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Fisiologia e nutrizione II° livello
Prefazione Condurre a termine una competizione atletica sfruttando al 100% il potenziale che il nostro organismo ci mette a disposizione presuppone, senza alcun dubbio, la conoscenza di quei complessi ma affascinanti processi fisiologici grazie ai quali siamo in grado di poter programmare un dato evento sportivo. Scopo di questa seconda parte del corso, riservata ad istruttori di primo livello e diplomati I.S.E.F., è quella di poter fornire tutte le indicazioni necessarie al fine consentire la stesura di programmi d’allenamento validi e supportati da profonde conoscenze di fisiologia dello sport. Studi continui ed ulteriore approfondimento degli argomenti che tratteremo in questa sede ci avvicineranno a quell’obiettivo così importante per noi che amiamo lo sport e la competizione agonistica; solo l’aggiornamento e l’applicazione pratica possono trasformarci da bravi tecnici a preparatori atletici. Questa qualifica, che dovrebbe risultare appannaggio esclusivo di tecnici competentissimi dopo anni di applicazione e aggiornamento, viene troppo spesso usata o per veri e propri “incapaci” che popolano le pagine dei nostri giornali e fanno dei nostri atleti delle mediocri comparse nelle gare internazionali o per quei “preparatori atletici” i cui atleti conseguono risultati esclusivamente grazie alle conoscenze farmacologiche di questi autentici incompetenti. L a Natural tural Bod Bodybu ybuiilding Fede Federation in que questo sto corso di di 2° li l ivel vello non ha la pretesa di fare di voi dei preparatori atletici ma di avvicinarvi quanto più possibile a quegli studi teorico-pratici attraverso i quali il raggiungimento del nostro e vostro obiettivo risulterà sempre più vicino.
Prefazione Condurre a termine una competizione atletica sfruttando al 100% il potenziale che il nostro organismo ci mette a disposizione presuppone, senza alcun dubbio, la conoscenza di quei complessi ma affascinanti processi fisiologici grazie ai quali siamo in grado di poter programmare un dato evento sportivo. Scopo di questa seconda parte del corso, riservata ad istruttori di primo livello e diplomati I.S.E.F., è quella di poter fornire tutte le indicazioni necessarie al fine consentire la stesura di programmi d’allenamento validi e supportati da profonde conoscenze di fisiologia dello sport. Studi continui ed ulteriore approfondimento degli argomenti che tratteremo in questa sede ci avvicineranno a quell’obiettivo così importante per noi che amiamo lo sport e la competizione agonistica; solo l’aggiornamento e l’applicazione pratica possono trasformarci da bravi tecnici a preparatori atletici. Questa qualifica, che dovrebbe risultare appannaggio esclusivo di tecnici competentissimi dopo anni di applicazione e aggiornamento, viene troppo spesso usata o per veri e propri “incapaci” che popolano le pagine dei nostri giornali e fanno dei nostri atleti delle mediocri comparse nelle gare internazionali o per quei “preparatori atletici” i cui atleti conseguono risultati esclusivamente grazie alle conoscenze farmacologiche di questi autentici incompetenti. L a Natural tural Bod Bodybu ybuiilding Fede Federation in que questo sto corso di di 2° li l ivel vello non ha la pretesa di fare di voi dei preparatori atletici ma di avvicinarvi quanto più possibile a quegli studi teorico-pratici attraverso i quali il raggiungimento del nostro e vostro obiettivo risulterà sempre più vicino.
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Processi aerobici e anaerobici durante l’attività fisica Entrambi i sistemi forniscono energia, ma le modalità grazie alle quali avviene l’interconnessione reciproca dipende da alcune componenti le più importanti delle quali sono rappresentate da: • • •
tipo di esercizi eseguiti e tempo di esecuzione degli stessi livello atletico e grado di preparazione regime alimentare
Naturalmente, ogni disciplina sportiva presenta delle caratteristiche diverse e in ognuna la rigenerazione dell’adenosintrifosfato avviene attraverso vie metaboliche differenti. I par parametri soprael sopraelencati encati rap rapprese presenta ntano no sicure sicure vie vie di di identificazione rigenerativa dell’A.T.P. attraverso i substrati che già conosciamo, ossia il sistema del fosfageno (CP), la glicolisi anaerobica e la lipolisi aerobica.
Tipologia dell’esercizio: potenza e velocità Senza dubbio questa è la categoria di classificazione a noi più vicina in quanto racchiude tutte quelle discipline sportive che fanno della forza e velocità fattori determinanti nella vittoria; siamo perfettamente a conoscenza del fatto che solo l’aumento della forza consente all’atleta natural di poter incrementare le dimensioni corporee, da ciò deriva l’importanza che riveste lo studio dei processi di rigenerazione anaerobico alattacida ed anaerobico lattacida.
Sistema del fosfageno: fase anaerobico alattacida
figura 1.1
Curiose sono le analogie che legano l’ATP e la CP; entrambe le molecole sono costituite da una matrice accoppiata a dei gruppi fosfato (uno nel caso del creatinfosfato) che liberandosi provocano rilascio di energia. L a matrice tri ce del della C.P C. P. è rapp rapprese resenta ntata ta dal dalla cre creatina tina la qua quale risulta risulta legata ad un gruppo fosfato tramite un legame ad alta energia; l’enzima creatinachinasi promuove la scissione dei due composti con conseguente formazione di creatina (C) fosfato inorganico (Pi) cui segue quella liberazione di energia responsabile della resintesi biochimica dell’ADP in ATP.
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Altrettanto interessante è lo stretto legame che unisce le sorti di entrambi, in quanto l’unica via di rigenerazione della CP da C+Pi avviene grazie all’energia fornita dall’idrolisi dell’ATP in ADP, fase che si verifica durante il restauro dall’esercizio, tappa importantissima di riposo e recupero durante le quale può avvenire la ricarica dell’ATP attraverso l’energia ceduta dalle molecole nutritizie e, di conseguenza, la rigenerazione della CP grazie all’ATP stesso. Il restauro verrà più ampiamente trattato in seguito, vista l’enorme importanza che il recupero riveste nella pratica sportiva in genere, ma nel bodybuilding natural in particolare. All’interno del muscolo scheletrico i due composti non sono contenuti in egual misura; in effetti, il quantitativo di CP è di gran lunga superiore a quello dell’ATP. Il motivo è facilmente intuibile, visto che la funzione unica del creatinfosfato è quella di fornire energia per la resintesi dell’adenosintrifosfato. Il quantitativo di fosfageno (CP+ATP) contenuto in totale nel nostro corpo all’interno della muscolatura è nell’ordine dei 570-690 mmol, il che equivale approssimativamente ad un valore compreso tra 5.7 e 6.9 Kcal di energia disponibile; tradotto in termini di resa atletica tutto ciò si riduce a circa 10 secondi di sforzo massimale. Da tutto ciò è facile dedurre che il sistema del fosfageno rappresenta la fonte di ATP più rapidamente utilizzabile dal muscolo sottoposto a lavoro. Tale velocità scaturisce anche dai seguenti fattori: •
• •
la via metabolica del CP non presenta alcuna rete di reazioni chimiche sul tipo della glicolisi o del ciclo di Krebs non è vincolata al trasporto di ossigeno sia l’ATP che la CP sono immagazzinati direttamente all’interno del meccanismo contrattile del muscolo.
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Glicolisi: fase anaerobico lattacida
figura 1.2
Esiste una differente applicazione nei riguardi di questa importantissima via metabolica in grado di fornire energia dalla dissociazione del glucosio. Nella precedente trattazione prendemmo in considerazione l’aspetto prevalentemente biologico e, in effetti, la demolizione di una molecola di glucosio porta ad un guadagno netto di due moli di ATP. Nell’applicazione fisiologico-sportiva viene preso in considerazione un aspetto di capillare importanza ossia la correlazione esistente tra consumo di glicogeno e produzione di acido lattico, parametri strettamente correlati in grado di influenzare profondamente la prestazione di un atleta. Secondo recenti ricerche l’abbassamento del Ph muscolare indotto dall’aumento di acido lattico provocherebbe in particolare, oltre ai noti problemi di scorrimento miofibrillare e formazione dei ponti crociati miosinici, l’inibizione di un enzima che sarebbe risultato particolarmente importante ossia il fosfofruttochinasi, generalmente indicato con la sigla PFK e responsabile, a quanto pare, della velocità delle reazioni biochimiche in gioco.
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Il parametro preso sovente in considerazione dalla fisiologia sportiva è rappresentato dal quantitativo di ATP risintetizzato attraverso la demolizione di una mole dello stesso, corrispondente esattamente a 180 grammi di glicogeno. In particolare dalla demolizione di una mole di ATP avviene la sintesi di 3 moli dello stesso con un guadagno netto di 2 moli; la realtà risulta completamente differente in un organismo sottoposto a sforzo fisico nel quale la produzione di adenosintrifosfato è inferiore alle 3 moli di ATP indicate precedentemente. Il motivo è da ricercarsi nel fatto che durante l’esercizio fisico esaustivo il sangue ma soprattutto i muscoli possono tollerare non più di 60-70 grammi di acido lattico prima che si instauri la tanto indesiderata fatica muscolare; a motivo di ciò se tutti i 180 grammi di glicogeno (corrispondenti alle 3 moli di ATP sintetizzate) venissero demoliti anaerobicamente durante l’esercizio parallelamente avverrebbe la produzione di 180 grammi di acido lattico con le indesiderate conseguenza che una situazione del genere comporterebbe ai fini della performance finale o, biologicamente, alla ipotetica fuga di un animale protratta nel tempo (la natura non elabora i propri meccanismi biologici in riferimento ad eventi sportivi). Di conseguenza soltanto un quantitativo nell’ordine di 1-1,2 moli di ATP può essere prodotto attraverso la glicolisi anaerobica durante l’esercizio prolungato ed intenso prima che si verifichino eccessiva comparsa di acido lattico e susseguente fatica muscolare.
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Ti p o l o g i e m m et ab o l i c h e a aer o b i c h e L’importante approfondimento verterà su una suddivisione delle fasi costituenti questo potente produttore di ATP, in precedenza riassunto esclusivamente come “Ciclo di Krebs”. In realtà sono 3 le tipologie metaboliche mitocondriali ed esattamente: • • •
glicolisi aerobica (non avviene nei mitocondri); ciclo di Krebs; sistema di trasporto degli elettroni.
Sembrerebbe una strana contraddizione parlare di glicolisi in questo contesto quando finora abbiamo descritto con questo termine un importantissimo ciclo anaerobico; in realtà l’unica differenza che caratterizza i due è rappresentata dall’ossigeno, la cui presenza induce, rispettivamente, una resa di ben 39 moli di ATP a seguito della demolizione di 180 gr. di glicogeno (1 mole di ATP) nonché la totale soppressione dell’acido lattico prodotto in assenza dell’ossigeno stesso. In definitiva è possibile riassumere il tutto in questi termini: In presenza di ossigeno avviene la completa demolizione del glicogeno con produzione di anidride carbonica (CO 2) acqua (H2O) e susseguente liberazione di energia capace di risintetizzare 39 moli di ATP.
Glicolisi aerobica Abbiamo in precedenza precisato che la presenza di ossigeno inibisce la produzione di acido lattico non compromettendo, peraltro, la risintesi di ATP non specificando come ciò avviene; in realtà l’ossigeno è responsabile di un “dirottamento” dell’acido piruvico (precursore dell’acido lattico) verso il sistema aerobico. Complessivamente, durante la glicolisi aerobica, vengono rigenerate 3 moli di ATP attraverso la demolizione di una mole di glicogeno (generante 2 unità di acido piruvico) e inoltre la riduzione di 2 NAD in NADH indurrà, grazie a questi ultimi, una ulteriore resa di altre 6 molecole di ATP (3 per ogni NADH) una volta giunti nel sistema di trasporto degli elettroni.
figura 1.3
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Ciclo di Krebs L’acido piruvico scaturito dalla glicolisi aerobica fa il suo ingresso nel mitocondrio, all’interno del quale prosegue la demolizione dello stesso attraverso una lunga serie di complesse reazioni chimiche grazie alle quali avviene: • •
•
la liberazione di anidride carbonica; l’ossidazione dell’acido piruvico con produzione di NADH e FADH da inviare alla catena respiratoria; la produzione di 2 moli di ATP.
L’NADH (nicotinamide adenin dinucleotide in forma ridotta) e la FADH (flavin adenin dinucleotide in forma ridotta) ridotte dall’acido piruvico saranno potentissime produttrici di ATP nel sistema di trasporto degli elettroni.
figura 1.4
Sistema di trasporto degli elettroni o catena respiratoria In questa fase avviene la combinazione degli elettroni scaturiti dalle reazioni del Ciclo di Krebs con l’ossigeno proveniente dalla respirazione e conseguente produzione di acqua. Schematicamente avviene una immissione degli elettroni e degli ioni idrogeno nella catena respiratoria tramite la NADH e la FADH; il trasporto degli stessi fino a raggiungere l’ossigeno (che verrà ridotto ad acqua) avviene grazie all’ausilio apportato da cosiddetti “trasportatori di elettroni”,
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rappresentati generalmente da co-enzimi che incorporano vitamine (B1 o B2 ad es.) o proteine dette citocromi. La liberazione di energia avviene esattamente in concomitanza al passaggio degli elettroni nella catena, con una resa di 34 moli di ATP.
figura 1.5
Riassumendo, delle 39 moli di ATP (dal glicogeno) generate: •
3 provengono dalla glicolisi aerobica;
•
2 provengono dal Ciclo di Krebs;
•
34 provengono dal sistema di trasporto degli elettroni.
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Met ab o l i s m i e en er g et i c i a a r r i p o s o e e n n el l o s p o r t Il substrato energetico fonte di ATP in condizioni di riposo protratto nel tempo è rappresentato da una “miscela” avente le seguenti caratteristiche e proporzioni: 2 /3 lipidi 1 /3 glicidi Il quadro appare completamente modificato in una situazione di stress organico concomitante una prestazione atletica. Una analisi quanto più precisa e dettagliata necessita di alcuni parametri fondamentali, grazie ai quali è possibile operare un tracciato che ci dia l’esatta dimensione inerente il susseguirsi programmatico dei metabolismi implicati nella fornitura di energia; i parametri in questione sono: • • • •
tipologia dell’esercizio; durata dello stesso; condizione atletica; regime alimentare.
Tipologia dell’esercizio Esiste senza alcun dubbio una strettissima correlazione tra esercizio eseguito e metabolismo attivato; sappiamo benissimo che discipline di potenza quali il bodybuilding attivano esclusivamente il metabolismo anaerobico rappresentato dal sistema del fosfageno e dalla glicolisi.
Durata dell’esercizio Fondamentale anche questo secondo parametro. L’ulteriore suddivisione in sport “di potenza” e “di resistenza” caratterizza gli stessi e li differenzia profondamente dal punto di vista fisiologico; il tempo che intercorre tra l’inizio della produzione anaerobica e l’attivazione aerobica in tutte le sue parti presenta una particolare condizione che andermo di seguito ad analizzare. L’isteresi che caratterizza il susseguirsi dei metabolismi è necessaria affinché la più potente “macchina” produttrice di energia del nostro corpo (lipolisi aerobica) entri perfettamente in funzione e, in effetti, quella fase intermedia nella quale operano provvisoriamente creatinfosfato e glucosio sembra rappresentare un vero e proprio motorino d’avviamento per il Ciclo di Krebs. Il deficit di ossigeno rappresenta il periodo durante il quale il consumo di ossigeno è insufficiente e non in grado di poter attivare i processi aerobici; creatinfosfato e glucosio operano proprio in questo frangente fornendo grosse quantità di ATP ma in un lasso di tempo limitato. -8-
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I metabolismi anaerobico alattacido e anaerobico lattacido caratterizzano la fase di deficit d’ossigeno ed operano sempre all’interno di questa.
figura 1.6
La produzione di acido lattico in condizioni di deficit d’ossigeno assume proporzioni significanti in attività che abbiano una durata compresa tra i 3 e i 10 minuti; la rilevazione dei livelli di acido lattico è l’unico vero parametro indicante il sistema energetico utilizzato in un determinato istante.
figura 1.7
Vi ricordo che i livelli di acido lattico tollerati dai muscoli sono nell’ordine dei 2-2.3 grammi per chilogrammo di tessuto. -9-
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Negli esercizi prolungati nel tempo cessa il deficit d’ossigeno e il quantitativo di acido lattico cessa di subire incrementi: si raggiunge il cosiddetto stato stazionar io caratteristico del metabolismo aerobico.
figura 1.8
L ’ o s s i g en o d d i r r es t au r o n n el l a p p r at i c a s p o r t i va Ci accingiamo ad affrontare un argomento che riveste una capillare importanza nell’ambito della preparazione atletica specifica; mi sono riservato la trattazione in questo secondo livello vista la complessità dei fenomeni che lo caratterizzano e che verranno comunque affrontati dettagliatamente durante le lezioni dei nostri corsi. Cosa avviene durante il recupero dall’esercizio? C’è differenza tra il recupero aerobico e quello anaerobico? Quali substrati energetici vengono a rigenerarsi? In quanto tempo avviene la rigenerazione degli stessi? Come avviene lo smaltimento dell’acido lattico? Quali fattori influenzano lo smaltimento dello stesso? In quanto tempo avviene la rimozione?
Recupero e ossigeno di restauro Cosa avviene in realtà durante quel lasso di tempo che caratterizza la pausa tra un esercizio e l’altro o che sancisce la fine di una prestazione è stato materia di studio per anni e, solo ultimamente, si è proceduto ad una precisa classificazione degli eventi modificando inoltre la vecchia nomenclatura. Abbiamo tutti sentito parlare, e spesso, di debito d’ossigeno, inteso come deficit dello stesso in seguito ad uno sforzo fisico. In effetti l’elevato consumo di ossigeno rilevato durante il restauro dall’esercizio muscolare rappresenta molto di più che una semplice restituzione dello stesso di seguito all’esercizio.
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Gli ultimi studi hanno dimostrato che è possibile rilevare in atleti sottoposti a sforzo massimale una deplezione di ossigeno del sangue molto bassa; di contro e nello stesso tempo il consumo di ossigeno di restauro durante il recupero risulta altissimo e fino a 30 volte quello normalmente presente nel sangue in condizioni di riposo. In effetti lo sforzo fisico non induce un consumo di ossigeno proporzionale all’intensità; difatti nel momento in cui non vi è più la possibilità da parte dell’ossigeno di ossidare le molecole di NADH prodotte dalla glicolisi (situazione che si verifica allorquando ci si avvicina al 100% della VO2 Max) avviene la riduzione dell’acido piruvico in acido lattico e, di conseguenza, ogni altro ulteriore lavoro è compiuto anaerobicamente con scarso consumo di ossigeno e rilevante riduzione del piruvato. In queste condizioni non è sempre detto che il consumo di ossigeno che segue l’esercizio debba essere attribuito ad una restituzione dello stesso (da cui “debito d’ossigeno”). In realtà l’ossigeno di restauro viene utilizzato dal nostro organismo per: • • • •
il ripristino delle riserve del creatinfosfato (CP); il ripristino delle riserve del glicogeno muscolare; la rimozione dell’acido lattico; metabolizzazione dello stesso.
Ossigeno di restauro lento e rapido Il fenomeno del restauro prevede due tempi di esecuzione ben delineati che si susseguono in ordine di tempo:
figura 1.9
Dal grafico emerge il dato che il consumo di ossigeno decresce molto velocemente per i primi 2-3 minuti (RRP, fase di restauro rapido), mentre per i successivi è molto più lento e si estende fino alle 2 ore (SRP, fase di restauro lento).
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Il ripristino delle riserve di creatinfosfato nella RRP La trattazione di questa parte del restauro è direttamente legata alla nostra disciplina. Una serie di interessantissimi esperimenti sono stati effettuati e hanno fornito interessantissime indicazioni al riguardo; in particolare in uno di questi è stato prelevato un campione di tessuto muscolare tramite biopsia ad ago prima dell’inizio dell’esercizio ed, in seguito, periodicamente durante il restauro seguente lo sforzo massimale esaustivo. La prova venne eseguita in due modalità però differenti: • •
muscolo con flusso sanguigno normale; muscolo con flusso sanguigno occluso.
figura 2.0
Nel primo caso si può osservare che dopo soli 2 minuti circa l’85% del CP è stato ripristinato, mentre al 4° minuto di restauro la percentuale raggiunge il 90%; il pressoché completo ristabilimento del valore iniziale si verifica intorno agli 8 minuti. Nel secondo caso, con il flusso sanguigno occluso, la risintesi del CP non avviene; è proprio questa la riprova che il ciclo di rigenerazione avviene grazie all’ossigeno di restauro trasportato nel sangue attraverso l’emoglobina. Ripristino del CP (%)
Tempo (min.)
85 90 100
2 4 8
Naturalmente maggiore è la deplezione di creatinfosfato susseguente l’esercizio e maggiore sarà la quantità di ossigeno richiesta per la sua risintesi; il rapporto tra i due parametri è rappresentato dal
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grafico sotto rappresentato:
figura 2.1
Naturalmente un atleta al quale sono stati riscontrati valori di RRP molto alti è senz’altro potenzialmente molto dotato e predisposto verso quelle discipline che richiedono grossa utilizzazione di creatinfosfato, in quanto un alto valore sperimentale di ossigeno di restauro rapido, utilizzato dopo la prova, presuppone un rilevante utilizzo dello stesso durante lo sforzo fisico stesso.
Il ripristino delle riserve di glicogeno muscolare nella SRP Il completo ristabilimento delle riserve di glicogeno muscolare avviene in tempi di gran lunga superiori a quelli inerenti il CP e, in effetti, la completa replezione richiede anche parecchi giorni. Naturalmente alcuni parametri interagiscono con questo importante processo determinando la deplezione, i tempi secondo i quali essa stessa avviene e il conseguente ristabilimento delle condizioni antecedenti al fenomeno; i parametri in questione sono: • •
tipologia dell’esercizio eseguito: tenore di carboidrati caratterizzante il periodo di SRP.
In particolare gli esercizi eseguiti possono essere di due tipi: • •
anaerobici; aerobici.
Per motivi di specificità, propri di questa trattazione, non intendo soffermarmi nella descrizione delle fasi caratterizzanti la deplezione di glicogeno in seguito ad esercizi di tipo aerobico, mentre ritengo fondamentale l’acquisizione di tutti i dati scientifico-sperimentali a nostra disposizione inerenti lo studio dello stesso fenomeno nelle discipline anaerobiche. Di recente numerosi studi hanno portato alla luce dati fino a qualche tempo fa assolutamente impensati e impensabili. La prima serie di esperimenti non fece altro che confermare quel dato ormai acquisito con certezza da tempo che sancisce l’effettivo
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maggior utilizzo di glicogeno caratterizzante le discipline anaerobiche rispetto a quelle aerobiche. I primi dati interessanti emersero allorquando si scoprì che il ristabilimento dei valori era notevolmente più rapido in seguito a sforzo anaerobico pur avendo comunque raggiunto uguali valori di deplezione del glicogeno. In seguito fu inserita una variabile rivelatasi, con il passare del tempo, determinante e caratterizzante ulteriormente le differenze che già caratterizzano i processi anaerobici ed aerobici; la variabile in questione è rappresentata dal cosiddetto tenore gli cidico di r estauro . Numerosi esperimenti dimostrarono che l’assunzione di carboidrati durante il restauro da deplezione aerobica accelerava drasticamente il recupero e il ripristino degli originari valori, mentre il quadro si presentava completamente diverso nel caso di deplezione anaerobica.
figura 2.2a
figura 2.2b
I risultati portarono a concludere che un enorme quantitativo di glicogeno viene risintetizzato nel tempo che va dai 30 minuti alle 2 ore di restauro e in assenza di carboidrati; la presenza degli stessi non
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influisce minimamente nel computo finale e comunque, in entrambi i casi, occorrono 24 ore affinché il periodo di restauro risulti ultimato. A titolo informativo sappiate che, in assenza di carboidrati, il restauro aerobico può durare fino a 5 giorni!. Vi starete senz’altro chiedendo per quale motivo la risintesi del glicogeno muscolare susseguente un esercizio è così differente nei due casi; ebbene i motivi sono essenzialmente due: •
•
la disponibilità dei precursori del glicogeno è di gran lunga superiore in seguito ad esercizio intermittente rispetto al continuo; gli stessi sono rappresentati dall’acido piruvico, dall’acido lattico e dal glucosio; è stato dimostrato che la risintesi del glicogeno avviene più rapidamente nelle fibre rapide (glicolitiche) rispetto alle fibre lente (ossidative).
Rapporto tra la risintesi del glicogeno e la SRP Le numerose reazioni chimiche proprie di questo importantissimo processo fisiologico richiedono un notevole apporto energetico a carico, ovviamente, dell’adenosintrifosfato generato dai processi di produzione aerobici. L’ossigeno di restauro lento (SRP) può contribuire al fenomeno per un tempo massimo di 2 ore, ossia fino al termine del restauro in seguito alla successione delle fasi SRR ed RRP (vedi fig. 1.9). Schema riassuntivo: restauro anaerobico Ripristino del glicogeno (%)
Tempo (ore)
40 55 100
2 5 24
Nota: i valori non variano in seguito ad integrazione glicidica!
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Ac i d o llat t i c o : p p r o c es s i d di m et ab o l i zzazi o n e e e r r i m o zi o n e La comprensione di alcuni punti è di fondamentale importanza al fine di comprendere a fondo i complessi meccanismi che regolano l’instaurarsi della fatica muscolare e il verificarsi di quei fenomeni che inducono il ripristino del totale recupero dalla stessa. L’acido lattico è il principale agente limitatore nell’ambito della competizione agonistica in genere; occorre necessariamente indagare ed approfondire aspetti quali: • • • •
il tempo di riassorbimento del lattato; fattori influenzanti il riassorbimento dello stesso; metabolizzazione del lattato rimosso; connessioni tra SRP ed acido lattico.
Tempi di riassorbimento del lattato Sforzi massimali protratti fino all’esaustione presentano valori di riassorbimento nell’ordine dei 25 minuti per il riassorbimento della metà del lattato; la completa rimozione prevede tempi nell’ordine dell’ora e 15 minuti. Se l’esercizio in questione non è massimale ma sub-massimale il tempo risulta notevolmente inferiore.
figura 2.3
Fattori influenzanti il riassorbimento del lattato Una doverosa distinzione si rende a questo punto doverosa; i tempi di riassorbimento considerati in precedenza si riferiscono a situazioni di restauro cosiddetto “a riposo”, e cioè caratterizzati da un recupero dopo lo sforzo in condizioni di immobilità assoluta o quasi. Moderne ricerche hanno dimostrato che i tempi di rimozione del lattato diminuiscono drasticamente se durante il restauro si imposta un programma di lavoro blando, il cosiddetto restauro in esercizio. Il Parma calcio ci ha ormai abituato a quei “giretti di campo” dopo la partita evidentemente frutto del lavoro di preparatori atletici attenti ed - 16 -
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aggiornati.
figura 2.4
A sua volta il restauro in esercizio che ha fornito valori di riassorbimento superiori è stato quello continuo, tipo jogging, rispetto a quello intermittente (vedi fig. 2.4). A questo punto è importante determinare la giusta intensità per poter elaborare un programma in grado di garantire la massima resa fisiologica. I parametri da prendere in considerazione in questa importantissima fase sono tre, ed esattamente: •
•
•
l’ossigeno bruciato durante l’esercizio in riferimento alla massima potenza aerobica del soggetto; il valore testante la quantità di ossigeno impiegata nell’esecuzione dell’esercizio; il valore testante la quantità di ossigeno impiegata nell’esecuzione dell’esercizio espressa in ml per kg. Di peso corporeo del soggetto esaminato per ogni minuto di esercizio.
figura 2.5
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Dagli esperimenti eseguiti al proposito è emerso che i valori corrispondenti all’intensità da adottare nel restauro in esercizio in soggetti rispettivamente poco allenati e agonisti sono i seguenti: •
•
nell’atleta poco allenato (principiante) il valore si testa sul 3045% della VO2 Max; nell’atleta agonista il valore è del 50-65% della VO2 Max.
Ma per quale motivo il riassorbimento dell’acido lattico avviene più velocemente nel restauro in esercizio? La risposta è semplice e affascinante; in considerazione al fatto che il nostro organismo sfrutta metabolicamente ogni substrato utilizzabile, compresi quelli scaturiti in seguito a trasformazioni degradative, possiamo analizzare in che modo il lattato concorre a quella produzione energetica fondamentale alla vita. L’acido lattico, in presenza di ossigeno, subisce la riconversione dapprima in acido piruvico e, in un secondo momento, in anidride carbonica (CO2) e acqua (H2O) nel ciclo di Krebs e nel sistema di trasporto degli elettroni rispettivamente; il tutto avviene naturalmente a livello muscolare. L’ossigeno si comporta quindi da accettore di elettroni, permettendo l’ossidazione del lattato che torna nell’originaria forma di piruvato, il tutto avviene soprattutto all’interno della muscolatura scheletrica e, precisamente, in seno alle fibre ossidative a scossa lenta (fibre rosse). In precedenza abbiamo osservato che il maggior riassorbimento di acido lattico si verifica in fase di restauro in movimento con un intensità dello stesso nell’ordine del 50-65% della VO 2 Max, cioè in una condizione che vede coinvolte proprio le fibre rosse ossidative; alla luce di quanto detto finora appare evidente che solamente un esercizio di restauro aerobico è in grado di assicurare quella “fornitura” di ossigeno fondamentale affinché avvenga l’ossidazione del lattato in acido piruvico, il tutto strettamente connesso al reclutamento di quelle fibre a scossa lenta vere protagoniste di questo ingegnoso processo fisiologico.
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St r u t t u r a e e c c o n t r azi o n e d d el m muscolo s t r i at o s s c h el et r i c o La comprensione di quei complessi meccanismi che provocano il fenomeno della contrazione muscolare presuppone la profonda conoscenza del muscolo stesso a livello morfo-strutturale.
Sezione connettivale La porzione connettivale del muscolo scheletrico assolve ad un triplice compito; circonda il muscolo dall’esterno e, invaginandosi all’interno della struttura, avviluppa sia i piccoli agglomerati fascicolari che le singole fibre. Naturalmente esiste una terminologia ben precisa al fine di identificare il tessuto connettivo nelle rispettive zone: la zona più esterna prende il nome di epimisio , quella che circonda i fascicoli perimisio mentre il rivestimento delle singole fibre endomisio .
figura 2.6
Spesso si parla di tessuto connettivo senza conoscerne la natura e, considerata la grande importanza che questo ricopre nonché le frequentissime situazioni nelle quali è sicuro oggetto di studio, ritengo indispensabile la trattazione di questo argomento. Ogni organo presenta un particolare rivestimento formato generalmente da aggregati cellulari organizzati in strutture dette, per l’appunto, tessuti . l’epidermide , ad esempio, rappresenta lo strato esterno della pelle e dell’intestino ed è formato da cellule cosiddette epiteliali ; le cavità cardiache e i vasi sanguigni a loro volta sono costituite da cellule che si riuniscono a formare i tessuti endoteli ali . I tessuti connetti vi hanno una composizione cellulare come gli altri ma, a differenza degli epiteliali ed endoteliali, sono costituiti sia da cellule che da materiale i ntercell ulare .
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Alcune cellule specializzate, i fibroblasti , producono una proteina, il collagene , in grado di formare un intelaiatura organica resistente e flessibile (le strutture tendinee presentano una resistenza alla trazione fino a 500 Kg/cm2 ma scarsissima elasticità); tendini , cartilagini , epimisio , perimisio ed endomisio presentano una struttura costituita da questa importantissima proteina di derivazione fibroblastica . La fitta trama di tessuto connettivo intramuscolare si fonde con la resistentissima struttura tendinea, ancorata saldamente al più esterno rivestimento osseo, il periostio ; avviene in questo modo la connessione tra muscolatura scheletri ca e scheletro osseo .
Struttura del muscolo scheletrico Un muscolo è costituito, strutturalmente, da migliaia di singole fibre circondate da una specifica membrana, il sarcolemma ; è proprio con questa che l’ endomisio viene in contatto. L’osservazione di una singola fibra muscolare al microscopio ottico evidenzia un aspetto del tutto particolare, caratterizzato dalla presenza di “bande chiare” alternate ad altre più scure; la presenza di queste striature conferisce al muscolo scheletrico il suo particolare aspetto giustificando il termine che ne contraddistingue la natura: muscolo scheletrico striato. Soltanto una ulteriore analisi microscopica è in grado di evidenziare la presenza di fibre più piccole all’interno del sarcoplasma della fibra muscolare; la disposizione di queste sub-unità, denominate miofibrille o miofilamenti , rispetta un preciso ordine di sovrapposizione delle stesse e determina la presenza delle striature citate in precedenza. La rilevazione al microscopio elettronico è in grado di evidenziare una differenza dimensionale tra i due miofilamenti, denominati di conseguenza filamenti spessi e fil amenti sottil i . I filamenti sottili sono disposti in modo che ciascuno di essi, alle sue estremità, presenti un reticolo quadrangolare; la successione di due componenti di questo tipo, a collegare due serie di filamenti sottili, in una struttura unica prende il nome di linea Z o disco Z ; la linea Z rappresenta proprio la zona di fissaggio dei filamenti sottili al sarcolemma, il tutto al fine di conferire stabilità all’intera struttura mantenendo, nel contempo, allineati i filamenti di actina. La sezione di miofibra compresa tra due dischi Z consecutivi rappresenta l’unità elementare della miofibrilla e prende il nome di sarcomero . Naturalmente ogni singola miofibrilla presenta numerosissimi sarcomeri della lunghezza stimata di circa 2.4 µm.
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figura 2.7
Considerando due sarcomeri consecutivi con il disco Z posto al centro di essi, è possibile osservare che le zone adiacenti al disco stesso, alla sua destra come alla sua sinistra, appaiano chiare; il microscopio elettronico ha evidenziato in queste porzioni la presenza esclusiva di filamenti sottili inducendo i ricercatori a definire tale tratto “banda I”, o banda isotropa . La parte centrale del sarcomero, circondata dalle due bande isotrope, osservata al microscopio appare al contrario molto più scura; a tale sezione è stato attribuito il nome di “banda a” o banda anisotropa .
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La terminologia anisotropa o isotropa, fonda le sue radici in seguito a fenomeni che si verificano allorquando una sostanza, attraversata da un fascio di luce polarizzata, si comporta da composto birifrangente nel primo caso e non nel secondo. La banda A evidenzia la presenza al suo interno di filamenti spessi e sottili nel contempo, presenta una struttura notevolmente più “densa” e compatta della banda I, in grado quindi di opporsi all’attraversamento di quel fascio di luce che, al contrario, riesce facilmente a penetrare l’inconsistente zona caratterizzata dalla presenza esclusiva di filamenti sottili.
La banda A ha una lunghezza nell’ordine di 1.6 µm e presenta due zone ben distinte; la più scura è caratterizzata dalla sovrapposizione di filamenti spessi e sottili e circonda sui due lati la porzione centrale, riconoscibile dalla colorazione più chiara conferitagli dall’esclusiva presenza di filamenti spessi e denominata zona H o banda H. Al centro della zona H è riconoscibile una sottile linea scura, identificata come linea M.
Composizione strutturale dei filamenti spessi e sottili L’analisi strutturale dei filamenti sottili ha portato al riconoscimento all’interno degli stessi di una proteina: l’ actina . Per la precisione ogni filamento sottile è composto da due catene elicoidali di actina che si avvolgono a spirale destrogira e che accolgono nel loro interno, in specifici siti di ricezione, altre due proteine in grado di inibire con la loro presenza la contrazione muscolare; si tratta della troponina e della tropomiosina .
figura 2.8
Una proteina ad altissimo peso molecolare rappresenta il più importante costituente dei filamenti spessi, la miosina . L’osservazione al microscopio elettronico ha evidenziato una struttura di questa importantissima molecola simile ad un bastoncino, all’estremità del quale è presente una struttura globulare (testa globulare), indicata generalmente come ponte tr asversale .
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figura 2.9
La disposizione miosinica è del tutto particolare e prevede l’orientamento delle code in direzione del centro del filamento ed i ponti trasversali orientati verso l’estremità; è importante dire che ogni molecola di miosina contiene fino a 200 ponti trasversali. Osservando un fascio di filamenti miosinici appaiono evidenti dei rilevanti particolari: •
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la particolarissima forma della miosina la rende molto simile ad una mazza da golf, la cui testa è rappresentata dai ponti trasversali e l’asta centrale diritta dalla coda; questa complessa struttura è organizzata a formare un fascio tra filamenti differenti sempre disposti in coppia, con le rispettive code poste sullo stesso piano di simmetria e con i ponti trasversali orientati in direzione opposta; le coppie si susseguono ad una distanza stimata nell’ordine dei 143Å ed inoltre, sono reciprocamente ruotate in modo che quattro coppie successive formano un’elica che si estende complessivamente per una distanza di 429Å.
Contrazione muscolare e teoria dei filamenti scorrevoli Lo studio di quei fenomeni che si verificano all’interno del ventre muscolare allorquando si verifica l’accorciamento dello stesso è di capitale importanza; tratteremo l’argomento in modo capillare e quanto più completo possibile, analizzando singolarmente tutti quei processi fisiologici che concorrono al verificarsi del fenomeno della contrazione. Alcune importanti variazioni strutturali si verificano allorquando un muscolo è soggetto a contrazione; per la precisione si osserva una variazione dimensionale del sarcomero indotta dallo scorrimento dei filamenti di actina sulla miosina. Per meglio comprendere cosa avviene in realtà all’interno della struttura contrattile occorre ricordare che i filamenti di actina non attraversano il sarcomero, tra due linee Z consecutive, in maniera continuativa ma estendendosi dalla linea Z di appartenenza in direzione della banda A che, conseguentemente, risulterà costituita sia da filamenti spessi di miosina che da filamenti sottili actinici provenienti dalle due linee Z poste ai lati della banda anisotropa stessa; la zona H è riconoscibile proprio a causa della variazione di luminosità indotta dall’assenza di filamenti sottili al centro della banda A. Lo scorrimento actinico non induce alcun cambiamento strutturale in seno alla banda anisotropa mentre invece la banda isotropa, proprio - 23 -
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in virtù dell’avvenuto spostamento dei filamenti sottili, subisce una chiara modificazione dimensionale di restringimento corrispondente naturalmente all’avvicinamento delle linee Z verso quella zona H che, in caso di forte contrazione e scorrimento miofibrillare seguito dall’interposizione dei filamenti actinici al centro della banda A, addirittura scompare completamente. Le strutture che, di fatto, inducono il moto relativo actina-miosina sono i ponti traversali miosini ci , veri e propri perni mobili contenenti un sito r eattivo in grado di legarsi all’actina (più precisamente al sito attivo di questa). La molteplicità funzionale della miosina fa di questa un vero e proprio enzima in grado di promuovere, spontaneamente, reazioni di attivazione nei confronti del substrato contenuto nel proprio ponte trasversale; il substrato in questione è l’adenosintrifosfato e fornisce l’energia necessaria affinché la testa globulare possa letteralmente spingere verso il centro del sarcomero l’actina provocando l’accorciamento del muscolo. figura 3.0
Una volta realizzatasi l’interazione actina-miosina il complesso proteico che ne deriva prende il nome di actomiosina . Quando un frammento di actomiosina viene messo in contatto con dell’ATP in vitro si determina un processo di contrazione del tutto simile a quello che si verifica nella realtà all’interno del muscolo. Le fasi responsabili del verificarsi di quegli accadimenti fisiologici sui quali fonda le sue basi la teoria dei filamenti scorrevoli, verranno di seguito analizzate nel dettaglio. Si rende a questo punto indispensabile la conoscenza di quella struttura miofibrillare rappresentata dal reticolo sarcoplasmatico per poter comprendere fondamentale ruolo del calcio (in forma ionica) nella contrazione.
Il reticolo sarcoplasmatico Le miofibrille sono letteralmente circondate da questa importante struttura - 24 -
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reticolare costituita da tubuli e vescicole secretorie (vedi fig. 3.1). I tubuli l ongitudinali si estendono verso entrambe le estremità delle miofibre (longitudinalmente per l’appunto) fino a riversarsi terminalmente nelle cosiddette vescicole terminali o cisterne ; in considerazione al fatto che questo schema si ripete continuamente lungo l’asse della miofibrilla, si rende necessaria la presenza di una struttura in grado di separare anatomicamente le vescicole di un modulo reticolare da quello contiguo, funzione questa propria dei cosiddetti tubuli trasversi citati spesso come sistema T ; questi pur essendo funzionalmente associati al reticolo sarcoplasmatico, anatomicamente rappresentano delle invaginazioni del sarcolemma verso gli strati più profondi della fibra muscolare. Funzionalmente i tubuli trasversi sono responsabili della propagazione dell’impulso elettrico dal sarcolemma in direzione delle miofibre interne al muscolo, mentre le vescicole terminali contengono rilevanti quantità di ioni calcio. La zona compresa tra due vescicole terminali contigue unitamente al tubulo trasverso che le separa prende il nome di triade . In definitiva, l’impulso elettrico si propaga lungo il sistema T e, una volta in prossimità delle vescicole terminali, provoca il rilascio da parte di queste ultime di ingenti quantità di calcio in forma ionica; vedremo di seguito la specifica funzione di questi ioni nell’ambito della contrazione muscolare.
figura 3.1
Condizione di riposo e disaccoppiamento actinamiosina In condizioni di riposo non vi è assolutamente alcuna interazione tra i filamenti actinici e i ponti trasversali miosinici, ai quali è peraltro legata inerte una molecola di adenosintrifosfato; il complesso descritto viene fisiologicamente indicato con il termine complesso ATP-ponte trasversale scarico, ed è caratterizzato: - 25 -
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dalla presenza delle molecole di troponina e tropomiosina ad occupare i siti di ricezione actinici dei ponti trasversali miosinici; dalla totale assenza di ioni calcio liberi.
In queste condizioni actina e miosina risultano disaccoppiate.
Situazione di eccitazione ed accoppiamento actina-miosina Numerosi processi si susseguono allorquando un impulso elettrico, attraverso le vie efferenti rappresentate dai motoneuroni, raggiunge la giunzione neuromuscolare. Primo tra tutti il rilascio di acetilcolina con susseguente generazione di un potenziale d’azione nel sarcolemma della fibra muscolare; quest’ultimo è in grado di propagarsi attraverso la fibra stessa tramite i tubuli trasversi, inducendo una liberazione di ioni calcio da parte delle vescicole terminali del reticolo sarcoplasmatico. Il calcio ormai libero all’interno del sarcoplasma induce dei cambiamenti conformazionali nelle molecole di troponina e tropomiosina le quali abbandonano i siti di accoppiamento tra l’actina e i ponti trasversali miosinici; tale fenomeno viene indicato come accensione dei siti attivi dell’actina. Solo quando si verificano le condizioni precedentemente descritte avviene il caricamento del complesso ATP-ponte trasversale, il quale induce l’accoppiamento chimico che genera il collegamento actomiosinico protagonista della contrazione.
Contrazione muscolare: attivazione dell’ATPasi miosinica L’attivazione dell’adenosintr ifosfatasi miosini ca (ATPasi) avviene in concomitanza alla formazione del complesso actomiosinico; è facilmente intuibile che questo enzima provochi la scissione dell’ATP in ADP+Pi (adenosindifosfato+fosfato inorganico) con conseguente rilascio di energia; é proprio grazie a questa energia che il ponte trasversale spinge il filamento sottile verso il centro del sarcomero con conseguente sviluppo della contrazione.
Ciclo di accoppiamento e disaccoppiamento continuo durante la contrazione Durante una singola contrazione i ponti trasversali possono, singolarmente, indurre un piccolo scorrimento del filamento di actina sicuramente non sufficiente ad provocare un accorciamento rilevante del ventre muscolare; è proprio per questo motivo che le teste miosiniche presentano lungo il fascio quello sfasamento indispensabile a garantire un’alternanza tra ponti attivati ed altri che si attiveranno solo nel momento in cui lo spostamento del filamento sottile avrà messo in
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corrispondenza delle teste inattive i siti di ricezione actinici prima troppo spostati all’indietro. In effetti solamente il 50% dei ponti partecipa simultaneamente alla contrazione! Ma come avviene l’accoppiamento e il distacco dei ponti crociati? Solamente la generazione di una nuova molecola di ATP è in grado di indurre la rottura del vecchio legame ponte-trasversale actina. Il “rigor mortis”, ossia quella condizione di rigidità muscolare propria dei cadaveri, è indotta dall’inibizione del processo dissociativo actomiosinico a causa della totale inesistenza di molecole di adenosintrifosfato, uniche responsabili affinché avvenga quella scissione tra ponte trasversale miosinico ed actina così importante ai fini della decontrazione del muscolo.
Decontrazione del ventre muscolare La cessazione degli impulsi elettrici che, attraverso le vie efferenti giungono al muscolo dal sistema nervoso, induce l’innescarsi di interessantissimi processi fisiologici, primo tra i quali, l’attivazione della pompa del calcio ; questa, in seguito alla rimozione del minerale dal suo legame con la troponina, drena lo stesso in direzione delle vescicole esterne del reticolo sarcoplasmatico. Il fenomeno dell’accensione dell’actina, verificatosi allorquando gli ioni calcio, interagendo con la troponina (e con la tropomiosina), avevano “acceso” il filamento sottile actinico liberandolo da queste due proteine inibitrici, in questo momento non ha più la possibilità di verificarsi; gli inibitori fanno di nuovo ritorno all’interno dei siti attivi della molecola di actina. L’attività ATPasica risulta a questo punto interrotta con conseguente cessazione della produzione di ATP. A questo punto è necessario procedere all’analisi di quei meccanismi, responsabili della trasmissione dell’impulso nervoso, attraverso i quali la contrazione del muscolo è resa possibile.
Placca motrice, unità motoria e graduazione della forza Dati scientifici attendibilissimi testano il numero delle fibre muscolari nell’ordine di 250.000.000 di singole unità; dati numerici del tutto inferiori sono altresì risultati in seguito al conteggio percentuale delle fibre nervose motorie, valutate approssivativamente in quantità non superiore alle 450.000 unità. Dati del genere lasciano facilmente intuire che un singolo motoneurone risulta connesso, attraverso diramazioni assoniche, con svariate fibre muscolari la cui zona membranaria, posta in prossimità della branca assonica terminale del motoneurone, presenta particolarissime proprietà chimiche e viene denominata placca motrice , mentre il numero di fibre muscolari innervate dal singolo motoneurone va sotto il nome di unitàmotoria . Le fibre di una unitàmotoria si contraggono sempre simultaneamente, secondo la legge del “tutto o nulla”.
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La regolazione della tensione muscolare avviene attraverso l’ attivazione selettiva di un numero vari abile di singole unitàmotorie; analizzeremo in seguito, nel dettagli o, il verifi carsi di tali fenomeni fi siologici.
L’assone motorio presenta, in prossimità della propria estremità terminale, vescicole delimitate da membrana e contenenti un importante neurotrasmettitore: l’acetilcolina. Esiste una differenza sia funzionale che terminologica che contraddistingue un collegamento assonale nervoso (giunzione sinaptica) da un collegamento assonale neuro muscolare terminale (giunzione mioneurale): i processi che portano alla nascita di un potenziale di placca muscolare sono i medesimi verificantesi in seno alle giunzioni sinaptiche; l’entità del primo è però notevolmente superiore rispetto al secondo per i seguenti motivi: •
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l’area di contatto tra le fibre nervose e muscolari è notevolmente superiore di quella oggetto della giunzione sinaptica; il quantitativo di neurotrasmettitore rilasciato nella placca motrice è nettamente superiore; non esistono potenziali postsinaptici inibitori (IPSP) a livello di giunzione mioneurale.
L’insorgere del potenziale d’azione di propagazione assonale provoca la depolarizzazione della membrana della fibra nervosa, l’assolemma, con conseguente fusione delle vescicole con la membrana stessa e conseguente rilascio del neurotrasmettitore attraverso lo spazio extracellulare e fino alla placca motrice; specifici recettori accolgono a questo punto l’acetilcolina. La combinazione prima descritta, tra il neurotrasmettitore ed i recettori della placca motrice, induce nella stessa un aumento della permeabilità agli ioni sodio e potassio con conseguente depolarizzazione, detta potenziale di placca terminale (EPP). Un solo potenziale di placca terminale è sempre in grado di depolarizzare il sarcolemma muscolare provocando l’insorgenza di un potenziale d’azione, il quale indurrà successivamente una seconda depolarizzazione nei riguardi dei tubuli trasversi all’interno del sarcomero muscolare; questo processo porterà inevitabilmente alla fuoriuscita degli ioni calcio da parte dei tubuli trasversi del reticolo sarcoplasmatico che circonda le miofibrille.
Meccanica e regolazione della contrazione muscolare La forza generata dalle proteine contrattili all’interno del ventre muscolare, in seguito a contrazione dello stesso viene generalmente denominata tensione muscolare, mentre la forza che si oppone a questa, rappresentabile fisicamente dal peso di un oggetto, viene detta carico; la tensione muscolare, per sollevare un carico, deve necessariamente essere superiore di questo.
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L’accorciamento muscolare cui fa seguito uno spostamento di carico viene indicato come contrazione isotonica a tensione costante, visto che il valore del peso esterno non varia nel tempo; nel caso in cui la tensione muscolare non sia sufficiente a vincere il valore del carico perché superiore, siamo di fronte ad una contrazione isometrica a lunghezza costante. Affinché sia auspicabile una contrazione, sia essa isotonica che isometrica, occorre che un numero variabile di unità motorie venga attivato. Esistono differenti parametri numerici in riferimento al numero di fibre muscolari innervate dal singolo motoneurone; il fattore primario determinante tali differenze è rappresentato dalla specificità motoria del muscolo innervato. Muscoli i cui movimenti risultano di grande precisione, come quelli dell’occhio ad esempio, possono presentare unità motorie costituite addirittura da una sola fibra muscolare, mentre muscoli notoriamente molto forti, come il quadricipite, presentano talvolta unità motorie costituite da migliaia di fibre muscolari innervate. A tal scopo inseriamo un parametro indicativo a rappresentare tale situazione: il rapporto fibre muscolari fibre nervose, ossia FM/FN; un alto valore FM/FN è proprio di muscoli cui si richiede un notevole sviluppo di forza mentre, al contrario, un basso indice di tal parametro è indicativo a rappresentare muscoli la cui contrazione debba rispondere a canoni di spiccata precisione.
Regolazione della tensione muscolare I processi attraverso i quali è resa possibile una modulazione della forza muscolare sono fondamentalmente tre: • •
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attivazione di un numero più o meno elevato di unità motorie; attivazione contemporanea di un variabile numero di unità motorie; variazione della frequenza di attivazione da parte delle singole fibre muscolari.
La propagazione di un potenziale d’azione induce nel muscolo scheletrico una risposta meccanica generalmente identificata come “scossa”. L’eccitazione miofibrillare presenta modalità e tempi di realizzazione particolari e, cosa importantissima, dipendenti dal tipo di fibra coinvolta dal potenziale d’azione mioneurale. Ricordo che il collegamento tra motoneurone e placca motrice è generalmente indicato come giunzione mioneurale. La contrazione non avviene in concomitanza all’arrivo del potenziale d’azione, cui fa seguito la formazione di quel complesso actomiosinico responsabile dell’eccitamento; l’intervallo che caratterizza questo importante lasso temporale è rappresentato dal periodo latente. Non è altresì possibile che la massima contrazione avvenga immediatamente dopo il periodo latente; studi elettromiografici hanno a tal riguardo fornito interessantissime risposte sulla base di dati che, inequivocabilmente, rilevano un ulteriore tempo di contrazione - 29 -
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caratterizzante l’accorciamento del ventre muscolare a seconda del carico applicato.
Modificazione dei parametri nelle contrazioni isometriche e isotoniche Sostanziali differenze caratterizzano le due modalità attraverso le quali si esplica la perfetta funzionalità organica del sistema muscolare scheletrico. Analizzando le reazioni che caratterizzano una scossa isometrica da una isotonica emergono dati tanto interessanti quanto differenti, in virtù delle profonde diversità che caratterizzano tali peocessi fisiologici.
Contrazione isotonica Naturalmente la velocità di accorciamento è profondamente correlata al valore della resistenza che si oppone alla contrazione e, a tal proposito, esistono precisi rapporti di proporzionalità diretta ed inversa tra carico, periodo latente e tempo di contrazione; in particolare all’aumento del carico esterno si rileva un incremento del periodo latente seguito da una diminuzione della velocità e della distanza di accorciamento.
figura 3.2 a, b
Alla massima sollecitazione, corrispondente ad un valore della resistenza uguale o superiore alla massima tensione sviluppabile dal - 30 -
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ventre muscolare, si registra quel valore nullo della velocità e distanza di accorciamento proprio delle contrazioni isometriche.
Contrazioni isometriche Naturalmente la situazione risulta notevolmente differente in condizione di isometria, dove non è possibile valutare alcun accorciamento del ventre muscolare; a tal proposito la rappresentazione grafica presenterà sull’asse delle ordinate non più il valore della distanza di accorciamento quanto quello della tensione.
figura 3.3
L ’anal nalisi compa comparati rativa va de dei due due graf grafiici mette ette in risa risallto asp aspe etti che, che, chiaram chiaramente ente,, dif differiscono eriscono nei nei due casi. I l pri primo param parametro palesem esemente ente differente è il periodo latente, notevolmente maggiore durante una scossa isotonica; la durata della stessa, di contro, risulta però di gran lunga minore rispetto alla scossa isometrica.
Sviluppo della contrazione e fenomeni di sommazione isotonica I l potenzi potenziale ale d’azi d’azione one motoneuronal otoneuronale e ha una durata nel nell’ordi ordine ne dei dei 2 msec e cessa molto prima che la contrazione muscolare (nel caso di sollecitazione isometrica il parametro è rappresentato dalla tensione) inizi ad aumentare; di contro la risposta miofibrillare, sotto forma di scossa semplice, può durare fino a svariate centinaia di millisecondi. Da una attenta analisi dei parametri precedentemente citati emerge chiaramente la possibilità che il secondo impulso elettrico possa sopraggiungere al muscolo proprio durante le risposta meccanica di quest’ultimo; cosa comporti una situazione del genere è evidenziato nelle figure 3.4a, b e c e considera la tensione sviluppata in seguito a contrazione isotonica.
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figura 3.4 a, b, c
Un singolo impulso (S1) provoca una incremento di contrazione della durata di 150 msec; il secondo stimolo (S2), applicato al muscolo 200 msec dopo S1, a decontrazione ormai ultimata, induce una seconda scossa contrattile pressoché identica alla prima. Nella seconda rappresentazione grafica (B) non avvengono variazioni dell’intervallo S1-S2, che rimane invariato a 200 msec, ma una terza stimolazione viene applicata 60 msec dopo S2, proprio allorquando la risposta meccanica indotta precedentemente inizia a decrescere; il risultato è che il picco di tensione generato risulta molto più elevato di quello risultante da una singola scossa. Riducendo ulteriormente l’intervallo S2-S3 fino a 10 msec, esperimento rappresentato in figura 3.4c, si registra un incremento del massimo valore tensivo. L e conside considerrazioni azioni emergen emergentiti dai dai grafi grafici preceden precedentem temente ente anali analizz zzati ati ci conducono a considerare alcuni importanti aspetti caratterizzanti la risposta meccanica del muscolo scheletrico agli stimoli indotti dal sistema nervoso; alla proprietà da parte della struttura contrattile di addizionare gli stimoli nervosi producendo una contrazione sempre maggiore si da il nome di sommazione. Una frequenza stimolatoria sufficientemente elevata da indurre una contrazione derivante da fenomeni di sommazione massimale protratti nel tempo è condizione indispensabile affinché possa verificarsi il tetano; il rapporto di proporzionalità che lega frequenza di stimolazione e contrazione muscolare ha naturalmente un massimo valore, rappresentato dalla massima frequenza di stimolazione, e superato il - 32 -
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quale non avviene alcun incremento della tensione (isometria) o della contrazione miofibrillare (isotonia). In condizioni di tetano isotonico massimale si registra un accorciamento della sezione muscolare nell’ordine del 40% della sua lunghezza a riposo. A llo stesso stesso modo con cui cui una fibra muscol muscolare are ha tempi di contrazione diversi rispetto ad altre, anche la frequenza di stimolazione occorrente affinché possa verificarsi un tetano massimale varia a seconda delle fibre innervate. Fr equenz equenzee che che prevedono prevedono cir ca 30 stimoli stimol i al sec. sono perfettamente in grado di indurre il tetano nelle fibre lente, mentr mentr e l e fibr fi bree vel vel oci neces necessitano di fr f r equenz equenzee nel nel l’ ordi or dine ne dei 100 stimol i al sec. sec. (spe ( spess ssoo anche mol molto to di più pi ù).
Per quanto tem tempo la la massi assim ma contrazione contrazi one del muscolo muscolo possa esse esserre mantenuta dipende esclusivamente dalla quantità di ATP fornito dalla struttura alle proteine contrattili interne; la decontrazione o il repentino calo di tensione verificantesi dopo un certo lasso di tempo rappresenta la cosiddetta fatica muscolare. I l fenomeno dell dell’’affatica ticabi billità dipe dipend nde e da da pa parame rametri che differiscono a seconda del tipo di fibra considerata, sia essa bianca o rossa. L e fibre vel veloci a bassa bassa capaci capacità tà ossi ossida datitiva va e scossa rapi apida sono in grado di procedere ad una velocissima idrolisi dell’ATP, nonché ad una altrettanto veloce ricarica dello stesso attraverso i processi di ricarica glicolitico anaerobica; naturalmente un così veloce sistema di produzione adenosintrifosfatasica esaurisce ben presto i depositi dei substrati energetici, rappresentati in questo caso dalle riserve di glicogeno stoccato nel muscolo stesso, con conseguente rapida affaticabilità. I l discorso discorso app appa are compl comple etam tamente dif differente nel nel caso caso del delle fibre fi bre rosse ossidative mentre la terza categoria di appartenenza, rappresentata da fibre a scossa rapida ad alta capacità ossidativa, presenta caratteristiche intermedie tra le due.
Cause e tempi della fatica muscolare I l fenomeno de dell’affatica ticabi billità muscol uscola are me merita ri ta approf pprofond ondiimenti che vanno al di là della semplice analisi delle fibre coinvolte durante l’esercizio; sedi e cause vanno ricercate tenendo in considerazione ulteriori parametri di ricerca. Gli elementi funzionali oggetto di studio ai quali verrebbe attribuita l’insorgenza della fatica muscolare sono: • • • •
attività motoneuronale; giunzione mioneurale o neuromuscolare; sistema contrattile; sistema nervoso centrale.
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At ti vi tà m ot on eur on ale
Al primo dei quattro punti non vengono attribuite grosse responsabilità in tema di affaticabilità. Giunzione Giunzione mioneuronale
Studi diversi hanno portato a differenti interpretazioni; sembra tuttavia che nelle fibre a contrazione veloce un fenomeno del genere possa effettivamente verificarsi in seguito alla progressiva deplezione di neurotrasmettitore (acetilcolina). Af fat i cab i li tà d el m ecc ani sm o co nt r att i le
Vero e proprio responsabile della fatica in questo frangente è il famigerato acido lattico, il cui accumulo, cui segue inoltre una diminuzione della massima tensione muscolare, sembrerebbe maggiore nelle fibre bianche rispetto alle rosse e ciò giustificherebbe la maggior affaticabilità di queste ultime correlata alla disposizione a produrre acido lattico che le caratterizza. L ’acido cido la lattico ttico inte interagisce ragisce con due due fondam fondamental ntali processi processi fisiologici che caratterizzano la corretta funzionalità dell’apparato contrattile, attraverso quell’alterazione di acidità che tanti danni arreca all’intera struttura muscolare. Entrambi i meccanismi risultano strettamente correlati ai livelli intracellulari dello ione idrogeno, strettamente correlati alle variazioni del Ph interno. All’aumentare dell’acido lattico si registra un aumento di ioni idrogeno; il risultato indotto da un tale stato di cose si traduce in una diminuzione della quantità di calcio liberato dalle cisterne terminali del reticolo sarcoplasmatico e in una interferenza da parte degli stessi ioni idrogeno nei processi di interazione del calcio stesso con le due proteine miofibrillari inibitrici, troponina e tropomiosina. L a stessa stessa gli glicoli colisi anae anaerobica obica rise sente nte pesa pesante ntem mente ente del dell’avvenuta avvenuta diminuzione del Ph indotta dall’acido lattico; l’aumento degli ioni idrogeno inibisce l’attività di un enzima chiave nei complessi processi glicolitici, la fosfofruttochinasi, con una inevitabile diminuzione della disponibilità di ATP e conseguente instaurarsi della fatica. Altri fattori interagenti con la fatica del sistema contrattile sono senza dubbio l’esaurimento delle riserve di ATP e delle scorte di glicogeno. Fatica e sistema nervoso centrale
Recentissimi esperimenti hanno portato alla luce il ruolo di primaria importanza che il sistema nervoso centrale ricopre nell’ambito dell’insorgenza della fatica nonché del restauro dall’esercizio. É stato ipotizzato che le alterazioni interne al muscolo indotte dall’affaticamento in seguito ad esercizio vengano segnalate al sistema nervoso centrale attraverso l’ausilio di fibre sensitive tramite le vie afferenti; la produzione di segnali inibitori efferenti indurrebbe la riduzione di attività caratteristica della fatica. L ’attività ttivi tà diversiva svolta dura durant nte e il recupe recupero ro ulte ulteri riori ori segn segna ali, provenienti da zone periferiche afferenti, andrà sollecitare le cosiddette - 34 -
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“aree facilitatorie” efferenti del cervello i cui impulsi facilitatori indurranno una migliore risposta immediata oppure un più veloce ristabilimento dei normali parametri muscolari alterati in seguito a prestazione fisica prolungata nel tempo o massimale che sia. É anche su queste reazioni fisico-chimiche che il restauro in esercizio fonda le proprie basi fisiologiche.
Sommazione muscolare, stato attivo e tensione esterna Vecchie teorie attribuiscono il verificarsi della sommazione all’aumento della quantità di ioni calcio rilasciati dal reticolo sarcoplasmatico, inizialmente insufficienti a provocare una contrazione in grado di opporsi al valore del carico esterno. I n real realtà rece ecenti nti studi studi hanno hanno portato al alla luce meccani eccanism smii del del tutto sconosciuti, evidenziando la primaria importanza che assume in tal meccanismo la struttura costituita dal tessuto extracellulare e tendineo, generalmente indicato come elemento elastico in serie. L a tensi tensione one gene generrata inter nternam namente ente al alla struttura contrattil contrattile è indicata come stato attivo, susseguente naturalmente alla liberazione degli ioni calcio in seguito alla trasmissione dell’impulso nervoso rappresentato dal potenziale d’azione. Per comprendere a fondo cosa realmente accade in quel lasso di tempo compreso tra l’arrivo dell’impulso e l’inizio della contrazione occorre percepire a fondo l’importanza della struttura elastica, vera e propria “molla” interposta tra la resistenza esterna e la tensione interna miofibrillare (sito attivo) che partecipa attivamente alla contrazione. Un semplice esempio pratico potrebbe rendere molto più agevole la comprensione del meccanismo che vede coinvolte queste tre diverse componenti; un uomo che debba sollevare un peso adagiato su di una molla non riuscirà a sollevare l’oggetto dalla struttura che lo sorregge finché il valore della tensione della molla stirata non eguagli il valore del peso posto su di essa. I n ef effetti la ste stess ssa a cosa cosa acca accade de all’interno nterno del del nostro nostro muscolo, muscolo, dove la molla è rappresentata dagli elementi elastici in serie, l’uomo dal complesso actomiosinico ed il peso dal carico esterno; un aumento del valore tensivo degli elementi elastici fino ad eguagliare il valore del carico da contrastare provocherà la sospirata contrazione. Ma cosa avviene in realtà all’interno del nostro muscolo? In effetti, una sola scossa non è in grado di indurre un allungamento della struttura elastica sufficiente a vincere il valore del carico esterno, in quanto proprio allorquando gli elementi contrattili iniziano a tirare la struttura elastica il riassorbimento del calcio ionico interrompe questo fondamentale processo; solamente una sequenza di impulsi, corrispondente al tetano, è in grado di garantire l’instaurarsi dello stato attivo per un periodo sufficientemente lungo al fine di garantire una tensi tensione one del dell’elemen elemento to elastico elastico uguale o supe superriore ore a quel quella rappr rappresen esentat tata a dal carico esterno.
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Distribuzione e differenze funzionali delle fibre muscolari In questa trattazione approfondiremo aspetti particolarmente interessanti inerenti la distribuzione organica delle fibre bianche e delle fibre rosse nonché le differenze funzionali e il comportamento delle stesse durante l’allenamento; cercheremo infine di analizzare tutti i dati a disposizione della moderna ricerca in tema di “presunta modificazione” delle caratteristiche proprie di ciascuna tipologia di fibra in seguito all’allenamento con i pesi. Aspetti caratterizzanti le caratteristiche strutturali e funzionali delle fibre a scossa lenta (ST) e a scossa veloce (FTa-FTb). Le fibre ossidative a scossa lenta (rosse) rappresentano, insieme alle glicolitiche a scossa rapida (bianche), le componenti interne al muscolo sulle quali le unità motorie agiscono. Le fibre bianche possono essere ulteriormente suddivise in altre tre categorie, aventi caratteristiche fisico-chimiche differenti; in particolare è stata rilevata la presenza di fibre rapide ossidative glicolitiche (FTa), fibre rapide glicolitiche (FTb) e fibre indifferenziate convertibili (FTc). Il primo tipo presenta caratteristiche vicine alle rosse grazie alla loro capacità di mantenere una attività contrattile relativamente prolungata nel tempo a motivo della loro capacità ad utilizzare quei processi di fosforilazione ossidativa così altamente efficaci nella produzione a lungo termine di adenosintrifosfato (ricordo che la fosforilazione rappresenta quel processo biologico attraverso il quale, grazie all’ausilio di enzimi specifici, avviene l’introduzione di uno o più gruppi fosforici in entità molecolari; nel nostro caso la molecola in questione sarà naturalmente l’ATP). Inoltre questo tipo di fibre presentano una sviluppatissima vascolarizzazione in grado di apportare rilevanti quantitativi di ossigeno e nutrienti alla fibra. Nonostante le caratteristiche precedentemente citate facciano delle fibre bianche ossidative-glicolitiche strutture resistenti alla fatica, il fattore limitante che le caratterizza è rappresentato dal fatto che ad alti livelli di attività, l’elevata attività dell’ATPasi induce una grossa scissione di adenosintrifosfato non supportata dalla comunque insufficiente ricarica dello stesso da parte dei processi di fosforilazione ossidativa; il tutto provoca, seppur in tempi nettamente più lunghi rispetto alle FTb, l’instaurarsi della fatica. Le fibre bianche per eccellenza, FTb, invece riescono a scindere molto rapidamente l’ATP e altrettanto velocemente lo riproducono attraverso la glicolisi anaerobica; il loro fattore limitante è rappresentato dal fatto che l’elevatissima attività glicolitica induce ben presto una vera e propria deplezione di glicogeno muscolare. Aspetto caratterizzante le fibre bianche è quello inerente le notevoli dimensioni in grado di garantire un elevato numero di filamenti contrattili al fine di garantire una contrazione notevolmente più vigorosa rispetto alle fibre rosse al contrario di gran lunga più piccole. Le fibre rosse a scossa lenta presentano una elevata attività di fosforilazione ossidativa in grado, contrariamente alle FTa, di garantire
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un sufficiente apporto di ATP in riferimento all’attività enzimatica dell’ATPasi comunque presente anche in questo tipo di fibre. Le tensioni che queste fibre sviluppano sono notevolmente inferiori a quelle registrate ad opera delle fibre bianche. L’ultima tipologia di fibra, quella indifferenziata (FTc), trova largo campo di studi in riferimento alle ricerche inerenti la distribuzione delle fibre in soggetti in età infantile fino ad otto anni di età. Il tipo di fibra presente negli arti e nel tronco nei primi stadi di vita fetale è quello indifferenziato del tipo FTc; Successivamente avviene la differenziazione delle fibre nei tre gruppi istochimicamente identificabili in ST, FTa e FTb. Potremmo, schematicamente, racchiudere in cinque differenti campi di applicazione esplicativa le caratteristiche che fanno dei tre tipi di fibre muscolari componenti istochimicamente particolari e con caratteristiche spiccatamente differenti.
Fibre e sistema nervoso I parametri generalmente indicativi di sostanziali differenze delle tre tipologie di fibre sono: • • •
la dimensione del motoneurone; la soglia di eccitazione del motoneurone stesso; la velocità di conduzione assonale.
Nelle fibre di tipo ST la dimensione del motoneurone è molto limitata mentre in tutti i tipi di fibre FT è molto più grande; la soglia di eccitazione al pari è molto superiore nelle fibre bianche rispetto alle rosse come pure più bassa è la velocità di conduzione assonale in queste ultime.
Caratteristiche strutturali La più importante di queste è forse il diametro delle fibre stesse, senz’altro superiore nelle bianche. Lo sviluppo del reticolo sarcoplasmatico è molto inferiore nelle fibre rosse nelle quali si registra invece una altissima attività mitocondriale, presente però anche nelle fibre di tipo FTa, unitamente alla densità capillare e al contenuto di mioglobina; questi ultimi due valori risultano di media capacità nelle FTa e di bassissima nelle FTb.
Substrati energetici Il quantitativo di fosfocreatina e glicogeno è molto superiore in entrambe le tipologie di FT mentre il contenuto di trigliceridi risulta elevato nelle ST, medio nelle FTa e basso nelle FTb.
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Aspetti enzimatici L’attivita ATPasica e quella glicolitica raggiungono soglie di operatività altissime nei tipi FTa e FTb mentre quella ossidativa è elevata nelle ST e nelle FTa ma bassa nelle FTb.
Caratteristiche funzionali Il tempo di contrazione e quello di rilasciamento risultano essere particolarmente elevati nelle FT, come pure lo sviluppo della forza e l’elasticità. L’efficienza energetica e la resistenza alla fatica giocano invece senz’altro a favore delle fibre a contrazione lenta. La muscolatura dell’individuo adulto racchiude, percentualmente, un numero pressoché analogo di fibre lente e veloci anche se in alcuni muscoli specifici si registra una predominanza più o meno netta di una o dell’altra tipologia di fibra; ad esempio, nel soleo, vi è una percentuale di fibre ossidative superiore agli altri muscoli della gamba nell’ordine del 30-40%, mentre il tricipite è costituito da fibre glicolitiche in numero del 20-30% in più rispetto agli altri muscoli del braccio. Inoltre risulta evidente una enorme disparità numerica all’interno di analoghi muscoli in soggetti diversi.
Tipizzazione delle fibre ed adattamento delle stesse all’allenamento Ancor prima di approfondire questo tanto discusso aspetto in tema al miglioramento della performance, anticipiamo alcuni fondamentali e, finora indiscutibili, concetti: La composizione quantitativa di fibre nel muscolo dell’adulto è determinata in seguito a processi di differenziazione che avvengono ancor prima della nascita ed il cui compimento definitivo avviene nei primi anni dell’adolescenza. un aumento di tali valori potrebbe essere indotto dall’allenamento (iperplasia), ma i pareri a tal proposito sono spesso discordanti e comunque dimostrati con assoluta certezza soltanto su cavie non umane.
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figura 3.5
Inoltre la distribuzione delle fibre varia, anche considerevolmente, all’interno di uno stesso muscolo in soggetti diversi. Da quest’ultimo dato è facile intuire che alcuni atleti risultano naturalmente più dotati rispetto ad altri in determinate discipline e non certo grazie a particolari allenamenti. É comunque accertato che l’allenamento stesso induce importanti variazioni strutturali all’interno dell’apparato muscolare, ed è proprio di questi che ci andremo ad occupare di seguito. Numerosi esperimenti hanno portato a conclusioni interessanti, che vedono le fibre FT protagoniste di inaspettate modificazioni percentuali. É stata rilevata una leggera diminuzione delle fibre FTa e FTb con conseguente aumento delle FTc in seguito a sollecitazioni fisiche di carattere aerobico e prolungato nel tempo; dati del genere hanno portato alla conclusione che le fibre indifferenziate FTc in realtà rappresenterebbero fibre di transizione nell’eventuale trasformazione delle FT in ST. Purtroppo non ci sono ancora dati di inconfutabile chiarezza a suffragio di questa teoria che, inevitabilmente, resta tuttora esclusivo oggetto di discussione accademica. In realtà l’unico caso di vera e propria trasformazione delle fibre da FT a ST si è verificato allorquando si effettuò un esperimento di innervazione crociata, risultato che fece emergere alla ribalta l’importanza del comando nervoso nel determinare strutturalmente e funzionalmente le caratteristiche del muscolo; di seguito all’esperimento si inizio a parlare di effetto neurotrofico.
Ipertrofia muscolare e allenamento con i pesi L’allenamento con i pesi induce indiscutibilmente un aumento, spesso rilevantissimo se la preparazione risponde a scientifici criteri di programmazione e periodizzazione, del volume e della forza dell’intero apparato muscolare. L’ipertrofia muscolare viene solitamente attribuita a differenti modificazioni quale ad esempio quelle inerenti l’incremento delle dimensioni delle miofibrille all’interno della singola fibra muscolare
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oppure lo sviluppo della capillarizzazione e l’irrobustimento dei tessuti connettivi, tendinei e legamentosi. Si attribuisce una grande importanza al rapporto esistente tra programmi di allenamento con i pesi effettivamente validi e i livelli endogeni di testosterone; in seguito ad allenamenti molto intensi e con elevati sovraccarichi i valori ematici di tale ormone aumentano considerevolmente, il che si traduce in un conseguente aumento di quella forza unica responsabile dell’ipertrofia cui fa seguito l’aumento delle dimensioni muscolari. I parametri muscolari che subiscono variazioni in seguito all’allenamento con i pesi sono svariati; si rileva ad esempio un aumento delle concentrazioni di creatina nell’ordine del 40%, del CP nell’ordine del 20% e del glicogeno con valori che sfiorano anche il 70%. L’attività enzimatica risulta naturalmente aumentata, a partire dagli enzimi glicolitici (fosfofruttochinasi ed altri). Interessantissima è la variazione riguardante le attività di turn-over degli enzimi coinvolti nella produzione di ATP nei processi di rigenerazione anaerobica, come ad esempio la creatinafosfochinasi. L’ipertrofia delle miofibrille delle fibre a contrazione rapida, si accompagna spesso ad una diminuzione volumetrica dei mitocondri, attribuibile all’aumento dimensionale miofibrillare e del volume sarcoplasmatico. Inoltre l’aumento di forza è attribuibile ad una sorta di adattamento indotto del sistema nervoso in tema di reclutamento, sincronizzazione nonché una limitazione dello stesso sistema nervoso nei confronti dell’azione inibitoria esercitata dagli organi tendinei del Golgi. Dato di fondamentale importanza è quello che attribuisce un abbassamento della soglia di eccitazione delle fibre a contrazione rapida in seguito all’allenamento. La stimolazione delle fibre a media, alta ed altissima soglia di eccitazione per lunghi periodi di tempo indurrebbe un abbassamento di questa. Un allenamento in grado di sollecitare le fibre ad altissima soglia di eccitazione indurrà un decremento di tale valore eccitatorio; tutto ciò si tradurrà in reclutamento di un maggior numero di fibre a parità di peso con conseguente aumento della forza ed, in ultima analisi, delle dimensioni del ventre muscolare.
Iperplasia e allenamento con i pesi Come già accennato in precedenza, la ricerca non è ancora in grado di fornire indicazioni certe inerenti questo affascinante processo di moltiplicazione cellulare; solo ultimamente, e in seguito a particolarissimi studi cui sono stati sottoposti atleti nuotatori, sono emersi dati attestanti l’effettivo instaurarsi del processo fisiologico. Le modalità secondo le quali si verifica iperplasia sono: •
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presenza di cellule satellite in prossimità del tessuto connettivale intorno al muscolo; rottura del tessuto stesso in seguito a contrazione eccentrica;
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fuoriuscita di sostanze stimolanti la miogenesi nelle cellule satellite (Insulin Growth Factor (IGF) 1 e 2).
La nascita di nuove fibre muscolari, avviene dalle cellule satelliti grazie all’azione indotta dalle IGF in seguito alla rottura del tessuto connettivale e attraverso processi di miogenesi.
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Fi s i o l o g i a e e p p r o g r am m azi o n e Programmare scientificamente una stagione, soprattutto se da questa ci si aspettano grossi risultati in termini di aumento delle simmetrie e della percentuale di massa magra, presuppone la conoscenza approfondita di tutti quei temi propri della fisiologia dello sport. L’analisi dei parametri che andremo di seguito ad analizzare renderà certamente più semplice, ma soprattutto professionale, la programmazione dei vostri programmi di allenamento o quelli degli allievi da voi preparati. L’individuazione del sistema energetico fornitore di ATP durante l’allenamento con i pesi è di capitale importanza; il programma di allenamento dovrà poi essere rigorosamente valutato in base alla risposta organica dell’allievo in tema di frequenza cardiaca all’esercizio, soglia anaerobica, durata delle sedute e frequenza delle stesse. La programmazione che fisiologicamente da i migliori risultati è quella che naturalmente si articola in macrocicli, mesocicli e microcicli di allenamento, facendo della periodizzazione e ciclizzazione aspetti di primaria importanza; a tal proposito possiamo aggiungere che la preparazione agonistica prevede in genere tre fasi annuali ben distinte che sono: • • •
periodo di transizione (off-season); periodo preparatorio (pre-season); periodo agonistico (in-season).
Determinanti ai fini di una programmazione senza infortuni nella quale tutte le potenzialità del vostro atleta verranno naturalmente esaltate, sono quelle tecniche di riscaldamento e defaticamento generalmente indicate come: • •
riscaldamento (warm-up); defaticamento (cool-down).
Nella fisiologia sportiva assume notevole importanza il rapporto esistente tra attività fisica specifica e miglioramento della fonte energetica propria di quella disciplina. Nel caso del bodybuilding, senza dubbio, le fonti energetiche sono due: il sistema del fosfageno e la glicolisi anaerobica. L’allenamento con i pesi senza dubbio, dal punto di vista fisiologico, migliora il rendimento di questi due cicli di produzione energetica. Gli adattamenti fisiologici che inducono all’interno di ogni cellula muscolare l’aumento del potenziale energetico, dipendono esclusivamente da un allenamento specifico che si espleti attraverso il principio del sovraccarico, incrementando cioè progressivamente i carichi di lavoro utilizzati. Naturalmente esistono precise motivazioni fisiologiche a giustificare quella fase di pre-riscaldamento così spesso bistrattata dagli
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abituali frequentatori delle palestre ma, cosa ancor più grave, completamente ignorate dagli istruttori che operano giornalmente all’interno delle palestre. Uno dei parametri a tal riguardo di primaria importanza è rappresentato dall’aumento della temperatura; l’incremento di tale valore determina: •
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rilevante aumento dell’attività enzimatica con conseguente accelerazione di quelle reazioni proprie dei sistemi energetici coinvolti; incremento del flusso sanguigno con aumento del quantitativo di ossigeno a disposizione dell’apparato muscolare; velocizzazione della contrazione miofibrillare.
É di notevole interesse fisiologico nonché pratico il dato secondo il quale all’aumentare progressivo della temperatura muscolare avviene una conseguente diminuzione dei livelli di lattacidemia. A difesa della fase di riscaldamento, possiamo ulteriormente aggiungere che il muscolo cardiaco potrebbe risultare scarsamente irrorato di sangue in caso di repentini sollevamenti di grossi carichi “a freddo”. La fase terminale, o defaticamento, può facilmente essere ricondotta a quegli importantissimi concetti in tema di restauro dall’esercizio precedentemente affrontati; oltre all’efficacia del restauro in esercizio sul riassorbimento dell’acido lattico, occorre ricordare che una blanda attività fisica dopo un’intensa seduta d’allenamento fa proseguire l’azione vigorosa della pompa muscolare, scongiurando il rischio di pericolosi accumuli di sangue soprattutto negli arti inferiori; avete presente quelle sgradevoli vertigini che talvolta si accusano in seguito ad un estenuante seduta d’allenamento a base di squat e stacchi da terra? ebbene si verifica proprio a causa di questo fenomeno fisiologico di “ristagno” sanguigno.
La pompa muscolare Durante un esercizio di corsa o anche semplicemente camminando, si verifica un’azione propulsiva prodotta dal muscolo nei riguardi del sangue; la contrazione del ventre muscolare induce una compressione venosa seguita dal pompaggio del sangue in direzione del cuore. Il ritorno a ritroso dello stesso è efficacemente impedito da un complesso sistema di valvole caratterizzate da una particolare struttura in grado di garantire il passaggio del sangue esclusivamente in direzione del cuore. Il meccanismo precedentemente descritto funziona perfettamente in condizioni di sforzo fisico non particolarmente intenso; sollecitazioni muscolari particolarmente impegnative richiedono senza dubbio un accresciuta attività fisiologica che solamente in presenza di ricche quantità di sangue, vero e proprio “rifornitore” di substrati sia energetici che enzimatici, può espletarsi senza problemi e in maniera efficace. In situazioni caratterizzate da rilevanti e vigorose contrazioni muscolari, tipiche del bodybuilding ad esempio, la pompa muscolare non è in condizioni di operare; il risultato è a noi alquanto gratificante - 43 -
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traducendosi in un aumento più o meno accentuato del volume del muscolo, situazione tipicamente caratterizzante una seduta d’allenamento con i pesi.
Modificazioni fisiologiche indotte dall’allenamento con i pesi Un prolungato allenamento induce profonde modificazioni fisiologiche in risposta a quel meccanismo di adattamento, proprio di tutte le specie viventi, grazie al quale è resa possibile la sopravvivenza nelle più diverse condizioni ambientali. In questo paragrafo ci occuperemo degli effetti fisiologici indotti dalla pratica del bodybuilding analizzando in maniera quanto più possibile dettagliata i parametri modificati in seguito all’adattamento anaerobico indotto dall’allenamento con sovraccarichi. Le modificazioni anaerobiche in questione riguardano un sostanziale accrescimento del: • •
sistema del fosfageno (ATP-PC); glicolisi anaerobica.
Il sistema del fosfageno può essere modificato in chiave enzimatica, in riferimento all’aumento di attività degli enzimi chiave implicati nella scissione e risintesi del substrato energetico, come pure in termini di aumento delle riserve muscolari di ATP e PC. Durante il ciclo del fosfageno l’ATP va incontro a continua scissione e risintesi; l’enzima che interviene nel primo processo è l’ATP-asi mentre la risintesi è realizzabile grazie alla miochinasi (MK) alla creatinfosfochinasi (CPK). La miochinasi catalizza tutte quelle reazini che hanno luogo durante il ripristino dell’ATP dall’ADP, mentre la creatinfosfochinasi interviene durante la ricarica dell’ATP in seguito all’intervento della fosfocreatina (CP). Recenti esperimenti hanno dimistrato che allenamenti particolarmente intensi possono indurre incrementi enzimatici nell’ordine di: ATP-asi= 30% MK= 20% CPK= 36% Possiamo concludere affermando che l’allenamento induce non soltanto un incremento delle riserve di ATP e CP ma anche una velocizzazione di quei processi che portano alla scissione e risintesi degli stessi. Per quanto riguarda invece la glicolisi anaerobica i risultati più sorprendenti si sono registrati in riferimento all’avvenuto incremento dell’enzima fosfofruttochinasi (PFK), importantissimo soprattutto nelle prime tappe del processo anaerobico; alcuni studi riportano incrementi dello stesso nell’ordine dell’83%. Ulteriori esperimenti hanno inoltre dimostrato che allenamenti ugualmente duri eseguiti a distanza l’uno dall’altro portavano a produzioni crescenti di acido lattico a testimonianza di un’avvenuto - 44 -
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aumento della capacità glicolitica; la conoscenza delle complesse tappe che portano alla produzione di lattato porta il moderno preparatore atletico a valutare che l’allenamento induce una velocizzazione dei processi glicolitici; una tal situazione porta sia ad una aumentata produzione energetica che ad un incremento del lattato. Occorre a tal proposito aumentare quanto più possibile la prima modificazione anaerobica limitando nel contempo la seconda. La limitazione del secondo parametro dipende esclusivamente dalla quantità di NAD (nicotinamideadenindinucleotide) disponibile a livello citoplasmatico per i normali processi di ossido-riduzione. Un considerevole aumento di questo componente può ritardare, anche considerevolmente, la necessità di ridurre l’acido piruvico ad acido lattico in seguito all’ossidazione della NADH.
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En d o c r i n o l o g i a In questa trattazione di secondo livello tralasceremo le nozioni di base per approfondire argomenti di rilevante importanza, sia per quanto concerne la conoscenza del sistema endocrino nel complesso che dal punto di vista squisitamente tecnico, andando a studiare le variazioni e i comportamenti dei vari ormoni in seguito ad allenamento fisico. Prima di iniziare la trattazione intendo riassumere il quadro complessivo delle varie ghiandole endocrine secretrici e dei rispettivi ormoni e steroidi nonché dei fattori di rilascio ipotalamici.
Fattori di rilascio ipotalamici Fattore di rilascio dell’ormone della crescita Fattore di inibizione al rilascio dell’ormone della crescita (somatostatina) Fattore di rilascio dell’adrenocorticotropina Fattore di rilascio della tireotropina (TRF) Fattore di rilascio dell’ormone follicolo stimolante Fattore di rilascio dell’ormone luteneizzante Fattore di rilascio della prolattina Fattore di inibizione al rilascio di prolattina
Strutture endocrine, ormoni e steroidi Ricordo che l’ipofisi anteriore o adenoipofisi produce sei ormoni, le cui caratteristiche andremo di seguito ad elencare; l’argomento verrà successivamente approfondito. L’ormone somatotropo, o GH, stimola la crescita ossea e muscolare interagendo inoltre con il tasso di glucosio plasmatico; la seconda modalità funzionale è particolarmente interessante e vicina a noi, sempre alla ricerca di fattori e composti che agiscano a livello prettamente metabolico. L’ormone adrenocorticotropo (ACTH) induce la produzione di ormoni corticosurrenalici La tireotropina (TSH) agisce sulla tiroide stimolandola nella produzione ormonale Le gonadotropine agiscono a livello delle gonadi, vengono per l’appunto prodotte dall’ipofisi anteriore e sono: L’ormone luteinizzante (LH), che nei testicoli stimola la spermatogenesi nonché la produzione di androgeni; lo stesso nella donna agisce stimolando la produzione di progesterone e la formazione dei corpi lutei. L’Ormone follicolo-stimolante (FSH), che Nell’ovaio stimola la crescita dei follicoli nonché la secrezione di estrogeni e l’ovulazione, mentre nel testicolo induce la secrezione di androgeni. La prolattina (PRL ), a volte denominata ormone lattogenico, è responsabile della produzione di latte nelle donne di seguito al parto. l’ipofisi posteriore, o neuroipofisi, risulta collegata all’ipotalamo tramite giunzione assonale e produce due importanti ormoni: - 46 -
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ormone antidiuretico (ADH) o vasopressina, il quale promuove svariate reazioni organiche tra le quali l’innalzamento della pressione arteriosa, promuovendo inoltre il riassorbimento di acqua nei tubuli renali; ossitocina, determinante durante il parto in quanto promuove la contrazione uterina; la propria funzionalità non si esaurisce all’atto della nascita del bambino ma continua durante l’allattamento consentendo l’eiezione del latte dalla mammella.
Ormone somatotropo (GH) L’ormone della crescita esercita un’azione a lungo termine sulla crescita e uno a corto termine sul metabolismo; eccedenze di ormone somatotropo sono responsabili di una crescita anomala delle epifisi ossee, della mascella e dei tessuti molli (acromegalia). La produzione avviene per mezzo delle cellule acidofile alfa dell’ipofisi anteriore; abbiamo in precedenza evidenziato la stretta correlazione che lega la crescita ossea con il GH, in che modo questa avvenga è spiegabile solo considerando l’azione di importantissimi fattori di solfatazione di natura peptidica presenti nel plasma, le somatomedine, le quali consentono l’interazione dell’ormone con la cartilagine epifisaria. Le somatomedine vengono prodotte dal fegato e dai reni sotto l’influenza del GH stesso. Particolarissima risulta la concentrazione plasmatica dell’ormone, presente in una quantità circa 1000 volte superiore rispetto agli altri ormoni. La spiegazione a tutto ciò è attribuibile al fatto che, al contrario degli altri ormoni ipofisari, il somatotropo interagisce con milioni di cellule non essendo deputato all’esclusivo controllo di altre ghiandole endocrine. Ogni giorno viene liberata una quantità di ormone nell’ordine del 5% del totale contenuto nell’ipofisi. Molto variabili invece risultano le concentrazioni plasmatiche dell’ormone durante la giornata, in riferimento al rapporto di proporzionalità inversa che lega GH e tasso glicemico; possono verificarsi picchi addirittura dieci volte superiori al normale livello di base! La metabolizzazione avviene naturalmente nel fegato e nei reni. Analizzando più in profondità l’azione dell’ormone a livello fisiologico si osserva un rilevante controllo della sintesi proteica con una profonda influenza sul trasporto degli aminoacidi neutri e basici all’interno delle cellule. Una simile azione è chiaramente in stretta connessione con il metabolismo, ed è fisiologicamente definita azione a breve termine, mentre la profonda influenza sulla crescita azione a lungo termine. Azi on e a lun go ter mi ne
Gli effetti a lungo termine determinano la statura dell’uomo sino la termine dello sviluppo, mentre regolano determinate funzioni in seguito al completamento dello stesso; in particolare dopo lo sviluppo la
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funzionalità si espleta in un aumento dell’anabolismo proteico unitamente ad una diminuzione della percentuale lipidica. L’aumento del metabolismo proteico si traduce in un bilancio positivo di azoto e fosforo. Non di secondaria importanza il controllo che l’ormone esercita sulle dimensioni e sul corretto funzionamento dei reni. Effetti a breve termine
Profonda l’influenza che il GH apporta a livello di metabolismo. I complessi meccanismi di regolazione omeostatica ed interna in genere sono sovente controllati da ormoni e steroidi. Sappiamo che normalmente una rilevante quantità di energia di rapido utilizzo è resa disponibile attraverso i processi ossidativi anaerobici della glicolisi; il nostro sistema di regolazione interna deve però prevedere un valido sistema “ausiliario” da attivare automaticamente in caso di deplezione glicemica, ed è proprio in questa circostanza che il GH funge da fornitore ausiliario di ATP, mobilitandoi depositi adiposi a scopo energetico. L’instaurarsi di tale fenomeno porta alla comparsa nel sangue dei prodotti del catabolismo lipidico (corpi chetonici) seguita da un aumento della concentrazione plasmatica di glucosio. Interessante l’analisi delle variazioni circadiane della concentrazione plasmatica dell’ormone somatotropo in riferimento ai pasti.
figura 3.6
Ormone adrenocorticotropo (ACTH) e ghiandole surrenali La zona superiore dei reni (polo) ospita queste importantissime ghiandole endocrine, responsabili della produzione di svariati ormoni e steroidi, tutti implicati in funzioni che vanno dalla regolazione della gettata cardiaca alla demolizione aminoacidica a scopo energetico (gliconeogenesi) fino alla regolazione dell’osmolarità interna. Due zone ben distinte caratterizzano funzionalmente le surreni: • •
corteccia surrenale (produzione di steroidi); midollare surrenale (produzione di catecolamine). - 48 -
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Corteccia surr enale
Questa importante zona secerne ormoni steroidei, controllando l’omeostasi salina e il metabolismo organico; una ulteriore classificazione interessa gli steroidi corticosurrenali, suddividendo gli stessi in glicocorticoidi e mineralcorticoidi. Glicocorticoidi
Il principale rappresentante di questa classe di steroidi è il cortisolo, anch’esso coinvolto, proprio come il GH, nel garantire una quota supplementare di energia in caso di necessità e sempre in concomitanza con la diminuzione del glucosio plasmatico. Interessante l’analisi degli accadimenti fisiologici che si verificano in seguito al verificarsi di una situazione di forte stress, quale ad esempio il percepire un grosso pericolo di fronte al quale la stessa sopravvivenza è in gioco. L’evoluzione biologica ha dotato il nostro patrimonio fisiologico di determinati sistemi in grado di promuovere una rapida fuga nonché’di mantenere la stessa per un periodo quanto più possibilmente lungo nel tempo. Subito dopo la percezione del pericolo avviene il rilascio di catecolamine dalla porzione midollare (adrenalina e noradrenalina) promuovendo la reazione di attacco o fuga; naturalmente una reazione, sia di fuga che di attacco, proprio in virtù del fatto che deve realizzarsi in brevissimo tempo e in maniera estremamente vigorosa, necessiterà di enormi quantitativi di ATP, naturalmente messi prontamente a disposizione dal ciclo del fosfageno e dalla glicolisi anaerobica. La normale condizione di ipoglicemia susseguente ad una così intensa e violenta reazione fisiologica impedirebbe, teoricamente, una eventuale fuga o comunque il proseguire della eventuale prestazione d’emergenza; naturalmente esiste un sistema in grado di garantire la continua fornitura di energia anche in seguito all’esaurimento delle scorte di glicogeno muscolare ed epatico. Il rilascio di catecolamine è sempre seguito da una considerevole secrezione di cortisolo, il quale assolve al duplice compito di: • •
•
impedire il consumo di glucosio ematico; garantire una continua fornitura dello stesso anche in seguito a deplezione delle scorte ematiche; rifornire di aminoacidi liberi i tessuti eventualmente bisognosi di riparazioni (situazione eventualmente frequentissima migliaia di anni fa quando l’uomo lottava fisicamente per la propria sopravvivenza).
Le funzioni precedentemente citate schematicamente riassunte in termini fisiologici di: • •
•
possono
essere
impedire l’entrata di glucosio nei tessuti; aumentare l’afflusso di aminoacidi al fegato per la sintesi di nuovo glucosio, importante fenomeno che va sotto il nome di gliconeogenesi; trasformare il metabolismo muscolare da glicidico a lipidico, mobilizzando gli acidi grassi dal tessuto adiposo. - 49 -
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Acerrimo nemico di chiunque desideri raggiungere importanti aumenti della massa magra, il cortisolo va ad intaccare le proteine tissutali e muscolari e, tramite processi di deaminazione, trasforma le stesse in zuccheri aumentando nel contempo la percentuale di glucosio plasmatico e i depositi di glicogeno; una situazione del genere induce, come se non bastasse, un incremento della produzione insulinica con conseguente aumento del peso corporeo, situazione quest’ultima drammaticamente distruttiva per chi non pratichi attività fisica, consumando pasti ipercalorici e vivendo un’esistenza stressante dal punto di vista nervoso. Le variazioni circadiane della produzione plasmatica totale di cortisolo sono indicate in figura 3.7 e sono in riferimento ad una eventuale situazione di stress; notate il tempo che a volte trascorre prima che il cortisolo torni a livelli normali in seguito a sollecitazioni nervose e fisiche particolarmente rilevanti!
figura 3.7 M ineralcorti coidi
Il principale steroide appartenente a questa classe è senza dubbio l’aldosterone, la cui produzione è strettamente connessa al bilancio idrosalino presentando un ritmo circadiano molto simile a quello del cortisolo; notissime ai praticanti di bodybuilding le proprietà diuretiche di questo steroide. La funzionalità dell’aldosterone si espleta a livello dei tubuli distali dei reni, aumentando la capacità degli stessi a riassorbire sodio (Na) e a secernere potassio (K) e cloro (Cl); il riassorbimento di sodio è sempre accompagnato da un analogo assorbomento di acqua favorito inoltre dalla presenza dell’ormone antidiuretico (ADH), circostanze che portano ad un aumento del liquido extracellulare (parametro utilizzato in medicina per valutare la rilevanza di contenuto di sodio nell’intero organismo). La concentrazione plasmatica dell’aldosterone è in rapporto al metabolismo del sodio, in un rapporto di proporzionalità inversa; un anomalo innalzamento del tenore di sodio induce un abbassamento nella produzione di aldosterone con conseguente espulsione del sodio stesso attraverso i reni. É a tal proposito interessante analizzare l’influenza che lo stesso potassio ha sullo steroide aumentandone la secrezione alla sua presenza; ecco finalmente spiegata la spiccata caratteristica diuretica del potassio a noi tanto cara. - 50 -
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Midollare surr enale
La porzione midollare delle ghiandole surrenali secerne adrenalina, noradrenalina e dopamina. Le funzioni dei due ormoni sono molteplici e comunque sempre in stretta correlazione con la stimolazione del sistema nervoso e del metabolismo, con effetti che vanno dalla glicogenolisi epatica e muscolare alla mobilizzazione degli acidi grassi seguente all’aumento del metabolismo. Entrambi aumentano la forza e la frequenza delle contrazioni cardiache, la noradrenalina in particolare induce l’instaurarsi di fenomeni vasocostrittivi mentre l’adrenalina, al contrario, dilata i vasi dei muscoli scheletrici e del fegato. Profonda anche l’influenza che le catecolamine esercitano a livello glicemico; entrambe inducono fenomeni di glicogenolisi. Gli stessi ormoni pancreatici, insulina e glucagone, sono soggetti a controllo secretivo attraverso i meccanismi alfa e beta adrenergici caratteristici delle catecolamine. Effetti delle catecolamine sugli acidi grassi, sul metabolism o energetico e sull’acido l attico
Sia l’adrenalina che la noradrenalina presentano spiccate caratteristiche di mobilizzazione degli acidi grassi. Rilevante è l’aumento che inducono anche a livello di metabolismo energetico; l’aumento di quest’ultimo parametro è attribuibile a due fasi ben distinte che si susseguono e che sono: • •
vasocostrizione cutanea; ossidazione dell’acido lattico nel fegato.
Il primo fenomeno porta ad una notevole riduzione della perdita di calore che induce un aumento della temperatura corporea cui segue un incremento dell’attività enzimatica muscolare. Per quanto concerne l’ossidazione dell’acido lattico nel fegato questa è naturalmente determinata dalla maggiore utilizzazione del glucosio in seguito all’instaurarsi dei fenomeni di glicogenolisi indotti dalla presenza delle catecolamine stesse.
Tiroide, T3 e T4; effetti degli ormoni tiroidei L’ormone prodotto e liberato nel sangue dalla tiroide è l’ormone tiroideo. Strutturalmente l’ormone sovracitato nasce dall’unione di due ulteriori ormoni, la triiodotironina (T3) e la tetraiodotironina (T4) o tiroxina. Nell’adulto un aumento della concentrazione di tale ormone induce un considerevole aumento del metabolismo caratterizzato solitamente da uno stato di ipereccitazione nervosa.
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Principali effetti degli ormoni tiroidei Azi on e cal or igen a
Triiodotironina (T3) e tetraiodotironina (T4) inducono un aumento del consumo di ossigeno in quasi tutti i tessuti metabolicamente attivi, ad eccezione del cervello, dei testicoli, dell’utero e delle ghiandole linfatiche. Particolarissima l’influenza della T4 sull’ipofisi anteriore nella quale il consumo di ossigeno è completamente depresso nel momento in cui avviene l’interazione tra l’ormone e la ghiandola endocrina. Importantissima la profonda influenza che la T4 ha nei confronti del metabolismo basale, l’aumento del quale si manifesta dopo qualche ora dalla somministrazione perdurando per diversi giorni, in alcuni casi fino ad una settimana. Naturalmente l’entità dell’effetto è attribuibile alla soggettiva capacità di secrezione delle catecolamine nonché dal valore iniziale del metabolismo basale stesso. Un aumento del metabolismo indotto dalla T4 induce una serie di effetti, uno dei quali è a noi particolarmente sgradito, ossia l’anomala escrezione azotata; un regime alimentare che non preveda considerevoli aumenti della quota protidica in seguito all’aumento del metabolismo andrà senz’altro incontro ad una situazione di sicuro degrado muscolare seguito da perdita di peso. Altro effetto indesiderato, questa volta caratteristico delle patologie ipotiroidee, è quel caratteristico gonfiore provocato dalla ritenzione idrica; la spiegazione del fenomeno è da ricercarsi considerando la struttura istologica della cute, composta da proteine combinate con polisaccaridi, quale ad esempio l’acido ialuronico il quale, in seguito a patologie ipotiroidee, si accumula provocando il rigonfiamento della cute stessa. Soltando la somministrazione di ormoni esogeni può, in soggetti affetti da ipotiroidismo, indurre una rimozione delle proteine seguita da un’accentuazione della diuresi. La iperproduzione di calore che si verifica in soggetti che fanno uso di ormoni tiroidei, oltre ad indurre un aumento della temperatura corporea, provoca un aumento della gittata cardiaca in seguito all’azione combinata, sul cuore, delle catecolamine endogene stimolate dall’avvenuto aumento del quantitativo di ormoni tiroidei in circolo. Inoltre quando il metabolismo basale va incontro ad un incremento, aumenta conseguentemente il fabbisogno di tutte le vitamine; aumenta in tal senso, il rischio di ipovitaminosi, specie in riferimento al fatto che chi fa uso di ormoni tiroidei è spesso decisamente intenzionato a dimagrire, abbinando quindi all’assunzione ormonale regimi alimentari abbondantemente insufficienti. Al contrario l’assorbimento e la metabolizzazione vitaminica si riducono drasticamente in caso di ipotiroidismo; in particolare si riduce drasticamente l’assorbimento della cianocobalamina (B12); inoltre gli ormoni tiroidei sono responsabili della conversione epatica del carotene in vitamina A (l’accumulo di carotene nel sangue proprio della carotenemia è responsabile della colorazione giallastra della cute).
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Effetti su l sist ema nervoso
La caratteristica lentezza dei processi mentali propria dell’ipotiroidismo potrebbe sorprendere in quanto in precedenza abbiamo affermato che il consumo di ossigeno nel cervello non è in relazione alla quantità di ormoni tiroidei circolanti, tanto meno possiamo affermare che ulteriori parametri, quali il flusso sanguigno e il consumo di glucosio nel cervello stesso sono influenzati da situazioni di ipotiroidismo. I dati scientifici a tal proposito sono spesso discordanti, ma si presuppone che gli effetti cerebrali degli ormoni tiroidei siano in parte attribuibili ad un avvenuto aumento della sensibilità alle catecolamine; inoltre è comunque dimostrato che lo sviluppo cerebrale è strettamente connesso alla produzione endogena di tali ormoni, ed alla carenza di questi nell’età dello sviluppo si accompagnano fenomeni quali anomalo sviluppo delle sinapsi nonché insufficiente mielinizzazione assonale, con conseguente ritardo dello sviluppo mentale. Importante in questa trattazione è considerare gli effetti indotti dagli ormoni tiroidei a livello di sistema nervoso periferico, ed in particolare sul riflesso da stiramento muscolare, il quale risulta più breve nell’ipertiroidismo e più lungo nell’ipotiroidismo. Effetti dell’ipertiroidismo sul muscolo scheletrico
Un particolarissimo fenomeno di debolezza muscolare caratterizza i soggetti affetti da ipertiroidismo, la patologia viene indicata come miopatia tireotossica. Le cause sono attribuibili senz’altro ad un aumentato catabolismo proteico. Effetti sul m etabolism o dei glucidi
Gli ormoni tiroidei aumentano considerevomente la velocità di assorbimento gastrointestinale dei glucidi; situazioni di ipertiroidismo aumentano considerevolmente il picco glicemico in riferimento all’avvenuto aumento della capacità di assorbimento degli stessi di seguito ad un pasto glicemico, ma e pur vero che tale valore, talvolta altissimo, decresce assai rapidamente per opera dell’insulina pancreatica. Le nozioni precedentemente indicate sono determinanti in fase di programmazione agonistica di soggetti che assumono ormoni tiroidei. Effetti sulla metabolizzazione del colesterolo
É ampiamente dimostrato che gli ormoni tiroidei riducono drasticamente i livelli circolanti di colesterolo; il fatto che il livello plasmatico di colesterolo inizi a diminuire ancor prima che il metabolismo aumenti è senz’altro a dimostrazione del fatto che questa specifica azione è indipendente dal consumo di ossigeno indotto dagli ormoni della tiroide. Inoltre la diminuzione di colesterolo è senz’altro attribuibile ad un particolarissimo effetto che segue l’assunzione di ormoni tiroidei, ossia l’aumento numerico dei recettori per l’LDL .
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Interazioni tra ormon i ti roidei, ipofis i, GH e accrescimento co rporeo
Una patologia ipotiroidea nell’età dello sviluppo è caratterizzata da un rallentato accrescimento osseo seguito da un ulteriore ritardo nella chiusura epifisaria. Profonda è la connessione che lega l’ipotiroidismo alla produzione di GH ipofisario; in particolare una carenza di ormoni tiroidei induce una minore secrezione di GH senza poi considerare che gli stessi potenziano gli effetti dell’ormone somatotropo sui tessuti.
Pancreas, insulina e glucagone La funzionalità del pancreas va dalla produzione di numerosi enzimi digestivi alla produzione ormonale. Il secondo aspetto ci interessa più da vicino in quanto lo studio del metabolismo glicemico ricopre notevole importanza in campo sportivo.
Insulina L’insulina è prodotta e immagazzinata in zone particolari del pancreas, le isole del Langerhans; generalmente possiamo affermare che l’insulina: •
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favorisce la diffusione di glucosio e aminoacidi attraverso la membrana cellulare (tale caratteristica funzionale non si espleta nelle cellule nervose e in quelle epatiche nelle quali tale processo avviene in modo spontaneo); attiva quelle reazioni enzimatiche che nel fegato e nel tessuto muscolare consentono lo stoccaggio del glicogeno, delle proteine e dei grassi; riduce la degradazione dei trigliceridi epatici, seguente al blocco di qualsiasi manifestazione gliconeogenetica indotta dall’insulina stessa.
L’assenza di questo ormone è caratterizzata dal susseguirsi di reazioni contrarie a quelle precedentemente indicate, diminuendo l’utilizzazione del glucosio e degli aminoacidi e aumentando la degradazione di glicogeno, grassi e proteine. Rapporto insuli na - lavoro muscol are
L’ingresso del glucosio all’interno dei muscoli scheletrici aumenta, durante il lavoro muscolare, in assenza di insulina; inoltre l’esercizio incrementa in maniera rilevante l’affinità dei recettori muscolari per l’insulina. Ritengo doverosa una appendice che illustri schematicamente i possibili rischi nei quali potrebbe incorrere un soggetto diabetico che intenda sottoporsi ad allenamento fisico; il lavoro muscolare può causare una precipitosa caduta della glicemia nei diabetici in terapia insulinica in quanto l’assorbimento della glicemia iniettata è superiore durante l’esercizio.
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Importante consiglio che voi tecnici potete fornire è quello di consigliare una maggiore ingestione di alimenti oppure ridurre il dosaggio insulinico in previsione di attività fisica. Gli effetti anabolizzanti dell’ins ulina
La presenza dell’insulina accelera notevolmente l’anabolismo proteico e la sintesi proteica aumentando inoltre il trasporto di aminoacidi nelle cellule; questo effetto anabolico dell’ormone è coadiuvato dal fenomeno di risparmio proteico esercitato da un rilevante apporto glucidico nelle cellule. Funzionalità del gl ucagone nell’attività fisi ca e analisi degli int egratori che ne stimolano l a secrezione
Un pasto proteico aumenta la secrezione di glucagone, ed in particolare gli aminoacidi glucogenici sono particolarmente potenti in tal senso, in virtù del fatto che la loro conversione in glucosio nel fegato avviene sotto l’influenza del glucagone stesso; inoltre l’aumento dell’ormone in seguito ad un pasto proteico è utilissimo anche in quanto gli aminoacidi stimolano la secrezione insulinica (con gli effetti anabolizzanti che conosciamo, promuovendo inoltre l’immagazzinamento dei glucidi e dei lipidi assorbiti) il cui effetto ipoglicemico è impedito dal glucagone stesso. La secrezione del glucagone aumenta durante il digiuno come pure in condizioni di sforzo fisico; inoltre l’aumento della produzione epatica di glucosio è reso possibile dalla diminuzione del tasso insulinico, caratteristico durante una prestazione atletica, ma soprattutto grazie all’aumento del glucagone plasmatico. La risposta glucagonica agli aminoacidi è superiore in caso di assunzione orale rispetto alla somministrazione endovenosa.
Testosterone; biosintesi, metabolismo ed azione fisiologica Il testosterone rappresenta il principale ormone prodotto nei testicoli e chimicamente è un C-19 steroide. Viene sintetizzato nelle cellule di L eydig partendo da un precursore, il colesterolo. La secrezione è sotto il controllo dell’ormone luteinizzante (LH) che stimola le cellule di Leydig incrementando la formazione di AMP ciclico. Il testosterone esercita una retroazione negativa sulla secrezione ipofisaria di LH, per cui l’assunzione esogena dello steroide blocca il rilascio dell’ormone luteneizzante ipofisario. Profonda l’influenza che il testosterone ha a livello di sintesi proteica e di anabolismo in genere. Effetti i ndotti dal testosterone in fase di crescita
Gli organi genitali esterni come gli interni subiscono radicali modificazioni sotto l’influenza del testosterone; tutto l’apparato riproduttivo aumenta dimensionalmente mentre all’interno la prostata e - 55 -
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le vescicole seminali crescono; queste ultime iniziano poi a produrre fruttosio, principale alimento degli spermatozoi. La voce diviene più profonda in seguito all’ingrossamento delle corde vocali e della laringe, aumenta nettamente il numero di peli sul corpo e sul viso mentre dal punto di vista prettamente caratteriale aumenta l’aggressività e l’attrazione nei riguardi del sesso opposto. Effetti anabolici del testosterone
Gli androgeni aumentano la sintesi proteica bloccandone nel contempo la scissione. In riferimento all’effetto anabolico si riscontrano fisiologicamente i seguenti effetti secondari: • • •
ritenzione di sodio; ritenzione di potassio, acqua, calcio e solfati; accrescimento dei reni.
Secrezione del testosterone
La normale secrezione dello steroide è nell’ordine dei 4-9 mg/die. Nelle donne avviene una piccolissima produzione, ad opera delle ovaie e delle ghiandole surrenali. Trasport o e metabolizzazione
Quasi il 100% del testosterone presente nel plasma è sotto forma legata a proteine; il quantitativo plasmatico totale nell’uomo adulto è di 0,65 microgrammi per decilitro di sangue nell’uomo e di 0,03 per la donna; il dato in riferimento all’uomo decresce con il trascorrere degli anni. Importantissima la quota che viene effettivamente convertita in sostanza fisiologicamente attiva (estrogeno), responsabile di tutti gli effetti sopra descritti e della quale parleremo di seguito; la maggior parte del testosterone circolante viene però convertita in 17chetosteroidi (il testosterone è chimicamente un C19-steroide) venendo successivamente espulsa con l’urina. I due terzi dei 17-chetosteroidi sono di provenienza surrenale, mentre il restante terzo testicolare. Ricordo che il testosterone, come tutti i composti che derivano da questo, sono definiti “androgenici”, ma comunque la potenza androgena varia a seconda dei casi; ad esempio i 17-chetosteroidi hanno una potenza androgena del 20% inferiore a quella del testosterone. Conversione del testosterone e funzione prostatica
Nella prostata, cosiddetto bersaglio primario, il testosterone subisce la trasformazione in diidrotestosterone (DHT), forma fisiologicamente attiva in determinate funzioni, quali l’ingrandimento della prostata stessa, la peluria del viso, lo stempiamento e l’acne giovanile. É altresì vero che l’ingrandimento della muscolatura è mediato direttamente dal testosterone. La quota di DHT plasmatico è del 10% rispetto a quella di testosterone!
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Effetto anabolico del testosterone a livello cellulare
La dinamica grazie alla quale il testosterone induce aumenti drammatici della sintesi proteica è la stessa che caratterizza tutte le produzioni indotte da steroidi; ricordo che l’azione dinamica degli steroidi è completamente diversa da quella degli ormoni non steroidei, non penetrando questi ultimi fin dentro il nucleo della cellula interagendo con il DNA. Il testosterone si combina con una proteina che trasporta l’androgeno stesso fin dentro al nucleo dove avviene la formazione di nuovo m-RNA. L’allenamento con i pesi, se intensissimo, può indurre sensibili incrementi del tasso di testosterone endogeno.
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Il s s u p er al l en am en t o Si tratta di un termine che indica, in termini tecnici, la condizione di un atleta in situazione di ridotta capacità prestativa a causa dell'affaticamento generale provocato da un eccesso di allenamento. Dovrebbe essere solo una delle variabili che possono succedere nell'ambito di una programmazione, ma grazie alla diffusione di schede assassine ad alto contenuto di serie e sedute settimanali, divulgate da pseudo-istruttori, pseudo-proprietari di palestra/istruttori, o pseudoistruttori di aerobica tuttofare, il superallenamento è diventato una vergognosa costante. In quest'articolo farò un excursus su tutto quello che riguarda questo problema e togliervi, se possibile, dalle grinfie dell'ennesimo "stregone", magari vice-campione del mondo ("...con molta meno roba di tutti", frase che sento dire da quasi tutti quelli che gareggiano, mah...). Come è noto un atleta, durante un normale ciclo di 2 settimane di allenamento, accusa un normale accumulo di fatica che viene in genere normalmente smaltito tramite l'effettuazione di un microciclo di scarico (un periodo con un ridotto carico di lavoro). Se invece alla fine di queste settimana/e di rigenerazione il soggetto riferisce ancora fatica, magari associata a cali di prestazione, siamo di fronte fronte appunto al superallenamento. Secondo Fry, Morton e Keast (1991) la definizione esatta è la seguente: "Il superall enamento (overtraining) è il termine generale che indica che l' individuo è stato sottoposto a stress, derivanti dall' all enamento e da altr i stress estr anei (per esempio quelli legati al lo stil e di vita), al punto da non essere più in grado di esprimere una prestazione di livello ottimale dopo un appropriato periodo di rigenerazione. Per una diagnosi di sovrallenamento ènecessaria una caduta di pr estazione" .
Nel caso del bodybuilding, anzi nel natural bodybuilding un segnale estremamente indicativo può essere quindi un calo delle forza, visto che è dato oggettivo soggetto a poche variabili e rivelatosi affidabile in anni di nostri test sul campo. L'overtraining, secondo Fry, Morton, Keast (1991) e Kuipers e Keizer, (1988) si suddivide in: Sovraffaticamento (overreaching): si tratta di un affaticamento che va’ al dì là del normale recupero dell'atleta, cioè superiore agli stress che generalmente derivano dal training. Definito anche come sovrallenamento a breve termine (short-term overtraining), il sovraffaticamento deve essere distinto dai normali alti e bassi di performance giornalieri. L'overreaching richiede naturalmente un recupero più ampio (7-15 giorni) rispetto alla fatica standard del training e viene considerato il primo gradino verso il baratro del sovrallenamento, anche se non sempre sfocia in tal senso. A volte il sovraffaticamento può essere provocato in maniera strategica al fine di ottenere una maggiore supercompensazione di rimbalzo; un esempio può essere il metodo delle sedute consecutive (lo stesso muscolo allenato per due o tre giorni di seguito). Sovrallenamento a lungo termine (overtraining syndrome o staleness): siamo di fronte ad un calo di prestazione che dura molto tempo, corredato anche da vari sintomi psico-fisici. Il più indicativo è - 59 -
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sempre la perdita di performance (Fry, Morton e Keast, 1991) ma fondamentali sono anche i segnali del corpo come lo staneless, cioè il sentirsi completamente "svuotato" e privo di ogni reazione agli stimoli dell'allenamento (Kuipers e Keizer, 1988). E' ovvio che i tempi di recupero prestativo in questo caso sono più lunghi, possono essere di svariate settimane o addirittura mesi e ovviamente non portano ad una supercompensazione come nel caso del sovraffaticamento "mirato". Sovraffaticamento muscolare (muscolar overstrain): si tratta del sovrallenamento solo di alcuni muscoli (Israel 1976), in cui il troppo stress ha provocato anche danni strutturali (Fry, Morton e Keast, 1991; Kuipers e Keizer, 1988). Il recupero medio è di 14 giorni (Kuipers e Keizer, 1988) ma in alcuni casi (come il mal di gambe dei ciclisti e dei podisti) possono essere necessari anche mesi. Nel bodybuilding il muscolar overstrain può verificarsi nelle gambe quando prima di una gara, si incrociano inevitabilmente il lavoro con i pesi e quello aerobico per la definizione (che coinvolge quindi molto la parte inferiore) . In questa situazione è facile sentirsi la gambe a pezzi anche al solo camminare; in questo caso, visto che non si può rallentare l'attività aerobica per non pregiudicare la giusta qualità muscolare, bisogna limitare al minimo (massimo una volta a settimana) il lavoro sulle gambe. Questa seduta unica dovrà avere un volume di lavoro ridotto ( è proprio il volume troppo alto che aumenta le possibilità di sovrallenamento) e con un intensità molto alta. Il muscolar overstrain normalmente è associato al sovraffaticamento, ma può comparire prima o affiancarsi al sovrallenamento a lungo termine. Quindi attenzione a calibrare il lavoro prima di una gara. Il sovrallenamento, secondo Israel (1958) si può a suo volta dividere in due categorie, cioè uno che deriva dalla dominanza del sistema nervoso simpatico e l' altro riconducibile al sistema nervoso parasimpatico. Il sistema nervoso simpatico è responsabile, tra l'altro, l'aumento del battito cardiaco, della circolazione e dell'utilizzo del glicogeno. iI sovrallenamento "simpatico" (che deriverebbe da un eccessivo e prolungato stress sull'asse ipofisi-surrene) è normalmente associato alla pratica degli sport anerobici, cioè di velocità e di potenza e riguarderebbe sopratutto i giovani atleti (autori citati da Fry, Morton e Keast, 1991). Questo tipo di sovrallenamento è caratterizzato da svariati sintomi, cui l'allenatore deve prestare attenzione massima al fine di prendere gli opportuni provvedimenti. Questi sintomi possono essere (Fry, Morton e Keast, 1991; Lehmann et al., 1993, Kuipers e Keizer, 1988): Sintomi prestativi • • • • •
calo della prestazioni agonistica; diminuzione della forza; diminuzione della potenza massima; fatica generalizzata; difficoltà di recupero.
Cardiocircolatorio •
aumento della frequenza cardiaca a riposo;
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aumento della pressione a riposo; rallentamento della velocità di recupero della frequenza cardiaca al termine di un carico lavorativo; possibili modificazioni del tracciato elettrocardiografico.
An tr op om etr ico •
diminuzione della massa corporea; questa può essere associata a una perdita di grasso corporeo; questa può essere associata a una perdita di grasso corporeo e ad un bilancio azotato negativo (che comporta una diminuzione di tessuto muscolare);
Immunologico •
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aumento della suscettibilità alle infezioni ed alle malattie, con modificazione dei profili ematici immunologici; riattivazione di herpes virali; gonfiore di ghiandole linfatiche; emotivo e comportamentale; demotivazione nei confronti dell'allenamento e della competizione; disturbi del sonno con o senza sudorazione notturna; instabilità emotiva; diminuzione dell'appetito; apatia e senso di depressione; difficoltà di concentrazione.
Nota:
la comparsa di uno o più di questi sintomi, se non sono accompagnati da cali della performance, non indicano necessariamente uno status di sovrallenamento. Il sistema nervoso parasimpatico tende invece ad avere una azione prevalentemente di risparmio e quindi rallenta il battito cardiaco, aiuta l'assimilazione e il deposito delle sostanze nutritive. Il sovrallenamento "parasimpatico", conseguente all'esaurimento del sistema neuroendocrino dovuto a stress troppo prolungati, è tipico degli sport aerobici (anche se molti sono i casi di sovrallenamento "simpatico" in atleti di sport di resistenza) ed è il logico risultato della folle corsa all 'aumento, a volte sconsiderato, di volumi e delle intensità degli odierni atleti di alta qualificazione. Coinvolgerebbe soprattutto i soggetti più anziani. Secondo Kuipers e Keizer, (1988) Il sovrallenamento "simpatico" portando comunque al "collasso" il sistema nervoso, potrebbe portare al sovrallenamento "parasimpatico", causando così una situazione gravissima risolvibile solo con tempi lunghissimi di recupero. I sintomi del sovrallenamento parasimpatico sono molto difficili da individuare, perchè ha volte sono molto simili alle normali reazioni reazioni dell'allenamento. Comunque Kuipers e Keizer (1988) indicano i seguenti sintomi-spia: • •
peggioramento della prestazione; più rapido recupero della frequenza cardiaca a riposo;
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decremento della concentrazione di lattato a carichi submassimali; decremento della massima produzione di lattato a carichi submassimali; facilità di affaticamento; ipoglicemia durante l' esercizio; comportamento flemmatico o depresso; diminuzione dei livelli plasmatici di adrenalina e noradrenalina dopo uno sforzo incrementale condotto fino a livelli massimali (Urhausen et al., 1995). E' facile notare che alcuni sintomi di sovrallenamento "parasimpatico" sono paradossalmente uguali ai normali segnali di aumento della performance; è per questo che questa forma di overtraning è molto difficile da individuare, anche perché l' atleta si trova apparentemente in normali condizioni fisiche. Molti sono i test di valutazione provati negli anni per individuare per tempo i sintomi del sovrallenamento. Come al solito però, quasi tutti i studi in tal senso non sono svolti su sport di potenza, né tanto meno sul bodybuilding. Ci sono centinaia di studi svolti esclusivamente su sport di resistenza, come se fossero gli unici a essere praticati nel mondo e comunque i soli che portano al sovrallenamento. Le notti insonni, la perdita di peso e forza sono invece enormemente diffuse nelle nostre palestre, senza che molti facciano neppure 10 minuti di cyclette "sennò perdo massa". Ciononostante sembra che negli ultimi anni l'indice dato dal rapporto testosterone (totale e libero)/cortisolo e testosterone libero/cortisolo, siano quasi unanimemente, considerati test estremamente decisivi per l'individuazione del stato di allenamento ottimale, sia aerobico che anearobico. Più precisamente secondo Adlercreutz et altri (1986), il superallenamento interverrebbe quando il rapporto testosterone libero/cortisolo diminuisce oltre il 30% o con un valore al dì sotto di 0,00035. Secondo Hakkinen et altri (1987) e Busso et altri (1990), c'è una relazione statisticamente significativa tra la concentrazione di testosterone od il rapporto testosterone/cortisolo, e le modificazioni della forza e della potenza durante un ciclo annuale di allenamento. Sempre Hakkinen et altri (1990), hanno riscontrato, in uno studio su sette donne non atlete, una correlazione significativa tra velocità di produzione di forza di 500N e curva forza-tempo da un lato, e livelli di testosterone totale e libero dall'altro. Tutto questo nonostante tutto il corredo ormonale esaminato (tra cui il cortisolo), non aveva subito cambiamenti significativi durante le 16 settimane di allenamento. Alla luce di questo studio, appare evidente che nelle donne i livelli di testosterone possono rivelarsi fondamentali per lo sviluppo della forza e come test per ottimizzare l' allenamento. In un altro studio di Seidman et altri (1990), su un gruppo di 35 soggetti non atleti, è stato riscontrato che dopo 18 settimane di allenamento, i livelli di testosterone erano simili a quelli iniziali. Tuttavia il rapporto testosterone/cortisolo risultava inferiore al normale e questo sia alla dodicesima che alla diciottesima settimana. Appariva chiaro che era l'aumento del cortisolo ha determinare uno stato di relativo catabolismo. Anche Belcastro et altri (1990), riscontrarono una •
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diminuzione del rapporto T/C su un gruppo di 6 atleti in evidente sovraffaticamento, che facevano parte di una squadra di 20 soggetti che si preparavano ai campionati del mondo. Adesso, per chi l'abitudine di mitizzare in maniera eroica gli sport aerobici (ritenuti, chissà perché, più "leggendari", pensate per esempio al ciclismo o alla maratona), diamo di seguito alcuni dati sui livelli di testosterone di questi atleti. Cominciamo con il dire che (Deschenes e altri, 1991; Hackney, 1989) hanno riscontrato negli atleti di resistenza livelli di testosterone a riposo inferiore AI SEDENTARI. Tale situazione può quindi spiegare, almeno in buona parte, il calo di desiderio sessuale riferito anche da alcuni atleti di natural bodybuilding (in quelli non natural, mi sembra ovvio che è più alto!) in preparazione pre-gara, dove il lavoro aerobico aumenta di molto (per arrivare ad una bassa percentuale di grasso corporeo) e si somma al normale allenamento con i pesi. Questa diminuzione del testosterone non è del tutto chiara, ma sarebbe da ascrivere ad un minor rilascio di LH (Ormone luteinizzante, stimola la produzione di testosterone nei testicoli) dovuto ad un non corretto funzionamento dell'ipofisi del fondamentale asse ipotalamo-ipofisitesticoli (Hackney e Sinning, 1986; Hackney, 1989). Secondo Lehmann e altri (1993) invece, tale fenomeno non dipenderebbe da disfunzioni ipofisarie in quanto si sono trovati alti livelli di LH e FSH sia in soggetti in top-form che in superallenamento. Tanto per dare la botta finale, gli UNICI sportivi che possono vantare livelli di testosterone a riposo superiori agli altri atleti sono proprio quelli bistrattati e ghettizzati che si allenano con i pesi (Deschenes e altri, 1991; Hakkinen e altri, 1985; Hakkinen e altri, 1988), anche se secondo Nicklas e altri (1993) non è regola fissa. Comunque nel passato la valutazione precisa del dosaggio di testosterone/cortisolo era possibile solo tramite il prelievo di un campione di sangue venoso e l'utilizzo di un'analisi radioimmunologica, ed era quindi non molto pratica da utilizzare sul campo. Recentemente invece è stata messa a punto una tecnica che permette la misurazione del C/T tramite semplicemente un tampone cilindrico di cotone simile a quello utilizzato dai dentisti. Il tampone viene tenuto in bocca per circa 60-90 secondi, inserito nella provetta e spedito al laboratorio d'analisi (in Italia l'unico laboratorio d'analisi che fornisce questo servizio è il C.T. SERVICE, Via Dante 2 - 16121 Genova - Tel. 010/5452525). Tuttavia ci sono alcune voci contrarie sull'affidabilità del dosaggio di testosterone/cortisolo (Uusitalo e altri, 1993, Snyder e Foster, 1990, Houmard e altri, 1990, Flynn e altri, 1990) ma questi studi sono numericamente minori, sono riferiti a sport di resistenza e comunque sembra indiscutibile che almeno l'aumento del cortisolo è determinante per la caduta della prestazione. Infatti è anche molto diffusa la misurazione del 17-idrossidocorticosterone (cioè del cortisolo e suoi metaboliti) nelle urine. Per esempio Lehmann e Knizia e altri (1993), hanno riscontrato un rilascio ipofisario di ACTH (ormone adrenocorticotropo, stimola la produzione di cortisolo) di circa il 60% maggiore al fattore di liberazione dell'ormone corticotropo in atleti sottoposti ad allenamento intensivo al cicloergometro (Figure 3 e 4). Questo repentino aumento del cortisolo era però seguito da un rilascio del cortisolo del 25% inferiore, evidenziando il fatto che la corteccia surrenale, come gli adrenorecettori, riduce la sensibilità
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all'ACTH in condizioni di sovraccarico di allenamento. Parallelamente alla caduta dei livelli di cortisolo si assiste ad un aumento dell'ormone della crescita (in risposta al suo fattore di rilascio, il GHRH e senza che vi sia un cambiamento nel rapporto tra testosterone libero e cortisolo) che sembra essere il tentativo del sistema neuroendocrino di contrastare i catabolici livelli di stress. In alternativa alla misurazione del C/T c'è sempre il semplice metodo messo a punto dalle Università di Oulu e di Helsinki, che sostengono la misurazione delle seguenti pulsazioni a riposo: sdraiati supini; dopo 15 secondi che ci è alzati in piedi; dopo 120 secondi che ci si è alzati in piedi. Secondo questi studiosi scandinavi queste frequenze aumentano prima della caduta del testosterone/aumento del cortisolo dovuti anche al sovrallenamento. L'esperienza pratica di questo metodo è però di difficile attuazione perché risulta molto noioso per l'atleta. Da punto degli integratori "legali", il cortisolo sembra essere minimizzato dall'assunzione di salicilati, come l'aspirina (Langer e altri, 1978) e l'acetil-l-carnitina (Parnetti e altri, 1990). Andiamo a studiare adesso le complesse connessioni tra il superallenamento e il sistema immunitario. Infatti è ampiamente dimostrato che mentre attività sportive moderate possono aumentare le difese immunitarie, sforzi molto duri e/o i vari tipi stress (sia fisici che psichici) inducono invece un immunodeficenza. Una prova tangibile di questa situazione sono, per esempio, i frequenti raffreddori che colpiscono gli atleti sovrallenati. Questa perdita di efficienza del sistema immunitario sarebbe da ascrivere al surplus di sostanze prodotte in caso di intensi stress, come cortisolo, noradrenalina, adrenalina, neuropeptidi e prostaglandine di tipo E. In questo quadro si inserisce un aminoacido attualmente giustamente molto in voga e cioè la glutammina, in quanto in atleti sovrallenati i livelli plasmatici di questo voluminizzatore della cellula rimangono bassi addirittura per mesi o anni (Rowbottom, Keast e Morton, 1996). La glutammina aumenta infatti la riproduzione dei linfociti e quindi limitate disponibilità di questo aminoacido provocano problemi al nostro sistema immunitario. Ma vediamo, secondo Newsholme et altri (1991) e ParryBillings et altri (1990) qual’è la fisiologia del sistema immunitario, in modo da trarne gli opportuni correttivi per evitare il superallenamento. Le cellule del sistema immunitario si "nutrono" di molto glucosio, glutammina e acidi grassi a catena lunga, in quanto devono sintetizzare le purine e le piramidine dovute a stress elevati, provocando soprattutto forti utilizzi di glutammina. La glutammina ha particolarità che se assunta con alimenti od integratori, viene quasi totalmente utilizzata dalle cellule dell'intestino e quindi non riesce a fornire adeguatamente le cellule del sistema immunitario. Quindi è logico che le nostre difese devono dipendere dalla glutammina prodotta dal fegato e dai muscoli, anche se è stato dimostrato che l'integrazione almeno due grammi di questo aminoacido riesce ad aiutare in modo egregio il nostro sistema immunitario. Il bello comunque è che il muscolo sintetizza la glutammina soprattutto a carico dell'azoto derivante dalla transaminazione degli aminoacidi ramificati, tanto che si ipotizza che l'utilizzazione dei BCCA sia mirata solo alla produzione della • • •
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glutammina. La caduta dei livelli di glutammina è collegata all'abbassamento dei livelli di glicogeno, che durano, quando l'esercizio è intenso come quello con i pesi, circa un'ora; questa è un'ulteriore prova che il training non deve durare tre-quattro ore... Se vogliamo entrare nel caso più specifico del superallenamento, i livelli di glutammina degli atleti sovrallenati possono essere scarsi anche dopo periodi di recupero di 6 settimane, facendo ritenere che la scarsa efficienza indotta del sistema immunitario possa essere durare molto di più della perdita di performance. Secondo Newsholme (1994) anche il cambiamento della composizione degli acidi grassi dedicati alle cellule immunitarie, provocato dall'intenso esercizio fisico, può far scemare le nostre difese alle malattie. In conclusione per evitare gravi deficienze immunitarie, si deve: assumere aminoacidi ramificati, almeno 7-10 grammi, al fine di limitare il calo della glutammina. Secondo Carli et altri tale supplementazione avrebbe un effetto positivo anche sul rapporto testosterone/cortisolo, mentre Adibi (1980), Block e Buse (1990) e Smith et altri (1991), mettono in evidenza l'importanza dei BCCA anche nell'aumento della sintesi proteica e come agenti anti-catabolici. Tutto questo alla faccia di molte ditte e negozi di integratori che per seguire la mode dell'ultimo momento si sono completamente scordati della funzione e l'efficacia dei ramificati, da loro venduti per oltre un decennio; associare ai BCCA la stessa glutammina, almeno 2 grammi al giorno, in modo da "nutrire" adeguatamente sia i muscoli che le cellule del sistema immunitario; tra l'altro, come abbiamo visto, anche l'aceti-L-carnitina è un anti-cortisolo e quindi un protettore indiretto delle nostri anticorpi. Di conseguenza si suppone che i prodotti che associano BCCA+Glutammina+ACL, abbiano un enorme potenziale sia immunostimolante, che anticatabolico; Bevilacqua et altri consigliano anche l' assunzione di aspartati di potassio e magnesio ("Polase" in farmacia) in quanto aumenterebbe la quantità di glutammina nel sangue; ottimizzare adeguatamente l'allenamento in modo da non superare l' ora di training. Francamente sono ormai anni che faccio applicare queste regole a tutti gli atleti che seguo, e posso assicurarvi che la maggioranza di loro non ha più lamentato nemmeno un raffreddore, anche in quelli che ne soffrivano spesso. Appare chiaro comunque che per prevenire o curare il superallenamento sia necessario intervenire anche a livello alimentare. Anche se alcuni medici di base e anche qualche specialista di medicina dello sport (che probabilmente non si aggiornano dal '65) ancora si ostinano a non ritenere necessaria un aumento del consumo di proteine negli sport di forza, è ormai assodato che bisogna assumerne almeno 1,3 - 1,6 grammi per kg (ma si può arrivare anche a 3-4 g/kg), rispetto al ridicolo 0.8 consigliato al sedentario (Lemon e Proctor, 1991). Tra l'altro dei studi di Adlercreutz (1991) sulle donne hanno dimostrato che alti introiti di proteine e carboidrati, possono elevare la biodisponibilità e i livelli di testosterone, e quest' ultimi sarebbero •
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addirittura inversamente proporzionali ad alte quantità di fibre. Quindi per prevenire il sovrallenamento, bisogna, durante i periodi di carico (per esempio nel 2:1) mangiare grandi quantità di proteine e carboidrati, per poi riabbassare le razioni nel periodo di scarico. Tutto questo, tra l'altro è stato studiato nei dettagli da uno studioso che si chiama Torbjon Akerfeldt e ne daremo più ampi approfondimenti sui prossimi numeri di Olympian's News. Altri fattori che possono abbassare i livelli di testosterone ed "aiutare" conseguentemente il sovrallenamento sono le diete vegetariane (Raben et altri,1992) e il digiuno (Urhausen et altri, 1995). Per quanto riguarda gli accorgimenti da adottare sulla programmazione annuale per la prevenzione la prevenzione del superallenamento, vi ripeterò fino allo sfinimento fisico e mentale che deve essere: 1) breve 2) intenso 3) infrequente 4) periodizzato A questi punti, su cui non mi soffermerò dati che sono stati ampiamente già trattati da me e da altri autori su Olympian's News, si possono affiancare i consigli dei vari studiosi in materia di sovrallenamento, come quelli di Veale (1991): evitare training noiosi e ripetitivi; prevedere periodi di riposo dagli allenamenti e dalle competizioni, che diversifichino gli interessi del soggetto; porre degli obiettivi a breve termine realistici e condivisi dall'atleta; prevedere stagioni non troppo lunghe, con consoni periodi di riposo rispetto alle successive e che comprendano un numero di gare limitate; utilizzare tecniche di rilassamento e di visualizzazione. Fyr, Morton e Keast (1991) prevedeno invece questa strutturazione: • •
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cicli di allenamento che prevedano adeguati periodi di rigenerazione; far eseguire dei test per poter individuare per tempo i sintomi del superallenamento; questi test devono essere eseguiti in momenti tali da non confondere la normale fatica dell'allenamento con quella associata al sovrallenamento. Ma tra il volume e l'intensità dell'allenamento, qual’è il fattore che influenza di più il sovrallenamento? Secondo Lehamann e altri (1992/1993), sarebbe il troppo volume ad incidere in decisivo sulla comparsa della sindrome di sovrallenamento; un'ipotesi che trova decisamente conferma nella pratica sul campo del bodybulding. Quali erano infatti i training "anni 80" che, oltre a non farci crescere di un millimetro, ci portavano in capo ad un mese al sovrallenamento? 20-30 serie per muscolo, 3-8 esercizi per gruppo muscolare, frequenze •
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giornaliere in palestra e con un'intensità forzatamente ridotta. Tuttavia secondo Kuipers e Keizer, (1988) anche elevate intensità possono portare al sovrallenamento, più specificatamente a quello "simpatico", anche a causa (Urhausen et altri, 1995) dell'eccessivo aumento di noradrenalina e adrenalina dovuto a lavori ad altissime intensità. Questi alti livelli di catecolamine possono, a lungo andare, provocare il superallenamento, in quanto innescano un meccanismo controregolatorio che diminuisce la sensitività e la densità dei recettori adrenergici. Questa relazione tra escrezione di catecolamine/intensità di allenamento è così stretta che la misurazione di queste sostanze nel sangue e nelle urine può servire per valutare i carichi di lavoro di tipo anaerobico, come il bodybuilding. I livelli plasmatici di catecolamine libere servono per comprendere la risposta del sistema simpatico al training o/e allo stress, mentre le catecolamine delle urine indicano il metabolismo totale e l'attività media delle stesse sostanze nell'arco della giornata. In effetti nel bodybuilding anche lavori ad alta intensità/basso volume, cioè anche quello che viene considerato l'ottimale per aumentare la massa muscolare, possono portare la superallenamento, se: 1) non si prevedono adeguati giorni di recupero tra una seduta e l'altra; 2) non si effettua ogni 2-3 settimane un microciclo di scarico; 3) si inseriscono sistemi troppo intensi senza adeguata preparazione. In effetti anche Little e Sisco, autori del sistema ad altissima intensità "Power Factor Training", suggeriscono di distanziare le sedute (anche una ogni 12 giorni o più) per evitare il superallenamento. Per quanto riguarda invece la ciclizzazione Little e Sisco sostengono che non serve assolutamente e che è nata in quanto gli atleti russi usavano sincronizzare i periodi pesanti in cui prendevano steroidi e i periodi leggeri nella fase senza farmaci. Secondo il mio modesto parere Little e Sisco hanno preso una toppa che ha del clamoroso, in quanto: 1) che gli atleti russi prendevano (e prendono...) steroidi lo sanno anche i bambini delle più sperdute e feroci tribù Indios dell'Amazzonia, ma è altrettanto vero che tutta la natura, animali e quindi l'uomo compreso, funziona a cicli (notte-giorno, fasi lunari, letarghi, migrazioni, ormonali e milioni di altri esempi) e non mi risulta che il ghiro vada in letargo perché durante l'estate si è fatto un po’ di Decadurabolin.... I cicli fanno parte integrante dell'uomo ed è un'affermazione gratuita e semplicistica quella che la periodizzazione è inutile. Tra l'altro, paradossalmente, anche l'assunzione di farmaci dopanti è fatta a periodi proprio per non saturare i recettori che ciclicamente si saturano ed impediscono ulteriori miglioramenti; 2) dirò di più, in quanto vi posso assicurare alternare periodi leggeri ad altri più pesanti sarà il trend del futuro, in quanto ricalca quello che hanno fatto per infiniti anni i nostri progenitori: a) caccia, con conseguenti altissimi stress; b) alte quantità di cibo (bisognava mangiare tutto la selvaggina appena uccisa, non c'era il frigorifero!) e livelli ormonali che si alzavano per recuperare e supercompensare il - 67 -
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glicogeno e la forza/massa per le successive lotte; (a+b: periodo di carico, normalmente durava circa 14 giorni); c) periodo di digiuno (il più delle volte forzato) fino alla prossima caccia (durata: circa 7-14 giorni); d) il ciclo ricominciava. 3) non sono ancora passati ancora abbastanza anni per adattarci ad una vita attuale completamente diversa da allora e quindi ( anche se a Little e Sisco sembra non risultare) siamo ancora regolati su quei ritmi; con buona approssimazione sopportiamo al massimo 2 settimane di carico seguite da 1-2 di scarico. Guarda caso la cosa assomiglia straordinariamente al modulo 2:1... 4) secondo la mia opinione ognuno di noi può affermare quello che vuole, quello che contano sono solo i risultati. A tale riguardo, l'osservazione di centinaia di atleta natural ai cui è stata applicata esclusivamente la periodizzazione, ha dimostrato incontestabili e tangibili risultati a volte a livello di 10-12 Kg di aumento di massa magra e anche fino al 50 % ( se non dì più) di forza in più in un anno. Anche se Little e Sisco hanno strutturato un metodo a quanto pare efficace e dalle solide basi scientifiche (alcuni atleti che lo hanno provato ne parlano in maniera positiva e spero vivamente che sia così dopo queste affermazioni) non si devono permettere però di dire che "...non esiste alcun motivo per periodizzare". Se vogliono stupire gli astanti si inventino qualcosa di meglio e soprattutto di più vero. Anche le condizioni psicologiche influenzano in maniera importante il rendimento dell'atleta e conseguentemente anche l'eventuale comparsa dell'overtraining. Le situazioni che possono verificarsi sono: quando un soggetto si sente in forma o pensa di non essere pronto per un dato evento, aumenta spontaneamente il carico di lavoro, rischiando così un'eventuale superallenamento (Kuiper e Keizer, 1988); se ci si allena con un compagno, la giusta competitività che si innesca può portare (se arriva a livelli eccessivi) anch'essa al superallenamento; quando, per esempio, si vuole fare a tutti i costi i microcicli di carico quando le condizioni psico-fisiche sono precarie; la logica conseguenza é il superallenamento. esiste anche la sindrome da "dipendenza dell'esercizio", facilmente riconoscibile in chi andrebbe in palestra anche a natale e ferragosto e se salta un allenamento "perde massa". Una condizione decisamente deleteria, in quanto fa’ svolgere all'atleta elevatissimi (e per la maggior parte inutili) carichi di allenamento. infine esiste la "sindrome da astinenza" (Kuipers e Keizer, 1988), che sovravviene quando viene il training viene interrotto bruscamente. Tutti gli autori consigliano l'introduzione di test psicologici, per prevenire e/o monitorare gli stati di affaticamento/sovrallenamento. Quello più diffuso e affidabile sembra essere il POMS (Profil of Mood •
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States; McNair et altri., 1971), che consta di 65 domande tese a far risaltare tutte le tensioni e le condizioni psicologiche dell'atleta, in modo che il tecnico possa intervenire in modo tempestivo e mirato. In questi casi possono essere utili le tecniche di rilassamento come la Sofrologia e il Trager Approach. Quindi, in ultima analisi, per prevenire, valutare e curare i vari tipi di sovrallenamento sembra fondamentale monitorare in modo scientifico l'allenamento con l'uso di un diario d'allenamento. In questa banca dati dell'atleta ci devono essere, giorno per giorno, tutte le sue varie componenti psico-fisiche, in modo da tenere sotto controllo ogni più piccolo sintomo di overtraining. Una proposta può essere la seguente: Diario dell'allenamento di ............................. microciclo .......... data ../../..
Pulsazioni a ri poso, dopo 15 secondi c he ci si è alzati, dopo 120 secondi che ci si è alzati
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Pulsazioni in allenamento
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17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 Affat ic amento general e du ran te i l t rai ni ng
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In conclusione l'atleta natural è soggetto ad alto rischio per quanto riguarda la comparsa del superallenamento, e quindi appare evidente che solo l'ottimizzazione dei vari parametri fin qui sviluppati può far prevenire una situazione che può compromettere, del tutto o in parte, la vostra periodizzazione annuale. Non date assolutamente retta a istruttori che si massacrano di steroidi, loro non sanno nemmeno cos’è il superallenamento perché non lo hanno mai provato...
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Nu t r i zi o n e a av an zat a: c c r o n o al i m en t azi o n e Abbinare un’alimentazione adeguata e integratori veramente efficaci ai nostri allenamenti natural, è assolutamente d'obbligo se si vogliono ottenere buoni aumenti di massa muscolare. Già negli anni ’50 (Kraut/Muller 1950; Kraut ed altri, 1953) si dimostrò che le carenze proteiche nella nutrizione impedivano l'aumento sia della forza che della massa. E' logico che in caso di normale genetica e senza doping, l'aspetto alimentare assume un ruolo ancora più importante. In questo capitolo riassumeremo e approfondiremo i concetti fondamentali della giusta assunzione di alimenti ed integratori. Anche qui interverranno molti concetti della cronobiologia, che in questo caso si può chiamare quindi cronoalimentazione. Sviluppata negli ultimi anni da un medico italiano, Mauro Todisco (che tra l’altro è uno dei medici seguaci del Dott. Di Bella), la cronoalimentazione si è rivelata il trend attualmente più efficace per un ottimale apporto nutrizionale. Ma in questo caso non si tratta della solite dieta, a volte decisamente bizzarra, che ogni tanto va di moda, ma una vera e propria scienza fondata su precisi cicli ormonali. Applicata al bodybuilding ha dato risultati eccezionali, in quanto permette entro certi limiti, la crescita muscolare e il contemporaneo contenimento del grasso sottocutaneo. La cronoalimentazione si basa sul principio che i nostri flussi ormonali sono significativamente diversi nell'arco della giornata e quindi la qualità dei cibi ha diversa valenza a seconda dell'ora di assunzione. Ma andiamo a vedere, uno per uno, l'azione e l'attività oraria degli ormoni che possono influenzare significativamente la ripartizione dei nostri pasti: •
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l'insulina è un ormone prodotto dal pancreas e tra le sue molte funzioni, quella principale è di permettere l'ingresso del glucosio dentro le cellule. Si può considerare un ormone decisamente ingrassante in quanto permette alle cellule adipose di produrre trigliceridi (praticamente l'85% dei grassi di deposito sottocutaneo), bloccando nel contempo l'enzima che li scinde e far partire quello che produce lo stoccaggio dei grassi. Inoltre aiuta la trasformazione del glucosio in ulteriori acidi grassi; gli ormoni cortisonici sono invece secreti dalle ghiandole surrenali; anche loro hanno molte funzioni ma la più interessante per i nostri scopi sembra essere quella di aumentare il livello di glucosio nel sangue. Essi agiscono nel meccanismo di trasporto dello zucchero dentro la cellula e nella diminuzione del suo utilizzo. Queste azioni possono creare un aumento della scissione dei trigliceridi e conseguentemente degli acidi grassi che gli ormoni cortisonici possono poi utilizzare come energia al posto del classico glucosio. In pratica questi ormoni contrastano l'insulina nella sua azione di utilizzazione del glucosio per il nostro pannicolo adiposo;
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Essi sono al massimo livello al mattino (molto probabilmente per preparare l' organismo all'attività giornaliera), rimangono molto alti anche fino al primo pomeriggio, per poi scendere progressivamente fino al minimo notturno; gli ormoni T3 e T4 sono prodotti dalla tiroide e svolgono una funzione fondamentale sul nostro metabolismo, influenzando soprattutto la velocità di assimilazione degli alimenti. Più i loro valori sono alti e maggiore sarà quindi la capacità di convertire i cibi in energia e non in grasso. Il T3 raggiunge il suo livello massimo intorno le 13 e il T4 alle 16; l'ormone della crescita ha invece il suo massimo picco nelle prime due ore successive all'addormentamento. Secreto dall'ipofisi, ha delle funzioni decisamente interessanti per quanto riguarda il rapporto massa magra/massa grassa. Questo ormone, la cui principale peculiarità è quella appunto di far crescere tutti gli organi nell'età dello sviluppo, permette anche nell'età adulta di stimolare l'utilizzazione dei grassi e l' aumento dei muscoli. Ciò avviene perché il poli-pepdide attiva l'enzima che favorisce la scissione dei trigliceridi di deposito, utilizzandoli per fini energetici e nel contempo riducendo l’utilizzazione del glucosio. Inoltre limita la trasformazione degli aminoacidi in glucosio e aumenta la produzione di proteine. In pratica fa dimagrire solo di grasso e aumentare di muscolatura: proprio quello che ricerca disperatamente il bodybuilder. I livelli dell'ormone della crescita si mantengono molto altri fino ai venti anni, per poi decrescere progressivamente fino ai trenta, dove dopo avviene un ulteriore calo. Per stimolare in modo naturale l'increzione dell'ormone può essere usato con successo l'uso di buone quantità di proteine a cena (il pasto più vicino al riposo notturno) e la quasi totale eliminazione dei carboidrati, in quanto interferiscono con il picco notturno di GH. L'associazione nei pasti di carboidrati e proteine può far aumentare anche del doppio la secrezione di insulina da parte del pancreas. Si dovrebbero quindi dissociare i pasti, anche se come vedremo più avanti, nell'alimentazione sportiva ciò non è può essere completamente ammesso. Per completare il quadro bisogna infine spiegare che esistono due somatotipi fondamentali di sovrappeso: l'androide e il ginoide. il tipo androide, che caratterizza soprattutto gli uomini, ha il grasso accumulato soprattutto nella parte superiore del corpo. Le sezioni più colpite sono: l'addome, il busto, le spalle e la nuca. Responsabili principali di questa distribuzione sono gli ormoni maschili, gli androgeni, che se presenti in maniera superiore al normale nella donna, possono causarle lo stesso tipo di sovrappeso. A predisporre tale accumulo di grassi sottocutanei sono gli ormoni cortisonici, che negli androidi sono particolarmente alti. Come abbiamo già visto, tali ormoni, trasformando gli aminoacidi in glucosio, possono, se sopra la norma, predisporre all'ingrassamento. L'ipotalamo, la ghiandola che comanda l'ipofisi a produrre i cortisonici, può però essere inibita da due neurotrasmettitori, noradrenalina e gaba. Visto che i precursori di •
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queste due sostanze sono prodotte a partire da tre aminoacidi e cioè fenilalanina/tirosina (noradrenalina) e acido glutamminico (gaba), per frenare la produzione eccessiva dei cortisonici bisogna consumare una buona quantità di proteine. Da qui la diffusione di GABA sotto forma di integratore (presente solo sul mercato americano), che quindi si può considerare un prodotto decisamente interessante. Di contro, un altro neurotrasmettitore, la serotonina, che aumenta la sua concentrazione con l'assunzione di carboidrati, ha invece una funzione stimolante sull'ipotalamo. Quindi per l'androide la morale è: meno carboidrati e più proteine. Nel sovrappeso "ginoide" il grasso si distribuisce invece nel basso addome, nella parte superiore delle cosce, nei glutei e nei fianchi. E' dovuto all'azione degli ormoni femminili e quindi sono maggiormente le donne a soffrirne. Per far capire come si può combatterlo è utile fare una piccola digressione sul funzionamento del nostro sistema nervoso. Quello centrale controlla tutte le funzioni volontarie del nostro corpo, cioè i movimenti che noi comandiamo con il pensiero conscio. Invece il sistema nervoso autonomo presiede alle funzioni involontarie come per esempio il mantenimento della temperatura corporea, della sudorazione, del battito del cuore, stomaco, intestino e il tutto il metabolismo. Tutte queste funzioni avvengono senza che noi ce ne rendiamo conto. l'autonomo è composto da due sezioni in antagonismo l'uno con l'altra: il simpatico e il parasimpatico. In generale il simpatico favorisce il lavoro fisico e mentale mentre il parasimpatico risparmia e immagazzina le energie quando non c'è uno sforzo intenso. Oltre ad altre funzioni il simpatico riduce la secrezione di insulina, permette la scissione dei trigliceridi accumulati nel sottocutaneo e accelera il metabolismo. Il parasimpatico invece ottimizza l'accumulo dei grassi di deposito, aumenta la secrezione di insulina e l'assimilazione dei nutrienti. E' logico che questa lotta continua fra le due sezioni, a seconda della prevalenza di una o dell'altra, permette di avere il metabolismo più alto o più basso. Normalmente di giorno prevale il simpatico mentre di notte domina il parasimpatico. In pratica si deve mangiare abbondantemente durante il giorno e fare una cena più contenuta per non aiutare l'accumulo dei grassi. L'obesità ginoide normalmente è quindi caratterizzata da un'eccessiva attività del parasimpatico. Andiamo adesso a vedere come agire a livello dell'ipotalamo (la ghiandola che sottintende al funzionamento di tutte le altre funzioni ormonali) per ottimizzare il metabolismo. L'ipotalamo è fortemente influenzato da due nuclei; il nucleo ventromediale, che ha la funzione di stimolare il sistema simpatico a scindere i trigliceridi di deposito e il nucleo ventrolaterale che predispone il parasimpatico a depositare i grassi. La serotonina, che come già detto, aumenta con l' apporto di carboidrati, stimola l'attività del nucleo ventromediale che ha una funzione esattamente opposta a quello ventrolaterale. Quest'ultimo è così ostacolato e riduce conseguentemente la sua azione ingrassante. Per i "ginoidi", quindi la quota di carboidrati non va tenuta bassa, purché si seguano comunque i principi della cronoalimentazione.
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Ricapitolando, per mantenere il livello di grasso corporeo basso e nel contempo aumentare di massa muscolare magra bisogna: ripartire nella prima parte della giornata i carboidrati in modo che gli ormoni cortisonici più alti contrastino l'azione ingrassante dell'insulina, stoccando quindi tutto il glucosio in più utile glicogeno. Il pasto più abbondante dovrà essere il pranzo in quanto alle 14 e alle 16 c'è il picco degli ormoni tirodei T3 e T4, che velocizzano ulteriormente il metabolismo. I carboidrati non andrebbero assunti con le proteine; la sera solo pasti con proteine senza carboidrati, per non interferire con il rilascio del GH. Questo regime alimentare però deve essere modificato in funzione delle particolari esigenze del bodybuilder. E' oramai accertato che solo assumendo 1,7-2,5 grammi di proteine per kg di peso corporeo, si possono avere notevoli incrementi muscolari. Mettiamo quindi che un atleta di 70 kg (di massa magra) deve assumere 140 grammi di proteine in una giornata (70 x 2). E' logico che l'unico piatto proteico serale non soddisfa tale fondamentale esigenza. Si deve quindi creare un compromesso tra i ritmi ormonali e la quantità di proteine da ingerire. Quindi poniamo di fare 5 pasti giornalieri; i primi quattro dovranno comprendere insieme carboidrati e almeno 30 grammi di proteine. Colazione, spuntino mattiniero e soprattutto il pranzo, dovranno contenere la maggior parte della quota globale di carboidrati. Il quarto pasto dovrà contenere comunque una parte di carboidrati sia per sostenere l'allenamento pomeridiano che per reintegrare le scorte di glicogeno. Il quinto pasto sarà sempre a base di sole proteine. Per quanto riguarda l' accoppiamento delle proteine con i carboidrati ci sono alcune considerazioni da fare. In primis le proteine aumentano, in presenza di alti livelli glicemici, il livello di insulina in misura maggiore di quello che si avrebbe soltanto assumendo solo carboidrati. Tutto lo spettro aminoacidico è coinvolto in questo processo, ma due in particolare, arginina e lisina, sono particolarmente responsabili dell'aumento dell'ormone secreto dal pancreas. Cibi particolarmente ricchi di questi aminoacidi sono il pesce, le uova e la carne di maiale. Visto che per questione di quantità protidica siamo per forza costretti ad accoppiare carboidrati con proteine in almeno 4 pasti su 5, mangeremo a rotazione nel pasto serale (l'unico solo proteico) pesce, uova e carne di maiale magra, mentre negli altri pasti alterneremo carne bianca e di manzo, polveri proteiche e magari legumi. Si potrebbe obbiettare che l'ipersecrezione di insulina non è necessariamente un male per il bodybuilder, in quanto questo ormone è anche un agente anabolizzante, perché aumenta la captazione degli aminoacidi nella cellula. Tant'è vero che molti bodybuilder decisamente non natural hanno provato a usare l' insulina per diabetici per aumentare la loro massa muscolare, con buoni risultati. Pratica sicuramente da aborrire (il pancreas potrebbe, a lungo andare, non lavorare più e favorire quindi l'insorgere del diabete) ma che prova l'efficacia dell'insulina. Lasciando stare quindi le pazzie maniacali e suicide di certi culturisti, si può considerare l'idea di sfruttare i normali picchi insulinici alimentari per migliorare la l'incorporazione degli aminoacidi •
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nei nostri muscoli. Se il vanadio solfato confermerà le sue peculiarità di imitatore dell'insulina non sarebbe quindi da scartare l' idea di usarlo in associazione a pasti ad alto tenore di carboidrati. L'idea va, secondo noi, applicata solo a chi possiede un metabolismo, diciamo così "simpatico" cioè molto attivo in quanto non si rischia di avere un aumento indesiderato di tessuto adiposo. Per fare questo abbineremo prodotti proteici, anche ad alto livello di arginina e lisina, a carboidrati ad medio e alto indice glicemico come pasta, pane, riso, succhi frutta. Invece per quanto riguarda i "parasimpatici" manteremmo il regime "insulinico" per tutta la stagione preparatoria e parte di quella agonistica. Poi quando si adotta lo stretto regime alimentare pre-gara adotteremo la cronodieta modificata per il bodybuilding e quindi niente abbinamenti fra alte quantità di carboidrati a alto indice glicemico a carne di maiale, pesce e uova. Il livello dei carboidrati dovrà essere gradualmente scalato e contemponeramente si aumenterà l'attività aerobica. Se a poche settimane dalla gara (o dal mare...) non si è ancora nella forma voluta, si adotterà la cronodieta nella sua forma più classica, anche se con i dovuti accorgimenti. Andiamo quindi nel dettaglio: Metabolismo veloce (ipertirodei,ipocortisonici) Somatotipi dominanti: m esomorfi-ectomorfi •
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cronoalimentazione a picchi insulinici per il periodo preparatorio, agonistico e/o di transizione; nessun controllo sulla quantità dei nutrienti, mangiare a sazietà le proteine prima dei carboidrati per assicurarvi la vostra quota protidica; periodo pre-gara moderato scarico graduale dei carboidrati fino a raggiungere la forma una settimana prima della gara. Praticare eventualmente, nella settimana finale, la ricarica dei carboidrati.
Metabolismo l ento (ipotirodei, ipercortisonici) Somatotipi dominanti: endomorfi - mesoendomorfi •
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cronoalimentazione "insulinica" per il periodo di transizione, preparatorio e parte di quello agonostico; nessun controllo sulla quota protidica, buona quantità di carboidrati ma non eccedere soprattutto nella seconda parte della giornata; a seconda della quantità di grasso da perdere, partire 20-16 settimane prima della gara e adottare la cronoalimentazione "modificata" scalando gradualmente i carboidrati senza però a scendere al di sotto dei 60-80 grammi e solo per brevi periodi per non perdere massa muscolare; specialmente se avete il grasso "androide", tenete sempre alte le proteine. Oltre a contrastare l'indiretta azione ingrassante della serotonina, le proteine accelerano notevolmente il metabolismo; se invece tendete ad avere il pannicolo adiposo "ginoide" non abbassate oltre i 100-120 grammi la quota di carboidrati totali.
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Cercate di ottenere la massima definizione con l'attività aerobica tra il 60% e il 70% della massima frequenza cardiaca; cercate di non consumare uova, pesce e carne di maiale magra insieme ai pasti con carboidrati in dieta pre-gara; riservate tali cibi per il pasto solo proteico serale.
Infine l'utilizzo dei grassi e del ferro sono da preferire, per tutti, nel pomeriggio. Seguendo accuratamente queste indicazioni, otterrete maggiori guadagni muscolari e nello stesso tempo il grasso sottocutaneo si manterrà entro certi limiti. Ricordate: il natural deve pensare ad ogni minimo particolare per ottenere risultati, non trascurate niente, voi non avete a disposizione il doping per coprire eventuale errori. Abbiate forza di volontà, pazienza, tenacia, motivazione e avrete un fisico muscoloso, magro e soprattutto vostro e non figlio della chimica veterinaria.
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Tat t i c h e n n u t r i zi o n al i p p er l a d d ef i n i zi o n e d el l ’ at l et a a avan zat o Ottenere una definizione natural non è facilissimo (altrimenti non esisterebbe quella non natural!); scordatevi innanzi tutto le spaventose percentuali di grasso che avete letto nelle interviste dei "campioni". Il tre o addirittura il non-fisiologico e pericoloso 2 % di grasso che tanti "atleti" decantavano, sono possibili solo e soltanto con l'uso massiccio ed indiscriminato di steroidi anabolizzanti e ormone della crescita. Gli atleti veramente natural è già un miracolo che arrivino al massimo al 45%. Guardate che il grasso corporeo ha funzioni assolutamente fondamentali nel nostro organismo e addirittura se è troppo basso, tra le altre cose, può causare la "caduta" dei reni (specialmente il destro), in quanto sostenuti da cuscinetti d'adipe. Dimenticate anche le incredibili striature sui glutei, la vascolarizzazione degna della rete Italgas e la spaventosa qualità muscolare che trovate sulle pur splendide foto di Flex, Muscle & Fitness e compagnia bella. Qui stiamo parlando di uno sport terrestre, il natural bodybuilding, che affida tutti i suoi risultati solo ad allenamento/ alimentazione/ recupero: in pratica un'altra disciplina. Se i farmaci fanno aumentare in modo importante la massa muscolare, agiscono anche nello stesso devastante modo sulla definizione, quindi togliamoci dalla testa i tubi del metano sul bicipite e diamoci degli obiettivi che riguardano essenzialmente il nostro pianeta. La ricerca della giusta definizione si basa essenzialmente sull'ottimizzazione di due parametri fondamentali: nutrizione e attività aerobica. L'allenamento con i pesi mirato alla qualità muscolare, anche se anch'esso ovviamente importante, non incide più del 20% sul risultato complessivo finale. Ma prima di entrare nello specifico vediamo di fare un discorso più generale per quanto riguarda il dimagrimento. L'obiettivo del natural bodybuilder non deve essere semplicemente perdere peso sulla bilancia, ma cercare di abbassare il grasso corporeo limitando al massimo la perdita di massa muscolare. Infatti, esiste un detto, "tutte le diete funzionano, nessuna dieta funziona", cioè e quasi impossibile, anche calcolando tutto al millimetro, dimagrire di grasso senza intaccare sia pure una piccola parte di massa muscolare, specialmente se non si assumono steroidi. Il nostro compito sarà quindi di dimagrire cercando di perdere meno muscolo possibile, ma la cosa non è semplicissima. Ma vediamo cosa ci dice la fisiologia a proposito di grasso, per poi partire praticamente alla ricerca dell'agognata definizione. L' adipe del nostro corpo è inserito quasi totalmente in cellule specializzate, gli adipociti. Hanno una forma tondeggiante e hanno un diametro che può andare da pochi millesimi di millimetro fino a quasi 200 micron. Nel nostro tessuto sotto la pelle (il cosiddetto sottocutaneo), abbiamo uno strato di grasso formato da adipociti tanto più grandi quanto è più alta la percentuale di grasso del nostro organismo. Ognuno degli adipociti può contenere quantità variabili di grasso e si possono immaginare come tanti palloncini
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attaccati tra loro. Quando ci mettiamo a dieta e/o facciamo attività aerobica e cominciamo a dimagrire, molti adipociti perdono grasso, quando invece mangiamo a ruota libera e ingrassiamo, la maggior parte di queste cellule aumenta il contenuto lipidico. Purtroppo questo meccanismo è il risultato dell'adattamento alle proibitive condizioni che i nostri progenitori avevano svariate migliaia di anni fa. La scarsa disponibilità di cibo ha fatto sì che il nostro organismo abbia dotato gli adipociti di ottime capacità di aumentare il loro contenuto di grasso, ma di una scarsa propensione al rilascio. In pratica se c'è disponibilità l'adipocita "mette in cascina più fieno" (cioè più grasso) possibile, mentre anche se è costretto a rilasciarlo, lo fa molto lentamente. Ecco perché è più facile ingrassare che dimagrire. I grassi contenuti negli adipociti sono trigliceridi, cioè delle molecole formate da glicerolo e tre acidi grassi e hanno la caratteristica di non poter uscire dalla cellula adiposa senza essere prima smembrati. A questo particolare lavoro sono deputati specifici enzimi situati all'interno degli adipociti, denominati "lipolitici". In pratica i trigliceridi non possono fuoriuscire dalla cellula senza l'intervento di questi enzimi, in quanto le aperture della membrana della cellula sono più piccole della molecola di grasso intera, ma non dei singoli componenti della stessa. Quindi il nostro compito è quello di scoprire: i nutrienti che facilitano l'ingresso del grasso negli adipociti, in modo da studiare il modo di limitarli o modularli; i modi di attivazione degli enzimi lipolitici. La liposintesi, cioè la "fabbricazione" di nuove molecole di grasso viene attivata quando l'insulina (l'ormone del pancreas deputato al controllo della glicemia) è alta e ciò accade specialmente dopo un pasto molto ricco di carboidrati. L'innalzamento di questo ormone provoca: •
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l'aumento della permeabilità della membrana degli adipociti, causando così un aumento di incorporazione lipidica; l'attivazione della liposintesi, cioè degli enzimi che trasformano le molecole entrate nell'adipocita in trigliceridi.
Tra l'altro recentemente è stato scoperto un gene, chiamato con non molta fantasia FAT (grasso), che specifica un enzima che elabora l'insulina. Se questo gene è difettoso nei topi provoca la tendenza al sovrappeso. Nell'uomo, però, questo gene non è stato mai trovato mutato, quindi il suo ruolo è ancora da definire. Per la verità è stato individuato anche un altro ormone fondamentale per il controllo del peso, la leptina, che è prodotta proprio dal tessuto adiposo; ne parlo più diffusamente nella dispensa dedicata agli integratori. Per adesso, sappiamo di certo che se l'insulina è troppo alta i nostri adipociti tenderanno a contenere sempre più grasso, impedendoci il dimagrimento. Quindi se ingeriamo degli zuccheri, specialmente a veloce assorbimento come lo zucchero o il glucosio, e il tasso della glicemia sale anche solo del 30-50% rispetto ai valori normali (un grammo di glucosio per un litro di sangue), la quantità di insulina aumenta molto al di sopra della norma. Se il tasso di insulina rimane su valori mediobassi, il glucosio ha dei grossi problemi a superare le - 78 -
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membrane degli adipociti. Se invece l'insulina si alza, il glucosio, insieme ad altre sostanze, entra facilmente sia negli adipociti sia in altre cellule. Più specificatamente, quando l' insulina è alta, molte molecole di quest'ormone si legano a specifici recettori che sono situati sulla membrana dell'adipocita. Questi legami insulina-recettore provocano, tra gli altri, due meccanismi fondamentali per capire meglio la fisiologia del dimagramento l'ingrassamento: 1) si attivano gli speciali "carriers" per il glucosio, che si possono raffigurare come dei camioncini che caricano una molecola di glucosio dalla parte esterna della membrana della cellula adiposa, le fanno attraversare la membrana e la scaricano all'interno della cellula. Quando questi carriers sono vuoti ritornano alla superficie esterna della membrana per caricare un'altra molecola di glucosio e ripetere quindi il ciclo. In pratica i legami insulina-recettore fanno partire il meccanismo di trasporto dei carriers; 2) vengono fabbricati nuovi trigliceridi dagli enzimi attivati, appunto, dai legami insulina-recettore. In pratica il glucosio viene trasformato in grasso. In base a questi dati, appare chiaro che per mantenere il nostro grasso corporeo basso, dobbiamo limitare il più possibile i picchi di insulina durante la giornata. Attenzione; è chiaro che questa indicazione è valida soltanto per chi tende ad avere un’alta percentuale di grasso corporeo e/o comunque dimagrisce con difficoltà. L'insulina è anche un ormone anabolizzante e quindi chi ha, per mera questione genetica, poco grasso, deve invece sfruttare tutte le potenzialità di questo polipeptide. Quindi, per i meno fortunati, si devono evitare il più possibile gli alimenti ad alto indice glicemico (sì, OK, per la creatina siete scusati!), cioè dei cibi che innalzano velocemente il tasso di glicemia e quindi di insulina. Ma vediamo nello specifico come si comporta, per esempio, il pane bianco. Come si vede dal grafico:
Grafico 1 - Andamento della glicemia (ossia del tasso di glucosio nel sangue, in mg per ogni 100 cc di sangue) in funzione del tempo (in ore) dopo assunzione di 50g di carboidrati sottoforma di pane (triangoli), spaghetti (quadrati) e fruttosio (cerchi).
se ingeriamo 50 grammi di pane avremo un innalzamento della glicemia anche fino a 150 mg/cento centimetri cubici di sangue, mentre supera appena i 50 mg/dl con la stessa quantità di spaghetti, ed è quasi nullo nel caso del fruttosio, uno zucchero semplice. Anche se non è facile calcolare il corrispondente aumento insulinico per ogni alimento,
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è chiaro che i cibi a basso indice glicemico permettono l'immissione di minor quantità di insulina. Tabella dell’indic e glicemico Tutti i valori riportati (eccetto quelli annotati) sono basati su circa 80 studi presi dalla più recente letteratura scientifica riguardante l'indice glicemico. Molti cibi sono stati eliminati dalla lista originale, perché riportavano molti alimenti non reperibili in Italia. Per comodità, sono stati messi in ordine crescente di valore. In questa lista il pane bianco è l' alimento di riferimento ed ha quindi un valore pari a 100. Questo perché è un cibo tipico ed più vicino alla realtà quotidiana rispetto al classico glucosio, che viene usato (a parte per la nostra quotidiana dose di creatina!) solo in studi scientifici. Per i tradizionalisti del glucosio basta moltiplicare l'indice glicemico per 0,73 (esempio: glucosio=137x0,73 = 100). Si tratta comunque della tabella più avanzata che esista attualmente al mondo: è infatti aggiornata al luglio del 1997.
Yogurt a basso tenore di grassi dolcificato con aspartame Fagioli di soia in scatola Noccioline Fagioli di soia Crusca di riso Fagioli rossi Ciliege Fruttosio Piselli secchi Cioccolato al latte dolcificato con aspartame Fagioli marroni Pompelmo Lenticchie rosse Spaghetti arricchiti di proteine Latte+30g di crusca Latte intero Fagioli secchi comuni Salsicce Lenticchie comuni Fagiolo Lenticchie verdi Fagioli Neri Latte di Soya Albicocca Piselli bolliti Latte scremato Fettuccine Yogurt a basso contenuto di grassi, dolcificato con zucchero della frutta Segale Orzo Cioccolato al latte senza zucchero Vermicelli Yogurt standard Pere fresche Spaghetti Mela Pastina Star Polpa di pomodoro Pane d'orzo Ravioli Spaghetti cotti per 5 min. Succo di mela All-Brain Pesca fresca Arancia Pere in scatola Zuppa di lenticchie in scatola Cappellini Maccheroni
20 Biscotti da té
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20 21 25 27 27 32 32 32 34
Farina d'avena galletta Succo di frutta mista Popcorn Muesli Mango Uva sultanina Patate comuni bianche bollite Riso integrale Patate novelle
79 79 79 80 80 80 80 81 81
34 36 36 38 38 39 40 40 41 42 42 43 43 44 45 46 46 47
Riso bianco Riso bianco, alti amidi Pasticcio di carne Pizza al formaggio Zuppa di piselli Hamburger bun Farinata di fiocchi di avena Gelato Barretti di muesli Patate confezionate McDonald's Muffins Sciroppo di mais ad alto tenore di fruttosio Biscotto di pasta frolla Uva passa Pane di segale Maccheroni al formaggio Saccarosio/zucchero di canna Timballo
83 83 84 86 86 87 87 87 87 87 88 89 91 91 92 92 92 93
48 49 49 50 51 53 53 54 54 54 55 56 52 58 60 60 63 63 63 64 64
Cous-cous Pane di segale, alte fibre Cocomero Patate al vapore Cordiale all'arancia Ananas Semolino Gnocchi Cornetti (croissant) Nocciole Fanta Mars barrette Frittella Pane di frumento, alte fibre Crema di frumento Biscotti di frumento Purè di patate Carote Pane bianco di frumento Crackers Melone
93 93 93 93 94 94 94 95 96 96 97 97 98 97 100 100 100 101 101 102 103
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Panino Miele Patate bollite schiacciate Corn chips Panino ripieno Patate fritte Zucca Cialde Wafers alla vaniglia Dolcetti di riso Galletta tipo colazione Ciambella salata Patate al microonde Cornflakes Patate al forno Patatine fritte croccanti Riso, parboiled, basso amido Riso bianco, basso amido Riso soffiato Riso istantaneo bollito per 6 min Pane di frumento senza glutine Glucosio Maltodestrine Tavolette di glucosio Maltosio Tofu frozen dessert
104 104 104 105 106 107 107 109 110 110 113 116 117 119 121 124 124 126 128 128 129 137 137 146 150 164
Nella tabella 1 sono indicati gli indici glicemici dei principali alimenti, in modo da regolarvi per la vostra dieta pre-contest o... premare! Attenzione però, come si può notare sono essenzialmente i carboidrati ad avere i valori glicemici più alti, e quindi si potrebbe incorrere nell'errore di eliminare questo tipo di nutriente. Non deve essere assolutamente così! Il nostro cervello funziona solo con il glucosio puro e quindi se scendiamo al di sotto dei 120 grammi di carboidrati, la quantità giornaliera minima per il suo rifornimento di energia, il nostro organismo comincia a smontare le proteine muscolari. Infatti, pur di rifornire in qualche modo le fondamentali funzioni del sistema nervoso centrale, i nostri sistemi metabolici utilizzano gli aminoacidi muscolari, (in particolar modo gli aminoacidi ramificati e i glucogenetici) al fine di ricavare alanina. Quest'ultima, uscita dai muscoli, arriva al fegato dove verrà trasformata appunto in glucosio. Se quindi si segue una dieta con bassi carboidrati, come per esempio la famosa "carne ed acqua", a lungo andare si rischia di perdere molta preziosa massa magra. Tra l'altro se si "viaggia" al di sotto dei 120 grammi di glucidi giornalieri, paradossalmente si rallenta il dimagramento; si tratta della famosa massima "i grassi bruciano alla fiamma dei carboidrati". È importante sottolineare che la strada attraverso la quale gli acidi grassi vengono utilizzati per ricavare l'energia muscolare converge con quella dei glucidi in fase aerobica, poiché l'unico sistema possibile è quello della ossidazione attraverso il ciclo di Krebs. Chiamato anche ciclo dell'acido citrico è una serie di complesse trasformazioni chimiche che portano alla liberazione dell'energia nella fase aerobica, cioè utilizzando ossigeno disponibile. Per comodità di esposizione lo schema è stato semplificato inserendo anche la via dei trigliceridi.
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Rappresentazione schematica e semplificata del metabolismo dei glucidi e dei trigliceridi.
Come si può notare dallo schema, i glucidi, per la loro ossidazione completa utilizzano il proprio acido ossalacetico (un prodotto del ciclo di Krebs derivante dalla demolizione dei carboidrati) e non hanno quindi bisogno di altro intervento. Gli acidi grassi, di contro, dato che per essere utilizzati hanno bisogno di convergere in quel ciclo non sono assolutamente in grado di produrre il "loro" acido ossalacetico. In pratica i lipidi non possono essere ossidati completamente se non in presenza di glucidi. E non è finita qui; visto che dopo l' esaurimento delle scorte glucidiche non può formarsi sufficiente acido ossalacetico, si può andare verso la cosiddetta chetosi. Si tratta delle molecole dell'acetil-coenzima A che si accumulano ed interagiscono per dare origine ai corpi chetonici, tra i quali l'acetone, l'acido acetoacetico e l'acido betaidrossidobutirrico, che al dì là dei nomi impossibili, provocano gravi disturbi. Questi corpi chetonici tra l'altro, dopo circa 3 giorni, calmano la sensazione di fame e danno anche una leggera sensazione di euforia. Queste condizioni, a prima vista quasi ideali, possono far continuare il soggetto ad insistere con la dieta ipocarboidrata per lungo tempo, con il rischio di perdere così molta massa muscolare. Da considerare, poi, la perdita di efficienza del cervello. Infatti, pur di andare avanti la nostra materia grigia si adatta alla mancanza di glucosio, attingendo energia proprio dai corpi chetonici. Ma è come usare una benzina con pochi ottani; il motore della macchina funziona lo stesso ma le prestazioni sono inferiori rispetto ad un combustibile con un più alto numero di ottani. Ecco perché quando stiamo a dieta, diventiamo nervosi, irritabili e ci scordiamo praticamente tutto. Il nostro sistema nervoso centrale è alimentato non dalla "benzina super", cioè il glucosio, ma bensì da una benzina "normale, cioè i corpi chetonici. Comunque, per quanto possiamo calibrare al massimo il quantitativo di carboidrati, avviene sempre una perdita di massa magra, in quanto i regimi per il dimagrimento non possono mai essere completi. Purtroppo per un natural bodybuilder le cose possono essere anche più complicate, quindi un altro accorgimento è quello assicurarsi
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una quantità elevata di proteine nobili. In questo modo permetteremo al nostro organismo di utilizzare le proteine alimentari per: 1) limitare al massimo la perdita di massa muscolare; 2) aiutare tutte le funzioni plastiche (cioè di costruzione) e coadiuvare quelle energetiche; Parlare dell'importanza delle proteine in una rivista di bodybuilding, è come spiegare il ruolo del pallone in una rivista calcistica. È bene però ribadirlo, visto che tra pochi carboidrati, attività aerobica e intenso training, si rischia oltremodo di "mangiarsi" molta di quella massa muscolare conquistata, magari, in tanti duri allenamenti. In queste condizioni non sembra esagerato consigliare, tra proteine prese dai cibi e in polvere, una quantità di 2,5-4 grammi per Kg di massa magra. Tra l' altro le proteine servono anche per aumentare il metabolismo, in quanto la loro ADS (Azione Dinamico Specifica, cioè il dispendio di calorie che richiede lo stesso organismo, per elaborare un grammo di nutriente) è del 30%, rispetto al 12% dei grassi e al misero 6% dei glucidi. Per esempio, il valore calorico dei carboidrati e delle proteine è uguale a 4 calorie per grammo, ma l'organismo, però, per digerire i protidi produce un extralavoro del 30% (in totale 5,2 calorie), rispetto al solo 6% (in tutto 4,24 calorie) dei glucidi. Infine una dose di 25-30 grammi di proteine aiuta la secrezione dell'ormone CCK (colecistochinina), che attenua il senso della fame e quindi vi permette di resistere meglio alla dieta per la definizione. Chiarito a dovere questo fondamentale punto, andiamo adesso a vedere invece quali possono essere i nutrienti che ci possono aiutare a mantenere l'insulina stabile. In primo luogo è doveroso citare il prezioso utilizzo delle fibre. Si tratta di sostanze indigeribili contenute negli alimenti vegetali. Il nostro organismo non possiede infatti gli enzimi per la loro utilizzazione, le lascia quindi transitare nell'intestino tali e quali come sono entrate e le espelle infine con le feci. Per questa loro particolarità vengono utilizzate soprattutto per la stitichezza, in quanto aumentano la velocità del transito intestinale dei cibi. Ma elenchiamo tutte le altre molteplici peculiarità delle fibre: 1) le fibre possono modulare nel tempo l'assorbimento delle molecole derivanti dalla digestione dei carboidrati e delle proteine; questo permette alla glicemia e alla insulinemia di avere sbalzi inferiori; 2) le fibre negli alimenti rendono più bassa la concentrazione calorica (cioè l'apporto di calorie per ciascun grammo di cibo) perché non hanno contenuto calorico e perché legano acqua; 3) la presenza di fibre negli alimenti provoca un minor assorbimento dei grassi; 4) gli alimenti ricchi di fibre richiedono una maggiore masticazione e allungano sia i tempi di permanenza in bocca, sia il tempo globale necessario per la consumazione dei pasti; questi tre fattori sono importanti perché aiutano a indurre sazietà per contenuti calorici inferiori; 5) i cibi ricchi di fibre tendono a provocare una maggiore distensione delle pareti gastriche e ad aumentare i tempi di
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permanenza degli alimenti stessi nello stomaco; questo sono ulteriori fattori che contribuiscono a dare sazietà per valori calorici inferiori. Tabella delle fibr e alim entari PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI
Asparagi cotti Bieta cotta Broccoletti rapa cotti Broccoli Carciofi Cardi Carote Cavoletti di Bruxelles cotti Cavolfiori Cavolo Cappuccio Cetrioli Cicoria cotta Cipolle Cipolline Fagioli freschi Fagioli secchi Fagiolini Fave fresche Finocchi Funghi prataioli cotti
2,6 1,57 2,2 3,11 7,85 1,53 3,11 5,01 2,39 2,58 0,75 3,55 1,04 1,85 10,6 17,0 2,93 4,97 2,22 3,31
Insalata belga Insalata cappuccina Insalata invidia Insalata lattuga Insalata radicchio rosso Lenticchie secche Melanzane Patate cotte Peperoni cotti Pomodori Piselli freschi Porri cotti Rape rosse cotte Ravanelli Sedano Spinaci cotti Topinambur Verza Zucchine
1,14 1,29 1,57 1,46 2,96 13,7 2,6 1,43 1,68 1,02 5,2 2,05 2,59 1,3 1,59 2,06 2,67 2,88 1,33
FRUTTA FRESCA
Albicocche Ananas Arance Avocado Banane Castagne (fresche) Ciliegie Cocomero Fichi Fichi d'india Fragole Kiwi Mandarini
1,54 Mela cotogna 0,89 Melagrana 1,6 Mela (senza buccia) 6,33 Melone 1,81 Nespole 8,37 Pere (con buccia) 1,3 Pere (senza buccia) 0,22 Pesche (senza buccia) 2,01 Pesche noce 5,01 Pompelmo 1,63 Prugne rosse 2,12 Uva bianca 1,7 Uva nera
5,92 1,97 1,92 0,74 2,06 3,27 2,83 1,58 1,5 1,6 1,58 1,36 1,62
CEREALI E DERIVATI
Biscotti con crusca Corn flackes Crackers con crusca Crusca (fibra form) Farro Farina di frumento Farina di mais Farina di riso Farina di segale Fette biscottate Fette biscottate integrali Fiocchi di avena
5,21 3,68 7,07 77,1 6,53 2,42 2,9 1,0 14,1 3,5 8,5 8,79
Pane all'olio Pane integrale Pasta cruda Pasta cotta Pasta integrale Pizza bianca Pizza al pomodoro Riso bollito Semola grano duro Tortellini
Fiocchi di mais Grissini Orzo perlato Pane bianco
3,8 3,73 9,21 3,09
Ceci Fave Fagioli Lenticchie
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3,66 6,51 2,73 1,41 6,4 4,95 2,71 1,13 3,43 6,43
LEGUMI SECCHI (cott i) 5,96 7,3 9,59 7,33
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Quindi consumare cibi ricchi di fibre (tabella 2), permette in definitiva di avere una situazione glicemico-insulinica più stabile, aiutando in definitiva il dimagramento. Attenzione, però a non esagerare, troppe fibre possono impedire l'assorbimento di alcuni sali minerali come: calcio, magnesio, fosforo, ferro, zinco e delle vitamine B. Ne accelerano il transito nel tratto digerente, ne sequestrano alcuni (per esempio, l'acido fitico dei cereali completi si combina con i minerali formando dei precipitati insolubili), ne ostacolano ulteriormente il superamento della mucosa intestinale. Inoltre le fibre diminuiscono leggermente l'assorbimento delle proteine e bisogna usare l'accorgimento di bere molta acqua, in quanto non possono gonfiarsi e perdono molte delle loro peculiarità. A proposito di acqua, bevetene a volontà, anche 3-4 litri al giorno, visto che è un anorettico naturale. Usate anche quella minerale, magari cambiando spesso marca, per non abituarvi agli effetti. L'acqua depura l'organismo e vi permetterà di smaltire le scorie più facilmente. Alcuni riferiscono di non riuscire a bere così tanti litri d'acqua al giorno, perché non ne sentono lo stimolo. Ricordo che è solo una questione di abitudine; basta portare una bottiglia d'acqua sempre con se e bere anche quando non si ha sete. Piano, piano vi verrà spontaneo e naturale sorseggiare tutto il giorno. Riassumendo, per ottimizzare il vostro dimagramento, le strategie base da adottare sono: •
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limitare al massimo gli sbalzi insulinici, cercando di evitare l'assunzione di cibi ad alto indice glicemico; assumere almeno 120 grammi di carboidrati giornalieri (potete scendere fino a 60-80 grammi solo in casi di ritardo di preparazione e per brevi periodi) al fine di limitare al massimo la perdita di massa muscolare; consumare una certa quantità di fibre per stabilizzare i picchi insulemici e anticipare il senso di sazietà.
Le proteine deve essere tra i 2,5 e 4 grammi per Kg di massa magra, al fine di aiutare l'organismo alla funzione plastica e coadiuvare quella energetica. Si devono altresì consumare almeno il 10/15% di grassi, per non perdere tono ed energia, oltre a svariati litri d'acqua per smaltire le scorie. Vitamine e minerali in abbondanza. Sconsigliata solo 1' integrazione di vitamina B 12; potrebbe rallentare il dimagrimento. Per quanto riguarda invece l' organizzazione dei pasti, lo schema rimane quello riportato nel capitolo precedente "Cronoalimentazione e natural bodybuilding", di cui, per comodità, ricordo le nozioni fondamentali: •
i carboidrati vanno ripartiti nella prima parte della giornata, perché gli alti valori degli ormoni cortisonici contrastano con l'azione ingrassante dell'insulina (anch'essa alta la mattina) permettendo quindi un maggior stoccaggio del glucosio a scapito del grasso. Il pranzo dovrà essere il pasto più abbondante della giornata, visto che alle 14 e alle 16 c'è il picco degli ormoni tirodei T3 e T4, che aumentano la velocità del metabolismo. Soprattutto se avete la tendenza ad avere il - 85 -
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grasso distribuito in modo "ginoide" (cioè soprattutto sui fianchi, cosce e glutei) non abbassare comunque la quota dei carboidrati al di sotto dei 100-120 grammi. le proteine aiutano il rilascio di maggior quantità di ormone della crescita nel picco notturno. Quindi a cena solo pasti a base di proteine, senza i carboidrati; quest'ultimi interferirebbero negativamente con il meccanismo di increzione del GH, molto importante per il dimagrimento. l'associazione tra uova, pesce e carne di maiale con i carboidrati, aumenta la secrezione insulinica in maniera più accentuata rispetto ad altri tipi di protidi, a causa del loro alto contenuto degli aminoacidi lisina e arginina. Queste qualità di proteine vanno quindi consumate solo con il pasto serale.
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Sommario Prefazione..........................................................................................................................1 Processi aerobici e anaerobici durante l’attività fisica ......................................................1 Tipologia dell’esercizio: potenza e velocità.......................................................................1 Sistema del fosfageno: fase anaerobico alattacida..........................................................1 Glicolisi: fase anaerobico lattacida....................................................................................3
Tipologi e metabo li che aerobi che .............................................. 5 Glicolisi aerobica ...............................................................................................................5 Ciclo di Krebs.....................................................................................................................6 Sistema di trasporto degli elettroni o catena respiratoria .................................................6
Metaboli smi energetici a ri poso e nello spo rt .......................... 8 Tipologia dell’esercizio ...................................................................................................... 8 Durata dell’esercizio ..........................................................................................................8
L’o ssig eno di r estauro nell a pratica spor tiva ......................... 10 Recupero e ossigeno di restauro ....................................................................................10 Ossigeno di restauro lento e rapido ................................................................................11 Il ripristino delle riserve di creatinfosfato nella RRP .......................................................12 Il ripristino delle riserve di glicogeno muscolare nella SRP............................................13 Rapporto tra la risintesi del glicogeno e la SRP .............................................................15
Acido lat ti co : pr oc ess i di met abo lizzazi on e e rim ozi on e ...... 16 Tempi di riassorbimento del lattato .................................................................................16 Fattori influenzanti il riassorbimento del lattato...............................................................16
Struttura e contrazione del muscol o striato scheletrico ....... 19 Sezione connettivale .......................................................................................................19 Struttura del muscolo scheletrico....................................................................................20 Composizione strutturale dei filamenti spessi e sottili ....................................................22 Contrazione muscolare e teoria dei filamenti scorrevoli .................................................23 Il reticolo sarcoplasmatico...............................................................................................24 Condizione di riposo e disaccoppiamento actina-miosina .............................................25 Situazione di eccitazione ed accoppiamento actina-miosina .........................................26 Contrazione muscolare: attivazione dell’ATPasi miosinica ............................................26 Ciclo di accoppiamento e disaccoppiamento continuo durante la contrazione .............26 Decontrazione del ventre muscolare ..............................................................................27 Placca motrice, unità motoria e graduazione della forza................................................27 Meccanica e regolazione della contrazione muscolare..................................................28 Regolazione della tensione muscolare ...........................................................................29 Modificazione dei parametri nelle contrazioni isometriche e isotoniche.........................30 Contrazione isotonica......................................................................................................30 Contrazioni isometriche...................................................................................................31 Sviluppo della contrazione e fenomeni di sommazione isotonica..................................31 Cause e tempi della fatica muscolare.............................................................................33 Attività motoneuronale..... ............. ............. ............ ............. ............. ............ ............. ............. ........... 34 Giunzione mioneuronale.............. ............. ............ ............. ............. ............ ............. ............. ............ . 34 Affaticabilità del meccanismo contrattile ............. ............ ............. ............ ............. ............ ............. .. 34 Fatica e sistema nervoso centrale...... ............. ............. ............. ............. ............. ............. ............ ....... 34 Sommazione muscolare, stato attivo e tensione esterna...............................................35 Distribuzione e differenze funzionali delle fibre muscolari..............................................36 Fibre e sistema nervoso ..................................................................................................37 Caratteristiche strutturali..................................................................................................37 Substrati energetici..........................................................................................................37 Aspetti enzimatici.............................................................................................................38 Caratteristiche funzionali .................................................................................................38 Tipizzazione delle fibre ed adattamento delle stesse all’allenamento............................38 Ipertrofia muscolare e allenamento con i pesi ................................................................39 Iperplasia e allenamento con i pesi.................................................................................40
Fisi ologia e progr ammazion e................................................... 42 La pompa muscolare.......................................................................................................43 Modificazioni fisiologiche indotte dall’allenamento con i pesi.........................................44
Endocri no lo gi a .......................................................................... 46