quella in cui egli poteva osservare l'impossibilità di coltivare cereali a causa del clima rigido, quindi una sorta di spartiacque fra popolazioni che vivevano di agricoltura e popolazioni che non la praticavano. Infatti, proprio le osservazioni circa l'esistenza di precisi spartiacque climatici, re lati vi non solo all'abitabilità ma anche alle diverse possibilità di sfruttamento del territorio e dei suoi prodotti, risultano utili nel proposito di fornire una collocazione geografica plausibile alle regioni e alle popolazioni descritte. Attualmente, i limiti settentrionali lungo le coste atlantiche per la coltivazione del grano e l'allevamento delle api si collocano rispettivamente in corrispondenza del fiordo di Stavanger (58° 58') e del fiordo di Trondheim (la latitudine dell'odierno centro è di 63° 26', ma il fiordo omonimo, le cui valli tributarie fonnano una delle regioni più fertili della Norvegia, penetra all'interno, verso nord-est, per circa 150 Km) 157 , anche se cereali più poveri crescono perfino nelle settentrionali Lofoten. Pitea, dunque, poteva avere raccolto presso gli abitanti della regione dell'attuale Bergen, a metà strada tra i sopra citati limiti settentrionali per il grano e le api, numerose informazioni sulle regioni limitrofe e sulle popolazioni che vi vivevano, essendo così in grado di collocarJe ai limiti della xcx'"t'e:~!JY(J.EVYJ 'çwvYJ, anche se non si può escludere che egli si sia spinto più a nord, data la corrispondenza tra la latitudine della regione di Trondheim e quanto si ricava dai dati fomiti da Gemino. Se la presenza di Pitea a Bergen o, comunque, nel sud della Norvegia può apparire quanto meno probabile, alla luce dell'eventuale rotta seguita e più in generale delle più tarde rotte che attraversavano l'Atlantico, e della possibile sopravvivenza toponomastica tss, altrettanto non si può affennare circa il suo arrivo a Thule. Molto probabilmente Pitea non si spinse fino a questa estrema regione dell'ecumene ma si limitò a riunire a Bergen, o forse anche più a nord, le informazioni su di essa, raccogliendole dai marinai e dai pescatori che frequentavano le l :54 M. de Boi.iard, Le rotte dei Vtchinghi, cit., p. 97. m Gem.in., Elem. astr., VI, 9; le latitudini corrispondenti alla durata del giorno più lungo di 21 o 22 ore sono quelle, rispettivamente, di circa 64" e 65" nord; in realtà Bergen è più meridionale (60" 20'). ma Pitea parrebbe essersi spinto anche più a nord. 156 Strabo, Il, l, 18, C 75, parla di meno di tre cubiti, ma tale menzione sembra presupporre anche l'osservazione relativa a questa altezza. In ogni caso, per un'altezza di tre cubiti si avrebbe una latitudine di 60", menue all'altezza di 2,5 cubiti corrisponde una latitudine di 61 ". 157 Cfr. F. Lasserre, Strabon, IV. cit.. nota 4, p. 168. 1ss La sopravvivenza di toponimi ed etnonimi per oltre duemila anni, che è l'ovvio presupposto di tale identificazione, non è un dato affatto strano. Solo per quanto riguarda la questione piteana, basti pensare ai Namneti, a Oux.isama, al Kantion e aii'Orkan.
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rotte atlantichel5 9 . L'unica fonte che suggerisce una presenza diretta di Pìtea a Thule è Cleomede 160, il quale tuttavia, così come a proposito degli abitanti, potrebbe avere frainteso quanto riportato dalla sua fonte, che sembrerebbe individuabile in Posidonio 161 • Le indicazioni di Strabone e Gemino lasciano infatti supporre il contrario: Gemino affermava che Pitea aveva raccolto notizie presso le popolazioni che vivevano alla latitudine in cui la notte al solstizio estivo durava due o tre ore'62 ; Strabone riferiva che Pitea aveva parlato dì popolazioni che vivevano vicino alla zona glaciale, ma le indicazioni fomite sul tipo di vita da loro condotto facevano riferimento a regioni poste tra le odierne latitudini di 58° e 63°163. Come suggerisce Strabone 164 • egli potrebbe aver parlato di Thule solo i:ç cixoi]ç. La possibilità che Pitea abbia raccolto le informazioni relative a Thule a Bergen è amn1issibile sia nel caso in cui Pitea intendesse con Thulc l'Islanda sia qualora intendesse invece designare il nord della penisola scandinava 165, abitata fin da epoche remote da popolazioni stanziate ben oltre il circolo polare e dedite anche alla pesca di altura; dunque in possesso di imbarcazioni in grado di reggere agevolmente le correnti oceanichet66. A Pitea d'altronde era sufficiente sapere dell'esistenza di una terra ove il sole non tramontava al tempo del solstizio estivo per riuscire a collocarla aJla latitudine in cui, secondo la teoria della sfera. il circolo artico si confonde col tropico estivo: 66° nord.
V/.2 - Il limite del! 'abitabilità Noi moderni siamo abituati ad intendere come circolo artico o circolo polare il parallelo posto a circa 66° 33' di latitudine nord. In realtà esso non è che la proiezione sulla terra del suo equivalente astronomico. Il circolo artico celeste è infatti il circolo delle stelle sempre visibili tangente l'orizzonte di un determinato luogo e variabile con la latitudine. Il circolo artico terrestre ne è la proiezione e varia anch'esso con il variare della latitudine del luogo di osservazione. La proiezione terrestre del circolo artico dista dal polo settentrionale tanto quanto il luogo di osservazione dista dali' equatore 167 • Per gli antichi greci il parallelo fondamentale che costituiva la latitudine di rife:rintento era quello che passava per Rodi, a 36° di latitudine nord, il cui circolo artico si veniva a trovare a 54°: 159
Diversamente. S . Bianchetti, Pirea e la scoperta di Tlwle. cit., p . 19 (alla quale si rimanda per ulteriori approfondimenti bibliografici), ritiene che la regione nei pressi di Trondheim corrisponda alla Thule piteana. Favorevoli all'arrivo di Pitea a Thule. comunque essa vada identificata. sono anche F. Gisinger. s. v., Pytheas. cit., col. 33~ , e.I. \Yhitak~r. The Proble1~ of P;~tlleas'.TIHfle. cit.. ~ · 158. . 16 Caelestia, l, 4, 208-209: n~pl Òe: 't'Y]V eouÀ Y]V >W.ÀOUtJ-EVY]V V"fìi'J'OV, e:v Yi ye:yove:va.t 9a.'J't rJ uB€:a. v -ro\1 l\1a'J'-:raAtùrr·r;v 90.6-:ro~ov. 161 Questa almeno è l'ipotesi avanzata da H. J. Mette. Pytheas. cit.. p. 14. 162 Elem. astr.. VI, 9 = F 13a Bianchetti = F 9a Mette . t6J Strabo. [V, 5, 5, C 2Dl = F 8e Bianchetti = F 6g Mette. lt).l Il. 4, l, C 104 F 8d Bianchetti F 7a Mette. 165 Per queste ed altre ipotesi di identificazione della Thule piteana rimando a S. Bianchetti. Pitea e la scoperta di Thule. cit., nota 8, p. l O. 166 Cfr. G. J. Marcus, La conqu;sra del nord Atlantico. cit., pp. 20-23. 167 Cfr. G. Aujac, Strabon, Il, cit.. nota 5, p. 56 (p. 143); si veda anche il lessico tinale alla voce àpx·nx6c;, pp. 179-180; della stessa autrice si vedano anche: Strabon et la science de son temps. cit.. in part. pp. 122-125; Astronomie et géograplzie, cit., in part. pp. 454-460; lA géographie dans le monde antique, cit., pp. 43-61. Inoltre, cfr. D. R. Dicks, Hipparr:hus. cit.. pp. 24-25. e 164-166; C. H. Roseman, P_vthea:>, cit., pp. 57-59.
°
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=
Thule
199
le regioni situate a questa latitudine erano quelle già indicate da Aristotele come poste sotto la costellazione dell' Orsa, cioè a nord, e ritenute inabitabili a causa del freddo 168. Strabone pretendeva di collocare grosso modo su questo parallelo l'isola di lerne, da lui ritenuta l'estrema terra abitabile 169 , riprendendo quindi l'argomentazione aristotelica, sfruttata però anche ad altri fini. lnfatti. descrivendo le regioni nordiche dell'ecumene come inospitali, abitate da popolazioni con costumi barbari e cruenti. inadatte all'agricoltura e ad una vita civile, Strabone esprimeva in più passi r opinione che esse non avevano particolare interesse né per il geografo né per l'uomo politico170. Meno interesse ancora destavano ovviamente le regioni più settentrionali, considerate come inabitabili o nelle quali, eventualmente, si riteneva che vivessero uomini completamente selvaggi che conducevano un'esistenza miserevo le a causa del freddo 111 • In tal modo egli tentava di giustificare da un lato la sua scarsa conoscenza di tali regioni, dall'altro la mancata sottomissione di queste da parte delle armi romane. fornendo così un modello anche per la storiografia successiva In: se l'impero romano non era giunto ai confini del mondo, erano tali confini che si spostavano verso di esso. In realtà, per ammissione dello stesso Strabone, alcuni geografi avevano parlato delle regioni nordiche, facendo ricorso anche ai resoconti piteani e alla teorie elaborate dagli astronomi e dai matematici. Strabone era però lontano da costoro, sia come personalità sia come atteggiamento nei riguardi della geografia; scienziati come Eratostene, lpparco e Posidonio avevano portato la geografica a livelli mai più ripetuti fino all'età moderna, dotandola di strumenti capaci di analizzare le strutture del mondo e di indagare le cause dei fenomeni in esso presenti. Per le regioni sulle quali mancavano conoscenze dirette, essi erano in grado di fornire sviluppi teorici adeguati. Ma, il più delle volte, Strabone tali sviluppi teorici non li comprendeva. Egli. pure indicando i presupposti necessari alla scienza geografica e alla formazione del geografo nei primi due libri del1'operat73, aveva optato per un tipo di geografia più descrittivo. che non si curasse delle regioni extra-ecumeniche ma che fosse utile strumento all'educazione dell'uomo di governo 1H. In tal modo egli poteva sostenere che il limite dell'abitabilità passava per l eme e che le regioni prossime a tale limite offrivano scarsi mezzi di sussistenza alle popolazioni locali e nessun vantaggio per il conquistatore. Anzi, era vantaggioso imporre dazi ai loro confini piuttosto che tentarne la conquistai75. Partendo da simili considerazioni si capisce come mai Strabone incontrasse difficoltà nell'accogliere con favore le notizie e le scoperte di Pitea. Costui, Mereo., II. 5. 362b. 4-9. Strabo. II, 5, 8. C 115. Ho già notato che questa sembra essere l'opinione personale di Strabone. frutto anche di un maldestro assemblaggio delle indicazioni fornile in altre occasioni. che invece fanno riferimento alla latitudine di 55° 30'- 56° (1, 4. 4. C 63: Il. l. 13. C 72: IV, 5, 4, C 201). 170 Il, 5. 8. C 115-116: Il. 5. 18. C 122: II. 5, 43. C 135-136. !J! Il. 5. 8. c 114-115. 17 ~ Si veda Tac., Agricolll. IO, 5-6. a proposito dell'improbabile avvistamento di Thule da parte della flotta romana che circumnavigò le coste della Caledonia. 173 In part. Strabo. l. l, l, C 1-2. e l. l. 12-23, C 7-14. con l'indicazione degli intenti del geografo. dei mezzi e delle conoscenze richiesti, e degli interessi di questa scienza; ancora. Strabo. II. 5, 1-17. C l 09- I 21. sugli scopi e i metodi della geografia, e le conoscenze necessarie sulle quali tale scienza si fonda. 17..1 Si veda Strabo, I. l, 16-18, C 9-ll; l. l. 21. C 12; II, 5, 34, C 132. m Il, 5, 8, C I 15-116: IV. 5. 3. C 200-20 l. JM
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infatti, dopo essere giunto fino alle Isole Britanniche ed avervi raccolto informazioni di varia natura. aveva osato spingersi verso terre ancora più settentrionali e lontane dai confini mediterranei, ove aveva osservato che la vita diveniva più difficile a causa del freddo, ma che gli esseri umani riuscivano a sopravvivere, adattandosi ali' ambiente che li circondava, fino alla zona glaciale. in prossimità della quale vivevano popolazioni in grado di organizzarsi efficientemente per superare le difficoltà imposte dal clima rigido. Queste popolazioni praticavano anche forme di agricoltura 176 . Conseguentemente, Pitea aveva spostato verso nord il limite dell'abitabilità e, poiché egli aveva individuato l'esistenza di una terra alla latitudine in cui dal punto di vista astronomico il circolo artico o delle stelle sempre visibili coincideva con il circolo tropico estivo, tale nuovo limite dell'ecumene veniva a coincidere con questa regione ed era conseguentemente fissato alla latitudine di 66 o, quella di Thule 177, oltre la quale si estendevano il mare congelato e la zona glaciale 178. L'importanza di questa osservazione per la storia della geografia fu enorme~ in base ad un criterio puramente astronomico Pitea ricavò infatti una nuova definizione della proiezione terrestre del circolo artico, non più variabile con la latitudine del luogo di osservazione ma fisso nel luogo in cui vi era la coincidenza tra artico e tropico celesti e fra le loro proiezioni terrestri. Allo stesso tempo, coincidendo con Thule, il circolo artico costituiva il limite astronomico e matematico sul quale si fondava una nuova definizione dell'abitabilità, dell'ecumene come spazio dell'agire umano. Le osservazioni di Pitea furono accoHe da Eratostene ed in seguito la definizione di circolo artico fu adottata da Posidonio. Lo studioso di Apamea infatti divideva il globo in cinque zone: due di queste, artica ed antartica, ad ombra circolare (rtepicrxtov), sì estendevano dal polo alla latitudine in cui i rispettivi circoli artico e tropico si confondevano; di qui, fino ai tropici, si trovavano due zone ad ombra semplice (é-rEpocrxto'V); fra i due tropici si estendeva invece la zona equatoriale ad ombra doppia (àfJ.~tcrxto\1)1 7 9. Tale divisione in zone era dunque fondata su criteri puramente astronomici e corrisponde a quella attualmente in uso 180 • La coincidenza con l'indagine piteana è evidente. Thule infatti sì trovava esattamente alla latitudine in cui circolo tropico e circolo artico coincidevano, a 66° di latitudine nord; il limite della zona artica ad ombre circolari era dunque il medesimo indicato da Pitea quale confine tra le regioni abitabili e quelle glaciali, e il nome stesso della zona derivava dalla nuova definizione piteana. Se, dunque, Strabone voleva conservare il precedente limite aristotelico, che avvicinava i confini dell'ecumene a quelli dell'impero romano, si rendeva necessario non solo demolire l'opera p i teana, ma anche giustitìcare la mancata annessione della Britanni a e di l eme, adducendo a pretesto l'estrema povertà di queste regioni e le difficili condizioni di vita che rendevano inutile e troppo costosa la loro conquista 18 1• In sostanza, Strabone faceva così scendere il limite per delle condizioni di vita accettabili a circa 48° 30' di latitudine, cioè alla
F Se Bianchetti = F 6g Mette= Strabo. IV. 5. 5. C 201. F Sc Bianchetti = F 6c Mette = Strabo, IL 5, 8, C 114. m Rìspettivamente, F Sa Bianchetti = F 6a Mette= Strabo, I. 4, 2, C 63, e F Se Bianchetti Mette= Strabo, IV, 5, 5, C 201. 179 Strabo. II, 2, 3, C 95 = FGrHìst., S7 F 2S = F 49 Edelsteìn-Kidd = F l3 Theiler. u1o Cfr. G. Aujac, Stmbo11, II, cit., nota 6, p. 56. JsJ Stra bo. l v, 5, 3, C 200-20 l. 176
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costa settentrionale della Celtica; una coincidenza perfetta con quelli che erano allora i confini dell'impero 182 . Negando che le regioni poste oltre il limite dell'abitabilità aristotelico avessero alcun valore per il geografo, il cui scopo era di essere utile all'uomo politico e al militare, in sostanza al conquistatore romano, Strabone coerentemente privava di qualsiasi importanza quella zona del globo che Posidonio definiva come zona ad ombra circolare e che ben si adattava al nuovo limite rinvenuto da Pitea, ed anzi lo presupponeva e ad esso si sovrapponeva 183 •
VI. 3 - Il vincolo degli elementi Tra i luoghi straordinari descritti da Pitea nelle estreme regioni settentrionali dell'ecumene, la tradizione rappresentata da Strabone poneva l'accento su quello nel quale non si trovava né terra vera e propria né mare né aria, ma un compostO (O'UyKpt!J-!X ), una mescolanza di tutti questi elementi simile alla medusa o polmone marino (7tÀEU!J-OV 6o:ÀO:"t'"t'toç), in cui la terra e il mare e tutti gli elementi erano in sospensione (o:twpe:tcr6o:t), e questo composto era come un vincolo di tutti gli elementi (OEO"IJ-Òç Twv oÀwv). nel quale non era possibile né camminare né navigare. Pitea affermava di aver visto di persona questo fenomeno, a differenza di altri a lui noti per sentito dire 184 • Il composto o mescolanza degli elementi, simile alla medusa, è stato interpretato come una diversa descrizione piteana del mare solidificato o congelato che egli avrebbe incontrato, o di cui avrebbe avuto notizia, ad un giorno di navigazione a nord di Thule 185 • In base al testo. tuttavia, è evidente che si debbano intendere le due realtà come distinte 186• Strabone, infatti, in questo caso scende nei dettagli, facendo riaffiorare il tono della testimonianza piteana, probabilmente per la mediazione di Polibio 187 • Così, dunque, mentre il mare congelato viene definito come tale senza ulteriori specificazioni ed appare individuato con precisione da Pitea in quanto elemento naturale, ben diverso è il caso del ~UY'X.Pt!J-0:, che costituisce una realtà non definibile, se non attraverso il ricorso ali' analogia e alla simili t udine 188 • Strabone riporta di seguito la critica di Polibio ad Eratostene per aver prestato fede a Pitea e prosegue istituendo un singolare accostamento tra Pitea, Antifane 182
Si veda Strabo. XVII. 3. 24. C 839. in cui all'impero romano. superiore ad ogni altro impero precedente, viene attribuito il possesso di ciò che il mondo abitato contiene di più bello e famoso. 183 Strabo, II. 5. 43. C 135-136 = FGrHist .• 87 F 76 = F 208 Edelstein-Kidd = F 15 Theiler. In questo contesto, ceno non a caso, Strabone menzionava anche Pitea (F 14 Bianchetti= F 6d Mette), il cui nome probabilmente compariva già nel testo di Posidonio. 134 II. 4, I. C 104 = Polyb., XXXIV. 5. 1-6 = F 8d Bianchetti= F 7a Mette. 185 Cfr. H. J. Mette, P.vtlreas, cit .• pp. 7-9. Si veda anche L Whìtaker. The Problem of Pytheas' T/mie, cit., pp. 160-161, il quale collega il fenomeno del miscuglio degli elementi a Thule. vedendovi però una descrizione dei franunenti di ghiaccio staccatisi dal Pack; tuttavia egli ammette di non comprendere come mai Pitea avesse descritto in questo modo il ghiaccio, allorché era chiarissimo nel descrivere il mare congelato (p. 164). 186 In questo senso, si ••eda S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., pp. 166-167. Cfr. anche P. Fabre, L.es Massa/iotes. cit.. pp. 40-41. e R. Dion, Aspects politiques, cit.. pp. 197-198. 187 Polyb., XXXIV, 5, l Bi.ittner-Wobst = Strabo, Il, 4, l, C 104 = F 7b Bianchetti= F 7a Mette. 188 Per i diversi tentativi moderni di individuare un preciso fenomeno alla base della descrizione p i teana rimando a F. Gisinger, s. v. Pythcas, ci t., nota l, col. 353, e S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit .. pp. 164-167.
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ed Evemero. A dire di Polibio, infatti, Eratostene, che aveva definito Evemero con l'appellativo Bergaio, facendo dunque riferimento ad Antifane di Berga e alle sue storie favolose. aveva non di meno dato credito alle notizie sulla Britannia, Cadice e l'lberia riportate da Pitea, il quale pretendeva di aver esplorato personalmente la re&ione settentrionale dell'Europa fino ai confini del cosmo ('tÒ:. -rou xocr~ou 7tEpo:.'t'a.); impresa che non sarebbe credibile neppure se a riferirla fosse lo stesso dio Hermes 189 ; implicitamente e ironicamente alludendo all'opera omonima di Eratostene, nella quale l'ascensione al cielo de11a divinità fungeva da filo conduttore per descrivere e divulgare la propria concezione del cosmo e della terra, vi sta e te ori zzata dali· al to 1QO. Vale la pena di soffermarsi ancora su queste affern1azioni a11e quali più volte si è fatto ricorso per definire il ruolo di Eratostene nella trasmissione dei dati piteani. Come nel caso di Korbilon. in negativo attraverso la critica polibiana appare la portata dell'indagine compiuta dal Massaliota~ ma ciò che più conta è che attraverso ì riferimenti testuali è possibile approfondire il discorso relativo all'interpretazione delle realtà incontrate proposta dallo stesso Pitea. Innanzitutto, questo passo è da confrontare con un precedente brano nel quale Strabone discute delle opinioni di Posidonio riguardo alla continuità dell'oceano e alla possibilità di circumnavigare l'ecumene. Posidonio, dunque, in base ai resoconti di Eudosso di Cizico, da lui raccolti di persona a Cadice, al periplo di Magone citato da Eraclide Pontico. al viaggio dei marinai fenici inviati dal faraone Necaol91, e sicuramente in base ad altre considerazioni che Strabone «dimentica» di menzionare, riteneva provato che l'ecumene fosse circondata completamente dall'oceanol 9 2. Posidonio citava a questo punto dell'opera almeno un paio di versi, riportati a sua volta da Strabone, trani dal poema di un autore che non viene menzionato: où yap ~-L t v òe:r.r~J-Òç 7te:pt~a ÀÀe:-:at -i)7te:ipol0 à. À): Eç ti 7te:tpe:r.rhp x e: xu-:at · -r6 !J-t v ou7t !J-La:t ve: t
«nessun vi ncolo con tinen tale lo circonda ( sott. r oceano) l ma si spande senza limiti~ e nulla lo contamina»J93. Nel primo di questi versi compare il termine ÒEcr~6ç, nel significato dì limite. vincolo costituito dall'oceano che circonda la terra 194, e che, come si è visto. «curiosamente» 19 5, ricorre poco oltre nel testo a proposito dei resoconti di Polyb.• XXXIV. 5. S Bì.ìttner-Wobsl = Strabo, H. 4. 2. C 104 = F 21 Bianchetti= F 7a Meue. I frammenti del poema di Erawstene sono raccolti da J.U. Powell, in Collectanea Alexandrina. Reliquae minores Poetarum Graecorum Aeratis Prolemaìcae, 323-146 A.C.. Epicorum, Elegiacorum, Lyricorum, Ethicorum. cum Epimerris et Indice Nominum. edidit l. U. Powell. Oxonii. 1925. rist. 1970. pp. 58-68: cui si aggiungono alcuni frammenti papiracei raccolli da H. Lloyd-Jones. P. Parsons, in Supplemefltum Hellenisticum, ediderunt H. Lloyd-Jones. P. Parsons. Berlin-New York, 1983. pp. 183186 e 424-425. 191 In realtà Strabone parla di esploratori inviati da Dario. ma, poiché attraverso Posidonio si richiama ad Erodoto. è chiaro che si trana dei Fenici inviati da Necao a circumnavigare l'Africa (Herod .• IV. 42) e che l'errore. forse :.tnche di Posidonio. è dovuto al fatto che Erodoto menzionava anche l'identico tentativo fallito da Sataspe, nipote di Serse (IV, 43), e l'esplorazione detrlndo compiuta da Scilace per volere di Dario (IV, 44). 192 Strabo, II, 3. 4, C 98-100 = FGrHist .• 87 F 28 = F 49 Edelstein-Kidd = F 13 Theilcr. 193 FGrHist .. 87 F 28 = F 49 Edelstein-Kidd = F 13 Theiler = Strabo. Il. 3. 5. C 100. 194 Cfr. P. Chantraine, Dictionnaire étymologique, cit..I. Paris, 1968. p. 269, che indica per Ò€
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Pitea noti a Strabone attraverso la mediazione di Eratostene e Polibio. In realtà c'è ben poco di strano in questa ricorrenza. dato che la critica moderna tende ad attribuire questi due versi ali'Hermes di Eratostcne196, il poema che può essere ritenuto il manifesto della sua visione del mondo. Eratostene vi descriveva infatti l'ascesa del dio al cielo, dove ammirava ed ascoltava la perfezione del moto armonico delle sfere celesti, osservava la Via Lattea, gli assi delle sfere e infine la terra, immobile al centro dell'universo. di cui erano riconoscibili le cinque zone climatiche, le loro dimensioni e i loro colori. Sorvolando il mondo come Hermes. il filosofo cirenaica col suo sguardo ne rappresentava la forma astratta197, la teoria, trasformandosi con ciò in geografo. Egli individuava in particolare la forma del mondo abitato, l'ecumene. allungata e circondata da ogni parte dalle acque dell'oceano come un'immensa isola' 98 . Era a questo punto, a proposito del vasto oceano che circondava la terra abi!ata. che probabilmente dovevano comparire i due versi citati da Posidonio. E perfettamente logico che il filosofo di Apamea, nel momento in cui affermava e confermava la teoria dell'insularità dell'ecumene sostenuta da Eratostene, ne riprendesse i termini. in questo caso poetici. Dal confronto tra i due passi si chiarisce il riferimento polemico e ironico ad un tempo di Polibio nei confronti della credibilità attribuibile a Pitea e, conseguentemente, ad Eratostene che gli aveva prestato fede: ma soprattutto risulta evidente che la ripresa del termine OEO"tJ-Oç. originariamente piteano. da parte di Eratostene. è il frutto di una precisa scelta la cui importanza sembra essere sfuggita a Polibio. Eratostene. infatti, come si è visto sopra a proposito delle maree, aveva probabilmente fondato la propria concezione dell'esistenza di un unico grande oceano avvolgente l'ecumene sulle osservazioni piteane dei fenomini marini. dalle quali risultava che i moti marini e le maree si presentavano ovunque uniformi e rispondenti alle stesse leggi fisiche, nei mari interni e nell'oceano. anche se in quest'ultimo ambito risultavano più accentuati 199 . Dunque, OEO'(J-Oç è il termine utilizzato da Pitea per indicare l'esistenza, da lui personalmente scoperta nell'oceano settentrionale, di un un vincolo al progresso della conoscenza. un limite estremo alle terre e agli oceani oltre il quale non era possibile procedere. un limite che era unione primordiale ed indissolubile degli elementi, nel quale terra. acqua e aria non erano più distinguibili. Ma vi è di più. Il lessico piteano. per quanto tortuosa possa essere stata la trasmissione del passo, lascia in tra v vedere, dietro all'osservazione empirica. un sostrato filosofico e teorico. Se, infatti, fra gli elementi menzionati da Pitea si intende il 196
L'ipotesi che i due versi risalgano all' Hermes di Eratoslcne è avanzata da H. Berger. Geschiclrte.
cit., [, Die Geograplzie der Jonier, Leipzig. 1887, nota 3, p. 13, e IV, Die Geographie der Griechen umer de m Einflusse der Romer. Leipzig, 1893, p. 81; ed è accolta da G. Aujac, Stra bo n, Jl, ci t., nota 2, p. 64
(p. 146). che cita però in proposito F. Schiilhein. Untersuclumgen iiber des Po:•idonius Schrift Ile:pi 'Hxe:cx'JOU, Erlangen. 1901. p. 44 (non vidi). Altri autori favorevoli a questa ipotesi sono citali da l. G. Kidd. Posidmrius. Il. cit.. p. 250, al quale si rimanda per un commento relativo all'opinione di Posidonio (pp. 249-251 ); cfr. inoltre S. Bianchetti. Pitea di Massalia. cit., p. 167. 197 La sccJta di utilizzare il racconto mitico, per rendere comprensibile ciò che la scienza ellenistica aveva prodotto in materia di conoscenza del mondo. sembra dettata dall'insegnamento platonico, dal quale Eratostene fu particolarmente influenzato. 1911 FII A. 13 Berger = Strabo, I. l. 8. C 5; cfr. anche FIl A. 6 Berger = Strabo. L 4, 6, C 64. sulla possibilità d i navigare dall'Iberi a all'In d i a. 199 In questo senso si potrebbero intendere le affermazioni relative alle maree che si arresterebbero presso il promontorio Sacro {F III B. 122 Berger = Strabo. Hl. 2. Il. C 148 = F 4 Bianchetti = F 8 Mette).
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mare come la globalità delle acque, questi stessi elementi non rappresentano altro che tre dei quattro elementi corporei fondamentali (-rà aw!J.a"t'txà cr-rotx.~Io:) costituenti con la loro mescolanza e separazione l'universo fisico~ il x6a!J.Oç: aria, acqua, fuoco e terra. Presi in considerazione dai filosofi greci a partire da Empedocle 200 • essi hanno un ruolo importante nel dibattito filosofico dell'età di Pitea20I, essendo i costituenti del mondo fisico ancora per Aristotele202, per Zenone e altri stoici 203 . Secondo una teoria forse di origine pitagorica204, condivisa da molti, i quattro elementi apparivano nell'universo sotto forma di sfere concentriche205; in particolare, secondo gli Stoici, in mezzo sarebbe la sfera della terra; ad essa seguirebbe la sfera delracqua, concentrica alla terra; quindi sarebbe raria, a sua volta, ad avvolgere l' acqualo6. Il sostantivo con cui Pitea indica la mescolanza degli elementi, auyxpt!J.a, derivato dal verbo o-uyxpivw, stando alle fonti dossografiche comparirebbe invariato in Anassagora2o7, Democrito 208 , Aristotele 209 , e in alcuni filosofi stoici210; mentre alcune leggere varianti compaiono in Empedode211, Anassagora211 . Platone213, Aristotele214 e Teofrasto215 . Anche il verbo (ntci:px.w, che compare in due occasioni nella testimonianza, trova una collocazione nel vocabolario filosofico dì Aris totele2 16, col significato di «essere fondamentale», «esistere» 217 . Quanto al o~a·!J.Òç 'tWV oÀwv, il confronto più interessante- e forse decisivo per comprendere il contesto filosofico nel quale pare muoversi Pitea - è con il Timeo platonico, nel quale il termine Se:cr!J-6ç è utilizzato nel duplice significato Cfr. Ari st. De generat. et corrut., I, l. 3140l. Dei quattro elementi parla anche Platone (Leg., 886d). in cui pure è discussa la mescolanza di componenti conlrari. 2o2 De part. anim., Il l. 646a. 203 F 102, in SVF, l, pp. 28-29, nel quale sono raccolte diverse testimonianze: Stob .. Eri., l, 17 = Ar. Did .. Epit.fr. Phys., 38 in DG, p. 469-470; Diog. Laert., Vitae p/zii., VII. 135-136 e 142: Prob.,/n Verg. Bue., VL 31. 204 Aet., Plac., I, 14, 2 = Ps. Plut.. Epit., I. 14 , 2 = Stob., Ecl., I, 15, 2, in DG, p. 312. 2os Si vedano. per Zenone. il F 99. in SVF. L p. 27 = Stob., Ecl. I. 19, 4, = Ar. Did., Epit. fr. phys., 23, in DG, pp. 459-460; per Crisippo, il F 555, in SVF, Il, p. 175 = Achill. Tat.,/rz Arar .. Il, l. 4. p. 32 Maass; cfr. anche Strabo, XVII, l, 36. C 809-810. 206 Diog. Laert., Vitae phil .. VII, 155. 207 F 59, A 77 DK = Aet., Plac., TI. 30, 2 Ps. Plut., Epit .. IL 30, 2 = Stob .. Ecl .. L 26. 2. in DG. p. 361. 208 F 68, A 125 DK = Aet., Plac., l, 15, 8 = Stob., Ecl., l, 16. 8, in DG. p. 314; F 68. A 93 DK =Aet., Plac .. III. 3, Il= Stob., Ed., l, 29, Il, in DG, p. 369: F 68. A 102 DK = Aet.. Plac .. IV, 3, 5 = Ps. Plut.. Epit., IV. 3, 5 = Stob., Ecl., I, 49, 5, in DG, p. 388. 209 Aet., Plac., Il, 30,6 = Ps. Plut., Epit., Il, 30, 6 =Stob.. Ecl., I. 26, 6. in DG, p. 362: Ar. Did., Epit .. fr. plrys .. 17 = Stob.. Ecl., l. 52, l, in DG, p. 456. 210 Aet., Plac., II. 30. 5 =Ps. Plut., Epit., Il. 30, 5 = Stob .. Ecl .. l, 26. in DG. p. 361: Ar. Did., Epit. Jr. phys., 21 = Sto b.. Ecl .• I. lO, 16, in DG. pp. 458-459. 211 F 28 = Arist., Met., I. 3, 984a, e Tbeophr.• De phy. opin., F 8 Colli= Simpl., In Arist. Phys .• 25. 21: auyxplO'tç. m Si veda Arist.. Phys .• L 4, 187a. solo parzialmente compreso in F 59. A 52 DK. 213 Usa auyxptvw in Tìm., 67d; Phaed .• 72c, in cui cita Anassagora; Parm., 157a; O'uyxp~at<; in Tim., 64e-65c. 214 De gen. et corr .. l, 2, 317 a: auyxptcnc;: usa sia auyxptat<; sia o-uyxpt VO!J-EVa in De gen. et corr., I. 2, 315b, e 3l7a; II, lO, 334a-335a. 21s De sens .• 72: o-uyxptatç. 216 De gen. et corr., I, 2, 317a; I. 3, 317b; Il, 6, 334a; De pan. anim .• I. 3, 643; in Aristotele compare anche la variante ÈvumxpxEc De gen. et corr .. 11, 8. 334b; De caelo, III, 7, 305b. 217 P. Chantraine, Dictiontu~ire ttymologique. I, cit., p. 119. 200 201
=
Thule
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di «legame» dei quattro elementi primordiali e di «mezzo proporzionale» tra questi; tale è infatti il ruolo dell'aria e dell'acqua nella proporzione analogica esposta da Platone (fuoco : aria= aria : acqua= acqua : terra)2 18. Altre corrispondenze con il contemporaneo contesto filosofico presenti nel testo piteano riguardano il 7tÀEup.ov 6cx.ÀCX.'t'ttoç, la medusa, ed investono dunque le indagini di tipo naturalisuco. Questa forma vivente, infatti, era presa in considerazione e studiata da Platone21 9, Aristotele220 e Teofrasto22 1, anche se almeno nei primi due casi, non sembra trattarsi della medusa ma di un mollusco marino o di un· oloturia. Si è invece già notato che cx.iwp€cr..Scx.t trova un preciso parallelo nel Timeo di Platone 222 , nel quale è utilizzato nella stessa accezione piteana, essere sollevato, sospeso 223 , indicando il moto di oscillazione e sospensione224. Secondo Platone, il moto di flusso e riflusso delle acque superficiali è dato dalla loro natura, infatti i fiumi hanno origine dalle profondità della terra o ve pure ri fluiscono; qui l'elemento liquido, non trovando appoggio o fondale, subisce un movimento di oscillazione e ondulazione verso l'alto e verso il basso, e lo stesso accade per l'aria e per il pneuma (soffio, vento) che circondano l' acqua22 5. L'oscillazione di aria e acqua produce dei venti impetuosi in una sorta di moto respiratorio226. Nel brano platonico compare anche il termine cx.twpcx., oscillazione227 , che il filosofo sembra aver utilizzato pure nella descrizione del fenomeno delle maree, le quali, evidentemente, avevano a suo parere la stessa causa remota22s. Poiché lo studio delle maree e, in generale, dei moti marini rappresentò uno dei principali temi pell'indagine piteana, l'importanza di quest'ultimo confronto risulta decisiva. E evidente che i termini piteani riecheggiano la spiegazione platonica dei moti dell'elemento liquido e ad essa si ricollegano forse non solo idealmente. Il luogo estremo raggiunto da Pitea presenta infatti caratteri simili al Tartaro platonico, nel quale già gli elementi aria, acqua e terra erano coinvolti. In Pitea vi è però un passo ulteriore rispetto a Platone. Gli elementi menzionati da Pitea non si trovano solamente tra loro associati ma costituiscono un miscuglio (cruyxpt!J-a) vero e proprio, risultando indistinguibili, e proprio questa commistione consente di precisare il senso del discorso piteano. 21R 3 l b~ 32 b.
Per un elenco compi et o delle attestazioni del termi ne òe:cr~6 ç in Platone, si veda É. des Places, Platon, Oeurres complètes, tome XIV. Lexique de la langue philosophique el religieuse de Platon. par É. des Places. Paris. 1964. p. 121. ::!l
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La consistenza del retaggio filosofico di cui è impregnata la testimonianza straboniana sembra indicare che Pitea abbia svolto una elaborazione ori~inale a partire dalla riflessione a lui contemporanea. L'osservazione del ÒEO"!J-Oç 'tW\1 OÀW\1, del cruyxpt!J-a, si collega strettamente alle sue indagini sulle cause delle maree e dei n1oti n1arini e come quelle contribuisce alla formulazione di una te ori a estesa a tutti i mari e a tutta la superficie degli oceani, se non ali' in tero globo terrestre visto nelle sue tre componenti fondamentali: la sfera dell'elemento terra, la sfera d eli' acqua che l'avviluppa, la sfera dell'aria che contiene le p,rime due. E possibile, pertanto, che l'idea di un unico oceano circondante l'ecumene e caratterizato da comuni fenomeni fosse già in nuce nel lle:pt 'Uxe:a.\IOU piteano 22 9 -titolo scelto certo non a caso, ma a precisare il senso e la novità delle proprie indagini sui moti e i fenomeni marini nel loro complesso rispetto al panorama coevo - prima dì essere ulteriormente sviluppata da Eratostene e ripresa da Posidonio. In questo senso, infatti, potrebbe essere un utile indizio un passo del De mundo- del quale si è già detto che la sezione meteorologica e geografica, che risente dell'influenza delle ricerche pi teane, potrebbe essere sta_ta nmaneggiata da Teofrasto- in cui dell'oceano che circonda la terra è detto: wv (scil. '"t"W\1 lipa.xÀeiouç O"'t'YJÀW\1) EXW 7tEptppÉe:t 't~\1 Y"Yì\1 6 'rlxe:a.\16ç2Jo. La menzione del oe:cr!J-6<; da parte di Eratostene potrebbe quindi alludere al1 'assunzione e alla revisione da parte dello studioso cirenaica di idee precedenti, in relazione all'oceano che circonda la terra, risalenti a Pitea. I versi tratti dall' Henn.es sarebbero una ripresa della visione piteana, in cui ad un vincolo costituito da una mescolanza invalicabile degli elementi primordiali si sostituisce il vincolo rappresentato dalle acque. daJI'oceano che circonda la ten·a abitata come un'isola; essi sembrano significare che l'oceano che non ha limiti continentali è al contrario esso stesso limite e vincolo dei continenti, come il ÒE:O"!J-Oç osservato da Pitea è a sua volta limite e vincolo degli elementi che costituiscono il globo terrestre. In Pitea. la descrizione degli elementi trascende il piano del1a pura realtà fenomenica nel tentativo di raggiungere una spiegazione astratta dell'ordine che regola il cosmo stesso~ ovvero, il discorso si sposta dalla realtà incontrata alla legge generale, al principio 23 1• Ed è infatti proprio in chiave cosmologica che. a mio parere, va letta la testimonianza piteana; chiave non compresa da Polibio. Si chiarisce ullora iJ senso della successiva affermazione piteana di aver raggiunto i contini del co.smoB 2, che per quanto riguarda la sua impresa esplorativa sono indubbiamente i confini del cosmo inteso come ordine umano, oltre i quali non c'è vita, d eli' ecmnene o spazio abitabile e percorri bi le, ma che dal punto di vista della speculazione filosofica contemporanea assumono anche un diverso significato. Sulla superficie terrestre, afferma Pitca. vi è una regione nella quale si incontra un limite invalicabile costituito dal vincolo, dal miscuglio indissolubile di tutti gli elementi. Questo è il limite de11a conoscenza possibile e si viene Questa ipotesi è parzialmente accc:1mata anche da F. Gisinger, s. v. Pytheus, cit., col. 343. De mwzdo. 3. 393b. Significativo è il confronto con Prob.. In Verg. Georg., I. 246 (in cui è ripreso I'Hermes di Eratostene): 'U> JtarJ
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a situare ai confini dell'abitabilità nella nuova definizione data da Pitea stesso, nei pressi di Thule, ma da essa distinto. E il diverso tono della descrizione impedisce anche di pensare che vi sia una coincidenza con la 7tE7tYJ')'Uta .SO:Àa"t'"t'a oltre Thule, benché nell'ottica piteana il mare congelato rientri in questa regione limite, come si evince da un passo di Strabone nel quale si afferma che secondo Pitea le regioni presso Thule erano il limite estremo dell'ecumene 233. Dal punto di vista filosofico questo è anche il confine oltre il quale si annulla la possibilità di discernere le varie componenti elementari, i corpi ai quali si applica la legge del cosmo. Oltre non si può andare. se non abbandonando i vincoli della comune realtà. Tracce di questa concezione sono singolarmente rintracciabili nelle opere a carattere fantastico che da Pitea e dalle sue esperienze presero spunto per rivitalizzare antichi miti o crearne di nuovi. Il travisamento della visione piteana condusse infatti all'idea che oltre Thule si entrasse in un altro mondo, che si ritrova in Ecateo di Abdera, in Antonio Diogene e in Plutarco, i quali pongono qui il cantine ed il punto di contatto tra il mondo dei vivi e l'aldilà, tra la sfera terrestre e quella lunare 23 ~. che nella teoria della sfera è la più vicina alla terra. Tra la terra e la luna, dunque; 1'altro importante oggetto di studio da parte di Pitea. Proprio la teoria della sfera, che postulava resistenza di sfere e semi sfere concentriche di raggio crescente a partire da quella terrestre, finiva per implicare il significato di X0'3!J-O<:;; come sfera rappresentante l'ordine dell'universo; secondo Posidonio, infatti, il termine X0'3!J-O<:;; definiva l'insieme del cielo, della terra e di tutte le nature che essi abbracciano~ 3 5. Questo era un genere di studi assegnati alla fisica. che della filosofia era parte integrante, occupandosi del cosmo e della sua sfericità, ma anche degli elementi costitutivF 36 • Il termine OE'3!J-O<:;;, dunque, compariva nel l le: pt 'ilx.e:avou per descrivere ed interpretare una determinata e straordinaria realtà vista di persona dal Massaliota2J7, e fu poi utilizzato da Eratostene nella descrizione fittizia, ma scientificamente fondata, della visione dell'ecumene dall'alto da parte del dio Hermes. Nella sua opera lo studioso cirenaica conduce il discorso geografico ad un livello preuamente teorico ed astratto. Salendo al cielo ed osservando tutto dall'alto, superando il piano della visione personale e diretta ed entrando in quello dell'astrazione, attraversando le sfere del cosmo, il geografo scopre un oceano che delimita, ma che non ha limiti; che vincola, ma non è vincolato, che racchiude ma non è racchiuso. Solo l'astrazione. dunque. può riportare all'ordì~3;
Il. 5. 7 C 114 = F 8c Bianchetti = F 6c Mette. Rimando al mio articolo Una geografiu fantastica?. ci t.. pp. 25-42. 2.l~ F l-i Edelstein-Kidd =F 334 Theiler = Diog. Laert .. Vitae phil .. VII. 138. Per allri significati del termine si veda Diog. Laert .. Vitc1e plzil .• VII. 137: secondo gli stoici il xÒ'J'IJ.Oc; aveva tre significati: dio: insieme degli astri; dio e astri. Stando ad Achille Tazio (/Il Arar .. Il. l. 5. p. 35 Maass). esso era interpretato in sei modi. di cui uno sarebbe il sistema degli uomini e degli dei. 23 6 Strabo. II. 5. 2, C 110. m Quale fosse questa realtà non è dato stabilirlo, nonostante le diverse supposizioni dei moderni. Non aiuta in questo r analogia con la medusa. anche se indubbiamente il fenomeno va distinto dal mare congelato, anch'esso comunque collocato nei pressi di Thule. P. Fabre (Le.\· MassaUotes, cit., p. 40-41) e R. Dion (A:ipects poUr;ques, cit., pp. 197-198) localizzavano la regione in cui si verificava il fenomeno del T.:ÀEUIJ.WV 6aÀa"t"'t'loc; nell'area dello Skagen, ricca di fondali sabbiosi a pelo d'acqua. Varie altre opinioni sono citate o riassunte da G. V. Callegari, Pitea di Massilia, cit., VIII, 2, 1904, pp. 556-562; P. H. Damsté. Pulmo mar;nus. «Mnemosyne», XLII, 1914. pp. 420-423: F. Gisinger, Pytheas. cit., coli. 343-344: I. Whitaker. The Problem of Pytheas · Thule. ci t.. pp.l60-161; S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit .. pp. 165-166. 2l.J
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ne il disordine, può far uscire dal caos gli elementi, come Anassimandro, dall'apeiron. Il discorso, da geografico ritorna allora filosofico e cosmologico, sulla strada intrapresa da Pitea. L'Hermes di Eratostene ebbe notevole presa sugli antichi greci e romani, tanto da essere citato e riamaneggiato da diversi autori, come Achille Tazio 238 , Ciccronc:-!39, Virgilio240 , Scncca. Quest'ultimo, nella Medea, è forse il testimone più sorprendente dell'origine piteana della concezione dell'oceano che circonda i continenti, allorché afferma che esso rappresenta un vero e proprio vincolo alle cose (vinculum rerum), traducendo chiaramente il oe:a~J-oç piteano. poiché, come Strabone. cita a un dipresso Thule, ultima reminescenza dell'esperienza di Pitea nei mari del nord 241 •
V/.4 - Il mito di Thule Collocata al limite dell'abitabilità, del X0<1!J-Oç inteso quale ordine umano delle cose, la Thule di Pitea finì rapidamente per diventare parte integrante del mito, luogo e simbolo degli estremi confini del mondo, la cui localizzazione variava in base a quelle che erano le conoscenze geografiche del momento, poiché le informazioni riportate da Pitea erano difficilmente comprensibili per la comune mentalità antica, dato che in seguito, per molto tempo, nessun Mediterraneo si spinse fino ai luoghi raggiunti dal Massaliota. La più chiara rappresentazione è. ancora una volta, quella di Antonio Diogene. in cui Thule è luogo di confine tra questo mondo e l'aldilà, limite del cosmo in quanto limite della conoscenza umana. sede di fenomeni magici ed allo stesso tempo astronomici. Se lo scienziato antico poteva prevedere a tavolino resistenza di realtà straordinarie ma spiegabili teoricamente, e dunque poteva riconoscere nell'indagine piteana la conferma a queste teorie, l'uomo comune interpretava le meraviglie descritte da Pitea in ben altro senso, aiutato in ciò anche dalla presenza, nel resoconto piteano, di elementi e connotati che pur letti in chiave scientifica risalivano ad un patrimonio culturale estraneo, quello celtico e nordico, di cui ancora conservavano i caratteri tipici, come le mitiche isole «au nord du monde», sedi dei morti o dei Beati242. Ogni poeta o scrittore che nominava Thule era sicuro di colpire determinate corde dell'animo umano e di stimo lame l' immaginario. Thule era il luogo estremo, il limite in cui realtà e fantasia si confondevano. sede di avventure e personaggi fantastici. La mitizzazione e l'inserimento nel romanzo o comunque nella letteratura fantastica, motivati da questa stessa presenza di eJementi meravigliosi legati h1 Arut .. Il. I. 28-29. pp. 61·64 M11ass = F 16 Powell. Si veda il cosiddetto Somnium Scipioni.s di Cicerone (De republica, VI, 9-29), in particolare per quanto riguarda l'armonia delle sfere celesti (17-19) e la descrizione della terra e delle sue suddivisioni (20-21 ). 240 Georg., I. 231·246. Sulla dipendenza di questi versi dall' Hermes di Eratostene si veda R. F. Tbomas, Virgil'l· Georgics and the Art of Reference, ~•, 90, 1986, in part. pp. 195-197. 241 Sen., Medea, 375-379: venient annis saecula serls l quìbus Oceanus vincula rerum l laxet et ingens pateat tellus l Tethysque novos detegat orbes l 11ec sit terris ultima Thu/e. 242 Si veda Plin., N. H., IV, 119, cbe pone le sei isole degli dei. da altri dette Fortunatae, sulla linea del promontorio degli Artabri, dopo aver collocato le Cassiteridi di fronte alla Celtiberia, confondendo così il dato piteano sulle isole celtiche poste sul meridiano occidentale con l'antica concezione delle isole dei Beati poste in pieno oceano e con la reale esistenza di isole più meridionali corrispondenti alle odierne Cana.rie. .:!38
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Thule
all'immaginario celtico e nordico ed estranei alla cultura classica - che li reinterpretò in base ai propri canoni -, giustificarono in parte anche il rifiuto talvolta opposto alla narrazione piteana da altri uomini di scienza. Il nome di Thule collegava le scienze più avanzate ad ancestrali radici ormai avvolte da miti e leggende. La straordinaria durata dei giorni e delle notti, verifica sperimentale della teoria della sfera, si confondeva o trasformava nell'esistenza di ritmi di vita diversi, magicamente invertiti ed allungati nel caso di Antonio Diogene, sfruttando elementi che già erano noti ai Greci, come le avventure americhe ammodernate da Cratete di Mallo o la leggenda degli lperborei rivisitata da Ecateo di Abdera. Da Omero a Procopio il passo è breve: il promontorio cimmerio diviene il promontorio dei Cimbri e quindi la Brittia. A tutto ciò si aggiunga che la collocazione di Thule ai limiti del mondo abitabile divenne un connotato tanto scientifico e geografico, quanto filosofico. Tutto questo ovviamente non era esplicito, ma rientrava nell'immaginario che era patrimonio dell'uomo classico ed appunto come tale sfruttato da letterati e poeti. Quanto di ciò risaliva a Pitea? L'insieme variegato di piccoli elementi, di dettagli che spesso sfuggono a precise identificazioni, fa ritenere almeno probabile che Pitea abbia rappresentato un momento cruciale nello sviluppo e nell' ampliamento di tali concetti e dell'immaginario in genere. Da questo processo non uscì illeso neppure Strabone, vittima da un lato de1la immotivata sfiducia verso Pitea che si giustificava anche in base al fatto che le sue relazioni erano confluite in raccolte di è.i7tta"t'cz ed in romanzi fantastici, e dall'altro partecipe pure lui di questo immaginario. In realtà, numerosissimi sono i riferimenti a Thule in altre opere dell'antichità, ma in esse il nome dell'isola scoperta da Pitea assunse una dimensione nuova, o perlomeno diversa, che trovava origine forse già nel Ile:pt 'Uxe:avou, ma la cui portata fu sicuramente amplificata da una tradizione i cui toni ed intenti non furono scientifici ma volti a procurare lo stupore e la meraviglia nel lettore. In tale tradizione Thule divenne il mitico emblema dei limiti del cosmo, del mondo abitabile, luogo d'incontro di realtà e fantasia. Gli autori che la citavano, attingendo dal patrimonio dell'immaginario e dell'utopia 243, intendevano di volta in volta spostare l'azione sul piano dell'invenzione fantastica, magnificare anche iperbolicamente le gesta di un qualche principe 244 o rappresentare i confini del mondo utilizzando un semplice nome capace però di forti suggestioni: Ultima omnium quae memorantur Tyle 245 •
243
Mela. Chor .• III. 57: Thyle ... Grais et nostris celebrata carminibus. Georg .• l. 30: tibi serl'il11 ultima Thule. Plin., N.H., IV, 104.
244 Verg .• 24S
VII LE ULTIME METE
Dopo aver molto probabilmente raccolto le informazioni su Thule presso le popolazioni che vivevano lungo la costa dell'attuale Norvegia, Pitea proseguì il proprio viaggio esplorativo in direzione di altre terre. più meridionali, dalle quali da tempo immemorabile giungeva al Mediterraneo un prodotto assai ricercato. La tradizione antica, infatti, collega il suo nome alla scoperta delle regioni dalle quali proveniva rambra e in particolare di un'isola che vi si trovava: A bai us, l'isola d eli' ambra. La principale testimonianza in proposito, anzi, runica testimonianza vera e propria. è fornita da Plinio nel corso dell'ultimo libro della Naturalis historia, dedicato alle gemme e agli oggetti preziosi fabbricati con ambra, cristallo o murra. Riassumendo le diverse ipotesi sull'origine dell'ambra avanzate da numerosi autori greci, Plinio ricorda anche l'opinione di Pitea: Sotacus credidit in Britannia petris effluere, quas electridas vocavit, Pytheas Guionibus (var. Gutonibus), Gennaniae genti, accoli aestuarum oceani Metuonidis nomine spatio stadiorum sex milium; ab hoc diei navigatione abesse insulam Abalum; ilio per ver fluctibus advehi et esse concreti maris purgamentum; inco/as pro ligno ad ignem uti eo proximisque Teutonis vendere. Huic et Ttmaeus credidit, sed insulam Basiliam vocavit. Philemon negavi t fiamma m ab electro reddi. Nicias solis radio rum sucum intellegi volit hoc; circa occasum vehementis in terram actos pinguem sudorem in ea reliquere, oceani deinde aestibus in Gennaniorum litora eici 1• Come si può notare. la citazione comprende anche quegli autori che immediatamente precedono o seguono Pitea nel contesto pliniano, perché le loro testimonianze contribiscono a chiarire quella piteana e soprattutto le modalità di trasmissione fino all'opera pliniana dei risultati dell'indagine compiuta dal Massaliota neli' oceano settentrionale. In primo luogo, l'informazione fornita da Sotaco, autore di un'opera llEpt Àiewv che potrebbe essere vissuto alla fme del IV secolo a.C. 2, dunque in un'epoca molto vicina a quella di Pitea, sembra il frutto della commistione di elementi diversi desunti più o meno direttamente dall'opera del Massa1
N. H .• XXX VII. 35-36 == F 15 Bianchetti == F 11 a Mette. Il passo è raccolto dallo Jacoby tra i frammenti di Timeo: FGrHist .• 566 F 75b. 2 Cfr. Kind, s. l'. Sotakos, RE, III, Al. 1927. col. 1211.
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Il viaggio di Pitea su li' Oceano
liota3, fraintesi e reinterpretati con rindividuazione della Britannia, la grande isola dell'oceano settentrionale, quale regione di origine de li' ambra, in luogo dell'isola Abalus. Tale fraintendimento è giustificato dal fatto che a partire almeno da Timeo, a causa delle scarne e indirette conoscenze che se ne avevano ed anche per motivi espositivi, che inducevano gli scrittori a raggruppare in un unico contesto descrittivo le isole dell'oceano esterno, le isole del settentrione erano generalmente viste come facenti parte di un grande arcipelago facilmente confuso con quello britannico. Un esempio di ciò è fornito da Plinio, il quale, come si è sopra osservato, annovera fra le Isole Britanniche non solo Thule e le presunte isole scandinave, ma anche quelle poste lungo le coste celtiche e germaniche 4 • N eli' ottica di Sotaco, dunque, la Britannia, sia che fosse intesa originariamente come singola isola sia che comparisse come arcipelago, sembra sommare i caratteri dell'insieme più ampio delle isole dell'oceano settentrionale, fra le quali Pitea annoverava anche Abalus. Un ulteriore elemento alla base di tale errore potrebbe essere stata la confusione tra Abalus e la britannica lctis, l'una luogo di provenienza dell'ambra, l'altra luogo di provenienza dello stagno. Le testimonianze di Timeo e Filemone, diversamente, rappresentano due dei molteplici passaggi attraverso i quali la notizia riportata da Pitea è giunta a Plinio. In primo luogo, Timeo, la cui dipendenza dalla descrizione piteana è stata sopra indicata in più di una occasione e il cui ruolo di mediazione e tramite nei confronti di Plinio è evidente nella descrizione di Ictis. Quanto a Filemone, un geografo o piuttosto un compendiatore di testi geografici vissuto nella prima età imperiale, si è già detto che probabilmente è la fonte più recente utilizzata da P lin io a proposi to delle regioni nordiche dell'ecumene e l'autore attraverso il quale vengono di volta in volta recuperate le notizie e le opinioni di scrittori ben più lontani nel tempo, anche se in questo caso l'opera di Timeo, che sicuramente riportava le opinioni di Pitea, sembrerebbe essere stata letta direttamente da Plinio5 • Quest'ultimo menziona Filemone anche in un contesto immediatamente precedente nel quale gli attribuisce l'opinione che i due diversi tipi di ambra, quella bianca e quella rossiccia, siano prodotti in due distinte regioni della Scizia6; è dunque verosimile che gran parte di questa sezione dell'excursus pliniano dedicato all'ambra derivi da lui. Va detto, però, che l'originario testo piteano, consultato probabilmente da Timeo, dovette essere utilizzato da Filemone solo indirettamente, attraverso l'opera dello stesso Tauromenita e le citazioni reperite presso altri scrittori. 11 fatto che l'associazione tra questi autori debba essere tenuta in considerazione, in particolare a proposito dell'isola dell'ambra menzionata da Pitea, è confermato da un ulteriore passo pliniano che si apre con un richiamo, sia pure indiretto, ai termini del viaggio piteano: Exeundum deinde est, ut extera Europae dicantur; transgressisque Ripaeos montes litus oceani septentrionalis in laeva, 3 Secondo il Kind, s. v. Sotalcos, ci t., col. 1211. Sotaco sembrerebbe avere impostato la propria opera in base alla classificazione dei minerali proposta da Teofrasto; non si può pertanto escludere che per questa via siano a lui giunte notizie estratte dal trattato di Pilea. 4 N.H., IV, 102-104. 5 Cfr. K. G. Sallmann, Die Geographie des alteren Plinius, cit., pp. 75-84; A. Grilli, La documentazione sulla provenienza dell'ambra, cit., pp. 5-17. Sulla dipendenza di Plinio da Filemone, si veda J. Kolendo, Ala recherche de {'ambre baltique. L' expédition d'un chevalie r roma in sous Néron. Warsza wa, 1981. pp. 79-82. 6 N.H., XXXVII, 33.
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donec perveniatur Gadis, legendum. lnsulae complures sine nominibus eo situ traduntur, ex quibus ante Scythiam quae appellatur Baunonia unam abesse diei cursu, in quam veris tempore jluctibus electrum eiciatur, 7ìmaeus prodidit. Reliqua litora incerta. Signata fama septentrionalis oceani: Amalcium eum Hecateus appella! a Parapaniso amne, qua Scythiam adluit, quod nomen eius gentis lingua significai congelatum. Philemon Morimarusam a Cimbris vocari, hoc est mortuum mare, inde usque ad promunturium Rusbeas, ultra deinde Cronium. Xenophon Lampsacenus a litore Scytharum tridui navigatione insulam esse immensae magnitudinis Balciam tradit, eandem Pytheas Basiliam nominat1 . Poiché, come si è visto, Filemone si occupò dell'ambra, contraddicendo esplicitamente la notizia riportata da Pitea circa la sua infiammabilità, è probabile che risalgano alla sua mediazione la notizia attribuita a Nicia, forse quel Nicia di Mallo che fu autore di un'opera IIept Àt6wv della quale si conservano solo tre testimonianze 8, e quelle attribuite a Sotaco ed a Senofonte di Lampsaco 9, anche se questi autori compaiono in altri contesti pliniani e, dunque, potrebbero essere stati consultati direttamente da Plinio. Ciò induce ad una certa cautela nell'esame dei passi citati, che presentano alcune incongruenze e si prestano a letture diverse. Ad esempio. Pomponio Mela, che pure sembra dipendere dalla stessa fonte di Plinio - identificabile in Filemone 10 - per molta parte della descrizione delle regioni settentrionali dell'Europa, non menziona l'isola dell'ambra e neppure l'eventuale esistenza di un'isola chiamata Abalus, Basilia o Balcia. VII./ - L'isola dell'ambra Il primo elemento sul quale soffermarsi è rappresentato dal nome dell'isola dell'ambra. Se ci si attiene al ~?,rimo testo pliniano, Pitea avrebbe parlato di un 'isola Abalus, probabilmente 'A~aÀoc; nel testo originario, sulle cui rive in primavera le onde del mare gettavano l'ambra, considerata una secrezione del mare concretum, che evidentemente coincide con la 7tE7tl1yui'a 6aÀa-r-ra. Il suo resoconto sarebbe stato sostanzialmente seguito da Timeo, il quale avrebbe però chiamato Basilia e non Abalus l'isola in questione. Diversamente, nel secondo brano si afferma che sarebbe stato Pitea a chiamare Basilia l'isola. L'evidente contraddizione, complicata anche dalla diversa denominazione Baie i a fornita da Senofonte di Lampsaco, è indubbiamente dovuta al fatto che l'ambiguità era insita già nelle numerose fonti utilizzate da Plinio in questo contesto e a lui note in gran parte solo indirettamente. Una dimostrazione di ciò è fornita da un ulteriore passo pliniano nel quale si afferma che Metrodoro di Scepsi era il solo ad affermare- e certo erroneamente- che il diamante aveva origine in quella stessa isola Balista, situata in Germania, nella quale aveva origine l' amN. H.• IV, 94 =F 16 Bianchetti = F Il b Mette; anche questo passo è raccolto tra i frammenti di Timeo (FGrHist., 566 F 74a). 8 FGrHist., 60, in particolare, per il titolo dell'opera, F 3 = Ps. Plut., De fluv., 20, 4. Le poche testimonianze non consentono di affermare nulla di preciso circa l'identità di questo personaggio e l'epoca nella quale visse; cfr. R. Laqueur, s. v. Nikias (26), RE, XVII, l, 1936, col 337. 9 A favore della mediazione della notizia senofontea da parte di Filemone si pronuncia A. Grilli, lA documentazione sulla provenienza dell'ambra, cit., nota 22, p. 13. IO Rimando in proposito al commento di A. Silberman, Pomponius Mela, cit., nota 14, p. 75 (p. 267); Id., Les sourr:es de date romaine, cit., p. 253. 1
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bra 11 • Ora, al di là dell'inverosimile origine del diamante, chiara esagerazione iperbolica dei preziosi prodotti provenienti dall'estremo settentrione, è possibile che la lezione Balista, recata da tutti i codici, sia una corruzione per l'originale Basilia. dovuta ad una inversione delle lettere centrali (Balisia) e alla successiva lettura della seconda I come T 12. Plinio non è l'unico autore, noto per tradizione diretta, a menzionare l'isola dell'ambra, poiché significativamente, come nel caso di Ictis, la sua testimonianza trova un parallelo stringente in un brano di Diodoro tratto dalla sezione dedicata da quest'ultimo alle isole dell'oceano esterno. Di seguito alla menzione di lctis e alla descrizione del commercio dello stagno attraverso la Galazia, Diodoro affronta il tema dell'ambra (~Àex-rpov) e della sua originen. A questo proposito, egli afferma l'esistenza nell'oceano di un'isola chiamata BcxcrtÀetcx, di fronte alla Scizia che si trova oltre la Galazia. Su quest'isola le onde gettano una grande quantità di ambra, prodotto che non si trova in alcuna altra parte del mondo conosciuto. Sull'origine dell'ambra egli afferma che gli antichi poeti e scrittori in prosa scrissero molte cose indegne di fede e smentite da eventi più recenti •4 • Fra questi miti egli ricorda quello di Fetonte, lo sciagurato figlio di Helios che avendo voluto condurre sventatamente il carro solare del padre fu colpito da Zeus e precipitò alle foci dell'Eridano, il fiume leggendario che Diodoro e la sua fonte identificano con il Po. Qui corsero a piangerne la morte le sue sorelle, trasformate in alberi di pioppo a causa del loro eccessivo dolore. e sarebbero le loro lacrime, emesse ogni anno nella medesin1a stagione. una volta rapprese, a costituire l'ambra 15. In realtà, prosegue Diodoro riprendendo il filo della trattazione scientifica interrotta dali' excursus su Fetonte, 1' ambra, gettata sull'isola già menzionata, è condotta dai nativi sul continente antistante e, di qui, trasportata f1no alle regioni mediterraneet6. Il confronto con le notizie pliniane, nelle quali è menzionata la fonte, e la presenza di alcune particolari espressioni verbali nel testo diodoreo hanno da tempo indotto gli studiosi ad individuare in Timeo la fonte dell'intero capitolo 23 del V libro di Diodoro 17 • Lo conferma d'altra parte il fatto che il parallelo 11
Plin., N.H .• XX:XVll, 61 = FGrHist., 184 F 14. Per Metrodoro di Scepsi. autore vissuto tra la metà del II e l'inizio del I secolo a.C.. si veda W. Kroll. J. v. Metrodoros (23). RE. XV. 2, 1932, coli. 1481-1482. 12 La lezione Basilia, proposta da Ennolao Barbaro, Castigationes plinianae, Romae, 1492-1493 (non vidi), è accolta da C. Mtiller (FHG. III, f Il, p. 205), L. Ian e K. Mayhoff (C. Plini Semndi, Naturalis historiae. libri XXXVII, posi Ludovici /ani obitum recognovit et scripturae discrepantia adiecta edidit K. Mayhoff, vol. V, libri XXXI-XXXVII. Lipsiae, 1897. rist. Stuugardiae- Lipsiae, 1986. p. 407), O. Schneider (In C. Plinii Secundi, dt., p. 140), E. De Saint·Denis
wxe:avòv ~ 7teocrayope:uOlolÉVYj BacrtÀe:ta. E~c; "t'lXU't'fl\1 ò ~ùuowv Èx{laÀÀEL oa~tÀÈc; "t'Ò XlXÀOup.e:vov ~Àe:x'tpov. ouoap.ou òi: T~c; oixoup.Évl)c; ~atvOfJ.EVOV. IIEp~ ÒÈ ":'OtJ't'OlJ 7t:OÀÀOt -:wv r.:aÀlXtW\1 àvéypat.Yav f.1U6ouc; 7ta'V"t'e:Àwc; à7ttO""t'OUf-LÉVOUç xai Otct "t'WV à7to't'd,e:atJ.a"t'WV ÈÀEì"XO!J-ÉVOUc;. IS
16
V, 23. 3-4.
v. 23, 4: To yàp ~Àex."t'pov auvaye:·rcu p.Èv È: v 'Tii itpoe:tp'f]p.ÉvTl V~C'CJ-1, x.op.t9E."t'O:L ò' Cmò "t'~n·
irxwp[wv 7tpòc; -r-f]v àv'tL7tÉpac; -fl7te:tpov, ÒL' ~c; <:Pi:pe:'tat 7tpÒc; -couc; Ka6' ~p.à.c; "t'07touc;, xa66-rt 7tpoe:LpY)'t'at. 17
Che Diodoro attingesse a Timeo fu sostenuto da K. Mtillenhoff, Deutsche Alrertumskunde. l, cit .• p. 273; le sue osserazioni sono state fatte proprie dalla maggior parte dei commentatori successivi (fra i quali J. Geffken. Timaios, cit., nota l, p. 70; T. S. Brown, Timaeus, cit., p. 25; L. Pearson, The Greek Hisloritms. cit.. p. 70; A. Grilli. La documenta::.ione sulla provenienza dell'ambra, cit., in part. pp. 7~9;
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istituì bile con Plinio, che presuppone Timeo quale fonte comune ad entrambi gli autori, si estende anche a buona parte del capitolo precedente dedicato alle isole Britanniche ed in particolare allo stagno proveniente dal Belerion e commerciato a Ictis. In base a questa considerazione, dunque, Diodoro fornisce alcune informazioni che ampliano il quadro della testimonianza pliniana e che, considerata la dipendenza da Timeo, vanno originariamente ascritte al resoconto piteano. Esse confermano inoltre il fatto che Timeo chiamò Basilia l'isola dell'ambra, anche se ciò è di scarso aiuto per sbrogliare la questione, che si presta a diverse soluzioni. In sostanza. si può ritenere che Pitea abbia utilizzato due distinte denominazioni per la stessa isola; oppure, che Pitea abbia denominato l'isola Abalus e che il nome sia stato modificato in seguito da Timeo. Vi è infine l'ulteriore possibilità che si tratti di due isole distinte. Attorno a queste tre principali ipotesi, con l'aggiunta di leggere variabili, si è svolto il dibattito moderno. Nel contesto della prima ipotesi, Pitea avrebbe menzionato l'isola sia col suo nome indigeno Abalus, di possibile origine celtica o germanica 18 , sia in una fonna ellenizzata 19, quest'ultima preferita poi da Timeo che avrebbe comunque riportato anche il nome indigeno. La contrapposizione tra Pitea e Timeo sarebbe solo apparente e dovuta dunque ad una svista o dimenticanza di Plinio o delle fonti da lui utilizzate 20 • Quanto alla forma ellenizzata del nome, è stato proposto che Pitea non abbia introdotto direttamente la forma Ba a tÀ e: t a ma una denominazione più vici na alr ori$i naie, ~ 'A~a À YJO' ta \r(Jcroç, dalla quale sarebbe derivata la forma BaÀtcrta con le conseguenti varianti BaatÀta e llaÀx.tcx. 21 • 11 processo appare più facilmente comprensibile qualora i termini siano espressi in capitale e con il sigma lunato: da ABA.\HCIA a llA~\ICIA e da questa, alternativamente, in BACL\IA o llA.\KIA; in quest'ultimo caso, la K sarebbe il risultato di una erronea lettura delle due lettere IC. Allo stesso modo, con una corruzione o lettura erronea, si spiega anche la variante Balista, da Balisia, cui si è sopra accennato, prodotta però a partire da un testo scritto in capitale latina, probabilmente rustica, nella quale il tratto trasversale della T è meno pronunciato rispetto alla tau greca e dunque la lettera può facilmente essere confusa con una 12 2• Non va infine dimenticato che Solino23, riprendendo di pari passo il testo pliniano. menziona in luogo di Balcia un'isola Abalcia che potrebbe essere il tardo frutto S. Bianchetti, fiÀw-rèr. xaL 7topw-rér.. cit., pp. 97-99, con ulteriore bibliografia. Della stessa autrice, si veda anche Pìtea di Massalia. cit.. pp. 198-200). mentre la testimonianza di Diodoro è confluita nei frammenti raccolti dallo Jacoby. FGrHist., 566 F 164 (si veda anche il relativo commento, alle pp. 593-594). 18 Si veda in proposito B. Lui selli, Storia culturale, ci t., p. 118-119; cfr. inoltre: K. Ranke, s. v. Abal1ts, RGA. I, 1973, pp. 5-6. e F. M. Ahi, Amber, cit, in part. pp. 402-404. 19 Cfr. G. Broche, Pythéas le Massaliote. cit., p. 217. 2 Cfr. I. Geffken, Ttmaios, ci t.. p. 69. ripreso da Ihm, s. v. Basi/eia (2), RE, III, l, 1897, coli. 42-43. 21 Questa ipotesi, originariamente espressa dal Gutschmid. è riportata da J. Geffk.en, Timaios, cit., nota l, p. 69, che la ritiene piuttosto artificiosa, seguito in questo da Chm, s. l'. Basi/eia, cit., col. 43; è invece accolta senza riserve da W. J. Beckers, Vom germanischen Norden in seiner friihesten geschichtlichen Zeil: Wallem:one- Mentonomon- Aba/os, «Geographische Zeitschrift», XVII, 1911, pp. 674-675. 22 Su quest'ultimo aspetto si veda A. Grilli. La documentazione sulla provenienza dell'ambra. cit., nota 31. p. 15, il quale per altro ritiene che il processo sia stato in parte inverso, da Balda a Balisia e quindi a Balista. 23 19,6.
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di una contaminazione tra Abalus e Balcia24 , oppure riflettere uno stadio precedente di questo singolare processo di degenerazione del dato toponomastico 25 • L'ipotesi che le varianti presenti negli autori menzionati da Plinio abbiano origine nella forma 'A~cx ÀYJatcx, pur corretta da un punto di vista formale, urta tuttavia contro lo scoglio rappresentato dalla testimonianza di Timeo. Vista la concordanza tra Diodoro e Plinio, risulta infatti difficile supporre che nel passaggio dal testo piteano ali' opera timaica si sia verificata una trasformazione almeno duplice nel nome dell'isola, da 'A~ctÀl']O"tct a BctÀtatct e quindi a BctatÀtct, quest'ultima poi riportata da Diodoro come llctatÀe:tct e da Plinio come Basilia; soprattutto qualora si dia per scontato, come tutto del resto lascia supporre, un utilizzo diretto del fle:pL 'nx.Ecxvou da parte dello storico siceliota. Questo porta a preferire l'idea che Timeo abbia trovato già nel testo piteano la fonna Ba.atÀEta. 26 , o che abbia operato egli stesso la radicale ellenizzazione per assonanza o per altri motivi che nel suo caso, come eventualmente in quello di Pitea, devono essere chiariti. La più interessante spiegazione in proposito si riconduce ali' ipotesi in base alla quale spetterebbe a Timeo l'introduzione della variante BcxaiÀe:tcxBasilia, erroneamente attribuita a Pitea da Plinio per disattenzione o forse anche perché lo studioso latino fu sviato dalla fonte utilizzata accanto a Timeo nei capitoli introduttivi alla geografia dell'Europa nel IV libro, ovvero, presumibilmente, Filemone. Secondo Serena Bianchetti, la ridenominazione dell'isola sarebbe infatti il frutto della traduzione dei dati piteani in una toponomastica più facilmente accessibile e comprensibile al lettore; essa si inscriverebbe nel contesto del mito argonautico che Timeo rilesse in chiave scientifica, riadattando la narrazione del ritorno degli Argonauti sulla scorta dell'itinerario piteano, dal Tanais a Cadi ce, lungo tutta la costa oceanica dell'Europa, fornendo, tra l'altro, lo schema espositivo utilizzato da Plinio per la descrizione dell'Europa. Nello stesso ambito, il mare congelato, la 7tE:7tl]YUtct 6ci Àct 't't'et, diverrebbe il mare Cronio 27 . Una rilettura ellenizzante che sembra Così S. Bianchetti, Pitea di Massalia. cit., p. 204. AB.-\.\CIA, se derivato dal greco AB:\.\KIA. potrebbe presupporre la forma precedente .-\DA.\ICI.-\. o, più semplicemente, potrebbe derivare direttamente da ...\ HA.\ICI A, con IC letto come K e traslitterato come C. In questo caso, sarebbe essenziale valutare la fedeltà del testo di Solino trasmesso dai codici e stabilire se Solino. nel IV secolo. potesse eventualmente disporre di un testimone pliniano più attendibile dei codici pervenuti dal medioevo. Ad esempio, nei codici soliniani Angelomontanus e Heidelbergensis è riportata la lezione Abaltiam. che è assimilabile alla lezione Baltia ripotata da due manoscritti pliniani, il Leidensis l.ipsii 7 di XI secolo e il Parisinus Latinus 6797 di XIII secolo (rimando, per Solino, all"apparato critico riportato da T. Mommsen, C. fu/ii Solini, Collectanea rerum memorabilium, irerum recensuit T. Mommsen. Berolini 1895, rist. 1958. p. 93; per Plinio. all'edizione di L. Ian e K. Mayhoff, C. P/ini Secundi, cit., vol. I. libri I·VI. Lipsiae, 1906, rist. Stuttgardiae - Lipsine, 1996, p. 344) e ciò potrebbe cond urrc anche a Il' i potcsi che Balti a o Abaltia sia un'isola distinta. erroneamente assimilata da Senofonte o da Plinio all'isola dell'ambra piteana menzionata come Basilia. Il fatto che questi codici pliniani non siano fra quelli più antichi non ha scoraggiato ad esempio J. Svennung. Skandinavien bei Plinius, cit., pp. 34-38, il quale adotta la lezione Baltia, fondandosi sulla possibile confusione tra c e t nel latino corsivo già a partire dal I secolo d.C. 26 Secondo W. Krogmann. Die Bersteininse/ Basi/eia, in Vll Congresso /ntemazionale di Scienze onoiTUlstiche. Atti del Congresso e Memorie della sezione toponomastica, vol. II. Toponomastica. 2, Firenze, 1963, p. 211, sarebbe questo il nome trasmesso originariamente da Pitea, poi storpiato e modificato nelle fonti successive. 27 S. Bianchetti. Pitea di Massalia, ciL, pp. 198-204; Ead., Plinio e la descrizione dell'Oceano settenlrionale, cit., in part. pp. 79-84; per ulteriori dettagli si rimanda a quanto si è già notato in :!.t
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proposito nel capitolo precedente.
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trovare ulteriori echi nelle cosiddette Argonautiche orfiche 28 , e che è testimoniata da Scimno di Chio29 e soprattutto da Diodoro30. La localizzazione settentrionale delle indagini del Massaliota e la scoperta dell'isola dalla quale proveniva l'ambra fornirono inoltre a Timeo anche gli strumenti per rileggere l'antrettanto antica saga di Fetonte, dell'Eridano e delle origini dell'ambra, commentando polemicamente le narrazioni dei poeti e dei prosatori alla luce delle recenti scoperte scientifiche piteane e delle maggiori conoscenze dell'occidente in suo possesso 31 . Non più prodotta dalle lacrime congelate delle Eli adi, l'ambra è considerata lo spurgo, la secrezione, il purgamentum del mare concretum, ovvero della 7tE:1t"YJYUtcx. 6tiÀCX."t''tCl, il mare congelato scoperto da Pitea e che Timeo aveva denominato Cronio per le sue esigenze divulgative. Essa proviene dai mari del nord, dall'isola Abalus e non, con1e si era ritenuto fino ad allora, dalle foci dell'Eridano, che Timeo identifica, forse per primo, con il Po 32 • E forse, proprio in risposta a questa collocazione settentrionale, Apollonio Rodi o ricondusse all'ambientazione adriatica l'associazione tra mare Cranio, Eridano e isola d eli' ambra (' l-1 Àe: x 't piç)33, riporta ndo il mito ad uno spazio geografico noto al proprio pubblico. Un ulteriore elemento a favore di questa ipotesi, a mio parere, potrebbe essere desunto dalla scelta del nome Basilia~ le cui origini sembrerebbero da rintracciare in una delle varianti del mito dell 'Eridano, quale fiume dell'ambra, narrata da Diodoro in un diverso contesto. Nel III libro della sua opera, traendo spunto probabilmente dallo scritto di Dionisio di Miti lene, un mitografo vissuto ad Alessandria nel 11 secolo a.C.34, Diodoro narra infatti il mito di Ba.crtÀe:ta, un'arcaica divinità di origine microasìatica venerata come !J.e:yti), "YJ fJ. ~"t'"YJP e presente anche nei culti misterici di Samotracia 35 . Nella versione diodorea, Basileia era moglie di Iperione e madre di Helios e Selene; alla morte del figlio. annegato dopo essere stato gettato nell'Eridano, Basileia si aggirò lungo il tìume alla ricerca del suo corpo3 6 . Poiché Timeo, prendendo spunto dalla notizia piteana su Abalus, dedicò ali' ambra uno spazio ampio ed articolato nel quale erano discusse le numerose opinioni di poeti e storici3 7 , non mi sembra azzardato ipotizzare che egh fosse a conoscenza anche del mito di Basileia e che sia stata questa particolare versione ad influenzare la scelta della nuova denominazione per l'isola sulla quale Pitea aveva osservato la raccolta dell'ambra, a causa dell 1 assonanza tra il nome indigeno e quello della divinità. Se così fosse, si aggiungerebbe un nuovo tassello alla definizione della complessa operazione di rilettura cui andò incontro l'esperienza piteana, la quale, 28 Rimando in proposito a S. Biancheui, Pitea di Massalia. cit., pp. 74-76, F. Vian, Le périple océanique des Argonautes, cit., pp. 177-186, e al nùo articolo Una geografia fantastica?. cìt., pp. 33-34. 29 F 5 Gìsinger, s. v. Skymnos, cit., coli. 666-667 = Schol. Apoll. Rhod., Arg., IV, 284. 3o Diod .. V. 56. 3-6 = FGrHist., 566 F 85. 31 Cfr. A. Grilli. La documentazione sulla provenienza dell'ambra, cit., pp. 5-17. 32 Cfr. S. Bianchetti, llÀco'"t'èt xat 7topeu'"t'ci, cit., pp. 97-99. 33 Arg., IV. 509, 548 e 580. 34 Si veda l'introduzione di B. Bommelaer a Diodore de Sicile, Biblìothèque historique. livre lll. texte étabh et traduit par B. Bommelaer, Paris, 1989, pp. X-XI e XXXII-XXXV. 35 Si veda Kern, s.v. Basileia (5), RE, Ili, l, 1897, coli. 43-45. J6 Diod .. III, 57. 37 Si veda A. Grillì, La documentazione sulla provenienza dell'ambra, cit., pp. 7-9, il quale sottolinea l' organicità dell'originale contesto timaico del quale il capitolo di Diodoro non è che una succinta eco.
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pur mossa da intenti e finalità scientifici, finì anche per contribuire alla realizzazione di nuove ambientazioni geografiche per più antichi miti e leggende. Infatti, Timeo, a discapito del desiderio di cancellare .le tradizioni leggendarie sulla base delle recenti verità scientifiche. condusse la ricerca scientifica p i teana nella cornice del mito, ricorrendo ad esso come strumento educativo perché comprensibile ad un più vasto pubblico e non solo ad una ristretta ce.rchia di iniziati o scienziati. D'a.ltra parte, che la funzione educativa del m.ito fosse irrinunciabile era ben chiaro già a Platone. che vi fece ricorso frequentemente ne.i suoi Dialoghi. e tale necessità fu avvertita non solo nel mondo greco ma anche in altre culture. fino ai giorni nostri3 8 • Questa soluzione rende più che plausibile l'ipotesi che Pitea avesse menzionato la sola Abalus, trasformata in Basilia da Timeot ma pone un ulteriore problema relativo alle varianti presenti in Senofonte e Metrodoro, poiché il tentativo di far convivere le tre denominazioni per la stessa isola, integrando il testo pliniano del IV libro, non pare· convincente 39. Sulla base de.lle differenze insite nelle due descrizioni si è supposto che l'isola menzionata da Senofonte di Lampsaco, che probabilmente coincide con quella nominata da Metrodoro, non corrisponda all' Abalus di Pitea ed alla Basilia di Timeo, ma sia un· isola ben distinta identificabile con la Scandinavia o. più verosimilmente, con una sua regione meridionale-'l\ In effetti, stando alle fonti. mentre Abalus dista un giorno di navigazione dalla costa dell'aestuarium Metuonis, Balcia dista tre giorni dalla costa sci tica e possiede inoltre dimensioni considerevoli; per quanto di Abalus non sia detto nuiJa al riguardo. In base a queste divergenze, alcuni studiosi hanno dunque, supposto che Pitea avesse menzionato due isole distinte: Abalus c BaaD,e:ta o Bacr-t),da, a seconda che la si intenda come isola Regina-H o isola reale. ovvero sede di una monarchia4 2. Di queste. Timeo avrebbe chiamato Basilia l'isola Abalus 4 3~ mentre la Balcia di Senofonte sarebbe una variante della Basilia piteana, diversamente localizzata rispetto ad Abalus. in quanto corrisponderebbe ad una regione meridionale della Scandinavia.u. In sostanza, diversi motivi concorrono a complicare il quadro ricostruttivo. Alle uun1erose varianti, dovute ai molteplici passaggi cui le notizie piteane 38 Alcune belle pagine in proposito sono stare scriue da A. Schopenhauer. Die Welt als Wille tmd Vorstelltmg. T. Lipsia. 1859\ trad i t.. l/ mom/o C(Jme l'ofontà e rappresema:.ione. Milano. 1969. rist. 1991. pp. 396-398. 39 K. Miillenhoff. Deursche Alterrumskunde. cit. pp. 478. propose di restiruire: Xenoplum Lampsacenus... Balciam tradir, eandem Pytlreas <.Abalum. Timaeus> Basiliam nominar. 4 Cfr. H. J. Mette, Pytheas. ci t .• pp. 39AO: A. Grilli. /~t documentazione sulla provenienza dell'am~ bm. cit., nota 31. p. 15: S. Bianchetti, Pitea di Massalia. cit.. pp. 203-204. 41 Cfr. B. Luiselli, Storia culturale, cii., pp. l 18-119 e 122. <~1 Fra le più recenti proposte in questo senso, si vedano: J. Svennung. SkattdiTwvien bei Plinius. cit.. pp. 7 e 35: C. F. C. Hawkes. Pytlreas. cit.. p_p. 7-13: R. Wenskus, Pytheas tmd der Bemsteinlumdel. ciL. pp. 96-1 O1; Id.. :;.l•. Ahalus. RGA. I. 1973, p. 5: H. Dittcn. in Grieclrische wu/ Lateinische Quellen :.ur Friihgeschichre Mitteleuropas bis :.ur Mitre des l . lahrtcmsends V. Z.• hrsg. von J. Henn.ann. I, lkm 1/omer bis Plururch (8. Jh. l'. u.Z. bis Jlz. u.Z.). Berlin. 1988, pp. 565 e 581. 43 Si Yeda l'intervento sul testo pliniano proposto da H. J. Mette, Pytht-as. cit., p. 40. il quale. ribattendo ali' ipotesi del Miillenhoff sopra citata, riconduce l' affennazionc pliniana eandem Pyrlteas Basiliam nominar al precedente riferimento a Timco: ... Timaeus prodidit: ecmdem Pytheas Basiliam nominar. -"' J. Svennung. Sktmdinavien bei Plinius. cit.. pp. 30~31; C. F. C. Hawkes. Pytheas. cit., pp. 9~ lO: R. Wenskus, Pytheas wrd der BemsteinJra,de/. cit., pp. 100-101; B. Luiselli. Storia culturale. cit.. pp. 122-125.
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andarono soggette prima di confluire per vie traverse in Plinio (e in Diodoro) o prodotte nel corso della successiva tradizione manoscritta, si deve aggiungere lo iato cronologio e cognitivo tra Pitea e le successive presenze mediterranee nei mari del nord. che si riconducono essenzialmente alle spedizioni e alle conquiste della prima eta imperiale45. L'esperienza piteana, infatti, non ebbe seguito e ciò impedì che si instaurasse una continuità evidente e certa tra le informazioni da lui raccolte sui luoghi visitati e i popoli incontrati e le notizie che pervennero al mondo mediterraneo in concomitanza e come conseguenza dell'espansione verso settentrione delrimpero romano. Le scoperte piteane. per la loro unicità e straordinarietà, subirono inoltre un complesso processo reinterpretativo che. attraverso una rilettura realizzata in chiave mitica, come nel caso di Timeo, avrebbe dovuto renderle comprensibili ai Greci ed in seguito ai Romani. Il risultato finale di questo stato di cose si riscontra nelle numerose variabili proposte negli studi moderni. che non si esauriscono al solo riguardo della denominazione dell'isola o delle isole menzionate da Pitea ma che coinvolgono poi la ricostruzione dell'itinerario piteano nelle acque dell'oceano settentrionale. Personalmente, ritengo che l'unico elemento certo sia la menzione da parte di Pitea di un'isola Abalus posta nell'oceano settentrionale e distante un giorno di navigazione dalla costa di un aestuarium Metuonis che può essere interpretato nel senso di una grande laguna, di un grande golfo o di una insenatura dell'oceano comunque in relazione con l'azione della marea o dei moti marini in generale (aestus) 46 • Su quest'isola il Massaliota osservò e descrisse la raccolta dell'ambra, il suo uso e il suo commercio. Il nome Abalus probabilmente rifletteva la denominazione indigena, di origine celtica o eventualmente tradotta a Pitea attraverso interpreti celtici, dei cui servizi non poté certo fare a meno. Utilizzando le informazioni piteane, Timeo molto probabilmente preferì adottare il nome di BaatÀEta-Basilia, per i motivi educativi sopra ricordati e per la possibile affinità con la dea Ba.atÀEta, madre di lperione e dunque legata al mito dell'Eridano quale fiume dell'ambra~ non si può però escludere a priori che tale associazione apparisse già nel testo piteano o fosse favorita dalla presenza di una forma ellenizzata del nome. A dispetto delle diverse lezioni, mi pare poi che Balcia e Balista debbano essere intese come diverse denominazioni della stessa isola Abalus-Basilia" 7 • Una proposta alternativa potrebbe essere quella che privilegia la lezione Baltiam, come si è visto presentata da alcuni codici recenziori, ritenendola derivata da una voce antico-norvegese belti (cintura) dalla quale avrebbe origine l'odierna denominazione di mar Baltico48 • In realtà, però, la prima attestazione di questa denominazione appare nella Descriptio insularum aquilonis che costituisce il 45
Una breve panoramica delle operazioni. militari e non. condotte dai Romani tra l'età di Augusto e quella degli Antonini è offerta da C. Nicolet, L 'invelllario del mondo, cit.. pp. 79-89. 46 Anche in questo caso i manoscritti presentano lezioni ben diverse. Una di queste, Mentonomon (accolta tra gli altri da O. Schneider, In C Plini Secundi, cit., p. 37: K. Mi.lllenhoff. Deutsche Altertumskunde, I, cit., p. 476; N. Parisio, Pitea da Marsiglia, cit., pp. 609-610; F. Matthias, Pytlzeas von Massilia, l, cit., pp. 27-28 e 36-47; W. J. Beckers, Vom germanischen Norden, cit., pp. 669-672). non trova oggi sostenitore alcuno. La lezione corretta sembra essere Metuonis; cfr. A. Franke, .s.v. Mentonomon, RE, XV. l. 1931, col. 963: Id., s. l~ Metuonis, RE, XV, 2, 1932, coli. 1506-1507. 47 La concordanza onomastica era già rilevata da K. Miillenhoff. DeutJche Altertumskunde, cit.. pp. 476-478. 48 Così J. Svennung, Skandinavien bei Plinius, cit., pp. 36-38.
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IV libro delle Gesta Hammaburgen.sis di Adamo di Brema, databile al l 075 ca., ed è esplicitamente connessa da questo autore al latino balteum, cintura, fascia, ad indicare la funzione avvolgente.del mare rispetto alla terra49 • Anche se questa di Adamo di Brema potrebbe essere solo una interpretazione erudita, la tarda apparizione del toponimo rende quanto meno plausibile l'ipotesi inversa, ovvero che sia stata la denominazione c.orrente, nell'XI secolo, ad influenzare e sviare il copista portandolo a sostituire Baltiam a Balciam nel codice. In sostanza, più che da questa possibilità, i dubbi relativi ali' identificazione tra Abalus e Balcia hanno origine dal contrasto tra le diverse distanze dalla costa riportate da Plinio e dalla rnenzione delle dunensioni di Balcia. Abalus disterebbe infatti un giorno di navigazione dalla costa dell' aestuarium Metuonis, mentre Balcia si troverebbe a tre giorni dalla costa scitica, ma a questa divergenza si può ovviare anc.h e pensando a due diversi punti di riferimento dai quali erano computate tali distanze. Quanto alle dimensioni, va osservato che. un diretto confronto non è chiaramente possibile, poiché di Abalus non è detto nulla al riguardo. Quest'ultimo è però il più solido indizio a favore dell'ipotesi che la Balcia di Senofonte identifichi la Scandinavia o una sua parte. La inmensa magnitudo, la smisurata grandezza di Balcia trova infatti stringenti paralleli nelle descrizioni della Scandinavia fornite da Mela e dallo stesso Plinio. Il primo, a proposito delle isole dell'oceano settentrionale, afferma: septem (sci/. sunt) Haemodae contra Germaniam vectae, in ilio sinu quem Codanum diximus; ex iis Scadinavia, quam adhuc Teutoni tenent ut fecunditate alias, ita magnitudine antestat50 . Il secondo, distinguendole pe.r altro dalle Haemodae, pone numerose isole neB' inmanis sinus Codanus che da oriente si estende fino al promontorio dei Ci1ubri, e fra queste afferma: clarissima est Scatinavia, incompertae magnitudinis, portionem tantum eius, quod notum sit, Hillevionum gente quingentis incolente pagis: qua re alterum orbem terrarwn eam appellant51 • Andrebbe aggiunto a questi due brani anche il successivo riferimento pliniano a Berrke, la più. grande di tutte le isole ScandieS2, che, come si è detto nel capitolo su Thule, potrebbe corrispondere alla regione meridionale dell'attuale Norvegia. Pur attraverso la scelta di esempi e riferimenti diversi, è evidente che Plinio e Mela dipendono da una fonte comune che si tende a identificare in Filemone. Ci si può allora chiedere se, ad un certo punto, accorpando ]e sc.hede relative ad altri autori, Plinio non sia giunto ad identificare Abalus-Basilia con la Sc.andinavia o una sua parte, oppure se più probabilmente l'attribuzione di una inmensa magnitudo a Balda derivi da una inserzione pliniana che originariamente andava riferita alla Scandinavia. Comunque sia, l'appartenenza ad un medesimo nucleo semantico a mio avviso è il principale indizio di un'origine comune delle varianti53. Si accetti o m.e no la proposta di individuare una forma intermedia 'A~aÀ Y)Ota, rimane .la possibilità di spiegare le denominazioni fornite da Senofonte e Metrodoro a partire dalla lezione BACIA EIA, attraverso le successive varianti greche BACIATA e BAAICIA, dalla quale sembrano derivare le 49 Adam. Brem., Gesta Hamm., IV,. IO. in Pa.trologia latina, cit., col. 628: Sinus ille ab ùu:olis appellatur Balticus. eo quod in modum baltei longo traclli per Scithicas regiones tendacur usque in Greciam. idemque mare Barbarum seu pelagus Scithicum vocatur a gentibus quas alluit barbaris. 5o ITI. 54; come già sottolineato in precedenza, i manoscritti recano la lezione Codannovia, probabilmente a causa della vicinanza testuale del sinus Codanus. 51 Plin .• N.H., IV, 96. s2 Plin., N.H .• IV, 104. 5~
Cfr. anche C. Wcssely. Abalus insu/a, «WS», XLVU, 1929, pp. 164-168.
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erronee e divergenti letture latine BALCIA e BALISTA54. In sostanza, si tratterebbe di un processo abbastanza semplice di progressiva corruzione della denominazione originale che non appare improbabile alla luce dei diversi passaggi cui andò incontro la testimonianza; dalla fonte primaria, Pitea, al testimone ultimo, Plinio, attraverso le mediazioni di Timeo, Senofonte, Metrodoro e Filemone; senza dimenticare la traslitterazione dal greco al latino. Tra l'altro, Io stesso processo di corruzione, con l'inversione delle lettere centrali, si rileva in un testimone del XXXVII libro pliniano. il Laurentianus di Xlll secolo, ove è riportata la lezione Balisiam in luogo di Basiliamss. D'altra parte, come si è detto sopra, anche tra gli studiosi che distinguono Abalus da Balcia ve ne sono alcuni che riconducono quest'ultimo nome ad un originale piteano BacriÀEta o BacrtÀda. A questo proposito, a mio parere non si spiegherebbe l'equivalenza tra Balcia e Basilia se non attribuendola allo stesso Plinio56, mentre Senofonte, allo stato attuale de1le conoscenze. non poteva avere fatto ricorso ad altra fonte che Pitea a proposito di queste regioni settentrionaJi57, molto probabilmente attraverso la mediazione di Ti me o. Senofonte, pertanto, doveva aver chiamato Basilia l'isola, ma il testo noto a Plinio recava la lezione BA . \ICIA, erroneamente letta BA~\ KIA e dunque traslitterata in latino come Balcia. Di conseguenza, lo studioso latino, che nello stesso contesto aveva preso spunto anche da Timeo, trovandosi di fronte a due diverse lezioni avrebbe attribuito al Massaliota la denominazione Basilia, evidentemente ritenendo che si trattasse della stessa isola. Tale presunzione a mio parere poggiava sul fatto che Pitea era chiamato in causa da entrambe le fonti pliniane e sulla comune connotazione delle isole come luogo di origine dell'ambra. Quest'ultimo aspetto. in particolare. sembra confermato dalla testimonianza di Metrodoro relativa a Balista, la variante toponomastica parallela a Balcia, che si connota come isola dalla quale provengono l'ambra e il diamante. Significativamente, ambra e diamante compaiono anche nella Periegesi di Dionisio di Alessandria, in associazione non con AbalusBasilia ma più genericamente col mare congelato (o 7tE7tYJywç 7tOv"t'oç) 58 , di modo che si può ritenere che tale ultima indicazione comparisse anche nel testo di Metrodoro. In ogni caso, essa era parte integrante della descrizione piteana, fedelmente riassunta da Plinio attraverso la mediazione di Ti me o. L'interpretrazione fornita da Pitea dell'ambra quale prodotto del mare congelato, gettato sulle rive di Abalus-Basilia, sembra infine costituire una prova ed allo stesso tempo uno sviluppo della teoria esposta pochi anni prima da Aristotele, nel IV libro dei ME"t'EwpoÀoytxci, in base alla quale l'ambra sarebbe originata da un fenomeno di raffreddamento e solidificazione59; il richiamo verbale è s4 Se si suppone che la forma greca del nome recata dal testo di Senofonte fosse BA.\ICIA, con le lenere IC ravvicinate e confondibili con K. la fonna intennedia BALKIA diviene superflua. A proposito della corrispondenza tra l'isola menzionata da Senofonte e quella menzionata da Metrodoro si rimanda ad A. Grilli, La documentazione sulla provenienza dell'ambra, cit.. n. 31. p. L5. 55 Rimando all'apparato critico presentato da L. Ian e C. Mayhoff, C. Plini Secundi, XXXVII, cit., p. 396; cfr. anche E. De Saint-Denis. Pline l'Ancien, XXXVTI, cit.. p. 48. 56 Diversamente, J. Geffken, Timaios, cit., p. 69, ritiene che essa fosse presente già in Senofontc. 57 L'ipotesi di J. Svennung, Skandinavien bei Plinius, cit.. p. 36, secondo cui, per quanto riguarda Balcia, Senofonte dipenderebbe dal resoconto di un navigatore giunto nelle regioni settentrionali successivamente a Pitea ma identificherebbe poi l'isola con La Basilia piteana, per lui distinta da Abalus (cfr. pp. 30-31 e 34-35). non trova alcun supporto nelle fonti. ss Vv. 316-319, in GGM. Il, p. 121. 59 Meteor .. IV. 388b: k~l yf.tp -rò ~Àllt-r:pov, )tdl é.i~~ Àiy~-rat bJc; Zaxp1..1a, ~u~~t il.'f"t'tv, aiov a~J.upva.,
Àt(3o:vw-roc;, KO!J.IJ.L Ko:i '!Ò YJÀéx't'pov òi -rou'tou -rou yi:vou~ EOtKE, xcxi 7t~yvu-ra:t.
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esplicito e Aristotele fa riferimento evidentemente al processo cui andrebbero incontro le lacrime delle Eli adi una volta cadute neli' acqua del fiume Eridano, così come è attestato anche in Diodoro60. A complicare il quadro ricostruuivo. ollre al difficile processo di fissazione del dato toponon1astico, concorrono ulleriori elementi, in parte forniti dalle stesse fonti ora prese in esame, in parte derivanti da altri testi e da altre considerazioni~ non ultimo, ripeto, lo stato frammentario, parzialmente cancellato dall'oblio, distorto da nuove prospettive e rivisitato delle testimonianze che originariamente componevano una più vasta e coerente descrizione delle terre situate nell'oceano settentrionale.
Vl/.2 - La localizzazione dell'isola dell'ambra La questione della possibile equivalenza tra Abalus-Basilia e Balda, e della eventuale identificazione di quest'ullima con la Scandinavia meridionale, ne introduce sostanzialmente una nuova ed altrettanto complicata: la localizzazione dell'isola d eli' ambra. Nelle fonti, Abalus è individuata lungo le coste settentrionali dell'Europa, nell'oceano che appariva congelato, in una regione dai confini indefiniti perché mal conosciuta. Qui, fin dall'antichità, a partire almeno dalla prima età imperiale, era nota l'esistenza di due aree nelle quali si produceva o comunque si rinveniva l'ambra: le isole Frisoni e la costa meridionale di quello che oggi è il mar Baltico. Questo fatto ha provocato una netta divergenza di opinioni tra gli studiosi moderni a proposito dell'identificazione dell'isola Abalus e, conseguentemente, della ricostruzione dell'ipotetico percorso seguito da Pitea. Le varianti presenti nelle fonti contribuiscono a complicare l'indagine, prestandosi a diverse interpretazioni. Plinio, che rimane la principale fonte in proposito ricorda la scoperta delle isole Glaesariae 61 , avvenuta nel corso di una deJle spedizioni condotte dai Romani sotto Augusto e Tiberio; forse durante le campagne dirette da Druso tra il 12 e il 9 a.C. 62 • oppure durante la disastrosa spedizione condotta da Germanico nel 16 d.C.6J_ [Romani scoprirono dunque l'esistenza di un arcipelago composto da 23 isole, delle quaH Plinio ricorda Burcana. ridenominata Fabaria perché produceva una grande quantità cJi fave, Austeravia, che i soldati romani ribauezzarono come Glaesaria per la sua ambra, ed infine Actaria64 • Si tratta indubbiamente delle stesse isole altrove dette Glaesiae e che alcuni autori greci, in epoca vicina a Plinio, avevano ridenominato Electrides 6 5; e si può supporre che tale ellenizzazione, riconducibile al toponimo connesso alla leggenda più antica, sia stata operata fra gli altri cJa Filemone 66 . Quanto al termine glaesum, all'origine del toponimo. esso avrebbe designato l'ambra Diod .. v. 23, 4: X.llt 1'Dtrto (sci/. otix.puov) 1t"Y})'VUf.LE\10\I à7tO'tEÀEiV TO xa:ÀOUf.LEV0\1 llÀEx'tpov. Plin., N.H., IV, 97 e XXXVII. 42. 02 Aug., Res Gestae. 26, 2 e 4; Plin., NH .. II. 167: Tac., Germania, 34: Svel., Ciaud., l. Rimando in proposito a J. Kolendo, À la recherche de /'ambre haltique, cit.. pp. 76-77, e soprattutto a C. Nicolet. L'ìnvelltario del mondo, cit., pp. 81-82 e 86-88. 6 3 Plin., N.H .. XXXVII. 42; Tac., Anna/es, II. 5-6 e 23-24. 64 Plin .• N.H., TV, 97. 65 Plin ., N.H .. IV. 103. f>6 A. Grilli, La documentazhmt! sul/a provenienz.u ddl'umbru, cit., p. 17. 60 61
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nell'antica lingua germanica67 . Le stesse isole sembrano essere comprese anche sotto la diversa denominazione di Fabariae, riportata sempre da Plinio6s. Sembra dunque logico individuare in quest'ambito geografico l'isola Abalus scoperta da Pitea. Da un lato si evita di prolungare fino al Baltico l'esplorazione del Massaliota69, dall'altro si usufruisce di tutta una serie di confronti istituibili a partire dalle poche notizie riferibili al viaggio piteano. In primo luogo, è possibile ipotizzare un legame tra la denominazione Fa baria attribuita a Burcana e l'appellativo Baunonia riferito alla costa scitica di fronte alla quale si troverebbe l'isola menzionata da Pitea e Timeo. Baunonia significherebbe infatti qualcosa come «terra delle fave», in base al confronto etimologico con la radice *bauno, da cui deriverebbe l'odierno termine tedesco «bohne» (fagiolo)1°. L'isola probabilmente corrisponde all'odierna Borkum alla foce dell 'Ems, mentre la fava in questione sarebbe in realtà un· alga, il Fucus vesiculosus 1 1. Quanto al riferimento alla costa della Scizia, è indubbio che la fonte di Plinio, Timeo, intendeva in tal modo indicare genericamente le regioni poste oltre i confini della Celtica, come testimonia anche Diodoro 72 , poiché il tennine Germania entra nell'uso solo nell'età di Cesare e si impone a partire dalla prima epoca imperiale. In questo caso, inoltre. l' aestuarium Metuonis potrebbe corrispondere alla regione del Mare del Nord attualmente definita come Wadden Zee o Wattenmeer. mentre i 6.000 stadi. più che alle dimensioni dell' aestuarium stesso, potrebbero corrispondere alla distanza che separava le terre dell'ambra e in particolare la foce dell'Elba da un precedente punto di riferimento, quale la rotta oceanica che univa Ouessant alla Cornovaglia73. collegando i termini estremi di un sistema commerciale insulare nordico che aveva nello stagno e nell'ambra i suoi prodotti principali 74 . In tal modo, Pitea avrebbe ancorato la rappresentazione della costa settentrionale de li' Europa ali' abbozzo di meridiano occidentale individuato attraverso i promontori iberici e celtici. Ulteriori considerazioni meritano poi le popolazioni menzionate da Pitea in questo contesto. ad iniziare dai Guiones. Guionibus è infatti la lezione tràdita dal codice Bambergensis di X secolo. il teste più antico ed autorevole 75 , ed accolta in genere da quanti localizzano Abalus nel Mare del Nord 76. Questa popolazione, altrimenti ignota- a meno che non si voglia vedere nell'etnonimo una corruzione di lnguaeonibus. intendendo così una delle grandi stirpi germaniche descritte da Plinio e comprendente le popolazioni dei Cimbri. dei Teutoni e dei Cauci 17 -, Plin., N.H .. XXXVII, 42; Tac .. Germania. 45.4. N.H .• XVIII. 121. 69 J. Ko1endo. À la reclzerclze de l'ambre baitique. cit.. p. 76. 7° Cosl K. Mtillenhoff, Deutsche Alrerrumskw!de, l, cit.. pp. 483-484. e R. Wenskus, s. v. Burkana, in RGA. IV, Berlin-New York, 1981. p. 113; Id., P_vtheas und der Bernsteinhande/, cit., pp. 96-101. 7t Cfr. A. Grilli, La. dommenta:ione sulla provenienza dell'ambra. cit. p. 14. n V. 23. l: Ti; c; ~xu6tac; -:-i] c; ur.Èp "t'~v l'a ).a"t'iav .. _ 73 Così W. J. Beckers, Vom gennanisclze11 Norden. cit .. pp. 669-671. 74 Cfr. R. Wenskus, P_..,.thea.~ und der Bernsteinhandel, cit., pp. 96-98; S. Bianchetti, Plinio e la descrizione dell'Oceano .set!enlrionale, cit .. p. 76; Ead, Pitea di Massalia, cit., p. 196. 75 Questa è la lezione accolta da K. Mayhoff. C. Plini Secundi, Naturalis historiae, XXXVII. cit., p. 407. H. J. Mette, Pytheas, cit., p. l. e S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., p. 102. 76 Si veda ora S. Bianchetti. Pitea di Massalia, cit., p. 195. con ulteriori riferimenti bibliografici e una concisa panoramica allargata anche ad altre ipotesi. n Plin .. N.H .. IV, 96 e 99. Contro tale ipotesi, riproposta recentemente da B. Luiselli, Storia cullurale, cit.. pp. 117-118, e da C. H. Roseman, Pytheas, cit .. p. 96. si \'edano le critiche mosse da R. Wenskus, Pytheas und der Bernsteinhandel. cit.. P- 101. 67
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dovrebbe pertanto essere localizzata nei pressi de H'Elba e comparire inoltre nel testo pìteano quale popolazione scitica: O'xu6txòv è:Ovoç 78. l Teutoni, che fanno il loro ingresso nella storia per la prima volta con Pitea, pongono meno problemi, essendo da identificare con lo stesso popolo che circa due secoli più tardi si sarebbe reso responsabile con i Cimbri di un grande fenomeno mìgratorio fermato solo con la forza dalle annate romane nel 102 a.C. ad Aquae Sextiae. Quanto alla loro probabile localizzazione, la fonte più precisa sembra essere Mela che li pone nel sinus Codanus, corrispondente all'odierno Baltico, forse comprendendo non solo la costa nord-orientale della Germania ma anche le regioni meridionali della Scandinavia e le isole comprese tra questa e lo Jutland7 9. In base a queste considerazioni, dunque, Abalus potrebbe corrispondere ad una delle isole Frisoni 80 , o, secondo l'ipotesi più accreditata, alla più orientale Helgoland, oltre la foce deli'Elba8 1• Tali identificazioni non implicano necessariamente che il viaggio di Pitea abbia avuto termine in queste regioni ed infatti alcuni commentatori, che pure localizzano Abalus nel Mare del Nord. suppongono che egli si sia spinto fino al Baltico, oJtrepassando la penisola cimbrica 82 • Il fatto che i maggiori giacimenti di ambra fossile siano oggi situati nel Baltico e, più precisamente, nell'odierna penisola del Samland, compresa tra le ampie lagune determinate dagli estuari della Vistola e del Niemen, ha indotto alcuni studiosi a preferire questa ambientazione per l'isola dell'ambra scoperta da Pitea. In effetti, nonostante la recente scoperta (o riscoperta) delle isole Frisoni, sembra che già in età romana l'ambra del Mare del Nord non avesse che un'importanza secondaria, venendo soppiantata da quella proveniente dai più ricchi giacimenti del Baltico 83 . Fino a queste regioni. infatti, si spinse un cavaliere romano in età neroniana per condurre a Roma un quantitativo d'ambra senza precedenti 84 ; e il suo non fu un exploit isolato, ma il risultato di una più complessa rete di relazioni e contatti che si era andata stabilendo almeno sin dalla prima età augusteass. Anche Tacito, che dedica un'intera opera alla GermaH. J. Mette. P_vthea5, cit., p. l; seguito da T. S. Brown, Timaeus, cit., p. 27. Chor., III, 31 . 8 Fra gli altri, rimando a K. Mlillenhoff, Deutsche Altertumskunde, I. cit., p. 484, che pensa all'odiernaAmeland; così anche F. Matthias. Pytheas von Massilia, l, cit., pp. 28-36, che però distingue due isole menzionate da Pitca: Abalus identificata con Ameland, nelle Frisoni occidentali, e Basilia, identificata con l'odierna Baltrum, nelle Frisoni orientali; 1. Kolendo, À la recherche de l'ambre baltique, cit., p. 76, pensa ad un'isola attualmente sommersa compresa tra Helgoland e le coste dello Schleswig occidentale; A Grilli, La documentazione sulla provenienza del/ 'ambra. cit., pp . 14- t 7, fa riferimento in generale ali' area frisone. 81 Cfr. F. Gisinger, Pytheas, cil., coli. 347-349, con ampia bibliografia e discussione delle diverse ipotesi, il quale propende per l'isola di Helgoland o le Frisoni in genere; W. Krogmann, Die Bersteininsel Basi/eia, cit., pp. 211-215, pensa alla sola Helgoland. così come: R. Wenskus, s. v. Abalus, cit., p. 5; Id .. Pytheas und der Bemsteinhande/, ci t., pp. 97-99; S. Bianchetti, Plinio e la descrizione dell'Oceano sellentrionale. cit, pp. 73-78; Ead. Pitea di Massalia, cìt., p. 64; cfr. anche pp. 196 197, con ampia discussione e bibliogratia. 82 Sì vedano: C. F. C. Hawkes, Pytheas, cit., pp. 9-10, secondo cui Abalus corrisponderebbe all'attuale Ve:nùsyssel. l'isola a nord dello Jutland, mentre Basilia-Baltia corrisponderebbe alla Scania meridionale, che Pitea avrebbe ritenuto insulare e rena a monarchia. Plinio avrebbe identificato le due isole, in quanto entrambe Bcxcr().da e ricche di ambra; B. Luiselli, Storia culturale, pp. 118-125, che idenlifica AbalLJs con HelgoJand e Basilia-Balcia con la regione meridionale della Scandinavia, che a Pitea sarebbe apparsa come la più grande e maestosa, e dunque «Regina>>, fra le isole viste nel Baltico. 83 J. Kolendo, À la recherche de l'ambre baltique, cit.. p. 77. 84 Plin., N.H., XXXVII, 45. Per un ampio e dettagliato commento si rimanda allo studio di J. Kolendo, À la recherche de l'ambre baltique, cit. !(:'i J. Kolendo, À la redu:n:he de l'ambre bultique, cit., pp. 79-89. 78
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n i a, individua 1' ambra e la sua raccolta solo nel Baltico, presso la popolazione degli Aesti86, localizzabile presso l'attuale penisola del Samland, tra la Vi stola e il Niemen, dove la raccolta dell'ambra è attestata fino ad epoca recenteB7. Al di là di queste osservazioni, vi sono comunque altri indizi che supportano l'ipotesi secondo la quale Pitea si sarebbe spinto fino al mar Baltico nel corso della sua esplorazione. In primo luogo, la scelta della lezione Gutonibus nel testo pliniano, che pur non essendo attestata dal codice più affidabile è conservata però dal più tardo Polinganus, del 1459, e confermata con leggere varianti dal Parisinus Latinus 6797 di XIII secolo (Gotonibus) e dal Parisinus 6801 di XV secolo (Guttonibus)BS. Sembra che i Gutones, che vanno indubbiamente identificati con i Goti. all'epoca di Pitea fossero ancora stanziati nella penisola scandinava, ma la questione è controversa 89 , e comunque ininfluente per quanto riguarda la loro eventuale menzione nel testo piteano. Inoltre, a differenza degli eventuali Guiones. i Gutones compaiono anche in un altro contesto pliniano, dove vengono indicati come una delle ultime popolazioni germaniche in direzione della Sarmazia90 • La loro collocazione orientale e baltica è dunque inequivocabile e, qualora si accolga la loro menzione nella testimonianza piteana sull'isola Abalus, si dovrà conseguentemente localizzare quest'ultima nel Baltico e non nel Mare del Nord. Tra l'altro, la popolazione dei rotrC"wvEc:; era nota anche a Strabone91, benché lo stesso geografo ritenesse che oltre l'Elba, lungo l'oceano settentrionale, si estendessero contrade ignote, nelle quali nessuno, a suo ricordo, si era mai spinto per mare o per terra 92 , e a proposito delle quali venivano erroneamente presi in considerazione i racconti mitici sui monti Ripei e gli lperborei e le relazioni menzognere di Pitea, queste ultime mascherate sotto le vesti della ricerca astronomica e matematica 93 • La menzione dei fotrc-wve:c:;, accanto a quella degli ambasciatori inviati a Roma dai Cimbri 94 , forse in seguito alla spedizione condotta da Druso nel 12 a.C., è una delle poche attestazioni che Strabone si lasci sfuggire nel corso dell'intera sua opera dell'esistenza a Roma di più ampie conoscenze circa le estreme regioni nord-occidentali dell'Europa. Germania, 45, 2-8. Cfr. N. Sallmann, De gloria sucini Baltici, in De relationibus inter orbem lalinum et terras :u:ptentriunule~·. cit., pp. 202·206, il quale ritiene che nell'antichità tutla l'ambra provenisse dal Baltico ma che la sua origine Fosse mantenuta segreta; Pitea avrebbe menzionato i Guiones che abitavano alla foce del Reno o piuttosto dell'Elba (che corrisponderebbe all'aestuarium Metuonis). mentre l'isola Abalus sarebbe da identificare con Austeravia-Giaesaria. 88 La lezione Gutonibus è accolta, tra gli altri, dallo Schneider, In C. P/ini Secundi, cit., p. 389, e da E. de Saint-Denis, Pline, XXXVII, cit., p. 48, p. 21, il quale adotta tale lezione pur ribadendo a p. 2 t la sua intenzione di mantenersi il più fedele possibile al codice Bambergensis. Secondo K. MOilcnhoff, Deutsche Altertumskunde, l, cit., pp. 479-480, la menzione dei Gutones sarebbe un errore in luogo degli originari Teutones (si vedano però le critiche mosse a questo proposito da F. Matthias, Pytheas von Massilia, l, cit., p. 20). Si veda infine T. Pekkanen, The Et/mie Origin ofthe LlouÀOO'i'rDpoc, «Arctos», suppl. I, Helsinki, 1968, pp. 35-48, che propone di leggere Suionibus nel testo pliniano e che dunque pensa comunque al Baltico. R9 Si veda M. Kazanski, Les Goths (l~r- VI/t après J. -C.), Paris, t 991, pp. 9-18, ove sono discusse le ipotesi relative alla loro migrazione da originarie sedi scandinave e quelle di una loro origine continentale. w N.H .• [. 99.
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Per il resto, come ha sottolineato Claude Nicolet95, una «pietosa omissione)) ricopre col silenzio l'insuccesso - ma anche i risultati positivi in termini di conoscenze - delle spedizioni volute da Augusto. A distanza di secoli e con effetti diversi pare rinnovarsi l'affronto subito da Polibio e Scipione Emiliano, e le accuse mosse a Pitea da Strabone, come quelle di Poli bio, sembrano adombrare in negativo l'esplorazione e la descrizione da parte dell'esploratore massaliota di quelle stesse regioni oltre l'Elba che ora invece sfuggivano al controllo romano. La conoscenza geografica, pertanto, per Strabone così come per Polibio, finisce per identificarsi con la conquista militare, al di fuori della quale sussistono solo fantasie e miti, talvolta mascherati sotto forma di verità sci enti fiche. Lo stesso atteggiamento critico di Strabone nei confronti di Pitea si rivela in un altro passo nel quale si afferma che tutto quanto costui aveva affermato a proposito degli 'ilcr1'tcx.iot e dei luoghi situati oltre il Reno e fino alla Scizia era chiaramente falso 96 • Anche qui si intravvede la trama di un più ampio resoconto nel quale comparivano popoli e luoghi della costa oceanica che Pitea aveva descritto. Si è già notato a proposito di Timeo e Diodoro che il riferimento alla Scizia sembrerebbe indicare una realtà generica e non altrimenti definibile la cui estensione appare indeterminata ad oriente del Reno. Nel caso di Strabone, tuttavia, va osservato che il limite occidentale dovrebbe essere costituito piuttoso dall'Elba97, poiché lo storico di Amaseia poneva tra questo e il Reno, e forse anche più ad oriente, le popolazioni germaniche98 • Una di queste potrebbe essere proprio quella degli 'fla1'tCX.tot, la cui menzione da parte di Pitea è attestata anche da Stefano di Bisanzio attraverso la mediazione di Artemidoro9 9 • e a proposito dei quali si è pensato ad una identificazione con gli lstuaeones o lstaeones che Plinio colloca presso il Reno e che Tacito ricorda a proposito delle tre principali stirpi delle popolazioni germaniche 100 . 'Oa't'tcx.tot, Teutoni, forse Goti; la narrazione piteana doveva però essere ben più ricca. Un popolo che quasi certamente vi compariva doveva essere quello dei Cimbri, cui Strabone dedica un lungo excursus riprendendo la teoria di Posidonio, per il quale i Cimbri, identificati con i Cimmeri, sarebbero divenuti nomadi e predoni in virtù di una loro predisposizione naturale e in concomitanza, ma non a causa, di un evento eccezionale costituito da una progressiva avanzata del mare accompagnata da uno straordinario fenomeno di marea 101 • Benché Posidonio potesse disporre di fonti recenti, dopo la migrazione che negli ultimi decenni del Il secolo a.C. aveva scosso le regioni centrali dell'Europa, è probabile che a proposito della conformazione peninsulare del territorio originario dei Cimbri, e forse anche dei moti marini che li avevano interessati, egli si rifacesse al resoconto piteano102. Un'altra popolazione forse menzionata da Pitea era L 'inventario del mondo, cit., p. 88. Strabo, I, 4, 3, C63 = F 18a Bianchetti = F 6a Mette. 9 7 CFr. G. Brache, Pytlréas le Massaliote, cit., pp. 199~203. IJS VII, 2, 4. c 294. 9'J Steph. Byz., Ethn., s. v. '(lcr-rtwve:ç F 18b Bianchetti = F 6f Mette. 10o Plin., N.H., IV, 100: Tac., Germania, 2, 3. Cfr. in proposito, F. Las!ierre, Ostiéens et Ostimnierzs, cit., nota 18, p. 113, e S. Bianchetti, Pitea di Massalia, cit., p. 205. 101 Strabo, VII, 2. 1-3, C 292-292 = FGrHist., 87 F 3 l = F 272 Edelstein-Kidd = F 44a Theilcr, fa riferimento alla marea eccezionale; si veda però Il. 3. 6, C 102 = FGrHist .• 87 F 28. dove si parla dì un moto marino progressivo. 1o2 Cfr. J. Malitz, Die Historien, cit., p. 201-203. 95 96
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quella degli Hermiones, ai quali rimanda la polis ~Epf.!tOve:tct che nelle Argonautiche orfiche è posta sull'oceano settentrionale 103, nei pressi della popolazione dei Cimmeri e di un promontorio che coincide evidentemente con il promunturium Cimbrorum di Plinio104, ma anche con la Brittia di Procopio. per la caratterizzazione degli abitanti che al momento della morte erano esentati dal pagamento del diritto di pedaggio verso l'Aldilà e le cui anime raggiungevano da sole l'Acheronte che terminava il suo corso nell'oceano in quei paraggi 105 • La popolazione degli Hermiones è compresa da Plinio nel gruppo degli /stuaeonesl06, ma Tacito distingue le due popolazionil 07 , anche se entrambi la collocano nell'interno della Germania. Diversamente, Mela li pone nel sinus Codanus, oltre i territori dei Cimbri e dei Teutoni, ai confini con la Sannatia 10 8• In sostanza, la localizzazione di queste popolazioni nelle fonti latine e in Strabone, con la connotazione scitica riferita ai popoli stanziati oltre il Reno o l'Elba e comune alla descrizione delle terre dell'ambra in Pitea. potrebbe applicarsi anche ad una ambientazione orientale, per altro senza fornire alcuna certezza. Vi è però a mio parere una testimonianza che rafforza l'ipotesi che l'isola Abalus vada individuata nel Baltico. Accanto ai passi di Plinio e Diodoro, esiste infatti una terza e dettagliata descrizione dei luoghi dell'ambra e della popolazione che vi viveva; si tratta del capitolo della Gennania di Tacito dedicato agli Aesti. Lo storico latino, passando in rassegna i popoli germanici, dedica gli ultimi capitoli dell'opera alle popolazioni stanziate nelle più lontane regioni nordorientali, menzionando tra gli altri i Gothones 109 , popolo che corrisponde evidentemente, anche come collocazione geografica, ai Gutones ricordati da Plinio., e i Suiones che vivevano nell'oceano stesso e che con ogni probabilità sono da identificare con la popolazione dell'attuale Svezia meridionale 110 • Oltre i Suioni egli individua un aliud mare, pigrum ac prope inmotum, quo cingi claudique terrarum orbem hincfides, quod extremus cadentis iam solisfulgur in ortus edurat adeo clarus ut sidera hebetet 11 '. Ai margini di questo mare, ad oriente del mare Suebico, Tacito pone gli Aesti, simili per costumi agli Suebi ma non per la lingua 11 2, la cui principale attività era quella di esplorare il mare e, soli fra tutti. di raccogliervi l'ambra, che essi chiamavano glesum. sia nei bassi fondali sia sulla stessa spiaggia. L'ambra giaceva fra altri eiectamenta maris, ed essi, non facendone uso alcuno, la raccoglievano grezza e la rivendevano senza alcuna lavorazione, ricevendone stupiti il compenso113. Tacito esprime poi alcuJOJVv. 104 105
1119~1142.
N. H., Il. 167; IV, 96-97.
Si veda in proposito F. Vian, Les Argonautiques orphiques, Texte établi et traduit par F. Vian, Paris, 1987, nota 5, p. 40, con un ulteriore ed interessantissimo ampliamento della pmblematica (si veda anche la nota al v. 1141. pp. 191-192). 106 N.H., IV, 99. 107 Germania. 2, 3. 108 Chor., III. 32. 1 ~ Gennania. 44. l. IlO Germania, 44, 2-4. Cfr. A. A. Lund, P. Cornelius Tacitus, Germania, lnterpretiert, hernusgegeben, iibenragen, kommentiert und mi t einer Bibliographie versehen von A. A. Lund, Heidelberg, 1988, p. 229. 111 Germania, 45, 1-2. 112 Il termine Suebi sembra essere una designazione collettiva che comprende le popolazioni che vivevano nella Germania nord-orientale (Germania. 38-45). Cfr. J. Perret. Tacire, La Germanie, tex.te établi et traduit par J. Perret, Pari s. 1967, pp. 102-103. 1 1J Germania, 45, 2-5: Ergo iam dextro Suebici maris litore Aestiorum gentes adluuntur. .. sed et mare scrutantur, ac soli omnium sucinum, quod ipsi glesum vocant, inter vada atque in ipso litore
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ne opinioni sulla natura d eli' ambra, sucum arborum, ed in particolare che se incendiata essa sprigiona una forte fiamma profumata ed assume una consistenza resinosa 114 • L'attenta descrizione tacitiana, completata da puntuali annotazioni relative agli usi e ai costumi di questa popolazione, rappresenta un significativo confronto con le testimonianze piteane; la realtà descritta sembra infatti la medesima, anche se arricchita qui di particolari ulteriori. Da un lato, infatti, la definizione dell'ambra quale eiectamentum maris e le caratteristiche attribuite a questo stesso mare rimandano esplicitamente ali' interpretazione piteana dell'ambra quale purgamentum del mare concretum (la 7tE1tT](Uta 8étÀa't''t'a) 115 • e si potrebbe anche supporre che entrambe le espressioni traducano in maniera diversa un comune originale greco: xci6ap!J-a -rijç IlETIYJ(Utaç 8aÀct't''t'l"Jçl16. Lo stesso si può affennare del processo economico, caratterizzato dalla raccolta, dall'inutilità o comunque dalla scarsa utilità del prodotto raccolto, dalla conseguente vendita che avvia l'ambra verso i mercati mediterranei, e dello stupore col quale si osserva l 'inconsapevole attività, la raccolta di eiectamenta e purgamenta che nei centri del Mediterraneo si trasfonneranno in luxuria, in merci pregiatissime. Vi è poi l'unicità, la singolarità dell'evento, segnalata da Tacito e ricondotta al fatto che gli Aesti sono i soli a raccogliere l 'ambra sulle rive del mare, ma che si ritrova anche in Diodoro, riferita però alla significativa presenza dell'ambra sull'isola. Si deve allora supporre che a distanza di secoli Pitea e Tacito abbiano descritto una medesima realtà o realtà diverse ma molto simili, oppure si deve ipotizzare una dipendenza di Tacito da Pitea o quanto meno un riecheggiamento? A favore di quest'ultima possibilità mi pare che si possano addurre i numerosi indizi della conoscenza, forse non solo indiretta, d eli' opera di Pitea da parte dello storico latino che emergono nei suoi scritti a più riprese e talvolta in maniera sorprendentemente vicina all'originale piteano. Come ho più volte sottolineato, infatti, le osservazioni di Tacito sulla Britannia, quali l'assenza delle colture dell'ulivo e della vite, i connotati astronomici, l'azione delle maree oceaniche sulle coste settentrionali, la dimostrazione della sua insularità in seguito alla spedizione navale condotta da Agricola e l'avvistamento di Thule trovano precisi riscontri in quanto è possibile ricostruire del fiE p t 'L!xea vou piteano. Se ora si aggiungono a questi indizi la menzione del mare pigrum ac prope inmotum corrispondente chiaramente alla 7tE7tlj(Uta 6aÀa't''t'a, l'idea che questo mare avvolga la terra abitata che rimanda alla teoria della continuità degli oceani fondata anche sulle osservazioni dei moti marini compiute da Pitea, il legame tra il mare pigrum e l'ambra che da esso ha origine e, soprattutto, Jegunt. Nec quae natura quaeve ratio gignat, ut barbaris, quaesitum compertumve; diu quin etiam inter cetera eiectamenta mari.s iacebat, donec luxuria nostra dedit nomen. Jpsis in nullo usu: rude legitur. informe perfertur, pretiumque mirantes accipiunt. 114 Germania, 45, 6-8: Sucum tamen arborum esse intellegas, quia terrena quaedam atque etiam volucria ani171Q/ia plerumque interiucent, quae implicata umore nwx durescellte materia clauduntur. Fecundiora igitur nemora lucosque sicut Orientis .secretis, ubi tura balsamaque .sudantur. ita Occidentis insulis terrisque inesse crediderim, quae vicini solis radiis expressa atque liquentia in proximum mare labuntur ac vi tempestatum in adversa litora exundat. Si natura sucini admoto igne temptes, in modum taedae accenditur alitque flammam pinguem et olentem; mox ut in picem resinamve Jentesci/. IIS Plin .• N.H .• XXXVII, 35-36 = F 15 Bianchetti= F l la Mette. 111'1 Questa sarebbe la definizione dell'ambra nel testo piteano secondo l'intuizione di H. J. Mette, Pytheas, cit., p. 3. ripresa anche da A. Grilli, La documentazione sulla provenienza dell'ambra, cit .. nota 27, p. 14.
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l'ampia descrizione dei processi che accompagnano la raccolta di questo prezioso prodotto, che costituisce l'esatto parallelo della descrizione piteana quale è ricostruibile tramite le testimonianze di Diodoro e Plinio, mi pare che parlare di semplice reminescenza o di una indiretta influenza sia alquanto riduttivo. Si può allora ipotizzare, in base a questi elementi, una conoscenza diretta dell'opera di Pitea da parte di Tacito e conseguentemente accreditare la connotazione baltica della terra dell'ambra quale è suggerita dallo storico latino. Come nel caso dell'insularità della Britannia, gli si può dunque credere allorché afferma che gli Aesti sono l'unico popolo dedito alla raccolta dell'ambra sulle rive dell'oceano, esattamente come Abalus-Basilia è l'unico luogo nel quale l'ambra viene gettata dalle onde e raccolta dai nativi. Singolarmente, mentre Tacito menziona il nome della popolazione dedita alla raccolta dell'ambra, gli Aesti, nelle testimonianze superstiti del resoconto piteano sull'isola dell'ambra non compare il nome dei suoi abitanti. benché vengano ricordate le popolazioni limitrofe con le quali essi mantenevano stretti rapporti commerciali: i Guiones o Gutones e i Teutones. Ritengo tuttavia che si possano estrapolare alcuni elementi importanti dai frammenti della narrazione piteana. Mi riferisco, in primo luogo, alla popolazione degli 'iìa't'tCXtOL menzionati da Pitea in un rapporto sulle popolazioni stanziate oltre il Reno e fino alla Scizia; rapporto sul quale Strabone sorvola senza ulteriori chiarimenti, a causa della sua pretesa falsità 117. Non è però improbabile che essi avessero una qualche relazione con l'isola dell'ambra, che era posta ad un solo giorno di viaggio dalla costa scitica; ed anzi, il fatto che Strabone- il quale aveva indubbiamente una conoscenza dell'opera piteana migliore di quanto voglia lasciare intendere -ricordi solo gli 'flcr·ncxtot, tralasciando le altre popolazioni e località menzionate da Pitea, parrebbe indicare che l'esploratore massaliota avesse dedicato a questo popolo uno spazio particolarmente importante all'interno della sua narrazione. Gli 'ilcr't'tcxiot, dunque, potrebbero essere proprio gli abitanti dell'isola Abalus situata nei pressi della Scizia e corrispondere agli Aesti che Tacito differenzia in parte dalle popolazioni germaniche, inserendoli in un ambito di confine fra Germani e Sarmati 118 . Un indizio in questa direzione potrebbe rinvenirsi nell'opera geografica di Tolemeo119, ove, sulle rive baltiche si devono J?robabilmente identificare gli Aesti, dei quali non è fatta menzione, con gli Ocrtot o "Ocrrrtat, forse corruzione di un originale "0cr't'ml2o, a meno che in essi non si debba vedere la popolazione degli Oxiones che Tacito pone al di là delle ultime popolazioni note e sui quali si narravano storie favolose 121 . A questo proposito, può essere che nella descrizione tacitiana delle estreme regioni conosciute, ormai oltre il confine tra Europa ed Asia, si debbano riconoI, 4, 3, C 63 = F 18a Bianchetti= F 6a Mette; cfr. Steph. Byz .• Ethn., s. v. '!lo:r'tiW\1€~ = F 18b Bianchetti =F 6f Mette: 'Uo:r'rtW\IEç: EB\Ioc; mxeà. "t'tfl otrnxt.jJ 'UxEa.\lt.;J, ouc; Koao:rt\IOUc; ,Ap't'E!J-LOWfJOc; c?Yio:r~. Ilu6ia.c; o' '!.ìo:r·na.touç "t'OU"t'W\1 o' È~ EÙW\IUfJ.W\1 Ot Koo:ro:rt\10~ ÀEYOfJ-S:\Im '!lo:r'rtW\IS:c;, ouc; flw8Éa.~ '!J.,-"t'la.tout; 7tpo.,-a.yopeuEt.. 118 Si vedano, in questo senso, G. V. Callegari, Pitea di Massilia, cit., IX. 2, 1905, pp. 246-247, e P. Fabre, Le.s Mas.sa/iotes, ciL, pp. 42-47. 119 Geogr., III, 5, 22. 120 Si veda l'articolo di W. Nowakowsk.i, Baltes et proto-Siaves dan.s l'antiquité, «DHA», 16, l, 1990, pp. 359-402, in part. pp. 377-388, ove ulteriore bibliografia; cfr. inoltre, J. Kolendo, l Veneti dell'Europa cenlrale e orientale. Sedi e realtà etnica. (
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scere ulteriori influenze piteane. Tacito, infatti, dopo essersi soffermato sui Su ioni e gli Aesti ed aver accennato alla popolazione dei Si toni, dedica un breve capitolo a Peucini, Veneti e Fenni, dei quali non sa dire se si tratti di popoli germanici e sannati. Soprattutto i Fenni denotano una incredibile selvatichezza, nutrendosi di erbe e di prede che cacciano con armi rudimentali; essi si vestono di pelli e dormono per terra, non possedendo come dimore che semplici capanne di ramil22, La descrizione di questi popoli, oltre che denotare l'esistenza di precise informazioni sulle più lontane regioni baltiche, rimanda per alcuni aspetti a topoi molto più antichi relativi agli Sciti, arricchiti da una riflessione sulla natura umana che potrebbe anche risentiTe dell'opera di Posidonio 123 • La narrazione di Tacito si arresta qui~ tutto ciò che si dice su popolazioni ancora più lontane è noto per essere frutto della fantasia ed egli preferisce non pronunciarsi su quanto si racconta degli Hellusii e degli Oxiones, i quali avrebbero faccia d'uomini e corpo di fierel24. Per Tacito, dunque, le storie incredibili note a Strabone facevano riferimento a regioni molto orientali. Egli tuttavia non rimanda genericamente ai racconti sugli Iperborei ma a quelli relativi ad almeno due specifiche popolazioni in precedenza apparentemente ignote, della cui presunta esistenza, in base alla forma dell'etnonimo Oxiones, egli era probabilmente informato tramite una fonte greca. Lungi dall'essere semplice frutto di fantasia. i nomi di queste popolazioni sono la traslitterazione di etnonimi locali. Etimologicamente. infatti, l'etnonimo Hellusii deriva dalla radice indo-germanica *elk indicante l'alce (elch in germanico, élnis in lithuano) o il cervo (ÈÀÀoc:; in greco). mentre Oxiones è da connettere al finnico oksi, termine che designa l'orso. Entrambi gli etnonimi sembrano dunque avere un'oTigìne toternica, collegata agli ani1nali sacri venerati da queste popolazioni o, piuttosto. da diversi clan appartenenti ad una medesima popolazione che potrebbe essere quella degli antichi Fenni. precedentemente ricordati per la loro ferinità da Tacito e corrispondenti probabilmente agli attuali Lapponi, presso i quali effettivamente orso e alce sono stati venerati come esseri dì origine celeste e divina dalla remota antichità fino a te1npi recenti125. La notizia raccolta da Tacito. pertanto, sembrerebbe derivare da una fonte sufficientemente informata, e la confusione tra l'aspetto fisico e l' abbigliamento, forse simbolicamente rappresentante l'animale totemico, parrebbe derivare dal fatto che tali informazioni erano indirette e risentivano del comune processo che,porta ad amplificare l'alterità dello straniero posto oltTe i propri confini. E difficile sottrarsi, a questo punto, all'idea che questa fonte greca attenta alle componenti etnografiche presenti in una regione collocabile ai margini orientali del Baltico debba essere riconosciuta in Piteal26. Il suo nome non compare mai nell'opera di Tacito ma, come si è detto, sembra sottinteso in ben più di un'occasione. Tra l'altro, il nome degli Hellusi, il por. o lo dell'Alce, si connette semanticamente con quello dell'iperborea isola 'EÀt~otcx. descritta da
Germania. 46, 1-5. Si rimanda all'analisi di questo capitolo condotta da T. Pekkanen, Notes on Tac. Germ. 46,3, in Studia in Honorem liro Kajamo. «Arctos». suppl. Il. Helsinki, 1985. pp. 197-213. IN Germania, 46, 6. 125 Queste considerazioni sono formulate da T. Pek.kanen. The He/lusioi and the O.tiones, cit.. pp. 49-60; Id., De unimalibul sacris. cit.. in part .. pp. 151-156. 126 Cfr. in questo senso T. Pek.kanen, The ethnic Origin ofrhe JouÀoarropoc. cit., pp. 33-49: Id., The Hell11sii and the Oxiones, cit., pp. 52-53. 122
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Ecateo di Abdera ' 27 , che dunque si deve ritenere fosse abitata dalla popolazione che aveva come animale totemico l'alce. Di essa si è già detto che univa alcuni caratteri della Britannia descritta da Pitea ad altri tipici di una collocazione più orientale e consona alla localizzazione classica dei leggendari lperborei. Questa duplice valenza potrebbe anche essere in relazione con l'esistenza di due distinte popolazioni descritte da Pitea con un nome simile, i celti Lixovi e i finnici Hellusi 12s. entrambi popoli dell'Alce che vivevano però ai margini opposti dell'oceano settentrionale. Ne risulterebbe evidenziata, ancora una volta, l'importanza del ruolo di Ecateo come mediatore tra i dati genuinamente piteani e il mito greco; in questo caso quello degli lperborei che, in quanto mito settentrionale, non poteva non essere rivisto alla luce del viaggio di Pitea. Nelle estreme lande di confine tra Europa ed Asia anche Mela e Plinio ponevano alcuni popoli fantastici o ritenuti tali. Il primo descrive in due occasioni il sinus Codanus e le terre e le popolazioni in esso comprese, soffermandosi sulla sua particolare natura. Vi si trovavano infatti numerosissime isole e il mare appariva costretto tra la costa e le isole in un dedalo di canali e ramificazioni simili piuttosto a corsi d'acqua che si espandevano a caso. Ali 'imboccatura del sinus Codanus, in un'ampia penisola, vivevano Cimbri e Teutoni, ed oltre questi gli Ermioni, ultima popolazione germanica al di là della quale, fino alla Vistola, si estendeva la SarmaziaL~ 9 • cui faceva seguito la Scizia. già terra d' Asia 13o. l Teutoni erano collocati anche nell'isola di Scadinavia, compresa all'interno di questo grande golfo dell'oceano 131 , mentre di fronte alla costa della Sarmazia si trovavano alcune isole che presentavano la particolarità di apparire alternativamente come isole o penisole a causa del movimento di flusso e riflusso del mare che scopriva e ricopriva le terre 132 • Qui sarebbero vissuti gli Oeonae che si nutrivano di uova di uccelli palustri e di avena. gli Hippopodes dai piedi equini e i Panotioi che coprivano il proprio corpo con le grandi orecchie; e questi racconti Mela li avrebbe trovati non solo nella tradizione favolistica ma anche presso autori generalmente affidabili 133. Che, ancora una volta, nel riferimento all'affidabilità delle fonti a proposito delle estreme regioni nord-orientali dell'Europa si debba vedere il retaggio della critica rivolta a Pitea, è attestato dalla successiva menzione di Thule 134 • D'altra parte, tipicamente p iteana è l'attenzione ai fenomeni marini che qui, oltretutto, determinano la formazione di isole-promontorio analoghe a quelle che avevano attirato l'attenzione di Pitea al largo delle coste celtiche e britanniche. Le stesse popolazioni si ritrovano nella descrizione delle isole dell'oceano settentrionale tramandata da Plinio. Dopo aver affermato che Pitea aveva chiamato Basilia l'isola nota da Senofonte come Balcia. lo studioso latino ricorda l'esistenza delle isole Oeonae, i cui abitanti si nutrivano di uova d'uccello e avena, di altre isole nelle quali nascevano uomini con piedi equini detti Hippopodes, e delle isole dei Phanesii, i cui abitanti si coprivano il corpo nudo
m FGrHiJt .. 264 F Il =St. Byz .. Erlm .• s. l'.
'Eì,t~ma.
La popolazione dei Lix.ovi è ricordata da Caes .• B.G .. III. 9, 6: li. 4; 17. 2; 29, 3. Chor.. III. 31-33. oo Chor., III. 36. 131 C/wr.. III. 54. m C/wr.. III. 55.
128 129
m
Clzor.. III. 56.
11--l
Clwr.. III. 57.
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
con le enormi orecchie 135 • In questo caso, dunque, il collegamento con Pitea sembra confermato dalla sua esplicita menzione come fonte a proposito di Basilia. Plinio e Mela dipendono evidentemente da una fonte greca 136 , nella cui narrazione l'intento etnografico scivola nel meraviglioso, con l'eccezione del popolo dei mangiatori di uova, che trova un equivalente nella menzione da parte di Cesare di una popolazione che si nutre di uova di uccelli e pesci, nel delta del Reno 137 , a testimonianza dell'esistenza di simili condizioni ambientali e mode alimentari in diverse aree del settentrione. A differenza di quanto riscontrato in Tacito, è qui però riconoscibile un intervento ulteriore e successivo che ha aggiunto l'invenzione degli Hippopodes e dei Panotioi ad un originario dato etnografico che mirava invece a definire in termini comprensibili una effettiva realtà estranea alla cultura classica, quale quella dei rnangiatori di uova. La ripetuta associazione tra queste annotazioni etnografiche e i più o meno velati riferimenti ai temi dell'indagine piteana induce a ritenere che Pitea sia effettivamente la fonte ultima di queste narrazioni l38, mentre la divergenza di approccio rispetto a Tacito parzialmente riscontrabile in Mela e Plinio sembra imputabile ad una fonte intermedia che potrebbe essere Filemone. La menzione di questi popoli dai costumi straordinari da parte di Pitea giustificherebbe anche l'incredulità di Strabone nei confronti dei suoi resoconti 119 • Se, dunque, Pitea aveva effettivamente descritto questi popoli lontani che le fonti latine localizzano ai margini orientali dell'attuale Mar Baltico e se l'isola dell'ambra coincide realmente con la terra abitata dagli Aesti, è possibile che il Massaliota si sia spinto fino a questo mare e che Abalus vada qui identificata. La regione baltica, dallo Jutland alla Vistola e oltre, è ancor oggi ricca di questo prodotto prezioso, e numerose sono le isole, soprattutto nel tratto compreso tra la penisola dello Jutland e la foce dell'Oder. Come si è detto, però, la zona più ricca è quella del Samland, presso la foce della Vistola, dove fino ad epo~he recenti si praticava la raccolta della preziosa resina fossile. E in quest'area, attorno al corso della Vistola, che le fonti sembrano collocare l'ideale confine settentrionale tra Europa ed Asia, tra popolazioni germaniche e popolazioni sarmatiche o scitiche, e non è forse un caso che proprio alla foce di tale fiume si possano osservare ulteriori coincidenze con i dati piteani. L'area è stata infatti interessata, dall'antichità ad oggi. da radicali mutamenti nell' assetto della linea di costa. La Vistola un tempo non si gettava direttamente nel Baltico, ma nella laguna che è attualmente separata dalla baia di Danzica da un cordone litorale aperto in direzione della odierna penisola del Samland. La laguna stessa era molto più ampia e il delta del fiume formava un fitto intreccio di canali, isole e piccoli corsi d'acqua. Anche la baia del Niemen~ a est del Samland, era collegata alla laguna della Vistola tramite il corso della Diejna e quello della Pregolja, così che era possibile navigare non solo lungo la costa, ma anche attraverso le acque della laguna 140 . In simili condizioni, la penisola del N.H., IV, 95. Cfr. K. Miillenhoff, Deutsche Altertumskunde, cit., p. 491; A. Silbcrman, Pomponius Mela, cit., note 2 e 4, p. 83 {pp. 287-288). t37 Caes., B.G., IV, 10, 5. 138 Cfr. K. MUllenhoff. Deutsche Altertumskunde. l. cit., pp. 491-492; A. Silberman, Pomponius Mela. cit., note 2 e 4, p. 83 {pp. 287-288). 139 I, 4, 3, C 63 = F 18a Bianchetti= F 6a Mette; VII, 3, l, C 295 = F 8g Bianchetti= F 6h Mette. 140 Queste notizie sono tratte da J. Kolendo, À la recherche de l'ambre baltique, cit .. pp. 63-64. l3S
l.Jb
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Samland poteva facilmente essere scambiata per un'isola 1·H, come testimonia infatti Adamo di Brema 142• E forse tale considerazione andrebbe messa in relazione con la descrizione di quelle isole-promontorio che Mela, quasi certamente sulla fede di Pitea, poneva di fronte alla Sarmazia e dunque nella stessa area di confine tra Europa ed Asia. V/1.3 -L 'ultima meta e il ritorno
Tra la Vistola ed il Niemen, in quell' aestuarium Metuonis che ben può adattarsi alla duplice laguna formata da questi due fiumi ed alla baia di Danzica, ma che potrebbe ugualmente designare l'intera area baltica, Pitea a mio parere individuò l'isola dell'ambra e le altre isole o terre abitate da popolazioni con costumi straordinari. Qui osservò con la dovuta attenzione l'attività svolta dai locali per la raccolta, l'utilizzo ed il commercio del ricercato prodotto. Ancora una volta, interesse economico ed interesse scientifico coincidevano. lasciando trapelare le duplici finalità del viaggio, ed allo stesso tempo veniva messo in atto quel metodo d'indagine, sul quale si è più volte tornati, che consisteva nell'individuare e definire dal punto di vista topografico, geografico, etnografico ed economico i principali luoghi raggiunti. A questo punto del viaggio, Pitea poteva realmente immaginare di essere giunto al Tanais, o meglio, alla sua controparte nordica. Riconoscendo nelle popolazioni locali quegli Sci ti che egli sapeva ai confini con l'Asia, Pitea non poteva che pensare di trovarsi in prossimità di quell'istmo del Tanais che divideva l'Europa dall' Asia 143 • La sua scoperta di un fiume nordico sfociante in un'ampia palude, corrispondente e complementare al Tanais ed alla Meotide, sarà infatti utilizzata da Timeo e nelle Argonautiche ortiche per ricostruire l'itinerario nordico degli Argonauti 144. Raggiunta la foce nordica di quello che egli ritenne essere un fiume dal corso speculare rispetto a quello del Tanais, Pitea non aveva più né le necessarie motivazioni economiche né gli originari stimoli scientifici. Non doveva essergli t.11 Cfr. R. Dion, Où P_vtlu!as mulait-il aller?. cit. p. 1334; (d., Aspects politiques. cit., pp. 189-190 e 212-215, che identifica appunto l'isola dell'ambra pitcana con l'odierna penisola del Samland. P. Fabre, Les Massaliotes, cit., p. 45, invece, ritiene possa trattarsi dell'odierna Bomholm, di fronte alla costa meridionale della Svezia. Egli identifica inoltre l'aestuarium Metuonis con il golfo di Riga, calcolando di qui i tre giorni citati da Senofonte di Lampsaco (p. 43). 142 Gesto Hammaburgensis, ci t., IV. 18 (227). 14 3 Che Pitea si sia fermato a quello che lui presumeva essere il limite tra Europa ed Asia è testimoniato da Strabo, II, 4, 2. C 104 = F Sd Bianchetti = F 7a Mette, secondo cui il Massaliota pretendeva di aver esplorato tutto il nord dell'Europa (-r-ì)v 7tpoatipx'ttov -:YJc; Eùpw7tl']c; 1tciaczv). l-W Ancora tra IV e V secolo d.C.. Marciano di Eraclea (Peripl. mar. exter .• II. 39) individuava, ad est della Vistola, nel fiume Xiauvoc;, che nasceva dai monti Ripei, il confine nordico tra la Sannatia (facente parte dell'Europa), e le terre sconosciute situate lungo l'oceano iperboreo. Lo stesso fiume, conosciuto come' AxEC't'oll'), era messo in relazione al Tanais da Steph. Byz., Ethn .• s. v. Ttivatc;. Secondo J. Hermann, Volksstiimme und «nordlicher- Seeweg» in der iilten:n Eisenzeit, «ZfA», 19, 1985, pp. 147153, poi sostanzialmente ripreso in Griechische und Lateinische Quellen zur Friihgeschichte Mitteleuropas bis zur Mitle des l. Jahrtausends U. Z., hrsg. von J. Hermann, I, Von Homer bis Plutan:h (8. Jh. v. u.Z bis Jh. u.Z.), Berlin. 1988, Einleitung, pp. 7-38.l'affermazionedi Pitea andrebbe compresa alla luce delle conoscenze che egli poteva avere dell'esistenza di antiche relazioni lungo la via formata dai corsi del Dnepr e della Ovina, che collegava il Mar Nero al Baltico, e della possibilità che egli non si sia limitato a ritrovame nel Baltico il tenninale nordico, ma ne abbia anche affrontato il percorso fino al Dnepr-Boristene. Di fatto, però, Pìtea faceva riferimento al Tanais, non al Boristene.
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difficile venire a sapere che il Baltico era in realtà chiuso ad oriente o, comunque, che la costa proseguiva abbondantemente verso nord e che non si poteva immaginare di continuare la navigazione in direzione della presunta apertura nordica del Caspio 1 ~5 • Il Tanais o quello che egli ritenne come tale, il suo corrispondente nordico. fu così l'ultima meta del viaggio, parlando del quale. egli affermò di aver percorso tutta la costa oceanica dell'Europa. da Cadice fino al Tanais 1 ~ 6 • Questa affermazione testimonia tanto della meta quanto del reale punto di partenza della spedizione oceanica. Con essa Pitea intendeva probabilmente affermare che, una volta ritornato da Thule, il viaggio da lui compiuto gli aveva consentito di navigare e visitare tutte le coste dell'Europa oceanica che si estendevano da Cadice a quella che lui riteneva la foce nordica o, meglio. un corrispondente nordico del Tanais. Non c'era né voleva esservi alcun intendimento di tale viaggio come di una navigazione costantemente sotto costa e continua. Se mai tale, esso lo fu nella fase di ritorno dalla regione più lontana da lui raggiunta lungo le coste europee: la regione dell'ambra. L'inversione tra i due termini. Cadice e Tanais, ha qui probabilmente una pura funzione esplicativa. Pitea, infatti, probabilmente non rifece il percorso fatto all'andata, che lo avrebbe condotto lungo rotte già note, ma seguì la costa nord-europea. Egli raccolse in prossimità dello Jutland e della costa germanica fra l'Elba ed il Reno ulteriori informazioni sui popoli che vi vivevano. Parlò forse così dei Cimbri e delle maree fenomenali del Mare del Nord' 47 • e. probabilmente~ compì ulteriori osservazioni relative alle popolazioni che vivevano in queste regioni settentrionali dell'Europa1 4B. Stefano di Bisanzio riporta Ja notizia. tratta dal ITe:pt 6CIU!J-Cia"twv cixoucr~J-rX:twv pseudo-aristotelico, dell'esistenza di una popolazione celtica chiamata rép!J-apa, la quale non vede di giomot-1 9 • Tale popolazione è confrontata con quella dei Lotofagi, caratterizzata da un sonno di sei mesi. II Mazzarino vi vedeva «la prima notizia del nome dei Germani nel mondo greco» 150 • e ~-~~ Sarà Patrocle. rammiraglio della flotta di Seleuco e Antioco. ad affermare dj avere esplorato il mar Caspio. di averne varcato l'apertura nordica e di avere reso possibile il periplo completo dell'Asia fino ali"Indo. ottenendo con ciò il riconoscimento della propria impresa da parte di Eratostene e. soprattutto. da parte di Strabone (Il. l. 2-4. C 68-69 = FGrHist .. 712 T 5a e F 2: 11. l. 7-9. C 69-70 = FGrHist .. 712 F 3: Il. l. 17, C 74 = FGrHist .. 712 T 3: Plin., N. H .. VI. 58= FGrHist .. 712 T 3b; si veda anche Il. 167·168)! Cfr. R. Dion. Aspects politiques, dt., pp. 216<:!22: J. André. J. Filloziat. Pline I'Ancien, HiJtoire nature/le. livre VI. 2e partie. texte établi. traduit et commenté par J. André et J. Fillozìat, Pari s. J980. pp. 71-73 e 83-84. 146 Strabo. II. 4. l. C 104 = F 8d Bianchetti = F 7a Mette. 147 Strabo, VII. 2. 1-3, C 292-292 = FGrHist., 87 F 31. Il passo risale a Posidonio. ma è più che probabHe che le notjzie relative alle maree fenomenali che avvenjvano in quelle regioni siano dovute all'esperienza piteana: cfr. J. Malitz. Die Hiswrien. cit.. pp. 201-202. 1" 8 Strabo, VII. 2, 4, C 294: dal contesto sembra che la costa settentrionale dell'Europa sia ormai al di fuori del limite dell'abjtabilità e il riferimento alla latitudjne di Boristene evidenzia l'opinione di Strabone secondo cuj le regioni che si trovavano oltre questo parallelo (48° 30' ca.), anche se abitabili. non destavano più alcun jnteresse nel geografo c nell'uomo politico, Tutto il passo sembra però sottintendere l'esistenza di resoconti su quelle terre: narrazioni alle quali Strabone non presta credito alcuno né si degna di renderne espliciti gli autori e i contenuti (solo vaghi riferimenti ad alcune popolazioni, allo spazio inesplorato che si estende fino all'oceano. al clima che rende inabitabili tali regioni). Si può dunque supporre che questi riferimenti indiretti siano rivolti proprio a Pitea. 1-19 Ethn .• S. l'. rip~apa· rip~cxpa.lù:À-r~x~c; (6voc;. "t~V -~~Épczv QIJ ~ÀÒtE:l, wc; 'Aptcr-:-o-:-~À Y)c;
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Il pensiero storico classico. 2. Bari. 1965-1966. Roma-Bari. 19902• p. IO l.
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l'attribuiva all'autore di una edizione perduta del De mirabilibus ausc ultal ionibus, collocabile grosso modo attorno al 200 a.C. 151 • Egli supponeva che all'origine di questa notizia fosse da riconoscere l'opera di Pitea, benché ritenesse prudente non pronunziarsi sul fatto che già Pitea avesse attribuito questo nome ad una popolazione da lui incontrata. Intravvedeva, inoltre, un parallelismo con i ~ap~apot menzionati dal Massaliota e dei quali è testimonianza in Gemino 152 e Cosma 153. Più esattamente, Mazzarino riteneva che i rÉpf.Lapa equivalessero ai Lestrigoni di Cratete 154 ed ai barbari di Gemino, e che i Lotofagi corrispondessero ai Cimmeri di Cratetei55 ed ai barbari di Cosma 156. La menzione di una popolazione nordica reale (fÉpf.Lapa-Germani) contemporaneamente ad una popolazione america (Lotofagi). conduce infatti a quella scuola di pensiero che oceanizzava o ricollocava neli' estremo nord dell'ecumene le località e le popolazioni americhe, sulla base delle notizie piteane sulle regioni. i popoli ed i fenomeni da lui incontrati. Il maggiore rappresentante di questa corrente di pensiero fu, appunto, Cratete di Mallo, del quale si è già parlato in più occasioni. In questo caso, tuttavia, non fu evidentemente lui la fonte alla quale poté eventualmente attingere l'ignoto autore di questa versione del llt:pt eau()-aO"[wv cixOUO'!J-ci't'wv 157 . Lo dimostra, al di là di una possibile questione cronologica, il fatto che Cratete di Mallo menzionava i Cimmeri. in luogo dei Lotofagi, alla latitudine alla quale il giorno dura sei mesi. L'assimilazione Lotofagi-{jap~Clpot era possibile al Mazzarino in quanto egli leggeva 'YLVO(J-Évwv in luogo di ytvo(J-ivou nel testo di Cosma, giungendo così alla conclusione che presso questa popolazione, a parere di Pitea. fosse sempre notte 158 . Se la variante è corretta dal punto di vista filologico, non lo è, tuttavia. da un punto di vista logico: i ~cip~ClpOt di Cosma sono gli stessi di Gemino e vanno localizzati ad una latitudine alla quale il Giorno più lungo dura 21-22 h (64 o o 65° N). La culla o giaciglio del sole, che i [10:p~apot indicarono a Pitea, individua l'arco di orizzonte dietro il quale il sole. abbassandosi lungo il suo corso, scompare alla vista per un breve tratto. Nulla a che vedere, perciò. con i Cimmeri e con i Lotofagi. i quali erano collocati. da Cratete e dalla sua scuola. molto più a nord. in regioni ove Pitea certamente non giunse, ma per le quali doveva aver fornito una tabella teorica della durata del giorno, dell'altezza del sole e della latitudine. Neppure è certo che i I'i,efJ-apa vadano identificati con quei ~ap~a.pot che mostrarono a Pitea o1tou 6 ~Àtoç xotf.Lli 't'Cl t, e dei quali Pitea stesso, ne li' unica citazione letterale a noi pervenuta, non fornisce il nome. Essi potrebbero anche 151
Cfr. anche. dello stesso Mazzarino. La più antica menzione dei Germani, cit., p. 80.
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Elem. astr .. VI, 9 =F 13a Bianchetti= F 9a Mette: È:oe:ixvuov 'iju.tv o t ~cip~aoot, bnou ~Àwç x.mfJ-ci'!fU' 7uvÉ~a~tvE yap 7tEpL '!m.:rrouc; -roùc; '!'07touc; -.:~v (J-iv vux~a r.av'!'~Àwç' fJ-tKpàv yiv~'l'6at wpc;)\1 o te; fJ-È:V ~. oi c; ~È: ì' W'7'i:E fJ-E'TCL -r'ijv oucrt 'V (J-tXpou ÒtaÀE~fJ-fJ-a 't'o c; ytvOfJ- EVOU È: r. a "Va-riì.ÀEt \1 tù6twc; '!Ò'J :~Àtov. 153 Christ. t()p., Il. 80 =F l3b Bianchetti= F 9b Mette: flu6Éac; oè: 6 Ma'J'aÀtW'!YJç 4'1J'J'tv Èv 't'otç r.Ept 'rlKEGtvou o-rt n-ctpetyEvop.Évq_J crù-ri!J È::v -rui:ç ~op~w-rci-ro~ç -rinrmç. ÈoEiì
Elem. a.~tr., VI. 16~21. La più antica men::.ione dt>i Germani. cit., pp. 79-80. È anche possibile che il responsabile dell'associazione tra ripJ.Lo:pa piteani e Lotofagi omerici sia questo stesso ignoto autore del 0€pt 6:xup.ct-J'twv Ò:.x(JUO"fJ-a"twv. 158 LA più antica menzione del r~ome dei Germani. cit., p. 80. 155
156 157
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essere una popolazione nota a Pitea, ma incontrata da lui in regioni più meridionali, sulla costa continentale europea. durante il ritorno dalla regjone dell' ambra. In seguito, il confluire dei dati piteani negli èi 7ttcr-ra e ne] romanzo ellenistico potrebbe aver influito sulla loro diversa localizzazione. Anche l' affermazione che essi non vedono il giorno rappresenta chiaramente l' esagerazione e il ribaltamento della realtà descritta da Pitea.. Quanto, poi. al fatto che Pitea conoscesse r etnonimo rip!J-apa. non vi sono apparentemente prove decisive. Esiste però una fonte più antica che fa risalire la conoscenza, da parte dei Greci, di un popolo che non vede il giorno. ad un'epoca vicina a quella nella quale visse ed operò Pitea. Non solo. ma tale fonte si inserisce in un contesto di chiara impronta piteana. così che è ipotizzabile l'attribuzione all'esploratore massaliota dell'origine di questa tradizione. Si tratta di Eudosso di Rodi 1.59 , in un frammento del quale si trova il riferimento ad un popolo della Celtica. di cui non è fatto il nome, che non vede di giorno, ma vede di notte. Eudosso fu autore di un peri p lo scritto verso il 278-277 a. C.l6o, nel quale raccolse alcune notizie sulle regioni occidentali e di cui sono rimasti solo pochi frammenti 161 • Nel suo commento, lo Jacoby riteneva che nei frammenti 2 e 3 fossero presenti relazioni con il romanzo di viaggio e che nel frammento 3, tratto da Elianol62, si evidenziasse la dipendenza da un racconto cornice influenzato da Pitea. più che la derivazione da un periplo serio 16·1. In effetti, è- evidente il parallelo con gli abitanti della polis iberica incontrati da .1~pxuÀÀic; nel romanzo di Antonio Diogenel64. Anche costoro non vedono di giorno, ma di notte. Discutibile, ·ma signìiìcativa, è invece l'affern1azione. implicita nel giudizio dello Jacoby, della scarsa credibilità e serietà dei resoconti piteani. Egli non credeva neppure. che Ecateo di Abdera avesse utilizzato. per la sua descrizione di viaggio, il resoconto di Piteal65. Eudosso di Rodi fu contemporaneo o di poco posteriore ad Ecateo di Abdera e Antifane di Berga166, che sembra essere la fonte. del romanzo di Antonio Diogene1 67 • Assieme a costoro, egli testimonia, a n1io giudizio, del genere di accoglienza che ebbero i resoconti piteani nel mondo greco. Nella visione deformata che i Greci avevano de11e regioni occidentali e settentrionali dell' Europa non era semplice inserire correttamente le nuove conoscenze recate da Pitea. Esse stimolarono invece la fantasia e l'im.maginarìo, ali.mentando il romanzo, i resoconti di viaggi fantastici, l'utopia. 11 parallelo istituì bile tra Eudosso, r auto.re ignoto deu·edizione perduta del fi~pt ecxup.ac:rtwv àxaucr~J-cX't'WV e Antonio Diogene, permette, a mio avviso, di determinare in un caso preciso l'entità delle trasformazioni subite dal testo pìteano a causa de li' utilizzo che ne venne fatto da 159
FGrHist., 19 F 2 = Apollon .. Hist. mir.• 24: l~uòo~oç o 'Poòwç 7ttpt "t'ljv Kd.":'tx.l]v dvat ~' 't'YJV -~(J.Épav OÙ ~ÀÉ:m:tv, 'tYJV Òè: vux.-ra opav. F. Jacoby. s. v. Eudoxos (1). RE, VL l. 1907. col. 930. FGrHisr., 79 F 2-3.
~Ovoc; YJatv, IC.O 161
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162 ' Eyw ~È v où 7tE7d~-rEux.a, E: t òi E'!tpoç Eùòoç
Aelìan., N.A., XVll 14). 163 FGrHisr., Il. C. p. 132: «sowohl F 2 wie F 3 zeigen beriihrung mit dem reiseroman; F 3 macht geradezu den eindruck, als ob es a.us der rahmeoerzahlung eines solchen. der von Pytheas beeinfluBt ist. nìcbt aus einem emsthaften Perìplus stamme>>. 16-l Phot., Bibl .• 166. 165 S. v. Helwta.ios, cit., coli. 2756. 166 Per il quale sì veda W. Schmid. s. v. Amiphanes, RE. l, 2, 1894. col L 2521-2522. ' 61 Cfr. G. Knaack, Antìphanes. cit.. pp. 135-138.
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parte di autori di a7tta'tCI quali Antifane di Berga. Il popolo nordico (celtico) diviene popolo occidentale (iberico); la mancanza di visibilità, determinata dal fenomeno naturale deli' aumento della durata del giorno e della notte col crescere della latitudine, diviene invece caratteristica fisica della popolazione. Benché nel frammento di Eudosso non compaia il nome della popolazione celtica alla quale è fatto riferimento, il parallelo stringente con il frammento trasmesso da Stefano di Bisanzio può far suppore che il nome dei rép[J-cx.pa comparisse anche nel testo originario di Eudosso ma che sia stato tralasciato dall'autore della citazione. In ogni caso, anche la sua mancanza in Eudosso non sarebbe, a mio avviso, affatto decisiva per detenniname l'assenza nella fonte utilizzata da Eudosso stesso. Come già osservato in diverse occasioni, i nomi originariamente presenti nel testo piteano venivano taciuti o sostituiti da nomi nuovi o derivanti da diverse e più antiche tradizioni. Lo stesso potrebbe aver fatto Eudosso. Perciò, benché non vi siano prove concretamente decisive, ritengo possibile che Pitea nominasse i rep(J-cxpa, probabilmente localizzandoli nelle regioni settentrionali dell'Europa poste oltre il Reno, ma a stretto contatto con la Celtica. Fra l'altro, alcuni altri nomi di popolazioni germaniche menzionate da Pitea sono forniti da Plinio e sono invece taciuti da Strabone, con l'eccezione degli 'fìa-rtcxtot, noti anche a Stefano di Bisanzio, e dei rou-rwve:ç. La possibile menzione dei rép[J-cx.pcx. da parte di Pitea e l'equivalenza con i Germani proposta dal Mazzarino si connettono ad un problema assai complesso, quello della prima menzione dell' etnonimo dei Germani. Si ritiene generalmente, infatti, che il nome dei Germani (e conseguentemente della Gennania) compaia per la prima volta con Cesarel68 . Si tende pertanto a scartare eventuali menzioni precedenti come quella desunta dai Fasti triumphales per il222 a.C.I69, ed anche a mettere in disparte la dubbia testimonianza di Ateneo sull'uso di tale etnonimo da parte di Posidonio1 70. Per quanto riguarda la questione piteana, il riferimento più interessante consiste nel passo di Plinio nel quale si menziona la scoperta dell'isola dell'ambra: Pytheas (credidit) Gutonibus, Germaniae genti, accoli aestuarium oceani Metuonidis nomine spatio stadiorum sex miliuml11. Passo dal quale risulta apparentemente che per Pitea i Gutones, sempre che questa sia la lezione giusta, sarebbero stati una popolazione gennanica. Se n nonché, l'espressione Germaniae genti parrebbe da attribuire a Plinio, che avrebbe in tal modo <
Cfr. L. Polverini, Ce.sare e il nome dei Germani, in La cultura in Cesare. a cura di D. Poli, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Macerata-Matelica, 30 aprile-4 maggio 1990. l, Roma. 1993, pp. 105-123; Id .• Germani in Italia pn·ma dei Cimbri?, in Germani in ltalìo., a cura di B. e P. Scardigli, Roma, 1994. pp. l-10. 169 /nscripriones ltaliae, XIII, l, Fasti consulares el triumphales, curavit A. Degrassi, Roma, 1947, p. 79. 170 Athen., IV, 39, 153e = FGrHist., 87 F 22 = F 73 Edelstein-Kidd = F 188 Theiler. 171 Plin .• N.H., XXXVII. 35. 172 H. J. Mette, P_vzheas. ci t.. p. l; seguito da T. S. Brown, 7imaeus, ci t.. p. 27. 173 N.H., IV. 94. 174 Pii~ .. N.H_, XXXVII. 36. l7S FGrHist., 184 F 14 = Plin., N.H., XXXVII, 61.
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Il viaggio di Pìtea sull'Oceano
Pitea; secondo Strabone, infatti, Timostene, Eratostene e i loro predecessori ignoravano completamente r Iberi a, la Celtica e ancor più la Germania e la Britannia, così come le regioni abitate dai Geti e dai Bastarni 176 • Leggendo tra le righe mi pare lecito supporre che gli autori compresi nella critica straboniana. Eratostene in particolare. non avessero una conoscenza personale di queste regioni, ma ne parlassero utilizzando altri testimoni; e poiché è evidente che Eratostene aveva ampiamente discusso della Celtica, dell'Iberia e della Britannia, sulla base delle informazioni piteane, non mi sembra del tutto fuori luogo supporre che egli potesse rinvenire nel testo di Pitea anche qualche informazione sulla Germania, ed in particolare un toponimo o un etnonimo come que11o dei fép~cxpcx che agli occhi di Strabone potesse richiamare quello dei Germani. Comunque vada risolta la questione, dal Reno Pitea proseguì il viaggio di ritorno costeggiando la Celtica e forse prendendo contatto con alcune popolazioni locali panicolannente interessate al commercio dello stagno dalla Britannia a Massalia, attraverso la via della Senna. Una di queste popolazioni, gli Ambiani, diede vita ad una precoce monetazione locale basata su modelli di statere tarantino databili tra il 340 e il 272 a.C. 117 • Fenomeno incomprensibile se non si ammette una mediazione massaliota 178 • Ciò non vuoi dire che si debba intendere Pitea alla base di tale monetazione. ma certamente all'origine dei primi contatti. Indubbiamente, il caso degli Ambiani è particolarmente interessante. anche perché è documentata attraverso il rinvenimento di monete da loro emesse la stretta relazione commerciale con le regioni meridionali della Britannia 179 . La possibilità che questa popolazione vada identificata con i Kcxpcx~~UY..CXL menzionati da Ecateo di Abdera in quanto insediati lungo la costa prospicente risola Elissoia 1so, in un contesto desunto dal resoconto piteano, e che pertanto Pitea avesse ricordato questa popolazione. appare particolarmente intrigante proprio alla luce degli elementi forniti dalla docun1entazione numismatica. F fil B, % Berger = Strabo. II. l, 41. C 93. J.-B. Colben de Beaulieu, Traité de numismatique ctltique, l, cit., p. 176: S. Scheers, Traité de numismatiqut celtique. Il. La Gau/e Be/gique, Paris, 1977, p. 28, che data le emissioni degli Ambiani a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. (p. 37). 178 Improbabile è infatti l'ipotesi di contatti diretti con Taranto. per via marittima (la via dello stagno). sostenuta da J.-8. Colhen de Beaulieu, Traité de numismatique celtique, l. cit.. p. 177: da S. Scheers, Tmité de numismalique celtique. IL cit., pp. 34-37; da Y. Roman. Remarques à propos du commerce de l'étain. cit., pp. 267-270. J.-P. More l (Les échanges entre la Grande-Grèce t t !a Guu/e llu VW uu ftr siècle avant 1.-C.. in LiJ Magna Grecia e il lontano Occidente, cit., pp. 261-263: Id., us rapports entre la Si cile et la Gaule jusqu 'au VPmt sièc/(' m•. J.-C., in Alli del/ 'VII/ congresso interna:iona/e di swdi sulla Sicilia antica. -«Kokalos», XXXIX-XL, t. l. I. 1993-1994. p. 337) ritiene che le imitazioni siano contemporanee o di poco successive (_IV-III secolo a.C.) agli originali tarantini e dovute a contatti diretti con Taranto. ma lungo le vie interne alla Celtica. M. Stoop. Tarantines in the TinTrat.le?, «Études et Travaux,., XV. 1990, pp. 385-389, data invece al 150 a.C. ca. le emissioni degli Ambiani e, senza presupporre contatti diretti. ritiene che i prototipi siano giunti come pagamento per lo stagno che dalla Britannia arrivava al Mediterraneo lungo vie che attraversavano anche il territorio degli Ambiani. Cfr. anche C. Rolley, Contacts, rf!nc:ontres et influmces: Grande-Grèce et monde ce/tique, in lA Magno Grecia e il lontano Occidente, cil .• pp. 374-376. 17 9M. Clavei-Léveque, Marsei/le grecque, cit, pp. 91-92. Cfr. anche Y. Roman, Remarql4es à pmpos du commen:e de l'étain en Gaule, «Caesarodunum~~. XII, l, 1977, pp. 267-270, che collega la diffusione delle monete degli Ambiani al commercio dello stagno tra l'isola e il continenle; da notare che secondo l'autore ((Il est désorrnais certain que le blocus des Colonnes d'Hercule opéré par les Carthaginois ne fut pas aussi efficace que les Phéniciens ont voulu le fairc croire)> (p. 267). 180 FGrHist., 264 F 11 =St. Byz .. Ethr1 .• s.vv. 'EÀa;ow. e Kapctf.LpuKcu. 176 177
Le ultime mete
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Sempre a proposito di monete, nel 1959 venne rinvenuto, sulla costa nord del Finistère armoricano, nella spiaggia di Lampaul-Ploudalmézeau, a nord-ovest di Brest, uno statere cirenaica in oro, datato al periodo 322-313 a.CISI. Lo stato del rinvenimento consentì di stabilire che la moneta, ricoperta di incrostazioni formate dalle alghe, era stata gettata sulla spiaggia durante una tempesta marina, probabilmente nel mese di febbraio, dopo essere rimasta per secoli sul fondale 182 • Alla pari della monetazione degli Ambiani. il rinvenimento di questa moneta conferma l'esistenza e lo spessore dei contatti tra Massalia ed il mondo celtico. e la funzione di mediazione tra quest'ultimo ed il mondo mediterraneo che questa polis sembra svolgere. E a questa funzione ed alla necessità di mantenere un sicuro controllo, anche se apparentemente solo terminale, sulle vie interne della Celtica, che si riallacciano anche mo1ti aspetti della spedizione di Pitea. Lungo la costa celtica settentrionale Pitea ebbe poi modo di osservare l'esistenza di isole promontorio simili a Ictis 183, e di compiervi eventualmente ulteriori osservazioni di carattere astronomico che permisero ad Ipparco di collocare la regione sullo stesso parallelo del Boristene, 3.800 stadi a nord di Massali a, con giorno di 16 h, ad una latitudine di 48° 30, ca. Qui, durante le notti estive, il cielo era rischiarato dalla luce laterale del sole che descriveva un ampio cerchio, da ponente a levante; mentre al solstizio invernale il sole non si alzava piùdil8°. La rotta successiva seguita da Pitea fu poi caratterizzata probabilmente dalla traversata in alto mare, al largo del golfo di Guascogna, mentre ali' andata, quando doveva essere più pressante la ricerca di una rotta sicura e di informazioni sul prosieguo del viaggio, si può supporre che egli avesse seguito la costa celtica, ove, in porti quali Korbilon, poteva documentarsi direttamente presso marinai e mercanti sui problemi e le difficoltà da affrontare, ed il modo in cui superarli. Infine, il ritorno a Cadice; infatti, solo al ritorno dal viaggio egJi poteva realmente affermare di avere percorso tutta la costa oceanica dell'Europa, da Cadice al Tanais, avendo avuto il viaggio di andata un andamento alquanto diverso.
l Hl J. Bousquet, Un statère d'or de Cyrène sur la cc)te "ord du Finistère, «CRAh>, I 960, pp. 317323. Da segnalare che secondo D. Nash, Syracusan lnfluence upon the EarlieM Gold Coinage of Westenz Gaul, in Mélange.1· Colbert de Beaulieu, Pari.s, 1987, pp. 657-663. le più antiche monete armoricane, in oro. imiterebbero dei modelli siracusani databili al 317~300 a.C., e che, alla pari di quelle degli Ambiani, queste imitazioni sarebbero legate all'utilizzo di mercenari d'oltralpe da pane delle potenze mediterranee; si trauerebbe cioè dell'imitazione di monete riportate in patria dai mercenari come compenso per i loro servizi. JH 2 Secondo J. Bousquet. Un ,,·tatère d'or; cit. pp. 317-323. la presenza di uno statere cirenaica in quella regione sarebbe una traccia importante della sosta effettuata da Pitea nella penisola armoricana. m Diod., V, 22, 3.
CONCLUSIONI
Molte delle questioni relative al viaggio di Pitea ed alle mete da lui raggiunte rimangono sostanzialmente insolubili, principalmente a causa della conoscenza indiretta ed estremamente frammentaria dei suoi scritti, dei quali sopravvivono una ventina di brevi testimonianze per di più trasmesse da autori che non consultarono direttamente il fle:pt 'Oxe:cxvou o la flEptoooç rijç. Per una singolare ironia della sorte, infatti, sono andate perdute anche le opere di quegli studiosi antichi che di questi scritti ebbero una visione diretta, fra i quali sono da annoverare in particolare Timeo, Eratostene, Ipparco, Posidonio e forse anche Poli bio_ Il principale testimone indiretto, Strabone, appare poi animato da forti pregiudizi le cui ragioni ultime sono probabilmente di natura personale e risiedono nella necessità di screditare un rivale e un possibile modello ma appaiono in parte giustificabili alla luce del carattere straordinario de11'impresa piteana, che delineò un quadro del tutto nuovo delle regioni nord-occidentali deH'ecumene, prima sostanzialmente ignote, e del confluire di molti elementi della sua narrazione in opere di carattere fantastico, romanzi e raccolte di meraviglie. Al discredito si aggiunge poi l'incomprensione da parte di molti autori greci e latini, determinata dal fatto che il viaggio di Pitea non ebbe seguito e dallo iato cronologico che si venne così a creare rispetto alle successive conoscenze delle regioni da lui esplorate, acquisite molto più tardi in seguito all'espansione dell'impero romano. Scomparse le più dirette testimonianze, lo studioso moderno deve allargare la propria indagine all'esame di influenze sottili, di più labili indizi che talvolta sembrano attestare la ricezione indiretta di informazioni di origine piteana in alcune opere nelle quali per altro in nome di Pitea non è mai espresso_ Allo stesso tempo, l'inserimento dei dati piteani all'interno di una cornice geografica a volte profondamente diversa da quella originaria rende ancora più difficoltoso il processo di ricostruzione dell'itinerario del Massaliota e conduce alla formulazione di ipotesi varie e contrapposte. A discapito di una ricostruzione in buona parte ipotetica ed incerta, alcuni aspetti specifici delle sue indagini emergono con particolare nitidezza dall'esame delle testimonianze. Il viaggio di Pitea costituì la verifica autoptica di un sistema teorico che aveva trovato in anni recenti la sua espressione più coerente nella teoria della sfera elaborata da Eudosso di Cnido ma le cui origini risalivano quanto meno a
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
Talete ed Anassimandro. confondendosi con quelle della geometria greca. e che aveva nello gnomone il proprio interprete. ovvero lo stumento che rendeva intellegibile la relazione tra cielo e terra. Senza questo presupposto sarebbe letteralmente inconcepibile lo sforzo compiuto nel tentativo di raccordare cielo e terra attraverso il preciso calcolo della latitudine dì numerose località e la raccolta sistematica di osservazioni astronomiche ed itinerarie che consentirono a Pitea di abbozzare una schematica griglia di latitudini e forse anche una linea meridiana di riferimento relativa al settore nord-occidentale dell'ecumene. Teoria ed empiria concorrono anche alla spìegazione del fenomeno delle maree. La scoperta delresistenza di una relazione tra queste. il moto e le fasi lunari e, probabilmente. r interazionc tra la luna e il sole, è frutto indubbiamente di attente e ripetute osservazioni personali dei fenomeni che si verificavano nell'oceano da lui esplorato. Essa si regge però dal punto di vista teorico sull' ipotesi astronontica che il cosmo sia costituito da sfere concentriche con al centro la sfera terrestre. cui seguono nell'ordine, la sfera lunare. quella solare. le cinque sfere dei pianeti ed infine la sfera delle stelle fisse. e sulla equivalente formulazione fisica in base alla quale i quattro elementi costitutivi delruniverso apparirebbero anch 'essi sotto forma di sfere concentriche. Dall ' intuizione del nesso tra astronomia e fisica nasce forse l· astrazione di una teoria che riguarda il globo terrestre visto nelle sue tre componenti: la sfera dell'elemento terra, la sfera dell'acqua che r avviluppa ~ la sfera dell'aria che contiene le prime due; certamente't ne deri va l'abbozzo di una più ampia visione dell'oceano, inteso come la totalità dei mari che circondano e delimitano la terra, che costituiva il nucleo centrale dell'opera, reso esplicito fin dal titolo. e di cui si riscontrano tracce nelle descrizioni delle regioni vicine a Thule. in particolare nel fenomeno del cruyxpt(J.CX. il miscuglio degli elementi (terra, acqua e aria) che costituiva il Òt
Conclusioni
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Preceduto solo dal mito, il viaggio di Pitea dischiuse alla conoscenza le terre occidentali e settentrionali dell'ecumene lungo il percorso oceanico che andava da Cadice al Tanais, abilmente giustificato nella rotta di ritorno, dal Tanais a Cadice, con un rovesciamento degli estremi che conclude ciclicamente il suo percorso. Parafrasando un giudizio illuminante, originariamente riferito ad Odisseo ma che si attaglia perfettamente a quanto riconducibile a Pitea, si può affermare che le avventure di Pitea «danno a ciascun luogo il suo nome; ed il loro risultato è il controllo razionale dello spazio»'· Non a caso, il viaggio di Pitea cancella i confini indistinti delle Periegesi, centrate sul Mediterraneo, attraverso una definizione dei luoghi che culmina nella remota Thule, la più straordinaria delle scoperte piteane, definita da Strabone come la più settentrionale delle terre che portino un nome2; mentre Plinio ne fa la più remota di tutte le terre di cui si serbi il ricordo3. Accanto a questi aspetti astronomici e geografici, le testimonianze, pur nella loro esiguità, rivelano l'esistenza di una molteplicità di interessi e di intenti alla base dell'inchiesta piteana e l'applicazione di un ben preciso metodo d'indagine del quale, accanto al computo delle distanze, al calcolo delle latitudini, al rilevamento dei connotati fisici e topograftci, dei fenomeni astronomici e delle risorse del territorio, erano parte integrante le osservazioni etnografiche. In particolare, si deve sottolineare l'attenzione rivolta agli usi e ai costumi delle popolazioni incontrate; una cura etnografica che raramente è stata colta dalla critica moderna, tesa principalmente a ricercame le mete raggiunte e a indagarne l'attitudine astronomica. E tuttavia, tramite suo confluirono nel mondo greco nuove conoscenze sulle popolazioni celtiche e nordiche, e nuovi elementi si aggiunsero al patrimonio dell'immaginario. Le informazioni sui caratteri delle popolazioni incontrate concorrono anch'esse alla dimostrazione dell'esistenza di un limite settentrionale dell'abitabilità ed ancor più all'illustrazione del contesto economico delle terre dalle quali provenivano lo stagno e l'ambra, e aH' individuazione dei meccanismi e dei vettori dello scambio di questi preziosi prodotti. Esse, in tal modo, mettono in luce gli interessi fondamentali alla base del viaggio di Pitea. Non può essere infatti un caso che solo in queste precise circostanze si sia conservata una narrazione più estesa e puntuale. Evidentemente, il resoconto piteano presentava degli excursus ampi e dettagliati in relazione a questioni che interessavano più da vicino il Massaliota. Interessi «scientifici>>, dunque, e interessi economici, dietro i quali si intravvede il potente emporion di Massalia. avamposto occidentale della grecità, i cui commercianti erano da secoli in contatto col mondo celtico dell'entroterra. Ed è a Massalia che vanno quindi ricercati non solo i moventi ma anche i mezzi che consentirono a Pitea di progettare e portare a termine l'impresa. Inoltre, i contatti sta bi li ti dalla poiis con le popolazioni dell'entroterra e la sua propensione atlantica dovevano aver fatto affluire un cospicuo novero di dati sulle regioni 1 M. Horkheimer. T. W. Adorno. Dialektik der Aufkliirung. Philosophische Fragmcnte, Amsterdam, 19472. trad. it.. Dialettica dell'illuminismo. Torino. 1966. p. 54. Sull'importanza e il ruolo della denominazione dei luoghi in campo geografico si veda L. Marcone. H. Théry. A. Vallières, La géographie, ça .\·ert d'abord à nommer le.\· !ietu·. «L'espace géographique>>, XIX-XX. 1990- I 991. p. S. 2 Strabo. IV, 5. 5, C 201 = F Se Bianchetti = F 6g Mette: TClU"t1JV (.çcil. t:JouÀ:r,vJ yàp -rwv òvoi.LCl~orc-ivwv àpx't'txw't'a:'t'ijV ·n6Éa'lw; cfr. anche Strabo, II, 5, 8. C 114 = F Se Bianchetti = F 6c Mette.
'N. H.• IV, 104 = F 8f Bianchetti= F llb Mette: ultima omnium quae memorantur r,..,·[e. Cfr. H. J. Mette. P;rtheas, cit., p. III.
Il viaggio di Pitea sull'Oceano
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e le popolazioni occidentali, consentendo a Pitea di programmare la propria avventura e di muoversi in tutta sicurezza nel corso di almeno parte di essa, contando su informatori, intermediari e contatti precedentemente avviati. Si spiega in tal modo anche il motivo per il quale l'analisi etnografica piteana, da quanto è dato di conoscere attraverso gli scarsi frammenti, si distingua da quella di altri scrittori e viaggiatori a lui contemporanei, i quali miravano, secondo vecchi e consueti stereo tipi che caratterizzarono l'etnografia antica 4 , ad attirare l'attenzione sul carattere prevalentemente od esclusivamente stupefacente delle terre lontane e sulla diversità dei popoli che le abitavano. Pur essendo egli giunto ai confini dell'ecumene, agli stessi limiti del cosmo, in terre e mari ignoti che solo dopo il suo viaggio entrarono a pieno titolo nella geografia ecumenica, divenendo possibile fissarne su una carta i contorni, la sua ricerca appare scevra delle considerazioni favolistiche e delle attenzioni ed aspirazioni al meraviglioso che animarono invece molti degli autori che in seguito ne utilizzarono i resoconti. Con ciò, non si vuole affatto affermare una sua modernità; l'esperienza di Pitea non appare decontestualizzata, bensì concretamente inserita nella realtà della grecità occidentale, da secoli a stretto contatto con le terre estreme ed esterne, e parte altresì del più ampio contesto culturale maturato nella seconda metà del IV secolo a.C. l suoi interessi etnografici rientravano semplicemente in un metodo d'indagine ben preciso e mirato a scopi concreti, di carattere economico oltre che scientifico, e rispondevano ad esigenze dell' emporion massaliota che non potevano certamente essere soddisfatte da un resoconto che evidenziasse, delle popolazioni incontrate, i caratteri più insoliti o semplicemente diversi rispetto al mondo greco, da descrizioni e allusioni fantastiche o da riecheggiamenti mitici. Se si volevano individuare e contattare le popolazioni che si occupavano della produzione, della lavorazione, dello scambio, del trasporto dello stagno e dell'ambra, occorreva attenersi al dato concreto e reale. L'attenzione si sposta pertanto verso i contatti e le analogie col proprio mondo o sulle condizioni e cause ambientali che determinano modi di vita diversi. Si deve quindi parlare di interpretazione, necessaria alla comprensione dell'estraneo, sia pure attraverso le categorie che dell'interprete erano proprie. Sembra in sostanza delinearsi, attraverso l'opera di Pitea, la possibilità per il mondo classico di affrontare il rapporto con l' «altro» in base a nuovi presupposti. Se ciò non si verificò per lungo tempo, fu perché nessuno fu in grado di raccogliere, organizzare e sviluppare ulteriormente la ricerca etnografica piteana, come invece fece Eratostene per gli aspetti più propriamente geografici e cartografici. Nessuno poi, per secoli, raggiunse Thule o le regioni più settentrionali visitate da Pitea, e le sue descrizioni di queste terre e dei popoli che vi vivevano furono riassorbite da quelrimmaginario sul quale l'esploratore massa1iota aveva tentato di gettare la luce della ratio. Con le sue opere, Pitea sembra porsi ambiguamente nel segno della tradizione e dell'innovazione. Da un lato, il llept 'Uxeavou testimonia fin dal titolo la consapevolezza dell'autore di avere percorso in tutti i sensi un cammino straordinario e innovativo e la volontà di prendere le distanze dalle opere contemporanee, gettando le basi della speculazione futura che maturerà nello scritto di Posidonio. Dall'altro, la lleptoooç rijç si mantiene nel solco della tradizione,
4
Si veda C. Jacob, Céographie et ethnographie, cit.. in part. pp. 170-171.
Conclusioni
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tra le omonime opere di Eudosso e Dicearco, che non a caso rappresentano i termini estremi della contestualizzazione cronologica. Si può forse presumere che la llEptOOO~ rijç rappresenti uno stadio del percorso cognitivo piteano precedente la rottura avviata col ne:pt 'Uxe:cxvou in seguito alle scoperte e ai risultati conseguiti nel corso del viaggio. Se così fosse, sarebbe resa esplicita nella scelta di questo secondo titolo la volontà di andare oltre le prospettive sottese alla lle:ptoòo~ ri)~. allargando lo sguardo e il discorso alla natura del cosmo. Le distanze, le indicazioni di percorso, l'elenco dei luoghi, derivati dalle antiche pratiche del periplo e della periegesi, si completano in effetti ne11a griglia dei riferimenti astronomici, i quali a loro volta esprimono l'esistenza di una relazione tra macro e microcosmo e contrassegnano in tal modo lo spazio dell'agire umano, rendendo lo copia fedele dello spazio celeste. Al disegno dei contorni della terra fa seguito lo studio dell'oceano che la delimita fungendo da elemento intermedio rispetto alla sfera celeste, per giungere alla formulazione di una visione che risente per molti versi della coeva temperie filosofica e che traspone la ricerca di Pitea sul piano delle relazioni tra gli elementi fondamentali della realtà, ovvero tra le componenti sferiche del cosmo. In questo ambito, l'indagine sulla natura dell'oceano appare allora come un bagno nelle acque ancestrali del mondo, verso il lle:pt ucre:w~ di Anassimandro, un tentativo di articolazione e comprensione globale non più limitato al solo contorno terrestre. Lo spazio è assunto nella sua totalità e il viaggio conduce ai confini stessi del cosmo, dove il limite astronomico e geografico dello spazio abitabile, individuato a Thule, coincide con quello fisico e filosofico tra la sfera terrestre e quella lunare, tra il nostro mondo e l'Aldilà.
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SOMMARIO
Intorno all'Oceano (Franco Farinelli) ............................................... .
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. . . Rtngraztamentt .................................................................................. .
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Il
Abbreviazioni ................................................................................... .
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I-
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Pitea di Massalia ...................................................................... . 1.1 - Il problema della datazione ....................................................... .. 1.2 - Le ipotesi recenti ........................................................................ . 1.3- L'eccezionalità del viaggio piteano ............................................ .
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Da Massalia a Cadice ............................................................... . 11.1- Lo gnomone e la latitudine di Massalia .................................... .. n.2 - L'itinerario iniziale .................................................................... .
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ITI - Cadi ce
...................................................................................... .
Il1.1 - Le indagini piteane a Cadice e la teoria delle maree ............... . III.2 - La questione del presunto «blocco» cartaginese delle Colonne d'Eracle .................................................................................... .
IV- Da Cadice a Oùçtaav.a: .......................................................... .. IY.l - Il promontorio Sacro e la navigazione oceanica ...................... .. IY.2- Kop~tÀwv e Où~tcra1-1a .......................................................... . IV.3- Le Cassiteridi e l'isola abitata dalle donne namnete ................ .
V-
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Le Isole Britanniche ................................................................. .. V. l - La forma dell'isola .................................................................... . V.2 - La sosta al Belerion .................................................................. .. V.3 - Le altre regioni e le popolazioni dell'isola ................................ . V.4- La questione dell'itinerario piteano .......................................... ..
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Il viaggio di Pitea sull'Oceano
VI- Th.ule ... lt_ .... , ................... ~ ~ ............
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VI. l - Thule e il sole di mezzanotte ................................................... . Vl.2- Il limite dell'abitabilità ........................................................... .. VI.3- Il vincolo degli elementi ........................................................... . VI.4- Il mito di Thule ........................................................................ .
VII- 'Le ultime mete ~ ...... ~lt
..........................................
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VII. l -L'isola dell'ambra .................................................................. . VII.2 ·La localizzazione dell'isola den·ambra ................................. . VII.3 -L'ultima meta e il ritorno ...................................................... ..
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Conclusioni ....................................................................................... .
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Riferimenti bibliografici ................................................................... .
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Nella seconda metà del IV sec-olo a.C .• Pitea di Massalia fu autore di un viaggio suWoceano che è forse la più straordinaria delle esplorazioni geografiche dell'antichità; talmente eccezionale da suscitare reazioni anche di diffidenza e incredulità presso gli studiosi antichi. Matematico e astronomo di indubbie capacità, Pitea seppe rivelarsi brillante geografo ed etnografo nel corso dell'esplorazione che lo condusse fino agli spazi estremi dell'ecumene e alla remota terra dì Thule. Qui, ai confini del cosmo, inteso come ordine umano delle cose, l'oceano sì rivelò a Pìtea nella sua natura di elemento primordiale e il viaggio si arricchì di una nuova dimensione, trasformandosi in un percorso filosofico di conoscenza verso le origini stesse del sapere occidentale.
Stefano Magnani è ricercatorè di Storia romana presso l'Università degli Studi di Udine. Si interessa prevalentemente di geografia storica e, in particolare, di storia delle esplorazioni e delle conoscenze geografiche.
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