perarchi Maurizio Agamennone Una questione di genere Candida Felici La «Sequenza VIII» per violino solo di Luciano Berio Gabriele Rossi Rognoni Liutai, chitarrai e violinai nella Firenze del CinqueSeicento Maurizio Pisati Un precipizio di rondini cadenze e cadute per Viola e Percussione !"#"$%& (" $%)!"& * +,-%,!& (*.-" $%!,/*0%" &( &!+) &00) 12 0,/*!) 345 0)#*/6!* 7889
Serena Facci Liutaie a Cremona Alyson E. Jones Violiniste professionali nella Tunisia contemporanea Giovanni Fornaro “Violoncelles, narrez!”. Appunti sulla musica di Giovanni Sollima Vincenzo Caporaletti Un medley ellingtoniano per contrabbasso e pianoforte
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© 2009 Libreria Musicale Italiana ISBN 978-88-7096-578-0
per archi rivista di storia e cultura degli strumenti ad arco anno IV numero 3/4 novembre 2009
· Libreria Musicale Italiana ·
INDICE
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Una questione di genere Maurizio Agamennone Saggi
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La «Sequenza VIII» per violino solo di Luciano Berio Candida Felici
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Liutai, chitarrai e violinai nella Firenze del Cinque-Seicento Gabriele Rossi Rognoni Musiche “per archi”
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Un precipizio di rondini cadenze e cadute per Viola e Percussione Maurizio Pisati Storie di oggi
71
Liutaie a Cremona Serena Facci
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Violiniste professionali nella Tunisia contemporanea Alyson E. Jones
101 “Violoncelles, narrez!”. Appunti sulla musica di Giovanni Sollima Giovanni Fornaro “Soli” d’autore
121 Un medley ellingtoniano per contrabbasso e pianoforte Vincenzo Caporaletti
135 Gli Autori
La «Sequenza VIII» per violino solo di Luciano Berio di Candida Felici
Introduzione
Le Sequenze per un esecutore di Luciano Berio sono pietre miliari nella musica del Novecento; esse hanno inaugurato un nuovo genere e costituiscono oggi un punto di riferimento imprescindibile per chi voglia cimentarsi nella composizione di opere per strumento solo. Composte tra il 1958, la Sequenza per flauto, e il 2002, quella per violoncello, esse attraversano e rispecchiano tutto il percorso artistico del loro autore.1 In queste opere Berio mira ad ottenere una percezione verticale, polifonica, di sequenze di altezze eseguite ‘melodicamente’, concependo tali successioni di suoni come campi armonici o strutture accordali. La polifonia viene realizzata con una pluralità di mezzi: la tradizionale scrittura a più voci, il ritorno a distanza della stessa altezza o dello stesso gruppo di altezze, delle stesse strutture, e la transizione rapida tra oggetti e gesti dissimili. Il virtuosismo si configura come ulteriore elemento fondante delle Sequenze, ma con un significato più vasto della normale accezione; per Berio esso è intimamente legato al pensiero musicale: Il virtuosismo nasce spesso da un conflitto, da una tensione fra l’idea musicale e lo strumento, fra il materiale e la materia musicale. […] Il virtuoso di oggi è un musicista 1. Sequenza per flauto, Suvini Zerboni, Milano 1958, ESZ 5531, poi ristampata come Sequenza I , Universal Edition (UE), Wien 1991, UE 19957; Sequenza II per arpa, 1963/1985, UE 13715; Sequenza III per voce femminile, 1966, UE 13723; Sequenza IV per pianoforte, 1965/1993, UE 30137; Sequenza V per trombone, 1966, UE 13725; Sequenza VI per viola, 1967, UE 13726; Sequenza VII per oboe, 1969, UE 13754; Sequenza VIIa per oboe, 1969/2000, UE 31263; Sequenza VIIb per saxofono soprano, 1969/1993, UE 30255; Sequenza VIII per violino, 1976, UE 15990; Sequenza IXa per clarinetto, 1980, UE 15993; Sequenza IXb per saxofono contralto, 1980/1981 UE 17447; Sequenza IXc per clarinetto basso, 1980/1998, UE 31234; Sequenza X per tromba e risonanze amplificate del pianoforte, 1984, UE 18200; Sequenza XI per chitarra, 1988 UE 19273; Sequenza XII per fagotto, 1997, UE 30264; Sequenza XIII (Chanson) per fisarmonica, 1995, UE 30377; Sequenza XIV per violoncello, 2002, UE 32914; Sequenza XIVb per contrabbasso 2002/2004, UE 33071.
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LA «SEQUENZA VIII» PER VIOLINO SOLO DI LUCIANO BERIO
capace di muoversi in un’ampia prospettiva storica e di risolvere le tensioni tra la creatività di ieri e di oggi. Le mie Sequenze sono scritte, sempre, per questo tipo di interprete (non ho interesse né pazienza per gli specialisti di musica contemporanea), il cui virtuosismo è, innanzi tutto, un virtuosismo di consapevolezza.2
Infine nelle Sequenze è estremamente importante la teatralità; in Berio essa si compone di gesti musicali, concepiti da un lato come esteriorizzazione di emozioni, dall’altro come «traccia di processi già avvenuti», 3 luogo di confluenza di esperienze e storie diverse, di passato e presente. In alcune Sequenze, come la Sequenza III per voce o la Sequenza V per trombone, l’intento di una teatralizzazione del suono è più evidente, in altre esso si cela dietro le pieghe della scrittura musicale. Il fatto che cinque delle Sequenze — quelle per arpa, trombone, oboe, violino e fagotto — partano da una singola nota ripetuta, per poi espandersi gradualmente rivelando il materiale musicale dell’opera, ha già in sé una connotazione gestuale. Allo stesso modo nelle Sequenze per viola, tromba e chitarra lo svilupparsi del percorso formale a partire da un materiale ristretto, un accordo o una diade, che funziona allo stesso tempo da incipit e da asse centrale, articola un percorso che si può a buon diritto definire narrativo.4 L’opera e l’interprete5 Berio si espresse così a proposito dei dedicatari delle Sequenze: Chaque Sequenza est dédiée à un virtuose, qui, dans la plus part des cas, l’a créé. Je considère que composer pour un virtuose digne de ce nom, n’est aujourd’hui valable que pour consacrer un accord particulier entre le compositeur et l’interprète, et aussi comme témoignage d’un rapport humain.6
Le Sequenze devono essere dunque analizzate e comprese anche alla luce della relazione artistica e umana tra Berio e i diversi interpreti per i quali sono state composte. Il dedicatario della Sequenza VIII per violino è Carlo Chiarappa. Egli incontrò la prima volta Luciano Berio nel 1975 nella cascina che il compositore, rientrato in Italia dopo l’esperienza americana, 7 aveva comprato a Radicondoli, vicino Siena. Tramite dell’incontro fu il violoncellista Vittorio Chiarappa, fratello di Carlo e all’epoca collaboratore di Berio. Chiarappa ricorda che dopo cena Berio gli chiese di suonare la Ciaccona dalla Partita in Re minore di Bach. 2. 3. 4. 5.
BERIO 1981, pp. 97 e 98. BERIO 2000, p. 275. HALFYARD 2007b, pp. 112-113. Il contenuto di questo paragrafo è frutto di una serie di conversazioni da me intrattenute tra l’autunno del 2007 e la primavera del 2008 con Carlo Chiarappa, cui sono grata per i preziosi commenti. 6. STOIANOVA 1985, p. 392. 7. Berio era tornato in Italia nel 1972, stabilendosi prima a Roma e poi acquistando il casale di Radicondoli.
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Da quel primo incontro nacque un’amicizia e un’intensa frequentazione e qualche tempo dopo Berio gli disse che avrebbe voluto scrivere un pezzo per lui; l’occasione si presentò allorché Serena de Bellis commissionò al compositore la Sequenza VIII , la cui prima esecuzione era prevista per il Festival di La Rochelle nel luglio del 1977, nell’ambito di un concerto interamente dedicato alla sua musica, con la partecipazione, tra gli altri, di Mistlav Rostropovic, le sorelle Labèque e Gérard Caussé. Ma Carlo ricorda che il pezzo, a tre settimane dalla prima, non era ancora compiuto e dunque Berio lo invitò nella sua casa di Roma, dove passarono insieme una settimana, il compositore chiuso in una stanza a scrivere, l’interprete in un’altra a studiare ciò che il primo man mano gli consegnava. In seguito, all’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso, Chiarappa ebbe l’occasione di eseguire la Sequenza nell’ambito del Festival Settembre Musica di Torino, affiancandola alla Ciaccona di Bach e al quinto Capriccio di Paganini. Per quanto riguarda la Ciaccona è stato Berio stesso a fare esplicito riferimento a essa: “[…] Sequenza VIII diventa anche, inevitabilmente, un omaggio a quel culmine musicale che è la Ciaccona della Partita in re minore di Johann Sebastian Bach in cui — storicamente — coesistono tecniche violinistiche passate, presenti e future.” 8 Chiarappa inoltre pone in relazione il Capriccio n. 5 di Paganini con il passo di pagina 7 della Sequenza, caratterizzato da veloci quartine di biscrome da eseguirsi staccato e pianissimo.9 Egli è convinto della funzione fecondatrice che la musica del passato ha per la musica d’oggi e quindi della necessità di mescolarle in concerto; anzi attribuisce proprio a Berio, che egli considera il suo maître à penser , il merito di averlo spinto ad approfondire la musica antica e a ricercare la verità di un’opera. Anche per quanto riguarda l’uso del vibrato, fu Berio a consigliargli di variarlo e utilizzarlo con più parsimonia, come indicato all’inizio della Sequenza nell’edizione: “sempre senza o poco vibrato, molto intenso e alla corda”. Chiarappa racconta che Berio aveva in un primo momento pensato di iniziare l’opera con il si3. La Sequenza VIII infatti è tutta basata, come vedremo più avanti, sui due suoni la-si, che fungono da pietre portanti dell’intero arco formale e, per usare le parole dell’autore, “come in una ciaccona, costituiscono la bussola nel percorso abbastanza differenziato del pezzo”.10 La scelta di iniziare con il si non era casuale, poiché la Sequenza per oboe (1969), immediatamente precedente quella per violino, inizia proprio con il si3; esso risuona in pulsazione isocrona numerose volte all’inizio e poi funziona da pedale durante tutto il pezzo, tenuto elettronicamente o da uno strumento nascosto. Sembra dunque che Berio cercasse di tracciare un filo conduttore tra un’opera e l’altra, caratteristica questa non limitata alle Sequenze. Ma nella Sequenza VIII alla fine decise di iniziare con il la, poiché ciò consentiva, grazie alla corda vuota, di avere anche tre note contemporanee all’unisono, accrescendo così la possibilità di generare varietà timbrica pur nella ripetizione isocrona dello stesso suono per otto volte. 8. R ESTAGNO (a cura di) 1995, p. 191. 9. Le pagine da qui in poi si riferiscono alla partitura edita, UE 15990. 10. R ESTAGNO (a cura di) 1995, p. 191.
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LA «SEQUENZA VIII» PER VIOLINO SOLO DI LUCIANO BERIO
Esempio 1. Sequenza VIII , p. 1, sistemi 1-5
L’idea di utilizzare la sordina pesante dopo la sordina normale nell’ultima parte della composizione è venuta a Berio proprio dalla convivenza romana con Carlo Chiarappa; egli infatti utilizzava la sordina da studio per non disturbare il compositore al lavoro e quest’ultimo, incuriosito dall’effetto che non conosceva, decise di adottarla proprio per il finale, in cui la musica si ripiega su se stessa in un canto sommesso, fino a spegnersi sulle stesse note da cui il viaggio era partito. Grande valenza semantica riveste la stretta vicinanza con l’interprete nell’atto stesso del comporre; la personalità di quest’ultimo, il suo modo di porsi di fronte all’oggetto musicale non possono non riflettersi, seppur in minima parte, nell’opera che in quel momento va prendendo corpo. È legittimo chiedersi quanto della memoria di quel primo incontro a Radicondoli e dell’esecuzione della Ciaccona di Bach da parte di Chiarappa possa essersi riverberato nell’ideazione del progetto compositivo, al di là di particolari meno rilevanti come l’uso della sordina da studio per il finale. Si tratta certamente di un processo dialettico, che ha fatto sì che anche il modo di avvicinarsi alla musica, da parte dello stesso Chiarappa, si sia in qualche modo modificato grazie all’esperienza vissuta con la Sequenza VIII , opera che lo ha accompagnato in tutta la sua carriera. Prendiamo ora in considerazione il livello di libertà concesso all’interprete nella partitura. La Sequenza VIII non presenta divisione in misure, ma stabilisce un valore metronomico di 54 alla semiminima, che nel corso della prima parte del pezzo subisce una progressiva accelerazione fino ad una velocità di 144 alla semiminima
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— in un contesto costituito da figurazioni di semicrome — e poi di 72 — ma in un contesto di biscrome — che rimane costante da pagina 7 a pagina 9. A pagina 7, al culmine di un percorso di accrescimento del materiale musicale e della tensione emotiva, il compositore fornisce la possibilità di scegliere l’ordine di successione di sei moduli di biscrome da ripetere in staccato e pianissimo per 60 secondi; chiede però all’esecutore di evitare di ripetere due volte di seguito lo stesso modulo (Esempio 2). Si tratta qui di una sorta di alea controllata. Lo stesso si verifica a pagina 8, quando Berio indica solo la prima nota di una serie di biscrome e tralascia le successive, annotando però per ciascuna la posizione e la diteggiatura. Chiarappa sottolinea che in entrambi i casi si tratta di una libertà solo apparente; infatti quando Berio rielaborò la Sequenza VIII per farne un brano per violino solista e ensemble di due corni e archi, dal titolo evocativo di Corale11 — come è il caso di altre Sequenze, rielaborate in composizioni per solista e ensemble o orchestra, intitolate significativamente Chemins — la parte del violino è pressoché identica alla Sequenza VIII , ma il passo di pagina 7, che prevedeva la possibilità di scelta da parte dell’interprete dell’ordine di successione dei sei moduli, qui viene fissato nella partitura e il passo di pagina 8 viene trascritto notando per esteso tutte le note (Chiarappa ricorda che è stato lui stesso a farlo su richiesta del compositore). Invece in corrispondenza del passo di pagina 10, in cui la tensione comincia a scemare e che reca l’indicazione “tempo molto instabile, come improvvisando”, in Corale la libertà è lasciata inalterata tramite un accompagnamento assai scarno, in cui l’orchestra ha la funzione di creare un alone sonoro ravvivato solo da brevi interventi in base a specifici segnali del direttore. Chiarappa afferma che Corale è come la Sequenza VIII vista allo specchio, in cui gli affetti sono sottolineati ed esasperati dal gruppo strumentale. Anche per quest’opera gli fu affidata la prima esecuzione assoluta, che avvenne a Zurigo nel 1982 con dedica a Paul e Maya Sacher.
11. Corale (su Sequenza VIII) per violino, due corni e archi, 1981, UE 17545.
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LA «SEQUENZA VIII» PER VIOLINO SOLO DI LUCIANO BERIO
Esempio 2. Sequenza VIII , p. 7
Struttura della Sequenza VIII
Dal punto di vista formale l’opera si configura come una continua esplosioneimplosione a partire da un nucleo generatore, la3-si3, che funge da baricentro di tutta la composizione. Attorno a questi due suoni si raggrumano i vicini cromatici
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per poi espandersi in figurazioni di arpeggio e quartine, che, dopo essersi sviluppate verso l’acuto e verso il grave, periodicamente si ripiegano su se stesse, configurando il pezzo come una sorta di ciaccona. La diade la-si può considerarsi soggiacente all’intera composizione, in quanto costituisce il nucleo generatore di tutti i passaggi e le figurazioni, pur estremamente distanti tra loro per scrittura, espressione e tecnica esecutiva. In questo suo riferirsi a un asse centrale l’opera ricorda, come ho detto, la Sequenza VII per oboe; ma anche in Sinfonia la diade reb-mib è tenuta per tutto il quarto movimento e in Voci12 il la funziona da punto di riferimento costantemente ricorrente. Nell’opera di Berio riveste grande importanza il concetto di ridondanza, il cui livello minimo è la semplice ripetizione, ma che può raggiungere anche una grande complessità, implicante comunque il ritorno di oggetti o strutture musicali riconoscibili come tali dagli ascoltatori; la ridondanza è intimamente connessa alla memoria e in definitiva alla nostra possibilità di attribuire un senso attraverso il riconoscimento dell’identità.13 Il ritorno della diade la-si in valori isocroni nel corso della composizione assolve una pluralità di funzioni, come memoria interna al pezzo, memoria dei suoi antecedenti storici, ma anche segnale che marca il passaggio da una sezione all’altra. Esso ha dunque una forte connotazione gestuale e qui vale la pena ricordare che il gesto per Berio è sempre la sintesi creativa dell’ hic et nunc con la memoria di innumerevoli gesti passati. 14 Nella Sequenza VIII c’è tutto il vocabolario del violino, esibito con l’orgoglio della sua storia plurisecolare; come ricorda lo stesso Berio: Tandis que presque toutes mes Sequenza […] développent à l’extrême un choix très restreint de l’instrument et du comportement du soliste, celle-ci présente une image globale et plus historique de l’instrument. On peut donc écouter Sequenza VIII comme un développement de gestes intrumentaux. 15
Le principali tecniche esecutive impiegate nella Sequenza si possono così riassumere : -
lo stesso suono eseguito di seguito su corde diverse; lo stesso suono eseguito all’unisono su corde diverse; molteplici dinamiche tra il fff e il ppp; tremoli; ribattuti; figurazioni di arpeggi velocissimi; cantabile; staccato velocissimo;
12. Voci (folk songs II) per viola e due gruppi strumentali, 1984, UE 31122. 13. BERIO 1981, p. 142. 14. BERIO 2000. 15. STOIANOVA 1985, p. 419.
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LA «SEQUENZA VIII» PER VIOLINO SOLO DI LUCIANO BERIO
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colpi d’arco; polifonia a due voci; accordi di 3 e 4 suoni.
Tuttavia forse l’elemento che presenta maggiori difficoltà esecutive è proprio la transizione rapidissima tra caratteri diversi e contrastanti, che costituisce il nocciolo di quella polifonia implicita così importante per la comprensione di tutto il ciclo delle Sequenze, un esempio del quale è costituito proprio dal passo di pagina 7, in cui si ha la giustapposizione di accordi in fortissimo di tre o quattro suoni e moduli di biscrome ripetuti in staccato e pianissimo. Come ho detto, la Sequenza VIII non ha divisione in battute, ma reca diverse indicazioni metronomiche alla semiminima; inoltre le figurazioni in valori brevi (biscrome e terzine di semicrome) recano spesso tra parentesi quadre il valore di semiminima entro cui l’intera figurazione deve essere compresa. Il brano è sottoposto a una progressiva accelerazione che vede il suo culmine nelle pagine da 7 a 9, dopodiché si ha un rallentamento corrispondente ad un ripiegarsi della tensione emotiva e gestuale, cui si accompagna anche una diminuzione della dinamica, accentuata dall’uso della sordina a pagina 10 e infine della sordina da studio nell’ultima pagina del pezzo. La forma generale della Sequenza si potrebbe ricondurre alle variazioni su basso ostinato del periodo rinascimentale e barocco, ove il climax emotivo è ottenuto tramite un’intensificazione e accelerazione ritmica verso la parte centrale del pezzo, mentre nella conclusione si ha sempre un risolversi della tensione, cui corrisponde un rallentamento dei valori ritmici. L’impiego da parte di Berio di questa struttura ad arco non è certo casuale e, accanto al ricorrere della diade la-si a mo’ di ciaccona o passacaglia, costituisce quel chiaro richiamo alla storia che caratterizza la Sequenza VIII rispetto alle altre composizioni della serie. L’articolazione spazio-temporale dell’opera è prossima a quella che contraddistingue la Sequenza VII , ove, come scrive Ivanka Stoianova, si ha “le remplissage progressif de la dimension verticale vers une zone culminante sur le dernier son de la série (sol3) et après la désinence formelle terminale qui diminue la densité des sons utilisés et retrouve le fondement centralisateur”. 16 Vi è però una sostanziale differenza tra le due opere, poiché nella Sequenza per violino il culmine emotivogestuale non coincide affatto con il raggiungimento del culmine delle altezze a pagina 4; quest’ultimo non fa che introdurre il vero apice del pezzo, consistente nei passi in biscrome rapidissime delle pagine 7-9, ove la fortissima spinta tensiva è determinata dall’estrema densità del materiale sia in termini temporali (grande velocità), sia in termini verticali (le altezze si muovono cromaticamente entro un ambito assai ristretto) e dalla sua giustapposizione a un elemento fortemente contrastante, gli accordi in fortissimo. Per quanto riguarda la struttura, si possono individuare alcune macro-sezioni: 16. STOIANOVA 1985, p. 436; il sol 3 nella citazione corrisponde al sol 5 secondo la nomenclatura adottata nel presente saggio (do centrale = do3).
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1-3). La prima pagina presenta la ripetizione di la 3-si3 e dei loro vicini cromatici prevalentemente in valori di semiminima e croma. Nella costanza dei parametri delle altezze, del ritmo, dell’intensità (tutto è da eseguirsi in fff quasi invariabilmente fino alla fine di pagina 1), la varietà è ottenuta soprattutto timbricamente tramite cambi di corda, delle arcate, e tramite gli unisoni contemporanei anche di tre suoni (per il la 3, utilizzando due corde diteggiate e la corda vuota). Durante tutto il corso di pagina 1 vi è un progressivo slittamento dall’invariabile al variabile, dallo statico al dinamico: 1) nelle altezze, grazie alla progressiva aggiunta di suoni contigui attorno a la-si, ma inseriti a distanze temporali mai uguali; 2) nelle durate, con la progressiva accelerazione generata dall’introduzione di valori più piccoli della semiminima; il rapporto tra numero di semiminime e numero di valori inferiori si modifica in modo che, se la prima croma compare solo dopo 20 semiminime, la seconda croma compare dopo un ulteriore gruppo di 7 semiminime, che poi si riducono a 4 e così via (Esempio 3). Sezione 1 (pp.
Esempio 3. Sequenza VIII , p. 1, successione dei valori ritmici
È come se l’ossessiva ripetizione delle semiminime in fff subisse il ‘disturbo’ dei valori minori che progressivamente s’insinuano nell’enunciato fino a scardinarne la monoliticità; tuttavia la semiminima, fungendo da vero e proprio tactus, rimane implicito comune denominatore di tutte le floride figurazioni successive, che si espandono verso l’acuto e verso il grave rispetto al la-si centrale e che iniziano sempre con un la3, si 3 o do3 accentati. La lievitazione del materiale sonoro coincide con il progressivo appropriarsi di tutte le altezze del totale cromatico, completato con il mi solo a pagina 2 della partitura (ultimo rigo). A metà di pagina 2 e a metà di pagina 3 vi è il ritorno alla ripetizione ostinata di la e si, seguiti entrambi da nuove figurazioni di arpeggio.
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LA «SEQUENZA VIII» PER VIOLINO SOLO DI LUCIANO BERIO Sezione 2 (pp.
3-6). Alla fine di pagina 3, in corrispondenza del passaggio al metronomo di 104 alla semiminima, la scrittura si modifica e tutto il passo si caratterizza per la polifonia a due voci e i salti. Il ritorno dell’ostinato nel penultimo sistema di pagina 4 prelude a una nuova sezione in veloci quartine di semicrome e terzine, che producono un effetto di accumulazione sonora: le figurazioni riconducibili all’arpeggio e il nutrito uso della polifonia reale a due voci creano agglomerati armonici che determinano una percezione verticale dell’enunciato. Tutta questa sezione è caratterizzata dall’insistenza sul mi4 (già iniziata alla fine della sezione 1) e sui suoni a esso contigui, e dall’esplorazione del registro acuto dello strumento, fino alla nota più acuta del brano, sol6, raggiunto a pagina 4, sistema 6. (pp. 7-9). L’intensificazione sonora e armonica sfocia nel climax del pezzo, a pagina 7, ove sei moduli di quartine di biscrome velocissime sono da eseguirsi staccato e pianissimo nell’ordine preferito dall’interprete per una durata complessiva di 60 secondi. Dopodiché il violinista deve continuare l’esecuzione di queste figurazioni in ordine libero, ma sovrapponendovi accordi di tre o quattro suoni in fortissimo sempre più ravvicinati tra loro. Questa sezione di grande tensione sfocia a pagina 8 in un passaggio di biscrome velocissime, stavolta legate, e termina con un ritorno all’ostinato iniziale. Sezione 3
Sezione 4 (pp.
10-11) Da pagina 10 la tensione comincia a scemare e Berio prescrive la sordina. La scrittura si fa cantabile, in pianissimo e con un “tempo molto instabile, quasi improvvisando”. La sezione è punteggiata da accordi già ascoltati a pagina 7 ed esclude quasi del tutto il suono mi. A pagina 11 infine si prescrive l’uso della sordina pesante, gli accordi si ripiegano un po’ alla volta su se stessi sempre in modo simmetrico attorno alle note perno e il pezzo termina sui suoni la3-si3 da cui era partito. Cerchiamo ora di esaminare più nel dettaglio alcuni elementi. Nella prima sezione la progressiva, impercettibile variazione a livello delle altezze porta il fulcro a spostarsi dal la3, ripetuto ossessivamente ben otto volte all’inizio, al si 3, che, dapprima apparso sporadicamente, si rivela l’altro elemento centrale del brano a partire dal quarto sistema. La centralità della diade è comunque sottolineata da due segnali: il primo è proprio la comparsa del bicordo la-si dopo otto semiminime di la, configurandosi così come battere di un’immaginaria terza misura di 4/4, allusione sottolineata dalla regolare alternanza di arcate al tallone e alla punta; il secondo segnale è costituito dalla comparsa del bicordo la-si immediatamente dopo le prime due crome del pezzo, rispettivamente nel terzo e quarto sistema, ancora una volta a sottolinearne la funzione tetica. Dalla prima pagina compaiono due elementi ritmici ricorrenti (Esempio 4); li ritroviamo associati a pagina 2 (sistemi 2 e 3), poi il primo elemento ritorna spesso
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con il periodico riemergere dell’ostinato iniziale, mentre il secondo caratterizza la sezione conclusiva del brano.
Esempio 4. Ritmi caratteristici
Sin dall’inizio l’espansione progressiva delle altezze a partire dalla diade-perno avviene in modo simmetrico, abbracciando solo una quarta nei primi sei sistemi (Esempio 5), per poi comprendere una sesta minore inferiore e una sesta minore superiore attorno al nucleo la-si, alla fine di pagina 1 (Esempio 6).
Esempio 5. Sequenza VIII , p. 1, sistemi 1-6 (altezze e loro successione)
Esempio 6. Sequenza VIII , p. 1, sistemi 1-8 (altezze)
Più avanti le figurazioni di arpeggio, la polifonia a due voci, gli accordi ubbidiscono tutti alla stessa volontà di simmetria: si vedano gli accordi di 3-4 suoni a pa gina 7 e, nella conclusione (pagina 11, sistemi 5-6), il progressivo ripiegarsi su se stessi degli accordi che diminuiscono la loro ampiezza come in un moto pendolare che va spegnendosi (Esempio 7).
Esempio 7. Sequenza VIII , p. 11, sistemi 6-8
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LA «SEQUENZA VIII» PER VIOLINO SOLO DI LUCIANO BERIO
Tornando all’Esempio 6, si può notare che la sequenza di altezze utilizzata nella prima parte del brano è una serie difettiva di undici suoni, mancante del mi, che, come ho detto, compare solo nell’ultimo sistema di pagina 2; questa altezza ricopre però un ruolo sempre più centrale già a partire dal secondo sistema di pagina 3, configurandosi come un elemento portante nella sezione 2 e nella sezione 3, in cui i sei moduli di biscrome sono tutti compresi nell’intervallo la 3-mi4. Poi nella sezione finale di nuovo il mi si eclissa, cedendo il campo alle sonorità iniziali ma in tutt’altro clima emotivo ed espressivo. Dall’inizio vi è un progressivo appropriarsi di tutti i suoni dell’ambito del violino con un’ascesa che culmina con il sol 6, toccato un’unica volta nel corso del brano a pagina 4: qui si hanno quattro ascese della linea verso l’acuto, di cui le prime tre culminano nel fa# 5, raggiunto per salto, l’ultima nel sol6, raggiunto con un salto di quinta diminuita (do#-sol). Esse imprimono alla scrittura una forte spinta direzionale; inoltre, il raggiungimento dei limiti acuti sempre per salto e mai per grado congiunto, e il ridiscendere ex abrupto alla nota perno si e all’ostinato iniziale subito dopo avere toccato il sol 6 accrescono nell’ascoltatore la coscienza dello spazio sonoro complessivo e hanno una forte connotazione gestuale e teatrale. Se poi prendiamo in considerazione la nota più grave di tutta la Sequenza VIII , il sol2, esso è toccato solo due volte — a pagina 5, sistema 3 — anche in questo caso raggiunto per salto, a sottolinearne la funzione di limite e confine. Alcune altezze posseggono un alto grado di mobilità nelle diverse ottave, altre invece appaiono per lo più polarizzate in una sola ottava. Dal sol 2 al sol6 troviamo rappresentato quasi tutto il totale cromatico, con le sole eccezioni di la 2 e si2; proprio il costante ritorno dell’asse centralizzatore conduce Berio a evitare con cura di toccare i suoni corrispettivi un’ottava sotto, mentre non ne limita il proliferare nelle ottave superiori. Lo stesso vale per il mi, che, configurandosi come punto di riferimento secondario del brano, come vedremo più nel dettaglio, compare quasi sempre polarizzato come mi4. Infatti, alla fine del quarto sistema di pagina 3 questa altezza si rivela parte di un elemento che presenta l’oscillazione re#-re (Esempio 8, il motivo è indicato come elemento y ) e che trae origine da una melodia popolare, raccolta da Alberto Favara e poi pubblicata postuma nel suo Corpus di musiche popolari siciliane 17 con il titolo Nota di Monte Erice (Esempio 9); questa melodia era tanto cara a Berio, che egli la riutilizzò qualche anno più tardi in Voci, opera in cui il violista intona appunto una serie di melodie popolari siciliane. 18
17. FAVARA 1957: la melodia in questione, Nota di Monte Erice, è il n. 6 della raccolta; cfr. pure F ELICI 2006, pp. 42-43. 18. In Voci la Nota di Monte Erice è l’ultima melodia siciliana intonata dal solista, pp. 101-105.
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Esempio 8. Sequenza VIII , p. 3, sistema 4
Esempio 9. Nota di Monte Erice (FAVARA 1957: n. 6)
Nella Sequenza VIII tutta la sezione 2 risente in qualche modo di questa reminiscenza, soprattutto nell’insistenza del breve motivo mi-re#-mi-re (si veda pagina 4, sistemi 1-2); tale elemento è prima affiancato, poi sovrapposto (Esempio 10) alla cellula fa-la-fa#, che presenta l’alternanza di terza maggiore e terza minore (nell’Esempio 8 contrassegnato come elemento x ): la presenza del fa3 per la prima volta nel corso del brano accentua la rilevanza di questo elemento nell’economia dell’opera.
Esempio 10. Sequenza VIII , p. 4, sistemi 1-2
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Alla fine di pagina 4 e all’inizio di pagina 5 — dopo l’ascesa al sol 6 e il ritorno dell’ostinato — lo stesso procedimento di giustapposizione/sovrapposizione collega l’elemento y ad una cellula di tre suoni (sol#-la#-si): si tratta in questo caso di un’esplicita citazione della sezione XIX di Coro, per voci e strumenti, 19 composto tra il 1975 e il 1977. Quest’opera, tra le più significative di Berio, presenta l’alternanza di sezioni corali e sezioni solistiche e si avvale di tecniche compositive in parte mutuate da diverse tradizioni musicali, folkloriche e di interesse etnologico, pur escludendo quasi del tutto la citazione diretta; la sezione XIX è un duetto di soprano e violino primo con rari interventi del pianoforte, al termine del quale il soprano intona il testo “it’s nice” sulle note sol#-la#-si, mentre il violino esegue una figurazione che costituisce un’elaborazione dell’elemento y di matrice folklorica (Esempio 12).
Esempio 11. Sequenza VIII , p. 4, sistema 8, e p. 5, sistema 1
Esempio 12. Coro, Sezione XIX, estratto
Si possono dunque sottolineare due elementi: il primo è la polifonia intesa come interazione di oggetti dissimili, con un effetto di straniamento (la Verfremdung di brechtiana memoria), che porta a una nuova creazione di senso; il secondo è l’uso fecondante della citazione, in questo caso una sorta di citazione al quadrato, di metacitazione, il cui nucleo originario anche per il passo di Coro può essere ricondotto alla fascinazione esercitata su Berio dalla melodia popolare siciliana. Il legame tra Coro e la Sequenza per violino non si limita all’auto-citazione, poiché la linea del violino della sezione XIX si sviluppa attorno alla nota perno si, che viene 19. Coro per voci e strumenti, 1977, UE 15044.
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ripetuta ossessivamente; inoltre, le figurazioni di polifonia a due voci che vi compaiono sono echeggiate e sviluppate a pagina 5 della Sequenza, sottoponendole ad un processo di ripetizione-accumulazione, funzionale alla crescita di tensione che sfocia nel climax di pagina 7. Possiamo concludere che la Sequenza VIII , grazie alla chiarezza formale e all’economia dei materiali fondanti utilizzati, riesce a conservare una grande unitarietà pur nella molteplicità dei gesti e tecniche strumentali, dei riferimenti storici e degli intrecci con altre opere dello stesso Berio. Corale
Nel capitolo intitolato Tradurre la musica, del volume Un ricordo al futuro , Berio descrive così la sua idea di trascrizione: Immaginiamo, per esempio, situazioni concertanti dove un solista coesiste con la sua stessa immagine riflessa e trascritta in un gruppo strumentale che diventa, a tratti, una sorta di specchio deformante e amplificatore (si tratta di un’interazione che offre sviluppi interessanti con le tecnologie informatiche). Queste forme concertanti possono far emergere, trascrivere e amplificare funzioni contenute in una pre-esistente e autonoma parte solistica. Si tratta allora di rendere esplicite le virtualità contenute nel disegno originale come se fosse un dato naturale dal quale bisogna estrarre forme, disegni e funzioni che gli sono inerenti. 20
Berio compose una serie di brani dal titolo Chemins, trasformando alcune Sequenze in nuovi lavori, in cui il solista dialoga con un gruppo strumentale o orchestra. Ripercorriamo brevemente la storia di queste composizioni, che si potrebbero definire come una sorta di ipertesto o analisi delle Sequenze stesse.21 La prima opera con questo titolo, Chemins I (su Sequenza II) per arpa e orchestra del 1965,22 fu pensata in concomitanza con la composizione per arpa sola ed è caratterizzata dall’aggiunta di brevi commenti strumentali inseriti nel percorso dell’arpa, o so vrapposti quando questa ripete figurazioni rapide. Chemins II , IIb, IIc e III sono invece tutti legati alla Sequenza VI per viola.23 A differenza di Chemins I , Chemins II conserva pressappoco la stessa durata della Sequenza VI , presentando l’inserzione di sole sette misure rispetto al materiale di partenza. Il gruppo strumentale aggiunge nuovi strati alla scrittura, già di per sé densa, della parte solistica, con rapide ripetizioni, tremoli, cellule motiviche ripetute, dissolvendo così in un’aura armonica la dimensione orizzontale della musica. Chemins IV per oboe e undici archi24 è del 1975, quindi prossimo alla Sequenza per violino; come e ancor più che nella Sequenza VII per oboe, la nota si funziona 20. BERIO 2006, pp. 35-36. 21. BERIO 1981, p. 120. 22. Chemins I (su Sequenza II) per arpa e orchestra, 1965, UE 13720. 23. Chemins II (su Sequenza VI) per viola e nove strumenti, 1967, UE 13740; Chemins IIb (su Sequenza VI) per orchestra, 1970, UE 14948; Chemins IIc (su Sequenza VI) per clarinetto basso e orchestra, 1972, UE 14948; Chemins III (su Chemins II) per viola e orchestra, 1968/73. 24. Chemins IV (su Sequenza VII) per oboe e undici archi, 1975, UE 31268.
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da pedale che penetra tutta la struttura del pezzo; inoltre, gli archi hanno anche funzione di ritornello, inserendosi nelle pause dell’oboe come in Chemins I . Corale (su Sequenza VIII) occupa una posizione centrale nella serie di composizioni scritte a partire dalle Sequenze. Con quest’opera Berio abbandona provvisoriamente il termine Chemins, ma che Corale appartenga alla stessa tipologia di brani è evidente dal riferimento esplicito alla Sequenza VIII . Egli ha definito Corale “quasi una passacaglia”, 25 esaltando e sottolineando il richiamo alla forma delle variazioni su basso ostinato già emerso a proposito dell’opera per violino solo. In Corale la diade la-si è quasi sempre affidata ai due corni e la tecnica del commento si attua sia a livello dell’arricchimento armonico e timbrico, sia con l’inserto di episodi orchestrali. Il gruppo strumentale svolge una pluralità di ruoli: -
riverberazione della scrittura del solista; anticipazione ed eco dei materiali esposti dal solista; saturazione-cromatizzazione dei campi armonici; dialogo-contrapposizione con il violino secondo la tipologia coro-solista; amplificazione della gestualità del solista negli episodi orchestrali.
Nella prima sezione di Corale il gruppo strumentale svolge il ruolo di attualizzare il campo armonico sotteso alla scrittura del violino solista. Gli strumenti entrano uno alla volta in pianissimo: prima il secondo corno con suono stoppato, poi il primo corno con sordina, la prima viola sola, il primo violoncello sul ponticello, il primo dei violini secondi, il primo violino e infine il primo contrabbasso, tutti con sordina, riverberando come in una risonanza artificiale i suoni esposti dal solista in fff (Esempio 12).
25. BERIO 1990.
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Esempio 13. Corale, inizio
Solo a pagina 3 di Corale gli strumenti si discostano dalla funzione di moltiplicare le risonanze, unendosi in un andamento omoritmico in contrattempo con il solista e anticipando i due moduli ritmici di cui ho parlato a proposito della Sequenza (Esempio 4). Infatti, è essenziale in Corale la proliferazione nelle parti or-
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chestrali di anticipazioni ed echi del materiale esposto dal solista. Si veda a tale proposito l’anticipazione del motivo fa-la-fa# (che ho precedentemente indicato come elemento x ) già alla misura 48, mentre compare nel solista solo a misura 52; forse ancora più significativa è l’anticipazione già alla misura 16 del suono mi, la cui assenza nella prima parte della Sequenza riveste, come abbiamo visto, un ruolo strutturale essenziale; subito dopo l’ascesa del solista al sol 6, in Corale è inserito un intervento orchestrale di due misure, nel quale si anticipa l’auto-citazione da Coro; quando lo stesso materiale è esposto dal solista, esso viene percepito come una sorta di risposta-ricapitolazione; infine, a pagina 32 i violini primi anticipano le altezze esposte due misure dopo dal solista, generando un vero e proprio processo imitativo. Le anticipazioni (o pre-echi) non hanno solo la funzione di giocare con la percezione e la memoria dell’ascoltatore: esse, introducendo episodi e campi armonici che nella Sequenza sono distanziati sull’asse temporale, generano sovrapposizioni che alterano in modo sostanziale il senso dell’enunciato. A tal riguardo sono chiarificatrici le parole di Berio a proposito di Chemins IV per oboe e undici strumenti: Le articolazioni della parte solistica sono alternativamente estese, preparate o anticipate inaspettatamente dal gruppo strumentale, creando un dialogo di mobilità e immobilità, di prima e dopo, di ricordo e oblio, che guardano in avanti o indietro e naturalmente guardano sempre l’un l’altro. [...] È possibile sviluppare situazioni concertanti in cui lo strumento solista diventa generatore di funzioni che vengono affidate al gruppo strumentale, il quale, a sua volta, genera la parte solistica. Genera qualcosa che già esisteva, in tale maniera che la parte solistica non è più un generatore ma un risultato.26
Dunque, nelle parti strumentali, il materiale della Sequenza è sottoposto a una diversa articolazione del flusso temporale, tramite rarefazioni e addensamenti che producono a tratti una sorta di corto circuito con il fluire diacronico dell’enunciato del solista. Inoltre il commento strumentale mutua attitudini proprie della musica elettroacustica, come quando gli archi interrompono in successione i trilli, prima i violini primi, poi i violini secondi, quindi le viole, i violoncelli e infine i contrabbassi, in una grande discesa verso il grave realizzata come un delay spazializzato (pagine 12-13, pagina 32). Un repentino cambiamento nella condotta degli strumenti si verifica a pagina 4 ove i violoncelli seguiti dai contrabbassi introducono un elemento del tutto nuovo (Esempio 14), in cui gli intervalli iniziali sembrano evocare una ninna nanna siciliana, anch’essa tramandata da Alberto Favara27 (Esempio 15); esposto in pianissimo e legato, tale elemento ‘altro’ viene immediatamente colto all’ascolto in un contesto caratterizzato da accordi degli archi e ripetizione della diade la-si nei corni. Che sia frutto di scelta consapevole o reminiscenza involontaria, esso non ri26. BERIO 1981, pp. 37-38. 27. FAVARA 1957, n. 525 [ Alavò (Carini)], pubblicato anche in una versione armonizzata in FAVARA 1959, n. 7.
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torna più nel corso dell’opera, ma sembra riverberarsi nell’altro motivo (già indicato con y ) di matrice folklorica, esposto molto più tardi dal solista; i due motivi sono apparentati non solo dalla comune origine siciliana, ma anche dall’avere una successione in parte speculare degli intervalli: semitono, tono, terza minore nel motivo esposto dai violoncelli (sol3-fa#3-mi3-do#3), terza minore, tono, semitono nella chiusa del motivo y (fa4-re4-do4-si3).
Esempio 14. Corale, misure 16-17, estratto
Esempio 15. Alavò (Carini) [FAVARA 1957: n. 525, prima parte]
Interessante è il modo sempre diverso in cui il gruppo strumentale si contrappone al solista quando questi espone l’ostinato: in contrattempo a pagina 3 e pagina 9; con trilli e una rapida figurazione a pagina 13; con registri aperti e vuoti contrapposti alla scrittura densa e contratta dell’inizio (pagina 17); in veloci figurazioni che cromatizzano il campo armonico negli archi, mentre i corni espongono ancora una volta il motivo x ; con figurazioni di biscrome e un accordo in fortissimo in contrattempo a pagina 59; ancora in contrattempo a pagina 62. In generale, comunque, pur nella ricerca di varietà, in corrispondenza dell’ostinato nel violino prevale negli strumenti una scrittura omoritmica, come un coro che risponde al solista. La parte che nella Sequenza ho contrassegnato come sezione 2 presenta in Corale un incremento dell’elemento concertante, con interventi significativi degli archi e dei corni. Il processo di accumulazione presente nelle pagine 5-6 della Sequenza è notevolmente accentuato dagli interventi del gruppo strumentale, che di varicano momenti di sospensione nella scrittura del solista e si configurano come veri e propri ‘tutti’ contrapposti agli episodi solistici; si veda pagina 28, ove un in-
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tervento orchestrale di 18 misure presenta un grosso crescendo anche dei corni che per la prima volta arrivano al fortissimo, o pagina 35, ove un altro intervento del gruppo strumentale vede i corni partecipare ancora più attivamente al climax associandosi alla scrittura per semicrome degli archi — che saturano il campo armonico — con un elemento discendente che contiene le note iniziali del pezzo (si-sibla-sol). Il parossismo generale si placa in corrispondenza delle pagine 7-8 della Sequenza; qui si assiste a un eclissarsi quasi totale degli strumenti per lasciare spazio a quella che si configura come una lunga ‘cadenza’ del violino solista, con un chiaro riferimento alla forma del concerto. Un ultimo intervento dell’ensemble avviene a pagina 48 della partitura: nella Sequenza gli accordi compaiono sempre più a distanza ravvicinata, fino a soppiantare del tutto i moduli di biscrome (pagina 8, sistema 2, vedi l’Esempio 2); quando il solista esegue l’ultima e la più lunga successione di accordi, in Corale il gruppo orchestrale irrompe moltiplicando e amplificando l’effetto con tremoli di accordi in fff , mentre i corni suonano anch’essi fortissimo. Nella sezione finale l’accompagnamento orchestrale, scarno e in sordina, torna a fondersi con la scrittura solistica; l’unica eccezione è nella conclusione dove, mentre il solista sosta sul la e gli archi eseguono trilli, il violino primo s’inerpica verso l’acuto, su un pedale dei contrabbassi che eseguono un mi tenuto per concludere su mib e infine re, forse un richiamo alla tonalità della Ciaccona dalla Partita II di Bach. In definitiva la forma ad arco della Sequenza è confermata in Corale da un alto grado di identificazione tra solista e ensemble nella prima parte e nella sezione finale, mentre nelle sezioni centrali dell’opera si assiste a un’intensificazione cinetica, dinamica e soprattutto ad una moltiplicazione delle spinte centrifughe e dell’opposizione solista-gruppo. Proprio l’alternanza di episodi solistici e orchestrali nella sezione centrale e la trasformazione dell’episodio delle pagine 7 e 8 della Sequenza in una grande cadenza solistica mostrano chiaramente che, nella pluralità di gesti, citazioni, trasformazioni, moltiplicazioni, amplificazioni cui l’opera per strumento solo è sottoposta in Corale , il richiamo alla forma del concerto riveste un ruolo non secondario: Qualsiasi ‘lavoro finito’ è un commento a un qualche esito precedente e anche a qualche cosa che seguirà: come una domanda che provochi non solo una risposta, ma anche un commento, e un’altra domanda e un’altra risposta.28
28. BERIO 1990.
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