INDICE
LET’S PLAY A GAME
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LA QUESTIONE NERA NEGLI STATI UNITI Dall’abolizione della schiavitù alla segregazione Leader neri tra fine ‘800 e inizio ‘900 Il New Deal e la seconda guerra mondiale Gli anni Cinquanta e le lotte per i diritti civili Il Black Power
3 4 5 7 9
IL BLACK PANTHER PARTY Le origini del partito Il patrolling Il patrolling e la nascita della leggenda La crescita del BPP da Oakland a Sacramento L’arresto di Newton e la leadership di Cleaver La coalizione con il PFP e i rapporti con lo SNCC L’ideologia del BPP: la svolta socialista L’organizzazione del partito Tra fucili e colazioni gratuite L’attacco dello stato contro il partito e la resistenza delle Pantere L’isolamento del BPP La liberazione di Newton e la fine del suo mito Dall’internazionalismo all’intercomunitarismo La crisi interna e la scissione Triste epilogo
13 15 17 18 21 23 24 25 27 28 30 31 33
LA REPRESSIONE Le Pantere nel mirino del Cointelpro Due casi esemplari di repressione: Chicago… …E New York La criminalizzazione del BPP La lotta nelle carceri e la saga di George Jackson
37 39 41 42 43
CONCLUSIONI
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BIBLIOGRAFIA
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LET’S PLAY A GAME Facciamo un gioco: io ti descrivo un quartiere povero, un ghetto dove ci sono miseria, droga e violenza ma i bimbi delle elementari fanno la prima colazione gratis, con ex delinquenti che ogni mattina si svegliano alle sei per prepararla. Le nonne di quei bimbi, se devono andare in qualche posto tipo fare la spesa, e hanno paura a uscire di casa da sole, telefonano a quella che tutti i giornali descrivono come una pericolosa gang, o addirittura un gruppo di terro terrori rist stii che che atte attent nta a alla alla sicu sicure rezz zza a dell della a nazi nazion one, e, mi segu segui? i? Ques Questi ti mandano qualcuno che scorta la nonnetta, la aiuta e magari le paga la spesa. E non è un servizio solo per anziani: c’è il programma che si chiama “People’s Free Food Program”, che dà da mangiare a chi fa la fame: decine di migliaia di sacchi di alimenti. Sempre in quel quartiere è diffusa una certa forma di anemia, molti non sanno nemmeno che ce l’hanno. Bene, possono fars farsii il test test grat gratis is in una una clin clinic ica a popo popola lare re… … mess messa a su da chi? chi? Dai Dai soli soliti ti pericolosi soggetti. Questi ultimi hanno anche una piccola fabbrica di scarpe, ci lavo lavora rano no ex gale galeot otti ti dive divenu nuti ti ciab ciabat atti tini ni in gale galera ra.. Le scar scarpe pe veng vengon ono o dist distri ribu buit ite e grat gratis is a chi chi non non le ha. ha. C’è C’è un prog progra ramm mma a così così anch anche e per per gli gli indu indume ment nti. i. Se ti si guas guasta ta il cess cesso o o l’im l’impi pian anto to elet elettr tric ico o e non non hai hai un cent cente esim simo, i “ter “terro rori rist sti” i” ti man mandano ano grat gratis is uno uno che che fa l’id l’idra raul ulic ico o o l’elettricista. Alcuni di loro si mettono agli incroci pericolosi privi di semaforo e… dirigono
il traffico,
difficile
da credere, vero?
Per
non parlare
dell dell’a ’ass ssis iste tenz nza a lega legale le grat gratui uita ta ai giov giovan anii del del ghet ghetto to,, del del prog progra ramm mma a di assist assistenz enza a e consul consulenz enza a a chi vuole vuole iscriv iscrivers ersii ai regist registri ri eletto elettoral rali, i, delle delle colo coloni nie e esti estive ve per per bamb bambin ini… i… Ah dime diment ntic icav avo o il prog progra ramm mma a di tras traspo port rto o gratuito per genitori e parenti di detenuti: noleggiando corriere i brutti ceffi di cui sopra si preoccupano che possa ricevere visite anche chi sconta la pena lontano da casa e ha una famiglia povera. Non è un sogno a occhi aperti. Molte di queste cose succedevano nel ghetto nero di Oakland, California, a cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta, e le altre diverse città dove c’era il Black Panther Party. Si chiamavano “Community Survival Programs”.
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Wu Ming 1, New Thing, Thing, Einaudi, 2004
LA QUESTIONE NERA NEGLI STATI UNITI
DALL’ABOLIZIONE DELLA SCHIAVITU’ ALLA SEGREGAZIONE La fine della Guerra Civile segnò la fine della schiavitù su tutto il territorio degli Stati Uniti, ma fu ben lungi dal portare a una concreta emancipazione degli
afroamericani,
soprattutto
nel
Sud
del
paese.
Se
gli
anni
immediatamente successivi alla conclusione del conflitto videro un tentativo di ricost ricostruz ruzion ione e delle delle istitu istituzio zioni ni politi politiche che e socio socio-eco -econom nomich iche e degli degli stati stati meridionali imposto dall’autorità federale, ben presto gli eredi delle antiche famiglie famiglie dell’aristo dell’aristocrazia crazia sudista si rimpadroniro rimpadronirono no del potere. potere. Si concluse concluse così un’effettiva un’effettiva quanto quanto effimera effimera fase di affrancamen affrancamento to della popolazione popolazione nera: il Civil Rights Act del 1866 dichiarava tutte le persone nate negli U.S.A. (tranne gli Indiani) cittadini della nazione con gli stessi diritti, senza riguardo alla razza. Per poco più di un decennio i neri esercitarono un reale diritto di voto in tutto il paese. L’esperienza di un Sud democratico e interrazziale si dimostrò però di breve durata. A partire dalla fine degli anni Settanta, i neri furono allontanati dalle urne in tutti gli ex stati confederati, sia da leggi approvate a livello locale, sia dai pestaggi, dagli incendi e dalle uccisioni, di cui si rese protagonista il Ku Klux 3
Klan, un’organizzazione razzista segreta, diretta e finanziata dall’elite sudista. Dopo l’abolizione della schiavitù si ebbe quindi un inasprimento del clima razzista nel Sud: si creò un vero e proprio regime di apartheid in cui gli spazi riservati ai neri erano rigidamente separati da quelli riservati ai bianchi. Furono approvate leggi che istituivano scuole, ospedali, locali pubblici, mezzi di trasporto, negozi, ecc. separati per le due razze. La segregazione fu sancita dalla Corte Suprema che coniò l’espressione separate but equal 1, anche se in realtà le istituzioni e i servizi destinati ai neri furono sempre trascurati e lasciati in pessime condizioni. La popolazione di colore si trovava quindi a subire pesanti discriminazioni in ogni aspetto della vita pubblica e personale. Impossibilitati ad accedere ai lavori migliori, costretti a vivere nelle zone più degradate dei centri abitati in condizioni di estrema povertà, vittime di continui linciaggi (se ne contarono almeno 1700 tra il 1889 e il 1909) e angherie di ogni genere quasi sempre tollerate, quando non istituzionalizzate, dalle autorità, tra i neri s’instillò un senso d’inferiorità che alimentava paure e scarsa fiducia nelle proprie capacità. Fu in questo periodo che centinaia di migliaia di ex schiavi presero la via del Nord attratti dalle possibilità di lavoro offerte da un sistema industriale in espansione, andando a formare i primi ghetti neri. Questo fenomeno continuò nei decenni successivi, con un’impennata durante la prima guerra mondiale, quando l’incremento della produzione bellica e il blocco dell’emigrazione dall’Europa resero disponibili migliaia di posti nelle fabbriche ai lavoratori di colore. L’emigrazione verso le metropoli del Nord riservava spesso ai nuovi arrivati cocenti delusioni. E’ vero che qui i lavoratori neri erano meglio retribuiti, potevano educare i loro figli, esercitare il diritto di voto e non si trovavano più sotto la costante minaccia della violenza, ma d’altra parte rimanevano confinati in posizioni servili e non qualificate, erano esclusi dai sindacati e rigidamente segregati nei quartieri loro riservati.
1 Sentenza Plessy contro Ferguson del 1896.
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LEADER NERI TRA FINE ‘800 E INIZIO ‘900 Negli anni che seguirono l’abolizione della schiavitù, i neri non subirono sempre
passivamente
il
ritorno
alla
condizione
precedente
la
loro
emancipazione. Molti fuggirono dalle piantagioni, rivendicando i loro diritti, reclamando con lucida consapevolezza l’assegnazione di terre e la possibilità di ricevere un’educazione. All’interno delle comunità svolsero un ruolo fondamentale
le
chiese
nere,
che
divennero
rapidamente
istituzioni
promotrici d’istruzione, assistenza caritativa, vita sociale e leadership politica. Spesso fu proprio al loro interno che si mantennero vivi un senso di dignità umana e l’aspirazione a una società più equa, da cui si originarono i primi casi di ribellione e di disobbedienza individuale che avrebbero contribuito a creare le condizioni per le lotte del secondo dopoguerra. Molti leader di colore, esponenti di una sparuta protoborghesia nera, avvertivano che le promesse di emancipazione erano state tradite. A margine del movimento (bianco) progressista che, agli inizi del XX secolo, fu all’origine di un’ondata di riformismo sociale e politico, l’attivismo nero trovò occasione per nuovi sviluppi. Gli ultimi anni dell’Ottocento videro un avvicendamento tra i leader che si erano battuti per l’abolizione della schiavitù ai tempi della guerra civile (il più noto dei quali, Frederick Douglass, morì nel 1895) e una nuova generazione di personalità emergenti. Queste ultime
rinunciarono
alla
riconquista
dei
diritti
civili
perduti
dagli
afroamericani, e ridefinirono i loro obiettivi puntando sulla filosofia del selfhelp economico (vale a dire contare esclusivamente sulle proprie forze) e sull’avanzamento individuale verso la classe media: conquistata la libertà economica, alla fine sarebbe arrivata anche la libertà politica2. Il principale propugnatore di questa teoria era Booker T. Washington che, mentre fondava in Alabama una scuola tecnica per diffondere competenze professionali tra gli ex schiavi, sollecitava i neri ad adattarsi alla segregazione e ad astenersi da agitazioni per i diritti civili e il suffragio. A questo approccio gradualista e moderato si contrappose lo studioso e attivista William E. B. Du 2 Vedi Εric Foner, Storia della libertà americana, Roma, 2000, p. 186.
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Bois, che sostenne una strategia più radicale di rivendicazione aperta della parità razziale, ma che nello stesso tempo riteneva che essa avrebbe dovuto essere sostenuta soprattutto da un’avanguardia di particolare ingegno della popolazione nera. Nel 1911 Du Bois fondò assieme ad un gruppo di riformatori bianchi la National Association for the Advancement of Coloured People (NAACP) che reclamava “ogni singolo diritto politico, civile, e sociale che spetta a un americano nato libero”. La quasi totalità degli attivisti neri vide di buon occhio la partecipazione americana alla prima guerra mondiale e l’apporto fornito dai soldati di colore all’esercito statunitense. Molti pensavano che il servizio dei militari neri avrebbe portato allo smantellamento dell’ineguaglianza razziale così come, sessant’anni prima, le truppe di colore nordiste avevano contribuito alla causa abolizionista. Queste speranze, però, andarono totalmente deluse e il senso di profondo tradimento che si generò provocò un notevole sostegno al movimento separatista lanciato da Marcus Garvey, un immigrato giamaicano. Già Du Bois aveva sostenuto delle tesi panafricaniste, che Garvey riprese all’inizio degli anni ’20, reclamando il diritto all’autodeterminazione nazionale per i neri di tutto il mondo. Unendo al separatismo una buona dose di demagogia e nazionalismo nero, il garveinismo s’impose rapidamente in molti ghetti del Nord, e la sua principale organizzazione, la Universal Negro Improvement Association, arrivò a contare più di cinque milioni di membri sparsi in tutto il mondo3.
IL NEW DEAL E LA SECONDA GUERRA MONDIALE Le pur audaci riforme economiche e sociali varate dal presidente Roosevelt per contrastare la pesante crisi economica cominciata nel 1929, non portarono ad alcuna reale ridistribuzione della ricchezza. Esse giovarono soprattutto agli strati intermedi della società e trascurarono quasi totalmente le richieste dei neri. Nonostante Roosevelt avesse simbolicamente incluso alcuni esponenti di colore nella sua amministrazione e molti dei suoi 3 Sul garveinismo si veda: Horace Campbell, Resistenza Rasta , Milano, 2004, pp. 57-74.
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collaboratori bianchi, su tutti la moglie Eleanor, si fossero rivelati sensibili alla questione razziale, ben poco fu fatto per le rivendicazioni dei diritti civili, e addirittura il presidente si rifiutò più volte di firmare una legge federale contro il linciaggio. Ciononostante, alcune pubbliche prese di posizione sulle ingiustizie della segregazione, sulla revoca del diritto di voto e sulle continue violenze, contribuirono a creare un clima più favorevole intorno alle richieste dei neri, i quali per la prima volta votarono in massa per il Partito democratico, almeno al Nord e a Ovest, dove potevano effettivamente votare.
Abbandonarono
così
la
loro
tradizionale
fedeltà
al
Partito
repubblicano risalente ai tempi di Lincoln, comprendendo che i democratici in futuro sarebbero stati promotori degli interventi sociali più ampi e sostanziali. I limiti delle riforme del New Deal si evidenziarono particolarmente nella politica federale sulla casa: l’assegnazione di nuove unità abitative costruite dal governo di Washington e le ipoteche a lunga scadenza furono gestite da funzionari locali e banche private, i quali non fecero altro che rafforzare i confini residenziali già esistenti. La segregazione abitativa negli Stati Uniti era ormai istituzionalizzata. Gli anni Trenta videro anche la nascita di una nuova organizzazione sindacale, il Committee (e poi Congress) of Industrial Organization, che in poco tempo arrivò a sfiorare i quattro milioni di iscritti. Il CIO riuscì ad allargare la sua base organizzando quei lavoratori che erano sempre stati esclusi dai vecchi sindacati. I lavoratori neri, così come le donne, dell’industria entrarono quindi per la prima volta nel movimento sindacale. Il sindacato offriva loro non soltanto la possibilità di rivendicare salari più alti, ma soprattutto la dignità sul posto di lavoro e la fine del potere arbitrario di capi razzisti. La richiesta di manodopera nell’industria bellica durante la seconda guerra mondiale causò un massiccio trasferimento al Nord di lavoratori di colore del Sud. In 1,5 milioni andarono a ingrandire le comunità urbane nere. L’ostilità, che spesso degenerava in violenza, degli operai bianchi, e l’esperienza al fronte del milione di soldati neri sottoposti a umiliazioni e discriminazioni, contribuirono alla creazione di una coscienza collettiva che sarebbe sfociata nel movimento per i diritti civili.
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Combattendo un nemico, la Germania nazista, che faceva del razzismo la sua filosofia, l’America di Roosevelt si ritrovò promotrice di “un’accettazione pluralista della diversità culturale [ed etnica] come unica vera fonte di armonia in una società eterogenea 4”. Quest’accettazione era però ben lungi dall’essere stata raggiunta, se si pensa che solo nel 1941 negli Stati Uniti ci furono ben 13 linciaggi. Messo sotto pressione sia dalla propaganda dei Giapponesi, che presentavano se stessi come difensori delle popolazioni non bianche
contro
l’America
razzista,
sia
dalla
collera
montante
degli
afroamericani, che minacciavano una marcia di protesta su Washington per la loro quasi totale esclusione dai posti di lavoro più qualificati nella produzione bellica, il governo federale emanò una disposizione che bandiva ogni discriminazione negli impieghi legati alla difesa. La retorica ufficiale, tesa a esaltare gli ideali di libertà per i quali gli Stati Uniti erano entrati in guerra, permise alla stampa e agli attivisti più radicali di sottolineare il divario fra quegli ideali e la realtà di una nazione in cui il sangue “nero” veniva tenuto separato da quello “bianco” nelle banche del sangue. La conclusione della guerra vedeva ormai la condizione dei neri al primo posto nell’agenda del liberalismo illuminato che si stava ritagliando un suo spazio in seno al Partito democratico. Andava sempre più emergendo anche una nuova consapevolezza della connessione tra i problemi di razza e quelli di classe. Avrebbero infatti dovuto essere entrambi combattuti con la fine della discriminazione in campo lavorativo, negli alloggi, nelle scuole e con l’estensione al Sud agricolo delle tutele ottenute durante il New Deal.
GLI ANNI CINQUANTA E LE LOTTE PER I DIRITTI CIVILI L’aspetto più caratteristico degli anni Cinquanta fu senza dubbio il baby boom: la popolazione statunitense passò dai 150 milioni del 1950 ai 180 del 1960. Contemporaneamente il PIL crebbe a tassi elevatissimi, trainato da un’impennata dei consumi, resa possibile da un notevole aumento dei salari 4 Εric Foner, Storia della libertà americana , Roma, 2000, p. 314.
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reali. Conseguenza fu un massiccio sviluppo del ceto medio, che si riversò in massa nei suburbs (zone residenziali suburbane). Se da una parte questo trasferimento fu un potente fattore di americanizzazione, come dice il Foner, “separando le comunità urbane da quelle etniche e trasportandole dritte nel mondo del consumo di massa della classe media”, dall’altro esasperava l’omogeneità razziale di queste comunità suburbane, in cui ancora all’inizio degli anni Novanta la popolazione non bianca era inferiore all’1 per cento. Questa nuova classe media, che trovava la propria realizzazione personale nel lavoro e nell’innalzamento del suo tenore di vita, non contestava certo l’iniqua distribuzione del potere e delle risorse economiche. Era anzi alla base di quella società del consenso forgiata dalla diffusione della televisione, che si era ormai sostituita alla radio come mezzo di comunicazione di massa, vale a dire come mezzo di rafforzamento dei valori dominanti. Ma dietro alle immagini sgargianti del benessere e di una relativa pace sociale, la società americana covava tensioni, insoddisfazioni e conflitti che sarebbero sfociati, nel decennio seguente, in una stagione di protesta e rivolta senza precedenti. Gli happy days che danno il titolo alla nota serie televisiva, furono in realtà, come scrive Bruno Cartosio, “anni inquieti 5”. La diffusione del benessere non riguardò quei 42 milioni, circa un quarto degli Americani, che alla fine del decennio dorato dei fifties vivevano ancora in condizioni di povertà. Una buona parte di questi indigenti appartenevano a minoranze
etnico-razziali:
nativi,
asiatici,
ispanici
e
soprattutto
gli
afroamericani, pari al 12 per cento della popolazione. Per loro non soltanto la società dei consumi restava un miraggio, ma, ghettizzati in enclave urbane dagli enti federali che durante il boom edilizio stipulavano mutui ipotecari con restrizioni sul piano razziale, avevano difficoltà ad accedere alle scuole e ai servizi sanitari. Le barriere razziali riguardo agli alloggi furono poi accentuate dall’imponente migrazione nera dal Sud rurale al Nord urbano: tre milioni di neri presero la via del Nord tra il 1940 e il 1960. Qui, mentre le attività industriali si spostavano nelle estreme periferie delle città, un numero sempre crescente di afroamericani restava intrappolato nei ghetti urbani. Coloro che restavano al Sud dovevano invece rassegnarsi a essere 5 Vedi Bruno Cartosio, Anni inquieti. Società media ideologie negli Stati Uniti da Truman a Kennedy, Roma, 1992.
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sistematicamente esclusi dal voto e a vivere in una società segregata. Questa situazione, divenuta ormai insostenibile, fece sì che l’attivismo nero organizzato assumesse finalmente dimensioni di massa, tanto che in pochi anni il civil rights movement avrebbe raggiunto dei risultati fino ad allora inimmaginabili. La lotta per l’emancipazione dei neri compì i primi passi nelle aule di tribunale, dove la National Association for the Advancement of Colored People promuoveva azioni legali contro le leggi segregazioniste. Questo impegno raggiunse un clamoroso successo nel 1954, quando la Corte Suprema emise una sentenza contro la segregazione nelle scuole in una cittadina del Kansas6, che invalidava il principio del separate but equal. Si riconosceva che la segregazione razziale comportava una disuguaglianza intrinseca, generava in chi ne era vittima “un sentimento di inferiorità” e violava il quattordicesimo emendamento, in quanto privava i cittadini di colore della “eguale protezione della legge7”. Questa sentenza segnò un’importante inversione di tendenza e fu seguita da molte altre che, con grande lentezza, avviarono la desegregazione in altri ambiti della vita pubblica. Un anno dopo, la militante della NAACP Rosa Parks fu arrestata a Montgomery, in Alabama, per essersi seduta nella parte di un autobus riservata ai bianchi. Questo incidente, che provocò per più di un anno il boicottaggio dei mezzi pubblici della città da parte della cittadinanza di colore fino a quando l’amministrazione comunale cedette e desegregò i trasporti urbani, segnò l’inizio del più grande movimento di protesta della storia americana moderna. La lotta per i diritti civili cominciò a non essere più appannaggio
della
sola
borghesia
nera,
ma
di
tutta
la
comunità.
Manifestazioni, sit-in, atti di disobbedienza civile, a cui partecipavano sempre più attivisti, spinsero la contestazione a un nuovo livello di attivismo di massa e inaugurarono un decennio di grandi conquiste. I militanti trovarono nelle chiese nere le strutture necessarie per organizzare il nuovo movimento e in Martin Luther King un giovane leader carismatico. King, quando coordinò la protesta di Montgomery, era un 6 Sentenza del caso Brown contro Commissione educativa di Topeka, Kansas. 7 Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti, Roma-Bari, 2003, p. 196.
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ventiseienne pastore battista e tre anni dopo divenne il presidente della Southern Christian Leadership Conference (SCLC). Nel 1960 fu invece fondato lo Student Nonviolent Coordinatig Committee (SNCC), un’organizzazione multirazziale e indipendente che, seppur non molto numerosa, sarebbe stata per anni all’avanguardia del movimento8. Oltre ai sit-in, vennero inaugurati anche nuovi generi di manifestazioni come i freedom rides ( viaggi della libertà), con i quali attivisti bianchi e neri attraversavano gli Stati del Sud dando vita ad azioni pacifiche contro la segregazione. Il principio della nonviolenza era accettato da tutto il movimento, nonostante i manifestanti per i diritti civili fossero vittime di continue violenze, sia da parte della polizia, che di estremisti bianchi. Fu in questo periodo che i militanti
del movimento riconobbero
nell’autorità federale (incarnata dalla Corte Suprema, presieduta dal giudice di idee liberali Earl Warren, e dal governo di Washington) un custode dei diritti e della libertà contro i governi locali razzisti. Effettivamente la crescente forza delle proteste, e la violenza dei loro oppositori, costrinsero nel 1957 la riluttante amministrazione Eisenhower a inviare l’esercito a Little Rock, in Arkansas, per permettere a otto ragazzi di colore di entrare in una scuola tradizionalmente bianca. Questa fase del movimento raggiunse il suo apice nel 1963, con la marcia su Washington cui presero parte circa 250.000 persone, a conclusione della quale King tenne il suo celebre discorso, raccontando il suo sogno di una società senza più barriere razziali e sociali.
IL BLACK POWER “Il primo stadio [del movimento] si concluse soprattutto perché la lotta per i diritti civili raggiunse i suoi obiettivi più tipicamente liberali, cioè l’inserimento nella politica istituzionale e il riconoscimento dei neri americani quale gruppo d’interesse nella coalizione liberal (che presto sarebbe crollata) del Partito Democratico9”. 8 Sulla fondazione dello SNCC vedi Elisabetta Vezzosi, Mosaico Americano, Roma, 2005, p. 64. 9 Βruno Cartosio, Senza illusioni, i neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Milano,
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Fu durante la marcia del 1963 che si produssero le prime crepe nel movimento, fino ad allora compatto, per i diritti civili. A rompere con la NAACP e la SCLC di King fu lo SNCC, e le loro posizioni, progressivamente sempre più divergenti, crearono un abisso tra due diverse concezioni di portare avanti la battaglia per l’emancipazione degli afroamericani. Da una parte la fiducia nel sogno americano e nelle garanzie fornite dalla Costituzione e dalla tradizione religiosa protestante del paese; servendosi della disobbedienza civile nonviolenta, il pastore di Atlanta voleva far leva sui settori più illuminati della società bianca per estendere il “sogno” anche alla comunità nera. Dall’altra si faceva invece strada la convinzione che il paternalismo fosse quanto di più si potesse ottenere dai leader politici bianchi e si rimetteva in discussione la fiducia in una società integrata di bianchi e neri. All’integrazionismo, impersonato dalla figura di Martin Luther King, si contrappose un nazionalismo nero separatista che trovò in Malcolm X il suo più lucido esponente. Fino al 1964 Malcolm aveva militato nella Nation of Islam, un’organizzazione musulmana che vedeva nei bianchi “diavoli dagli occhi azzurri” e le cui idee sulla supremazia nera sfociavano in un razzismo alla rovescia. Liberatosi dal fanatismo e dalle pastoie religiose della Nation, Malcolm X si dedicò a una propria elaborazione politica, entrando anche in rapporti con spezzoni di quel movimento per i diritti civili che aveva sempre condannato. Innanzitutto considerava “masochista” la nonviolenza come tattica politica, ritenendo legittima l’autodifesa per garantire la propria incolumità. Seppe poi, più di chiunque altro, dare voce ai sentimenti dei lavoratori e dei disoccupati neri dei ghetti del Nord, costretti a vivere in condizioni squallide e degradanti. Ben lontano dal razzismo, il nazionalismo di cui parlava Malcolm X poco prima di essere assassinato nel 1965, rigettava una cittadinanza bianca di seconda classe e, affermando orgogliosamente le proprie origini africane, rivendicava il diritto a una storia e a una cultura della nazione nera10. Nazionalismo nero voleva anche dire internazionalizzare le lotte degli 1995, p. 46. 10 Dove per nazione non si intende più una realtà politica, che i fantasiosi separatisti della Nation of Islam avrebbero voluto costituire in seno agli Stati Uniti oppure in Africa, ma la comunità degli afroamericani, tenuti insieme dalla consapevolezza di una comune identità razziale.
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afroamericani, collegandole con le guerre di liberazione in Africa, condannare l’aggressione americana del Vietnam e incoraggiare la renitenza alla leva. Ucciso all’età di 40 anni, Malcolm X divenne estremamente popolare tra i neri dei centri urbani e i giovani attivisti radicali, mentre il dibattito sui responsabili dell’omicidio resta ancora aperto 11. La sua eredità politica venne raccolta dallo SNCC 12 che nel 1966 nominava Stokeley Carmichael presidente. Carmichael dichiarò subito che da quel momento la nonviolenza sarebbe stata una tattica e non una filosofia di vita, e fece allontanare i bianchi dall’organizzazione. I bianchi, anche i meglio intenzionati, erano comunque considerati portatori di miti di superiorità occidentale e, dotati di una cultura media superiore, intimidivano i compagni neri13. Queste novità vennero rese pubbliche durante la marcia di Meredith, nel giugno del 1966, che riunì per l’ultima volta tutte le componenti di quello che era stato il movimento per i diritti civili. Martin Luther King ottenne garanzie sulla nonviolenza della marcia e la non esclusione dei bianchi, ma lo SNCC impose la presenza di un servizio d’ordine armato che garantisse l’incolumità dei partecipanti. Fu in quell’occasione che la vecchia parola d’ordine “libertà adesso” fu sostituita da un nuovo slogan, che in poco tempo fece il giro del mondo: black power , potere nero! L’espressione, il cui significato non fu mai ben chiarito, e che venne interpretata in modi differenti, fu immediatamente rigettata da King e dall’ala “integrazionista” del movimento, e suscitò timori, quando non vera e propria paura, nella popolazione bianca di un paese colpito da una lunga serie di tumulti spontanei, i riots, che assumevano spesso i caratteri di vere e proprie rivolte razziali. Queste insurrezioni erano il più delle volte originate dalla violenza impiegata dalla polizia, e degeneravano rapidamente in saccheggi, con i ghetti neri che restavano ingovernabili per intere giornate. I furti e le devastazioni non erano, nelle maggior parte dei casi, indiscriminati, ma colpivano soprattutto le forze dell’ordine (all’inizio con sassi e bottiglie molotov, poi con armi da fuoco) e i negozi del ghetto posseduti da bianchi 11 Quel che è sicuro è che una delle guardie del corpo di Malcolm X era un infiltrato dell’FBI. Questi, in un rapporto ai suoi superiori, si attribuì il merito di aver provocato la disputa tra il leader nero e quei membri della Nation of Islam che lo avrebbero assassinato. 12 Significativamente dal 1966 la N non stava più per Nonviolent ma per National. 13 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 23.
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ricchi. Tra il 1964 e il 1968 i riots furono innumerevoli, violentemente repressi da polizia ed esercito, con centinaia di morti e danni alla proprietà per svariate centinaia di milioni di dollari. Le violenze nei ghetti e la radicalizzazione di ampie frange del movimento causarono il declino di molti leader moderati. Martin Luther King aveva ottenuto le sue più grandi vittorie politiche con la firma da parte di Johnson di due storiche leggi che sancivano la fine legale della segregazione e il diritto di voto garantito a tutti: nel 1964 il Civil Rights Bill, e, un anno dopo, il Voting Rights Bill.
Negli stessi anni il presidente lanciava la sua “guerra alla
povertà”, con sussidi scolastici, fondi federali per la scuole pubbliche, un vasto programma di edilizia popolare nelle città. Fra il 1964 e il 1969 il reddito medio delle famiglie nere crebbe di più di un terzo, la loro partecipazione elettorale aumentò drasticamente e la loro presenza negli organi elettivi quintuplicò 14. Nonostante questi successi, il prestigio di King entrò ben presto in crisi: il movimento si andava sempre più diffondendo nelle città del Nord, in situazioni sociali molto diverse da quelle degli stati meridionali, in cui il movimento era nato e da cui King proveniva. Le vittorie legislative non avevano alcun significato per i rioters, e lui stesso rifletteva amaramente dopo una sua visita ad Harlem: “Ho lavorato per dare a questa gente il diritto di mangiare hamburger, e adesso devo fare qualcosa per aiutarli ad avere i soldi per comprarli”. Le nuove forze del black power 15 “erano espressione dell’ebollizione politica e della combattività dei giovani del ghetto. Lo scontro, non la nonviolenza, apparteneva alle loro vite e alla loro cultura” 16. Nel 1966 King si trasferì nel ghetto nero di Chicago per imporvi la sua nonviolenza e cancellare l’esempio di Malcolm X. Non ci riuscì, e fu invece lui stesso a essere profondamente cambiato dal ghetto. Pur non abbandonando la sua incondizionata fiducia nei metodi
pacifici
di lotta, iniziò un
ripensamento sulla società americana e sul suo attivismo, che lo porterà a entrare in collisione con l’amministrazione Johnson e con gran parte dei suoi 14 Oliviero Bergamini, Storia degli Stati Uniti, Roma-Bari, 2003, p. 208. 15 Oltre allo SNCC, le più importanti furono il Congress of Racial Equality (CORE), il Black Panther Party nato nel 1966 e la League of Revolutionary Black Workers, fondata nel 1967. 16 Βruno Cartosio, Senza illusioni, i neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Milano, 1995, p. 27.
14
sostenitori liberal. King
cominciò
a
parlare
di
“ricostruzione
dell’intera
società”,
di
“rivoluzione dei valori”, e soprattutto ruppe definitivamente col governo nella primavera del 1967, condannando senza riserve l’escalation militare in Vietnam. Esattamente un anno dopo, il 4 aprile 1968, mentre si cominciava a pensare che potesse recuperare un ruolo di primo piano e di unificazione del movimento nero, Martin Luther King venne ucciso a colpi di fucile. L’FBI aveva da poco fissato i cinque punti cardine per la lotta contro il movimento nero; il secondo punto recitava: “impedire il sorgere di un messia che potrebbe unificare il movimento dei militanti neri […] King potrebbe lottare davvero con successo per questa posizione nel caso dovesse abbandonare la sua presunta obbedienza a dottrine bianche e liberal (non violenza) e abbracciare il nazionalismo nero17”.
17 Memorandum FBI, Cointelpro, del 4 marzo 1968, cit. in Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 107.
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IL BLACK PANTHER PARTY
LE ORIGINI DEL PARTITO Il 15 ottobre 1966 due giovani afroamericani, da tempo attivisti nel movimento nazionalista nero, si incontrarono in un centro di assistenza sociale, il North Oakland Service Center, nella città di Oakland, California, per scrivere il programma che dava vita a una nuova organizzazione politica 18. Nasceva così il Black Panther Party for Self-Defense19. Sicuramente nemmeno i suoi fondatori potevano immaginare che le Pantere Nere sarebbero
diventate
in
poco
tempo
la
più
famosa
organizzazione
rivoluzionaria nera negli Stati Uniti, e sarebbero state consacrate come avanguardia da buona parte del movimento di opposizione bianco della New Left. Per il momento Huey Percy Newton e George Bobby Seale avevano solamente fondato una delle tante microrganizzazioni che in quel periodo prendevano corpo in tutti i ghetti d’America, in seguito alla lunga estate calda del 1966, l’estate del Black Power , il nuovo slogan che galvanizzava la comunità nera. Newton, 24 anni, era originario della Louisiana, ma la sua famiglia, attratta dalla possibilità di lavorare nell’industria bellica durante la seconda guerra mondiale, si era trasferita in California per sfuggire alla miseria di una condizione di semischiavitù mezzadrile. Trascorse l’infanzia tra la scuola e la strada, dove si trovava spesso costretto a battersi con i suoi coetanei: la carnagione chiara, la voce acuta, la cura nel vestirsi e nella pulizia lo esponevano agli scherzi degli altri ragazzi. A quattordici anni fu arrestato per 18 Vedi Bobby Seale, Cogliere l’occasione, la storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Torino, 1972, p. 58. 19 Il nome e il simbolo del partito furono presi dall’omonima organizzazione fondata a Lowndes County, Alabama, a opera di attivisti dello SNCC, gruppo considerato all’avanguardia del movimento nero dalle Pantere. Il 16 aprile 1968 il BPP toglierà l’espressione “per l’autodifesa” dalla sua denominazione per non essere confuso con un’organizzazione paramilitare.
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il possesso di una rivoltella e trascorse un mese in riformatorio. Fin dall’adolescenza iniziò a oscillare fra due opposti modelli di vita, incarnati da due dei suoi fratelli maggiori, rispettivamente Sonny, tipico bullo del ghetto, e Melvin, intellettuale e docente universitario. Mezzo studente e mezzo hustler 20, il giovane Huey cominciò a occuparsi di politica nell’ambito del nazionalismo nero, frequentando tra il 1962 e il 1966 varie organizzazioni, tra le quali la Nation of Islam, verso la quale fu fortemente attratto dopo aver sentito parlare Malcolm X a Oakland. Seale, di cinque anni più vecchio, era figlio di immigrati del Texas. Conobbe Newton al college e, dopo essersi barcamenato tra il mestiere di carpentiere e le aspirazioni da attore comico e batterista, nel 1964 fu convinto dall’amico a entrare nel Revolutionary Action Movement (RAM). Il contatto col RAM, un gruppo che si proponeva la creazione di un esercito clandestino organizzato per cellule territoriali, fu molto significativo per la creazione del BPP, anche se il sostanziale immobilismo dei suoi membri era spesso criticato da Newton. Questi vedeva nei brothers on the block , i giovani del ghetto protagonisti dei riots, caratterizzati da “un’ostilità intransigente nei confronti di tutte quelle fonti di autorità che avevano un così disumanizzante effetto sulla comunità” 21, gli unici interlocutori possibili per un’organizzazione afroamericana autenticamente rivoluzionaria. Così, quando la pratica di autodifesa che Newton e Seale proponevano fu rifiutata dal RAM e definita suicida, i due ruppero definitivamente col gruppo e fondarono una nuova organizzazione. Il programma originale del partito comprendeva dieci punti; nella struttura e nei contenuti riprendeva quello della NOI di Elijah Muhammad. Ecco le dieci richieste delle Pantere: 1 Vogliamo la libertà. Vogliamo avere il potere di determinare il destino della nostra comunità nera. 2 Vogliamo lavoro per la nostra gente. 3 Vogliamo la fine dello sfruttamento della nostra comunità nera da parte dei bianchi. 20 Balordo, donnaiolo, tipico spaccone del ghetto. 21 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 35.
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4 Vogliamo abitazioni decenti, adatte a esseri umani. 5 Vogliamo per la nostra gente un’istruzione che smascheri la vera natura di questa società americana decadente. Vogliamo un’istruzione che ci parli della nostra vera storia e del nostro ruolo nella società odierna. 6 Vogliamo l’esenzione dal servizio militare di tutti gli uomini neri. 7 Vogliamo la fine immediata delle brutalità poliziesche e della strage della gente nera. 8 Vogliamo la scarcerazione di tutti i neri detenuti nelle prigioni e carceri federali, statali, di contea e municipali. 9 Vogliamo che i neri sottoposti a processo siano giudicati in tribunale da una giuria formata da persone del loro stesso gruppo sociale oppure da gente della comunità nera, secondo quanto prescritto dalla costituzione degli Stati Uniti. 10 Vogliamo terra, pane, abitazioni, istruzione, vestiario, giustizia e pace. 22 Il
Ten-Point
sufficientemente
Program
sarà
rivoluzionario,
in e
seguito
criticato,
parzialmente
in
quanto
modificato
nel
non corso
dell’evoluzione ideologica del partito. Man mano che ci si allontanava dalle origini nazionaliste e l’organizzazione si evolveva, sul piano teorico, verso un comunismo rivoluzionario, a “uomo bianco” si sostituì “capitalista”, alla “comunità nera” si aggiunsero “le altre comunità oppresse”, e oltre all’esenzione dal servizio militare per tutti i neri si esigeva “la fine di tutte le guerre di aggressione”. Gli obiettivi del programma erano tutti di lunga durata, tranne il punto sette, che doveva essere attuato subito: la fine della brutalità poliziesca poteva essere raggiunta armando gruppi neri di autodifesa. Fu in questa direzione che il partito mosse i suoi primi passi, organizzando il patrolling, cioè il pattugliamento della polizia all’interno del ghetto per controllarne l’operato. L’importanza di questo obiettivo è sottolineata dalla denominazione originaria del partito, Black Panther Party for Self-Defense. Non deve quindi trarre in inganno il fatto che Newton si fosse attribuito la carica di ministro 22 October 1966 Black Panther Party Platform and Program, cit. in Alberto Martinelli - Alessandro Cavalli (a cura di), Il Black Panther Party , Torino, 1971, pp. 47-51.
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della difesa, lasciando a Seale quella di presidente del partito: la sua posizione era tutt’altro che subordinata. Newton sarà sempre il leader assoluto del partito, e sarà oggetto di una venerazione tale che si può senz’altro parlare di un suo culto della personalità all’interno delle Pantere 23.
IL PATROLLING E LA NASCITA DELLA LEGGENDA La necessità dell’autodifesa scaturiva dai numerosi omicidi, spesso del tutto ingiustificati, di cui si rendeva protagonista la polizia nei ghetti. Appena un mese prima della fondazione del BPP un quindicenne nero era stato colpito a morte alla schiena a San Francisco mentre, disarmato, cercava di rubare un auto. L’episodio diede luogo a disordini in varie comunità nere, compresa quella di Oakland. Non si trattava certo di un incidente isolato: gli afroamericani, di fatto, si sentivano più minacciati che protetti dagli agenti di polizia, per la maggior parte bianchi e residenti fuori dal ghetto. Questa situazione risultava esasperata a Oakland, dove nel 1966 i neri rappresentavano appena l’un per cento del dipartimento di polizia, mentre molti agenti erano di origine sudista. Esistevano già in alcune comunità nere della California pattuglie di sorveglianza che controllavano l’operato delle forze dell’ordine, ma quelle che Newton organizzò, a partire dal novembre del 1966, erano armate. I due fondatori del partito si misero a percorrere il ghetto in auto, ostentando pistole e fucili, controllando il comportamento dei poliziotti in servizio, pronti a intervenire qualora si verificasse un abuso. Durante questi pattugliamenti ben più utili delle armi si rivelarono i corsi di giurisprudenza che Newton aveva frequentato all’università. Munite di codice penale e registratore, le
23 Vedi un discorso di Fred Hampton pubblicato su The Movement e cit. in Alberto Martinelli - Alessandro Cavalli (a cura di), Il Black Panther Party, Torino, 1971, p. 120: “L’uomo più importante nel BPP, l’uomo più importante oggi sul campo di battaglia -negli Stati Uniti, a Chicago, a Cuba- l’uomo più importante nella lotta di liberazione è il nostro, e anche il vostro, ministro della difesa Huey P. Newton” e Bobby Seale, Cogliere l’occasione, la storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Torino, 1972, p. 23: “Il fratello Huey è il dirigente primo [del partito], […] il teorico, l’ideologo, l’uomo della prassi quotidiana, il primo dirigente, il massimo portavoce ufficiale del BPP”.
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Pantere dimostrarono sempre una grande padronanza dei propri diritti24 e delle procedure alle quali attenersi davanti ai rappresentanti della legge. “Uscivamo con le nostre armi in pugno e li osservavamo da una distanza di sicurezza cosicché la polizia non poteva dire che stavamo interferendo con l’adempimento del loro dovere. Chiedevamo ai membri della comunità se stavano subendo soprusi. Il più delle volte, quando un poliziotto ci vedeva arrivare, rimetteva in tasca il suo taccuino, montava nella sua macchina e se ne andava velocemente. Sia i cittadini fermati che i poliziotti rimanevano sbalorditi davanti alla nostra apparizione improvvisa 25”. Il coraggio e l’astuzia dimostrati da Newton e Seale in queste operazioni li trasformarono in due eroi agli occhi degli abitanti del ghetto. Intorno al patrolling, che venne esteso alle vicine Richmond, Berkeley e San Francisco, si raccolsero una decina di membri, e nel gennaio del 1967 il BPPSD aprì la sua prima sede a Oakland, un piccolo ufficio con vetrina. A far nascere il mito delle Panthers contribuì notevolmente la divisa che Newton decise di far indossare ai membri del partito: baschi neri, pantaloni neri larghi e con la piega, giacche di cuoio nero, camicie blu o pullover a collo alto, scarpe nere e lucide, occhiali neri. “Quello che in fondo era l’abbigliamento tipico dell’hustler o del magnaccia del ghetto, simboli con le loro pistole di prepotenza e degradazione, veniva trasformato, con l’aggiunta del basco da rivoluzionario, nella divisa di un nuovo, inedito, militante della liberazione nera26”. L’episodio che segnò la definitiva consacrazione delle Pantere, almeno a livello locale, fu la venuta in California di Betty Shabazz, la vedova di Malcolm X, per una serie di commemorazioni in occasione del secondo anniversario dell’assassinio del leader nero. Le Pantere, armate e in divisa, furono le guardie del corpo di Sister Betty, guadagnandosi i loro primi titoli sui giornali locali. Ecco come descrisse l’avvenimento Eldridge Cleaver, all’epoca giornalista e futuro dirigente del BPP: “L’atrio faceva pensare a certe foto provenienti da Cuba il giorno in cui Castro prese La Havana. Fucili dappertutto, puntati verso il soffitto, come fili d’erba metallici emergevano 24 Secondo le leggi della California chiunque poteva portare un’arma purchè visibile e non puntata contro qualcuno. 25 Huey P. Newton, Revolutionary Suicide, pp. 120-121, cit. in Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 40. 26 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 42.
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dalla marea di visi e berretti neri delle Pantere. Trovai Sister Betty […] circondata da un gruppo di Pantere la cui calma e dominio di sé contrastavano violentemente con le reazioni disordinate che la loro apparizione aveva scatenato. Da lontano si potevano sentire le urla delle sirene della polizia che si avventava su di noi 27”. LA CRESCITA DEL BPP. DA OAKLAND A SACRAMENTO Mentre le Pantere affermavano la loro presenza all’interno della comunità nera, diventavano sempre più scomode per il dipartimento di polizia di Oakland. I membri del partito cominciarono a essere fermati e arrestati, soprattutto con l’accusa di brandire le armi in modo minaccioso. Le multe e le cauzioni pagate mettevano a dura prova le non ricche casse del partito. I rapporti con la polizia, che superata una fase iniziale di sorpresa aveva dei comportamenti sempre più aggressivi, si deteriorarono ulteriormente con la nascita, il 25 aprile 1967, di The Black Panther, Black Community News Service, il giornale del partito. Il primo numero era costituito da una controinchiesta sull’uccisione di un ventiduenne nero da parte della polizia, e sollevava
più
di
un
dubbio
sulla
“giustificabilità”
dell’omicidio.
La
pubblicazione di The Black Panther fu intermittente fino all’aprile del 1969, quando iniziò a uscire regolarmente ogni settimana, raggiungendo una tiratura non indifferente e costituendo una notevole fonte di finanziamento. Divenne da subito l’organo con cui il programma e le idee politiche del BPP venivano diffuse tra i militanti, soprattutto grazie agli interventi teorici di Newton e Cleaver. A caratterizzare il giornale nel corso degli anni furono anche i disegni di Emory Douglas, ministro della cultura
del partito, che
rappresentavano i poliziotti come dei maiali ( pigs) grassi e vili28. Il messaggio di propaganda di Douglas, costituito da pigs affrontati in modo sempre più aggressivo da coraggiosi combattenti per la libertà nera era destinato ad accendere ulteriormente il desiderio di rivalsa delle forze di polizia. La sede del partito divenne un centro di reclutamento, oltre che di
27 Eldridge Cleaver, Panthère noire, Parigi, 1970, p. 59. 28 Ιl nomignolo pigs verrà utilizzato per molti anni da attivisti bianchi e neri per indicare i poliziotti.
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discussione politica. “Huey andava a pescare Fanon 29, e anche Malcolm X, e li mett mettev eva a in corr correl elaz azio ione ne.. […] […] cono conosc scev eva a il Libr Libret etto to ross rosso o come come le sue sue tasche30”. Nonostante la forza effettiva del partito restasse assai esigua, con poche decine d’iscritti in un’area che contava una trentina di gruppi radicali neri in competizione fra loro, le Pantere avevano raggiunto una discreta visibilità. Persino le autorità statali cominciavano a guardare con preoccupazione a quest’ quest’org organi anizza zzazio zione ne dichia dichiarat ratame amente nte rivolu rivoluzio zionar naria, ia, i cui membri membri se ne andavano in giro ostentando le loro armi. Così nella primavera del 1967 il parlamento della California si trovò a discutere la proposta di legge del deputato Mulford di Oakland, che mirava a restringere la libertà dei privati cittadini di portare armi. Contro questa legge ad hoc, hoc, chia chiaram ramen ente te fina finali lizz zzat ata a a colp colpir ire e le Pant Panter ere, e, Newt Newton on deci decise se di mettere in atto una protesta sensazionalistica: il 2 maggio una trentina di Pantere, fra le quali sei donne, si presentarono nella sede del parlamento di Sacramento Sacramento armate armate di tutto punto. punto. Tra lo stupore dei presenti e sotto i flash dei giornalisti, Seale lesse un breve comunicato in cui si denunciava la legge, “mirante a mantenere il popolo nero disarmato e senza potere proprio nel momento in cui in tutto il paese tutte le agenzie razziste di polizia stanno intensificando il terrore, la brutalità, l’assassinio e la repressione della gente nera”, e si collegava l’oppressione degli afroamericani alle bombe atomiche sganci sganciate ate sul Giappo Giappone ne e al “vile “vile massac massacro ro perpet perpetrat rato o in Vietna Vietnam; m; tutto tutto dimostra che verso i popoli di colore la struttura di potere razzista [degli Stati Uniti] non ha che una politica: quella della repressione, del genocidio e del terrore31”. L’az L’azio ione ne fu cond condot otta ta con con la cons consue ueta ta atte attenz nzio ione ne alla alla lega legali lità tà ma, ma, nonostante ciò, sulla strada di ritorno da Sacramento, lontano dagli occhi dei giornalisti, le Pantere furono arrestate e sei di loro, tra cui Seale e Douglas, condannate a sei mesi di reclusione. Il disegno di legge fu ugualmente fatto passare, com’era prevedibile, ma 29 Il sociologo martinicano che combattè in Algeria contro i Francesi divenne popolare nel movimento nazionalista nero con il libro Les damnés de la terre. 30 Bobby Seale, Cogliere l’occasione, la storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Torino, 1972, p. 77. 31 Il decreto n. 1 del Ministro della Difesa è riportato per intero in Alberto Martinelli - Alessandro Cavalli (a cura di), Il Black Panther Party , Torino, 1971, p. 361.
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l’iniziativa delle Pantere ebbe un’eco nazionale (e non solo, tanto da meritarsi la prima pagina del londinese Times). Times). L’esistenza del partito era ormai nota a tutti, sia ai neri dei ghetti di tutta l’America, molti dei quali ammirarono il coraggio del BPP, sia alla nazione bianca, che in gran parte vi individuò lo spettro della violenza razziale e della guerriglia urbana. In seguito all’approvazione della legge Mulford le Pantere cessarono di esibire pubblicamente le armi, anche se l’immagine “armata” resterà loro sempre cucita addosso, e sospesero i pattugliamenti della polizia.
L’ARRESTO DI NEWTON E LA LEADERSHIP DI CLEAVER Oltre ltre all’ all’au auto todi dife fes sa
e
al patrolling, patrolling,
le
attività
più
spettacolari
e
pubblicizzate dai media, le iniziative del partito furono rivolte fin dall’inizio verso la comunità nera. Le Pantere organizzavano proteste contro il razzismo nelle nelle scuole scuole,, raccogl raccogliev ievano ano fondi fondi per pagare pagare le cauzio cauzioni ni dei cittad cittadini ini neri neri arre arrest stat atii e dava davano no il loro loro cont contri ribu buto to a sost sosteg egno no di vari varie e rich richie iest ste e che che veni veniva vano no avan avanza zate te alle alle auto autori rità tà muni munici cipa pali li.. Fu graz grazie ie al loro loro inte interv rven ento to armato, appena prima che la legge Mulford entrasse in vigore, che, dopo mesi di inutili proteste, fu installato un semaforo a un pericoloso incrocio che aveva causato la morte di tre bambini e il ferimento di altri sette. L’osservan L’osservanza za della legge Mulford Mulford sembrava sembrava però far languire l’attività l’attività del part partit ito, o, alme almeno no nei nei suoi suoi aspe aspett ttii più più visi visibi bili li,, fino fino a quan quando do un even evento to drammatico riportò il BPP, e il suo leader in particolare, alla ribalta nazionale e diede inizio a una vertiginosa crescita della sua struttura. Il 28 ottobre 1967 l’auto su cui viaggiavano Newton e la Pantera Gene McKi McKinn nney ey fu ferm fermat ata a da due due poli polizio ziott ttii per per moti motivi vi che che non non venn venner ero o mai mai acce accert rtat ati. i. Quel Quel che che acca accadd dde e in segu seguit ito o non non è mai mai stat stato o ricos ricostr trui uito to con con chiarezza, e le versioni delle due Pantere e dell’agente sopravvissuto sono ovviamente contrastanti. Si generò un conflitto a fuoco, e i poliziotti che sopraggiunsero trovarono uno dei loro colleghi morto e l’altro gravemente feri ferito to.. Newto Newton n era era stat stato o colp colpit ito o da cinq cinque ue pall pallot otto tole le e fu tras traspo port rtat ato o in ospeda ospedale le in condiz condizion ionii critic critiche he da McKinn McKinney. ey. Qui dovett dovette e aspett aspettare are circa circa
23
un’ora prima di essere medicato, mentre due agenti lo ammanettavano al tavolo operatorio. Newton, così come il poliziotto, si riprese dalle ferite, ma si trovò ben pres presto to a dove doverr fron fronte tegg ggia iare re le accu accuse se di omic omicid idio io,, tent tentat ato o omic omicid idio io e rapimento di un automobilista (con cinque proiettili in corpo!), con la seria prospettiva di finire nella camera a gas. L’imprigionamento del leader indiscusso del partito, avvenuto per di più mentre mentre Seale si trovav trovava a già in carcer carcere e per la spediz spedizion ione e di Sacram Sacrament ento, o, sembrava un ostacolo difficilmente superabile per la giovane organizzazione. In real realttà l’im l’impa pattto emo emotiv tivo susc suscit itat ato o dal feri ferime ment nto o di New Newton ton e dai maltra maltratta ttamen menti ti subiti subiti in ospeda ospedale, le, produs produsse se un’inc un’incred redibi ibile le campag campagna na di mobilitazi azione
in
suo
sostegn egno,
a
cui
parteciparono
anche
molte
organizzazioni del movimento bianco. Il BPP, BPP, rinvig rinvigori orito to dalle dalle moltis moltissim sime e iscriz iscrizion ioni, i, si dedicò dedicò pratic praticame amente nte a tempo pieno alla campagna “Free Huey!”: manifestazioni e conferenze in tutt tutto o il paes paese e32, racc raccol olte te di fond fondii per per la dife difesa sa lega legale le,, radun radunii dava davant ntii al tribunale. Il vuoto lasciato al vertice fu colmato da Eldridge Cleaver, che approfitterà dell della a sua sua breve reve perm perman anen enz za alla alla test testa a del del parti artito to per per infl influe uen nzarn zarne e profondamente l’evoluzione, diventando lui stesso una delle personalità più note del movimento alternativo. Leroy Eldridge Cleaver, originario dell’Arkansas, era entrato nel BPP nel maggio del 1967, all’età di 37 anni. Come scrive lui stesso “a partire dai sedici anni, ho vissuto quindici anni tra libertà e prigione, l’ultima volta ci trascorsi nove anni senza interruzione. Durante il mio ultimo soggiorno in carcere, decisi fermamente di abbandonare completamente la via del crimine e di dare una nuova direzione alla mia vita. Mentre ero ancora detenuto, coltivai le mie capacità di scrittore e scrissi un libro. Un editore lo comprò immediatamente e lo pubblicò dopo la mia messa in libertà sulla parola33”. Uscito di prigione fu assunto come reporter da Ramparts, Ramparts, rivista radicale di San Fran Franci cisc sco o.
Affa Affasc scin inat ato o
da
Malc Malco olm X,
mili milittò, per per
quan quanto to glie glielo lo
32 Conferenze che poi costituivano anche la principale fonte di finanziamento, come scrive Bobby Seale, Cogliere l’occasione, la storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Torino, 1972, p. 299. “Per ogni discorso ci danno dai 500 ai 1000 dollari, e in quel periodo solo io ne tenevo una dozzina al mese”. 33 Eldridge Cleaver, Panthère noire, Parigi, 1970, p. 31.
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permettessero i limiti imposti dalla libertà vigilata, in vari gruppi nazionalisti neri, fino a quando conobbe le Pantere, rimanendo conquistato dal carisma di Newton. Cleaver divenne quindi il ministro dell’informazione del partito, con il compito di occuparsi della redazione del giornale. La necessità di allargare il sostegno intorno alla campagna in favore di Newton spinse Cleaver a cercare la collaborazione dei radicali bianchi, con cui peraltro aveva già familiarità, grazie al suo lavoro in un giornale della New Left. Si trattò di una scelta molto criticata all’interno del movimento nero: era passato poco più di un anno dal lancio del Black Power e dalla decisione di gruppi come lo SNCC e il CORE di fare a meno degli attivisti bianchi (e dei loro consistenti finanziamenti). Le Pantere, che aspiravano a raccogliere l’eredità di Malcolm X e a diventare una forza unificante nella comunità nera, si esposero a durissimi attacchi per la loro apertura. D’altra parte il sostegno sempre più organico che il BPP riceveva da varie organizzazioni bianche fu determinante da un punto di vista economico e organizzativo e, soprattutto, mise definitivamente in chiaro l’assenza di razzismo all’interno del partito. Quando il 4 aprile 1968 l’assassinio di Martin Luther King fece divampare nei ghetti di tutto il paese le fiamme dei riots, le Pantere, da sempre contrarie alle insurrezioni spontanee, seppero tenere sotto controllo la situazione a Oakland. Tuttavia Cleaver pensava che il partito non potesse restare a guardare in un’occasione del genere: il 6 aprile, dopo aver scritto per Ramparts un articolo intitolato “Requiem per la non-violenza”, guidò una spedizione che avrebbe dovuto tendere un agguato ai poliziotti come rappresaglia. Le tre macchine delle Pantere furono però intercettate dalla polizia e si scatenò una sparatoria in cui rimase ferito un agente. All’arrivo dei rinforzi della polizia Cleaver e il diciassettenne Bobby Hutton, il tesoriere del partito, restarono isolati e si rifugiarono in uno scantinato. Finite le pallottole, i due si arresero: Cleaver era leggermente ferito e Hutton era illeso, ma fu freddato dai poliziotti che gli spararono alla schiena, dichiarando in seguito che stava cercando di fuggire. La catastrofica spedizione si risolse quindi con l’incriminazione di tutti i
25
partecipanti, che si difesero sostenendo di essere stati vittime di un attacco premeditato. A Cleaver fu immediatamente revocata la libertà vigilata, anche se riuscì a ottenere la libertà condizionata su cauzione dopo due mesi di prigione. Questo provvedimento fu in seguito revocato e gli fu ordinato di rientrare in prigione entro il 27 novembre. Pochi giorni prima di quella data Cleaver entrò in clandestinità e fece perdere le sue tracce alle autorità. Dopo un breve soggiorno
a Cuba
si
spostò ad
Algeri,
dove
fondò
l’unica
sezione
internazionale del BPP che, in un periodo in cui il governo algerino aveva interrotto ogni contatto con gli Stati Uniti, divenne l’unica rappresentanza ufficiale americana in quel paese.
LA COALIZIONE CON IL PFP E I RAPPORTI CON LO SNCC La collaborazione con il variegato universo della New Left raggiunse il suo apice a cavallo tra il 1967 e il 1968, quando il BPP si unì in una coalizione con il Peace and Freedom Party. “Il PFP era un gruppo politico, in gran maggioranza bianco, che rappresentava tutto lo spettro del pensiero di sinistra. A favore dell’immediato ritiro dal Vietnam e contro il razzismo, aveva come obiettivo la costruzione di un’alternativa al partito repubblicano e a quello democratico, entrando in lizza per le elezioni presidenziali34”. L’avvicinamento fra i due partiti, diversissimi per scopi e composizione sociale, fu all’insegna del sospetto: entrambi temevano di disperdere le loro energie
dedicandosi
a
un
obiettivo
che
non
ritenevano
prioritario,
rispettivamente l’impegno contro la guerra e la campagna “Free Huey!”. Alla fine l’accordo fu raggiunto sulla base del riconoscimento delle rispettive finalità e dei differenti contesti e metodi di lotta: il BPP ottenne il sostegno per la liberazione di Newton, e il PFP l’accesso alla comunità nera, per raccoglierne i voti. Come ebbe a dire Cleaver in occasione della 34 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 69.
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fondazione della coalizione il 16 marzo 1968, “noi riteniamo che la cooperazione tra le forze rivoluzionarie operanti nel paese metropolitano e quelle operanti nella colonia nera sia assolutamente necessaria; […] noi riteniamo che tutti i sudditi coloniali neri dovrebbero aderire al BPP e che tutti i cittadini americani dovrebbero aderire al PFP. […] Utilizzeremo il nostro fasullo diritto di voto per contribuire a rafforzare il PFP, in modo che esso possa conseguire i suoi obiettivi nel quadro della realtà politica del paese metropolitano. Tuttavia sarà verso l’interno, verso il cuore della colonia nera, che noi dovremo concentrare i nostri sforzi 35”. Numerose Pantere furono candidate nelle fila del PFP e Cleaver fu designato addirittura per concorrere alla presidenza degli Stati Uniti. I risultati elettorali del novembre 1968 furono assai modesti, ma l’effetto propagandistico che ne trasse il BPP fu enorme. Se le alleanze che le Pantere intessevano con organizzazioni radicali bianche erano dettate per lo più da necessità contingenti, assai più complesse furono le ragioni che lo portarono ad avvicinarsi allo SNCC. All’avanguardia del movimento nero fin dai tempi delle lotte per i diritti civili, lo SNCC, che a partire dal 1966 aveva rotto con King e le altre organizzazioni moderate e aveva assunto posizioni sempre più radicali, cercava di estendere il suo raggio d’azione dal Sud rurale ai ghetti urbani del Nord, dove le Pantere si stavano rapidamente guadagnando un massiccio seguito. Le Pantere, da parte loro, avevano tratto notevole ispirazione dai metodi di lotta dello SNCC, a partire dal loro stesso nome. Stokeley Carmichael era molto stimato da Newton e Cleaver e dal 29 giugno 1967 ricopriva una carica onoraria nel partito. L’arresto di Newton, la campagna “Free Huey!” e la susseguente crescita esponenziale del BPP suscitarono un ulteriore avvicinamento fra i due gruppi. Lo SNCC aveva
quadri preparati
e
quell’esperienza organizzativa
e
amministrativa di cui le Pantere erano totalmente sprovviste. I principali leader dello SNCC arrivarono così a ricoprire importanti cariche all’interno del BPP: Carmichael fu cooptato come primo ministro, Rap Brown come ministro 35 Alberto Martinelli - Alessandro Cavalli (a cura di), Il Black Panther Party , Torino, 1971, pp. 210-211.
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della giustizia e James Foreman come ministro degli esteri. L’alleanza fra i due gruppi, un passo consistente verso la tanto auspicata unità nera, fu però di breve durata: troppi erano i punti su cui avevano visioni diametralmente opposte. La netta contrapposizione con i bianchi da parte dello SNCC difficilmente poteva conciliarsi con la coalizione delle Pantere con il PFP. Molto criticata era anche la svolta in direzione socialista presa dal BPP, per Carmichael “il comunismo non è un’ideologia che va bene per i neri. Punto. […] noi non ci troviamo di fronte soltanto allo sfruttamento: noi […] siamo vittime del razzismo. Il comunismo e il socialismo non parlano del problema del razzismo36”. Inoltre lo SNCC stava attraversando una profonda crisi, causata anche dalle due diverse correnti che se ne contendevano il controllo, “da una parte c’era Rap Brown con sopra James Foreman che muoveva le pedine, dall’altra Stokeley37”. Le Pantere d’altro canto non erano mai state troppo concilianti con chi aveva idee diverse dalle loro, e Cleaver non faceva certo sfoggio di diplomazia quando definiva pubblicamene lo SNCC come un ammasso di figli di papà e di hippies neri. Questi contrasti saranno abilmente sfruttati dall’FBI che, grazie all’azione di infiltrati e alla fabbricazione di documenti falsi, riuscirà a dissolvere questa pericolosa alleanza. Nell’estate del 1969 Carmichael sarà espulso dal BPP e un anno dopo Newton lo accuserà di essere un agente della CIA 38.
L’IDEOLOGIA DEL BPP: LA SVOLTA SOCIALISTA Fin dalle origini del partito Newton aveva identificato il movimento dei neri all’interno degli Stati Uniti con le lotte anticoloniali che molti movimenti di liberazione nazionale combattevano in Asia, Africa e America Latina. Seguendo le tracce di quei leader che possono essere considerati i padri spirituali delle Pantere, Carmichael, Malcolm X e, più lontano nel tempo, 36 Ibid., p. 165. 37 Bobby Seale, Cogliere l’occasione, la storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Torino, 1972, p. 177. 38 Il memorandum dell’FBI del 10 luglio 1968 che suggeriva di “dare l’impressione che Carmichael fosse un informatore della CIA” aveva evidentemente ottenuto il suo scopo. Vedi Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 115.
28
Marcus Garvey, Newton definì la nazione nera come una colonia interna dell’America.
Le
politiche
repressive
adottate
nelle
comunità
nere,
l’occupazione militare di Porto Rico, i bombardamenti sul Vietnam del Nord non erano altro che differenti manifestazioni dell’imperialismo americano. Nella lotta che accomuna il BPP alle colonie (o ex colonie) del Terzo Mondo “la gente nera d’America è la sola che può liberare il mondo, sciogliere il gioco del colonialismo e distruggere la macchina di guerra. La gente nera che è all’interno della macchina può incepparla. […] L’America non sarà in grado di combattere ogni paese nero del
mondo e
contemporaneamente
combattere una guerra civile39”. La frequentazione assidua degli scritti di autori come Fanon e Mao spingerà progressivamente le Pantere verso un socialismo dichiarato. La svolta teorica avvenne dopo l’incarcerazione di Newton, che pure la confermò con i suoi scritti e le interviste che rilasciò dal carcere, ed ebbe quindi Cleaver come principale teorico. Consapevoli che spazzare via il capitalismo non avrebbe automaticamente significato la fine del razzismo e delle sofferenze per la gente nera, le Pantere avevano
comunque
maturato
la convinzione
che
non era
possibile
distruggere il razzismo senza averne prima eliminato le radici economiche. L’individuazione delle complesse interdipendenze esistenti fra capitalismo e razzismo portò il BPP a definirsi un gruppo “nazionalista rivoluzionario”. Questo passaggio ebbe come logica conseguenza l’apertura verso la sinistra bianca e il deteriorarsi dei rapporti con molti nazionalisti neri, accusati di “nazionalismo culturale”, cioè di limitare la loro azione al recupero dell’antica tradizione africana, ritenendo che un’orgogliosa riscoperta delle proprie origini avrebbe portato anche la libertà politica. La scelta del nazionalismo rivoluzionario mutava anche l’atteggiamento nei confronti della nascente borghesia nera. Se prima era vista come un potenziale alleato di cui si sarebbero potute sfruttare le risorse economiche e le capacità, ora veniva considerata un nemico da eliminare al pari degli oppressori bianchi.
39 Huey P. Newton, cit. in Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party , Milano, 1995, p. 59.
29
L’ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO A partire dall’inizio del 1968 il BPP conobbe una crescita spettacolare su scala nazionale. In poco tempo furono aperte 45 nuove sedi in 19 differenti stati, e il numero degli iscritti, circa duecento al momento del ferimento di Newton, salì a diecimila unità, di cui 1500 erano membri hard-core, cioè assolutamente affidabili e impegnati a tempo pieno. Circa un quarto dei membri era di sesso femminile 40, e l’età media era bassissima, dai 16 ai 21 anni per i membri di base e dai 21 ai 27 per i leader di sezioni. Tra i nuovi iscritti c’erano individui che provenivano da altre esperienze politiche e interi gruppi che, preoccupati di prevenire l’influenza delle Pantere nella loro area di lavoro politico, si limitavano a cambiare denominazione o fondavano una sezione del partito. Se la maggior parte dei nuovi militanti erano ragazzi di strada conquistati dal coraggio delle Pantere e dalla loro dedizione alla comunità, il flusso di iscrizioni portò dentro al partito gente di ogni tipo, teste calde, provocatori, informatori della polizia. In effetti i metodi di reclutamento erano, per usare un eufemismo, poco rigorosi. Durante la campagna “Free Huey” la necessità di una massiccia mobilitazione fece sì che praticamente entrasse a far parte del partito chiunque ne manifestasse la volontà. Il numero dei membri indisciplinati, spesso piccoli
malavitosi che
continuavano le loro attività criminali
camuffandole da attivismo politico, e i numerosi infiltrati della polizia, causarono alle Pantere notevoli problemi di disciplina e di sicurezza. Di conseguenza, all’inizio del 1969, il BPP congelò le iscrizioni di nuovi membri e cominciò a denunciare su The Black Panther e a espellere dal partito coloro che ne violavano le regole. L’apertura di una nuova sede doveva ricevere il nulla osta dalla dirigenza di Oakland che, periodicamente, inviava degli ispettori per verificare il buon funzionamento delle sedi, correggerne gli errori o eventualmente chiuderle. “La diversa collocazione geografica, i diversi contesti culturali e storici delle 40 L’atteggiamento nei confronti delle donne del BPP andò migliorando nel tempo, e Newton giunse addirittura a rilasciare dichiarazioni di solidarietà ai neonati movimenti femminista e gay (cosa abbastanza incredibile se si pensa a quanto fosse intriso di machismo il retroterra culturale del ghetto da cui tutte le Pantere provenivano).
30
varie comunità nere resero sempre difficile, per il gruppo dirigente di Oakland, l’esercizio di un controllo effettivo. […] In realtà -ha scritto l’ex Pantera nera di Philadelphia Mumia Abu Jamal- non ci fu mai un partito, ma 45 suoi pezzi, sezioni e sedi con le loro proprie caratteristiche e le idiosincrasie locali, sparpagliate attraverso gli Stati Uniti, con una sezione ad Algeri, Nord Africa, tutte unite in uno stesso intreccio da un ideale rivoluzionario41”. La maggiore fonte di finanziamento era costituita dal giornale del partito, che nel 1969 vendeva quasi 300 000 copie ogni settimana. La metà degli utili erano trattenuti dalle varie sedi locali, il resto andava a Oakland. Per quel che riguarda l’organizzazione interna del BPP, un prezioso contributo venne dalla collaborazione con i dirigenti dello SNCC, che avevano anni di esperienza alle spalle. Il partito venne rigidamente strutturato verticalmente: ogni grossa sezione era divisa in dieci sottosezioni, al cui interno dovevano essere individuati dieci capi che avevano il compito di trasmettere le proposte alle Pantere della base. La trasmissione delle direttive avrebbe dovuto funzionare nei due sensi,
permettendo
allo
stesso
tempo
di
mantenere
un
comando
estremamente centralizzato e di far partecipare la base al processo decisionale. In realtà questa procedura non venne quasi mai applicata e il potere decisionale fu sempre mantenuto ai vertici dell’organizzazione da un ristretto comitato centrale di cui, nella primavera del 1968, facevano parte Newton, Seale, Cleaver, il capo di stato maggiore David Hilliard, e per un breve periodo Carmichael. L’imprigionamento di Newton e l’esilio di Cleaver lasciarono un vuoto nella direzione del partito, anche se i due esercitarono a distanza un certo controllo sulle direttive e sull’elaborazione teorica. Sarà quindi Hilliard, complici i ripetuti arresti di Seale, ad amministrare la vita quotidiana del partito dalla fine del 1968 fino all’uscita dal carcere di Newton nell’estate del 1970. Dotato di buone capacità organizzative, leale e dedito al partito, Hilliard non possedeva però il carisma e l’abilità degli altri leader, imprigionati, esiliati o uccisi42. 41 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, pp. 89-90. 42 Come per esempio Fred Hampton, giovane e brillante capo della sezione di Chicago, che fu ucciso nel suo letto
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TRA FUCILI E COLAZIONI GRATUITE Finché il BPP fu sotto la guida di Newton i limiti tra un’autodifesa efficacemente praticata nei limiti della legalità, e il messaggio retorico di una liberazione popolare violenta, erano rimasti ben definiti. Tutti i membri del partito erano tenuti a possedere e a saper usare un’arma, ma dovevano farlo a fini esclusivamente autodifensivi. Le brutali invettive contro i pigs, gli slogan, come la poesiola di Newton “guns baby guns 43” , che comparivano sul giornale delle Pantere, gli incitamenti a un attacco frontale al sistema, erano tesi soprattutto a incrementare la loro popolarità all’interno del ghetto e ad attirare l’attenzione dei media. Ma, col passare del tempo, per i dirigenti era sempre più difficile mantenere una netta divisione fra la pratica e una retorica violenta. Le cose peggiorarono durante la leadership di Cleaver, il quale non solo si dimostrava indulgente verso le azioni non autorizzate dei numerosi balordi che erano entrati nel partito, ma aveva anche organizzato l’attacco premeditato alla polizia che portò al suo arresto e alla morte di Bobby Hutton. Questa tendenza era criticata da Seale e Hilliard, i quali in seguito espelleranno molte teste calde che, come nota Seale, erano facilmente manipolabili dagli agenti infiltrati: “Questa gente il partito li chiama bellimbusti. Un bellimbusto è un imbecille, che però non ha paura della polizia; […] se ci sono degli agenti provocatori della CIA o dell’FBI […] ingannano i bellimbusti e li convincono a fare le cose più assurde per distruggere il partito44”. Poco prima di andare in esilio all’estero, Cleaver propose addirittura una clamorosa azione suicida: impadronirsi dell’università dove avevano studiato Newton e Seale, barricarcisi dentro con un gruppo di Pantere armate fino ai denti, e aspettare l’intervento dei “porci”. Fortunatamente Newton dal dalla polizia. O Ralph “Bunchy” Carter, leader delle Pantere di Los Angeles, assassinato da due militanti di un gruppo nazionalista nero rivale, che in seguito risultarono essere informatori dell’FBI. 43 “Armi ragazzo armi”. Questo slogan ricalcava il “ burn baby burn”, “brucia ragazzo brucia”, parola d’ordine dei riots. 44 Bobby Seale, Cogliere l’occasione, la storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Torino, 1972, p. 298.
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carcere si oppose fermamente a questo progetto, che avrebbe dovuto dare a Cleaver la possibilità di morire combattendo pur di non tornare in carcere. L’escalation della repressione contro il BPP lo costrinse a sciogliere la contraddizione fra politico e militare, e a condannare, almeno ufficialmente, ogni tipo di comportamento illegale e avventurista. Dopo l’espatrio clandestino di Cleaver, il partito, oltre a rendere più stretta la disciplina eliminando “bellimbusti” e provocatori, diede più spazio a quella vocazione sociale a cui era stata data molta importanza nella stesura del suo programma politico in dieci punti. Nel gennaio del 1969, su iniziativa di Bobby Seale, fu avviato il programma sociale destinato ad avere il maggior successo nella comunità nera, le colazioni gratuite per i bambini in età scolare. In meno di un anno i free breakfast erano entrati in funzione in ben 23 sedi. Rapidamente videro la luce numerosi altri programmi sociali. Vennero organizzate colonie estive per i bambini, le “scuole di liberazione”, cliniche gratuite per i residenti del ghetto, “i centri sanitari del popolo”, distribuzioni di generi alimentari, test per l’anemia perniciosa. In questo modo il BPP cercò di realizzare una parte del suo programma venendo incontro ai bisogni concreti della comunità e tentando di dimostrare di non essere semplicemente un gruppo paramilitare. L’evoluzione in senso socialista dell’ideologia del partito trovava conferma nei suoi programmi sociali, grazie ai quali le Pantere riuscirono a far arrivare il proprio messaggio politico a molti abitanti del ghetto.
L’ATTACCO DELLO STATO CONTRO IL PARTITO E LA RESISTENZA DELLE PANTERE L’inaspettata
crescita
di
un’organizzazione
nera
che
dichiarava
apertamente la sua ideologia socialista e utilizzava una retorica sempre più violenta non poteva che provocare una dura risposta da parte delle autorità. L’amministrazione Nixon, installatasi alla Casa Bianca all’inizio del 1969, inasprì la repressione contro le Pantere, fino a dare vita a una vera e propria
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guerra interna, altrettanto sporca di quella combattuta in Vietnam da cui Washington avrebbe iniziato a breve il disimpegno. Il BPP fu al centro di un complesso di azioni repressive coordinate dallo stato nei confronti di tutto il movimento di protesta negli Stati Uniti. Per schiacciare ogni forma di opposizione politica che andasse al di là del limite di protesta considerato accettabile vennero adoperati metodi clandestini e illegali, che trovarono la loro massima espressione nel programma segreto di controspionaggio, chiamato Cointelpro, organizzato dal direttore dell’FBI J. Edgar Hoover. Gli sforzi dell’FBI e della polizia contro le Pantere comprendevano sia una repressione aperta e militare, fatta di irruzioni nelle sedi del partito, sparatorie, arresti ingiustificati, sia una campagna di operazioni clandestine, miranti soprattutto a distruggere l’organizzazione dal suo interno attraverso l’uso di agenti provocatori infiltratisi nel partito45. Mentre si cercava di stroncare il BPP uccidendo o rinchiudendo in prigione i suoi membri, contemporaneamente, per giustificare tutto ciò e impedire una possibile simpatia da parte dell’opinione pubblica di orientamento liberal, fu condotta una pesante campagna di disinformazione contro di esso. I mass media si prestarono volentieri a quest’opera, distorcendo spesso la realtà dei fatti. Particolarmente accurate furono le azioni che miravano a colpire le alleanze del BPP con altre organizzazioni o a provocare conflitti con altri gruppi nazionalisti neri. Neanche i celebri sostenitori finanziari delle Pantere furono risparmiati dalla persecuzione. Attori, scrittori, artisti furono vittime di pesanti campagne diffamatorie e la pressioni esercitate sui loro colleghi ne causarono spesso il totale isolamento intellettuale. Ovviamente il giornale e i programmi sociali del partito, cioè i principali legami che esso aveva costruito con la comunità nera, non sfuggirono alle attenzioni dell’FBI che, avendone riconosciuto il successo e l’efficacia, li sabotò metodicamente. 45 Gli infiltrati “ufficiali” del programma Cointelpro nel BPP furono 67, ma visto che parte dei documenti che li riguardano sono stati censurati e molti altri sono ancora secretati, il numero effettivo fu sicuramente superiore. A essi vanno aggiunti tutti gli agenti infiltrati delle varie polizie locali.
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Le Pantere si trovarono quindi a dover affrontare un’azione repressivo su tutti
i
fronti, proprio mentre
cercavano, senza
troppo
successo,
di
regolamentare la loro crescita caotica. Furono chiuse le iscrizioni, si aumentò la disciplina interna e, cercando di far prevalere l’immagine “politica” su quella “militare”, fu data maggiore enfasi ai programmi sociali. Per cercare di resistere all’impatto della repressione, la decapitata dirigenza di Oakland da una parte cercò di allargare il sostegno esterno all’organizzazione, dall’altra si rinchiuse in un gruppo ristretto caratterizzato dai legami familiari. Nel luglio del 1969 il BPP organizzò a Oakland la Conferenza rivoluzionaria per un fronte unito contro il fascismo, a cui parteciparono più di tremila delegati di organizzazioni sia rivoluzionarie che liberal. L’obiettivo della conferenza era quello di creare un vasto fronte di alleanza per fare fronte all’ondata di repressione che era stata scatenata contro tutto il movimento. Nacquero così i Comitati nazionali per combattere il fascismo (NCCF), organismi locali coordinati dalla sezione del BPP, aperti anche ai bianchi, con compiti di controllo della polizia. “In questo modo –come nota Paolo Bertella Farnetti- mentre il movimento bianco viveva una stagione di divisioni e fratture, le Pantere riuscirono a mantenere il collegamento con una parte di questo46”. Nel marzo del 1970, nonostante tutti gli sforzi di Nixon e di Hoover, il partito, seppure ripiegato su tattiche difensive, era ancora attivo a livello nazionale e, secondo l’FBI, poteva sempre contare su circa novecento membri hard core e molte migliaia di sostenitori. La campagna di criminalizzazione portata avanti da giornali e televisioni era riuscita a impaurire una popolazione bianca che aveva ancora negli occhi la violenza scatenata dai riots, ma tra gli afroamericani le Pantere erano ancora estremamente popolari.
L’ISOLAMENTO DEL BPP
46 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 153.
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I risultati della conferenza di Oakland non furono però quelli sperati. Se il BPP si presentava ancora come la sola forza propositiva di tutto lo spettro di opposizione al sistema, fu duramente attaccato dal movimento bianco radicale per la sua svolta, a detta di molti, eccessivamente moderata. Anche la proposta di organizzare una campagna per il decentramento e l’autonomia, sotto il controllo della comunità, dei dipartimenti di polizia fu bollata come “legalista” da molti partecipanti alla conferenza. I radicali bianchi avevano fin troppo mitizzato l’audacia delle Pantere e, lontani anni luce dalla dura realtà che il BPP doveva quotidianamente affrontare, non comprendevano l’importanza di un sostegno vasto ed esteso anche ai moderati per far fronte alla crudezza della repressione. In questa circostanza avvenne anche la rottura con l’organizzazione più importante e numerosa della New Left , gli Students for a Democratic Society (SDS). Appena pochi mesi prima, nella sua convenzione nazionale, l’SDS aveva definito le Pantere “forza di avanguardia” del movimento di liberazione nero, ma il suo rifiuto di far circolare la petizione per il controllo della polizia fu visto dal BPP come un vero e proprio tradimento. La risposta del partito fu esagerata e offensiva: i membri dell’SDS furono definiti “nazionalsocialisti borghesi, parolai e sciovinisti” da Bobby Seale47. Anche
la
partecipazione
del
Partito
comunista,
screditato
come
revisionista dalla sinistra rivoluzionaria, ai vari gruppi di lavoro fu duramente criticata.
In
realtà
le
Pantere
trassero
grandissimo
vantaggio
dalla
momentanea collaborazione con i comunisti che offrivano un notevole supporto organizzativo, sostegno finanziario e
la loro pluridecennale
esperienza di perseguitati dalle istituzioni. Le Pantere, dopo aver già scontato con l’isolamento all’interno del movimento nazionalista nero la loro alleanza con le forze della New Left e la loro ideologia socialista48, realizzarono all’improvviso la distanza che le separava dal movimento bianco. Un movimento variegato e sempre più diviso al suo interno, che non nascondeva la sua insofferenza verso 47 Ibid., p. 147. 48 Significativa a questo proposito fu la scarsa partecipazione di delegati neri alla conferenza di Oakland, dove tre quarti dei partecipanti erano bianchi.
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l’eccessivo autoritarismo del BPP, che a Oakland aveva espulso dalla conferenza i delegati di gruppi considerati avversari, e verso alcune loro clamorose pubbliche cadute di stile, con esibizione di linguaggio osceno e retorica machista da ghetto. Le Pantere stavano pagando il tributo più pesante alla repressione e si poteva comprendere la loro insofferenza verso i sottili distinguo ideologici e i conflitti
interni
di
un Movement che,
al
di
là
dell’aiuto
morale
e
propagandistico, non era riuscito a fare nulla per proteggerle concretamente. E così “mentre una parte del movimento radicale bianco era attraversata dalla retorica della rivoluzione contro il sistema, il BPP ne stava subendo l’attacco e pagava in prima persona il fatto di trovarsi sulla linea del fuoco 49”.
LA LIBERAZIONE DI NEWTON E LA FINE DEL SUO MITO Il processo a Newton dopo la sparatoria del 28 ottobre 1964 si era concluso
con
un
verdetto
controverso:
una
condanna
per
omicidio
preterintenzionale a una pena da due a quindici anni. Si trattò di un compromesso che dimostrava come la giuria non fosse giunta a stabilire né la piena colpevolezza né la piena innocenza del fondatore del BPP che, comunque, evitò il pericolo della camera a gas. L’avvocato bianco Charles Garry, il “Lenin del tribunale 50”, si rivelò molto abile e, sfruttando degli errori procedurali nel processo, riuscì a ottenerne l’annullamento. Il 5 agosto 1970 Huey Newton uscì quindi di prigione in libertà vigilata. Erano trascorsi 33 mesi dalla sua incarcerazione, durante i quali il partito che aveva fondato e diretto mentre muoveva i primi passi era profondamente cambiato. Da piccola realtà locale composta da poche decine di membri, era diventato un’organizzazione nazionale con migliaia di sostenitori, un riconoscimento internazionale, un giornale fra i più letti del movimento e, soprattutto, era il bersaglio di una feroce campagna di annientamento. 49 Ibid., p. 149. 50 E’ Seale a definirlo così, vedi: Bobby Seale, Cogliere l’occasione, la storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Torino, 1972, pp. 217-226.
37
Le aspettative nei confronti di Newton erano enormi: tutti si aspettavano che sotto la sua guida il partito avrebbe riacquistato vitalità, rinunciando alle tattiche puramente difensive a cui era stato costretto negli ultimi mesi dalla repressione. Appena fuori di prigione Newton si impegnò in un turbinio di conferenze, dichiarazioni e iniziative, la più clamorosa delle quali consistette nell’offerta di “soldati” del partito alle forze di liberazione vietnamite (offerta che fu gentilmente declinata). Nell’autunno del 1970 il BPP si impegnò nell’organizzazione di una Costituente
rivoluzionaria
che
avrebbe
dovuto
stendere
una
nuova
costituzione, “che garantisca a ogni cittadino americano, non solo sulla carta, ma anche nella realtà, l’inviolabile diritto umano alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità!51”. Questo impegno avrebbe dovuto rilanciare il partito che, dopo il Fronte unito contro il fascismo, cercava un’altra volta di porsi alla guida dell’intero movimento di opposizione, e aprire una nuova fase di lotte. La Convenzione costituzionale del popolo rivoluzionario, tenutasi a Washington tra il 27 e il 29 novembre, si rivelò però un fiasco totale e segnò il
definitivo
distacco
dal
movimento
bianco.
L’insuccesso
andava
principalmente ascritto al riflusso generale del movimento: “in sei mesi il grande appoggio popolare al movimento anti-guerra e progressista è svanito. Kent State52 ha spaventato e fatto scappare le migliaia di persone che la primavera precedente sembravano pronte a diventare rivoluzionarie53”, rifletteva amaramente David Hilliard. Newton fu molto critico nei confronti della pessima organizzazione e dell’idea stessa, avuta da Cleaver, di riscrivere la costituzione, ma soprattutto se la prese con i partecipanti bianchi, accusati di cullarsi nelle loro fantasticherie su una rivoluzione violenta mentre l’intero movimento languiva nell’immobilismo. Dopo questo episodio la dirigenza del BPP, con la significativa eccezione di Cleaver, maturò la convinzione della necessità di 51 Alberto Martinelli - Alessandro Cavalli (a cura di), Il Black Panther Party , Torino, 1971, pp. 68-69. 52 Il 4 agosto 1970 alla Kent State University, Ohio, la Guardia nazionale aprì il fuoco contro gli studenti che manifestavano contro la guerra. Quattro restarono uccisi e nove feriti. 53 David Hilliard e Lewis Cole, This side of Glory, cit. in Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party , Milano, 1995, p. 168.
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un’ulteriore svolta moderata. A Washington, come del resto nelle sue pubbliche apparizioni precedenti, l’intervento di Newton fu assolutamente deludente. Nelle piccole riunioni di partito prima del suo arresto e nelle interviste rilasciate in prigione, il fondatore del BPP aveva sempre dato prova di grande entusiasmo e di una brillantezza scoppiettante. Ma davanti a grandi rassemblamenti, lo stile di Newton
si rivelò pesante e
accademico,
dimostrando una distanza
intellettuale incredibile dalla gente del ghetto, da sempre gli interlocutori privilegiati delle Pantere. Newton era consapevole di questo suo limite, ma il ruolo centrale che ricopriva nell’organizzazione rendeva necessari i suoi interventi pubblici. Ad aumentare la lontananza di Newton dalla base del partito, che in larghissima maggioranza non aveva avuto modo di conoscerlo prima del suo rilascio, contribuirono gli errori del comitato centrale che gli attribuì il titolo, di ispirazione nordcoreana, di “comandante supremo” prima, e di “supremo servitore” poi. All’idolatria si aggiunse anche un totale isolamento quando Newton, per motivi di sicurezza, si trasferì con le sue guardie del corpo in un elegante edificio fuori dal ghetto. Circondato da quadri che non conosceva personalmente e che si rivolgevano a Hilliard per le direttive, consapevole di non poter fare i miracoli che tutti si aspettavano da lui, iniziò a criticare ingenerosamente l’operato di un partito in cui non si riconosceva più, e a prenderne gradualmente il controllo nelle sue mani.
DALL’INTERNAZIONALISMO ALL’INTERCOMUNITARISMO All’inizio del 1969 il BPP cominciò a fare riferimento all’internazionalismo di ispirazione marxista, dichiarandosi esplicitamente un partito marxistaleninista. Le Pantere si staccavano definitivamente dal nazionalismo nero per addentrarsi nell’intricata tradizione teorica del marxismo, diventando la prima organizzazione nazionale afroamericana ad abbracciare ufficialmente questa ideologia. Fu in questo periodo che, a conferma della svolta
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ideologica, fu modificato il Ten-point Program54. Nei corsi di educazione politica, accanto a Malcolm X e Fanon, si cominciarono a studiare i testi dei teorici marxisti, difficilmente comprensibili per tutti quei membri di base che utilizzavano i corsi per imparare a leggere. Rimaneva ancora valida la definizione della nazione nera come colonia interna, e alla guerra di liberazione della colonia doveva affiancarsi la lotta rivoluzionaria in tutti gli Stati Uniti. Occorreva creare un Fronte di Liberazione Nord-americano, che avrebbe riunito le forze rivoluzionarie di tutto il paese: “non si tratterà di un’organizzazione esclusivamente nera, comprenderà i rivoluzionari della comunità bianca, messico-americana, portoricana e nera55”, perché se “l’oppressione dei neri negli Stati Uniti è una questione nazionale, l’oppressione dei bianchi è un problema di classe56”. Sia per Cleaver che per Newton l’adesione ai principi del marxismo non fu meccanica. Le esperienze storiche di altri paesi andavano studiate e non copiate. Entrambi i leader guardavano con ammirazione alla Cina, al Vietnam e alla Corea del Nord 57, pur tenendo conto della necessità dell’elaborazione di una teoria adattata a una società altamente industrializzata e urbanizzata, al cui interno gli afroamericani vivevano in condizioni del tutto particolari. Nello sviluppo di una visione teorica originale del BPP che conciliasse i principi del marxismo-leninismo con la situazione specifica dei neri negli Stati Uniti, il sottoproletariato nero, debitamente organizzato, mutava il suo ruolo “da popolo dimenticato ai margini della società in avanguardia proletaria 58”. Nelle analisi di Cleaver la classe operaia americana era ormai impermeabile a qualsiasi slancio rivoluzionario e rappresentava ormai l’ala reazionaria del proletariato. I sottoproletari invece, disprezzati dalla tradizione comunista a partire da Marx, “chi non ha mai lavorato e mai lavorerà, chi è stato escluso dalle macchine, dall’automazione e dalla cibernetica, chi vive dell’assistenza e dei sussidi statali; anche il cosiddetto elemento criminale, chi vive di espedienti59”, sono l’ala rivoluzionaria formatasi nelle strade, che proprio 54 Vedi supra, p. 14. 55 Ibid., p. 60. 56 Lee Lockwood, Conversazione con Cleaver , Milano, 1972, p. 106. 57 Furono pubblicati sul giornale del partito numerosi scritti di Kim Il Sung. 58 Eldridge Clever, On the Ideology of the BPP, 1970, p. 1, cit. in Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 143. 59 Ibid., p. 60.
40
cominciando dalla strada farà la rivoluzione. L’uscita dal carcere di Newton inaugurò una nuova svolta nella filosofia politica
dell’organizzazione:
la
teoria
dell’intercomunitarismo.
Secondo
Newton il dominio mondiale degli Stati Uniti ha omologato le nazioni in un'unica struttura economica e culturale, un insieme di comunità saldamente legate fra loro. In questo contesto i confini nazionali non hanno più alcun valore, così come perdono il loro significato espressioni come “guerra di liberazione nazionale”. Sulla scena mondiale si fronteggiano quindi un intercomunitarismo reazionario, rappresentato dalle multinazionali e dalla borghesia globale, e che ha negli Stati Uniti il suo centro nevralgico, da una parte, e un intercomunitarismo rivoluzionario dall’altra. La maggioranza dei popoli del mondo è stata ormai trasformata in un’unica classe di sfruttati, con un unico apparato dominante da conquistare. Gli afroamericani, privi addirittura di una patria, che vivono nel cuore di Babilonia, sono nella condizione ideale per ispirare quella rivoluzione che trasformerà il mondo in un’unica comunità rivoluzionaria. L’intercomunitarismo,
frutto
dell’astrattezza
e
dell’intellettualismo
accademico tipici del nuovo Newton, suscitò ben pochi entusiasmi. Per di più questa nuova teoria non definiva nessuna pratica politica da seguire per raggiungere l’intercomunitarismo rivoluzionario. Venne piuttosto introdotto il concetto di “sopravvivenza”, sul quale gli scritti di Newton insistevano assai di più che su quello di “rivoluzione”. Era chiara l’intenzione di sviluppare maggiormente i programmi sociali del BPP, per garantire la sopravvivenza della comunità e anche del partito stesso. Paradossalmente lo sviluppo degli eventi avrebbe finito per fare di una teoria globalizzante come quella dell’intercomunitarismo, la giustificazione per il ripiegamento delle Pantere nella loro comunità originaria di Oakland. LA CRISI INTERNA E LA SCISSIONE Mentre Newton, che godeva dell’appoggio incondizionato di tutta la dirigenza di Oakland, “maturava la decisione di dare
un’immagine
decisamente legale al partito in nome della sua sopravvivenza, Cleaver dall’Algeria continuava a premere per un innalzamento del livello dello 41
scontro, criticando la svolta reazionaria nella direzione dell’organizzazione. Le due vecchie e mai armonizzate anime del Black Panther Party, quella politica e quella militare, arrivarono alla resa dei conti 60”. Nel frattempo l’FBI intensificava le sue operazioni clandestine miranti a creare un clima di sospetto e sfiducia, attraverso le infiltrazioni e le delazioni, all’interno del partito. Anche i contrasti tra Newton e Cleaver vennero alimentati con abilità. Approfittando della lontananza fisica del secondo, gli agenti federali gli fecero pervenire una serie di lettere costruite ad arte che descrivevano un partito in stato confusionale, minato dalle ribellioni interne contro la leadership di Newton. Contemporaneamente una serie di lettere e documenti falsi furono spediti a membri del partito in tutto il paese, per dimostrare che Newton era uscito di prigione perché si era messo a collaborare con la polizia. La presenza degli infiltrati, che tenevano l’FBI al corrente sull’efficacia di questa campagna di controinformazione, contribuì a renderla micidiale. I segnali di divergenza fra Oakland e Algeri si acuirono nel corso del 1970. I due leader diedero opposte valutazioni su vari episodi di lotta armata all’interno degli Stati Uniti, condannati da Newton per la loro inutilità politica e celebrati da Cleaver come esempio di comportamento rivoluzionario. Come era già successo in passato, The Black Panther pubblicò le due differenti posizioni. Il dissenso si trasformò in guerra aperta quando le Pantere di New York, che fin dagli inizi avevano avuto un rapporto non facile con Oakland, con una lettera aperta si unirono a Cleaver nell’esaltare l’operato dei Weatherman Underground, la fazione uscita dall’SDS per combattere clandestinamente il sistema. Veniva inoltre criticata, molto poco velatamente, la gestione del partito. Newton reagì alle critiche espellendo nel febbraio del 1971 le 21 Pantere di New York che avevano firmato la lettera incriminata. Il 26 febbraio, nel corso di un programma televisivo, fu organizzata una telefonata in diretta tra Newton e Cleaver ad Algeri. Quest’ultimo chiese a Newton di reintegrare i 21 espulsi, accusò Hilliard di aver impresso una svolta controrivoluzionaria al partito. Newton si rifiutò di discutere la questione 60 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 173.
42
pubblicamente,
ma,
internazionale,
senza
conversazione.
I
toni
finita
la
trasmissione,
immaginare furono
che
Cleaver
durissimi,
telefonò
alla
avrebbe
Newton
espulse
sezione
registrato la la
sezione
internazionale e la chiamata si concluse con reciproche minacce di “mettere al lavoro le armi”. Cleaver fece pervenire la registrazione della telefonata alla rete televisiva NBC, che la diffuse in tutto il paese. “La scissione divenne pubblica nel modo più deleterio e devastante, soprattutto dopo che le minacce fra i due leader si concretizzarono in episodi sanguinosi di guerra fratricida61”.
TRISTE EPILOGO La faida interna si risolse rapidamente con la vittoria della fazione di Newton. Il gruppo di Cleaver, oltre alla cellula di Algeri, troppo lontana dagli avvenimenti, aveva un vasto seguito nella sola New York, mentre la maggior parte delle sezioni del BPP rimasero fedeli a Oakland. Un gruppo di Pantere partigiane di Cleaver si staccò dal partito per fondare il Black Liberation Army, un gruppo clandestino che passò, senza troppo successo, alla lotta aperta contro il sistema. Sempre più isolato e politicamente in disgrazia, Cleaver si trasferì a Parigi nel 1974. L’anno seguente, dopo aver trattato con le autorità americane le condizioni per il suo ritorno in patria, fece ritorno negli Stati Uniti. Qui, scontata
una
breve
pena
detentiva,
ottenne
la
libertà
vigilata
e,
nell’incredulità generale, si riciclò come intellettuale della destra religiosa fondamentalista, pur rivendicando sempre con orgoglio la sua militanza nelle Pantere. Il BPP guidato da Newton sopravvisse formalmente fino all’inizio degli anni Ottanta. Si trattava ormai di un’organizzazione quasi esclusivamente locale: nella comunità di Oakland furono concentrati i quadri più preparati; da lì, secondo i dettami dell’intercomunitarismo, le Pantere avrebbero riallacciato i rapporti con le altre comunità liberate contro il comune oppressore. Questa 61 Ibid., p. 179.
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ritirata strategica fu accompagnata dal quasi totale disarmo del partito che, abbandonata anche la classica divisa, cercava ora di raccogliere consensi in settori della comunità nera da sempre disprezzati, come la chiesa e la borghesia. Mantenendo, almeno nominalmente, le finalità rivoluzionarie, il BPP si trasformò in una struttura politica tradizionale. Furono organizzati un enorme numero di programmi sociali gratuiti, finanziati dal sostegno economico di commercianti e imprenditori neri. Nel 1973 Bobby Seale, candidato del Partito democratico, arrivò a sfiorare l’elezione a sindaco di Oakland, a testimonianza dell’ampio consenso raggiunto dalle Pantere nella loro base d’origine. In realtà dietro il processo di istituzionalizzazione del partito si celava un’organizzazione clandestina, triste parodia dell’antica ala militare, che si trasformò rapidamente in una gang criminale dedita a estorsioni e traffico di droga. Newton, schiacciato dalla dipendenza dalla cocaina e dall’alcool, dominava in modo sempre più violento un partito su cui esercitava un controllo dispotico. Uno dopo l’altro tutti i vecchi dirigenti furono allontanati o abbandonarono il partito. Il fedele Hilliard fu espulso mentre si trovava in carcere e lasciato senza assistenza legale. Bobby Seale, fondatore e simbolo delle Pantere, fu addirittura picchiato e frustato a sangue, salvando a stento la vita62. Il BPP nel 1974 contava ormai solo un centinaio di iscritti e una sezione nel North Carolina, oltre alla sede di Oakland. L’ultima sopravvissuta delle sue attività sociali, una scuola elementare modello, chiuse nel 1982 per mancanza di fondi. Il Partito della pantera nera seguì inesorabilmente il processo di involuzione
e
autodistruzione
di
Newton.
Estremamente
complesso,
contemporaneamente “leader politico e capo di una gang, intellettuale che ottenne il dottorato di ricerca in Storia della coscienza all’università di Santa Cruz e hustler del ghetto che voleva dimostrare d’essere il più forte coi pugni, l’asceta che non si era fatto spezzare dall’isolamento carcerario e la celebrità attirata da ogni eccesso che si autodistruggeva con la droga, […] Huey 62 Fedele fino all’ultimo al BPP e al suo capo, Seale non ha mai voluto chiarire le drammatiche circostanze del suo allontanamento.
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Newton venne ucciso il 22 agosto 1989 nel ghetto di West Oakland da uno spacciatore di crack, il derivato della cocaina a buon mercato, ultima epidemia devastante di una comunità nera vinta e rassegnata 63”.
LA REPRESSIONE
LE PANTERE NEL MIRINO DEL COINTELPRO L’8 settembre 1968, in un’intervista rilasciata al New York Times, il direttore dell’FBI J.Edgar Hoover descriveva il BPP come “la più grande minaccia alla sicurezza interna del paese”. A partire dall’agosto del 1967, i gruppi nazionalisti neri erano diventati l’oggetto principale del programma segreto di controspionaggio Counter Intelligence Program (Cointelpro)64, “l’arma più micidiale e sporca adoperata 63 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 191. 64 L’etichetta Cointelpro è comune ad almeno 8 programmi di controspionaggio attuati dall’FBI tra il 1956 e il 1971. Altri obiettivi del Cointelpro furono il Partito comunista (l’organizzazione vittima del maggior numero di operazioni
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per distruggere il dissenso politico interno65”. Non è difficile collegare a questa data l’aumentare della diffusione e dell’intensità dei riots, motivo di grande preoccupazione per le autorità. In breve tempo le Pantere si ritrovarono nel mirino del programma Cointelpro Black Nationalist, tanto da essere il bersaglio di ben 233 delle 295 azioni autorizzate nell’ambito di questo programma. In effetti il BPP sembrava incarnare tutte le minacce a lungo termine provenienti dal movimento di liberazione nero che l’FBI si era impegnato a prevenire e neutralizzare con il programma Cointelpro. Gli agenti speciali avrebbero dovuto impegnarsi a fondo su cinque obiettivi: impedire la nascita di una coalizione fra le varie organizzazioni; impedire la nascita di un Messia in grado di unificare il movimento; impedire la violenza; impedire che gruppi e leader neri guadagnassero rispettabilità; impedire la crescita e il proselitismo dei suddetti gruppi 66. Le Pantere erano guidate da leader carismatici e accoglievano fra i loro dirigenti molti giovani di talento, potenziali Messia. Parallelamente alla crescita del partito, avevano avviato significative coalizioni sia con lo SNCC, l’organizzazione nazionalista nera meglio organizzata, ma anche con spezzoni del movimento bianco. Ciò che però impauriva maggiormente le istituzioni era la capacità del partito di “trasformare in organizzazione antagonista disciplinata la rabbia spontanea dei ghetti, che in quegli anni scoppiavano in sanguinose rivolte 67”. Sull’esempio delle Pantere, moltissime bande giovanili nere, bianche e latine, sul finire degli anni Sessanta si trasformarono da gang criminali in collettivi politici, superando la loro tradizionale conflittualità in nome della solidarietà sociale e di un violento antagonismo nei confronti dello stato. A tessere la trama di una repressione iniziata durante il mandato di clandestine), il Social Workers Party, l’American Indian Movement, la New Left , gli indipendentisti di Portorico, le organizzazioni radicali messico-americane, il Ku Klux Klan. E’ possibile visionare i documenti prodotti dal programma Cointelpro sul sito http://www.icdc.com/~paulwolf/cointelpro/cointelindex.htm. 65 Βruno Cartosio, Senza illusioni, i neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Milano, 1995, p. 70. 66 Vedi il memorandum Cointelpro del 4 marzo 1968, cit. in Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party , Milano, 1995, p. 108. 67 Paolo Bertella Farnetti, Black Panther Party: dalla rimozione alla storia, in Acoma, Rivista di studi internazionali nordamericani, 1999, VI, n. 15, p. 61.
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Johnson e inaspritasi con Nixon fu “l’inossidabile direttore del Federal Bureau of Investigation J. Edgar Hoover. Inveterato razzista e anticomunista, inesauribile raccoglitore di informazioni sporche e gran maestro di guerra a bassa intensità contro tutto ciò che veniva da lui percepito come antiamericano68”. Hoover era riuscito a ritagliarsi un’enorme autonomia d’azione, grazie anche alla mole di notizie riservate con le quali era in grado di ricattare persino i presidenti. Di fronte allo sviluppo dei movimenti di opposizione, allo spauracchio della perdita di consensi a causa della guerra in Vietnam e dell’incontrollabilità dei centri urbani, il governo reagì organizzando un’immensa rete di controllo clandestino, con l’FBI nel ruolo di coordinatore delle politiche di repressione e classificatore delle informazioni di controspionaggio raccolte attraverso lo scasso, le intercettazioni telefoniche e postali, le infiltrazioni. I mezzi spesso criminali che vennero usati contro le Pantere, e non solo, divennero di dominio pubblico quando l’8 marzo 1971, un anonimo “comitato di cittadini” penetrò in una sede del Bureau in Pensylvania, sottraendo molti documenti poi inviati alla stampa nazionale. In questo modo l’opinione pubblica venne a conoscenza di una parte del segretissimo programma Cointelpro. In seguito, sull’onda dello scandalo Watergate69, Hoover fu costretto a consegnare altro materiale riguardante i tentativi di soffocare gruppi radicali e pacifisti. Molti documenti erano però stati in parte censurati e altri irrimediabilmente distrutti. Inoltre William C. Sullivan, braccio destro di Hoover, fu ucciso in circostanze oscure nel 1977, poco prima di essere chiamato a una testimonianza pubblica. Ciononostante fu possibile riunire un nucleo di documentazione sufficiente a
rivelare
la
brutalità
delle
operazioni
clandestine
dell’FBI
contro
l’opposizione politica e sociale. Nel 1976 la Commissione speciale del Senato degli Stati Uniti per lo Studio delle Operazioni del Governo, guidata dal senatore Church, fornì un quadro dettagliato di come le agenzie governative avessero tenuto sotto controllo e avessero combattuto con ogni mezzo le 68 Βruno Cartosio, Senza illusioni, i neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Milano, 1995, p. 72. 69 In seguito alla campagna presidenziale del 1972 fu scoperto che Nixon e i suoi collaboratori avevano sistematicamente spiato esponenti democratici e si erano serviti dell’FBI per campagne di disinformazione e discredito contro i loro avversari politici. Lo scandalo fu tale che nel 1974 Nixon fu il primo presidente americano a rassegnare le dimissioni.
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attività di innumerevoli organizzazioni tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Per quel che riguarda le Pantere, “nonostante lo scopo dichiarato del Cointelpro fosse quello di prevenire la violenza, alcune tattiche adottate dall’FBI stessa contro il BPP erano chiaramente dirette a fomentarla 70”, e gli agenti federali si spinsero fino a istigare ed eseguire omicidi a sangue freddo. Sebbene tali rivelazioni siano giunte “a conoscenza dell’opinione pubblica in un momento in cui la società americana era desiderosa di voltare le spalle alle lacerazioni della guerra del Vietnam e agli scandali dell’era Nixon, nel vuoto di un movimento ormai sconfitto, […] la scoperta dei metodi illegali e sofisticati usati per distruggere le Pantere ha finito per intaccare il cliché di gang criminale e terrorista, che era stato loro appiccicato con successo 71”.
DUE CASI ESEMPLARI DI REPRESSIONE: CHICAGO... La sede del BPP di Chicago, una delle migliori di tutto il paese, tanto da essere citata come modello da seguire per le altre sezioni su The Black Panther , fu vittima di un’ininterrotta serie di attacchi da parte delle autorità durante tutto il 1969. In questo contesto il coordinamento fra FBI e istituzioni locali, soprattutto il dipartimento di polizia, fu strettissimo, e le azioni organizzate nell’ambito del programma Cointelpro ne rivelarono tutta la sua criminosità. Buona
parte dei
successi del partito erano
dovuti
alle capacità
organizzative e al carisma del poco più che ventenne Fred Hampton, capo delle Pantere nere dell’Illinois. Hampton portò avanti con successo un’opera di pacificazione e politicizzazione delle gang nere, diede vita ad alleanze con gli Young Lords, una gang portoricana, con gli Young Patriots, giovani bianchi immigrati dal Sud, e con gli studenti dell’SDS. Contemporaneamente a queste attività, il livello dello scontro con la 70 Estratti del rapporto della Commissione su “I tentativi dell’FBI di disgregare e neutralizzare il Black Panther Party” sono riportati in Bruno Cartosio, Senza illusioni, i neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Milano, 1995, pp. 126-135. 71 Paolo Bertella Farnetti, Black Panther Party: dalla rimozione alla storia, in Acoma, Rivista di studi internazionali nordamericani, 1999, VI, n. 15, p. 60.
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polizia si fece sempre più violento. Arresti e condanne con pretesti poco credibili72, perquisizioni, sparatorie si susseguivano con frequenza sempre maggiore, mentre l’FBI faceva di tutto, servendosi di infiltrati e lettere false, per scatenare contro le Pantere la potente banda nera dei Blackstone Rangers. Queste azioni non ebbero però l’esito sperato: l’incarcerazione di numerose Pantere, e le conseguenti cauzioni, gli scontri a fuoco con gli agenti che causarono numerose morti, non riuscirono a frenare le attività del BPP che, grazie anche all’ottimo funzionamento dei programmi sociali per la comunità nera, aumentò la sua popolarità. Così, all’alba del 4 dicembre 1969, quattordici poliziotti in borghese fecero irruzione in un piccolo appartamento affittato dal BPP, con un mandato di perquisizione per detenzione di armi da fuoco illegali. In meno di 10 minuti due dei nove occupanti, Hampton e la Pantera Mark Clark, erano morti e altri quattro gravemente feriti. Fra i poliziotti ci furono due feriti lievi, uno dei quali a causa di una scheggia di vetro. I superstiti vennero arrestati con varie accuse, fra le quali tentato omicidio. La mattinata stessa il procuratore di stato organizzò una conferenza stampa sull’accaduto, difendendo l’operato dei poliziotti che avrebbero soltanto risposto al fuoco degli occupanti dell’appartamento. Questa versione del raid venne successivamente ripresa da giornali e televisioni. Nei giorni seguenti migliaia di afroamericani e giornalisti indipendenti si recarono nell’appartamento delle Pantere, stranamente non sigillato dalla polizia. Tutti poterono vedere il materasso inzuppato del sangue di Hampton, evidentemente ucciso nel suo letto, e constatare che le macchie scure nelle pareti, presentate in televisione come fori di pallottole sparate dall’interno della casa, erano in realtà capocchie di vecchi chiodi. Addirittura il vicepresidente di un’associazione di agenti di polizia neri parlò di un “evidente assassinio politico”. Sulla spinta delle proteste furono avviate numerose inchieste. Quelle ufficiali, pur non riscontrando violazioni da parte della polizia, non riuscirono a provare la partecipazione delle Pantere alla sparatoria, facendo quindi cadere tutte le accuse nei confronti dei sette 72 Lo stesso Hampton venne condannato a una pena da due a cinque anni per aver rubato... del gelato e averlo distribuito a dei bambini!
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sopravissuti. Nel 1973 furono pubblicati i risultati del rapporto Search and Destroy 73 della commissione d’inchiesta indipendente presieduta da Roy Wilkins, segretario esecutivo della NAACP, e dall’ex procuratore generale Ramsey Clark. Le conclusioni, pacate e obiettive, dell’inchiesta stabilirono che delle circa 100 pallottole sparate durante l’irruzione, solo una poteva, forse, essere attribuita alle Pantere. Hampton, colpito da sei proiettili, di cui due lo raggiunsero alla testa, trovò la morte nel suo letto mentre dormiva. Il suo corpo fu poi trascinato per i polsi fino alla porta, probabilmente per simulare il fatto che fosse in azione, lasciando una scia di sangue sul pavimento. Un sonno così profondo e innaturale del giovane leader, che non riprese mai conoscenza nonostante i tentativi dei suoi compagni di svegliarlo, fu provocato, secondo i risultati di una delle autopsie, da una massiccia dose di barbiturici. Essendo nota l’avversione di Hampton verso ogni tipo di droga, si ipotizzò l’azione di un infiltrato che avrebbe potuto averlo drogato in precedenza. Si era trattato insomma di un'esecuzione mirata. L’accertamento definitivo della verità avvenne soltanto durante il processo che la madre di Hampton e i sopravvissuti intentarono contro i vertici della polizia di Chicago. Nel corso di lunghe battaglie processuali venne alla luce il ruolo dell’FBI e del suo infiltrato William O’Neal. Risultò che O’Neal si era impegnato, con scarso successo, a provocare uno scontro fra il BPP e i Blackstone Rangers, e che si era distinto per le sue continue provocazioni, sempre respinte dai dirigenti, come l’idea di usare una rudimentale sedia elettrica contro sospetti informatori, o la proposta di bombardare il municipio con un mortaio. Pochi giorni prima del raid O’Neal fornì alla polizia una dettagliata
pianta
dell’appartamento
delle
Pantere,
segnalando
con
precisione la posizione del letto di Hampton. Il processo “Hampton contro Chicago” si concluse nel 1982: i superstiti e le famiglie delle vittime accettarono di patteggiare un risarcimento di quasi due milioni di dollari.
73 Perquisire e distruggere. Estratti del rapporto sono riportati in Bruno Cartosio,. Senza illusioni, i neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Milano, 1995, pp. 111-125.
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… E NEW YORK La distruzione delle Pantere nere di New York fu invece portata a termine “attraverso un micidiale processo di massa ai più efficaci dirigenti del BPP in quella città. […] Si trattò del processo più lungo, più costoso e più pubblicizzato della storia dello stato di New York74” All’alba del 2 aprile 1969, più di 200 poliziotti furono impegnati in una spettacolare operazione, nel corso della quale furono arrestati 21 membri del BPP. La stampa, preavvertita a tempo debito, fu presente sulla scena degli arresti, e il giorno dopo tutti i giornali poterono aprire con la clamorosa notizia dei “21 accusati di un complotto per terrorizzare la città” e del “complotto stroncato per far saltare grandi magazzini75”. Nei successivi otto mesi a ogni imputato furono contestati più di trenta reati. Alla base delle accuse vi era la programmazione di una serie di attentati dinamitardi contro cinque grandi magazzini della città, varie stazioni di polizia, una ferrovia e dei giardini botanici. Anche in questo caso un ruolo fondamentale nel fabbricare le accuse fu giocato dagli almeno sei agenti infiltrati nel BPP di New York. Grazie al processo che seguì si appurò infatti che i presunti attentati terroristici non erano altro che una risibile montatura. L’accusa si ritrovò con due poliziotti infiltrati come unici testimoni: gli agenti White e Roberts. Ralph White, della squadra speciale BOSS (Bureau of Special Service), durante la sua militanza nelle Pantere divenne capo della sezione del Bronx, dove tenne corsi sull’uso delle armi e seminari sulla fabbricazione di una bomba a tempo. Dalle sue testimonianze rilasciate alle udienze risultò inoltre evidente che il suo
ruolo
di
informatore/provocatore
fu
spesso
soverchiato
dalla
partecipazione personale all’impegno politico. Gene Roberts, già impiegato come informatore nell’Organizzazione per l’unità afroamericana di Malcolm X ai tempi del suo assassinio, era invece un semplice membro di base, e durante i processi si limitò a riportare pedissequamente ogni tipo di fantasia rivoluzionaria di cui fosse venuto a conoscenza. Uno dei suoi primi rapporti era stato proprio sulla “Pantera” White, descritto come un militante tra i più 74 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 126. 75 Titoli del New York Times e del New York Daily News .
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pericolosi. Le sole prove in mano all’accusa si rivelarono un manuale di tecniche di guerriglia scritto da uno degli imputati, dei pezzi di tubo d’ottone e una piccola quantità di polvere esplosiva. Il 13 maggio 1971, dopo due anni di prigione 76 per i “21 di New York”, tredicimila pagine di verbali, la giuria fece cadere ognuno dei 156 capi di imputazione in soli novanta minuti. Fu in ogni caso “una vittoria di Pirro che non salvò dalla disgregazione la sezione di New York 77”. Le Pantere assolte riemersero dalla prigione in un clima di paura e sospetto, con il BPP ormai in declino su scala nazionale. Quasi tutto il denaro e le energie delle Pantere di New York erano stati incanalati in questo solo processo. La tensione che ne derivò non poté essere sopportata da un’organizzazione ancora giovane, e finì per esasperarne i conflitti interni. Proprio in questo contesto si inserì la vicenda del Black Liberation Army, il gruppo di Pantere, principalmente di New York, che di fronte all’inasprirsi della repressione scelse la clandestinità e la lotta armata.
LA CRIMINALIZZAZIONE DEL BPP Hoover e l’amministrazione Nixon non si dedicarono soltanto a liquidare fisicamente il partito, ma destinarono molte energie anche a screditarlo, con una campagna di criminalizzazione che giustificasse la feroce persecuzione, sia aperta che clandestina. Le tecniche utilizzate erano molto differenziate a seconda dell’obiettivo contingente: se si voleva infangare l’immagine delle Pantere presso i loro simpatizzanti (e finanziatori) liberal, l’FBI cercava, con la compiacente collaborazione dei mass media, di presentarli come una banda di criminali dal grilletto facile. A questo scopo contribuiva non poco la violenta retorica utilizzata dalle Pantere stesse contro i pigs. Ma sottolineare la propensione dei membri del BPP a utilizzare le armi, soprattutto contro gli agenti di polizia, non faceva che accrescere la loro popolarità tra i giovani del 76 La cauzione fu fissata a centomila dollari per ogni imputato, in pratica una forma mascherata per negarla. 77 Paolo Bertella Farnetti, Black Panther Party: dalla rimozione alla storia, in Acoma, Rivista di studi internazionali nordamericani, 1999, VI, n. 15, p. 62.
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ghetto e i militanti delle altre organizzazioni nazionaliste. Per intaccare il prestigio del partito nel suo ambiente naturale, la comunità nera, si cercò dapprima di screditarne i leader, dando vita a mirate campagne diffamatorie per mezzo delle quali si accusavano gli esponenti più popolari di collaborare con la polizia, di arricchirsi con i soldi dell’organizzazione o di eccessive simpatie nei confronti dei sostenitori bianchi. Anche le dichiarazioni di Newton in appoggio alle rivendicazioni del movimento gay furono abilmente utilizzate dall’FBI per scalfire la sua popolarità agli occhi di una comunità nera tutt’altro che estranea all’omofobia. Il maggior accanimento fu raggiunto contro i programmi sociali delle Pantere, sia perché “sconfessavano quell’immagine negativa su cui la repressione contava per autogiustificarsi 78”, sia perché, ovviando dal basso a problemi di sopravvivenza concreti, riscuotevano molta simpatia nei ghetti. A partire dal maggio 1969, a San Francisco fu diffusa la voce che il personale addetto ai free breakfast fosse affetto da malattie veneree. Numerose sezioni ricevettero falsi telegrammi che mettevano in guardia dagli alimenti avvelenati che presunti sostenitori bianchi stavano donando ai programmi sociali. Si arrivò perfino a pianificare il sabotaggio delle colazioni gratuite iniettando dei lassativi nella frutta (piano poi scartato per motivi tecnici). A volte l’FBI o la polizia intervenivano per intimorire i proprietari che fornivano i loro locali per i programmi, o venivano fatte pressioni sulle gerarchie ecclesiastiche per
trasferire
un sacerdote
che
aveva
collaborato
ai
programmi sociali delle Pantere. Istituzioni che in vario modo sostenevano le attività del BPP, come chiese, associazioni umanitarie o organizzazioni femministe, rimasero scioccate nel ricevere copie del Panther’s Coloring Book for Children, un libretto di disegni da colorare pieno di immagini violente contro poliziotti bianchi. La leadership di Oakland disapprovò il libro e ordinò che tutte le copie fossero immediatamente distrutte. L’FBI invece colse al volo l’occasione e, dopo aver aggiunto ai disegni delle didascalie che ne sottolineavano i contenuti aggressivi, ne stampò migliaia di copie e le inviò ai commercianti che contribuivano alle colazioni gratuite, affermando che i libretti venivano 78 Ibid., p. 62.
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distribuiti ai bambini durante le colazioni.
LA LOTTA NELLE CARCERI E LA SAGA DI GEORGE JACKSON Negli anni Sessanta, mentre la percentuale di afroamericani e di altre minoranze
etniche
raggiungeva
il
50%
della
popolazione
carceraria
statunitense, sempre più militanti neri venivano arrestati e trascorrevano periodi più o meno lunghi in prigione. Il movimento per i diritti civili prima, e i gruppi nazionalisti poi, dovettero subire una dura repressione delle autorità sia locali che federali, che si concretizzò in migliaia di arresti e condanne. La maggior parte degli arrestati portava con sé in carcere le proprie idee e si impegnava attivamente nel diffonderle. Le prigioni divennero così anche luoghi di formazione e di presa di coscienza per moltissimi giovani che, cresciuti nei ghetti, non avevano mai avuto la possibilità di studiare o praticare un lavoro decente e, dopo un’adolescenza fatta di espedienti e piccoli crimini, finivano regolarmente dietro le sbarre, spesso a scontare pene spropositate. Qui molti di loro trovarono un’occasione di riscatto, cominciando a interessarsi al problema politico degli afroamericani. Grandissima era l’azione di proselitismo della Nation of Islam, almeno fino all’uscita dall’organizzazione di Malcolm X. Egli stesso, quando ancora si chiamava Malcolm Little, fu arrestato per furto con scasso e rapina a ventuno anni, dopo essersi guadagnato da vivere come spacciatore a New York, e in prigione si convertì alla religione musulmana, primo passo verso una completa presa di coscienza della drammatica condizione dei neri d’America. Anche Eldridge Cleaver si convertì in carcere alla NOI, prima di rompere con i muslims per aderire a un più laico nazionalismo. Mentre nelle prigioni si moltiplicavano gli studi politici, di cultura africana o sull’Islam, dietro le mura dei penitenziari cominciarono a svilupparsi le prime attività politiche, volte in primo luogo a migliorare le inumane condizioni dei detenuti, ma non per questo slegate dalle lotte che si svolgevano all’esterno. Negli anni successivi l’inizio di una dura repressione contro le Pantere e le
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altre organizzazioni radicali nere, aumentò la presenza di attivisti politici in carcere. I prigionieri afroamericani più politicizzati subivano l’influenza sia dell’atmosfera rivoluzionaria interna agli Stati Uniti, sia delle lotte contro vecchi e nuovi colonialismi in Asia, Africa e America Latina. Nelle biblioteche delle prigioni venivano studiati i testi di Malcolm X, Huey P. Newton, Fanon, Che Guevara, Mao, Lenin…, e The Black Panther aveva una grande diffusione. Fecero la loro comparsa petizioni, lettere di denuncia, scioperi della fame e del lavoro, vere e proprie ribellioni, per reclamare la fine delle punizioni arbitrarie e del razzismo in prigione, la possibilità di avere dei validi avvocati, un’adeguata istruzione professionale e una giusta retribuzione per il lavoro svolto79, miglior cibo, cure mediche, celle decenti e una miriade di altre rivendicazioni. Il BPP, l’unica organizzazione che era riuscita a entrare in contatto e a mobilitare il sottoproletariato nero, acquisì rapidamente grande popolarità tra i carcerati di colore, “creando un focolaio di rivolta e di organizzazione politica nelle carceri, luogo di cultura, di permanenza e di provenienza di un certo numero di membri del partito80”. L’azione delle Pantere nell’universo carcerario fu simboleggiata soprattutto dalla figura e dall’azione di George Jackson. Nato a Chicago nel 1941 in una famiglia molto modesta, George Lester Jackson conobbe la prigione a soli 14 anni, per il furto di una borsetta. Nel 1960 fu arrestato per aver guidato la macchina in una rapina da settanta dollari: su consiglio del suo difensore d’ufficio si dichiarò colpevole, nella speranza di una verdetto clemente. Ricevette invece una condanna a tempo indeterminato, da un anno a vita 81. Iniziò così l’iter carcerario di Jackson, caratterizzato da continui spostamenti in carceri di massima sicurezza e da lunghi periodi trascorsi in isolamento (alla fine saranno 7 anni sugli 11 totali di reclusione). Nel 1969, quando venne trasferito nel centro di riadattamento per prigionieri difficili del penitenziario di Soledad, in California, aveva ormai completato la sua formazione che lo aveva portato a un “rifiuto sempre più 79 Lo stesso Newton dovette scontare buona parte della sua condanna in totale isolamento poiché si rifiutava di lavorare in prigione senza un’equa remunerazione per lui e per gli altri detenuti. 80 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 157. 81 Scontata la pena minima di un anno, Jackson doveva comparire annualmente davanti a una speciale commissione per un colloquio senza assistenza legale. Era poi discrezione della commissione concedere o meno la libertà condizionata, che in seguito avrebbe potuto essere revocata in qualsiasi momento per la minima infrazione.
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consapevole del carcere, della società di cui è inevitabile corollario 82”. Jackson era ormai una figura leggendaria nelle carceri, grazie alle sue lotte per un trattamento più dignitoso dei detenuti e alla sua opera di politicizzazione degli afroamericani (“tentammo di trasformare la mentalità del criminale nero nella mentalità del rivoluzionario nero83”). Si adoperò con successo per comporre le divisioni tra i carcerati di colore, organizzandoli in una federazione di gruppi, il Black Militant Front. Già nel 1967 Newton e Jackson si erano trovati detenuti nello stesso carcere. Il leader delle Pantere riuscì a stabilire un contatto con Jackson servendosi di intermediari, e lo nominò field marshall84, con il compito di organizzare sezioni di partito tra le mura delle prigioni. Il BPP, che aveva sempre dato molta importanza al lavoro politico fra i carcerati, chiedendo anche la liberazione di tutti i detenuti neri all’ottavo punto del suo programma, si era dotato in questo modo di un’importante testa di ponte all’interno delle carceri. Nel progetto rivoluzionario di Jackson, le Pantere avrebbero costituito l’ala politica con un seguito di massa, mentre i penitenziari avrebbero fornito “i guerriglieri neri” che sarebbero andati a formare la sua ala militare e clandestina. Nelle prigioni intanto “il contrasto tra il prepotere assoluto delle autorità e i detenuti aveva raggiunto lo stadio dello scontro finale, quasi senza mediazioni; tra i detenuti, più che le spinte a rivolte spontanee, stavano emergendo movimenti organizzati, con maggior chiarezza di obiettivi e un’indubbia crescita di coscienza politica. Lo stesso problema razziale, sul quale forse più che su ogni altro faceva perno la politica delle autorità carcerarie, cominciava a essere intaccato in più punti85”. Nel biennio 1970-1971 le rivolte dilagarono nelle prigioni americane. L’apice e la violenta normalizzazione del movimento dei carcerati furono strettamente legati alla vicenda personale di Jackson, senza dubbio il più carismatico e irriducibile leader di quel movimento. Nel gennaio del 1969, tre detenuti neri furono uccisi a fucilate da una 82 George Jackson, introduzione de I fratelli di Soledad , Torino, 1971, p. X. 83 George Jackson, I fratelli di Soledad , Torino, 1971, p. 20. 84 I marescialli di campo, 8 alla fine del 1968, presiedevano al controllo di un’area geografica o di un settore di lavoro specifico del BPP. 85 George Jackson, introduzione de I fratelli di Soledad , Torino, 1971, p. X ΙΙ.
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guardia nel cortile del famigerato braccio O di Soledad86. Non appena si sparse la notizia che la guardia era stata assolta dall’inchiesta, un’altra guardia bianca venne assalita e uccisa all’interno del carcere. Dell’omicidio vennero accusati tre neri, fra cui Jackson. Trattandosi di una palese montatura, nell’insostenibile accusa a Jackson si affermava che “era l’unico che poteva averlo fatto”, le autorità della prigione tentarono di bloccare le comunicazioni con l’esterno. Ma il tentativo fallì, e la vicenda dei “Fratelli di Soledad”, come vennero subito battezzati dalla stampa i tre accusati, divenne un caso nazionale, grazie anche alla mobilitazione dell’intera struttura del BPP. Anche se non erano mancati i precedenti, è con il caso dei fratelli di Soledad che scoppia il problema delle carceri in America. Il processo che ne seguì si inserisce nello scontro, sempre più radicale e violento, tra le autorità statunitensi e i variegati movimenti di opposizione. Jackson e i suoi compagni vennero spostati da Soledad al penitenziario di San Quentin, mentre si susseguivano gli incidenti: solamente in queste due carceri in poco più di un anno furono uccise nove guardie. Jackson era ormai al centro di “un forte movimento che lo sosteneva e nei confronti del quale cresceva ogni giorno il valore della sua funzione di dirigente 87”, quando il 21 agosto 1971 fu assassinato nel braccio di massima sicurezza di San Quentin. La tesi del direttore del carcere, che isolò la prigione per tre giorni, fu che Jackson era stato ucciso mentre tentava l’evasione, dopo aver ucciso a rasoiate tre guardie e due detenuti bianchi. Questa dinamica dei fatti fu smentita da una deposizione firmata da tutti i 26 detenuti presenti quel giorno nel braccio di massima sicurezza. Inoltre, due giorni dopo avrebbero dovuto riprendere le udienze del processo, sul quale Jackson contava fortemente sia per dimostrare la sua innocenza (gli altri due fratelli di Soledad saranno infatti successivamente assolti), sia per portare avanti la sua battaglia politica davanti a una platea nazionale. Un mese dopo, alcune centinaia di prigionieri neri, portoricani e bianchi riuscirono a impadronirsi del carcere di Attica, nello stato di New York, 86 In quest’ala della prigione i detenuti venivano messi in isolamento in celle di 1,8 per 2,4 metri, senza un lavabo o un gabinetto, costretti a mangiare nel tanfo dei propri escrementi, con la possibilità di lavarsi le mani solo ogni 5 giorni. 87 George Jackson, introduzione de I fratelli di Soledad , Torino, 1971, p. X ΙV.
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prendendo in ostaggio numerose guardie e “avanzando una serie di domande per un trattamento più umano e dignitoso, una giusta paga per il loro lavoro e la possibilità di essere politicamente attivi senza timore di rappresaglie88”. Il loro famoso slogan era “siamo uomini, non bestie, e vogliamo essere trattati come tali!”. I rivoltosi chiesero anche la mediazione di Bobby Seale nelle trattative, a ulteriore conferma del prestigio di cui godevano le Pantere fra i detenuti. La
risposta
delle istituzioni, incarnate
in questo caso
dal
governatore dello stato di New York, Nelson Rockfeller, fu ancora una volta spietata. Il 13 settembre 1971, quando la polizia fece irruzione ad Attica, divenne il giorno più sanguinoso nella storia carceraria degli Stati Uniti: 43 persone restarono uccise89. Con questi due episodi il movimento dei carcerati fu soffocato nel sangue e l’influenza del BPP all’interno delle prigioni fortemente ridimensionata.
CONCLUSIONI
Non è certamente facile tracciare un bilancio dell’esperienza politica del Black Panther Party: La sua fulminea apparizione sulla scena politica americana “è solo un tassello dell’esperienza degli afroamericani, ma è centrale a un periodo che ha affrontato tutti i nodi problematici della loro oppressione90”. Nate sul finire del 1966, le Pantere si sono rapidamente conquistate un ruolo di primo piano all’interno del movimento nero di liberazione, prima di declinare rapidamente assieme a tutto il Movement che aveva visto la luce negli anni Sessanta. La scomparsa del partito dallo scenario e dall’attenzione nazionale dopo la scissione del 1971, la sua successiva involuzione, il generale declino del 88 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 182. 89 Le truppe che fecero il blitz uccisero 39 persone (29 prigionieri e 10 guardie). 90 Paolo Bertella Farnetti, Pantere nere, storia e mito del Black Panther Party, Milano, 1995, p. 203.
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dibattito politico che preannunciava gli anni del reaganismo, hanno a lungo contribuito alla rimozione della sua esperienza. Il BPP, dopo essere stato oggetto di una sovraesposizione mediatica per tutta la sua breve esistenza, fu a lungo relegato nel ruolo di un comprimario chiassoso e folcloristico, ridicolizzato o, nella migliore delle ipotesi, ridotto a un mero fenomeno di costume. La sua lotta fu trasformata in una violenza inutile e ottusa, il progetto politico e l’impegno sociale si dissolsero nel sensazionalismo e nella sua immagine negativa e diffamatoria che veniva veicolata A questa percezione, a mio giudizio errata, sicuramente semplificatoria e riduttiva, diffusa da una parte della storiografia ufficiale e dalla corrente di pensiero dominante91, ha senz’altro contribuito il silenzio da parte degli ex militanti del partito. Molto probabilmente questa sorta di autocensura da parte dei superstiti era dovuta alle penose modalità della (auto)distruzione del BPP che fece seguito alla sua scissione. L’uccisione di Newton nel 1989 e la furia dei riots di Los Angeles nel 1992, drammatico corollario e inevitabile conseguenza dell’operato dei governi Reagan e Bush senior, furono l’occasione per riaprire il dibattito sulla storia e l’eredità delle Pantere nere. Si riaccese così la disputa, sia all’interno della comunità nera che sulla stampa bianca, sul ruolo dell’organizzazione e sul suo controverso leader. Criminali e terroristi o militanti politici? Come vent’anni prima, questa volta con un’eco molto più limitata, si riaffacciarono due letture opposte dell’esperienza del BPP, a seconda delle diverse fonti: i rapporti
di
polizia
o
la
letteratura
prodotta
dal
partito
stesso,
la
controinformazione o i giornali conservatori. In questo rinato dibattito si inserirono le numerose autobiografie di ex Pantere che furono pubblicate all’inizio degli anni Novanta. Le devastazioni dell’insurrezione di Los Angeles, la più violenta del secolo, riportarono anche alla ribalta la grave situazione di ghetti negli Stati Uniti, abitati ormai non solo da neri ma anche da latinos e Asiatici. Certo, le autorità vinsero la loro battaglia contro le Pantere e tutti coloro che alla fine degli anni Sessanta avevano cercato di infondere orgoglio e 91 Un esempio su tutti è il film Forrest Gump, nel quale una fanatica Pantera urla la sua vuota retorica in faccia al candido e pacifico protagonista.
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consapevolezza nell’animo degli afroamericani e di condurli alla conquista dei diritti umani, dopo quelli civili. Ma il vero sconfitto della battaglia che si combatté tra l’establishment e l’ala radicale del movimento nero fu la netta maggioranza della popolazione di colore. La comunità nera, a eccezione di quella percentuale, significativa ma decisamente minoritaria, che approfittò delle opportunità offerte della guerra alla povertà di Johnson per fuggire dai ghetti, fu abbandonata a se stessa, impoverita, sempre più lontana da occupazione e assistenza, in balia del flagello della droga, della criminalità e della repressione poliziesca. Fu proprio in questo contesto, da cui peraltro provenivano, che le Pantere nere cercarono di intervenire, non limitandosi solo all’assistenzialismo, che pure ricopriva un ruolo importante nella loro azione, ma soprattutto sollecitando il riscatto e l’autodeterminazione della gente nera. Dopo aver assistito alla distruzione del movimento nero che, a partire dalle lotte per i diritti civili, aveva ottenuto dei risultati che fino ai primi anni Cinquanta sembravano inimmaginabili, una società americana sempre più sorda e insicura, ha rinchiuso i neri poveri tra le mura invisibili dei ghetto e quelle ben tangibili delle prigioni. Senza più nessuna forma di organizzazione politica, la miseria e il malessere, non solo materiale, delle nuove generazioni non trova oggi altro sfogo che scatenarsi in una cieca furia distruttiva, come del resto sta accadendo, in contesti non troppo diversi dai suburbs americani, anche nelle banlieues francesi. Qualsiasi valutazione dell’operato del
BPP
varia a
seconda della
prospettiva dalla quale venga osservato. Da una parte l’organizzazione che, unica tra
i
gruppi
radicali neri,
cercò
di portare
avanti,
tra mille
contraddizioni, un progetto di alleanza con il movimento bianco. Sulle Pantere fu anche proiettato il mito rivoluzionario di un’intera generazione: giovanissimi, armati, determinati, arroganti e infine martirizzati, i membri del partito catturarono l’immaginazione dei giovani ribelli di tutto il mondo. Ma il BPP fu anche la sola compagine politica che seppe rappresentare e dialogare con le masse del sottoproletariato nero, incanalandone la disperazione e l’antagonismo in una lotta contro le istituzioni per ottenere finalmente una cittadinanza che non fosse più di seconda classe.
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